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Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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<strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong>, in prospettiva<br />

“due culture”; e dunque, in modo fortemente innovativo, nelle strutture<br />

concettuali e pratico–operative consolidate» (p. XVIII). Con la conseguenza<br />

«che il cambiamento, se ci fosse stato, non avrebbe potuto non<br />

riguardare al tempo stesso i fondamenti del pensiero e le fondamenta<br />

dell’istituzione universitaria e, <strong>di</strong> conseguenza, i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> intendere la società<br />

e i suoi valori, l’educazione e i suoi strumenti, i contenuti e i meto<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

insegnamento, la definizione e l’organizzazione della cultura» (p. XVIII).<br />

La portata <strong>di</strong> tale proposta, dunque, va ben al <strong>di</strong> là della <strong>di</strong>mensione<br />

filosofica e <strong>di</strong> quella accademica; per quanto, chiaramente, sono la filosofia<br />

e l’università ad essere al centro delle lauree in filosofia. Il tentativo <strong>di</strong><br />

operare nella prospettiva <strong>di</strong> un ra<strong>di</strong>cale rinnovamento dell’istruzione<br />

superiore, la spinta a riflettere, imparzialmente ma criticamente, nella<br />

concezione dei problemi e nella loro soluzione, le tendenze più generali<br />

del pensiero e della cultura “moderni” e, infine, l’intento <strong>di</strong> combattere,<br />

in questo sforzo <strong>di</strong> adesione alla realtà, il volgare tra<strong>di</strong>zionalismo e il<br />

gretto specialismo coinvolgono, infatti, anche nel 1887, sia la <strong>di</strong>mensione<br />

culturale che quella politica.<br />

L’ipotesi <strong>di</strong> un superamento, quantunque in nome della filosofia, della<br />

<strong>di</strong>stinzione tra l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> cosiddetto “umanistico” e quello<br />

“scientifico”, <strong>di</strong> un intervento volto a liberare la filosofia dall’abbraccio<br />

ormai mortale con la filologia non è, in altri termini, questione meramente<br />

“accademica” o cosa da “tecnici”, non ultimo per le sue ricadute<br />

sociali e politiche. Alla pubblica presentazione e <strong>di</strong>scussione della proposta<br />

labrioliana concorrono, infatti, come spiega Siciliani de Cumis, elementi<br />

<strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne economico, sociale, politico, culturale e ideologico; elementi<br />

che conducono, finanche, al problema dell’impostazione “classista”<br />

della scuola italiana. Dietro lo scontro tra le “scienze” e le “lettere”<br />

si nascondono, insomma, ragioni <strong>di</strong>versissime. A tal punto che ― scrive<br />

Dina Bertoni Jovine ― la «<strong>di</strong>fesa del classicismo», anche nella forma della<br />

“conservazione” del vincolo gerarchico tra la filologia e la filosofia,<br />

«<strong>di</strong>venne programma dei conservatori, mentre la <strong>di</strong>fesa delle scienze<br />

quello dei rivoluzionari», e «non fu più possibile sceverare i motivi<br />

schiettamente pedagogici e culturali da quelli politici e sociali» (La scuola<br />

italiana dal 1870 ai giorni nostri, Roma, E<strong>di</strong>tori Riuniti, 1958, p. 77).<br />

La proposta <strong>di</strong> “liberalizzare” le lauree in filosofia, per quanto coinvolga<br />

il tema della libertà della scienza e del suo insegnamento, non si<br />

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