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Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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34<br />

Marco <strong>Antonio</strong> D’Arcangeli<br />

pertura alle scienze empiriche nello stu<strong>di</strong>o del mondo dell’uomo, destinato<br />

a costituire, nei decenni a cavallo fra le due guerre, il fronte <strong>di</strong> “resistenza”<br />

antidealista della pedagogia italiana 2 .<br />

Nell’ambito <strong>di</strong> un’esperienza sicuramente non trascurabile per la cultura<br />

— non soltanto pedagogica — italiana dei primi decenni del secolo<br />

scorso, Alfredo Poggi si segnalò come “portavoce” <strong>di</strong> un peculiare socialismo,<br />

“kantiano” ed “etico–morale”, che fu poi, in realtà, l’unico socialismo<br />

che circolerà con una certa continuità sulle colonne della «Rivista» e<br />

che vi avrà, per <strong>di</strong>r così, <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza. Introducendo e illustrando<br />

la recensione dello stesso Credaro al volume <strong>di</strong> Poggi Socialismo<br />

e cultura, pubblicata sulla «Rivista» nel 1925, si avrà modo <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re<br />

non solo il pensiero filosofico–politico e pedagogico <strong>di</strong> Poggi, la sua<br />

ricezione da parte del Valtellinese, e in generale le relazioni fra i due<br />

stu<strong>di</strong>osi: ma, anche e soprattutto, <strong>di</strong> verificare quello che fu l’atteggiamento<br />

complessivo dell’intellettualità raccolta nel foglio <strong>di</strong> Credaro nei<br />

confronti del socialismo (modus ponen<strong>di</strong> che il punto <strong>di</strong> vista del Valtellinese,<br />

non a caso Direttore della «Rivista», ben si presta ad esemplificare).<br />

Si delinea, sullo sfondo (ché, certo, la questione non può essere che<br />

accennata in questa sede), il quadro <strong>di</strong> una cultura altrettanto “borghese”<br />

<strong>di</strong> quella gentiliana, pure esplicitamente (ma — forse — solo “accademicamente”)<br />

combattuta, della quale i “nostri” paiono con<strong>di</strong>videre<br />

non pochi presupposti, primo fra tutti quello della conservazione dell’assetto<br />

sociale e politico preesistente (con la relativa ricerca <strong>di</strong> un <strong>di</strong>spositivo<br />

teorico in grado <strong>di</strong> legittimare i rapporti <strong>di</strong> forza dati, e determinati<br />

esiti): e in definitiva, non può <strong>di</strong>rsi che Poggi riesca a porsi al <strong>di</strong> là o al <strong>di</strong><br />

sopra <strong>di</strong> questo quadro. Del resto, a ben vedere, siamo <strong>di</strong> fronte al medesimo<br />

“corto circuito” fra ragione (o teoresi) e ideologia che aveva determinato,<br />

nell’imme<strong>di</strong>ato primo dopoguerra, la sostanziale incomprensione<br />

della natura eversiva del fascismo e la conseguente illusione della<br />

2 Con questa espressione si richiama (e lo si farà anche in seguito) il volume <strong>di</strong> F.<br />

CAMBI, L’educazione tra ragione e ideologia. Il fronte antidealistico della pedagogia italiana<br />

1900–1940, Milano, Mursia, 1990, fondamentale per la comprensione <strong>di</strong> questa stagione<br />

della riflessione educativa nostrana. Altrettanto centrale e significativa, al riguardo,<br />

è l’opera <strong>di</strong> G. CHIOSSO, L’educazione nazionale da Giolitti al primo dopoguerra,<br />

Brescia, La Scuola, 1983.

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