Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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31.05.2013 Views

348 Nicola Siciliani de Cumis Ecco perché in primo luogo, anche in generale, è al punto di vista di chi compie una determinata ricerca, che io comincerei col rimandare: chi sono io che svolgo questa indagine? Chi siamo noi che indaghiamo? Chi, al singolare e al plurale, chi individualmente e collettivamente, chi siamo e chi vogliamo essere nel corso di un siffatto studio a valenza storico–critica ed insieme (in qualche modo e misura) di tipo empirico–educativo? Chi — infine, o dal principio — sono i «soggetti» dell’indagine? La celebre questione etimologica e glottologica della storia come «istoria», ἱστορία e historia (con quel che precede e segue, sulla radice ἰδ di όραω, dell ’ aspirata h, dello spirito aspro e dello spirito dolce ecc.), come questione non solo filologica, si propone e ripropone come essenziale: se è vero, per dirla ancora con il Dewey di Logica, teoria dell'indagine, che sempre che noi narriamo e descriviamo un fatto, in effetti ri–viviamo una storia, ri–scriviamo la storia (e magari la Storia). Di qui la cautela, il maggior sforzo possibile, di trasparenza ideologica. Chi cioè, più di tutti, mi condiziona nel mio agire storico–critico? Avendo solo una frazione di secondo per pensarci, non avrei dubbi a rispondere. E risponderei: Antonio Gramsci, il Gramsci di tre luoghi per me indimenticabili (il primo scoperto al liceo, il secondo come studente universitario, il terzo a cinquanta anni). Eccoli, nell’ordine cronologico–bio–bibliografico: a) Carissimo Delio, […] Mi sento un po’ stanco e non posso scriverti molto. Tu scrivimi sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così? Ti abbraccio. Antonio 20 20 A. GRAMSCI, Lettere dal carcere, a cura di S. Caprioglio e E. Fubini, Torino, Einaudi, 1965, p. 895. L’edizione su riferita era tuttavia quella parziale , del ’61 nei tipi degli Editori Riuniti, con prefazione di Luigi Russo (la lettera in questione era a p. 159, e chiudeva la raccolta); e fu letta contestualmente al volume Lettere ai condannati a morte della Resistenza italiana (8 settembre 1943 – 25 aprile 1945), a cura di P.

Il «punto di vista» del recensore tra storiografia e educazione b) Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L’istinto della ribellione, che da bambino era contro i ricchi, perché non potevo andare a studiare, io che avevo preso dieci in tutte le materie nelle scuole elementari, mentre andavano il figlio del macellaio, del farmacista, del negoziante in tessuti. Esso si allargò per tutti i ricchi che opprimevano i contadini della Sardegna ed io pensavo allora che bisognava lottare per l’indipendenza nazionale della regione: «Al mare i continentali!» Quante volte ho ripetuto queste parole. Poi ho conosciuto la classe operaia di una città industriale e ho capito ciò che realmente significavano le cose di Marx che avevo letto prima per curiosità intellettuale. Mi sono appassionato così alla vita, per la lotta, per la classe operaia. Ma quante volte mi sono domandato se legarsi a una massa era possibile quando non si era mai voluto bene a nessuno, neppure ai propri parenti, se era possibile amare una collettività se non si era amato profondamente delle singole creature umane. Non avrebbe ciò avuto un riflesso sulla mia vita di militante, non avrebbe ciò isterilito e ridotto a un puro fatto intellettuale, a un puro calcolo matematico la mia qualità di rivoluzionario? 21 c) Giustificazione delle autobiografie. Una delle giustificazioni può essere questa: aiutare altri a svilupparsi secondo certi modi e verso certi sbocchi. Spesso le autobiografie sono un atto di orgoglio: si crede che la propria vita sia degna di essere narrata perché «originale», diversa dalle altre, perché la propria personalità è originale, diversa dalle altre, ecc. L’autobiografia può essere concepita «politicamente». Malvezzi e G. Pirelli, Prefazione di E. Enriques Agnoletti, Torino. Einaudi, 1952. Di quest’ultimo libro cfr. quindi la recensione, nella rubrica «Un libro per voi», a cura di chi scrive in «il Sentiero», periodico del Liceo «P. Galluppi» di Catanzaro, del 24 novembre 1961 (tra gli altri collaboratori e recensori, nello stesso numero, Gianni Amelio, Maria Donzelli). 21 A. GRAMSCI, 2000 pagine di Gramsci. Volume secondo. Lettere edite e inedite (1912–1937), a cura di G. Ferrata e N. Gallo, Milano, Il Saggiatore, 1964, pp. 32–33 (una lettera a Julca, da Vienna, 6 marzo 1924). Cfr. quindi, in rapporto “dialettico” con la medesima esperienza di Gramsci le due recensioni di N. Siciliani de Cumis: di A. VISALBERGHI, Educazione e condizionamento sociale, Bari, Laterza, 1964, su «Riforma della scuola», maggio 1964, p. 39, e di F. PITIGLIANI, Metodologia della programmazione. Piano pilota per le scuole secondarie inferiori in Calabria, Roma, Istituto di rilevazioni statistiche e di ricerca economica, 1964, in «Scuola e Città», aprile 1965, pp. 295–296. 349

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Nicola Siciliani de Cumis<br />

Ecco perché in primo luogo, anche in generale, è al punto <strong>di</strong> vista<br />

<strong>di</strong> chi compie una determinata ricerca, che io comincerei col rimandare:<br />

chi sono io che svolgo questa indagine? Chi siamo noi che<br />

indaghiamo? Chi, al singolare e al plurale, chi in<strong>di</strong>vidualmente e<br />

collettivamente, chi siamo e chi vogliamo essere nel corso <strong>di</strong> un siffatto<br />

stu<strong>di</strong>o a valenza storico–critica ed insieme (in qualche modo e<br />

misura) <strong>di</strong> tipo empirico–educativo? Chi — infine, o dal principio<br />

— sono i «soggetti» dell’indagine?<br />

La celebre questione etimologica e glottologica della storia come<br />

«istoria», ἱστορία e historia (con quel che precede e segue, sulla ra<strong>di</strong>ce<br />

ἰδ <strong>di</strong> όραω, dell ’ aspirata h, dello spirito aspro e dello spirito<br />

dolce ecc.), come questione non solo filologica, si propone e ripropone<br />

come essenziale: se è vero, per <strong>di</strong>rla ancora con il Dewey <strong>di</strong><br />

Logica, teoria dell'indagine, che sempre che noi narriamo e descriviamo<br />

un fatto, in effetti ri–viviamo una storia, ri–scriviamo la storia<br />

(e magari la Storia). Di qui la cautela, il maggior sforzo possibile,<br />

<strong>di</strong> trasparenza ideologica. Chi cioè, più <strong>di</strong> tutti, mi con<strong>di</strong>ziona<br />

nel mio agire storico–critico? Avendo solo una frazione <strong>di</strong> secondo<br />

per pensarci, non avrei dubbi a rispondere. E risponderei: <strong>Antonio</strong><br />

Gramsci, il Gramsci <strong>di</strong> tre luoghi per me in<strong>di</strong>menticabili (il primo<br />

scoperto al liceo, il secondo come studente universitario, il terzo a<br />

cinquanta anni). Eccoli, nell’or<strong>di</strong>ne cronologico–bio–bibliografico:<br />

a) Carissimo Delio, […] Mi sento un po’ stanco e non posso scriverti molto.<br />

Tu scrivimi sempre e <strong>di</strong> tutto ciò che ti interessa nella scuola.<br />

Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età,<br />

perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti<br />

più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro<br />

in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non può non piacerti più <strong>di</strong><br />

ogni altra cosa. Ma è così?<br />

Ti abbraccio.<br />

<strong>Antonio</strong> 20<br />

20 A. GRAMSCI, Lettere dal carcere, a cura <strong>di</strong> S. Caprioglio e E. Fubini, Torino,<br />

Einau<strong>di</strong>, 1965, p. 895. L’e<strong>di</strong>zione su riferita era tuttavia quella parziale , del ’61 nei<br />

tipi degli E<strong>di</strong>tori Riuniti, con prefazione <strong>di</strong> Luigi Russo (la lettera in questione era a<br />

p. 159, e chiudeva la raccolta); e fu letta contestualmente al volume Lettere ai condannati<br />

a morte della Resistenza italiana (8 settembre 1943 – 25 aprile 1945), a cura <strong>di</strong> P.

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