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Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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Mario Alighiero Manacorda<br />

rico per via della sottostante struttura», suggerendo che i vari aspetti<br />

della vita culturale «suppongono questa o quella forma <strong>di</strong> produzione e<br />

<strong>di</strong>stribuzione dei mezzi imme<strong>di</strong>ati della vita», per concludere in concreto<br />

che «questa società, come ha prodotto nel socialismo la sua negazione<br />

positiva, così ha generato nella nuova dottrina storica la sua negazione<br />

ideale». Certo, si potrà <strong>di</strong>re che non manca qualche eccesso <strong>di</strong> semplificazione<br />

in questa sua enunciazione e assunzione del canone fondamentale<br />

del materialismo storico; ma in realtà, nella sua polemica contro i<br />

semplificatori del marxismo, richiama sempre all’attenzione a tutti gli<br />

aspetti culturali o ideologici del viver civile: anzi, è questo l’altro car<strong>di</strong>ne<br />

<strong>di</strong> tutta la sua riflessione. Mentre enuncia sinteticamente: «Non c’è fatto<br />

della storia che non ripeta la sua origine dalle con<strong>di</strong>zioni della sottostante<br />

struttura economica…», fa seguire una forte valorizzazione <strong>di</strong> tutti<br />

quei fatti o aspetti: «…non c’è fatto della storia che non sia preceduto,<br />

accompagnato e seguito da determinate forme <strong>di</strong> coscienza». Una asserzione<br />

che lascia aperta al suo marxismo la considerazione <strong>di</strong> tutto il<br />

mondo della fantasia e delle ideologie, che, <strong>di</strong>ceva, «non sono da considerare<br />

come gratuite invenzioni… non sono pura parvenza».<br />

Può sembrare poco: tuttavia sono criteri correttamente assunti dagli<br />

scritti <strong>di</strong> Marx, il quale anche, occorre <strong>di</strong>rlo, più che ad approfon<strong>di</strong>rli in<br />

sede filosofica si adoperò a metterli in pratica nei suoi scritti <strong>di</strong> storia e<br />

nella sua stessa grande opera <strong>di</strong> “critica” <strong>di</strong> quella scienza nuova della<br />

borghesia che fu “l’economia politica” <strong>di</strong> Smith e Ricardo. I suoi maggiori<br />

approfon<strong>di</strong>menti teorici, sono infatti soprattutto nei primi capitoli<br />

della Ideologia tedesca, scritta in collaborazione con Engels nel 1847 e poi<br />

«abbandonata alla critica ro<strong>di</strong>trice dei topi» (pubblicata postuma solo<br />

nel 1932), e poi nella famosa Introduzione del 1857 alla Critica dell’economia<br />

politica, cioè al primo abbozzo del Capitale: dove comunque se ne<br />

ha un’elaborazione più approfon<strong>di</strong>ta, anche se non priva <strong>di</strong> qualche incongruente<br />

sfumatura. Del resto, come <strong>di</strong>cevano con Engels, «la prova<br />

del pud<strong>di</strong>ng si ha mangiandolo», cioè una teoria si verifica nella concreta<br />

ricerca storica.<br />

A questo suo marxismo, insieme rigoroso ed aperto, c’è semmai da<br />

rimproverare un, <strong>di</strong>rei inevitabile, margine <strong>di</strong> utopismo, come quando<br />

afferma che «questa società… produce <strong>di</strong> contraccolpo la concezione<br />

materialistica», e che, «sparite le classi verrà meno la possibilità dello

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