Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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31.05.2013 Views

202 Francesca Rizzo cende di pensiero hanno indiscutibilmente “fatto”, anche per gli effetti che hanno prodotto, la recente storia della filosofia italiana, era ormai il momento. Quanto detto voleva soprattutto richiamare l’attenzione su un volume, la cui pubblicazione (Aracne Editrice, Roma 2005) ricade nell’ambito delle attività di celebrazione del centenario di Antonio Labriola. Queste sono state tante e in sedi diverse, né possono dirsi del tutto concluse, visto che altre ancora se ne annunciano a partire dall’Edizione nazionale della sua Opera omnia. Comunque sia, fra i volumi dell’“anno labrioliano”, come giustamente è stato definito il 2004, quello di cui sto per dire è il primo a vedere la luce. Dal titolo Antonio Labriola e la sua Università; curato da Nicola Siciliani de Cumis, uno fra i più autorevoli interpreti del pensiero di Labriola; edito sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, con l’intervento dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza», della sua Facoltà di Filosofia, dell’Archivio Centrale dello Stato e dell’Archivio di Stato di Roma, si presenta in modo singolare, imponente e ― lo dico senza timore di esagerazione ― magnifico. Magnifica, infatti, è la veste tipografica; imponente la sua estensione (690 pagine); singolare, infine, la sua impostazione, in quanto il volume — il cui sottotitolo recita: Mostra documentaria per i settecento anni della “Sapienza” (1303–2003). A cento anni dalla morte di Antonio Labriola (1904–2004) ― si presenta come un catalogo delle attività culturali, che hanno accomunato, nel quadro delle iniziative intraprese per la celebrazione del settimo secolo di vita della «Sapienza», questa celebrazione con quella labrioliana. Ora, proprio la fusione delle due celebrazioni è l’aspetto originale del volume e pure al tempo stesso il modo più appropriato per entrare nel “pianeta” Labriola. Perché Labriola, che certo in tanti modi si potrebbe definire, essendo stata variegata e instancabile la sua operosità, se lo si volesse definire per l’attività che di più lo coinvolse e che esercitò con infinita passione, lo si dovrebbe dire anzitutto un professore, un professore della sua Università e nella sua Università, sempre che a questo titolo si dia il senso originario e autentico di chi professando l’insegnamento di una disciplina, anzi tutto educa, nella totale consapevolezza della responsabilità civile che il proprio magistero comporta e significa, nella piena coscienza della lezione di libertà, oltre che di sapere, che da quel

Labriola, Croce e Gentile tre maestri della filosofia magistero deve provenire. Si leggano i suoi Scritti pedagogici, o anche soltanto il discorso L’Università e la libertà della scienza tenuto all’Università di Roma il 14 novembre 1896 per l’inaugurazione dell’anno accademico: si avvertirà in esso il respiro di un’azione, il valore di un’opera, nella quale l’Università era sentita e vissuta come «una grande educazione», una maieutica continuativa e perpetua «che deve sopravvivere a molte generazioni». Dire che così sempre, e dunque anche oggi, dovrebbe essere sentito e vissuto l’insegnamento universitario sarebbe, forse, anacronistico o retorico? Non credo. Sarebbe invece il modo di tentare di realizzare un ideale, attraverso la lezione di un filosofo (e di un uomo), che non può e non deve essere ricordato soltanto come il teorico del materialismo storico in Italia. Sicché anche per questo il volume merita attenzione: per non avere, in definitiva, ricordato e celebrato soltanto il politico, ma il Maestro, il Maestro di quella studiorum universitas, che tale non può essere se non è anzi tutto responsabilità di vita e di vite e, insieme, inesauribile passione per la ricerca. 203

<strong>Labriola</strong>, Croce e Gentile tre maestri della filosofia<br />

magistero deve provenire. Si leggano i suoi Scritti pedagogici, o anche soltanto<br />

il <strong>di</strong>scorso L’Università e la libertà della scienza tenuto all’Università<br />

<strong>di</strong> Roma il 14 novembre 1896 per l’inaugurazione dell’anno accademico:<br />

si avvertirà in esso il respiro <strong>di</strong> un’azione, il valore <strong>di</strong> un’opera, nella<br />

quale l’Università era sentita e vissuta come «una grande educazione»,<br />

una maieutica continuativa e perpetua «che deve sopravvivere a molte<br />

generazioni». Dire che così sempre, e dunque anche oggi, dovrebbe essere<br />

sentito e vissuto l’insegnamento universitario sarebbe, forse, anacronistico<br />

o retorico? Non credo. Sarebbe invece il modo <strong>di</strong> tentare <strong>di</strong> realizzare<br />

un ideale, attraverso la lezione <strong>di</strong> un filosofo (e <strong>di</strong> un uomo), che<br />

non può e non deve essere ricordato soltanto come il teorico del materialismo<br />

storico in Italia. Sicché anche per questo il volume merita attenzione:<br />

per non avere, in definitiva, ricordato e celebrato soltanto il politico,<br />

ma il Maestro, il Maestro <strong>di</strong> quella stu<strong>di</strong>orum universitas, che tale non<br />

può essere se non è anzi tutto responsabilità <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> vite e, insieme,<br />

inesauribile passione per la ricerca.<br />

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