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Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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262<br />

Daniela Secondo<br />

In seguito il signor Rizzini, presidente della Corda Frates, ha lette le adesioni<br />

che sono venute dai più lontani paesi d’Europa: Francia, Inghilterra, Russia,<br />

Belgio, Rumenia, Polonia.<br />

Poi ha presa la parola Andrea Torre, cominciando così:<br />

Il segno caratteristico della personalità dell’uomo che commemoriamo è dato<br />

dalla <strong>di</strong>subbi<strong>di</strong>enza del suo spirito a qualsiasi dogma. Egli fu un critico nel<br />

vero senso della parola: critico dei fatti, critico delle idee altrui ed anche critico<br />

delle idee proprie. Onde non si adagiò mai, egli filosofo e maestro <strong>di</strong> filosofia, in<br />

alcuna formula filosofica definitiva: perché intese bene che qualsiasi formula è<br />

sempre inadeguata alla realtà, anzi non è che il mero riflesso <strong>di</strong> un momento e<br />

<strong>di</strong> un modo della realtà. E per questo egli considerò ogni sistema come una specie<br />

<strong>di</strong> prigione e <strong>di</strong>chiarò che in una tal prigione non si sarebbe rinchiuso mai.<br />

E poiché egli era avido non tanto <strong>di</strong> conoscenze più o meno astratte quanto<br />

<strong>di</strong> scoprire ciò che costituisce il segreto dell’azione e della coscienza umana, — e<br />

l’impresa è la più complicata ed ardua che giammai l’uomo abbia proposta a sé<br />

stesso — <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong>, spirito sensibilissimo, passionato e <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile aquiescenza,<br />

fu perpetuamente irrequieto nelle sue ricerche, nei suoi dubbi, nelle sue<br />

interrogazioni, e, <strong>di</strong>rò anche, quasi mai contento dei risultati altrui e dei propri.<br />

Perciò scrisse molto meno <strong>di</strong> quello che avrebbe potuto se avesse attribuito<br />

maggior valore alla “carta stampata”, come egli <strong>di</strong>ceva, che alla sostanza e<br />

all’efficienza, <strong>di</strong> ciò che è stampato, e perciò non compone mai l’opera nel senso<br />

classico della parola, cioè una trattazione meto<strong>di</strong>ca, complessiva e definitiva intorno<br />

ad un tale argomento.<br />

Ma se la sua produzione scritta fu relativamente scarsa <strong>di</strong> fronte alla sua potenzialità,<br />

fu invece ricchissima la sua produzione orale. Da quest’aspetto egli si<br />

può <strong>di</strong>re veramente un maestro perpetuo: dentro all’Università e fuori, per le vie,<br />

al Caffè Aragno — la sua seconda cattedra, più libera e non meno feconda<br />

dell’altra — in ogni incontro con persona capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere o apprendere, egli<br />

fu inesauribile nel <strong>di</strong>re, densamente, rapidamente, entrando subito nel nocciolo<br />

delle questioni, sod<strong>di</strong>sfatto quando altri lo intendesse, felice quando altri sapesse<br />

comunicare con lui.<br />

Egli fu un maestro perpetuo. Ma anche nell’Università non ebbe alcuno <strong>di</strong><br />

quegli atteggiamenti così detti accademici che si attribuiscono all’uomo della cattedra.<br />

La sua lezione non era trattenuta entro quei rigi<strong>di</strong> confini che le regole<br />

convenzionali abitualmente impongono: aveva andature libere e semplici come<br />

si conviene a chi conversa familiarmente intorno ad un argomento, e, senza <strong>di</strong>vagare<br />

in cose inutili o superflue, illustra anche gli argomenti e i fatti che si irraggiano<br />

da quello centrale. In tal modo le sue lezioni erano una fonte svariatis-

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