Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia
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352 Nicola Siciliani de Cumis Non ci sono né la prima, né l'ultima parola e non ci sono confini al contesto dialogico (esso si perde nello sconfinato passato e nello sconfinato futuro) […]. In ogni momento dello sviluppo del dialogo esistono enormi, illimitate moltitudini di sensi dimenticati, ma, in determinati momenti dell’ulteriore sviluppo del dialogo, nel suo corso, essi di nuovo saranno ricordati e rinasceranno in forma rinnovata (in un nuovo contesto)… 24 . Il che cosa È il grande tema dei contenuti dell’insegnamento/apprendimento (ma va oltre): il tema, enorme, della materia specifica nel quadro della «enciclopedia pedagogica» e delle sue storiche ripartizioni in settori (psicologico, sociologico, metodologico, disciplinare); ed è il tema delle cautele critiche, che dalla suddetta quadripartizione consegue assieme ad alcune domande precauzionali, preventive ma basilari, in ordine alla scelta educativa, che qui ed ora soprattutto interessa. E quindi, storicamente e pedagogicamente parlando: 1. se le competenze professionali che si richiedono agli insegnanti si possono schematicamente ridurre alla conoscenza dell’allievo, alla conoscenza della società, alla conoscenza dei metodi ed alla conoscenza della materia dell’insegnare e dell’apprendere, è un fatto che tutti e quattro i tipi di competenza evolvano storicamente e criticamente: e che, pertanto, lo sviluppo e il mutamento siano essi stessi parte di un processo (storico– critico) che appartiene all’esperienza educativa (al limite anche «sperimentale»); 2. se c’è (come sembra vi sia) un’evidente relazione tra le suddette competenze dell’educatore ed i settori delle scienze dell’educazione precedentemente elencati, non sembra essere dubbio che tra la storia e la critica interna alle singole discipline (o a gruppi di esse) e la storia e la critica della didattica non può, non deve esserci soluzione di continuità (ed è per me un’assunzione metodologica “alta”, quanto irrinunciabile); 3. se la “filosofia dell’educazione” o la “pedagogia generale”, e la “pedagogia sperimentale” o la “pedagogia comparata” costituiscono “problema” circa il loro posto nell’«enciclopedia pedagogica», sembra essere proprio la dimensione storico–critica a consentire una corretta, 24 M.M. BACHTIN, in T. TODOROV, Michail Bachtin. Il principio dialogico, trad. it. di Anna Maria Marietti, Torino, Einaudi, 1990, pp. 150–151.
Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione nuova impostazione e possibile risoluzione della questione (sia teorica sia empirica): nel senso che, anche al di là delle eventuali istituzionalizzazioni accademiche (le cattedre, i gruppi concorsuali, i dottorandi di ricerca ecc.), è la storia e la critica interne ai su indicati ambiti disciplinari a decidere in ultima analisi delle legittimità o meno del loro posto tra le scienze dell’educazione; 4. se, per altro, la “pedagogia sperimentale” in specie vuol continuare ad essere non una scienza particolare, ma un modo soprattutto di utilizzare diverse scienze dell’educazione al fine di svilupparne altre (le metodologie didattiche, le tecnologie educative, la “teoria del curriculum” ecc.), sembra opportuno ipotizzare forse una maggiore ampiezza dell’ambito dell’influenza di ciò che è «sperimentale» ed al tempo stesso (cioè storicamente e criticamente) «pedagogico»; 5. se difatti non c’è attività «scientifica» che in qualche maniera non poggia su ipotesi e controlli di tipo variamente «sperimentali», potrà servire, probabilmente, anche ai fini educativi cogliere sempre, purché ci sia, l’elemento esperienziale, empirico, prammatico, e dunque di sperimentazione, di prova, di avanguardia tecnico–scientifica, di rottura tra presente, passato e futuro, al di qua e al di là della «storia»; 6. se finalmente, poi, ciascuna disciplina o scienza che afferisce alla «enciclopedia pedagogica» ha una sua storia, ha i suoi contenuti specifici, una sua materialità empirico–educativa (perfino sperimentale, nei suoi confini tradizionali e nelle sue ibridazioni interdisciplinari ovvero transdisciplinari ulteriori), allora pare ancora utile agganciare la cosiddetta “storia della materia specifica” (con le critiche che essa competono, tra didattica e ricerca) ad ognuna delle scienze dell’educazione con o senza patente… Di maggior interesse, anzi, quelle discipline di statuto epistemologico–educativo in via di formazione, e dunque più che mai «sperimentali», più che mai pedagogiche nel loro costituirsi tendenzialmente come «scienza». 353
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Il «punto <strong>di</strong> vista» del recensore tra storiografia e educazione<br />
nuova impostazione e possibile risoluzione della questione (sia teorica<br />
sia empirica): nel senso che, anche al <strong>di</strong> là delle eventuali istituzionalizzazioni<br />
accademiche (le cattedre, i gruppi concorsuali, i dottoran<strong>di</strong> <strong>di</strong> ricerca<br />
ecc.), è la storia e la critica interne ai su in<strong>di</strong>cati ambiti <strong>di</strong>sciplinari<br />
a decidere in ultima analisi delle legittimità o meno del loro posto tra le<br />
scienze dell’educazione;<br />
4. se, per altro, la “pedagogia sperimentale” in specie vuol continuare<br />
ad essere non una scienza particolare, ma un modo soprattutto <strong>di</strong> utilizzare<br />
<strong>di</strong>verse scienze dell’educazione al fine <strong>di</strong> svilupparne altre (le<br />
metodologie <strong>di</strong>dattiche, le tecnologie educative, la “teoria del curriculum”<br />
ecc.), sembra opportuno ipotizzare forse una maggiore ampiezza<br />
dell’ambito dell’influenza <strong>di</strong> ciò che è «sperimentale» ed al tempo stesso<br />
(cioè storicamente e criticamente) «pedagogico»;<br />
5. se <strong>di</strong>fatti non c’è attività «scientifica» che in qualche maniera non<br />
poggia su ipotesi e controlli <strong>di</strong> tipo variamente «sperimentali», potrà<br />
servire, probabilmente, anche ai fini educativi cogliere sempre, purché ci<br />
sia, l’elemento esperienziale, empirico, prammatico, e dunque <strong>di</strong> sperimentazione,<br />
<strong>di</strong> prova, <strong>di</strong> avanguar<strong>di</strong>a tecnico–scientifica, <strong>di</strong> rottura tra<br />
presente, passato e futuro, al <strong>di</strong> qua e al <strong>di</strong> là della «storia»;<br />
6. se finalmente, poi, ciascuna <strong>di</strong>sciplina o scienza che afferisce alla<br />
«enciclope<strong>di</strong>a pedagogica» ha una sua storia, ha i suoi contenuti specifici,<br />
una sua materialità empirico–educativa (perfino sperimentale, nei<br />
suoi confini tra<strong>di</strong>zionali e nelle sue ibridazioni inter<strong>di</strong>sciplinari ovvero<br />
trans<strong>di</strong>sciplinari ulteriori), allora pare ancora utile agganciare la cosiddetta<br />
“storia della materia specifica” (con le critiche che essa competono,<br />
tra <strong>di</strong>dattica e ricerca) ad ognuna delle scienze dell’educazione con o<br />
senza patente… Di maggior interesse, anzi, quelle <strong>di</strong>scipline <strong>di</strong> statuto<br />
epistemologico–educativo in via <strong>di</strong> formazione, e dunque più che mai<br />
«sperimentali», più che mai pedagogiche nel loro costituirsi tendenzialmente<br />
come «scienza».<br />
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