Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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31.05.2013 Views

114 Mario Alighiero Manacorda sti già citati, egli non ha conosciuto né i giovanili Manoscritti economico– filosofici del 1844, né la Ideologia tedesca del 1847, pubblicati solo nel 1932, né quel grande abbozzo del Capitale che sono i Grundrisse der politischen Oekonomie, pubblicati solo nel 1939. E sono tutti testi che non solo consentono di capire la genesi del pensiero di Marx, ma anche contengono espressioni pregnanti di stampo umanistico–umanitario contro l’alienazione, per una vita da esseri umani, per una totalità di uomini «onnilaterali», capaci di godere dei «godimenti superiori» della cultura: espressioni rimaste poi un po’ soffocate nel mare magno della sua ricerca economica. Altro che la semplice “economia”, contro la quale quelli che vivono solo di essa, storcono il naso! La sua economia è sempre una “critica” dell’economia degli economisti: in quegli e in altri suoi scritti, fino al Capitale, l’economia, la deplorata, la materialistica economia si configura come l’attività degli uomini associati tra loro per produrre la loro vita materiale e spirituale nella lotta per dominare la natura e umanizzarla. (E sembra anticipata dal Leopardi, quando nella Ginestra parla della natura dicendo: «costei chiama inimica, e contro a lei confederati estima gli uomini tutti»). Ed è tale che, dai primi scritti giovanili fino alle ultime pagine dell’ultimo volume, postumo, del Capitale, lo porta a denunciare lo sfruttamento non solo dell’uomo ma anche della natura, prima a opera soltanto dell’industria capitalistica, e poi anche a opera dell’agricoltura industrializzata. Pagine poco osservate, ma importanti, che coinvolgono nel profondo tutto il rapporto uomo–natura, in una riflessione che comincia fin dai suoi scritti “filosofici” giovanili, anticipando la coscienza ecologica odierna. Marx era un umanista umanitario, diventato economista per forza, perché, avendo scorto nei modi di produzione della vita umana, materiale e spirituale, i presupposti della sua alienazione, in cui il lavoro da «manifestazione di sé» diventa «l’uomo perduto a se stesso», ha voluto vederci chiaro. Ma il suo fine era l’umanizzazione della natura e dell’uomo, cioè di tutti gli uomini: un tema che sarà fortemente ripreso da Gramsci, che parlerà in questo senso di «unificazione culturale del genere umano» 17 . 17 A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, pp. 1048, 1416.

Nel centenario della morte di Antonio Labriola Insomma, il liberale comunista Labriola invita a una rilettura del comunista liberale Marx, anzi, di tutto il marxismo teorico o ideale. Di fronte alla crisi di fine secolo Labriola fece comunque in tempo a deludersi nelle sue speranze sul socialismo; tuttavia, quando, l’8 gennaio 1900, scriveva a Croce: «Il socialismo subisce ora un arresto…», poteva subito aggiungere: «… ciò non fa che confermare il materialismo storico». Certo, un materialismo liberale ed aperto: e, all’inizio del nuovo secolo, anzi del nuovo millennio, mi sia consentito chiudere con queste sue parole, anche se non sappiamo che nome avranno le speranze umane del futuro. 115

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Mario Alighiero Manacorda<br />

sti già citati, egli non ha conosciuto né i giovanili Manoscritti economico–<br />

filosofici del 1844, né la Ideologia tedesca del 1847, pubblicati solo nel 1932,<br />

né quel grande abbozzo del Capitale che sono i Grundrisse der politischen<br />

Oekonomie, pubblicati solo nel 1939. E sono tutti testi che non solo consentono<br />

<strong>di</strong> capire la genesi del pensiero <strong>di</strong> Marx, ma anche contengono<br />

espressioni pregnanti <strong>di</strong> stampo umanistico–umanitario contro l’alienazione,<br />

per una vita da esseri umani, per una totalità <strong>di</strong> uomini «onnilaterali»,<br />

capaci <strong>di</strong> godere dei «go<strong>di</strong>menti superiori» della cultura: espressioni<br />

rimaste poi un po’ soffocate nel mare magno della sua ricerca economica.<br />

Altro che la semplice “economia”, contro la quale quelli che vivono<br />

solo <strong>di</strong> essa, storcono il naso! La sua economia è sempre una “critica”<br />

dell’economia degli economisti: in quegli e in altri suoi scritti, fino al<br />

Capitale, l’economia, la deplorata, la materialistica economia si configura<br />

come l’attività degli uomini associati tra loro per produrre la loro vita<br />

materiale e spirituale nella lotta per dominare la natura e umanizzarla.<br />

(E sembra anticipata dal Leopar<strong>di</strong>, quando nella Ginestra parla della natura<br />

<strong>di</strong>cendo: «costei chiama inimica, e contro a lei confederati estima gli<br />

uomini tutti»). Ed è tale che, dai primi scritti giovanili fino alle ultime<br />

pagine dell’ultimo volume, postumo, del Capitale, lo porta a denunciare<br />

lo sfruttamento non solo dell’uomo ma anche della natura, prima a opera<br />

soltanto dell’industria capitalistica, e poi anche a opera dell’agricoltura<br />

industrializzata. Pagine poco osservate, ma importanti, che coinvolgono<br />

nel profondo tutto il rapporto uomo–natura, in una riflessione che<br />

comincia fin dai suoi scritti “filosofici” giovanili, anticipando la coscienza<br />

ecologica o<strong>di</strong>erna. Marx era un umanista umanitario, <strong>di</strong>ventato economista<br />

per forza, perché, avendo scorto nei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> produzione della<br />

vita umana, materiale e spirituale, i presupposti della sua alienazione, in<br />

cui il lavoro da «manifestazione <strong>di</strong> sé» <strong>di</strong>venta «l’uomo perduto a se<br />

stesso», ha voluto vederci chiaro. Ma il suo fine era l’umanizzazione della<br />

natura e dell’uomo, cioè <strong>di</strong> tutti gli uomini: un tema che sarà fortemente<br />

ripreso da Gramsci, che parlerà in questo senso <strong>di</strong> «unificazione<br />

culturale del genere umano» 17 .<br />

17 A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, ed. critica dell’Istituto Gramsci, a cura <strong>di</strong> V.<br />

Gerratana, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1975, pp. 1048, 1416.

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