estratto antologia.pdf - ICS Quasimodo Oberdan
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Si carica sulle spalle i fantocci dei suoi bambini. Poi invita la moglie a danzare. Su un tema da festa di provincia si scatena in una danza appassionata insieme al fantoccio di Antonietta. D'improvviso si arresta. Ha il fiatone, ma è felice. - Antonietta, la domenica ci sono tante cose che ti passano nel cervello. Che passa mezzogiorno, passa il pomeriggio, la sera e ti pare di passare gli anni. Se piove poi! E pure quando non piove. A ogni tempo. Ma qui il tempo è proprio germanese e quando ci piglia in un modo, non la finisce più. Agghiorna scuro e finisce nero. Anche il cielo qui si è un poco incallito! (Ride). Luigi termina la sua danza e crolla in ginocchio. Si solleva faticosamente. In silenzio sistema i tre fantocci in un angolo della scena. Si allontana da loro e si siede per terra. Piano, da lontano, il cigolio di una sedia e una voce di donna”. (da Luigi che sempre ti penza. Piccole cronache di un emigrante (in sette moviemnti). Palermo, 2011, pp.28-31) IL COMMENTO di Gabriele Riggio, Silvio Benanti, Michele Marchese, Daiana Billeci (classe 2h) Abbiamo scelto questo brano perché è allo stesso tempo comico e commovente. Infatti, alcune parti fanno sorridere, altre fanno emozionare e riflettere: è divertente la scena in cui Luigi parla con un fotografo immaginario e si fa scattare alcune foto; invece la parte commovente è quando Luigi dialoga con la moglie/manichino e la rassicura. In questa scena vengono evidenziati i sentimenti principali del libro: amore,speranza e malinconia. Inoltre, il modo di scrivere dell’autore, tipico di un testo teatrale (con molte pause, le indicazioni in corsivo sulle espressioni del personaggio, molti dialoghi diretti), aiuta ancora di più nell’immaginare questa scena surreale fin nei minimi dettagli. 26
Intervista all’autore 1. A cosa si è ispirato per scrivere questo libro? “Luigi che sempre ti penza” è ispirato a diverse storie. In primo luogo alla lettura di un gruppo di lettere di alcuni emigranti, della fine degli anni ’60 e dei primi anni ’70, riportate da Antonio Castelli nell’opera “Entromondo”. In secondo luogo sono state fondamentali per la stesura del mio testo le chiacchierate fatte con alcuni nostri conterranei che sono emigrati in quegli anni in Germania. Ho raccolto i loro ricordi, le loro impressioni di quell’esperienza, i loro sogni e le loro preoccupazioni. 2. Qual è il messaggio che vuole comunicare? “Fondamentale per me è stato riconoscere nella figura dell’emigrante non solo i temi della fatica, del distacco dalla propria terra di origine, ma anche quelli dell’avventura, del cambiamento interiore che scaturisce dal contatto con altri mondi, altre culture. Luigi nella mia opera, infatti, matura pian piano un nuovo sguardo sul mondo e sulla sua stessa terra di origine. In Germania apprende per la prima volta, ad esempio, i diritti e le regole del mondo del lavoro, organizzato secondo principi moderni. Scopre che i lavoratori hanno dei diritti. Diritti sconosciuti in tante realtà della Sicilia di quegli anni, dove il lavoro troppo spesso si basava su uno sfruttamento quasi feudale e sulla pratica della clientela politica o della protezione mafiosa. Inoltre mi premeva mostrare come la figura del migrante sia spesso sottoposta ad una sorta di privazione, di negazione dell’identita a causa della diffidenza e della paura che lo straniero suscita nella società. Avrete certamente notato quante volte nel mio testo Luigi ripeta ossessivamente il suo nome. Ha paura che gli altri, i tedeschi, non lo riconoscano. Soffre quando avverte che non è rispettata la sua identità di uomo, con un nome e cognome, una storia, una dignità. Questo stessa violenza noi italiani tante volte la esprimiamo nei confronti dei migranti che vengono a cercare lavoro da noi. Li chiamiamo indistintamente “extracomunitari” o “marocchini” come se fossero tutti uguali, una specie di popolo subumano che non ha diritto a un nome e cognome. 27
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Intervista all’autore<br />
1. A cosa si è ispirato per scrivere questo libro?<br />
“Luigi che sempre ti penza” è ispirato a diverse storie. In primo luogo alla<br />
lettura di un gruppo di lettere di alcuni emigranti, della fine degli anni ’60 e<br />
dei primi anni ’70, riportate da Antonio Castelli nell’opera “Entromondo”.<br />
In secondo luogo sono state fondamentali per la stesura del mio testo le<br />
chiacchierate fatte con alcuni nostri conterranei che sono emigrati in quegli<br />
anni in Germania. Ho raccolto i loro ricordi, le loro impressioni di<br />
quell’esperienza, i loro sogni e le loro preoccupazioni.<br />
2. Qual è il messaggio che vuole comunicare?<br />
“Fondamentale per me è stato riconoscere nella figura dell’emigrante non<br />
solo i temi della fatica, del distacco dalla propria terra di origine, ma anche<br />
quelli dell’avventura, del cambiamento interiore che scaturisce dal contatto<br />
con altri mondi, altre culture. Luigi nella mia opera, infatti, matura pian<br />
piano un nuovo sguardo sul mondo e sulla sua stessa terra di origine. In<br />
Germania apprende per la prima volta, ad esempio, i diritti e le regole del<br />
mondo del lavoro, organizzato secondo principi moderni. Scopre che i<br />
lavoratori hanno dei diritti. Diritti sconosciuti in tante realtà della Sicilia di<br />
quegli anni, dove il lavoro troppo spesso si basava su uno sfruttamento<br />
quasi feudale e sulla pratica della clientela politica o della protezione<br />
mafiosa.<br />
Inoltre mi premeva mostrare come la figura del migrante sia spesso<br />
sottoposta ad una sorta di privazione, di negazione dell’identita a causa<br />
della diffidenza e della paura che lo straniero suscita nella società. Avrete<br />
certamente notato quante volte nel mio testo Luigi ripeta ossessivamente il<br />
suo nome. Ha paura che gli altri, i tedeschi, non lo riconoscano. Soffre<br />
quando avverte che non è rispettata la sua identità di uomo, con un nome<br />
e cognome, una storia, una dignità. Questo stessa violenza noi italiani tante<br />
volte la esprimiamo nei confronti dei migranti che vengono a cercare<br />
lavoro da noi. Li chiamiamo indistintamente “extracomunitari” o<br />
“marocchini” come se fossero tutti uguali, una specie di popolo subumano<br />
che non ha diritto a un nome e cognome.<br />
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