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Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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Le attente analisi dell’Ispettore <strong>Labriola</strong><br />

<strong>Antonio</strong> Santoni Rugiu<br />

Leggendo il volume su <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong> e la sua Università. Mostra documentaria<br />

per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni<br />

dalla morte <strong>di</strong> <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong> (1904–2004), curato da Nicola Siciliani de<br />

Cumis, mi sono venute in mente alcune spicciole considerazioni. Prima<br />

<strong>di</strong> tutto che proprio <strong>Labriola</strong> autore pedagogico (sia pure sui generis)<br />

conferma una mia vecchia convinzione per cui i veri pedagogisti italiani<br />

dell’Ottocento non furono ― salvo forse Lambruschini e pochissimi altri―<br />

né educatori <strong>di</strong> professione né teorici o storici dei problemi educativi,<br />

bensì cultori <strong>di</strong> altro, come Francesco De Sanctis, Pasquale Villari e<br />

lo stesso <strong>Labriola</strong> e non solo, per non parlare già a fine secolo del ben<br />

più noto caso <strong>di</strong> Giovanni Gentile, come si sa tutt’altro che laudatore del<br />

“pedagogismo” dei pedagogisti <strong>di</strong> professione. Appunto perché nella<br />

formazione umana ci sta <strong>di</strong> tutto e ogni elemento <strong>di</strong> questo pasticciaccio<br />

può essere visto da angolature <strong>di</strong>verse e talvolta non assemblabili, i problemi<br />

pedagogici sono inquadrabili solo a posteriori, come problemi<br />

dell’essere stato e non del dover essere; sono insomma un punto <strong>di</strong> arrivo,<br />

non un traguardo né un percorso tracciato prima <strong>di</strong> cominciare; se<br />

volete, una deriva finale, che prima <strong>di</strong> essere tale resta priva <strong>di</strong> proprie<br />

chiare connotazioni e ragionevoli preve<strong>di</strong>bilità che <strong>di</strong>ano consistenza al<br />

profilo del pedagogista dotato <strong>di</strong> un profilo a sé stante. Ma questo è un<br />

<strong>di</strong>scorso troppo grosso per affrontarsi così en passant.<br />

Di <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong> nel merito <strong>di</strong> cui sopra, potrei ― per mio <strong>di</strong>fetto<br />

― aggiungere ben poco <strong>di</strong> fondato e <strong>di</strong> ponzato. Non posso però non rilevare<br />

alcune caratteristiche del volume (anzi permettetemi <strong>di</strong> <strong>di</strong>re del<br />

volumone data la sua giustificata mole) una caratteristica comune ad altre<br />

opere <strong>di</strong> Siciliani de Cumis: il suo contenuto non risulta or<strong>di</strong>nato<br />

progressivamente secondo la consueta progressività tematica, bensì<br />

scrambled, apparentemente scoor<strong>di</strong>nato, come pezzi <strong>di</strong> un puzzle, che il<br />

lettore è indotto a ricomporre per ricavarne una più organica visione<br />

d’insieme, ricavandone così una lettura più partecipata. Già questa è

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