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Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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La laurea in filosofia<br />

guono la lettera alla «Tribuna» e la relazione del Cassinate del 1887 per il<br />

primo Congresso dei professori universitari.<br />

La prima e<strong>di</strong>zione del testo risale al 1975 e la seconda rispetto alla<br />

precedente presenta solo qualche aggiunta, mo<strong>di</strong>fica e un aggiornamento<br />

bibliografico. Una scelta che si spiega per la vali<strong>di</strong>tà che ancora hanno<br />

i motivi posti alla base dell’e<strong>di</strong>zione del 1975.<br />

Il testo infatti ricostruisce il complesso intreccio <strong>di</strong> culture post–risorgimentali<br />

che si confrontano sul tema oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione; rappresenta,<br />

pur insistendo sull’importanza del <strong>Labriola</strong>, una ine<strong>di</strong>ta cronaca <strong>di</strong><br />

filosofia italiana nell’arco del ventennio che va dal 1882 al 1902; testimonia<br />

la ricerca dei termini <strong>di</strong> una ricomposizione, per il momento a livello<br />

<strong>di</strong> gruppi <strong>di</strong>rigenti, tra cultura umanistica e scientifica.<br />

Inoltre la tesi <strong>di</strong> <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong>, sebbene si collochi nell’ambito <strong>di</strong><br />

un’università <strong>di</strong> élite, sembra acquistare oggi, a livello <strong>di</strong> massa, un particolare<br />

rilievo anche in considerazione dei mutamenti che attraversano<br />

l’organizzazione del lavoro, in presenza <strong>di</strong> un modo <strong>di</strong> produzione che<br />

richiede in misura crescente, sebbene in un quadro <strong>di</strong> obiettivi prestabiliti<br />

nell’ambito <strong>di</strong> una struttura gerarchica, sapere e creatività, in sostanza<br />

una solida cultura generale, la messa a lavoro <strong>di</strong> un insieme <strong>di</strong> capacità<br />

e competenze non specificatamente specialistiche.<br />

Si va delineando la richiesta <strong>di</strong> quella che Marx, in pagine che <strong>Labriola</strong><br />

stu<strong>di</strong>erà solo successivamente al 1890, chiamava “versatilità”.<br />

L’industria moderna — scrive Marx — non considera e non tratta mai come<br />

definitiva la forma <strong>di</strong> un processo produttivo. Perciò il suo fondamento tecnico<br />

è rivoluzionario, al contrario <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> tutti gli altri processi produttivi del<br />

passato, che era essenzialmente conservatore. Per mezzo delle macchine, dei<br />

processi chimici e <strong>di</strong> altri meto<strong>di</strong> essa rivoluziona costantemente, insieme al<br />

fondamento tecnico della produzione, le funzioni degli operai e le combinazioni<br />

sociali del processo lavorativo. E con uguale costanza essa rivoluziona la <strong>di</strong>visione<br />

del lavoro in seno alla società e ributta in continuazione da un ramo<br />

all’altro della produzione masse <strong>di</strong> capitale e masse <strong>di</strong> operai. La natura della<br />

grande industria comporta <strong>di</strong> conseguenza mutamenti del lavoro, flui<strong>di</strong>tà delle<br />

funzioni, generale mobilità dell’operaio. […], la grande industria con le sue<br />

stesse catastrofi impone come una questione <strong>di</strong> vita o <strong>di</strong> morte la necessità <strong>di</strong><br />

riconoscere il cambiamento dei lavori e quin<strong>di</strong> la più grande versatilità<br />

dell’operaio quale legge sociale universale della produzione, […]. Essa fa sì che<br />

sia una questione <strong>di</strong> vita o <strong>di</strong> morte rimpiazzare l’obbrobriosa, universale popo-<br />

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