Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia
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236 Alessandro Sanzo e nell’insegnamento, anche a livello universitario, «Labriola vide con grande chiarezza uno strumento essenziale per la formazione dell’uomo e la trasformazione della società» (p. IX). Ancora a proposito dei pregi di Filosofia e università va sottolineato, con Garin, il rimarchevole contributo che il lavoro apporta «ad una più esatta interpretazione della vicenda culturale italiana fra la fine dell’Ottocento e il principio del Novecento» (p. XIII). Inoltre, per quanto concerne Labriola, l’opera ha il notevole merito di richiamare l’attenzione degli studiosi labrioliani sul periodo 1877–1887. Un decennio, tutt’altro che irrilevante per quanto riguarda la formazione e l’opera di Labriola, impegnato, fra teoria e prassi: in lavori relativi al regolamento dell’istruzione secondaria e all’ordinamento della scuola popolare (in Italia e all’estero); nell’attività di direzione del Museo di Istruzione e di Educazione di Roma; nell’opera di recensione (una per tutte, quella al volume di Friedrich von Bärenbach [Frigyes Medveczky], Die Sozialwissenschaften. Zur Orientierung in den Sozialwissenschaftlichen Schulen und Systemen der Gegenwart) e nel lavoro di traduzione in italiano (del Philippson, Il secolo di Luigi decimoquarto e dello Stern, Storia della rivoluzione inglese); nella redazione dei Principali monumenti architettonici di tutte le civiltà antiche e moderne (insieme al Langl) e dei Problemi della filosofia della storia; infine, nella ricerca di un impegno etico–politico di tipo nuovo, con il tentativo di candidarsi alle elezioni politiche del 1886 nel secondo collegio di Perugia. Gli anni che vanno dal 1882 al 1887, in particolare, dal punto di vista di una possibile ricostruzione dei tempi e dei modi della formazione filosofica e politica di Labriola, si configurano ― come afferma giustamente Siciliani de Cumis ― come un intenso e fecondo periodo di studio, come una lunga «pausa di riflessione, che potrebbe apparire perfino voluta, nella misura in cui riuscirà poi a convogliare verso un nuovo ordine, lungo un’altra direzione rispetto al passato, tutto il piano degli interessi, degli ideali, delle prospettive sociali ed umane che saranno proprie così del “filosofo” di professione, come del recente militante socialista» (p. XXIV). In altri termini, questi anni risultano essenziali anche per comprendere, geneticamente, la maturazione filosofica e politica del cassinate, e, in primo luogo, il suo approdo al socialismo e al marxismo.
Antonio Labriola, in prospettiva Un capitolo, quello relativo agli anni 1877–1887, quanto mai importante e, lo si è detto, ancora in gran parte da scrivere; per la cui redazione ― come per quella di tutti gli altri capitoli della formazione labrioliana, in primo luogo di quello relativo alla vita accademica ― risultano essenziali il competente contributo del maggior numero possibile di studiosi e la fattiva partecipazione di tutte le istituzioni che, consapevolmente o inconsapevolmente, custodiscono documenti e materiali, direttamente o indirettamente, labrioliani. Un’operazione che potrà risultare scientificamente feconda nella misura in cui riuscirà a non “tradire” Labriola, scindendolo, ma vedrà in lui il filosofo, il politico, il pedagogista, il professore universitario, il giornalista, l’organizzatore culturale, il polemista, l’animatore della prima sala del Caffè Aragno, ecc. Ovverosia, se riuscirà a guardarlo a tutto tondo, alla luce di diverse categorie interpretative: l’unitarietà, la molteplicità, l’interdisciplinarità e l’organicità. Parallelamente a quanto avviene con la proposta sulla laurea in filosofia, è insomma necessario «considerare la posizione di Labriola nella sua interezza ed organicità, ma senza perdere mai di vista i diversi livelli della formazione dell’uomo e della trasformazione della società, dell’etico e del teoretico, dell’educativo e dello storiografico, dello scientifico e del politico» (p. XVII). Tornando a Filosofia e università è opportuno fare un’ultima annotazione a proposito dell’attualità (o, forse, dell’inattualità) della proposta labrioliana sulle lauree in filosofia, della riforma del sistema scolastico e universitario italiano e, da ultimo, di alcune delle considerazioni svolte da Enrico Morselli nell’ottobre 1887. Antonio Labriola ― afferma Garin ― mostra, «di fatto», che una riforma universitaria non si può «affrontare con serietà se non con una chiara concezione della scienza, sia nelle discipline specifiche, sia nei loro rapporti e nelle loro articolazioni, nel loro progresso e nella loro funzione» (p. X). Pertanto, se l’università vuole assolvere al compito «di far progredire il sapere, di sviluppare la coscienza critica e di preparare dei “professionisti” capaci» deve «essere sul serio anche l’organo e il luogo della scienza, nella concretezza delle ricerche particolari e nella capacità delle sintesi unificanti» (p. XI). A giudizio di Garin, inoltre, le proposte di Labriola e il dibattito da lui aperto «restano attuali dopo quasi un secolo, proprio perché così in Labriola, come in taluni dei suoi interlocuto- 237
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<strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong>, in prospettiva<br />
Un capitolo, quello relativo agli anni 1877–1887, quanto mai importante<br />
e, lo si è detto, ancora in gran parte da scrivere; per la cui redazione<br />
― come per quella <strong>di</strong> tutti gli altri capitoli della formazione labrioliana,<br />
in primo luogo <strong>di</strong> quello relativo alla vita accademica ― risultano essenziali<br />
il competente contributo del maggior numero possibile <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi<br />
e la fattiva partecipazione <strong>di</strong> tutte le istituzioni che, consapevolmente<br />
o inconsapevolmente, custo<strong>di</strong>scono documenti e materiali, <strong>di</strong>rettamente<br />
o in<strong>di</strong>rettamente, labrioliani.<br />
Un’operazione che potrà risultare scientificamente feconda nella misura<br />
in cui riuscirà a non “tra<strong>di</strong>re” <strong>Labriola</strong>, scindendolo, ma vedrà in<br />
lui il filosofo, il politico, il pedagogista, il professore universitario, il<br />
giornalista, l’organizzatore culturale, il polemista, l’animatore della prima<br />
sala del Caffè Aragno, ecc. Ovverosia, se riuscirà a guardarlo a tutto<br />
tondo, alla luce <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse categorie interpretative: l’unitarietà, la molteplicità,<br />
l’inter<strong>di</strong>sciplinarità e l’organicità. Parallelamente a quanto avviene<br />
con la proposta sulla laurea in filosofia, è insomma necessario «considerare<br />
la posizione <strong>di</strong> <strong>Labriola</strong> nella sua interezza ed organicità, ma senza<br />
perdere mai <strong>di</strong> vista i <strong>di</strong>versi livelli della formazione dell’uomo e della<br />
trasformazione della società, dell’etico e del teoretico, dell’educativo e dello<br />
storiografico, dello scientifico e del politico» (p. XVII).<br />
Tornando a Filosofia e università è opportuno fare un’ultima annotazione<br />
a proposito dell’attualità (o, forse, dell’inattualità) della proposta<br />
labrioliana sulle lauree in filosofia, della riforma del sistema scolastico e<br />
universitario italiano e, da ultimo, <strong>di</strong> alcune delle considerazioni svolte<br />
da Enrico Morselli nell’ottobre 1887.<br />
<strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong> ― afferma Garin ― mostra, «<strong>di</strong> fatto», che una riforma<br />
universitaria non si può «affrontare con serietà se non con una<br />
chiara concezione della scienza, sia nelle <strong>di</strong>scipline specifiche, sia nei loro<br />
rapporti e nelle loro articolazioni, nel loro progresso e nella loro funzione»<br />
(p. X). Pertanto, se l’università vuole assolvere al compito «<strong>di</strong> far<br />
progre<strong>di</strong>re il sapere, <strong>di</strong> sviluppare la coscienza critica e <strong>di</strong> preparare dei<br />
“professionisti” capaci» deve «essere sul serio anche l’organo e il luogo<br />
della scienza, nella concretezza delle ricerche particolari e nella capacità<br />
delle sintesi unificanti» (p. XI). A giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Garin, inoltre, le proposte<br />
<strong>di</strong> <strong>Labriola</strong> e il <strong>di</strong>battito da lui aperto «restano attuali dopo quasi un secolo,<br />
proprio perché così in <strong>Labriola</strong>, come in taluni dei suoi interlocuto-<br />
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