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Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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<strong>Antonio</strong> Santoni Rugiu<br />

un’ottima procedura “pedagogica”, invogliando una ricostruzione anche<br />

in base alle proprie rappresentazioni, migliorandone così l’acquisizione.<br />

Ricostruzione che non si arresta agli scritti e ad aspetti della figura e<br />

dell’attività <strong>di</strong> <strong>Labriola</strong> ma questi sono intrecciati (sia pure sempre in<br />

modo scrambled) con brani <strong>di</strong> storia dell’antica università <strong>«La</strong> <strong>Sapienza»</strong><br />

dove <strong>Labriola</strong> prevalentemente insegnò, la quale deve i suoi lontani natali<br />

all’alba del XIV sec. nientepopo<strong>di</strong>meno che a papa Bonifacio VIII dei<br />

principi Caetani.<br />

Mi hanno anche colpito i primi due versetti (si chiamano così? mi pare<br />

<strong>di</strong> no, ma non ne ricordo il vero nome) in apertura al volume, presi<br />

dallo stesso <strong>Labriola</strong>: «E facendo la propria educazione, Socrate era <strong>di</strong>ventato<br />

educatore». E Siciliani de Cumis, spiegando la «filosofia del catalogo»<br />

parla in proposito del «curioso fenomeno <strong>di</strong> Socrate che educa<br />

educandosi» e «me<strong>di</strong>ante l’analisi della propria incertezza produce per<br />

sé e per gli altri il criterio della convinzione» (p. 73). Nello stesso senso<br />

<strong>Labriola</strong>, chiamando gli studenti «cooperatori» e giovandosi dell’incontro<br />

e dello scambio con gli operai ai quali spiegava i <strong>di</strong>ritti e i doveri, da<br />

lui apprezzati perché erano «uomini e non professori soltanto» come invece<br />

i colleghi universitari «del nostro mondo fittizio <strong>di</strong> scienza burocratica».<br />

Si può escludere in questo importante passaggio un riecheggiamento<br />

non tanto <strong>di</strong> Herbart (che aveva fama <strong>di</strong> “poco democratico” per essersi<br />

come docente umilmente sottomesso alla censura del principe) quanto<br />

<strong>di</strong> Marx, precisamente del suo “l’uomo fa l’uomo, fa se stesso e l’altro<br />

uomo”? E c’è da star certi che quando <strong>Labriola</strong> andava a incontrare gli<br />

operai non lo faceva per mettersi a posto la sua coscienza <strong>di</strong> neo approdato<br />

al materialismo storico, ma proprio per arricchire se stesso in quel<br />

bagno <strong>di</strong> «schietta umanità». Per lui era insegnare apprendendo e viceversa<br />

(non si potrebbe forse azzardare in questo un’anticipazione dei<br />

gentiliani, dello “scambio <strong>di</strong> anime” <strong>di</strong> Lombardo Ra<strong>di</strong>ce?).<br />

Ho poi letto con grande piacere l’accostamento <strong>di</strong> <strong>Labriola</strong> con Denis<br />

Diderot. Ho sempre lamentato, e questa lamentela mi si rinfresca ogni<br />

volta che mi capita fra le mani un manuale <strong>di</strong> filosofia per la scuola che<br />

tace quasi del tutto <strong>di</strong> figure così significative come Diderot, soprattutto<br />

attraverso le quali (basterebbe a testimoniarlo il gigantesco lavoro pedagogico<br />

dell’Enciclopé<strong>di</strong>e) si può intendere la rivoluzione copernicana del

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