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Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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L’attenta analisi dell’Ispettore <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong><br />

gnativo, senza parlare <strong>di</strong> tutti gli altri doveri extraccademici, compresa<br />

la <strong>di</strong>rezione del Museo pedagogico. La signora von Spenger scriveva<br />

sottolineando che suo marito era sempre stato «<strong>di</strong>ligentissimo nel compiere<br />

il suo dovere» <strong>di</strong> professore (p. 588). Dopo aver letto le sue relazioni<br />

ispettive, le si può credere alla lettera. Chissà se poi la pensione<br />

privilegiata le sarà giunta, ma questo è in proposito irrilevante.<br />

Una delle caratteristiche, forse dei meriti, <strong>di</strong> <strong>Labriola</strong> è <strong>di</strong> non aver lasciato<br />

labriolisti. Il suo insegnamento, in senso lato, era fatto soprattutto<br />

della viva voce, del comunicare anche e forse soprattutto con la gestualità,<br />

con lo sguardo, tutte cose prossemiche inseparabili del fascino della<br />

presenza fisica e anche poco o nulla imitabili. Mirava non tanto a formare<br />

giovani che proseguissero il suo <strong>di</strong>scorso, ma piuttosto dotati dell’apertura<br />

mentale, del desiderio del nuovo e della fiducia nell’educabilità<br />

dell’uomo pensante senza pretendere preventivi atti <strong>di</strong> fede dottrinaria<br />

e/o politica. Una formazione che non lascia tracce evidenti ma<br />

che sottotraccia opera parecchio. Al fascino <strong>di</strong> una persona che non c’è<br />

più, può sostituirsi il fascino degli scritti che questa persona ha eventualmente<br />

lasciato. Ma <strong>Labriola</strong> non è stato un autore fecondo <strong>di</strong> volumi,<br />

manuali e roba del genere. Di lui non si può <strong>di</strong>re che ha scritto più <strong>di</strong><br />

quella che ha pensato. Per leggerlo, bisogna cercarlo prevalentemente<br />

nelle raccolte <strong>di</strong> sue conferenze o comunicazioni occasionali e comunque<br />

asistematiche o nella sua verbalistica, <strong>di</strong>ciamo (fra cui le relazioni ispettive),<br />

o nella corrispondenza. Per <strong>di</strong> più <strong>Labriola</strong> è <strong>di</strong>fficilmente catalogabile:<br />

<strong>di</strong>re che è stato hegeliano e poi herbartiano e quin<strong>di</strong> marxista è<br />

senza alcun dubbio vero, ma non basta, perché in questi e in altri casi le<br />

sue acquisizioni passavano sempre attraverso un filtro critico e rielaborativo<br />

<strong>di</strong> marca <strong>Labriola</strong>. Si aggiunga poi la poliedricità dei suoi interessi.<br />

D’altronde non era affatto un animale accademico, né uno <strong>di</strong> quei baroni<br />

che si adoperavano a formarsi una corte fissa <strong>di</strong> seguaci, magari<br />

plaudente e servizievole. Anzi <strong>di</strong>sprezzava, come la «sana filosofia», le<br />

nuove ni<strong>di</strong>ate <strong>di</strong> animali accademici. A lui interessavano soprattutto gli<br />

uomini veri, come i lavoratori del braccio, e questi erano più facilmente<br />

fuori che dentro l’università.<br />

Infine una curiosità extravagante cui ― forse a causa <strong>di</strong> una mia lettura<br />

non attentissima ― non ho trovato cenno <strong>di</strong> risposta nel volume:<br />

<strong>Labriola</strong> era appassionato <strong>di</strong> teatro? Io <strong>di</strong>rei <strong>di</strong> sì. Almeno mi è sempre<br />

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