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Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano

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comunque numero<strong>si</strong>, ma anche vecchi ormai sull’orlo dell’abisso, per non parlare di<br />

quelli di mezza età e mezza tacca, alla ricerca di un minimo divertimento e di una<br />

qualificazione socia<strong>le</strong>. La diffu<strong>si</strong>one era quella di una benefica influenza stagiona<strong>le</strong>.<br />

Inutilmente <strong>le</strong> severe paro<strong>le</strong> di Paolo Mauri venivano riprese dagli zelatori della<br />

purezza einaudiana violata, <strong>Anche</strong> <strong>le</strong> <strong>formiche</strong> <strong>nel</strong> <strong>loro</strong> <strong>piccolo</strong> s’<strong>incazzano</strong> aveva<br />

spiccato il volo e non rivelava alcuna intenzione di fermar<strong>si</strong>.<br />

Che Gino & Miche<strong>le</strong> avessero qualche ragione <strong>nel</strong>la <strong>loro</strong> prefazione intitolata «Un<br />

gioco» a sostenere: «Sottilis<strong>si</strong>mo è il filo che separa una buona battuta da una<br />

tremenda stronzata. E così sotti<strong>le</strong> che spesso, suo malgrado, il tempo <strong>si</strong> trova a essere<br />

giustiziere. Il tempo che ha rivalutato Totò. Lo stesso che seppellirà i troppi spirito<strong>si</strong><br />

di turno, assurti agli onori della comicità perché la gente oggi deve ridere, costi quel<br />

che costi. Eppure, in questa confu<strong>si</strong>one d’abbondanza, c’è ancora qualcuno che il<br />

comico - inteso come genere drammaturgico-<strong>le</strong>tterario - lo prende sul serio. Scrittori<br />

di una <strong>le</strong>tteratura da sempre sottovalutata; registi di un cinema con<strong>si</strong>derato - spesso<br />

anche a ragione - di serie B; disegnatori satirici e vignettisti salvati<strong>si</strong> non <strong>si</strong> sa come<br />

dal vignettarismo dilagante; comici e autori te<strong>le</strong>vi<strong>si</strong>vi che hanno intuito che la<br />

te<strong>le</strong>vi<strong>si</strong>one è un mezzo e non un fine (e anche quando fosse un fine bisognerebbe<br />

mantenere lucidità per conoscerne i limiti). Questa gente che non ha mai certezze -<br />

sottilis<strong>si</strong>mo è il filo... - ma molta curio<strong>si</strong>tà della vita può dar<strong>si</strong> che non morirà. E con<br />

<strong>le</strong>i non morirà la battuta migliore di ognuno. <strong>Anche</strong> per ciò è nato questo libro: è un<br />

omaggio di<strong>si</strong>nteressato a chi, tra i protagonisti di questo genere, ha avuto una<br />

folgorazione in tram o ha costruito a tavolino (e<strong>si</strong>stono del<strong>le</strong> rego<strong>le</strong> qua<strong>si</strong><br />

matematiche anche in questo campo); a chi sa ancora misurar<strong>si</strong> con un pubblico vero<br />

che ride (o non ride) davvero; a chi scrive senza vergognar<strong>si</strong> di scrivere; a chi sa<br />

<strong>le</strong>ggere e ascoltare senza vergognar<strong>si</strong> di ridere - quando c’è da ridere...»?<br />

Nella quarta di copertina del <strong>loro</strong> terzo libro, Faceva un caldo torrenzia<strong>le</strong><br />

(Mondadori, 1986) Gino Vignali, quello con la barba e i baffi, e Miche<strong>le</strong> Mozzati,<br />

quello con solo i baffi, ma più folti, <strong>si</strong> erano dichiarati «comici milane<strong>si</strong>». In<br />

occa<strong>si</strong>one del quarto libro precisarono ulteriormente: «Siamo degli umoristi e non<br />

degli studio<strong>si</strong> del comico. E proprio perché lavoriamo con i comici e per i comici ci<br />

<strong>si</strong>amo lasciati trascinare dall’istinto. Con Matteo Molinari, cultore del cinema comico<br />

e della tv “<strong>le</strong>ggera”, oltre che giovane autore te<strong>le</strong>vi<strong>si</strong>vo, abbiamo scelto la strada più<br />

breve, ma anche la più <strong>si</strong>ncera. Molte del<strong>le</strong> battute qui trascritte sono state <strong>le</strong>tte,<br />

ri<strong>le</strong>tte, votate allo “Zelig”, cabaret milanese di cui ci divertiamo a curare la<br />

programmazione. Una di esse (la n.1) è stata votata da cento comici e dal pubblico<br />

come la “battuta del secolo”. Ma era un gioco, come vuo<strong>le</strong> essere un gioco<br />

(ovviamente <strong>nel</strong>la sua accezione più “seria”) questa stessa operazione editoria<strong>le</strong>.<br />

Tanto che <strong>le</strong> royalties di questo volumetto andranno a una fondazione dell’hinterland<br />

milanese che <strong>si</strong> sta battendo per l’integrazione di un gruppo di extracomunitari.<br />

Chissà se continuando a giocare riusciremo a restare almeno un po’ bambini, come<br />

bambini sono rimasti i comici senza i quali questo libro non e<strong>si</strong>sterebbe...»<br />

La battuta n.1, come il <strong>le</strong>ttore può subito constatare, era di un pubblicitario, ta<strong>le</strong><br />

Walter Fontana: «Era un bambino presuntuoso e saccente. Quando la maestra di<br />

prima e<strong>le</strong>mentare gli chiese: “Ma tu credi in Dio?”, lui rispose: “Be’, credere è una<br />

parola grossa. Diciamo che lo stimo”...». Se doves<strong>si</strong> definirli io, non li definirei

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