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Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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<strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong> con un mamozio alla «<strong>Sapienza»</strong><br />

scita <strong>di</strong> un nuovo quoti<strong>di</strong>ano, l’«Unità nazionale», affidato alla <strong>di</strong>rezione<br />

<strong>di</strong> Ruggiero Bonghi);<br />

3) il <strong>Labriola</strong> <strong>di</strong> allora non era affatto un «marxista in fieri» (De Cumis<br />

1981), né si può inferire da questo presunto suo fatale andare verso il<br />

marxismo che si occupasse per ciò stesso <strong>di</strong> «educazione degli operai» e<br />

<strong>di</strong> «Internazionale» dei lavoratori (titoli <strong>di</strong> due articoli del 1871, <strong>di</strong> segno<br />

peraltro conservatore, imprudentemente inseriti dal De Cumis in altrettante<br />

raccolte <strong>di</strong> scritti labrioliani, e che non hanno niente a che fare col<br />

filosofo).<br />

Esiti grotteschi, corrispondenti <strong>di</strong> fantasia<br />

L’utilizzazione <strong>di</strong> testi apocrifi, non solo, come è ovvio, inficia le analisi<br />

che vi fanno acritico assegnamento, ma può talvolta cadere nel ri<strong>di</strong>colo.<br />

<strong>Labriola</strong> collaborò all’appena nata (ottobre 1881) «Cultura» del<br />

Bonghi, ma non oltre il fascicolo del 1° febbraio 1882. Quando al filosofo<br />

furono incautamente attribuite (De Cumis 1987) ben 99 recensioni apparse<br />

nella «Cultura» degli anni 1883–1890, cre<strong>di</strong>amo d’aver <strong>di</strong>mostrato<br />

con sufficiente fondatezza (Miccolis 1988) che nessuna <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong>sparatissime<br />

schede (spesso scritte in modo sciatto e frettoloso) era opera sua.<br />

Una stu<strong>di</strong>osa chiamata a giu<strong>di</strong>care una tesi <strong>di</strong> laurea (come avviene per<br />

altre tesi promosse dalla cattedra <strong>di</strong> pedagogia della «<strong>Sapienza»</strong>)<br />

dell’anno accademico 1989–1990 su <strong>«La</strong> storiografia della Rivoluzione<br />

francese nella formazione <strong>di</strong> <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong>», dà per acquisita la paternità<br />

<strong>di</strong> quegli scritti; e sottolinea come il laureato definisca una molto<br />

breve (e del tutto insignificante) recensione — al libro <strong>di</strong> Licurgo Cappelletti,<br />

Storia popolare e critica della Rivoluzione francese (Foligno, 1886) —<br />

il «primo testo labrioliano in cui compare il termine “Rivoluzione francese”»<br />

(231). E davvero si fatica a comprendere quale emozione possa<br />

aver suscitato nel laureando (sia pur erroneamente indotto a ritenere <strong>di</strong><br />

trovarsi <strong>di</strong> fronte a un testo <strong>di</strong> <strong>Labriola</strong>) la lettura <strong>di</strong> questo incipit, che è<br />

il luogo nel quale compare l’espressione, in un banale contesto denotativo:<br />

«Il sig. Cappelletti adduce a motivo della sua pubblicazione il desiderio<br />

<strong>di</strong> fornire la gioventù italiana <strong>di</strong> un libro <strong>di</strong> lettura, dal quale potesse<br />

ritrarre una conoscenza esatta della Rivoluzione francese, non adombrata<br />

da considerazioni partigiane».<br />

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