Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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306 Nicola Siciliani de Cumis mia volta recensivamente, nella persuasione di contribuire, così facendo, al chiarimento almeno del mio punto di vista. E dunque. Per quanto evidentemente ignaro dello “stato dell’arte” su Antonio Labriola, e superando felicemente barriere secolari e steccati disciplinari, Poe si rivela incredibilmente lungimirante e straordinariamente “al corrente”. Un testimone oculare, diresti, delle furbizie miopi, delle chiusure narcissiche e delle conseguenti meschinerie dei letterati di ogni tempo, di cui prendere utilmente atto anche a futura memoria. Questi pertanto i passi salienti delle sue impareggiabili “istruzioni per l’uso”, su come stroncare ingiustamente un libro. Scrive: Lasciate che lo spirito del libro in se stesso prenda cura di sé, o che sia oggetto di qualche mano più competente, e per parte vostra procedete ad enumerare gli errori verbali: ogni libro ne contiene abbastanza per farlo condannare, se dovesse essere giudicato solo in base ad essi […]. Ogni errore scoperto in un libro aiuta ad ostacolare la sua vendita e risponde al fine precipuo della critica letteraria, che è quello di mettere il critico, e non l’autore recensito, in una posizione di vantaggio. Di qui, allora, una precisa indicazione di strategia del recensore velenoso per partito preso, che alla luce di ciò che dirò, da un lato, è impressionante per l’aderenza alla situazione labrioliana descritta; da un altro lato, introduce nuovi elementi metodologicamente significativi, di cui tenere ulteriormente conto. Continua infatti Poe: La miglior linea di condotta è di giudicare il libro non per quello che è effettivamente e che vuol essere, ma per quello che non è e che l’autore non ha mai inteso che fosse; in base a questo, pronunciare una condanna irrevocabile. Con questo sistema costringete l’autore stesso a riconoscere la verità della vostra critica; e di fronte a coloro che si affidano a voi per farsi la loro opinione, sarete considerato un recensore profondo, splendido e brillante. Di tutti i modi di recensire un libro, questo offre il più ampio margine di estro, perché non vi costringe a limitarvi all’opera in esame, ma vi permette di citare liberamente dall’ultimo libro che avete letto. Se il libro da cui citate, dovesse trattare un argomento diverso da quello che state recensendo, vi servirà a fare apparire l’autore molto ridicolo, mostrando quanto egli sia diverso da qualcun altro.

Poe, Labriola, tre mamozii e il Rodimčik di Makarenko E non è tutto: ché la preveggenza di Poe si esercita, per così dire, anche bilateralmente, guardando egli insieme sia al recensito che al recensore. E fornendo ad entrambi la spiegazione dei meccanismi interni alla disamina (si fa per dire) critica dello stroncatore pro domo sua, che si studi tuttavia, pur nella propria intrinseca pochezza, di apparire avveduto, erudito, portatore di novella scienza: Niente è più facile che far apparire ridicola un’altra persona, ma non è sempre facile al tempo stesso riuscire a non apparire tali. Perciò, si deve esser sempre molto cauti, nel fare a pezzi un autore, a non infliggere delle ferite a se stessi. In una recensione, lo scopo principale è di far sì che il recensore, non il recensito, appaia in una posizione di vantaggio. Il critico perciò deve spulciare tutte le notizie e le idee brillanti che può, dal libro che sta recensendo, e spargerle qua e là nel suo articolo, senza rivelare la fonte della loro origine. Il più grande sforzo che deve prefiggersi un recensore è di mettere se stesso tra il pubblico e l’autore, cosicché l’autore viene perso completamente di vista quando l’articolo arriva alla fine. 2. C’è Mamozio e mamozio Eppure, devo essere molto grato a Stefano Miccolis, per la sua stroncatura del catalogo da me curato Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza”(1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004), Roma, Aracne, 2005 [seconda edizione 2006] 3 . Grato nondimeno alla rivista che ospita la recen- 3 Edizione, che si giova delle seguenti correzioni e/o integrazioni. Nel titolo: non «Settecento» ma «settecento». A p. 13, seconda colonna, rigo 12°: al posto di «Campatola» va «Campajola». A p. 39, seconda colonna, rigo 3° dal basso: non «tutti», ma «tutto». A p. 46: a sinistra del riquadro su «I problemi della pedagogia», che andrebbe spostato leggermente a destra, le seguenti parole di spiegazione: «La rivista “I problemi della pedagogia” rinvia, tra l’altro, ai contributi su Labriola di Dina Bertoni Jovine: cfr., in particolare, A. LABRIOLA, Scritti di pedagogia e di politica scolastica, Roma, Editori Riuniti, 1961». A p. 140, seconda colonna, rigo 16° dal basso: non «la compete», ma «le compete». A p. 224, seconda colonna del testo, rigo 7° dal basso: non «Credano», ma «Credaro». A p. 376, nel pannello a colori su “Labriola e gli anarchici” (seconda parte): alla fine della didascalia accanto all’immagine di Labriola che conclude il pannello, aggiungere «Il ritratto qui accanto è di Franco Flaccavento». A p. 409: alla didascalia (dopo le parole “autobiograficamente al cassinate”), oc- 307

Poe, <strong>Labriola</strong>, tre mamozii e il Ro<strong>di</strong>mčik <strong>di</strong> Makarenko<br />

E non è tutto: ché la preveggenza <strong>di</strong> Poe si esercita, per così <strong>di</strong>re, anche<br />

bilateralmente, guardando egli insieme sia al recensito che al recensore.<br />

E fornendo ad entrambi la spiegazione dei meccanismi interni alla<br />

<strong>di</strong>samina (si fa per <strong>di</strong>re) critica dello stroncatore pro domo sua, che si stu<strong>di</strong><br />

tuttavia, pur nella propria intrinseca pochezza, <strong>di</strong> apparire avveduto,<br />

eru<strong>di</strong>to, portatore <strong>di</strong> novella scienza:<br />

Niente è più facile che far apparire ri<strong>di</strong>cola un’altra persona, ma non è sempre<br />

facile al tempo stesso riuscire a non apparire tali. Perciò, si deve esser sempre<br />

molto cauti, nel fare a pezzi un autore, a non infliggere delle ferite a se stessi.<br />

In una recensione, lo scopo principale è <strong>di</strong> far sì che il recensore, non il recensito,<br />

appaia in una posizione <strong>di</strong> vantaggio. Il critico perciò deve spulciare tutte<br />

le notizie e le idee brillanti che può, dal libro che sta recensendo, e spargerle<br />

qua e là nel suo articolo, senza rivelare la fonte della loro origine. Il più grande<br />

sforzo che deve prefiggersi un recensore è <strong>di</strong> mettere se stesso tra il pubblico e<br />

l’autore, cosicché l’autore viene perso completamente <strong>di</strong> vista quando l’articolo<br />

arriva alla fine.<br />

2. C’è Mamozio e mamozio<br />

Eppure, devo essere molto grato a Stefano Miccolis, per la sua stroncatura<br />

del catalogo da me curato <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong> e la sua Università. Mostra<br />

documentaria per i settecento anni della “Sapienza”(1303–2003). A cento<br />

anni dalla morte <strong>di</strong> <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong> (1904–2004), Roma, Aracne, 2005 [seconda<br />

e<strong>di</strong>zione 2006] 3 . Grato non<strong>di</strong>meno alla rivista che ospita la recen-<br />

3 E<strong>di</strong>zione, che si giova delle seguenti correzioni e/o integrazioni. Nel titolo: non<br />

«Settecento» ma «settecento». A p. 13, seconda colonna, rigo 12°: al posto <strong>di</strong> «Campatola»<br />

va «Campajola». A p. 39, seconda colonna, rigo 3° dal basso: non «tutti», ma<br />

«tutto». A p. 46: a sinistra del riquadro su «I problemi della pedagogia», che andrebbe<br />

spostato leggermente a destra, le seguenti parole <strong>di</strong> spiegazione: <strong>«La</strong> rivista<br />

“I problemi della pedagogia” rinvia, tra l’altro, ai contributi su <strong>Labriola</strong> <strong>di</strong> Dina Bertoni<br />

Jovine: cfr., in particolare, A. LABRIOLA, Scritti <strong>di</strong> pedagogia e <strong>di</strong> politica scolastica,<br />

Roma, E<strong>di</strong>tori Riuniti, 1961». A p. 140, seconda colonna, rigo 16° dal basso: non «la<br />

compete», ma «le compete». A p. 224, seconda colonna del testo, rigo 7° dal basso:<br />

non «Credano», ma «Credaro». A p. 376, nel pannello a colori su “<strong>Labriola</strong> e gli anarchici”<br />

(seconda parte): alla fine della <strong>di</strong>dascalia accanto all’immagine <strong>di</strong> <strong>Labriola</strong><br />

che conclude il pannello, aggiungere «Il ritratto qui accanto è <strong>di</strong> Franco Flaccavento».<br />

A p. 409: alla <strong>di</strong>dascalia (dopo le parole “autobiograficamente al cassinate”), oc-<br />

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