Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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122 Stefano Miccolis Si colgono qua e là altri errori e imprecisioni. Di Alfredo Poggi — sostenitore nel ‘900 di un socialismo incardinato sull’etica kantiana — si dice (267–68) che era «allievo» di Labriola, evidentemente perché il filosofo, nel rispondere (31 dicembre 1902) a una sua lettera, lo confondeva con un semiomonimo marchigiano, un decennio prima studente all’Università di Roma (il Poggi, ligure di nascita, studiò e si laureò, in filosofia (1904) e legge (1907), rispettivamente a Palermo e a Genova). Lo scritto pubblicato postumo (1906) da Croce contro il «ritorno a Kant» propugnato da Eduard Zeller, non è del «1862» (424, nota 5, e 442) come pure dice la data autografa del manoscritto, ma del 3 maggio 1863. Lo fece notare molti anni fa Alberto Meschiari, che, traducendo la prolusione di Zeller, Significato e compito della teoria della conoscenza, avvertì che essa era stata tenuta il 22 ottobre 1862; sicché la «risposta» di Labriola non poteva che essere della primavera dell’anno successivo (Zeller 1982). Ritornò sulla questione Aldo Zanardo (1998), in un articolo che indicava fin nel titolo (Labriola contro Zeller: 1863) la data che gli sembrava più «persuasiva». Zanardo, che non conosceva la postilla del Meschiari, aggiunse un altro elemento cronologico: nel suo scritto, Labriola citava la replica alla prolusione di Zeller dell’hegeliano Karl Ludwig Michelet, pubblicata in «Der Gedanke» del dicembre 1862, anzi probabilmente uscito nel gennaio 1863 (sul fascicolo non compare il mese, ma vi si dava notizia di una riunione della Società filosofica di Berlino tenutasi il 27 dicembre 1862). Della rettifica — resa necessaria anche dal fatto che più volte il filosofo, in lettere private dell’età matura, collocava lo scritto nel 1862 — si riferisce, con gli opportuni rinvii bibliografici, in Antonio Labriola, Carteggio. III. 1890–1895, Napoli, Bibliopolis, 2003, 379–80, nota 2. Il destinatario della lettera di Labriola del 5 maggio 1893, non è un improbabile, e in effetti inesistente, «Martinez», ma Ferdinando Martini, allora ministro della pubblica istruzione; che è ovviamente anche l’autore della missiva del 10 aprile 1893 indirizzata al filosofo, sempre attribuita al fantomatico «Martinez» (573–74). La lettera di Labriola al rettore della «Sapienza» (Ernesto Monaci) presentata (619) come «inedita» e datata «12/6/1886», è già stata pubblicata in Epistolario, I, Roma, Editori Riuniti, 1983, 215 (ed è del 12 gennaio 1886). Si omette di dire che non è una lettera autografa: ne esiste copia (firma compresa) di altra mano nella cartella

Antonio Labriola con un mamozio alla «Sapienza» universitaria del filosofo (è riprodotta anche nel 2° volume dei Carteggio, Napoli, Bibliopolis, 2002, 310–11). Le ispezioni, le glosse autografe e le fattezze di Labriola Ci sarebbero molte altre cose da dire su questo impressionante contenitore di materiali disparati, affastellati un po’ alla rinfusa, dentro i quali non è agevole muoversi, anche per l’assenza di un indice dei nomi. Ci limitiamo ad analizzare una questione poco chiara. Ad un certo punto del mamozio si incontra (515) una sezione così intitolata: «La storia alle Elementari. Il punto di vista di Antonio Labriola Ispettore didattico nelle scuole normali (1870–1904)». Lasciamo stare l’incongruenza del titolo, frutto forse di un frettoloso assemblaggio. Una nota in calce avverte: «Elaborato scritto di Simona D’Onofrio, per una laurea triennale in Scienze dell’Educazione e della Formazione» del 2003/04 all’Università di Roma. Ma dopo uno svelto «cappello» giustificativo («il tema della storia è forse il più caratteristico dell’opera di Labriola»), ci si avvede che nelle 25 pagine successive sono riprodotte con note di commento le relazioni fatte da Labriola nelle vesti di ispettore ministeriale a nove scuole normali (gli istituti magistrali della riforma Gentile) nella primavera del 1885. E si tratta precisamente di due articoli apparsi a firma del De Cumis nella rivista «Scuola e città» del giugno 1995 e luglio 1996. Testi riproposti con così assoluta fedeltà, che viene conservata una postilla al secondo articolo, siglata «N.S.d.C.» e indicante gli errori presenti nel primo: errori che, se si eccettua il nome di un docente (corretto per non si sa quale motivo), sono tutti rimasti a scorno del lettore (che non può individuarli, perché le pagine indicate nella postilla sono quelle del periodico). Da una scheda della tesi di laurea, posta in altro luogo del catalogo (604–05), si apprende che essa contiene in appendice «inediti di Labriola come ispettore didattico nelle scuole normali»: ed è un mistero come possano esserlo (inediti) testi pubblicati otto anni prima (tre delle relazioni, per giunta, erano già apparse in una pubblicazione dell’Archivio Centrale dello Stato, L’istruzione normale dalla legge Casati all’età giolittiana, a cura di Carmela Covato e Anna Maria Sorge, Roma, 1994, 157–67). Ma non abbiamo la possibilità di indagare oltre, e ci restringiamo al fattibile. 123

<strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong> con un mamozio alla «<strong>Sapienza»</strong><br />

universitaria del filosofo (è riprodotta anche nel 2° volume dei Carteggio,<br />

Napoli, Bibliopolis, 2002, 310–11).<br />

Le ispezioni, le glosse autografe e le fattezze <strong>di</strong> <strong>Labriola</strong><br />

Ci sarebbero molte altre cose da <strong>di</strong>re su questo impressionante contenitore<br />

<strong>di</strong> materiali <strong>di</strong>sparati, affastellati un po’ alla rinfusa, dentro i quali<br />

non è agevole muoversi, anche per l’assenza <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>ce dei nomi. Ci<br />

limitiamo ad analizzare una questione poco chiara. Ad un certo punto<br />

del mamozio si incontra (515) una sezione così intitolata: <strong>«La</strong> storia alle<br />

Elementari. Il punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong> Ispettore <strong>di</strong>dattico nelle<br />

scuole normali (1870–1904)». Lasciamo stare l’incongruenza del titolo,<br />

frutto forse <strong>di</strong> un frettoloso assemblaggio. Una nota in calce avverte: «Elaborato<br />

scritto <strong>di</strong> Simona D’Onofrio, per una laurea triennale in Scienze<br />

dell’Educazione e della Formazione» del 2003/04 all’Università <strong>di</strong> Roma.<br />

Ma dopo uno svelto «cappello» giustificativo («il tema della storia è forse<br />

il più caratteristico dell’opera <strong>di</strong> <strong>Labriola</strong>»), ci si avvede che nelle 25<br />

pagine successive sono riprodotte con note <strong>di</strong> commento le relazioni fatte<br />

da <strong>Labriola</strong> nelle vesti <strong>di</strong> ispettore ministeriale a nove scuole normali<br />

(gli istituti magistrali della riforma Gentile) nella primavera del 1885. E<br />

si tratta precisamente <strong>di</strong> due articoli apparsi a firma del De Cumis nella<br />

rivista «Scuola e città» del giugno 1995 e luglio 1996. Testi riproposti con<br />

così assoluta fedeltà, che viene conservata una postilla al secondo articolo,<br />

siglata «N.S.d.C.» e in<strong>di</strong>cante gli errori presenti nel primo: errori che,<br />

se si eccettua il nome <strong>di</strong> un docente (corretto per non si sa quale motivo),<br />

sono tutti rimasti a scorno del lettore (che non può in<strong>di</strong>viduarli, perché<br />

le pagine in<strong>di</strong>cate nella postilla sono quelle del perio<strong>di</strong>co). Da una scheda<br />

della tesi <strong>di</strong> laurea, posta in altro luogo del catalogo (604–05), si apprende<br />

che essa contiene in appen<strong>di</strong>ce «ine<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> <strong>Labriola</strong> come ispettore<br />

<strong>di</strong>dattico nelle scuole normali»: ed è un mistero come possano esserlo<br />

(ine<strong>di</strong>ti) testi pubblicati otto anni prima (tre delle relazioni, per giunta,<br />

erano già apparse in una pubblicazione dell’<strong>Archivi</strong>o Centrale dello Stato,<br />

L’istruzione normale dalla legge Casati all’età giolittiana, a cura <strong>di</strong> Carmela<br />

Covato e Anna Maria Sorge, Roma, 1994, 157–67). Ma non abbiamo la<br />

possibilità <strong>di</strong> indagare oltre, e ci restringiamo al fattibile.<br />

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