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Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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152<br />

Vincenzo Orsomarso<br />

e la concorrenza economica fra le nazioni, e dunque la conquista e la colonizzazione<br />

<strong>di</strong>venta uno strumento in<strong>di</strong>spensabile dello sviluppo storico.<br />

Ma il tema del colonialismo non è questione nuova per il <strong>Labriola</strong>, già<br />

nel 1890 con una lettera al deputato ra<strong>di</strong>cale Alfredo Baccarini, sollecitava<br />

tutti coloro che si erano opposti all’impresa del Mar Rosso, a <strong>di</strong>scutere,<br />

a cose fatte, «del modo <strong>di</strong> or<strong>di</strong>nare la colonia», se non fosse l’occasione,<br />

visto quanto previsto dalla recente legislazione in materia <strong>di</strong> terre coloniali,<br />

<strong>di</strong> «un esperimento <strong>di</strong> socialismo pratico» 71 .<br />

Una provocazione poiché si rivolgeva allo stesso Francesco Crispi invitandolo,<br />

in virtù del suo passato mazziniano orgogliosamente vantato,<br />

a rendere «omaggio, almeno in Africa, al semisocialismo cooperativo <strong>di</strong><br />

Giuseppe Mazzini» 72 .<br />

Ma davanti alle decise obiezioni del Turati, per il quale il socialismo<br />

non era sperimentabile, «esso si fa, non si prova» 73 , <strong>Labriola</strong> precisa <strong>di</strong> non<br />

credere «alla capacità dello Stato borghese <strong>di</strong> risolvere uno solo dei problemi<br />

sociali secondo gli inten<strong>di</strong>menti nostri» 74 ; la proposta aveva una<br />

finalità pedagogica, era necessario porre dei casi concreti come quello<br />

dell’Eritrea,<br />

in cui si vede come nasce la proprietà borghese e come il capitale si impossessa<br />

della terra, ed è flagrante la contrad<strong>di</strong>zione fra lo stato presuntivamente democratico<br />

e l’abuso della pubblica finanza a vantaggio <strong>di</strong> pochi. I nostri operai sono<br />

stati troppo abituati a considerare il problema sociale coi criteri delle vecchie<br />

71 «Teniamo la terra a titolo <strong>di</strong> proprietà <strong>di</strong> stato — scrive <strong>Labriola</strong> —, ed aspettiamo,<br />

stu<strong>di</strong>ando. Si faccia <strong>di</strong> creare un sistema <strong>di</strong> coltivazione, o <strong>di</strong>retta o sussi<strong>di</strong>ata.<br />

Proviamo le forme della partecipazione e della cooperativa» (LABRIOLA, Scritti<br />

filosofici e politici, cit., p. 107).<br />

72 Ivi, p. 109.<br />

73 «L’economia patriarcale», scrive Turati. «quella a schiavi od a servi, il feudalesimo,<br />

il cristianesimo, la rivoluzione francese e il regno della borghesia avvennero<br />

non si sperimentarono. Avvennero alla loro ora, quando essi non potevano non essere,<br />

e quel che prima era non poteva essere più. Forzare l’evoluzione, cancellare un<br />

periodo economico, saltare a piè pari dalla tribù africana al collettivismo sembrami<br />

un sogno» (ivi, p. 111).<br />

74 Ivi, p. 113.

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