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Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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Nel centenario della morte <strong>di</strong> <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong><br />

si confini della sicura intuizione, della logica combinazione e della razionale<br />

deduzione». E spiegando che teorie, sistemi e tendenze scientifiche<br />

ammettono solo giu<strong>di</strong>zi (o pre<strong>di</strong>cati) «come completo e incompleto,<br />

o acquisito e dubitabile, e si rifutano <strong>di</strong> accoglierne alcuno, che in nome<br />

<strong>di</strong> qualsiasi presunzione <strong>di</strong> potere politico o ecclesiastico, designi i prodotti<br />

del pensiero come proibiti o leciti, come riconosciuti o tollerati,<br />

come facoltativi o vi<strong>di</strong>mati». E sono principi sicuramente liberali nel<br />

profondo (e, come vedremo, altrettanto nel profondo, marxisti). E, dopo<br />

aver spiegato che le attribuzioni del governo, cui compete una funzione<br />

puramente amministrativa, non s’identificano con le funzioni dello Stato,<br />

commenta: «Per qualunque metodo e con qualunque proce<strong>di</strong>mento<br />

codesta giuris<strong>di</strong>zione si esplichi, essa non può né dee mai trascendere<br />

alla definizione del lecito o dell’illecito in fatto <strong>di</strong> dottrine». Un’idea che<br />

non a caso egli convalida richiamandosi a una necessità obiettiva, evidentemente<br />

suggerita dal materialismo storico: «Così <strong>di</strong>cendo… espongo<br />

un dato <strong>di</strong> fatto, che è nella necessità delle cose stesse»; e, mentre afferma<br />

che «Lo stato che definisce una scienza è già una chiesa» 11 , cosa<br />

che, <strong>di</strong>ce, porterebbe a rifare l’in<strong>di</strong>ce dei libri proibiti, e, pur considerandolo<br />

«garante delle antitesi sociali» e perciò «arena <strong>di</strong> una incessante<br />

guerra civile», gli riconosce, al <strong>di</strong> fuori da ogni schematismo, anche<br />

compiti <strong>di</strong> interesse comune, cioè <strong>di</strong> libertà: «Per quanto lo stato sia<br />

l’organo <strong>di</strong>retto <strong>di</strong> determinati interessi <strong>di</strong> classe, non può esistere se<br />

non a con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> creare certi servizi, che per <strong>di</strong>retto o per in<strong>di</strong>retto<br />

riescano a vantaggio <strong>di</strong> tutti» 12 .<br />

Su questi temi ci si richiamava allora, non senza le ovvie confusioni<br />

su cui sorvolo, a due principi opposti: da parte dei clericali alla «libertà<br />

della scuola» come libertà <strong>di</strong> esistere per una scuola anche dogmatica, e<br />

da parte dei liberali alla «libertà d’insegnamento» come modo d’essere<br />

della scuola statale, che Leone XIII, nella enciclica Libertas del 1888, condannava<br />

come «del tutto contraria alla natura e fatta per pervertire totalmente<br />

le intelligenze». (Una questione sulla quale si è troppo equivocato<br />

in seguito: ricorderò che è stata stolidamente falsata nell’infausto<br />

Concordato italiano del 1984, che, all’art. 9,1, senza che nessun nostro il-<br />

11 Ivi, pp. 606–609.<br />

12 LABRIOLA, Del materialismo storico, cit., p. 112 e LABRIOLA, Scritti pedagogici, cit.,<br />

p. 605.<br />

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