Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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40 Marco Antonio D’Arcangeli quella “tecnicamente” e “disciplinarmente” professata nelle aule universitarie, nonché in volumi, saggi, articoli ecc. 7 . 7 Lo scrivente si scusa con i curatori del volume e con i lettori se, in ultimo, si concede una breve precisazione “a margine”, approfittando ancora della loro disponibilità e del loro tempo. Il riferimento è al cit. saggio di S. MICCOLIS Antonio Labriola con un mamozio alla “Sapienza”, che a p. 85 chiama in causa — anche se non lo nomina esplicitamente — il sottoscritto, estrapolando dal suo pure cit. Discorrendo di Antonio Labriola e Luigi Credaro, l’affermazione che Nicola Siciliani de Cumis va posto «fra i massimi interpreti contemporanei del pensiero e dell’opera» di Labriola (si v., per l’esattezza, Antonio Labriola e la sua Università, cit., p. 62, nota 3). Verrebbe quasi voglia di ringraziare, per essere stato il primo dei coautori del volume ad essere citato, curatore a parte; forse, però, non è il caso. Perché la ripresa di quel giudizio è in chiave polemica, e ironica, e segna l’avvio — dopo poco più di una pagina di “tregua”, nell’ouverture del commento — della assolutamente preponderante pars destruens della recensione di Miccolis: la quale, in definitiva, altro non è, tutta, che un tentativo di dimostrarne la falsità, facendo vedere, ad esempio, che non vi sarebbe in Siciliani de Cumis quella «conoscenza aggiornata e non superficiale degli studî prodotti sul filosofo» di Cassino che la veridicità di tale asserzione implicherebbe (ibidem), o ancora rilevando tutti gli errori e le sviste presenti nel volume, opera dei collaboratori di Siciliani, ma dei quali quest’ultimo sarebbe, in quanto curatore, comunque responsabile, se non altro per non averli notati; ecc. ecc. Ci assale un dubbio, e si manifesta un senso di colpa, perché sembrerebbe quasi che siano state quelle nostre parole a scatenare lo tsunami che si è abbattuto, con questa recensione, sul catalogo della mostra labrioliana del 2005: ma è sufficiente riflettere un poco per comprendere che, se mai, con quella frase si è fornito un buon pretesto, e un comodo spunto per far “partire” una serie di argomentazioni già in precedenza e del tutto indipendentemente elaborate e “confezionate” (involontariamente, insomma, avremmo fatto da “spalla”). Solo che, son convinto, non è possibile per il sottoscritto esimersi dal tornare su quella affermazione, pena il “lasciar passare” una serie di ambigui messaggi subliminali che la citazione della medesima, per dove è collocata e per come è stata effettuata, non può non indurre nella mente dei (pochi o molti che siano, non ha importanza) lettori del commento di Miccolis. Purtroppo, per quanto abbia tentato, non sono riuscito a togliermi dalla mente l’idea che l’ulteriore, sotteso — ma neanche tanto — malizioso intento della menzione fosse quello di far “passare alla storia” lo scrivente come il “Fantozzi” del mamozio — o “il più Fantozzio” dei “mamozi” — sorprendendolo in un eccesso di laudatio del professore curatore (tutto questo, certamente — almeno credo — non per un “fatto personale”, quanto come testimonianza emblematica di un “costume”). Confesso di aver esitato a lungo di fronte al dilemma se predisporre o meno una qualche replica, anche perché il solo tentativo di motivare ulteriormente quella mia asserzione mi sembrava poco rispet-

Ancora su Antonio Labriola e Luigi Credaro 2. Alfredo Poggi Alfredo Poggi nacque a Sarzana (La Spezia) nel 1881. Si laureò nel 1904 in Filosofia a Palermo, e nel 1907 in Legge a Genova. Formatosi con Giovanni Vidari e con Giuseppe Tarozzi, studiò il pensiero marxista e, al pari di Rodolfo Mondolfo, si pose alla ricerca di una sua integrazione col kantismo, ridefinendolo in chiave etico–morale, su un’interpretazione che in Germania era stata sostenuta da Karl Vorländer (1860–1928) e da Max Adler (1873–1937), e dallo stesso neokantiano marburghese Hermann Cohen (1842–1918). Dalla seconda metà degli anni ‘20, gli studi sulle filosofie della crisi e sulla categoria religiosa orientarono in dire- toso nei confronti di Siciliani de Cumis, il quale, compiendo con il prossimo anno accademico 2006–07 — se non erro — un quarto di secolo di ordinariato di Pedagogia alla “Sapienza” (a proposito: auguri!), non necessitava e non necessita, sicuramente, di “conferme” di sorta. E poi, se si dovesse badare a tutte le “voci” non benevole che ci riguardano e che circolano nei nostri ambienti di lavoro… Ma non si trattava, in definitiva, di “giustificare” — né, tanto meno, di ridimensionare — il giudizio in questione, bensì di precisarne il significato e il senso, che, ad ogni modo (tralasciando le intenzioni), erano stati travisati: ché certamente non si aveva, come anche al presente non si ha, da parte del sottoscritto, la pretesa e la presunzione di essere in grado di individuare con sicurezza e di indicare in maniera incontrovertibile chi possa essere annoverato o meno, a tutt’oggi, fra i più efficaci esegeti dell’opera di Labriola. Si noti, per iniziare, come la valutazione proposta dallo scrivente nel suo Discorrendo…, non sia poi tanto “a priori” e “apodittica” quanto appare sulla recensione pubblicata su «Belfagor»: se non altro per il suo fare riferimento a degli elementi di fatto, “quantitativi”, almeno tendenzialmente “oggettivi”, vale a dire a «tutto il lavoro compiuto da Siciliani de Cumis» sul Cassinate. Ma tale “premessa” è ignorata da Miccolis, così come la successiva argomentazione che puntualizza estensione e intensione, per dir così, di quella affermazione: insistendo sui diversi piani e livelli della “interpretazione” labrioliana di Siciliani, dal «virtuoso “circolo” fra» didattica e ricerca «che ne rappresenta un dichiarato, ed effettivamente praticato, presupposto» (a sua volta, insieme, effetto e “traduzione” della lezione del Cassinate ed esegesi “in atto”, vivente e vissuta, del suo pensiero), al «serrato approfondimento del patrimonio teorico–pratico, della “tradizione” e dello “stile”, delle cattedre di pedagogia della Facoltà di Lettere e Filosofia della “Sapienza” […]», nel quale la rilettura di cui sopra, in definitiva, va inquadrata, che «certo» prende le mosse, e insiste, «sul magistero del filosofo marxista, ma come chiave di lettura, fra somiglianze e differenze, del complesso di quell’itinerario più che secolare». 41

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Marco <strong>Antonio</strong> D’Arcangeli<br />

quella “tecnicamente” e “<strong>di</strong>sciplinarmente” professata nelle aule universitarie,<br />

nonché in volumi, saggi, articoli ecc. 7 .<br />

7 Lo scrivente si scusa con i curatori del volume e con i lettori se, in ultimo, si<br />

concede una breve precisazione “a margine”, approfittando ancora della loro <strong>di</strong>sponibilità<br />

e del loro tempo. Il riferimento è al cit. saggio <strong>di</strong> S. MICCOLIS <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong><br />

con un mamozio alla “Sapienza”, che a p. 85 chiama in causa — anche se non lo<br />

nomina esplicitamente — il sottoscritto, estrapolando dal suo pure cit. Discorrendo <strong>di</strong><br />

<strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong> e Luigi Credaro, l’affermazione che Nicola Siciliani de Cumis va posto<br />

«fra i massimi interpreti contemporanei del pensiero e dell’opera» <strong>di</strong> <strong>Labriola</strong> (si<br />

v., per l’esattezza, <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong> e la sua Università, cit., p. 62, nota 3). Verrebbe<br />

quasi voglia <strong>di</strong> ringraziare, per essere stato il primo dei coautori del volume ad essere<br />

citato, curatore a parte; forse, però, non è il caso. Perché la ripresa <strong>di</strong> quel giu<strong>di</strong>zio<br />

è in chiave polemica, e ironica, e segna l’avvio — dopo poco più <strong>di</strong> una pagina<br />

<strong>di</strong> “tregua”, nell’ouverture del commento — della assolutamente preponderante pars<br />

destruens della recensione <strong>di</strong> Miccolis: la quale, in definitiva, altro non è, tutta, che<br />

un tentativo <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrarne la falsità, facendo vedere, ad esempio, che non vi sarebbe<br />

in Siciliani de Cumis quella «conoscenza aggiornata e non superficiale degli studî<br />

prodotti sul filosofo» <strong>di</strong> Cassino che la veri<strong>di</strong>cità <strong>di</strong> tale asserzione implicherebbe<br />

(ibidem), o ancora rilevando tutti gli errori e le sviste presenti nel volume, opera dei<br />

collaboratori <strong>di</strong> Siciliani, ma dei quali quest’ultimo sarebbe, in quanto curatore, comunque<br />

responsabile, se non altro per non averli notati; ecc. ecc. Ci assale un dubbio,<br />

e si manifesta un senso <strong>di</strong> colpa, perché sembrerebbe quasi che siano state quelle<br />

nostre parole a scatenare lo tsunami che si è abbattuto, con questa recensione, sul<br />

catalogo della mostra labrioliana del 2005: ma è sufficiente riflettere un poco per<br />

comprendere che, se mai, con quella frase si è fornito un buon pretesto, e un comodo<br />

spunto per far “partire” una serie <strong>di</strong> argomentazioni già in precedenza e del tutto<br />

in<strong>di</strong>pendentemente elaborate e “confezionate” (involontariamente, insomma, avremmo<br />

fatto da “spalla”). Solo che, son convinto, non è possibile per il sottoscritto<br />

esimersi dal tornare su quella affermazione, pena il “lasciar passare” una serie <strong>di</strong><br />

ambigui messaggi subliminali che la citazione della medesima, per dove è collocata<br />

e per come è stata effettuata, non può non indurre nella mente dei (pochi o molti che<br />

siano, non ha importanza) lettori del commento <strong>di</strong> Miccolis. Purtroppo, per quanto<br />

abbia tentato, non sono riuscito a togliermi dalla mente l’idea che l’ulteriore, sotteso<br />

— ma neanche tanto — malizioso intento della menzione fosse quello <strong>di</strong> far “passare<br />

alla storia” lo scrivente come il “Fantozzi” del mamozio — o “il più Fantozzio” dei<br />

“mamozi” — sorprendendolo in un eccesso <strong>di</strong> laudatio del professore curatore (tutto<br />

questo, certamente — almeno credo — non per un “fatto personale”, quanto come<br />

testimonianza emblematica <strong>di</strong> un “costume”). Confesso <strong>di</strong> aver esitato a lungo <strong>di</strong><br />

fronte al <strong>di</strong>lemma se pre<strong>di</strong>sporre o meno una qualche replica, anche perché il solo<br />

tentativo <strong>di</strong> motivare ulteriormente quella mia asserzione mi sembrava poco rispet-

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