Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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110 Mario Alighiero Manacorda luminato politico se ne sia accorto, non a caso confonde i due principi opposti in un unico principio, per trarne sciagurate conseguenze). Ovvio che Labriola avesse bene in mente i termini di questa polemica. Ma la sua idea di libertà d’insegnamento è rafforzata dalle sue nuove convinzioni marxiste: in questa coincidenza di temi liberali e marxisti, non sono soltanto i temi liberali a entrare nel suo marxismo, è anche il suo marxismo a penetrare i temi liberali in un intreccio indissolubile delle due ispirazioni, diverse eppure convergenti. Sarà proprio la sua concezione materialistica a dare alla libertà fondamenti di necessità storica: come quando entra apertamente sul terreno della concezione materialistica della storia: «Non vorrei accampar mai delle astratte definizioni, per poi venir giù deducendo. Qui si tratta di dichiarare un fatto, che è il naturale portato di queste nostre precise e patenti condizioni storiche e sociali… La libertà incondizionata della ricerca e della esposizione scientifica si sviluppa, si mantiene e prospera in tale pubblico istituto, per vie naturali e con modi affatto spontanei…». E la cosa appare evidente quando affronta il tema dello sviluppo storico dell’università dal sistema corporativo, alla tirannide regia o papale, alla prepotenza comunale, fino al secolo decimottavo: «Questa scienza che fa o rinnova di continuo se stessa, è essa stessa effetto ed esponente del gran moto della società moderna. Non è chi non veda, ora, come gli strepitosi progressi delle scienze fisiche sian consentanei alle rivoluzioni dell’industria e della tecnica… L’università, insomma, com’è ora, è essa stessa un risultato e un riflesso della vita sociale». E se questo vale per l’università come istituzione, vale anche per lo specifico lavoro universitario di ricerca e di insegnamento: «Anche questo lavoro è, come tutti gli altri, fondato sulla secolare accumulazione delle energie, e su l’esercizio della cooperazione sociale… Noi siam vissuti dalla storia» 13 . Insomma, il motivo liberale della distinzione tra stato e governo si intreccia coi motivi marxisti della libertà come necessità storica, dell’università come riflesso della vita sociale, del lavoro accademico come risultato di accumulazione e cooperazione, e ne acquista nuove conferme. 13 Ivi, pp. 601–604.

Nel centenario della morte di Antonio Labriola Da ultimo, tra il giugno e l’agosto del 1901, Labriola abbozza il suo quarto saggio marxista, Da un secolo all’altro, di difficile interpretazione anche per le sue dotte e fantasiose digressioni. Ivi, posta la domanda: «Qual è il mezzo per misurare la nostra cultura storica», e risposto che è «la nostra capacità di intendere il presente», che è una ripresa di quanto aveva scritto già nel 1876, suggerendo che «le notizie storiche debbono essere connesse alla rappresentazione delle cose presenti». E nel far questo indaga l’età liberale con attenzione alle sue contraddizioni forse maggiore che nei saggi precedenti, usando il metro del materialismo storico con maggiore cautela sul rischio dello schematismo e dell’utopismo, che dice presente «anche in pensatori di così eccelsa cautela e autocritica come Karl Marx». In questa indagine, richiamandosi alla «invidia degli dèi» dell’antico Ecateo, parla della «invidia tra gli uomini», cioè dello «intrigo» ovvero della concorrenza, come dell’assioma della società capitalistica, caratterizzata da «lotte per la nazionalità, diffusione del principio liberale, concorrenza economica, espansione coloniale, differenza tra paesi industriali e paesi agricoli, crescere dello spirito critico e rinascenza cattolica». Ma questa società subisce inevitabili arresti per il suo derivare dalle precedenti società «corporative, feudali, endemiche o locali, etniche e teocratiche»; e proprio di qui nasce «la ragion d’essere del socialismo, fin d’ora realtà attiva, segnacolo di lotta attuale». Ma eccolo ammonire che, nell’usare i criteri della ricerca sociologica (marxista), occorre liberarsi dagli schemi di chi pensa che «verrà l’associazione, verrà il cooperativismo, poi il collettivismo e, messi gli ismi in fila, il resto fila da sé», e occorre invece richiamarsi «alle impreteribili ragioni empiriche delle rappresentazioni del fatto» 14 . Infine il saggio apre un capitolo su l’Italia, considerata «nel quadro universalistico», con alcune indicazioni sulle aspettazioni deluse del Risorgimento, sulla rivoluzione borghese già attuata al tempo dei comuni, e sulle garanzie del suo porsi come Stato moderno nella gara internazionale 15 . Ma purtroppo lì si arresta. Così Labriola riprendeva Marx per verificare nell’analisi della storia passata e del presente la validità del metodo del materialismo storico. Si tratta, tuttavia, di un Marx che egli ha in parte ignorato, per la buona ra- 14 LABRIOLA, Saggi sul materialismo storico, cit., pp. 343, 82, 366, 346, 351, 367, 368, 369–371. 15 Cfr. ivi, pp. 369–371. 111

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Mario Alighiero Manacorda<br />

luminato politico se ne sia accorto, non a caso confonde i due principi<br />

opposti in un unico principio, per trarne sciagurate conseguenze). Ovvio<br />

che <strong>Labriola</strong> avesse bene in mente i termini <strong>di</strong> questa polemica.<br />

Ma la sua idea <strong>di</strong> libertà d’insegnamento è rafforzata dalle sue nuove<br />

convinzioni marxiste: in questa coincidenza <strong>di</strong> temi liberali e marxisti,<br />

non sono soltanto i temi liberali a entrare nel suo marxismo, è anche il<br />

suo marxismo a penetrare i temi liberali in un intreccio in<strong>di</strong>ssolubile delle<br />

due ispirazioni, <strong>di</strong>verse eppure convergenti. Sarà proprio la sua concezione<br />

materialistica a dare alla libertà fondamenti <strong>di</strong> necessità storica:<br />

come quando entra apertamente sul terreno della concezione materialistica<br />

della storia: «Non vorrei accampar mai delle astratte definizioni,<br />

per poi venir giù deducendo. Qui si tratta <strong>di</strong> <strong>di</strong>chiarare un fatto,<br />

che è il naturale portato <strong>di</strong> queste nostre precise e patenti con<strong>di</strong>zioni storiche<br />

e sociali… La libertà incon<strong>di</strong>zionata della ricerca e della esposizione<br />

scientifica si sviluppa, si mantiene e prospera in tale pubblico istituto,<br />

per vie naturali e con mo<strong>di</strong> affatto spontanei…». E la cosa appare<br />

evidente quando affronta il tema dello sviluppo storico dell’università<br />

dal sistema corporativo, alla tirannide regia o papale, alla prepotenza<br />

comunale, fino al secolo decimottavo: «Questa scienza che fa o rinnova<br />

<strong>di</strong> continuo se stessa, è essa stessa effetto ed esponente del gran moto<br />

della società moderna. Non è chi non veda, ora, come gli strepitosi progressi<br />

delle scienze fisiche sian consentanei alle rivoluzioni dell’industria<br />

e della tecnica… L’università, insomma, com’è ora, è essa stessa un<br />

risultato e un riflesso della vita sociale». E se questo vale per l’università<br />

come istituzione, vale anche per lo specifico lavoro universitario <strong>di</strong> ricerca<br />

e <strong>di</strong> insegnamento: «Anche questo lavoro è, come tutti gli altri, fondato<br />

sulla secolare accumulazione delle energie, e su l’esercizio della cooperazione<br />

sociale… Noi siam vissuti dalla storia» 13 . Insomma, il motivo<br />

liberale della <strong>di</strong>stinzione tra stato e governo si intreccia coi motivi<br />

marxisti della libertà come necessità storica, dell’università come riflesso<br />

della vita sociale, del lavoro accademico come risultato <strong>di</strong> accumulazione<br />

e cooperazione, e ne acquista nuove conferme.<br />

13 Ivi, pp. 601–604.

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