Ambiente e Sicurezza..

Articoli 

SOMMARIO 

Approfondimenti 

● Progettazione e utilizzo in sicurezza con le norme UNI, ISO e BS 

di Marco Vigone ................................................................................................................................ p. II 

● Per la sicurezza ad “alta quota” analisi dei rischi e una lista di controllo 

di Claudio Conio................................................................................................................................ p. IV 

● Il Protocollo di Kyoto: da vincolo a opportunità di sviluppo economico sostenibile 

di Corrado Clini e Alessandro Ortis................................................................................................ p. 16 

● Emissioni e meccanismi di mercato: quali prospettive e ricadute per l’Italia? 

di Corrado Clini.................................................................................................................................. p. 19 

● Carbonio, consumi, clima e sviluppo le parole chiave del Cop9 di Milano 

di Jacopo Giliberto ............................................................................................................................ p. 25 

● Rilevatori di fumo e di calore: il MinInterno conferma le certificazioni necessarie 

di Stefano Marsella........................................................................................................................... p. 30 

● Direttiva Atex: senza conformità alla regola dell’arte 

il committente può recedere dal contratto 

di Giulio Benedetti............................................................................................................................. p. 32 

● Incentivi fiscali e sicurezza: molte aziende sono a rischio di revoca 

di Mario Gallo..................................................................................................................................... p. 37 

● Le domande più frequenti sulla sicurezza nelle scuole 

di Monica Calzavarini ....................................................................................................................... p. 46 

● Bandito il creosoto, diffuso biocida per la conservazione 

e il trattamento del legno 

di Gianandrea Gino........................................................................................................................... p. 51 

● Il contenuto del PSC in punto di valutazione dei rischi 

di Pierguido Soprani ......................................................................................................................... p. 56 

● Novità per i servizi pubblici locali dal decreto-legge n. 269/2003 

di Mara Chilosi................................................................................................................................... p. 72 

● Con il maxi-decreto, abusi edilizi sanati senza la previsione di procedure di VIA 

di Elisabetta Mariotti ......................................................................................................................... p. 82 

● Trattamento dei veicoli fuori uso e responsabilità penali 

di Cesare Parodi ............................................................................................................................... p. 94 

Legislazione 

In sintesi 

INSERTO ........................................................................................................................................................ p. 10 

SPECIALE ..................................................................................................................................................... p. 10 

IGIENE E SICUREZZA ................................................................................................................................... p. 10 

AMBIENTE ..................................................................................................................................................... p. 12 

● Dal MinIstruzione 460 mln di euro per l’adeguamento delle scuole 

Decreto del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca 30 ottobre 2003 ........... p. 41 

● Movimenti transfrontalieri OGM 

Regolamento (CE) del Parlamento europeo 

e del Consiglio del 15 luglio 2003, n. 1946/2003......................................................................... p. 54 

4 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 9 dicembre 2003 - N. 22

● Sicurezza delle navi e condizioni di lavoro a bordo 

Decreto del Ministero Infrastrutture e dei Trasporti 13 ottobre 2003, n. 305 .......................... p. 54 

● Lotta all’effetto serra. Contributi e finanziamenti 

Decreto del Ministero dell’Ambiente e Tutela del territorio 31 luglio 2003 .............................. p. 92 

● Aree naturali protette 

Decreto del Ministero dell’Ambiente e Tutela del territorio 17 luglio 2003 .............................. p. 93 

Prassi 

● Rilevatori di fumo e di calore: il MinInterno conferma le certificazioni necessarie 

Lettera - Circolare del Dipartimento dei Vigili del fuoco - 

Direzione centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica 

9 ottobre 2003, Prot. n. P1172 / 4101 sott. 72/C1 (17)............................................................... p. 31 

● Norme UNI e CEI luglio-ottobre 2003 

Norme UNI e CEI edite nei mesi da luglio a ottobre 2003 ......................................................... p. 62 

● Regolatori per il gas e l’elettricità 

Decisione della Commissione 11 novembre 2003, n. 2003/796/CE ........................................ p. 92 

● Sistemi di gestione ambientale. Contributi e finanziamenti. 

Circolare del Ministero delle Attività produttive 7 ottobre 2003, n. 946364 ............................. p. 93 

Giurisprudenza 

● Diligenza dell’imprenditore per le reali mansioni e responsabilità 

Cassazione, sez. lav., 17 ottobre 2003, n. 15598 ....................................................................... p. 59 

● Al lavoratore l’onere di provare l’esistenza del danno 


● Controlli nelle imprese di trasporto: l’Ispettorato può sanzionare 


● Tutela delle acque dall’inquinamento 

Cassazione civile, sez. I, 25 settembre 2003, n. 14256 ............................................................. p. 98 

Ambiente&Sicurezza continua on-line 

● Sicurezza e ambiente: in Gazzetta Ufficiale la Comunitaria 2003 

Legge 31 ottobre 2003, n. 306 

SOMMARIO 

● Acqua: le nuove misure per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell’inquinamento 

e le condizioni di vita e di lavoro a bordo 

Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 13 ottobre 2003, n. 305 

● Aria: i nuovi fondi ministeriali per la rottamazione dei vecchi autobus 

Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 27 agosto 2003 

● Energia: al via la dismissione delle centrali nucleari 

Ordinanza del Commissario delegato per la sicurezza dei materiali nucleari 10 novembre 

2003, n. 13/2003 

● Rifiuti: le misure urgenti per lo stoccaggio in sicurezza delle scorie radioattive 

Decreto-legge 14 novembre 2003, n. 314 

● VIA: le novità per le infrastrutture di comunicazione elettronica 

Decreto legge 14 novembre 2003, n. 315 

9 dicembre 2003 - N. 22 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 5

SOMMARIO 

www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 

Direttore responsabile: FRANCESCO DEMURO 

Coordinatore editoriale: Massimo Cassani 

Redazione: Dario De Andrea (02/30223270), Donatella Bollani 

(02/30223272) 

Proprietario ed editore: IL SOLE 24 ORE S.p.A. 

Presidente: GUIDALBERTO GUIDI 

Vicepresidente Operativo: GIANCARLO CERUTTI 

Amministratore Delegato: GIUSEPPE CERBONE 

Registrazione Tribunale di Milano n. 749 del 9 novembre 1998. 

Sede legale: Via Paolo Lomazzo 52 - 20154 Milano. 

Amministrazione: Via Castellanza 11 - 20151 Milano. 

Direzione, redazione: Via Castellanza, 11 - 20151 Milano - 

Fax 02/30223992. 

IL SOLE 24 ORE S.p.A. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna 

parte di questo periodico può essere riprodotta con mezzi 

grafici e meccanici quali la fotoriproduzione e la registrazione. 

Manoscritti e fotografie su qualsiasi supporto veicolati, anche 

se non pubblicati, non si restituiscono. 

Servizio clienti periodici: IL SOLE 24 ORE S.p.A. Via Tiburtina 

Valeria (S.S. n. 5) km 68,700 - 67061 Carsoli (AQ). 

Tel. 3022 5680 (prefisso 02 oppure 06) 

Fax 3022 5400 (prefisso 02 oppure 06) 

I numeri non pervenuti potranno essere richiesti via fax al n. 

02-06/30225402-06 o via e-mail a servizioclienti.periodici@ilsole24ore.com 

entro 2 mesi dall’uscita del numero stesso. 

Abbonamento per 12 mesi (Italia): 139 € 

Gli abbonamenti possono essere sottoscritti telefonando direttamente 

e inviando una fotocopia della ricevuta di pagamento 

sul c.c.p. n. 31481203. 

La ricevuta di pagamento tramite c.c.p. può essere inviata 

anche via fax ai numeri 06/30225406 - 02/30225406 oppure 

per posta a Il Sole 24 ORE, Via Tiburtina Valeria Km 68,700 - 

67061 Carsoli (AQ). 

Pubblicità: Il Sole 24 ORE S.p.A. - SYSTEM - Sede legale: 

20154 Milano, Via P. Lomazzo, 52 - Direzione e amministrazione: 

20151 Milano, Via Castellanza, 11 - Ufficio pubblicità: 

20151 Milano - Via Busto Arsizio, 36 Segreteria Tel. 02. 

3022.3852. 

Tariffa pubblicità: Seconda di copertina 5.480,00 € + Iva, 

terza di copertina 4.380,00 € + Iva, quarta di copertina 

6.570,00 € + Iva, quartino centrale 11.370,00 € + Iva. Per 

informazioni: (02) 3022.3770 - 3838 

Stampa: IL SOLE 24 ORE S.p.A. - Via Tiburtina Valeria (S.S. 

n. 5) km 68,700 - 67061 Carsoli (AQ). 


3 

DICEMBRE 

31 

DICEMBRE 

SCARICHI NEL SUOLO: TERMINE DI CONVOGLIAMENTO 

Al di fuori delle ipotesi tassative per le quali è consentito, previa autorizzazione, 

mantenere uno scarico di acque reflue nel suolo (ipotesi di cui all’art. 29, comma 1, 

D.Lgs. n. 152/1999), gli scarichi nel suolo “esistenti” alla data di entrata in vigore 

del D.Lgs. n. 152/1999 devono essere convogliati, entro oggi, in corpi idrici superficiali, 

in reti fognarie ovvero destinati al riutilizzo conformemente alla normativa 

tecnica all’uopo emanata (D.M. 12 giugno 2003, n. 185). In caso di mancata 

ottemperanza l’autorizzazione allo scarico si considererà a tutti gli effetti revocata. 

(Art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 152/1999, come in ultimo modificato dall’art. 25, 

comma 1, legge 31 luglio 2002, n. 179) 

SOGGETTO 

Titolari degli scarichi nel suolo esi- 

PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA 

stenti alla data di entrata in vigore 

del D.Lgs. n. 152/1999 (13 giugno 

1999) 

- - 

RELAZIONE ANNUALE DEL RIUTILIZZO DELLE ACQUE REFLUE 

Scade il termine entro il quale il titolare della rete di distribuzione di acque reflue 

recuperate, se esistente, deve trasmettere alla Regione territorialmente competente i 

risultati del monitoraggio effettuato ai fini della verifica dei parametri chimici e 

microbiologici delle acque reflue recuperate che vengono distribuite e degli effetti 

ambientali, agronomici e pedologici del loro riutilizzo. (Art. 11, D.M. 12 giugno 2003, 

n. 185) 

SOGGETTO PERIODICITÀ PROSSIMA SCADENZA 

Titolari della rete di distribuzione 

di acque reflue 

Annuale 31 dicembre 2004 

SOGGETTI CON SCARICHI NEI COMUNI DI VENEZIA E CHIOGGIA NON SERVITI 

DA PUBBLICA FOGNATURA: COMPLETAMENTO OPERE DI ADEGUAMENTO 

Scade il termine per completare le opere di adeguamento degli scarichi da parte delle 

aziende artigiane produttive ex art. 10, comma 3, D.L. n. 16/1990 convertito in legge n. 

71/1990, le aziende industriali, gli stabilimenti ospedalieri, gli enti assistenziali, le 

aziende turistiche, ricettive e della ristorazione, i mercati all’ingrosso e al minuto, gli 

impianti sportivi non serviti da pubblica fognatura e situati nei comuni di Venezia e 

Chioggia, già in regola con l’ultimo termine per la presentazione al comune di 

appartenenza del Piano di adeguamento degli scarichi (termine a sua volta scaduto il 

30 aprile 2003) ovvero che abbiano iniziato la propria attività dopo l’entrata in vigore 

dell’art. 13-bis della legge n. 284/2002, «Conversione in legge, con modificazioni, del 

decreto legge 25 ottobre 2002, n. 236, recante disposizioni urgenti in materia di 

termini legislativi in scadenza». (Art. 10, comma 5, D.L. 5 febbraio 1990, n. 16, 

convertito con modificazioni in legge 5 aprile 1990, n. 71, e modificato, in ultimo, 

dall’art. 13-bis della legge n. 284/2002) 


Soggetti esistenti alla data di 

entrata in vigore della disposizione 

indicata e che abbiano 

presentato ai comuni di appartenenza, 

entro il 30 aprile 

2003, il Piano di adeguamento 

degli scarichi; i soggetti sopra 

indicati e che iniziano l’attività 

dopo l’entrata in vigore della 

disposizione indicata. 

RUBRICA 

OBBLIGHI, ADEMPIMENTI, SCADENZE 

a cura di Marco Fabrizio, avvocato in Roma 

SCADENZARIO 

- - 


SCADENZARIO RUBRICA 

31 

DICEMBRE 

DEPOSITI DI GPL IN SERBATOI FISSI, DI CAPACITÀ COMPLESSIVA SUPERIORE A 5 M 3 

E/O IN RECIPIENTI MOBILI DI CAPACITÀ COMPLESSIVA SUPERIORE A 5.000 KG: 

ADEGUAMENTO ALLA REGOLA TECNICA DI PREVENZIONE INCENDI 

Scade il termine, già prorogato, per la realizzazione delle opere di adeguamento alla regola 

tecnica di prevenzione incendi di cui al par. 15.2.1, titolo XV, dell’allegato al D.M. 13 ottobre 1994, 

per i depositi di GPL in serbatoi fissi, di capacità complessiva superiore a 5 m 3 e/o in recipienti mobili 

di capacità complessiva superiore a 5.000 kg. (Decreto del Ministero dell’Interno 16 ottobre 2002) 


Esercenti depositi di GPL in serbatoi 

fissi, di capacità complessiva 

superiore a 5 m 3 e/o in recipienti 

mobili di capacità complessiva superiore 

a 5.000 kg. 

- - 

QUALITÀ PER LE ACQUE DI BALNEAZIONE: DISCIPLINA DEROGATORIA 

RELATIVA AL PARAMETRO “OSSIGENO DISCIOLTO” 

Scade il termine, già prorogato, per l’applicazione della disciplina prevista dal D.L. n. 109/1993, 

convertito in legge n. 185/1993 e successive modificazioni, recante Modifiche al decreto del 

Presidente della Repubblica 8 giugno 1982, n. 470, concernente attuazione della direttiva CEE 

n. 76/160, relativa alla qualità delle acque di balneazione. (Art. 1, D.L. 10 maggio 2002, n. 92, 

convertito in legge 11 luglio 2002, n. 140) 


- - - 

MISURE URGENTI PER GARANTIRE LA SICUREZZA DEL SISTEMA ELETTRICO NAZIONALE 

Scade il termine di efficacia prevista dalla speciale disciplina di cui al D.L. 7 febbraio 2002, 

n. 7, convertito in legge 9 aprile 2002, n. 55, recante «Misure urgenti per garantire la 

sicurezza del sistema elettrico nazionale», relativa alla costruzione ed esercizio degli 

impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici, interventi di modifica 

o ripotenziamento, nonché opere connesse ed infrastrutture indispensabili all’esercizio 

degli stessi. In pari data scade, inoltre, la sospensione dell’efficacia dell’allegato IV al 

D.P.C.M. 27 dicembre 1988 e dell’art. 15, legge n. 393/1975, in materia di valutazione di 

impatto ambientale per le centrali termoelettriche e turbogas, e relative opere di urbanizzazione 

secondaria. (Art. 1, commi 1 e 5, D.L. 7 febbraio 2002, n. 7, convertito, con 

modificazioni, in legge 9 aprile 2002, n. 55) 


- - - 

CESSAZIONE SCARICO DI FANGHI IN MARE 

Entra in vigore il divieto previsto dall’art. 48, comma 3, D.Lgs. n. 152/1999 e succ. modd., 

relativo allo smaltimento dei fanghi nelle acque marine mediante immersione da nave, scarico 

attraverso condotte ovvero altri mezzi e già autorizzato ai sensi dell’art. 18, comma 2, lett. 

p)-bis, D.Lgs. n. 22/1997 e succ. modd. 


- - - 

ADOZIONE E TRASMISSIONE DEI PIANI REGIONALI DI TUTELA DELLE ACQUE 

Scade il termine entro il quale le Regioni, sentite le Province e previa adozione delle 

eventuali misure di salvaguardia, devono adottare il piano di tutela delle acque ex art. 

44, D.Lgs. n. 152/1999, trasmettendolo, entro la medesima data, alle competenti 

autorità di bacino. 


Regioni - - 


31 

DICEMBRE 

REGISTRO SUI CASI DI MESOTELIOMA ASBESTO-CORRELATI: RISULTANZE ANNUALI 

L’ISPESL deve trasmettere entro questa data alle Regioni i dati di sintesi annuali relativi alle 

risultanze del registro sui casi di mesotelioma asbesto-correlati. La comunicazione dovrà essere 

inviata in forma anonima ai sensi dell’art. 23, comma 4, della legge n. 675/1996 (Art. 5, comma 

4, D.P.C.M. 10 dicembre 2002, n. 308) 


ISPESL Annuale 31 dicembre 2004 

VEICOLI FUORI USO: COMUNICAZIONE ANNUALE DEGLI “OPERATORI ECONOMICI” 

I produttori, distributori, operatori addetti alla raccolta, nonché le compagnie di assicurazione dei 

veicoli a motore e le imprese di frantumazione, recupero e riciclaggio ovvero gli altri operatori 

che effettuano il trattamento di un veicolo fuori uso e dei relativi componenti e materiali (così 

detti “operatori economici” ex art. 3, comma 1, lett. U, D.Lgs. n. 209/2003), devono pubblicare 

entro oggi e rendere disponibili all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei 

rifiuti ex art. 30, comma 1, D.Lgs. n. 22/1997, le informazioni relative a: costruzione del veicolo e 

dei relativi componenti che possono essere reimpiegati, recuperati e riciclati; il corretto trattamento 

(sotto il profilo ambientale) del veicolo fuori uso, con particolare riferimento alla rimozione di 

tutti i liquidi e alla demolizione; l’ottimizzazione delle possibilità di reimpiego, riciclaggio e 

recupero del veicolo fuori uso e dei relativi componenti; i progressi conseguiti in materia di 

recupero e di riciclaggio al fine di ridurre lo smaltimento del veicolo fuori uso e dei rifiuti costituiti 

dai relativi componenti e materiali. (Art. 1, comma 5, D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209) 


Produttori, distributori, operatori 

addetti alla raccolta, compagnie di 

assicurazione dei veicoli a motore, 

imprese di frantumazione, recupero 

e riciclaggio, altri operatori che effettuano 

il trattamento di un veicolo 

fuori uso e dei relativi componenti 

e materiali (così detti “operatori 

economici” ex art. 3, comma 1, lett. 

u), D.Lgs. n. 209/2003) 


COMUNICAZIONE ANNUALE SUGLI IMPIANTI PORTUALI DI RACCOLTA PER I RIFIUTI PRODOTTI DALLE NAVI 

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti deve comunicare alla Commissione europea e al 

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio l’elenco delle navi, diverse dai pescherecci 

e dalle imbarcazioni da diporto, che non hanno conferito i rifiuti prodotti a bordo ed i residui 

di carico a norma del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182, recante «Attuazione della direttiva 

2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui 

del carico». (Art. 14, comma 3, D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182) 


Ministero delle Infrastrutture e 

dei trasporti 


CARBON TAX: RATA TRIMESTRALE 

Gli esercenti dei grandi impianti di combustione (GIC) ex direttiva 88/609/CEE devono versare 

la rata trimestrale dell’imposta sui consumi di carbone, coke di petrolio, bitume di origine 

naturale emulsionato con il 30% di acqua (orimulsion), impiegati negli impianti di combustione 

nell’anno precedente. Nell’ipotesi di ritardato adempimento sarà applicabile la sanzione 

amministrativa pecuniaria di una somma dal doppio al quadruplo della tassa dovuta, fermi 

restando i principi generali stabiliti dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472. Per le inosservanze di 

diverso tipo sarà applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 258,23 a euro 

1.549,37 (Art. 50, D.Lgs. n. 504/1996). (Art. 8, commi 7 e 8, legge 23 dicembre 1998, n. 448) 


Esercenti dei grandi impianti di combustione 

(GIC) ex direttiva 88/609/ CEE 

RUBRICA 

SCADENZARIO 

Triennale 31 marzo 2004 


IN SINTESI 

SINTESI RUBRICA 

Inserto 

SICUREZZA DELLE MACCHINE 

ARTICOLI ........................................................................................................................................................................... da pag. II 

Sicurezza delle macchine da cantiere: le gru a torre - Dopo un primo approfondimento dedicato alle terne (n. 

18/2003, pag. II), Ambiente&Sicurezza prosegue la pubblicazione degli inserti dedicati alla sicurezza delle macchine da 

cantiere occupandosi delle gru a torre. L’Inserto propone un breve inquadramento delle norme, soprattutto tecniche, 

che regolano la progettazione e l’utilizzo in sicurezza di queste macchine e, rispetto alla individuazione dei rischi, 

mediante una schedatura che indica la magnitudo della pericolosità, ripercorre tutti gli aspetti legati all’impiego delle 

gru: dal montaggio alle modalità di utilizzo, dalla documentazione a corredo della macchina alle procedure di 

imbracatura dei carichi, dalla formazione dell’operatore addetto alla conduzione alle verifiche da effettuare a 

lavorazione ultimata. Inoltre, l’Inserto contiene una check list che guida al controllo delle condizioni della macchina 

prima, durante e successivamente il suo utilizzo. 

Speciale 

ARIA 

ARTICOLI ......................................................................................................................................................................... da pag. 19 

Il Cop9 2003 sui cambiamenti climatici - Dal 1˚ al 12 dicembre 2003 si terrà a Milano la 9 a Conferenza delle Parti 

delle Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (Cop9). L’appuntamento sarà l’occasione per passare da un 

applicazione dei punti contenuti nel Protocollo di Kyoto come vincolo per imporre ulteriori regole e obblighi unilaterali 

a un’incentivazione del settore privato allo sviluppo e utilizzo di tecnologie eco-efficienti in accordo con nuovi 

meccanismi e regole di mercato. È noto, infatti, come la quasi totalità delle alterazioni climatiche sia riconducibile al 

cosiddetto “effetto serra”, inteso come riscaldamento del clima, a sua volta attribuibile all’aumento della presenza di 

anidride carbonica nell’aria che trattiene nell’atmosfera il calore solare irraggiato sulla Terra. L’aumento di questo gas 

è dovuto al consumo di fonti carboniose, il che sposta il problema sul fronte dell’“energia”, i cui consumi sono in rapido 

aumento soprattutto per le crescenti richieste dei Paesi in fase di sviluppo (Cina, India, ecc.). È necessario, quindi, 

trovare una soluzione che sia in grado di conciliare le esigenze di tutela ambientale con le necessità di sviluppo 

economico sostenibile attraverso l’applicazione di “tecnologie pulite” e strumenti in grado di monetizzare le politiche 

produttive “verdi”, come il cosiddetto meccanismo dell’“emission trading”, recentemente ufficializzato a livello 

europeo con la direttiva 2003/87/CE. Dal canto suo, l’Italia, che ha ratificato di recente il Protocollo di Kyoto con la 

legge 1˚ giugno 2002, n. 120, è chiamata a invertire il livello crescente di emissioni che, in palese contrasto con gli 

obiettivi stabiliti dal «Piano nazionale per la riduzione delle emissioni dei gas responsabili dell’effetto serra 

2003-2010», ex delibera CIPE 19 dicembre 2002, potrebbe arrivare, nel 2010, a quota 580 milioni di tonnellate di 

carbonio (Mt). A questo proposito, le imprese italiane sono chiamate a esercitare un ruolo chiave nel trasferimento di 

tecnologie “pulite” nei mercati in fase di sviluppo, con i quali sono stati avviati già accordi di cooperazione economica 

anche a livello ministeriale. 

Igiene e sicurezza 

ANTINCENDIO 

COMMENTO...................................................................................................................................................................... a pag. 30 

DOCUMENTO..................................................................................................................................................................... a pag. 31 

Rilevatori di fumo e di calore: il MinInterno conferma le certificazioni necessarie - La Lettera - Circolare del 

Dipartimento dei Vigili del fuoco - Direzione centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica 9 ottobre 2003, Prot. n. 

P1172 / 4101 sott. 72/C1 (17) , che ha come oggetto «Certificazioni per rivelatori di fumo e/o di calore secondo le norme 

EN 54/7 ed EN 54/5 come componenti di impianti di rivelazione di incendio» risponde a diversi quesiti inerenti il tipo di 

certificazione di cui devono essere muniti i rivelatori di fumo e/o di calore per poter essere installati nelle attività 

soggette ai controlli di prevenzione incendi. Tali quesiti, in particolare, sono stati formulati in considerazione del fatto 

che la circolare 26 gennaio 1993, n. 24, «Impianti di protezione attiva incendi» ed il decreto del Ministero dell’Interno 4 

maggio 1998, «Disposizioni relative alle modalità relative alle modalità di presentazione ed al contenuto delle domande 

per l’avvio dei procedimenti di prevenzione incendi, nonché all’uniformità dei connessi servizi resi dai Comandi provinciali 

dei Vigili del fuoco» richiedono il rispetto delle norme volontarie e la relativa dichiarazione di conformità, mentre la 

recente pubblicazione sulla G.U.C.E. dei riferimenti delle norme armonizzate EN 54/7 e EN 54/5 ha segnato, dal 1˚ aprile 

2003, l’inizio del periodo di coesistenza delle nuove norme armonizzate con le prescrizioni di settore tuttora vigenti in 

Italia. 


RUBRICA 

SINTESI 

IGIENE DI ALIMENTI E BEVANDE 

SINTESI............................................................................................................................................................................... a pag. 54 

Movimenti transfrontalieri OGM - Il Regolamento (CE) n. 1946/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 luglio 

2003 istituisce un sistema comune di notifica e informazione per i movimenti trasfrontalieri di organismi geneticamente 

modificati (OGM) garantisce l’attuazione coerente delle disposizioni del Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza a nome 

della Comunità, così da contribuire ad assicurare un adeguato livello di protezione relativamente al trasferimento, alla 

manipolazione e all’uso sicuri di OGM che possono avere effetti negativi sulla conservazione e l’uso sostenibile della diversità 

biologica, tenendo conto anche dei rischi per la salute umana. (in G.U.C.E. L del 5 novembre 2003, n. 287 e all’indirizzo 

http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com) 

SICUREZZA DEL LAVORO 

ARTICOLO.......................................................................................................................................................................... a pag. 32 

Direttiva Atex: senza conformità alla regola dell’arte il committente può recedere dal contratto - Sotto il profilo 

penale il D.P.R. n. 126/1998, che ha recepito la direttiva ATEX, attiene direttamente alla normativa di sicurezza sul lavoro in 

quanto ad essa deve essere conformata la redazione e il contenuto dei piani di sicurezza e di valutazione del rischio che il 

datore di lavoro adotta secondo quanto previsto dall’articolo 4 del D.Lgs. n. 626/1994 e in relazione al grado di evoluzione 

della tecnica e della prevenzione della protezione, all’adozione delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso 

di emergenza, alle informazioni dei lavoratori circa il rischio dell’attività produttiva e sulle disposizioni prese in materia di 

protezione e all’adozione delle misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei lavoratori, nonché 

per il caso di pericolo grave ed immediato. Oltre la nullità dei contratti di vendita o di messa in servizio in Italia, dopo il 30 

giugno 2003, dei prodotti descritti dall’articolo 4 del D.P.R. n. 126/1998 l’acquirente dei beni non conformi alla regola 

dell’arte può fare riferimento all’articolo 2224 del codice civile che gli consente di fissare un congruo termine al proprio 

prestatore d’opera perché conformi la sua attività alla stessa regola, ovvero che ottenga la certificazione CE per i beni 

installati o venduti. Se trascorre inutilmente il termine fissato il committente può recedere dal contratto, salvo il diritto al 

risarcimento del danno. 

ARTICOLO.......................................................................................................................................................................... a pag. 37 

Incentivi fiscali e sicurezza del lavoro: il rischio di revoca - Un vasto piano di controlli è stato varato dall’amministrazione 

finanziaria per accertare la legittimità e il corretto utilizzo dei crediti d’imposta concessi negli ultimi anni allo scopo 

d’incrementare l’occupazione e gli investimenti soprattutto nelle aree svantaggiate. Infatti, con l’emanazione della circolare 

dell’Agenzia delle Entrate 8 luglio 2003, n. 35/E, ha preso corpo la strategia di verifica mirata sui crediti concessi per 

incentivare le assunzioni - art. 4 della legge n. 449/1997, art. 4 della legge n. 448/2000, art. 7 della legge n. 388/2000 

(Finanziaria 2001) - e gli investimenti in impianti, macchine e attrezzature nuovi - art. 8 della citata legge n. 388/2000. I 

controlli mirati a verificare l’utilizzo dei crediti di imposta sono direttamente collegati al rispetto delle norme di sicurezza e di 

igiene del lavoro. 

NOTA E TESTO.................................................................................................................................................................... a pag. 41 

Dal MinIstruzione 460 mln di euro per l’adeguamento delle scuole - Con il decreto del Ministero dell’Istruzione 

dell’Università e della Ricerca 30 ottobre 2003 il dicastero ha reso disponibile la somma di oltre 460 milioni di euro 

per opere di edilizia scolastica. Le amministrazioni beneficiarie, nella assegnazione degli importi ad esse destinate, 

dovranno attenersi agli indirizzi dello stesso Ministero. Tra questi quello di privilegiare gli interventi finalizzati alla 

messa a norma e all’adeguamento delle preesistenti strutture alla vigente normativa in materia di agibilità, sicurezza 

e igiene e all’eliminazione delle barriere architettoniche; di favorire il coordinamento e il più razionale sfruttamento 

della rete scolastica con la distribuzione degli edifici, tenendo anche conto dell’opportunità di un organico inserimento 

delle istituzioni scolastiche nelle diverse realtà territoriali e collettività locali; di considerare ogni opportunità 

di adeguamento dei relativi edifici alle nuove esigenze della scuola e ai processi di riforma degli ordinamenti e dei 

programmi e di garantire, anche al fine di migliorare il servizio reso all’utenza, la fornitura di sedi idonee per un 

dignitoso e corretto funzionamento delle direzioni scolastiche regionali e dei centri di servizio amministrativo (in 

Gazzetta Ufficiale del 1˚ novembre 2003, n. 262) 

QUESITI.............................................................................................................................................................................. a pag. 46 

Le domande più frequenti sulla sicurezza nelle scuole - La Provincia di Rovigo ha inaugurato il nuovo portale “Orientati 

al Sapere” all’indirizzo www.pubblicaistruzione.it/rovigo presentato da Gioia Beltrame Assessore alla Cultura della Provincia 

di Rovigo e da Valerio Gasparetto, architetto e dirigente Settore Pubblica Istruzione. 

Una sezione specifica del sito “Sicurezza: l’esperto risponde” è stata esclusivamente dedicata al tema della sicurezza e 

prevenzione dei rischi nella scuola (D.Lgs. n. 626/1994 e D.M. n. 382/1998). Pubblichiamo alcune delle risposte ai quesiti che 

sono stati inviati alla Provincia. 

SINTESI............................................................................................................................................................................... a pag. 54 

Sicurezza delle navi e condizioni di lavoro a bordo - Il decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 13 

ottobre 2003, n. 305 ridefinisce la normativa concernente le ispezioni da svolgersi sulle navi e relativi equipaggi che 

approdano in un porto nazionale o in un impianto off-shore o ancorate al largo di tale porto/impianto, fatta eccezione per 



le navi di stazza lorda inferiore a 500 tonnellate soggette alla normativa internazionale (Convenzione sulla sicurezza della 

navigazione e la prevenzione dell’inquinamento marino) o, se non applicabile, alle prescrizioni minime di cui all’allegato IV, 

dello stesso D.M. n. 305/2003. (in Gazzetta Ufficiale del 13 novembre 2003, n. 264 e all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com) 

MASSIMA E NOTA............................................................................................................................................................. a pag. 59 

Diligenza dell’imprenditore alle reali mansioni e responsabilità - La diligenza cui l’imprenditore è tenuto ex articolo 2087 

codice civile deve rapportarsi al lavoro in concreto da svolgere, ovvero alla sua ubicazione, all’esperienza del lavoratore, alla 

prevedibilità della sua condotta, alla normalità della tecnica di lavorazione. (Cassazione, sez. lav., 17 ottobre 2003, n. 15598) 

MASSIMA E NOTA............................................................................................................................................................. a pag. 59 

Al lavoratore l’onere di provare l’esistenza del danno - Al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa 

dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività 

dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi. Quando il lavoratore abbia provato tali circostanze, 

grava sul datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi 

del danno. Anche ove il danno derivi specificamente da un macchinario che il lavoratore aveva il compito di 

manovrare, egli ha solo l’onere di provare il danno ed il rapporto causale con l’uso del macchinario. (Cassazione, sez. 

lav., 10 ottobre 2003, n. 14645) 

MASSIMA E NOTA.............................................................................................................................................................. a pag. 61 

Controlli nelle imprese di trasporto: l’Ispettorato può sanzionare - L’Ispettorato del lavoro è competente non solo ad 

effettuare i controlli nei locali delle imprese di trasporto di cui all’articolo 6 del D.M. 12 luglio 1995, ma anche ad emettere gli 

eventuali provvedimenti sanzionatori nei confronti dei datori di lavoro per le violazioni dei Regolamenti comunitari n. 

3820/85 e n. 3821/85 del 20 dicembre 1985. (Cassazione, sez. lav., 20 ottobre 2003, n. 15692) 

SINTESI .............................................................................................................................................................................. a pag. 62 

Norme UNI e CEI edite dei mesi di luglio-ottobre 2003 - Tra le norme approvate dall’Ente Nazionale Italiano di Unificazione 

segnaliamo quelle dedicate all’ergonomia (impiego di forza muscolare per l’utilizzo delle macchine), alla sicurezza (indumenti di 

protezione, DPI contro le cadute dall’alto e delle vie respiratorie, indumenti da lavoro), alle macchine utensili. Il Comitato 

Elettrotecnico Italiano ha approvato nuove disposizioni tecniche sui materiali antideflagranti, sui sistemi di rilevamento e segnalazione 

per incendio, sui sistemi di protezione contro i fulmini e sull’esposizione umana ai campi elettromagnetici. 

SICUREZZA IN CANTIERE 

CASO.................................................................................................................................................................................. a pag. 56 

Il contenuto del PSC in punto di valutazione dei rischi - L’art. 4 del D.Lgs. n. 494/1996 stabilisce l’obbligo del 

coordinatore per la progettazione di redigere, durante la progettazione dell’opera, il Piano di sicurezza e di 

coordinamento. Il successivo art. 12 del decreto ne individua i contenuti, e il recente D.P.R. n. 222/2003 ne specifica i 

contenuti minimi. Le norme di legge impongono l’obbligo della valutazione dei rischi: quali rischi devono essere 

valutati nel PSC e in che modo? Questo il quesito al quale si risponde. Nel PSC devono essere valutati e presi in 

considerazione tutti i fattori di rischio professionale, a prescindere dalla loro natura intra o extra aziendale o 

professionale (riferita ai lavoratori autonomi). Peraltro una cosa è la valutazione, altra cosa la gestione di tali fattori: 

ecco perché mentre la relazione di cui si compone il PSC, concernente l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei 

rischi ha carattere generale e onnicomprensivo, l’individuazione delle prescrizioni operative (intese come le indicazioni 

particolari di carattere temporale, comportamentale, organizzativo, tecnico e procedurale), delle misure preventive 

e protettive e dei dispositivi di protezione individuale è riferita, nel D.P.R. n. 222/2003, unicamente alle interferenze 

tra le lavorazioni. 

SOSTANZE PERICOLOSE 

ARTICOLO.......................................................................................................................................................................... a pag. 51 

Bandito il creosoto dalle lavorazioni per la conservazione e il trattamento del legno - Con qualche mese di ritardo 

sulla data prevista, l’11 agosto 2003 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 185, il decreto del Ministero della Salute 17 

aprile 2003 riguardante i limiti e le restrizioni relative all’impiego di creosoto ed altre sostanze. Il breve decreto, di soli due 

articoli, modifica nuovamente l’allegato del D.P.R. n. 904/1982 sull’attuazione delle norme per l’immissione sul mercato e 

l’utilizzo di talune sostanze e preparati pericolosi, già oggetto di recenti interventi (si veda Ambiente&Sicurezza n. 

11/2003, pag. 73, e n. 13/2003, pag. 55). Vengono così recepite tre direttive comunitarie, le 2001/90/CE, 2001/91/CE e 

2003/11/CE, recanti il settimo e l’ottavo adeguamento dell’allegato I e la XXIV modifica della direttiva 76/769/CE. 

Ambiente 

ACQUA 

ARTICOLO ......................................................................................................................................................................... a pag. 72 

Nuove modifiche per i servizi pubblici locali con il D.L. 30 settembre 2003, n. 269 - Sulla base delle indicazioni 


RUBRICA 

SINTESI 

impartite dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione avviata nei confronti dell’Italia a seguito 

dell’entrata in vigore dell’art. 35, legge n. 448/2001 (Finanziaria 2002), il Governo ha sensibilmente modificato l’art. 113 

(servizi pubblici locali) del Testo unico sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. n. 267/2000) con il decreto-legge 30 

settembre 2003, n. 269 (cosiddetto “maxi-decreto”). In particolare, la Commissione aveva riscontrato l’incompatibilità 

della disciplina introdotta dalla legge n. 448/2001 rispetto al Trattato CE e alla disciplina comunitaria della concorrenza, 

relativamente alla permanenza della possibilità di attribuire l’attività di gestione di reti, impianti e altre dotazioni 

patrimoniali - ove separata da quella di erogazione del servizio - mediante affidamento diretto, all’eccessiva durata del 

periodo transitorio, variabile da tre a cinque anni, prorogabili sino a ulteriori cinque anni, all’incertezza in ordine al 

decorso dei termini di anticipata cessazione delle gestioni in corso, subordinati all’emanazione di un regolamento 

governativo, alla previsione della facoltà di assegnare direttamente a società in mano pubblica il servizio idrico integrato 

e, infine, al libero ricorso a procedure di affidamento diretto per i servizi privi di rilevanza industriale. Una prima modifica 

riguarda la denominazione dei servizi pubblici assoggettati alla disciplina dell’art. 113, TUEL, i quali, individuati inizialmente 

nei servizi «di rilevanza industriale», divengono ora quelli «di rilevanza economica». Inoltre, è stato precisato come la 

disciplina contenuta dell’art. 113 medesimo riguardi la tutela della concorrenza (materia demandata, dal nuovo art. 117 

della Costituzione, alla competenza esclusiva dello Stato, cosa che ne legittima l’intervento in materia di servizi pubblici 

locali) e sia da considerarsi inderogabile e integrativa della normativa di settore. È stato, poi, introdotto il principio della 

proprietà pubblica, in mano agli enti locali, degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni patrimoniali destinate 

all’erogazione dei servizi pubblici locali; resta, invece, affidato alle sole discipline di settore la facoltà di decidere i casi nei 

quali l’attività di gestione delle reti e degli impianti destinati alla produzione dei servizi pubblici locali possa essere 

separata da quella di erogazione degli stessi. Eliminate, infine, le previsioni precedentemente contenute nell’art. 35, legge 

finanziaria 2002 relative al “periodo transitorio” (ossia alla fase di passaggio dal sistema previgente alla nuova disciplina). 

Resta inteso che ogni considerazione definitiva è da rimandarsi alla conversione in legge della novella, che dovrà avvenire 

entro il 1˚ dicembre 2003. 

MASSIMA E NOTA ............................................................................................................................................................. a pag. 98 

Tutela delle acque dall’inquinamento - Alla luce della normativa regionale pugliese (legge regionale 19 dicembre 1983, n. 

24), tutti gli scarichi civili - e perciò anche quelli preesistenti all’entrata in vigore della legge n. 319/1976 - sono soggetti ad 

obbligo di autorizzazione, con la conseguente applicabilità, in caso di violazione di tale obbligo, della sanzione amministrativa 

prevista dalla legge nazionale per l’effettuazione di scarichi civili non autorizzati. (Cassazione civile, I sezione, 25 marzo - 

25 settembre 2003, n. 14256) 

ARIA 

SINTESI .............................................................................................................................................................................. a pag. 92 

Lotta all’effetto serra. Contributi e finanziamenti - Il decreto del Ministero dell’Ambiente e Tutela del territorio 31 luglio 

2003 cancella, ai sensi dell’art. 1, comma 3, D.M. n. 467/2000, taluni sottoprogrammi di ricerca correlati al «Programma 

nazionale di ricerca per la riduzione delle emissioni eaiProgrammi di Cooperazione internazionale nell’ambito del meccanismo 

di Kyoto», inserendone di nuovi e aggiungendo nuovi sottopogrammi (con relativo importo finanziato) nell’ambito del 

«Programma nazionale di ricerca per la riduzione delle emissioni e dei Programmi di Cooperazione internazionale nell’ambito 

dei“meccanismi del protocollo di Kyoto”». (in Gazzetta Ufficiale dell’8 novembre 2003, n. 260 e all’indirizzo http://www. 

ambientesicurezza.ilsole24ore.com) 

CERTIFICAZIONE E QUALITÀ 

SINTESI .............................................................................................................................................................................. a pag. 93 

Sistemi di gestione ambientale. Contributi e finanziamenti - La circolare 7 ottobre 2003 del Ministero delle 

Attività produttive, n. 946364, rappresenta un prezioso documento esplicativa, indirizzata a numerose associazioni 

imprenditoriali (Artigiancassa, ASS.I.LEA, Confartigianato, CNA, Cassartigiani) nonché a tutte le imprese interessate, 

al fine di consentire l’accesso delle imprese artigiane alle agevolazioni della legge n. 488/1992 così come regolate 

con le direttive di cui al D.M. 3 luglio 2000 e succ. modd. e con il regolamento di cui al D.M. n. 527/1995 e succ. 

modd., con le specifiche disposizioni del D.M. 21 novembre 2002 (in S.O. n. 168 alla Gazzetta Ufficiale del 10 

novembre 2003, n. 261) 

ENERGIA 

SINTESI .............................................................................................................................................................................. a pag. 92 

Regolatori per il gas e l’elettricità - La decisione della Commissione 11 novembre 2003, n. 2003/796/CE istituisce un gruppo 

consultivo indipendente per l’elettricità e il gas, denominato “gruppo dei regolatori europei per il gas e l’elettricità”, con 

compiti di consulenza e assistenza nell’opera di consolidamento del mercato interno dell’energia, con particolare riferimento 

alla preparazione di progetti di disposizioni di applicazione nel settore del gas e dell’elettricità e su qualunque aspetto 

attinente il mercato interno del gas e dell’elettricità (art. 1, comma 2). (in G.U.C.E. L del 14 novembre 2003, n. 296 e 

all’indirizzo http://www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com) 

RIFIUTI 

CASO ............................................................................................................................................................................ a pag. 94 

Trattamento dei veicoli fuori uso e responsabilità penali - Con il recente D.Lgs. n. 209/2003, attuazione della 



direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, l’autoveicolo in quanto rifiuto ha acquistato un’autonomia e una 

centralità nel sistema previsto dal Legislatore che, nei provvedimenti normativi anteriori al D.Lgs. n. 22/1997 - “Ronchi” 

stesso compreso - era sconosciuta, venendo tale lacuna colmata più che altro dalla giurisprudenza. Così, nel periodo ante 

D.Lgs. n. 209/2003, la Cassazione aveva comunque già stabilito come i rifiuti provenienti dalla demolizione delle autovetture 

fossero da ricondurre alla categoria di rifiuti speciali, anche se gli stessi potevano anche avere natura di “pericolosi” in 

alcune loro componenti quali accumulatori e oli esauriti dei circuiti idraulici e frenanti, contemplati nelle previsioni 

dell’art. 7, ultimo comma, D.Lgs. n. 22/1997, e Allegati. Si noti, peraltro, che il nuovo CER ha inserito i veicoli usati nei 

rifiuti pericolosi (codice 160104) e non più semplicemente in quelli speciali non pericolosi, quantomeno sino alla avvenuta 

separazione delle parti e dei liquidi pericolosi. Riguardo all’attribuzione delle competenze, la Suprema Corte ha poi 

stabilito che non può essere considerato produttore di rifiuti proprio il soggetto che provvede alla demolizione e 

rottamazione di veicoli altrui, trasportati in un’area in sua dotazione ove procede alla separazione delle varie componenti, 

al recupero dei residui riutilizzabili e all’accumulo degli scarti, in quanto le vetture assumono il carattere di rifiuti fin dal 

momento in cui vengono dimesse dal proprietario o possessore, che li consegna al demolitore, così che tutta l’attività dei 

centri di raccolta rientra nell’ambito dello smaltimento e del recupero e non può essere esercitata senza autorizzazione. 

Non vi sono ragioni per dubitare che la logica desumibile dalle decisioni sopra riportate debba ritenersi pienamente 

applicabile anche dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 209/2003, che si inserisce nel più ampio contesto del D.Lgs. n. 

22/1997; in questo senso, la definizione di «impianto di trattamento» contenuta nel menzionato decreto - ossia l’impianto 

autorizzato ai sensi degli articoli 27, 28 o 33, decreto legislativo n. 22/1997 presso il quale sono effettuate tutte o alcune 

delle attività di trattamento definite dal decreto stesso - determina che lo svolgimento delle menzionate attività in 

assenza di autorizzazione o delle prescritte comunicazioni possa determinare l’applicazione delle sanzioni penali di cui 

all’art. 51, D.Lgs. n. 22/1997. Rafforzate sono invece, sul piano strettamente penale, le disposizioni generali di natura 

sanzionatoria come strutturate dall’art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 209/2003, che prevede l’arresto da sei mesi a due anni e 

l’ammenda da 3.000 euro a 30.000 euro per tutti coloro che effettuano attività di gestione dei veicoli fuori uso e dei rifiuti 

costituiti dei relativi componenti e materiali «in violazione dell’articolo 6, comma 2». 

TUTELA AMBIENTALE 

SINTESI .............................................................................................................................................................................. a pag. 93 

Aree naturali protette - Il decreto del Ministero dell’Ambiente e Tutela del territorio 17 luglio 2003 rappresenta la 

«Rettifica al decreto 6 settembre 1999, relativo all’area marina protetta denominata “Penisola del Sinis - Isola Mal di 

Ventre”» (in Gazzetta Ufficiale dell’11 novembre 2003, n. 262) 

VIA 

ARTICOLO ....................................................................................................................................................................... a pag. 82 

Nella sanatoria degli abusi edilizi poca attenzione alla tutela ambientale - L’analisi dell’art. 32 («Misure per la 

riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo 

edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali») del maxi-decreto (D.L. n. 

269/2003) impone riflessioni sulla materia specifica della sanatoria edilizia e sui principi fondamentali di gestione del 

territorio di recente rivisitati dalla riforma del Titolo V della Costituzione. In particolare, il Legislatore ha inteso dettare 

nuove misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione 

dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali. In tal senso, 

l’art. 32 individua forme di supporto finanziario e amministrativo per gli enti locali nelle istruttorie e nell’assunzione di 

provvedimenti di repressione e nell’attuazione di quelli già adottati, nonché criteri per la concessione di permessi di 

costruire in sanatoria per le situazioni ritenute “sanabili”. A questo proposito, la novella va a toccare l’assetto delle potestà 

degli organi dello Stato in misura diversa e più ampia rispetto alle discipline dei “condoni edilizi” degli ultimi venti anni. Ciò 

spiega le critiche sollevate da più parti in ordine alla portata dell’art. 32, D.L. n. 296/2003, alla luce della ripartizione dei 

compiti tra lo Stato e le regioni, proprio perché, come è noto, sulla base del titolo V della Costituzione, lo Stato non ha più 

competenza in materia edilizia, se non per dettare i principi fondamentali. Al contrario, l’unico fondamento della potestà 

statale risiede nella materia penale che, nel caso specifico, si integra nell’estinzione generalizzata dei reati edilizi. Con 

questa impostazione, il provvedimento legislativo avrebbe, quindi, assunto la natura giuridica di un’amnistia, con la 

conseguente illegittimità procedurale per l’emanazione con decreto legge nell’ambito della Finanziaria e non con legge 

specifica, con la maggioranza qualificata dei due terzi prevista dall’art. 79 della Costituzione. A ciò si aggiunga che le nuove 

disposizioni, se esaminate sotto il profilo della tutela dell’ambiente che per primo ha sofferto del fenomeno abusivo, non 

sono affatto soddisfacenti. L’attenzione alle esigenze di prevenzione di nocumento irreversibile al territorio è soddisfatta 

incidentalmente e non ha rappresentato un momento fondamentale di attenzione da parte del Legislatore, visto che la 

protezione del bene “ambiente” è stata lasciata alla fase della prevenzione più che da quella della repressione, laddove si 

invitano le amministrazioni preposte a dotarsi degli strumenti di programmazione o pianificazione urbanistica per evitare 

una attività edilizia selvaggia poco rispettosa delle esigenze del territorio, quando è noto, in base all’esperienza dei 

condoni precedenti, come non sia materialmente possibile, da parte delle amministrazioni comunali, effettuare un controllo, 

se non in via formale, sulle istanze di sanatoria. Inoltre, l’assenza di finalità nel decreto previsto al comma 11 per 

l’assegnazione di fondi alle regioni vincolati ai fini del ripristino e della riqualificazione paesaggistica delle aree tutelate, è 

preoccupante perché potrebbe permettere alle amministrazioni di disporre legittimamente di tali somme per il governo del 

territorio in generale. 


LA 9 a CONFERENZA INTERNAZIONALE 

SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI (COP9) 

Dal 1˚ al 12 dicembre 2003 si terrà a Milano la 9 a Conferenza delle Parti 

della Convenzione Quadro sui cambiamenti climatici (Cop9). La Convention, 

che necessariamente fornirà l’occasione per misurare le distanze 

tra obiettivi e risultati fissati dal Protocollo di Kyoto nei diversi Stati, si 

inserisce in un contesto che vede un aumento del consumo energetico 

mondiale, anche in virtù della domanda proveniente dai cosiddetti Paesi 

“a economia emergente” (Cina, India ecc.), che, ragionevolmente, potrebbe 

causare un ulteriore innalzamento della quota di emissioni mondiali 

con innegabili ripercussioni sul clima. Vanno, quindi, individuati 

meccanismi in grado di premiare politiche produttive rispettose dell’ambiente 

(borsa delle emissioni e crediti di carbonio) e di promuovere 

programmi di cooperazione tra diversi Paesi (Clean Development Mechanism 

e Joint Implementation); parimenti, dovranno essere garantiti lo 

sviluppo e la diffusione di tecnologie “pulite” in grado di coniugare 

crescita economica e tutela ambientale, secondo la logica dello sviluppo 

sostenibile. 

Contributi di: 

● Corrado Clini 

● Alessandro Ortis 

● Jacopo Giliberto

IL PROTOCOLLO DI KYOTO: DA VINCOLO 

A OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO ECONOMICO SOSTENIBILE 

La Presidenza italiana dell’Unione Europea ha invitato a Montecatini, dal 18 al 20 luglio 2003, i Ministri 

dell’Ambiente e dell’Energia dei 25 Stati membri, di Bulgaria, Romania, Turchia e Norvegia, per discutere insieme 

le strategie e le politiche necessarie per rispondere nello stesso tempo sia alla domanda di energia e sicurezza 

energetica della “Grande Europa”, sia all’impegno di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e degli altri 

gas serra per la protezione del clima globale. 

I Ministri hanno confermato che l’integrazione e il dialogo tra energia e ambiente sono fondamentali per dare 

concretezza alle prospettive dello sviluppo sostenibile del nostro Continente e dell’intero Pianeta, in vista degli 

scenari a medio termine di domanda di energia ed emissioni di anidride carbonica. 

Secondo il World Energy Outlook 2002 (WEO) della IEA, la domanda globale di energia tra il 2000 e il 2030 

aumenterà di oltre il 50%, soprattutto per la crescita delle economie emergenti. 

Se, come indica il reference scenario del WEO, a questo aumento della domanda si farà fronte sopratutto con i 

combustibili fossili (carbone, olio e gas), dobbiamo attenderci una crescita delle emissioni di anidride carbonica 

superiore del 50% rispetto ai livelli attuali. 

E la crescita delle emissioni - secondo il “Terzo Rapporto su Clima” approvato nel 2001 dal Panel Intergovernativo 

sui Cambiamenti Climatici (IPCC) - comporterà l’accelerazione del trend di aumento della concentrazione in 

atmosfera di anidride carbonica, alla quale sono associati rischi crescenti per gli equilibri climatici del pianeta. 

La concentrazione in atmosfera di anidride carbonica, dall’inizio della rivoluzione industriale a oggi, ha subito un 

aumento di oltre il 30%, raggiungendo un livello attorno a 360 parti per milione e a questo aumento è attribuita 

almeno in parte la responsabilità della progressiva variabilità climatica degli ultimi decenni. 

La protezione degli equilibri climatici, secondo IPCC, richiede la stabilizzazione della concentrazione di anidride 

carbonica - entro la fine del secolo - a un livello tale da non determinare un aumento medio della temperatura e 

una crescita del livello dei mari capaci di sconvolgere i sistemi naturali e le zone costiere del pianeta dove si 

concentra oltre il 50% della popolazione. La stabilizzazione entro il 2100 della concentrazione di anidride 

carbonica in atmosfera attorno a 550-650 parti per milione è considerata il risultato a cui tendere per contenere 

l’aumento della temperatura media al di sotto di due gradi e la crescita del livello dei mari al di sotto di 20 cm. 

Gli “scenari di stabilizzazione” di IPCC considerano inevitabile, almeno fino al 2030, l’aumento delle emissioni 

provocato dalla crescita dei consumi di combustibili fossili nel breve-medio periodo. 

E, d’altra parte, non potrebbe essere diversamente, perché nessuno può prendere in considerazione l’ipotesi che 

la protezione del clima venga assicurata dalla crisi economica e dalla povertà di Cina, India e delle altre economie 

emergenti, che concorrono in modo determinante all’aumento dei consumi mondiali di energia e alla conseguente 

crescita delle emissioni. Crescita che, a sua volta, non potrà essere bilanciata dalla riduzione del 5,2% delle 

emissioni dei Paesi maggiormente sviluppati, secondo quanto stabilito dal Protocollo di Kyoto. 

Ma, per assicurare la stabilizzazione della concentrazione di CO 2 a livelli di sicurezza entro la fine del secolo, gli 

scenari IPCC prevedono che in un periodo compreso tra il 2020 e il 2050 sarà necessario avviare una riduzione 

globale delle emissioni pari ad almeno il 50%-60% rispetto ai livelli del 1990. 

In altri termini, a cominciare dal 2020 la risposta alla domanda di energia dovrà essere basata su un impiego 

sempre più diffuso delle fonti rinnovabili, delle tecnologie dell’idrogeno e delle celle a combustibile, delle 

tecnologie “pulite” e ad alta efficienza per l’impiego dei combustibili fossili, delle tecnologie per la 

“sequestrazione” del carbonio: questo è lo scenario della cosiddetta “decarbonizzazione” dell’economia. 

L’“alternative scenario” messo a punto da IEA, che ben descrive uno scenario iniziale di decarbonizzazione 

dell’economia, analizza gli effetti di una accelerazione delle politiche e misure che possono fornire lo sviluppo 

delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica nei Paesi OCSE per i prossimi decenni. Secondo l’alternative 

scenario le emissioni tendenziali di anidride carbonica al 2030 potrebbero essere ridotte in modo significativo, 

anche se non raggiungerebbero gli obiettivi di Kyoto e dunque, tantomeno, i livelli di riduzione richiesti per la 

stabilizzazione della concentrazione in atmosfera. 

È in ogni caso interessante rilevare che, secondo il recente World Energy Investment Outlook della IEA, nel quale 

vengono valutati i costi del “reference” e “alternative scenario”, i costi complessivi dell’“alternative scenario” 

risultano del 20% inferiori rispetto al “reference scenario”: nello scenario alternativo sono necessari investimenti 

inferiori nei settori di trasmissione e distribuzione energetica, poiché tale scenario fa maggiore affidamento nella 

cogenerazione distribuita. Questo è un importante risultato e suggerisce che perseguire un obiettivo ambientale 

non è in conflitto con il raggiungimento della sicurezza energetica e degli obiettivi economici. Questa conclusione 

sembra applicabile sia ai Paesi in via di sviluppo che a quelli in economia in transizione e sottolinea ampi benefici 

nel raggiungere una stabilizzazione della concentrazione di anidride carbonica. 

Tuttavia, è evidente che sono necessarie una strategia e misure con orizzonti ed effetti molto più significativi di 

quelli definiti dal Protocollo di Kyoto e dello stesso “alternative scenario”: 

● la “liberazione” dai combustibili fossili richiede uno sforzo straordinario di ricerca e innovazione, un vero e 

proprio “shock” tecnologico, per rendere disponibili nuove fonti energetiche “pulite” e sicure; 


● la dimensione della riduzione delle emissioni necessaria per la stabilizzazione della concentrazione di anidride 

carbonica in atmosfera richiederà un impegno generalizzato da parte di tutti i Paesi, sviluppati e in via di 

sviluppo. La sostenibilità di questo impegno dipende dal rafforzamento della cooperazione tecnologica internazionale 

e dalla condivisione, nelle regole dell’economia globale, di standard minimi comuni di efficienza 

energetica e ambientale, per generalizzare l’impiego delle tecnologie “pulite” e limitare il ruolo dei combustibili 

fossili nel mercato mondiale dell’energia, nel quale Paesi come Cina, India, Brasile avranno un ruolo prevalente 

già alla fine di questo decennio. 

In questa prospettiva, il Protocollo di Kyoto rappresenta il quadro di riferimento per sperimentare e “testare” il 

sistema di programmi, regole, misure e strumenti di mercato per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle 

emissioni senza compromettere la sicurezza energetica, lo sviluppo tecnologico e la crescita economica. 

Il Protocollo di Kyoto offre all’Unione Europea l’occasione per favorire l’integrazione tra le politiche ambientali e 

quelle energetiche, a condizione che vengano valorizzati pienamente gli elementi di flessibilità e i meccanismi di 

mercato che il Protocollo ha introdotto come strumento per raggiungere gli obiettivi ambientali. 

Considerando che ogni riduzione delle emissioni è efficace indipendentemente dal luogo del pianeta nel quale 

viene realizzata, il Protocollo di Kyoto ha previsto che i Paesi sviluppati possano raggiungere i rispettivi obiettivi di 

riduzione delle emissioni anche con programmi realizzati in cooperazione con i Paesi con economia in transizione 

(Centro-Est Europa), (Joint Implementation-JI), o con quelli in via di sviluppo, (Clean Development Mechanism- 

CDM). 

In questo modo, il Protocollo di Kyoto ha integrato in modo innovativo obiettivi ambientali e valutazioni 

economiche, sulla base di due considerazioni principali: 

● ai fini della riduzione delle emissioni globali di anidride carbonica, ovvero dei consumi di combustibili fossili, la 

realizzazione di progetti industriali JI e CDM a elevata efficienza energetica o con l’impiego delle fonti 

rinnovabili, comporta generalmente costi marginali inferiori rispetto a quelli necessari per raggiungere gli stessi 

risultati di riduzione delle emissioni nei mercati interni dei Paesi maggiormente sviluppati. A questo proposito, le 

stime più recenti valutano il costo marginale di abbattimento di una tonnellata di anidride carbonica tra 15 e 28 

dollari nell’Unione Europea e tra 3-6 dollari nei Paesi in via di sviluppo; 

● il trasferimento di tecnologie energetiche avanzate nei Paesi dell’Europa centro orientale e in quelli in via di 

sviluppo, potrebbe avere un effetto calmierante sui rischi di “dumping” connessi all’impiego in questi Paesi di 

tecnologie obsolete. E in questa prospettiva, Joint Implementation e Clean Development Mechanism rappresentano 

per le imprese europee anche una straordinaria “driving force” per il trasferimento di tecnologie nei mercati 

emergenti e per lo sviluppo della cooperazione economica con i nuovi protagonisti dell’economia mondiale. 

In questa prospettiva, il ruolo dei Meccanismi Flessibili dovrebbe essere considerato componente chiave per le 

politiche, le misure e i programmi nazionali. Un ruolo preminente dei Meccanismi Flessibili può promuovere 

investimenti in progetti e attività industriali basato su tecnologie innovative che sono necessarie per cambiare 

l’attuale corso dei consumi energetici e delle emissioni di anidride carbonica: 

● i dati e le previsioni suggeriscono che l’Unione Europea potrà raggiungere gli obiettivi del Protocollo di Kyoto 

con misure interne, solo attraverso l’applicazione di consistenti aliquote fiscali sui combustibili fossili, limitazioni 

drastiche delle ore di esercizio delle centrali termoelettriche, ricorso forzato a fonti rinnovabili e non convenzionali. 

Oltre ai costi diretti, queste misure potrebbero mettere in pericolo la sicurezza della fornitura di energia, 

considerando che l’Unione Europea è la regione che importa la maggiore quantità netta di energia a livello 

mondiale in termini assoluti, quasi la metà del proprio fabbisogno; 

● gli investimenti richiesti alle imprese nel mercato interno europeo per rispettare il tetto di emissioni, per 

evidenti ragioni connesse alla continuità delle produzioni, non potranno essere orientati a tecnologie innovative 

“di svolta” (fonti rinnovabili, celle a combustibile e idrogeno) e, nello stesso tempo, assicureranno una riduzione 

delle emissioni di gran lunga inferiore rispetto a quanto sarebbe possibile ottenere a parità di investimenti 

nell’ambito dei meccanismi di JI e CDM. 

In conclusione, le strategie e le politiche sui cambiamenti climatici, così come il Protocollo di Kyoto, dovrebbero 

essere incoraggiate come veicolo per promuovere lo sviluppo di nuove tecnologie e la cooperazione tecnologica 

internazionale verso lo sviluppo sostenibile del pianeta. Piuttosto che utilizzare il Protocollo come vincolo per 

imporre ulteriori regole e obblighi unilaterali che hanno notevole impatto ambientale ed economico, è meglio 

orientare i meccanismi e le regole di mercato verso l’incentivazione del settore privato allo sviluppo e utilizzo di 

tecnologie più efficienti. 

Questo è il messaggio positivo che il Governo Italiano, che ospita la Nona Conferenza delle Parti della Convenzione 

Quadro sui Cambiamenti Climatici, vorrebbe portare. 

Corrado Clini, Alessandro Ortis, 

Direttore generale del Ministero dell’Ambiente Direttore generale del Ministero 

e della Tutela del territorio delle Attività Produttive 


di Corrado Clini, Direttore generale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio 

Dalla convenzione quadro sui 

cambiamenti climatici sottoscritta 

nel 1992 a oggi, con la 

pubblicazione della direttiva 

“emission trading”, numerosi 

sono stati gli accordi e i programmi 

internazionali mirati 

a ridurre il livello di emissioni 

dei cosiddetti “gas serra”. In 

questo senso, l’Italia, che ha ratificato 

di recente il Protocollo 

di Kyoto con la legge 1˚ giugno 

2002, n. 120 e che quest’anno 

ospita la Conferenza 

internazionale sui cambiamenti 

climatici, è chiamata a invertire 

il trend crescente del livello 

di emissioni che, se confermato, 

arriverà, nel 2010, a quota 

580 milioni di tonnellate di 

carbonio (Mt). D’altro canto, il 

forte aumento della domanda 

energetica soprattutto nei Paesi 

cosiddetti “a economia emergente” 

potrà determinare un 

ruolo chiave per le imprese italiane 

nel trasferimento di tecnologie 

“pulite” nei mercati in 

fase di sviluppo, con i quali sono 

stati avviati già accordi di 

cooperazione economica. 

SPECIALE 

Il Piano nazionale per la riduzione 

delle emissioni di gas serra, 

approvato dal Comitato Interministeriale 

per la Programmazione 

Economica il 20 dicembre 2002, è il 

risultato di una lunga consultazione 

ed elaborazione che ha coinvolto i 

Ministeri, le regioni e i settori industriali 

e produttivi nazionali interessati, 

al fine di individuare i programmi 

e le misure per la riduzione delle 

emissioni di gas serra più coerenti 

con l’obiettivo della modernizzazione 

e dell’aumento dell’efficienza 

dell’economia italiana, come indicato 

dalla legge di ratifica del Protocollo 

di Kyoto 1˚ giugno 2002, n. 

120 [1] . 

Nello stesso tempo, come disposto 

dalla stessa legge di ratifica, il 

piano è saldamente incardinato nel 

contesto e nelle procedure della Convenzione 

Quadro sui Cambiamenti 

Climatici e del Protocollo di Kyoto. 

La dimensione degli obiettivi di 

riduzione delle emissioni, le misure 

indicate, gli effetti attesi e le metodologie 

di valutazione dell’efficacia 

delle misure devono essere considerate 

nel contesto internazionale, nel 

quale il piano si colloca come contributo 

dell’Italia alla strategia globale 

necessaria per affrontare la sfida planetaria 

dei cambiamenti climatici. 

La Convenzione Quadro 

sui Cambiamenti Climatici 

(giugno 1992) 

La Convenzione Quadro sui 

Cambiamenti Climatici sottoscritta 

ARIA - COP9 

Articolo 

Determinante l’applicazione del Joint Implementation e del Clean Development Mechanism 

Emissioni e meccanismi di mercato: 

quali prospettive e ricadute per l’Italia? 

nel 1992 e ratificata da 178 paesi (il 

Senato USA ha ratificato in ottobre 

1992 e il Parlamento italiano nel 

gennaio 1994), impegna i paesi firmatari 

ad adottare misure per la riduzione 

delle emissioni di anidride 

carbonica, provocata in larga misura 

dall’impiego dei combustibili fossili 

come fonte di energia e calore, 

alla quale è attribuita la responsabilità 

di contribuire all’aumento della 

temperatura. 

La Convenzione assume come 

obiettivo di riferimento la stabilizzazione 

della concentrazione in atmosfera 

di anidride carbonica a livelli 

non pericolosi per gli equilibri climatici. 

Il Protocollo di Kyoto 

(dicembre 1997) 

La Terza Conferenza delle Parti 

firmatarie della Convenzione sui 

Cambiamenti Climatici ha approvato, 

a Kyoto nel dicembre 1997, un 

Protocollo che individua le prime 

misure per la riduzione delle emissioni 

di anidride carbonica e di altri 

cinque gas a effetto serra (metano, 

protossido di azoto e tre composti 

fluorurati) 

Inoltre, tra le misure da adottare 

per la riduzione della concentrazione 

di anidride carbonica viene indicato 

anche l’assorbimento di carbonio 

atmosferico attraverso la riforestazione 

e le attività agroforestali. 

Il Protocollo impegna i paesi industrializzati 

a ridurre le proprie 

emissioni, entro il 2012, nella misu- 

[1] «Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a 

Kyoto l’11 dicembre 1997» (in S.O. n. 129 alla Gazzetta Ufficiale n. 142 del 19 giugno 2002). Si veda anche D. Verdesca, Con 

la ratifica del Protocollo di Kyoto nuovi strumenti per la lotta ai gas serra in Ambiente&Sicurezza n. 15/2002, pag. 72. 


ARIA - COP9 

Articolo 

ra complessiva del 5,2% rispetto ai 

livelli del 1990. 

Considerando che ogni riduzione 

delle emissioni è efficace indipendentemente 

dal luogo del pianeta 

nel quale viene realizzata, il Protocollo 

prevede che le misure nazionali 

di riduzione potranno essere integrate: 

● dalla realizzazione 

di progetti 

comuni tra più paesiindustrializzati 

(Joint Implementation) 

o con paesi 

in via di sviluppo 

(Clean Development 

Mechanism), 

sia per la riduzione 

delle emissioni 

mediante l’impiego 

di tecnologie 

più efficienti e delle 

energie rinnovabili 

sia per l’assorbimento 

del carbonio 

atmosferico attraverso la realizzazione 

di nuove foreste e attività 

agro-forestali; 

● attraverso il commercio internazionale 

dei permessi di emissione, 

(Emissions Trading). 

Il Terzo Rapporto sul Clima 

dell’ICCP (settembre 2001) 

Il Rapporto, approvato nel settembre 

2001 a Londra dai rappresentanti 

dei 178 paesi che hanno 

ratificato la Convenzione Quadro 

sui Cambiamenti Climatici, rileva 

che: 

● nell’ultimo secolo la concentrazione 

atmosferica di anidride carbonica 

è aumentata del 30% a causa 

dell’impiego dei combustibili fossili; 

a questo aumento corrisponderebbe 

una crescita delle temperatura 

media del pianeta di 0,6 ˚C, che 

sarebbe a sua volta la causa principale 

delle anomalie climatiche che 

si manifestano con crescente frequenza 

e intensità; 

● la domanda globale di energia 

nei prossimi 30 anni aumenterà di 

oltre il 50% rispetto ai livelli attua- 

li, prevalentemente per la crescita 

delle economie emergenti, in particolare 

della Cina, dell’India, dei 

Paesi dell’Asia orientale, del Brasile, 

oltreché della Russia. Se a questo 

aumento della domanda si farà 

fronte con i combustibili fossili e le 

tecnologie tradizionali, le emissioni 

globali potrebbero 

subire un incremento 

di oltre 

il 60% rispetto ai 

livelli attuali, 

con conseguenze 

rilevanti sugli 

equilibri climatici 

del pianeta; 

● per raggiungere 

l’obiettivo della 

stabilizzazione 

della concentrazione 

di anidride 

carbonica in atmosfera 

indicato dalla 

Convenzione: 

- nel breve periodo 

sono necessarie misure per rallentare 

la crescita delle emissioni, 

attraverso la riduzioni dei consumi 

energetici e l’aumento della capacità 

di assorbimento del carbonio da 

parte delle foreste; 

- al più tardi dal 2025-2030, 

sarà necessaria una riduzione drastica 

delle emissioni (fino al 50% 

rispetto ai livelli attuali), possibile 

solo attraverso una “svolta tecnologica” 

globale in grado di rispondere 

alla crescente domanda di energia 

con il ricorso a fonti alternative 

ai combustibili fossili e l’impiego 

di tecnologie a bassa intensità 

di carbonio. 

Secondo il Rapporto, il Protocollo 

di Kyoto rappresenta dunque 

il primo passo verso la stabilizzazione 

della concentrazione di 

anidride carbonica, ovvero un’occasione 

per sperimentare e 

“testare” il sistema di programmi, 

regole e misure, che dovranno costituire 

la base degli impegni globali 

di riduzione delle emissioni 

da adottare entro la fine di questo 

decennio. 

La domanda globale di 

energia nei prossimi 30 

anni aumenterà di oltre 

il 50% rispetto ai livelli 

attuali, prevalentemente 

per la crescita delle 

economie emergenti; 

ciò potrebbe portare 

a un incremento delle 

emissioni pari al 60% 

SPECIALE 

L’accordo di Marrakech 

(novembre 2001) 

La settima Conferenza delle Parti 

firmatarie della Convenzione sui 

Cambiamenti Climatici, nel novembre 

2001 a Marrakech, dopo un lungo 

e controverso negoziato, ha approvato 

le procedure per l’attuazione 

del Protocollo di Kyoto. 

Alla luce del Terzo rapporto sul 

Clima, l’accordo di Marrakech 

considera in modo “realistico” il 

ruolo del Protocollo di Kyoto e 

assume come punto di riferimento 

l’esigenza di integrare le ragioni e 

le prospettive della crescita economica 

con quelle della riduzione 

delle emissioni di anidride carbonica, 

senza introdurre nuovi vincoli 

e regole che possano avere effetti 

negativi sulle economie dei paesi 

sviluppati e senza, peraltro, produrre 

corrispondenti risultati ambientali 

globali. 

L’accordo dà avvio all’impiego 

dei meccanismi di Joint Implementation 

(JI) e Clean Development Mechanism 

(CDM) del Protocollo di 

Kyoto tali per cui i progetti industriali 

ad elevata efficienza energetica 

o con l’impiego delle fonti rinnovabili 

e i progetti di riforestazione 

che assorbono carbonio atmosferico, 

realizzati in cooperazione tra 

più paesi industrializzati (JI) o con i 

paesi in via di sviluppo (CDM), generano 

“crediti di emissione” o 

“crediti di carbonio”, che possono 

essere utilizzati per “scontare” gli 

obiettivi nazionali di riduzione delle 

emissioni altrimenti raggiungibili 

unicamente con interventi sul sistema 

energetico interno, in molti casi 

più costosi e socialmente più complessi. 

L’impiego dei meccanismi consente 

ampia flessibilità nella definizione 

delle misure di riduzione delle 

emissioni da parte dei paesi sviluppati 

al fine di ottenere il massimo 

risultato con il minor costo e, 

nello stesso tempo, rappresenta 

uno strumento innovativo per il trasferimento 

di tecnologie efficienti 

e sostenibili nei paesi in via di svi- 


luppo e nelle economie emergenti, 

con rilevanti e positivi effetti ambientali 

a livello locale e globale. 

La realizzazione dei progetti nell’ambito 

dei meccanismi è affidata 

quasi interamente alle imprese che 

dovranno valutare la convenienza di 

acquisire crediti di emissione tramite 

la cooperazione tecnologica internazionale, 

piuttosto che attraverso 

interventi sugli impianti e i sistemi 

industriali esercitati nei rispettivi 

mercati interni. E in questa prospettiva, 

Joint Implementation e Clean 

Development Mechanism rappresentano 

una straordinaria “driving force” 

per il trasferimento di tecnologie 

“pulite” nei mercati emergenti e 

per lo sviluppo della cooperazione 

economica con i nuovi protagonisti 

dell’economia mondiale. 

L’accordo riconosce, inoltre, che 

i “crediti di carbonio”, corrispondenti 

al quantitativo di questo elemento 

assorbito dalle nuove foreste, dalla 

gestione dei terreni coltivati, dalla 

gestione dei terreni da pascolo e dalla 

rivegetazione, possono essere utilizzati 

nel “conto nazionale” della 

riduzione delle emissioni. 

In questa prospettiva i “crediti di 

carbonio” sono destinati a rappresentare 

un significativo valore aggiunto 

per le foreste, perché gli alberi 

saranno valutati non solo in termini 

di legname e cellulosa prodotti, 

ma anche in relazione alla capacità 

di assorbimento del carbonio e di 

generazione di crediti. 

E, infine, l’accordo getta le basi 

per l’organizzazione del commercio 

internazionale dei permessi di emissione, 

il cosiddetto “Emissions Trading 

Scheme”, un meccanismo di 

mercato che prevede: 

● la definizione di un tetto massimo 

(cap) di emissioni per ogni paese; 

● l’allocazione, da parte delle Autorità 

nazionali e nell’ambito del 

“cap” nazionale, dei permessi di 

emissione (budget) destinati agli impianti 

industriali; 

● il riconoscimento alle imprese 

che hanno effettuato interventi 

tecnologici per la riduzione delle 

SPECIALE 

proprie emissioni al di sotto del 

budget assegnato, di crediti corrispondenti 

alla riduzione ottenuta; 

● la collocazione dei crediti sul 

mercato dei permessi di emissione. 

I compratori dei crediti possono 

essere imprese che: 

● non intendono effettuare interventi 

tecnologici per 

rispettare il budget 

assegnato e 

che, pertanto, necessitano 

di quote 

aggiuntive di emissione; 

● necessitano dei 

permessi di emissione(eventualmente 

non disponibili 

da parte dell’autorità 

pubblica 

che deve rispettare 

il “cap” nazionale) 

per installare 

nuove attività; 

● il riconoscimento 

dei crediti derivanti dai progetti 

di cooperazione internazionale realizzati 

nell’ambito di Joint Implementation 

e Clean Development 

Mechanism, che possono essere usati 

dalle imprese per rispettare il rispettivo 

budget di emissioni. 

In altri termini, la “strumentazione” 

di cui viene dotato il Protocollo, 

da un lato, è finalizzata alla 

sperimentazione dei meccanismi 

globali approvati a Kyoto nel 1997, 

ma mai avviati, e, dall’altro, è fortemente 

orientata allo sviluppo tecnologico 

e alla promozione della cooperazione 

internazionale in campo 

energetico e forestale. 

L’impegno e le politiche 

della Ue nel post-Marrakech 

Il Consiglio dei Ministri dell’Ambiente 

della Ue del 17 giugno 1998 

ha ripartito tra gli Stati Membri l’impegno 

comune di riduzione delle 

emissioni stabilito dal Protocollo (- 

8% entro il 2012 rispetto al 1990). 

La decisione del 17 giugno è 

stata fondata principalmente su un 

criterio di “unilateralità” e ha con- 

Joint Implementation e 

Clean Development 

Mechanism 

rappresentano uno 

straordinario input 

per il trasferimento di 

tecnologie “pulite” nei 

mercati emergenti, con i 

quali avviare accordi di 

cooperazione economica 

ARIA - COP9 

Articolo 

siderato che gli impegni dei singoli 

Stati Membri avrebbero dovuto 

essere rispettati principalmente attraverso 

programmi nazionali di riduzione 

delle emissioni nel settore 

energetico. La ripartizione ha tenuto 

conto del livello di crescita economica, 

dell’efficienza del sistemaenergeticoproduttivo 

e della 

struttura industriale 

dei singoli 

paesi. I maggiori 

oneri di riduzione 

sono risultati 

a carico 

di quei paesi che 

nel 1990 avevano 

una struttura 

energetico-produttiva 

a bassa 

efficienza e ad alto 

impiego di carbone 

(Gran Bretagna 

-12,5% e 

Germania - 

21%, senza considerare il Lussemburgo 

con - 28%). In questi paesi, 

i costi “marginali” di riduzione sono 

stati relativamente ridotti, perché 

il recupero di efficienza coincide 

con la crescita economica e 

l’aumento della competitività dei 

rispettivi sistemi nazionali. 

Per altri paesi, che devono recuperare 

un “gap” di sviluppo economico 

rispetto alla media europea, 

è stato stabilito un limite alla 

crescita delle emissioni: Portogallo 

(+28%), Grecia (+25%), Spagna 

(+15%) e Irlanda (+13%). Ai 

paesi che hanno già raggiunto 

un’elevata efficienza energetica 

nel settore industriale, come Italia 

e Olanda, è stato attribuito un 

obiettivo di riduzione più modesto 

in valori assoluti (- 6,5% e - 6%), 

ma che avrebbe, tuttavia, richiesto 

un costo marginale relativo più elevato 

a causa dei livelli di efficienza 

già raggiunti prima del 1990. A 

seguito dell’accordo di Marrakech, 

non sono stati modificati i termini 

della ripartizione degli obiettivi 

di riduzione tra gli Stati Mem- 


ARIA - COP9 

Articolo 

bri, ma le opzioni possibili per le 

misure di diminuzione sono risultate 

molto più aperte rispetto al 

criterio “unilaterale” adottato dalla 

decisione del 17 giugno 1998. 

In particolare, l’utilizzazione dei 

crediti di carbonio generati dalle foreste 

e dalle attività agroforestali e 

dei crediti di 

emissioni derivanti 

dai progetti 

realizzati nell’ambito 

dei meccanismi 

di JI e CDM, 

consentono una 

ampia flessibilità 

nelle scelte nazionali 

e favoriscono 

una significativa 

riduzione dei 

costi a parità di 

risultati in termini 

di riduzione 

delle emissioni. 

Inoltre, l’avvio 

del meccanismo 

di Emissions Trading per il 

commercio dei permessi di emissione 

introduce ulteriori elementi di 

flessibilità. 

A questo proposito, la recentissima 

direttiva 2003/87/CE [2] , che ha 

istituito il mercato europeo dei permessi 

di emissione, e la direttiva 

attualmente in discussione sul riconoscimento 

nel mercato dei permessi 

dei “crediti di carbonio” e dei 

“crediti di emissione” derivanti dai 

progetti JI e CDM, rappresentano 

una svolta significativa rispetto ai 

criteri adottati per la decisione del 

17 giugno 1998. 

Il PN per la riduzione dei 

gas serra (dicembre 2002) 

La legge di ratifica del Protocollo 

di Kyoto del giugno 2002 fa 

riferimento esplicito ai contenuti e 

agli strumenti individuati dall’ac- 

Con i “crediti di 

carbonio” gli alberi 

saranno valutati non 

solo in termini di 

legname e cellulosa 

prodotti, ma anche in 

relazione alla capacità 

di assorbimento 

del carbonio e di 

generazione di crediti 

SPECIALE 

cordo di Marrakech e dispone la 

revisione della delibera del CIPE 

19 novembre 1998, n. 137, che aveva 

approvato le «Linee Guida per 

le politiche e misure nazionali di 

riduzione delle emissioni» [3] basate 

quasi esclusivamente su programmi 

e interventi sul sistema energetico 

interno. 

A questo proposito, 

va ricordato 

che la delibera del 

CIPE prevedeva 

un fabbisogno di 

investimenti pubblici 

e privati pari 

a circa 100.000 - 

115.000 miliardi 

di lire in dieci anni, 

ai quali avrebbero 

dovuto corrispondere 

risparmi 

nei consumi energetici 

pari a circa 

78.000-85.000 miliardi. 

La criticità di questo impegno 

economico non è tanto rappresentata 

dal bilancio netto a conclusione 

del decennio, quanto dalla dimensione 

degli investimenti necessari nel 

primo periodo (due-sei anni), durante 

il quale non si manifesteranno 

risultati in termini di risparmio energetico, 

ma potrebbe, invece, determinarsi 

una sottrazione di risorse 

per altri settori “vitali”, con effetti 

macroeconomici difficilmente valutabili. 

Partendo da queste premesse, il 

“Piano nazionale per la riduzione 

delle emissioni dei gas responsabili 

dell’effetto serra 2003-2010”, approvato 

dal Comitato Interministeriale 

per la Programmazione Economica 

il 19 dicembre 2002, è stato elaborato 

assumendo quattro criteri principali: 

● le misure per la riduzione delle 

emissioni nel mercato interno devono 

considerare gli elevati standard 

di efficienza energetica e la bassa 

“intensità di carbonio” dell’economia 

dell’Italia, ben rappresentati dai 

rapporti della Agenzia Internazionale 

dell’Energia. Pertanto, le misure 

“nazionali” per la riduzione delle 

emissioni devono essere coerenti 

con le politiche di modernizzazione 

dell’economia italiana, evitando 

l’imposizione di ulteriori vincoli al 

sistema industriale e tenendo conto, 

nello stesso tempo, dell’esigenza di 

garantire la sicurezza energetica del 

Paese e dell’obiettivo di raggiungere 

il migliore risultato con il minor 

costo; 

● dovrà essere ottimizzata la capacità 

“nazionale” di assorbimento di 

carbonio atmosferico, sia attraverso 

un nuovo inventario e una più 

efficiente gestione del patrimonio 

forestale e boschivo sia attraverso 

la realizzazione di nuove piantagioni 

forestali, avendo presente l’obiettivo 

di contribuire, nello stesso tempo, 

alla sicurezza idrogeologica del 

territorio e all’aumento del volume 

di biomassa disponibile per la produzione 

di energia da fonti rinnovabili; 

● dovranno essere promossi e facilitati 

i programmi per la acquisizione 

di “crediti di carbonio” e di 

“crediti di emissione” nell’ambito 

dei meccanismi di cooperazione internazionale 

del Protocollo di Kyoto 

(Clean Development Mechanism 

e Joint Implementation), sia attraverso 

progetti in campo energetico e 

forestale delle imprese italiane sia 

attraverso la partecipazione ai 

“Carbon Fund” presso le istituzioni 

finanziarie internazionali o le 

agenzie nazionali dei paesi in via di 

sviluppo e dei paesi con economia 

in transizione; 

● l’allocazione dei permessi di 

[2] «Direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 che istituisce un sistema per lo scambio di 

quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio» (in G.U.C.E. Ldel 

25 ottobre 2003, n. 275). Ulteriori approfondimenti sui prossimi numeri di Ambiente&Sicurezza. 

[3] In Gazzetta Ufficiale del 10 febbraio 1999, n. 33. 


emissione nel mercato interno e la 

partecipazione delle imprese italiane 

al sistema europeo di Emissions 

Trading dovranno essere finalizzate 

al riconoscimento e alla valorizzazione 

delle performace di efficienza 

già raggiunte dal sistema industriale 

italiano. 

Il piano individua i programmi e 

le misure da attuare per rispettare 

l’obiettivo di riduzione delle emissioni 

dei gas serra attribuito all’Italia, 

tali per cui, entro il 2008-2012, i 

livelli dovranno essere ridotti del 

6,5%, rispetto al 1990, dovendo, 

quindi, passare da 521 milioni di 

tonnellate di carbonio (Mt) del 1990 

a 487 Mt. Il gap teorico da colmare 

è, pertanto, pari a 34 Mt. 

Tuttavia, dal 1990 le emissioni 

sono aumentate a 546 Mt. e lo 

“scenario tendenziale” al 2010, qualora 

non vengano adottate misure, 

risulta pari a 580 Mt. Il “gap” effettivo 

stimato è, dunque, di 93 Mt. 

Il piano considera, da un lato, le 

misure già adottate e in fase di attuazione 

che concorrono al raggiungimento 

dell’obiettivo di riduzione 

delle emissioni e individua, dall’altro, 

un “set” di ulteriori misure possibili 

in campo energetico e forestale, 

a livello nazionale e internazionale. 

Le misure già adottate 

Queste misure comprendono 

l’attuazione di programmi già previsti 

da leggi e direttive europee, 

da decreti ministeriali e da delibere 

del CIPE, in materia di produzione 

di energia, di riduzione dei 

consumi energetici, di smaltimento 

dei rifiuti, di miglioramento dell’efficienza 

nei trasporti, progetti 

già avviati nell’ambito del Clean 

Development Mechanism. 

In particolare, tra le misure 

che si considerano già adottate, 

sono state comprese quelle che 

riguardano l’aumento della produzione 

nazionale e delle importazioni 

di energia elettrica, per 

rispondere all’incremento della 

richiesta sulla rete da 299 TWh 

SPECIALE 

nel 2000 a 364 TWh nel 2010. 

L’aumento della produzione considera 

il completamento della riqualificazione 

del parco termoelettrico 

con la trasformazione a cicli combinati 

e la realizzazione di nuovi impianti 

con un aumento della percentuale 

di gas naturale nel mix energetico 

dal 35% al 52%. Per quanto 

riguarda gli altri combustibili, viene 

considerato un aumento dal 9% al 

12% del carbone, 

una crescita dell’impiego 

delle 

rinnovabili diversedall’idroelettrico 

dal 3,3% al 

7,8% e dell’idroelettico 

fino al 

20%, nonché una 

riduzione dell’oliocombustibile 

al 10%. 

Per effetto di 

queste misure, la 

crescita delle 

emissioni al 2010 

è stimata in 528 

Mt contro le 580 

dello “scenario tendenziale”; questo 

è il cosiddetto “scenario di riferimento” 

che riduce il gap a circa 40 

Mt. Sulla base di questo scenario 

sono stati indicati i livelli massimi 

di emissione per i diversi settori. 

Questi livelli, per i settori energetico 

e industriale, del terziario e dei 

trasporti, corrispondono a valori 

che, comunque, dovrebbero essere 

raggiunti per effetto delle misure 

già adottate; pertanto, il piano non 

introduce ulteriori programmi, obblighi 

e costi aggiuntivi per questi settori. 

Inoltre, le imprese dei settori 

energetico e industriale potranno ricorrere, 

senza limitazioni, al mercato 

dei permessi di emissione, secondo 

quanto previsto dalla direttiva 

Europea “Emissions Trading” 

2003/87/CE, che entrerà in vigore 

nel 2005, e dalla direttiva “Linking” 

che stabilirà, entro il 2004, le 

regole per l’impiego dei crediti derivanti 

dai meccanismi di Joint Imple- 

Il Piano nazionale per la 

riduzione delle emissioni 

di gas serra si colloca nel 

contesto internazionale 

come contributo 

dell’Italia alla strategia 

globale necessaria per 

affrontare la sfida 

planetaria dei 

cambiamenti climatici 

ARIA - COP9 

Articolo 

mentation e Clean Development 

Mechanism. 

Le misure per 

l’assorbimento di carbonio 

Le misure per l’assorbimento di 

carbonio nel settore agricolo e forestale 

a livello nazionale comprendono 

iniziative per l’aumento e la migliore 

gestione delle aree forestali e 

boschive, il recupero di territori abbandonati, 

la prote- 

zione del territorio 

dai rischi di dissesto 

e la desertificazione 

mediante afforestazione 

e riforestazione. 

Queste misure 

consentono un’aumento 

della capacità 

di assorbimento 

del carbonio 

corrispondente a 

una riduzione equivalente 

di emissioni 

per un totale di 

circa 10 Mt, che riduce 

il “gap” a 

30 Mt. 

Senza considerare le esternalità 

positive per la protezione dell’ambiente 

e del territorio, gli investimenti 

necessari per la realizzazione 

di queste misure corrispondono a un 

costo di abbattimento per tonnellata 

di carbonio inferiore a 5 euro, contro 

un costo per le misure interne 

nel settore energetico stimato attorno 

a 20-30 euro. 

Le ulteriori misure 

di riduzione delle emissioni 

Per l’individuazione delle ulteriori 

misure di riduzione delle emissioni, è 

stato definito un set aperto di opzioni, 

individuate assumendo il criterio della 

“ottimizzazione” degli effetti ambientali 

di misure finalizzate prioritariamente 

alla modernizzazione dell’economia 

italiana e tenendo conto 

dell’esigenza di raggiungere il migliore 

risultato di riduzione delle emissioni 

con il minor costo. 

Le opzioni indicate consentono 


ARIA - COP9 

Articolo 

un’ampia flessibilità, al fine dell’individuazione 

delle soluzioni meno 

costose e più vantaggiose per lo sviluppo 

di nuove iniziative, in particolare 

nei settori delle tecnologie energetiche 

e dei trasporti e per l’apertura 

di nuovi mercati alle imprese italiane 

attraverso i meccanismi di Clean 

Development Mechanism e Joint 

Implementation. 

Alcuni programmi individuati sono 

già in fase di attuazione, come 

ad esempio la promozione della microcogenerazione 

di elettricità e calore 

distribuita, la diffusione di elettrodomestici 

e di dispositivi elettrici 

ad alta efficienza, l’introduzione di 

nuovi motori industriali ad alta efficienza, 

l’eliminazione delle emissioni 

di acido adipico e nitrico in alcuni 

settori industriali nonché lo sviluppo 

di progetti nell’ambito del 

Clean Development Mechanism e 

Joint Implementation. 

La realizzazione di questi programmi 

- i cui costi netti, nel corso 

dei prossimi 8 anni, sono compresi 

tra 120 e 300 milioni di euro - consentirà 

di colmare il “gap” residuo 

di riduzione delle emissioni pari 30 

Mt. Va, tuttavia, considerato che il 

costo sarà tanto più ridotto quanto 

più rapidi saranno i “ritorni” in termini 

di risparmio energetico e di 

acquisizione dei “crediti” attraverso 

i progetti CDM e JI. 

Altri programmi destinati al mercato 

interno, individuati dal piano e 

già avviati, avranno, invece, effetti 

nel medio periodo, ovvero oltre il 

2012; questo è, in particolare, il 

caso del “progetto idrogeno”, delle 

misure previste per la sostituzione 

di oltre 10 milioni di veicoli circolanti 

con nuovi veicoli ad alta efficienza 

e basse emissioni nonché 

dei progetti per la realizzazione delle 

infrastrutture nel settore del trasporto. 

Questi programmi, coerenti con 

le politiche per la modernizzazione 

dell’economia, hanno un potenziale 

di riduzione delle emissioni compreso 

tra 30 e 60 Mt. 

SPECIALE 

II ricorso a CDM e JI 

In generale, le misure individuate 

con il criterio della migliore efficienza 

e del minor costo fanno riferimento 

per almeno il 40-50% a programmi 

e iniziative da realizzare 

mediante i meccanismi di cooperazione 

internazionale previsti dal Protocollo 

di Kyoto. 

L’obiettivo di questi programmi 

e iniziative è quello di utilizzare il 

“fattore ambiente” come veicolo 

per la internazionalizzazione e la diffusione 

delle tecnologie e delle imprese 

italiane, sulla base di quattro 

considerazioni principali: 

● ai fini della riduzione delle emissioni 

globali di anidride carbonica, 

ovvero dei consumi di combustibili 

fossili, la realizzazione di progetti 

industriali JI e CDM a elevata efficienza 

energetica o con l’impiego 

delle fonti rinnovabili, comporta generalmente 

costi marginali inferiori 

rispetto a quelli necessari per raggiungere 

gli stessi risultati di riduzione 

delle emissioni nei mercati interni 

dei paesi sviluppati; 

● l’impiego dei meccanismi costituisce 

una rilevante opportunità per 

l’abbattimento dei costi di riduzione 

delle imprese europee, che dovranno 

rispettare entro il 2010 un tetto massimo 

di emissioni, come previsto dalla 

direttiva europea “Emissions Trading”. 

E questo è particolarmente vero 

per le imprese italiane che hanno 

già raggiunto gli standard più elevati 

di efficienza energetica e le migliori 

performance di “carbon intensità” tra 

i paesi europei e che, pertanto, dovrebbero 

sostenere costi marginali molto 

elevati per ottenere, comunque, modesti 

risultati in termini di riduzione di 

emissioni; 

● il trasferimento di tecnologie 

energetiche avanzate nei paesi dell’Europa 

centro orientale e in quelli 

in via di sviluppo, potrebbe avere 

un effetto calmierante sui rischi di 

“dumping” connessi all’impiego in 

questi paesi di tecnologie obsolete; 

● la domanda globale di energia nei 

prossimi 30 anni aumenterà di oltre 

il 50% rispetto ai livelli attuali, preva- 

lentemente per la crescita delle economie 

emergenti, in particolare di Cina, 

India, dei paesi dell’Asia orientale, 

del Brasile, oltrechè della Russia. 

Se a questo aumento della domanda 

non si farà fronte con tecnologie efficienti 

per l’impiego dei combustibili 

fossili e con una crescita significativa 

della valorizzazione energetica 

delle fonti rinnovabili, le emissioni 

globali di anidride carbonica potrebbero 

subire un incremento di oltre il 

60% rispetto ai livelli attuali. 

E in questa prospettiva, Joint Implementation 

e Clean Development 

Mechanism rappresentano per le imprese 

italiane anche una straordinaria 

“driving force” per il trasferimento 

di tecnologie nei mercati emergenti e 

per lo sviluppo della cooperazione 

economica con i nuovi protagonisti 

dell’economia mondiale. 

Per favorire lo sviluppo di progetti 

delle imprese italiane nell’ambito 

dei meccanismi, il Ministero 

dell’Ambiente e della Tutela del 

Territorio ha sottoscritto accordi bilaterali 

e ha avviato programmi di 

collaborazione con la Cina, l’Algeria, 

il Marocco, la Tunisia, l’Egitto, 

la Bulgaria, la Romania. Altri accordi 

sono in fase di preparazione con 

paesi della regione mediterranea e 

dell’America Latina. Inoltre, il Ministero 

partecipa al “Community 

Development Carbon Fund” della 

Banca Mondiale, presso la quale ha 

istituito un “Italian Trust Carbon 

Fund” finalizzato a sostenere progetti 

italiani di cooperazione energetica 

e ambientale con i Paesi in via 

di sviluppo. 

In conclusione, il piano nazionale 

per la riduzione delle emissioni 

di gas responsabili dell’effetto serra 

costituisce un’agenda e una guida 

per lo sviluppo sostenibile dell’Italia 

e per la promozione di un nuovo 

ruolo delle imprese italiane nei mercati 

internazionali delle tecnologie 

“pulite” per la protezione dell’ambiente 

globale. l 


di Jacopo Giliberto, giornalista - Il Sole 24 ORE 

Il summit mondiale sul clima 

che si terrà a Milano dal 1˚ al 

12 dicembre 2003 offre l’occasione 

per passare in rassegna 

una serie di temi legati al problema 

“effetto serra”. Innanzitutto, 

è bene tenere a mente 

come, a monte di tutto, vi siano 

le ben note emissioni di anidride 

carbonica, a loro volta 

causate dal consumo di fonti 

carboniose in applicazioni che 

vanno dalle centrali elettriche 

alle stufe, dai motori delle automobili 

fino alle caldaie condominiali. 

Ciò rimanda, implicitamente, 

a un’analisi dei consumi 

energetici il cui trend èin 

costante aumento anche per il 

crescente fabbisogno dei Paesi 

in fase di sviluppo. Le uniche 

soluzioni in grado di spezzare 

questo “circolo vizioso”, in modo 

da conciliare crescita, benessere 

e ambiente, sono quelle 

offerte dalle “tecnologie pulite” 

e da strumenti in grado di 

“monetizzare” le politiche rispettose 

dell’ambiente, come 

il cosiddetto meccanismo dell’“emission 

trading”, recentemente 

ufficializzato a livello 

europeo con la direttiva 

2003/87/CE. 

SPECIALE 

Durante la Conferenza di dicembre potrebbe essere deciso il futuro del Protocollo di Kyoto 

Carbonio, consumi, clima e sviluppo 

le parole chiave del Cop9 di Milano 

Al via a Milano il summit mondiale 

del clima, nel quale potrebbe 

essere deciso il futuro 

del Protocollo di Kyoto. Si tratta della 

9 a Conferenza degli Stati Parte (in 

sigla Cop9) della Convenzione quadro 

delle Nazioni Unite sul cambiamento 

del clima, che si svolgerà alla 

Fiera di Milano dal 1˚ al 12 dicembre 

2003. 

Alla conferenza - organizzata dall’organismo 

ONU Unfcc in collaborazione 

con il Ministero italiano dell’Ambiente 

nelle vesti di “padrone di 

casa” e dalla Regione Lombardia - 

parteciperanno circa 4.000 delegati, 

ma sarà seguita anche da migliaia di 

altre persone, tra cui rappresentanti 

delle organizzazioni non governative 

(come le associazioni ecologiste), 

giornalisti di tutto il mondo, esperti e 

scienziati. 

Il programma prevede una sessione 

speciale di alto livello che si terrà 

nei giorni 10 e 11 dicembre, durante 

la quale, i ministri di circa settanta 

Paesi prenderanno parte ai vari dibattiti 

in una serie di tavole rotonde. 

Prima dell’apertura dei lavori della 

Cop9, si è riunito nei giorni scorsi a 

Milano il consiglio esecutivo del 

“meccanismo per uno sviluppo pulito” 

(Cdm), uno degli organismi di 

applicazione degli accordi ONU sul 

clima. 

Il tema centrale è il rapporto fra 

energia e ambiente. Sono accusate di 

cambiare il clima le emissioni di anidride 

carbonica, il gas che si sviluppa 

dalla combustione, processo alla 

base di tutti i processi energetici, che 

siano naturali (come le eruzioni dei 

vulcani), biologici (la respirazione di 

animali e piante) o artificiali. 

ARIA - COP9 

Articolo 

L’effetto serra è il riscaldamento 

del clima, a sua volta attribuito all’aumento 

della presenza di anidride carbonica 

nell’aria. Questo gas (innocuo) 

trattiene nell’atmosfera il calore 

che il Sole irraggia sulla Terra. Una 

giusta dose di questo gas è indispensabile 

per la vita sul pianeta; se l’anidride 

carbonica fosse troppo poca, 

infatti, il calore verrebbe disperso e 

la Terra sarebbe ghiacciata. Le piante, 

nella loro fotosintesi clorofilliana, 

assorbono questo gas, con un processo 

biochimico ne ricavano il carbonio 

che serve a costruire rami e foglie 

e liberano nell’aria l’ossigeno 

che avanza alla fine del processo. 

Tuttavia, troppa anidride carbonica 

produce l’effetto opposto. Scalda 

il clima. E la sua presenza è sempre 

più “ingombrante”. Una conferma 

viene non dagli scienziati, sempre 

divisi, ma dalle aziende che producono 

i gas tecnici, cioè gli stabilimenti 

che, mediante un processo di compressione 

e di decompressione, raffreddano 

l’aria fino a riuscire a 

estrarne ossigeno liquido, azoto liquido, 

anidride carbonica liquida e 

gli altri gas (argo, neon e così via); 

per questi, la materia prima è l’aria e 

dai volumi di produzione si accorgono, 

con dati certi, industriali, di un 

aumento della presenza di anidride 

carbonica. 

La scienza conferma che la concentrazione 

in atmosfera di anidride 

carbonica, dall’inizio della rivoluzione 

industriale a oggi, ha subito un 

aumento di oltre il 30%, raggiungendo 

un livello attorno a 360 parti per 

milione e a questo aumento è attribuita, 

almeno in parte, la responsabilità 

della progressiva variabilità climati- 


ARIA - COP9 

Articolo 

ca degli ultimi decenni. 

Le fonti antropiche 

di carbonio 

Gli scienziati stanno cercando di 

chiarire fino a che punto è l’uomo a 

cambiare il clima con la sua produzione 

di anidride carbonica. Come 

emette anidride carbonica l’uomo? 

L’energia contenuta nel carbonio è 

stata dissotterrata dai giacimenti petroliferi, 

dalle miniere di carbone, 

dai depositi di metano, è stata fatta 

reagire con l’ossigeno dell’aria nelle 

centrali elettriche, nelle stufe, nei motori 

delle automobili e dei camion 

piuttosto che nelle caldaie condominiali. 

Passando per ciminiere, comignoli 

e tubi di scappamento, il carbonio 

viene aggiunto all’aria dopo essere 

rimasto per millenni innocuamente 

sepolto nel sottosuolo. 

Secondo le stime del World Energy 

Outlook 2002 dell’Agenzia internazionale 

dell’energia (Aie), la domanda 

globale di energia tra il 2000 

e il 2030 aumenterà di oltre il 50%, 

soprattutto per la crescita delle economie 

emergenti (Cina, India, Brasile 

e altri; si veda la figura 1). L’aumento 

della domanda sarà soddisfatto 

sopratutto con i combustibili fossili 

(carbone, petrolio e gas; si vedano 

le figure 2 e 3); di conseguenza, 

l’Aie stima una crescita delle emis- 

SPECIALE 

sioni di anidride carbonica superiore 

del 50% rispetto ai livelli attuali. 

La crescita delle emissioni - dice il 

Terzo rapporto sul clima approvato 

nel 2001 dal Panel intergovernativo 

sui cambiamenti climatici (IPCC) - 

comporterà l’accelerazione del trend 

di aumento della concentrazione in 

atmosfera di anidride carbonica. 

La protezione degli equilibri climatici, 

secondo il Panel IPCC, richiede 

la stabilizzazione della concentrazione 

di anidride carbonica entro 

la fine del secolo a un livello tale 

da non determinare un aumento medio 

della temperatura e una crescita 

del livello dei mari capace di sconvolgere 

i sistemi naturali e le zone 

costiere del pianeta dove si concentra 

oltre il 50% della popolazione. 

La stabilizzazione, entro il 2100, della 

concentrazione di anidride carbonica 

in atmosfera attorno a 550-650 

parti per milione è considerata il risultato 

a cui tendere per contenere 

l’aumento della temperatura media 

al di sotto di due gradi e la crescita 

del livello dei mari al di sotto di 20 

centimetri. Gli “scenari di stabilizzazione” 

dell’IPCC considerano inevitabile, 

almeno fino al 2030, l’aumento 

delle emissioni provocato dalla 

crescita dei consumi di combustibili 

fossili nel breve-medio periodo. 

Qui si pone anche il divario fra le 

esigenze di difesa dell’ambiente e i 

giusti motivi di crescita dei Paesi in 

via di sviluppo; nessuno può, infatti, 

propugnare una protezione del clima 

ottenuta con la crisi economica e la 

povertà di Cina, India e delle altre 

economie emergenti, che concorrono 

in modo determinante all’aumento 

dei consumi mondiali di energia e 

alla conseguente crescita delle emissioni. 

La Convenzione quadro sui cambiamenti 

climatici sottoscritta nel 

1992 e ratificata da 178 Paesi (il Senato 

USA ha ratificato in ottobre 

1992 e il Parlamento italiano nel gennaio 

1994), impegna i Paesi firmatari 

ad adottare misure per la riduzione 

delle emissioni di anidride carbonica, 

provocata in larga misura dall’impiego 

dei combustibili fossili come 

fonte di energia e calore, alla quale è 

attribuita la responsabilità di contribuire 

all’aumento della temperatura. 

La Convenzione assume come obiettivo 

di riferimento la stabilizzazione 

della concentrazione in atmosfera di 

anidride carbonica a livelli non pericolosi 

per gli equilibri climatici. 

Aumento dei consumi e 

difesa del clima 

Dal 2020 la risposta alla domanda 

di energia dovrà essere basata su un 

impiego sempre più diffuso delle fon- 


ti rinnovabili, delle tecnologie dell’idrogeno 

e delle celle a combustibile, 

delle tecnologie “pulite” e ad alta 

efficienza per l’impiego dei combustibili 

fossili nonché delle tecnologie 

per la cattura del carbonio. È lo scenario 

della cosiddetta “decarbonizzazione 

dell’economia”. 

Un altro scenario delineato dall’Aie, 

che si basa sull’effetto economico, 

propone investimenti inferiori 

in cambio di un maggiore affidamento 

alla cogenerazione distribuita, 

cioè alle minicentrali locali ad alta 

efficienza. 

Esperti e politici sono d’accordo 

già su diversi punti, come per esempio 

il fatto che la “liberazione” dalla 

schiavitù dei combustibili fossili richieda 

uno sforzo straordinario di ricerca 

e innovazione, uno “shock” 

tecnologico. Inoltre, la dimensione 

della riduzione delle emissioni necessaria 

per stabilizzare la concentrazione 

di anidride carbonica esigerà un 

impegno da parte di tutti i Paesi, sviluppati 

e in fase di crescita. 

La terza Conferenza delle parti 

(Cop3) aveva approvato a Kyoto nel 

dicembre ’97 il Protocollo che individuava 

le prime misure per la riduzione 

delle emissioni di anidride carbonica 

e di altri cinque gas a effetto 

serra (metano, protossido di azoto e 

tre composti fluorurati). Inoltre, tra 

SPECIALE 

le misure era stato indicato anche 

l’assorbimento di carbonio atmosferico 

attraverso la riforestazione e le 

attività agroforestali. Il Protocollo 

impegna i Paesi industrializzati a ridurre 

le proprie emissioni, entro il 

2012, nella misura complessiva del 

5,2% rispetto ai livelli del 1990. Considerando 

che ogni diminuzione delle 

emissioni è efficace indipendentemente 

dal luogo del pianeta nel quale 

viene realizzata, il Protocollo prevede 

che le misure nazionali di riduzione 

potranno essere integrate dalla 

realizzazione di progetti comuni tra 

più Paesi industrializzati o in via di 

sviluppo, sia per la riduzione delle 

emissioni mediante l’impiego di tecnologie 

più efficienti e delle energie 

rinnovabili sia per l’assorbimento 

del carbonio atmosferico attraverso 

la realizzazione di nuove foreste e 

attività agro-forestali. 

Secondo la Cop7 di Marrakech 

(novembre 2001), bisogna integrare 

le ragioni e le prospettive della crescita 

economica con quelle della riduzione 

delle emissioni senza introdurre 

nuovi vincoli e regole che possano 

avere effetti negativi sulle economie 

dei Paesi sviluppati e senza, peraltro, 

produrre corrispondenti risultati ambientali 

globali. 

Per arrivare all’impegno comune 

è necessario rafforzare i meccanismi 

ARIA - COP9 

Articolo 

di mercati e la cooperazione tecnologica 

internazionale. In altre parole, si 

tratta di organizzare quei meccanismi 

che gli esperti chiamano Clean Development 

Mechanism e Joint Implementation 

e, soprattutto, la “borsa delle 

emissioni”. 

La borsa delle emissioni 

Il concetto della borsa delle emissioni 

passa attraverso la fissazione di 

un tetto alla produzione di emissioni 

di anidride carbonica. Le aziende (o 

i comparti industriali) che supereranno 

questo limite saranno obbligate 

ad acquistare i diritti su un particolare 

mercato. I loro conti, quindi, saranno 

destinati ad appesantirsi sul fronte 

dei margini o su quello dei prezzi, 

fino a perdere, salvo adeguamento, 

di competitività rispetto ai concorrenti. 

Le aziende che, invece, rimarranno 

sotto questo limite potranno vendere 

i diritti e, quindi, chi avrà investito 

in efficienza energetica potrà 

migliorare la redditività o fare concorrenza 

con prezzi più bassi. 

I primi mercati delle emissioni sono 

già attivi negli Usa e in Inghilterra, 

ma i mercati nazionali in genere sono 

troppo piccoli e non portano benefici 

nei Paesi in crescita. Il riscaldamento 

del clima non ha i confini tracciati dei 

Governi. Così i meccanismi economici 

si stanno allargando a livello inter- 


ARIA - COP9 

Articolo 

nazionale, per esempio con la recente 

pubblicazione della «direttiva 2003/ 

87/CE del Parlamento europeo e del 

Consiglio del 13 ottobre 2003 che 

istituisce un sistema per lo scambio 

di quote di emissioni dei gas a effetto 

serra nella Comunità e che modifica 

la direttiva 96/61/CE del Consiglio» 

(in G.U.C.E. L del 25 ottobre 2003, 

n. 275) [1] , o con la non facile direttiva 

europea sul riconoscimento nel mercato 

dei permessi dei “crediti di carbonio” 

e dei “crediti di emissione”, attualmente 

in discussione a Bruxelles. 

Si tratta di incentivare gli investimenti 

ad alta valenza ambientale nei 

Paesi con economie meno sviluppate. 

Un esempio generico. Un’azienda 

italiana potrebbe realizzare in un Paese 

meno ricco uno stabilimento (o una 

centrale elettrica) secondo standard italiani, 

che, essendo fra i più alti al mondo 

in termini di rendimento energetico, 

potrebbero risultare superiori ai parametri 

ambientali medi degli altri stabilimenti 

già realizzati in precedenza. Per 

ottenere un minimo beneficio in un impianto 

italiano - già ad altissimo rendimento 

(l’Italia è in termini di efficienza 

energetica il più “parsimonioso” dei 

Paesi Ocse) - occorrerebbero investimenti 

ingentissimi; al contrario, per 

SPECIALE 

conseguire un risultato ambientale molto 

notevole in un Paese meno sviluppato 

basterebbe, semplicemente, adottare 

la tecnologia italiana. Con l’investimento 

nel Paese meno industrializzato, 

l’efficienza energetica e il risparmio di 

emissioni di anidride carbonica ottenuti 

dall’azienda italiana verrebbero computati 

fra i “crediti” da vantare alla 

Borsa delle emissioni. Un gioco “winwin”, 

cioè nel quale tutte le parti ottengono 

benefici e non c’è alcun perdente, 

nemmeno il Paese di destinazione 

dell’investimento né il clima a livello 

mondiale. 

Il Protocollo di Kyoto rappresenta, 

così, il quadro di riferimento per 

sperimentare il sistema di programmi, 

regole, misure e strumenti di 

mercato per raggiungere gli obiettivi 

di riduzione delle emissioni senza 

compromettere la sicurezza energetica, 

lo sviluppo tecnologico e la 

crescita economica. I meccanismi di 

cooperazione offrono alla Ue l’occasione 

per integrare le politiche ambientali 

con quelle energetiche. 

Meccanismi 

di mercato e costi 

Il dibattito europeo verte, però, 

sulla flessibilità e sui meccanismi di 

[1] Sul tema seguiranno ulteriori approfondimenti sui prossimi numeri di Ambiente&Sicurezza. 

mercato che il Protocollo di Kyoto 

ha introdotto come strumento per 

raggiungere gli obiettivi ambientali. 

Una regolazione troppo “normativa” 

degli scambi di emissioni di anidride 

carbonica può essere un freno 

pesante al raggiungimento degli 

obiettivi. Ogni riduzione delle emissioni 

è efficace dovunque, indipendentemente 

dal luogo del pianeta 

nel quale viene realizzata. Difatti, la 

realizzazione di progetti industriali 

in cooperazione internazionale comporta 

generalmente costi marginali 

inferiori rispetto a quelli necessari 

per raggiungere gli stessi risultati di 

riduzione delle emissioni nei mercati 

interni dei Paesi maggiormente 

sviluppati. 

Le stime più recenti valutano il 

costo marginale di abbattimento di 

una tonnellata di anidride carbonica 

tra 15 e 28 dollari nell’Unione Europea, 

e tra 3-6 dollari nei Paesi in via 

di sviluppo. Inoltre, il trasferimento 

di tecnologie energetiche avanzate 

nei Paesi dell’Europa centro-orientale 

e in quelli in via di sviluppo, 

potrebbe avere un effetto calmierante 

sui rischi di “dumping” connessi 

all’impiego in questi Paesi di tecnologie 

obsolete. l 


Sui prossimi numeri di Ambiente&Sicurezza: 

● legge comunitaria 2003: di prossima attuazione la direttiva 2002/44/CE 

sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei 

lavoratori ai rischi derivanti dalle vibrazioni (un commento della direttiva è 

stato pubblicato in Ambiente&Sicurezza n. 19/2002, pag. 40); 

● rassegna di giurisprudenza - II parte: alcune delle sentenze più interes- 

santi del 2003; 

● maxidecreto collegato alla Finanziaria 2004: novità sui benefici per i 

lavoratori esposti all’amianto; 

● Sostanze pericolose: la Commissione ha definito il nuovo quadro normativo 

europeo e il sistema unico integrato REACH per la registrazione, valutazione 

e autorizzazione delle sostanze chimiche.

ANTINCENDIO 

Commento 

di Stefano Marsella, Dirigente del Corpo Nazionale Vigili del fuoco 

La lettera-circolare del Dipartimento 

dei Vigili del fuoco - Direzione 

centrale per la prevenzione 

e la sicurezza tecnica 9 

ottobre 2003, Prot. n. P1172/ 

4101 sott. 72/C1 (17) , che ha 

come oggetto «Certificazioni 

per rivelatori di fumo e/o di calore 

secondo le norme EN 54/7 

ed EN 54/5 come componenti 

di impianti di rivelazione di incendio» 

risponde a diversi quesiti 

inerenti il tipo di certificazione 

di cui devono essere muniti 

i rivelatori di fumo e/o di 

calore per poter essere installati 

nelle attività soggette ai controlli 

di prevenzione incendi. 

IGIENE E SICUREZZA 

Chiarita la coesistenza delle norme armonizzate EN 54/7 e EN 54/5 con le prescrizioni vigenti in Italia 

Rilevatori di fumo e di calore: il MinInterno 

conferma le certificazioni necessarie 

Il regolamento di attuazione della 

direttiva prodotti da costruzione 

89/106/CE [1] costituisce un testo 

normativo fondamentale per capire 

l’evoluzione dell’approccio alla sicurezza 

degli stessi prodotti, anche 

nel settore antincendio. Tra le diverse 

previsioni normative che compongono 

questo testo, le più importanti 

si riferiscono alle procedure che consentono 

- ma a volte impongono - 

l’utilizzazione di prodotti conformi 

ai requisiti individuati nelle norme 

europee. 

Per attuare questa strategia è essenziale 

regolare le forme ed i modi 

di attestazione della conformità e, a 

questo fine, l’articolo 6 del D.P.R. 

n. 246/1993, «Regolamento di attuazione 

della direttiva 89/106/CEE relativa 

ai prodotti da costruzione» 

prevede nei commi 3 e 4 che specifici 

decreti interministeriali stabiliscano 

i prodotti soggetti a regimi di 

controllo più severi ed i relativi metodi 

di controllo: «(...) 3. I prodotti 

di cui al comma 2, lettera b) sono 

individuati con decreto del Ministro 

dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, 

del Ministro dell’Interno 

e del Ministro dei Lavori Pubblici, 

da emanare a seguito delle 

determinazioni di competenza della 

Commissione e da pubblicare nella 

Gazzetta Ufficiale della Repubblica 

Italiana. 4. Con decreto del Ministro 

dei Lavori Pubblici, del Ministro 

dell’Interno e del Ministro dell’Industria, 

del Commercio e dell’Artigianato, 

da pubblicare nella 

[1] Si veda Ambiente&Sicurezza n. 5/2003, pag. 41, e n. 9/2003, pagg. 42 e 45. 

Gazzetta Ufficiale delle Repubblica 

Italiana, sono indicati i metodi di 

controllo della conformità». 

Con il passare del tempo, la graduale 

attuazione delle previsioni di 

questa importante direttiva aumenterà 

il numero di prodotti soggetti all’individuazione 

di determinate caratteristiche 

attraverso specifici atti 

ministeriali. 

In questo ambito, uno dei problemi 

che si porranno sarà quello di 

regolare il periodo transitorio, nel 

quale sta per diventare obbligatorio 

il rispetto delle nuove indicazioni in 

materia di attestazione CE ma nel 

quale si deve consentire al mercato 

di assorbire la presenza di prodotti 

non più adeguati alle nuove esigenze 

di attestazione di conformità. 

Uno dei primi casi di questo tipo 

è quello evidenziato dalla Lettera - 

Circolare del Dipartimento dei Vigili 

del fuoco - Direzione centrale per 

la prevenzione e la sicurezza tecnica 

9 ottobre 2003, Prot. n. P1172 / 

4101 sott. 72/C1 (17) , che ha come 

oggetto «Certificazioni per rivelatori 

di fumo e/o di calore secondo le 

norme EN 54/7 ed EN54/5 come 

componenti di impianti di rivelazione 

di incendio». 

In questa nota si risponde in via 

generale a diversi quesiti inerenti il 

tipo di certificazione di cui devono 

essere muniti i rivelatori di fumo 

e/o di calore per poter essere installati 

nelle attività soggette ai controlli 

di prevenzione incendi. 

Tali quesiti, in particolare, sono 


stati formulati in considerazione del 

fatto che la circolare 26 gennaio 

1993, n. 24, «Impianti di protezione 

attiva incendi» ed il decreto del Ministero 

dell’Interno 4 maggio 1998, 

«Disposizioni relative alle modalità 

relative alle modalità di presentazione 

ed al contenuto delle domande 

per l’avvio dei procedimenti di prevenzione 

incendi, nonché all’uniformità 

dei connessi servizi resi dai 

Comandi provinciali dei vigili del 

fuoco» richiedono il rispetto delle 

norme volontarie e la relativa dichiarazione 

di conformità, mentre la recente 

pubblicazione sulla G.U.C.E. 

dei riferimenti delle norme armonizzate 

EN 54/7 e EN 54/5 ha segnato, 

dal 1˚ aprile 2003, l’inizio del periodo 

di coesistenza delle nuove norme 

armonizzate con le prescrizioni di 

settore tuttora vigenti in Italia. 

In relazione a questo problema, il 

Ministero, con la lettera citata, fa 

presente che: 

1. i rivelatori di fumo e/o di calore 

dotati della marcatura CE, prevista 

dalla direttiva sui prodotti da 

costruzione 89/106/CEE (attuata in 

Italia con il D.P.R. 2 aprile 1993, n. 

246), possono essere installati nelle 

attività soggette ai controlli di prevenzione 

incendi già dal 1˚ aprile 

2003, per l’uso conforme alla loro 

destinazione; 

2. i decreti interministeriali di cui 

all’art. 6 (commi 3 e 4) del D.P.R. 

n. 246/1993 devono essere ancora 

emanati e, quindi, solo con la loro 

emanazione saranno note le eventuali 

prescrizioni transitorie relative al 

periodo di coesistenza ed al termine 

nel quale potranno essere commercializzati 

unicamente prodotti marcati 

CE. 

Quindi, in questo momento possono 

essere accettati rivelatori conformi 

al vecchio ed al nuovo sistema 

certificatorio, anche se la vigenza 

del decreto ministeriale 4 maggio 

1998 (all. II punto 3.2. in materia di 

documentazione tecnica da allegare 

alle domande di sopralluogo per il 

rilascio del certificato di prevenzione 

incendi) relativamente agli impianti 

di rivelazione d’incendio fa sì 

che, fino alla pubblicazione dei predetti 

decreti interministeriali, siano 

necessarie nelle attività soggette ai 

controlli di prevenzione incendi, le 

attestazione di rispondenza alle norme 

EN 54/7 e/o 54/5 e/o alle norme 

a queste equivalenti. 

Tale vincolo vale sia per i rivelatori 

citati al punto 1, sia per i rivelatori 

di fumo e/o di calore muniti di 

dichiarazione di conformità al prototipo 

dotato di certificato/rapporto di 

prova, emesso da organismi/laboratori 

di prova legalmente riconosciuti 

in uno dei Paesi membri. 

La nota precisa, infine che restano 

ovviamente validi i certificati rilasciati 

dall’ex Centro Studi Esperienze 

Antincendio. l 

Lettera - Circolare del Dipartimento dei Vigili del fuoco - 

Direzione centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica 9 ottobre 2003, 

Prot. n. P1172 / 4101 sott. 72/C1 (17) 

Oggetto: Certificazioni per rivelatori di fumo e/o 

di calore secondo le norme EN 54/7 ed EN54/5 

come componenti di impianti di rivelazione di 

incendio. 

Pervengono a questa Direzione Centrale quesiti volti 

a conoscere di quale tipo di certificazione debbano 

essere muniti i rivelatori di fumo e/o di calore per poter 

essere installati nelle attività soggette ai controlli di 

prevenzione incendi. 

Al riguardo, in relazione a quanto disposto con la 

circolare 26 gennaio 1993, n. 24, con il decreto ministeriale 

4 maggio 1998 e con il D.P.R. 21 aprile 1993, n. 

246, in considerazione della recente pubblicazione sulla 

G.U.C.E. dei riferimenti delle norme armonizzate EN 

54/7 e EN 54/5 e dell’inizio del periodo di coesistenza 

con le prescrizioni nazionali di settore a decorrere dal 1˚ 

aprile 2003, si fa presente quanto segue: 

1. i rivelatori di fumo e/o di calore dotati della marcatura 

CE, prevista dalla Direttiva 89/106/CEE (D.P.R. 

21.4.1993, n. 246), possono essere installati nelle attività 

soggette ai controlli di prevenzione incendi già dal 1˚ 

aprile c.a., per l’uso conforme alla loro destinazione; 


ANTINCENDIO 

Documento 

2. i decreti interministeriali di cui all’art. 6 commi 3 

e 4 del D.P.R. 246/1993 devono essere ancora emanati 

e conterranno le eventuali prescrizioni transitorie delle 

Autorità italiane relative al periodo di coesistenza, al 

termine del quale potranno essere commercializzati unicamente 

prodotti marcati CE. 

Fermo restando quanto previsto dal decreto ministeriale 

4 maggio 1998, all. II punto 3.2., in materia di 

documentazione tecnica da allegare alle domande di 

sopralluogo per il rilascio del certificato di prevenzione 

incendi relativamente agli impianti di rivelazione d’incendio, 

si ritiene che, fino alla pubblicazione dei predetti 

decreti interministeriali, possano essere installati nelle 

attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, per 

l’uso conforme alla loro destinazione, oltre che i rivelatori 

citati al punto 1, anche i rivelatori di fumo e/o di 

calore muniti di dichiarazione di conformità al prototipo 

dotato di certificato/rapporto di prova, attestante la 

rispondenza alle norme EN 54/7 e/o 54/5 e/o alle norme 

a queste equivalenti, emesso da organismi/laboratori di 

prova legalmente riconosciuti in uno dei Paesi membri 

dello Spazio Economico Europeo. Restano ovviamente 

validi i certificati rilasciati dall’ex Centro Studi Esperienze 

Antincendio. l 



Articolo 

di Giulio Benedetti, magistrato 

Sotto il profilo penale il D.P.R. 

n. 126/1998, che ha recepito la 

direttiva ATEX, attiene direttamente 

alla normativa di sicurezza 

sul lavoro in quanto ad 

essa deve essere conformata la 

redazione e il contenuto dei 

piani di sicurezza e di valutazione 

del rischio che il datore 

di lavoro deve adottare, secondo 

quanto previsto dall’articolo 

4 del D.Lgs. n. 626/1994, in 

relazione al grado di evoluzione 

della tecnica e della prevenzione 

della protezione, all’adozione 

delle misure per il controllo 

delle situazioni di rischio 

in caso di emergenza, alle informazioni 

dei lavoratori circa 

il rischio dell’attività produttiva 

e sulle disposizioni prese in 

materia di protezione e all’adozione 

delle misure necessarie 

ai fini della prevenzione incendi 

e dell’evacuazione dei lavoratori, 

nonché per il caso di pericolo 

grave ed immediato. 


Le responsabilità riguardanti il commercio e l’installazione degli apparecchi e dei sistemi di protezione nelle atmosfere esplosive 

Direttiva Atex: senza conformità alla regola dell’arte 

il committente può recedere dal contratto 

La direttiva europea 

La direttiva CEE/CEEA/CE n. 9 

del Parlamento europeo e del Consiglio, 

emanata il 23 marzo 1994 

(comunemente definita “direttiva 

ATEX”) statuisce il riavvicinamento 

delle legislazioni degli Stati 

membri e relative agli apparecchi e 

ai sistemi di protezione destinati a 

essere utilizzati in atmosfera potenzialmente 

esplosiva. 

Invero, la direttiva opera una 

riflessione sulla portata dell’articolo 

100 del Trattato di Roma, istitutivo 

della Comunità Europea, secondo 

la quale la libertà di circolazione 

di beni, di merci e di strumenti 

all’interno dell’Unione deve 

uniformarsi al principio fondamentale 

per il quale: «gli Stati membri 

sono tenuti a garantire nel loro 

territorio la sicurezza e la salute 

delle persone e, all’occorrenza, 

degli animali e dei beni, in particolare 

dei lavoratori, specie nei confronti 

dei rischi che derivano dall’uso 

degli apparecchi e sistemi di 

protezione in atmosfera potenzialmente 

esplosiva». 

La direttiva si applica (art. 1): 

● agli apparecchi e sistemi di protezione 

destinati ad essere utilizzati in 

atmosfera potenzialmente esplosiva; 

● ai dispositivi di sicurezza e di 

controllo e di regolazione destinati 

ad essere utilizzati al di fuori di 

atmosfere potenzialmente esplosive 

ma necessari o utili per il funzionamento 

sicuro degli apparecchi e sistemi 

di protezione per quanto riguarda 

i rischi di esplosione. 

Rientrano negli apparecchi compresi 

nella direttiva le macchine, i 

materiali, i dispositivi fissi o mobi- 

li, gli organi di comando, la strumentazione 

e i sistemi di rilevazione 

e di prevenzione che, da soli o 

combinati, sono destinati alla produzione, 

al trasporto, al deposito, 

alla misurazione, alla regolazione 

e alla conversione di energia e/o 

alla trasformazione di materiale e 

che, per via delle potenziali sorgenti 

di innesco le quali sono loro 

proprie, rischiano di provocare 

un’esplosione. 

Non rientrano nella direttiva: 

● le apparecchiature mediche destinate 

ad impieghi in ambiente medico; 

● gli apparecchi e i sistemi di protezione, 

quando il pericolo di esplosione 

è dovuto esclusivamente alla presenza 

di materie esplosive o di materie 

chimiche instabili; 

● gli apparecchi destinati ad impieghi 

in ambiente domestico e non 

commerciale, ove un’atmosfera potenzialmente 

esplosiva può essere 

provocata soltanto raramente ed unicamente 

in conseguenza ad una fuga 

accidentale di gas; 

● i dispositivi di protezione individuale, 

oggetto della direttiva 89/ 

686/CEE; 

● le navi marittime e le unità mobili 

offshore, nonché le attrezzature 

utilizzate a bordo di dette navi o 

unità; 

● i mezzi di trasporto di ogni tipo, 

mentre non sono esclusi i veicoli 

destinati ad essere utilizzati in atmosfera 

potenzialmente esplosiva; 

● i prodotti contemplati dall’articolo 

223, paragrafo 1, lettera b) del 

trattato. 

Gli apparecchi contemplati dalla 

direttiva devono (art. 3) soddi- 


sfare i requisiti essenziali di sicurezza 

e di salute riportati nell’allegato 

II e gli Stati membri non possono 

(art. 4) vietare, limitare od 

ostacolare la commercializzazione 

e la messa in servizio nei loro 

territori degli apparecchi o dei loro 

componenti che soddisfino le 

disposizioni della direttiva. Tale 

conformità è fornita per gli apparecchi 

dalla dichiarazione CE di 

conformità prevista dall’allegato 

X e dalla marcatura CE prevista 

dall’articolo 10 e per i componenti 

dalla dichiarazione scritta di conformità 

prevista dall’articolo 8, paragrafo 

3. 

Occorre notare che l’allegato II 

contiene i requisiti essenziali in materia 

di sicurezza e di salute per la 

progettazione e la costruzione di 

apparecchi e sistemi di protezione 

destinati ad essere utilizzati in atmosfera 

potenzialmente esplosiva. 

Il principio fondamentale di tutela 

della pubblica incolumità consiste 

nella progettazione secondo il principio 

della sicurezza integrata contro 

le esplosioni, vale a dire che il 

fabbricante deve prendere (punto 

1.0.1) le misure necessarie per: 

● evitare, per quanto possibile, che 

gli apparecchi ed i sistemi di protezione 

producano o liberino essi stessi 

atmosfere esplosive; 

● impedire l’innesco all’interno di 

un’atmosfera esplosiva tenendo conto 

della natura di ciascuna sorgente 

potenziale di innesco, elettrica e 

non elettrica; 

● qualora, malgrado tutto, si produca 

un’esplosione che possa mettere 

in pericolo persone ed, eventualmente, 

animali domestici o beni con effetto 

diretto o indiretto, soffocarla 

immediatamente e/o circoscrivere 

la zona colpita dalle fiamme e dalla 

pressione derivante dall’esplosione, 

secondo un livello si sicurezza sufficiente. 

Inoltre, (punto 1.0.2) gli apparecchi 

ed i sistemi di protezione 

devono essere progettati e costruiti 

tenendo presenti eventuali difetti 

di funzionamento, per evitare al 


massimo situazioni pericolose e, 

parimenti, deve essere prevista perfino 

l’eventualità di un impiego errato, 

ragionevolmente prevedibile. 

Tale principio è assai importante 

poiché impone al progettista ed 

al costruttore di effettuare un giudizio 

prognostico favorevole, prima 

della immissione 

nel commercio 

del bene, sulla 

validità, sotto 

il profilo non solo 

commerciale, ma 

soprattutto della 

sicurezza, del prodotto 

in modo da 

eliminare i possibili 

difetti di funzionamento,particolarmenteinsidiosi 

per la salute 

del consumatore 

e per l’integrità 

dei suoi beni, anche 

nel caso di 

uso improprio del bene che deve 

presentare requisiti di sicurezza tali 

da resistere anche ad usi impropri 

eventualmente compiuti da una 

persona assolutamente impreparata 

al suo impiego. 

La normativa nazionale 

La direttiva 94/9/CE è stata recepita 

nel nostro ordinamento dal 

D.P.R. 23 marzo 1998, n. 126, «Regolamento 

recante norme per l’attuazione 

della direttiva 94/9/CE in 

materia di apparecchi e sistemi di 

protezione destinati ad essere utilizzati 

in atmosfera potenzialmente 

esplosiva», pubblicato sulla Gazzetta 

Ufficiale del 4 maggio 1998, n. 

101, che prevede (art. 10) il ritiro 

dal mercato degli apparecchi, dei 

sistemi di protezione e dei dispositivi 

che, anche se accompagnati dalla 

dichiarazione di conformità ed 

utilizzati conformemente alla loro 

destinazione, rischiano di pregiudicare 

la sicurezza delle persone, degli 

animali domestici e dei beni. In 

tali ipotesi il Ministero dell’Industria, 

del Commercio e dell’Artigia- 

Alla data attuale 

non possono essere 

messi in commercio 

o in servizio 

gli apparecchi, i sistemi 

di protezione 

o i dispositivi 

senza la dichiarazione 

di conformità 

o privi di marcatura CE 


Articolo 

nato, incaricato della vigilanza dall’articolo 

9, dopo avere verificato 

la sussistenza dei rischi predetti, 

ordina, a cura e spese del fabbricante 

o del suo mandatario stabilito 

nell’Unione europea, il ritiro temporaneo 

dal mercato ed il divieto 

di utilizzazione. 

Tale ritiro 

può essere anche 

ordinato nel 

caso in cui il ritardonell’effettuazione 

dei controlli 

sia dovuto 

alla violazione 

degli obblighi di 

tenuta della documentazione 

e 

di collaborazione 

degli interessati 

ai quali, in 

ogni caso, viene 

notificato il 

provvedimento 

motivato con 

l’indicazione dei mezzi di impugnativa 

e del termine entro cui 

può essere presentato il ricorso. 

Fino al 30 giugno 2003 è stata 

consentita (art. 12) la commercializzazione 

e la messa in servizio 

del materiale elettrico corredato 

dalla certificazione di conformità 

prevista dai D.P.R. 21 luglio 

1982, n. 727 e 21 luglio 1982, n. 

675, e dalla legge 17 aprile 1989, 

n. 150 purché questa certificazione 

non scada prima di tale data. 

Il citato certificato di conformità 

attesta esclusivamente che il tipo 

di materiale elettrico è conforme 

alle norme armonizzate. Per di 

più gli organismi di certificazione 

per valutare la conformità alle norme 

del D.P.R. n. 126/1998 del materiale 

immesso nel mercato prima 

del 1˚ luglio 2003 tengono conto 

dei risultati delle prove e delle verifiche 

effettuate fino al 30 giugno 

2003. 

Da quanto fin qui premesso consegue 

che, alla data attuale, secondo 

quanto disposto dall’articolo 4 

del D.P.R. n. 126/1998, non posso- 



Articolo 

no essere immessi in commercio o 

posti in servizio gli apparecchi, i 

sistemi di protezione o i dispositivi 

non debitamente corredati dalla 

dichiarazione CE di conformità 

prevista dall’allegato X o privi di 

marcatura CE e neppure possono 

essere messi in commercio i relativi 

componenti 

non corredati dalla 

dichiarazione 

scritta di conformità 

prevista dall’articolo 

6, comma 

3, del D.P.R. 

n. 126/1998. 

Appare evidente 

che la non 

commerciabilità 

di tali beni, in 

questo come in altri 

casi nei quali 

impone l’apposizione 

della marcatura 

CE e l’adozione 

del relativo 

procedimento amministrativo, è direttamente 

collegata al giudizio 

preventivo della loro insicurezza 

svolto dal legislatore europeo che 

in tal modo attua una decisa scelta 

per la tutela della pubblica incolumità, 

giudicata prevalente a qualsiasi 

interesse commerciale. Pertanto 

in tali casi la vendita o la messa 

in servizio in Italia, nei casi previsti 

dall’articolo 4 del D.P.R. n. 

126/1998, di un bene privo di marcatura 

CE sono nulle, secondo 

quanto disposto dall’articolo 1418 

del codice civile, poiché contrarie 

ad una norma imperativa. Insomma, 

senza la marcatura CE il bene 

è fuori commercio ed è destinato 

all’esilio perpetuo dall’Unione europea, 

costituito dalla vendita 

esclusivamente nei territori extra- 

UE; la direttiva, infatti, condanna 

tale condotta con la massima sanzione 

economica ovvero l’assoluta 

incommerciabilità del bene. 

In tale materia sono applicabili 

le seguenti fonti nazionali, sempre 

di derivazione dalla normativa dell’Unione 

europea: 

La vendita o la messa 

in servizio, 

nei casi previsti 

dall’articolo 4 

del D.P.R. n. 126/1998, 

di un bene privo 

di marcatura CE, 

sono nulle poiché 

contrarie ad una norma 

imperativa 


● la norma italiana UNI EN 1050 

intitolata “Sicurezza del macchinario 

- principi per la valutazione del 

rischio” e che stabilisce i principi 

generali inerenti alla valutazione 

dei rischi durante tutte le fasi di vita 

delle macchine; 

● il decreto del Ministero per l’Industria, 

il Com- 

mercio e l’Artigianato 

del 31 maggio 

2001 (pubblicato 

in Gazzetta 

Ufficiale del 20 

giugno 2001, n. 

141) che contiene 

le norme armonizzate 

concernenti 

l’attuazione della 

direttiva 94/9/CE 

in materia di apparecchi 

e sistemi 

di protezione destinati 

ad essere 

utilizzati in atmosferapotenzial- 

mente esplosiva; 

● la responsabilità civile del datore di 

lavoro, del produttore, del progettista 

dell’installatore nel caso di incidente 

rilevante e di vendita o messa in servizio 

in Italia, dopo il 30 giugno 2003, 

degli apparecchi descritti dall’articolo 

4 del D.P.R. n. 126/ 1998. 

Nel caso di un incidente rilevante 

connesso agli apparecchi e sistemi di 

protezione destinati ad essere utilizzati 

in atmosfera potenzialmente esplosiva 

che causi dei danni a persone, a 

cose o ad animali si pone il problema 

dell’esperibilità dell’azione di risarcimento 

del danno. 

In tale caso è applicabile l’art. 

2050 del codice civile il quale stabilisce 

che chiunque cagiona un danno 

ad altri nello svolgimento di un’attività 

pericolosa, per sua natura o per la 

natura dei mezzi adoperati, è tenuto al 

risarcimento del danno, se non prova 

di avere adottato tutte le misure idonee 

a evitare il danno. 

A tal proposito notasi che l’attività 

disciplinata dal D.P.R. 23 marzo 

1998, n. 126 rientra nel novero delle 

attività pericolose contemplate dal- 

l’art. 2050 c.c. poiché la giurisprudenza 

(Cass. 29 maggio 1998, n. 5341) 

riconosce come attività pericolose 

menzionate dall’art. 2050 c.c. non solo 

quelle che tali sono qualificate dalla 

legge di pubblica sicurezza e da 

altre leggi speciali, ma anche quelle 

che per la loro stessa natura o per 

caratteristiche dei mezzi adoperati 

comportino una rilevante possibilità 

del verificarsi di un danno per la loro 

spiccata potenzialità offensiva. In tali 

casi la valutazione del giudice di merito, 

finalizzata all’accertamento se in 

concreto un’attività sia da considerare 

pericolosa, è insindacabile in sede di 

legittimità (ovvero dalla Corte di Cassazione) 

se congruamente motivata. 

Negli ultimi anni, nell’evidente 

intento di tutelare maggiormente 

l’integrità psico-fisica del cittadino 

dall’aggressione delle attività 

pericolose, le sentenze dei giudici 

di merito, confermate in Cassazione, 

hanno allargato il numero delle 

attività pericolose disciplinate 

dall’art. 2050 c.c. facendovi rientrare: 

● nel caso di danno provocato dallo 

scoppio di una bombola di gas, se 

non si fornisce la prova della causa 

dello scoppio, l’attività del produttore-distributore, 

quale esercente di attività 

pericolose (art. 2050 c.c.), e 

quella dell’utente, quale custode 

(art. 2051 c.c.), riferendosi lo scoppio 

a due comportamenti od omissioni 

differenti ed essendo la prima 

prospettabile anche quando la bombola 

sia passata, a seguito della consegna, 

nella disponibilità dell’utente 

(Sent., Cass. 4 giugno 1998, n. 

5484); 

● l’uso di saldatrice a fiamma ossiacetilenica 

(Sent., Cass. 12 maggio 

1998, n. 4777); 

● l’attività imprenditoriale di riempimento 

e dei collaudi di recipienti per 

gas liquefatti e valvole connesse 

(Sent., Cass. 1˚ ottobre 1998, n. 

12809). In tale caso il giudice ha ritenuto 

la predetta società responsabile 

di incendio colposo, cagionato per la 

cessione di una spina di sicurezza di 

una bombola costruita 28 anni prima 


e sottoposta a revisione 9 anni prima. 

In tale caso la Corte di Cassazione ha 

affermato che: 

- l’adempimento di un obbligo di 

revisione periodica non esclude la colpa 

generica per difetto di manutenzione 

nell’intervallo di tempo tra le revisioni, 

tanto più quanto maggiore è 

l’intervallo temporale tra l’ultima revisione 

e la data di costruzione; 

- un obbligo di generica diligenza 

e prudenza si desume dall’art. 1 

della legge 6 dicembre 1971, n. 

1083 secondo cui tutti i materiali, 

gli apparecchi, le installazioni e 

gli impianti alimentati con gas 

combustibile per uso domestico devono 

essere realizzati secondo le 

regole specifiche della buona tecnica 

per la salvaguardia della sicurezza. 

In tema di responsabilità presunta 

per l’esercizio di un’attività 

pericolosa il danneggiato è particolarmente 

favorito perché (Sent., 

Cass. 4 dicembre 1998, n. 12307) 

ha il solo onere di provare l’esistenza 

del nesso causale tra l’attività 

pericolosa ed il danno subito; 

incombe, invece, sull’esercente 

l’attività pericolosa l’onere di provare 

di avere adottato tutte le misure 

idonee a prevenire il danno. 

Quindi, la presunzione di responsabilità 

contemplata dall’art. 

2050 c.c. può essere vinta (Sent., 

Cass. 4 giugno 1998, n. 5484) solo 

con una prova particolarmente 

rigorosa, e cioè con la dimostrazione 

di aver adottato tutte le misure 

idonee ad evitare il danno. 

Pertanto, non basta la prova negativa 

di non aver commesso alcuna 

violazione delle norme di legge 

o di comune esperienza, ma occorre 

quella positiva di avere impiegato 

ogni cura o misura volta ad 

impedire l’evento dannoso. 

Ne consegue che anche il fatto 

del danneggiato o del terzo può 

produrre effetti liberatori solo se 

per la sua incidenza e rilevanza 

sia tale da escludere, in modo certo, 

il nesso causale tra attività pericolosa 

e l’evento e non già quando 


costituisce elemento concorrente 

nella produzione del danno, inserendosi 

in una situazione di pericolo 

che ne abbia reso possibile l’insorgenza 

a causa dell’inidoneità 

delle misure preventive adottate. 

Da quanto premesso consegue 

che l’esercente di un’attività pericolosa 

è obbligato dalla legge all’adozione 

di 

tutte le norme 

antinfortunistiche 

e laddove 

la sua attività 

causi un danno 

ad altro soggetto, 

è invertito 

l’onere della 

prova poiché, 

contrariamente 

a quanto stabilito 

per l’ordinaria 

azione risarcitoria 

extra 

contrattuale 

prevista dall’art. 

2043 del 

codice civile, il danneggiante, per 

evitare di essere condannato al risarcimento 

delle danno dovrà provare 

di avere utilizzato tutte le cautele 

previste per evitare il danno. 

Invero i fondamenti diversi delle 

due azioni civili previste dagli articoli 

2043 e 2050 del codice civile 

sono riconosciuti dalla giurisprudenza 

(Sent., Cass. 1˚ luglio 1998, 

n. 6418, Sent., Cass. 6 marzo 

1998, n. 2483) la quale afferma 

che la responsabilità presunta per 

l’esercizio di attività pericolosa 

(art. 2050 c.c.) si fonda su presupposti 

parzialmente diversi rispetto 

alla generale responsabilità aquiliana 

(art. 2043 c.c.) per cui una 

volta formulata una domanda di 

condanna ai sensi dell’art. 2050 

c.c., invocare la presunzione di 

cui allo stesso articolo, integra gli 

estremi di una domanda nuova, e 

perciò non deducibile per la prima 

volta nel giudizio di Cassazione. 

In precedenza si è esaminata la 

nullità dei contratti di vendita o di 

messa in servizio in Italia, dopo il 

L’acquirente dei beni 

non conformi può fare 

riferimento all’articolo 

2224 c.c. che gli consente 

di fissare un congruo 

termine al proprio 

prestatore d’opera 

perché adegui 

la sua attività alla regola 

dell’arte 


Articolo 

30 giugno 2003, dei prodotti descritti 

dall’articolo 4 del D.P.R. n. 

126/1998, ma, inoltre, occorre notare 

che l’articolo 1176, comma 2 

del codice civile, afferma che per 

valutare la diligenza nell’adempimento 

delle obbligazioni derivanti 

da un’attività professionale, la diligenza 

deve valutarsi con riguardo 

alla natura dell’attività 

esercitata. 

Vale a dire occorre 

fare riferimento 

alle regole 

dell’arte che nella 

nostra materia consistono 

nella direttiva 

94/9/CE, nel 

D.P.R. n. 126/ 

1998, nella norma 

UNI EN1050 e nelle 

norme armonizzate 

europee di riferimento. 

In ogni caso, 

l’acquirente di tali 

beni non conformi 

alle norme citate può fare riferimento 

all’articolo 2224 del codice 

civile che gli consente di fissare 

un congruo termine al proprio prestatore 

d’opera perché conformi la 

sua attività alla regola dell’arte, 

ovvero che ottenga la certificazione 

CE per i beni installati o venduti. 

Se trascorre inutilmente il termine 

fissato il committente può recedere 

dal contratto, salvo il diritto 

al risarcimento del danno. 

La direttiva ATEX 

nel diritto penale 

Sotto il profilo penale occorre 

notare che la direttiva ATEX, ovvero 

il D.P.R. n. 126/1998, attiene 

direttamente alla normativa di sicurezza 

sul lavoro in quanto ad 

essa deve essere conformata la redazione 

e il contenuto dei piani di 

sicurezza e di valutazione del rischio 

che il datore di lavoro deve 

adottare, secondo quanto previsto 

dall’articolo 4 del D.Lgs. 19 settembre 

1994, n. 626, con particolare 

riferimento: 



Articolo 

● all’aggiornamento delle misure 

di prevenzione in relazione ai mutamenti 

organizzativi e produttivi che 

hanno rilevanza ai fini della salute e 

della sicurezza sul lavoro, ovvero in 

relazione al grado di evoluzione della 

tecnica e della prevenzione della 

protezione; 

● all’adozione delle misure per il 

controllo delle situazioni di rischio 

in caso di emergenza; 

● alle informazioni dei lavoratori 

circa il rischio dell’attività produttiva 

e sulle disposizioni prese in materia 

di protezione; 

● all’adozione delle misure necessarie 

ai fini della prevenzione incendi 

e dell’evacuazione dei lavoratori, 

nonché per il caso di pericolo grave 

ed immediato. 

Qualora il datore di lavoro nel 

corso della sua attività lavorativa 

ometta di tenere conto della 

direttiva ATEX, vale a dire quanto 

disposto dal D.P.R. n. 

126/1998, ovviamente per le attività 

che prevedano l’uso di apparecchi 

e di sistemi di protezione 

destinati ad essere utilizzati in 

atmosfera potenzialmente esplosiva, 

all’interno del documento 

di valutazione del rischio, previsto 

dall’articolo 4 del D.Lgs. n. 

624/1994, può essere sanzionato 

penalmente dall’articolo 89 del 

D.Lgs. n. 626/1994 con l’arresto 

da tre a sei mesi o con l’ammen- 

da da euro 1549 a euro 4131. 

Inoltre, il D.P.R. n. 126/1998 

rileva penalmente, oltre che quale 

raccolta di norme la cui violazione 

può costituire elemento di 

colpa specifica per il datore di 

lavoro nei casi di omicidio colposo 

(art. 589 c.p.) o di lesioni 

colpose (art. 590 c.p.) del dipendente, 

anche nei confronti dei 

progettisti, dei fabbricanti e degli 

installatori degli apparecchi e 

dispositivi previsti dalla direttiva 

ATEX. 

Invero, nei loro riguardi l’articolo 

6 del D.Lgs. n. 626/1994 afferma 

che: 

● i progettisti degli impianti 

scelgono macchine e dispositivi 

di protezione rispondenti ai requisiti 

essenziali di sicurezza previsti 

dalle disposizioni legislative 

e regolamentari vigenti (art. 

6, comma 1); 

● sono vietate la fabbricazione, la 

vendita, il noleggio e la concessione 

in uso di macchine non rispondenti 

alle disposizioni legislative e regolamentari 

in materia di sicurezza (art. 

6, comma 2); 

● chi cede in locazione finanziaria 

beni assoggettati a forme di certificazione 

o di omologazione obbligatoria 

deve accompagnare tali beni 

con le certificazioni previste dalla 

legge (art. 6, comma 2); 

● gli installatori e i montatori di 

impianti, macchine o altri mezzi 

tecnici devono attenersi alle norme 

di sicurezza e di igiene del 

lavoro, nonché alle istruzioni fornite 

dai rispettivi fabbricanti dei 

macchinari e degli altri mezzi tecnici 

per la loro parte di competenza 

(art. 6, comma 3). 

Pertanto, in linea generale, tali 

professionisti devono attenersi nella 

loro attività all’applicazione 

della regola dell’arte più aggiornata 

per assicurare la sicurezza dei 

lavoratori, secondo i migliori principi 

desumibili dalla scienza e dall’esperienza 

attuali, ed in particolare 

devono tenere conto concretamente 

nello svolgimento della loro 

attività della direttiva ATEX, 

soprattutto dal 30 giugno 2003, e 

di quanto previsto dal D.P.R. n. 

126/1998. In caso contrario sono 

passibili delle sanzioni penali previste 

dall’articolo 91 del D.Lgs. 

n. 626/1994 il quale punisce i progettisti, 

i fabbricanti e gli installatori: 

● con l’arresto fino a sei mesi o 

con l’ammenda da euro 7746 a euro 

30987 per la violazione dell’articolo 

6, comma 2, del D.Lgs n. 

626/1994; 

● con l’arresto fino ad un mese o 

con l’ammenda da euro 309 a euro 

1032 per la violazione dell’articolo 

6, comma 1 e comma 3 del D.Lgs. 

n. 626/1994. l 

Atmosfere esplosive: le direttive recepite 

Direttiva Decreto di recepimento Titolo in Ambiente&Sicurezza 

Direttiva 94/9/CE D.P.R. 23 marzo 1998, n. Regolamento recante nor- Ambiente&Sicurezza 

in G.U.C.E. L 19 aprile 1994, 126 

me per l'attuazione della di- n. 11/2003, pag. 61 

n. 100 

In Gazzetta Ufficiale del 

4 maggio 1998, n. 101 

rettiva 99/4/CE in materia 

di apparecchi e sistemi di 

protezione destinati ad es- 

Entrata in vigore: sere utilizzati in atmosfera 

1˚ luglio 2003 

potenzialmente esplosiva. 

Direttiva 99/92/CE 

in G.U.C.E. L 28 gennaio 

2000, n. 23 

D.Lgs. 12 giugno 2003, 

n. 233 

in Gazzetta Ufficiale del 

26 agosto 2003, n. 197 

Entrata in vigore: 

10 settembre 2003 


Attuazione della direttiva 

1999/92/CE relativa alle prescrizioni 

minime per il miglioramento 

della tutela 

della sicurezza e della salute 

dei lavoratori esposti al 

rischio di atmosfere esplosive. 

Ambiente&Sicurezza 

n. 17/2003, pag. 43 


di Mario Gallo, Assistente alla cattedra di Diritto del Lavoro presso l’Università degli Studi di Cassino 

e componente del Comitato per la Formazione dell’AIAS 

Molte imprese sono in fermento 

a seguito dell’imponente 

piano di controlli varato dall’amministrazione 

finanziaria, 

finalizzato ad accertare la legittimità 

e il corretto utilizzo dei 

crediti d’imposta concessi negli 

ultimi anni allo scopo d’incrementare 

l’occupazione e gli investimenti 

soprattutto nelle 

aree svantaggiate. Infatti, con 

l’emanazione da parte dell’Agenzia 

delle Entrate della 

circolare 8 luglio 2003, n. 35/E, 

ha preso corpo la strategia di 

verifica mirata sui crediti concessi 

per incentivare le assunzioni 

- art. 4 della legge n. 

449/1997, art. 4 della legge n. 

448/2000, art. 7 della legge n. 

388/2000 (Finanziaria 2001) - e 

gli investimenti in impianti, 

macchine e attrezzature nuovi 

- art. 8 della citata legge 

388/2000. Tale problematica 

merita di essere approfondita 

in quanto è particolarmente 

delicata e direttamente collegata 

al rispetto delle norme di 

sicurezza e igiene del lavoro. 


Innanzitutto occorre ricordare 

che per poter usufruire dei crediti 

d’imposta - di cui hanno goduto 

essenzialmente le piccole e medie 

imprese operanti nelle aree rientranti 

nell’obiettivo uno - previsti 

dalle disposizioni in materia d’incremento 

occupazionale, una delle 

condizioni fondamentali è che «siano 

rispettate le prescrizioni sulla 

salute e sulla sicurezza dei lavoratori 

previste dal decreto legislativo 

19 settembre 1994, n. 626, e 

successive modificazioni ed integrazioni». 

Di conseguenza, tra le varie ipotesi 

di revoca è prevista anche la 

fattispecie in cui siano «definitivamente 

accertate violazioni non formali, 

e per le quali sono previste 

sanzioni di importo superiore a 

euro 1.549,37, alla normativa fiscale 

e contributiva in materia di 

lavoro dipendente, ovvero violazioni 

alla normativa sulla salute e 

sulla sicurezza dei lavoratori, prevista 

dal decreto legislativo 19 settembre 

1994, n. 626, e successive 

modificazioni ed integrazioni, 

commesse nel periodo in cui si 

applicano le disposizioni». Tale 

principio, introdotto per la prima 

volta dall’art. 4 della legge n. 

449/1997 è stato successivamente 

adottato anche all’interno dalla 

legge n. 448/2000 e duplicato all’art. 

7 della legge n. 388/2000, 

con l’innalzamento della sanzione 

minima per le violazioni formali a 

euro 2.582,28 con l’aggiunta della 


Articolo 

L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato le check-list per ciascuna delle differenti tipologie di credito da verificare 

Incentivi fiscali e sicurezza: 

molte aziende sono a rischio di revoca 

previsione anche d’illeciti legati 

al D.Lgs. n. 494/1996; non è stato, 

invece, accolto nell’art. 8 della citata 

legge n. 388/2000. 

Le violazioni alle norme 

di sicurezza e igiene 

L’ipotesi di revoca per la violazione 

delle norme di sicurezza e 

igiene del lavoro rappresenta l’autentico 

timore per quanti hanno 

usufruito dei predetti crediti d’imposta. 

Infatti, la formulazione della 

norma non appare tra le più felici 

in ordine alla natura delle violazioni 

che darebbero origine alla revoca. 

In merito si sono formati alcuni 

orientamenti dottrinali. 

Quello prevalente sostiene che 

il beneficio viene perso solo se 

siano definitivamente accertate 

violazioni non formali alle disposizioni 

di sicurezza e d’importo superiore 

ai predetti limiti; infatti, se 

la ratio della norma è quella di 

disporre la revoca solo per le violazioni 

più rilevanti non si capisce 

perché ciò debba valere solo per 

gli illeciti tributari e contributivi. 

A ciò si aggiunge che anche 

dall’interpretazione letterale si perviene 

a tale risultato, in quanto il 

periodo iniziale («...definitivamente 

accertate violazioni non formali...») 

trova una sua continuazione 

organica con l’aggancio alle violazioni 

in materia di sicurezza. 

Tuttavia, appare doveroso segnalare 

che se questa è l’interpre- 



Articolo 

tazione più razionale, l’Agenzia 

delle Entrate nelle liste di controllo 

allegate alla circolare n. 35/E 

(si veda un esempio di check-list 

nel riquadro 1) molto chiaramente 

richiede ai verificatori di accertare 

ogni tipo di violazione non accogliendo, 

pertanto, la menzionata 

tesi. 

In ogni caso, pur considerando 

per valido l’orientamento restrittivo 

dell’amministrazione finanziaria, 

è opportuno fissare dei paletti 

certi a beneficio dei consulenti e 

anche dei servizi di prevenzione e 

protezione che in questa fase delicatissima 

dovranno necessariamente 

assistere l’azienda. 

Un primo aspetto da considerare 

è che, in ogni caso, la revoca 

può essere disposta solo alla presenza 

di violazioni - di natura penale 

o amministrativa - definitivamente 

accertate e non semplicemente 

contestate. La semplice rilevazione 

di presunti illeciti non è 

sufficiente per recuperare automaticamente 

i crediti d’imposta concessi; 

infatti, l’impresa beneficiaria 

potrà sempre dimostrare la propria 

innocenza nel rispetto dei 

consolidati principi di diritto penale 

del lavoro e del diritto alla difesa. 

In particolare, nell’ipotesi dell’applicazione 

dell’istituto della 

prescrizione, ai sensi dell’art. 20 e 

segg. del D.Lgs. n. 758/1994, la 

violazione diventa definitiva con 

l’adempimento e il pagamento nei 

termini previsti della sanzione pecuniaria 

pari ad un quarto del massimo 

dell’ammenda. Ciò vale anche 

nel caso in cui il datore di 

lavoro sia ammesso all’istituto alternativo 

dell’oblazione ex art. 

162-bis c.p. 

Negli altri casi d’illeciti penali 

non assorbiti dalle predette procedure 

di sanatoria o in caso d’inadempimento 

alla prescrizione impartita 

bisognerà avere una sentenza 

passata in giudicato per avere la 


definitività della violazione alla disciplina 

antinfortunistica. Altro 

aspetto non irrilevante è che il principio 

in esame appare ancorato solo 

alle violazioni alle norme del 

D.Lgs. n. 626/1994 e nel caso della 

legge n. 388/2000 anche al D.Lgs. 

14 agosto 1996, n. 494. Pertanto, a 

prima vista, sembra che la revoca 

non scatti qualora siano commesse 

violazione ad altri provvedimenti in 

materia di sicurezza come, ad esempio, 

il D.P.R. n. 547/1955, il D.P.R. 

n. 164/1956 o il D.P.R. n. 

303/1956. Tuttavia, occorre riflettere 

che il D.Lgs. n. 626/1994, contempla 

molteplici ipotesi generali 

di reato che, in effetti, indirettamente 

consentono di sanzionare per tale 

via gli illeciti previsti anche all’interno 

dei citati atti normativi. Si 

pensi, ad esempio, al caso in cui ad 

un’impresa metalmeccanica sia contestato 

l’uso di una macchina operatrice 

priva di protezioni in contrasto 

con l’art. 68 del D.P.R. n. 

547/1955; tale violazione può essere 

addebitata anche con riferimento 

all’art. 35 del D.Lgs. n. 626/1994 

(art. 89, comma 2, lett a). 

Sul piano operativo, in ogni caso, 

occorrerà aver riguardo alle 

violazioni verbalizzate che andranno 

esattamente individuate - l’uso 

di formule generiche del tipo «violazione 

alle norme di sicurezza» o 

l’omessa indicazione degli esatti 

estremi della norma violata e della 

sanzione sono da qualificarsi certamente 

come vizio sostanziale del 

PVC redatto dai verificatori - e si 

può concludere che solo quando 

in verbale sono contestate violazioni 

al D.Lgs. n. 626/1994 o al 

D.Lgs. n. 494/1996 l’ufficio potrà 

legittimamente avviare una procedura 

di revoca. Un altro aspetto 

non trascurabile è il periodo d’osservazione 

delle violazioni. Il predetto 

principio pone giustamente 

un limite legato al «...periodo in 

cui si applicano le disposizioni». 

Pertanto, nella fattispecie, ad 

esempio, in cui l’impresa abbia goduto 

del credito per gli incrementi 

occupazionali ai sensi della legge 

n. 449/1997, le violazioni rilevanti 

alle norme di sicurezza sono quelle 

commesse nel periodo 1998- 

2000. Viceversa, nel caso del credito 

ex art. 7 della legge n. 

388/2000 il periodo va dal 2001 al 

2003 o 2006, nel caso in cui si stia 

usufruendo della proroga ex art. 

63 della legge n. 289/2002 (si veda 

Ambiente&Sicurezza n. 3/2003, 

pag. 19). Si osservi che all’interno 

delle check-list tale aspetto non 

appare minimamente preso in considerazione 

ed è facile prevedere 

molte contestazioni. 

L’organo titolare 

del potere d’accertamento 

All’interno delle liste di controllo 

allegate alla citata circolare 8 

luglio 2003, n. 35/E, viene indicato 

agli uffici locali di avvalersi 

delle articolazioni territoriali dell’INAIL 

per compiere l’azione 

d’accertamento delle violazioni in 

materia di sicurezza. Tuttavia, 

l’amministrazione finanziaria, probabilmente 

a digiuno dei principi 

che regolano il diritto della sicurezza 

del lavoro, non ha considerato 

che l’art. 23 del citato D.Lgs. n. 

626/1994, il quale statuisce che 

«La vigilanza sull’applicazione 

della legislazione in materia di sicurezza 

e salute nei luoghi di lavoro 

è svolta dalla unità sanitaria 

locale e, per quanto di specifica 

competenza, dal Corpo nazionale 

dei vigili del fuoco», con funzioni 

residuali di vigilanza riconosciute 

dal comma 2 dello stesso articolo 

ai servizi ispettivi delle Direzioni 

Provinciali del Lavoro solo per alcuni 

settori - ad esempio l’edilizia 

- fermo restando l’obbligo d’informare 

preventivamente l’ASL competente 

per territorio della propria 

attività: la mancata comunicazio- 


ne è da qualificarsi come vizio 

sostanziale nei PVC redatti dall’ex 

Ispettorato del Lavoro. Invece, 

l’art. 24 dello stesso decreto 

assegna all’INAIL solo funzioni 

d’informazione, consulenza, e assistenza. 

Oltre tali funzioni l’istituto 

ha in questo ambito soltanto 

poteri di accertamento per quanto 

concerne il premio e alcune violazioni 

connesse, ai sensi del D.P.R. 

30 giugno 1965, n. 1124. Pertanto, 

si comprende che gli ispettori dell’INAIL 

non appaiono legittimati 

a svolgere la delicata funzione di 

accertamento delle violazioni alle 

norme di sicurezza e igiene del 

lavoro: non può una circolare - 

quindi un atto amministrativo - attribuire 

competenze non previste 

per legge; il risultato, pertanto, sarà 

che il provvedimento di revoca 

potrà essere sempre impugnato entro 

il termine di 60 giorni davanti 

la competente Commissione Tributaria 

Provinciale, invocando l’illegittimità 

dello stesso per vizio sostanziale. 

Attività preparatoria al controllo 


Le check-list di controllo 

Un ultimo aspetto che merita di 

essere brevemente approfondito è 

la struttura delle liste di controllo. 

Infatti, al fine di garantire un’omogenea 

azione di verifica, l’Agenzia 

delle Entrate, con la predetta 

circolare, ha emanato delle checklist 

per ciascuna delle differenti 

tipologie di credito da verificare, 

basate su due fasi. La prima si 

sostanzia in accorgimenti da osservare 

nell’attività preparatoria al 

controllo, mentre la seconda prevede 

punti di verifica funzionali per 

l’attività operativa. Nel riquadro 

1 è riportata una sintesi di quella 

che sarà applicata per il controllo 

del credito d’imposta ex legge n. 

449/1997: le altre check-list sono 

strutturate allo stesso modo. 

L’aspetto che lascia più perplessi 

è il mancato collegamento con il 

principio legale di revoca qui esaminato, 

fatto come si è visto di 

diverse garanzie, e l’assunzione di 

un meccanismo a “mannaia”, incentrato 

sul criterio che ogni violazione 

contestata porti all’automatica 

revoca del beneficio concesso. 

... (omissis) 

15 È stato verificato in collaborazione con le 

articolazioni territoriali dell’INAIL che non 

siano state accertate violazioni relative alla 

normativa sulla salute e sulla sicurezza dei 

lavoratori prevista dal D.Lgs. n. 626/1994? 

Conclusioni 

L’azione di controllo così delineata 

lascia francamente molto 

perplessi. Secondo i dati forniti 

interesserà circa 70.000 aziende 

ed è importante che imprese interessate 

e consulenti si preparino 

fin da ora a verificare se il proprio 

sistema di sicurezza è adeguato 

alla vigente normativa (si veda il 

riquadro 2); instaurare un contenzioso 

tributario è sempre un notevole 

rischio in quanto spesso porta 

a esiti assolutamente imprevedibili. 

Pertanto, sarà decisivo il ruolo 

dei Servizi di Prevenzione e Protezione 

affinché siano preventivamente 

individuate ed eliminate le 

carenze, e il datore di lavoro sia 

adeguatamente assistito nel corso 

dell’eventuale verifica dell’Agenzia 

delle Entrate. Ancora una volta, 

purtroppo, viene minata la certezza 

del diritto con l’assunzione 

di una procedura di revoca non 

ancorata a parametri obiettivi, con 

il rischio soltanto di produrre dannose 

discriminazioni. l 

Riquadro 1 

Check list 

Accesso mirato al controllo dell’esistenza dei presupposti previsti 

dall’art. 4 della legge n. 449/1997 per l’utilizzo del credito d’imposta 

per l’assunzione di nuovi dipendenti - codice tributo 6700 

Stralcio della Circolare dell’Agenzia delle Entrate 8 luglio 2003, n. 35/E 

Legenda: 

SI : Controllo effettuato anche se con esito negativo 

NO1: Controllo non effettuato per mancanza del presupposto d’accertare 

NO2: Controllo non effettuato perché non ritenuto proficuo 


Articolo 

SI NO1 NO2 NOTA 



Articolo 

... (omissis) 

Attività di controllo 


31 - siano rispettate le norme sulla sicurezza 

ex legge n. 626/1994 in collaborazione 

con le articolazioni locali dell’INAIL? 

32 - risulti da idonea documentazione il 

rispetto dei parametri per le prestazioni 

ambientali come definiti dall’art. 6, 

comma 6, lettera i) del decreto del Ministro 

dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato 

20 ottobre 1995, n. 527 e 

successive modificazioni? 

... (omissis) 

Nel caso in cui l’impresa benefici dell’incremento 

di un milione di lire (euro 

516,46) del credito d’imposta, ai sensi 

del comma 9 della citata legge, si è proceduto 

anche a controllare, anche in collaborazione 

con le altre Amministrazioni 

interessate, che: 

35 - abbia aderito al sistema comunitario di 

ecogestione e audit previsto dal Regolamento 

(CEE) n. 1836/1993 del Consiglio, 

del 29 giugno 1993. 

36 - abbia aderito agli accordi di programma 

per la riduzione delle emissioni inquinanti. 

37 - produca prodotti che possiedono il marchio 

di qualità ecologica previsto dal Regolamento 

(CEE) n. 880/92 del Consiglio, 

del 23 marzo 1992. 

38 - rientri tra le imprese classificate alle lettere 

a) e c) del comma 1 dell’art. 4 della 

legge 8 agosto 1985, n. 443, e abbiano 

provveduto all’adeguamento alle norme 

di cui D.Lgs. n. 626/1994 e successive modificazioni. 

Le imprese ad alto rischio di verifica 

● I datori di lavoro che hanno usufruito del credito d’imposta ex art. 4 legge 449/1997; 

Riquadro 2 

● I datori di lavoro che hanno utilizzato il credito d’imposta ex art. 7 della legge 388/2000 durante il periodo 

di sospensione disposto dal D.L. 253/2002; 

● I datori di lavoro che hanno usufruito del credito d’imposta per l’acquisto di beni strumentali nuovi ex art. 

8 della legge 388/2000. 


IL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE 

DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA 

Vista la legge 11 gennaio 1996, n. 23, ed in particolare 

gli articoli 2 e 4; 

Visto l’art. 15 della legge 3 agosto 1999, n. 265; 

Vista la legge 28 marzo 2003, n. 53; 

Visti i decreti ministeriali 18 aprile 1996, n. 152, e 

6 settembre 1999, con i quali sono state indicate le 

somme disponibili per le prime annualità dei relativi 

trienni di applicazione e stabiliti, per ciascuno dei 

trienni citati, i criteri e le modalità di calcolo, nonché 

gli indirizzi diretti ad assicurare il necessario coordinamento 

degli interventi regionali per un’idonea programmazione 

scolastica nazionale, 

Visti, altresì, i decreti ministeriali 8 giugno 1998 e 

6 aprile 2000, inerenti alle rispettive annualità successive 

alla prima, nonché il decreto ministeriale 23 aprile 

2001 afferente all’ultima annualità del secondo triennio; 



Legislazione 

In allegato al decreto si propongono le risposte ad alcune delle domande più frequenti sulla sicurezza e la prevenzione dei rischi 

Dal MinIstruzione 460 mln di euro 

per l’adeguamento delle scuole 

Con il decreto del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca 30 ottobre 2003, pubblicato in 

Gazzetta Ufficiale del 1˚ novembre 2003, n. 262, il dicastero ha reso disponibile la somma di oltre 460 

milioni di euro per opere di edilizia scolastica. Le amministrazioni beneficiarie, nella assegnazione degli 

importi ad esse destinate, dovranno attenersi agli indirizzi dello stesso ministero. Tra questi, quello di 

privilegiare gli interventi finalizzati alla messa a norma e all’adeguamento delle preesistenti strutture 

alla vigente normativa in materia di agibilità, sicurezza e igiene e, all’eliminazione delle barriere 

architettoniche; di favorire il coordinamento e il più razionale sfruttamento della rete scolastica con la 

distribuzione degli edifici, tenendo anche conto dell’opportunità di un organico inserimento delle 

istituzioni scolastiche nelle diverse realtà territoriali e collettività locali; di considerare ogni opportunità 

di adeguamento dei relativi edifici alle nuove esigenze della scuola e ai processi di riforma degli 

ordinamenti e dei programmi e di garantire, anche al fine di migliorare il servizio reso all’utenza, la 

fornitura di sedi idonee per un dignitoso e corretto funzionamento delle direzioni scolastiche regionali e 

dei centri di servizio amministrativo. 

Decreto del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca 

30 ottobre 2003 

Ripartizione delle prime due annualità, 2003 e 2004, del terzo triennio di programmazione (2003/2005), 

per opere di edilizia scolastica, legge 11 gennaio 1996, n. 23 

in Gazzetta Ufficiale del 1˚ novembre 2003, n. 262 

Vista la legge 28 dicembre 2001, n. 448, che ha 

previsto, nella tabella 2, la somma di Euro 30.987.000 

come impegno quindicennale, decorrente dall’anno finanziario 

2004, per l’attivazione, in tale annualità, di 

opere di edilizia scolastica ai fini di cui agli articoli 2 

e 4 della prefata legge n. 23/1996; 

Vista la legge 27 dicembre 2002, n. 289, che contempla, 

nella tabella 1, una somma di 10 milioni di 

euro come impegno quindicennale, decorrente dall’anno 

finanziario 2003, per le medesime finalità relativamente 

all’esercizio di riferimento; 

Considerata, quindi, la concreta possibilità di procedere 

alla ripartizione, tra le regioni e province autonome 

di Bolzano e Trento, dei fondi come sopra disponibili, 

al fine di consentire la puntuale attuazione degli 

interventi, di cui ai citati articoli 2 e 4, relativi al 

primo e secondo piano annuale del terzo triennio di 

programmazione regionale; 

Ritenuta l’opportunità, anche per motivazioni di 

correntezza amministrativa ed economicità dei mezzi 



Legislazione 

giuridici, di sussumere nel presente, unico, decreto i 

finanziamenti, con relative ripartizioni, afferenti ad 

entrambe le annualità 2003 e 2004, al fine, altresì, di 

offrire alle amministrazioni direttamente interessate 

un quadro conoscitivo ed operativo più ampio, a beneficio 

di una migliore attività programmatoria; 

Rilevato che, giusta nota 12 giugno 2003, prot. n. 

289/03 della Cassa depositi e prestiti, all’uopo adita, e 

comunicato al competente dicastero dell’economia e 

delle finanze con ministeriale 1˚ luglio 2003, n. 1868, 

la somma complessiva concretamente ripartibile per 

ciascuna delle annualità citate, a fronte del tasso vigente 

all’atto della predisposizione del presente provvedimento, 

determinato con le modalità di cui agli articoli 

2, 3 e 5 del decreto 9 gennaio 2003 del Dicastero 

medesimo, ammonta ad Euro 112.600.641,48 per l’anno 

2003 e ad Euro 348.915,607,75 per quello successivo; 

Ritenuto, quindi, di dover contestualmente ripartire 

entrambe le somme disponibili per la prima e seconda 

annualità del terzo triennio di programmazione 

2003/2005, nonché indicare - per il medesimo periodo 

- gli indirizzi volti ad assicurare l’opportuno coordinamento 

degli interventi regionali, al fine di consentire 

la necessaria programmazione scolastica nazionale; 

Considerato che i finanziamenti suindicati consentono 

la concreta attivazione delle prime due annualità 

del terzo triennio citato e che, pertanto, per l’ultima 

annualità si provvederà con apposito provvedimento 

adattabile a fronte della relativa copertura finanziaria, 

ove effettivamente intervenuta; 

Tenuto conto della necessità che la programmazione 

degli interventi di edilizia scolastica, attraverso 

l’attivazione delle relative opere, garantisca il raggiungimento 

delle finalità contemplate dall’art. 1 della 

legge 11 gennaio 1996, n. 23, con particolare riguardo 

all’adeguamento del patrimonio esistente alla vigente 

normativa in materia di agibilità, igiene e sicurezza 

nonché alla riqualificazione dello stesso ed al soddisfacimento 

del fabbisogno immediato di aule, con il riequilibrio 

nella media nazionale degli indici di carenza 

tra le diverse regioni, in modo da assicurare un’equa 

organizzazione territoriale del sistema scolastico anche 

con riferimento agli andamenti demografici ed al 

rapporto tra richiesta ed offerta, favorendo, altresì, la 

disponibilità di palestre ed impianti sportivi, la possibilità 

di utilizzo delle strutture scolastiche da parte della 

collettività nonché l’eliminazione del fenomeno delle 

locazioni onerose; 

Ricordato il parere già reso dall’Osservatorio permanente 

per l’edilizia scolastica, come formulato nella 

seduta del 28 maggio 1999, nel quale - preso anche 

atto del conforme assunto del Coordinamento interregionale 

per l’edilizia scolastica, come confermato nella 

relativa nota 31 maggio 1999, n. 90 C.I. - venivano 


ribaditi sostanzialmente gli indirizzi utilizzati nel triennio 

precedente e prevista una progressiva rimodulazione 

riequilibrativa degli importi assegnabili, attraverso 

la considerazione di un’opportuna commisurazione al 

reale fabbisogno regionale, anche in proporzione alla 

consistenza delle strutture scolastiche presenti nelle 

diverse realtà territoriali interessate ed all’entità numerica 

della relativa utenza; 

Ritenuto, pertanto, di confermare sostanzialmente 

anche per il presente triennio 2003/2005 criteri di 

riparto come sopra rappresentati, continuando nel graduale 

adeguamento del relativo utilizzo nel citato triennio, 

in modo che, nell’intero arco dello stesso, la 

variazione apportata influisca per il 70% nel 2003, per 

l’80% nel 2004 e per il 90% nel 2005; 

Preso atto di quanto concordato, al riguardo, in 

sede di Coordinamento interregionale nel corso dell’apposita 

riunione del 29 maggio 2003 - come indicato 

nella nota del Coordinamento medesimo del 6 giugno 

2003, n. 127/CI - in ordine, in particolare, alle 

finalità, ai criteri, alle basi di calcolo e ad ogni altra 

modalità operativa da adottare per la concreta ripartizione 

dei finanziamenti nel corso del triennio 

2003/2005, a fronte dei più recenti dati utilmente in 

possesso di questo Ministero; 

Ritenuto, dunque, di suddividere ciascuno dei succitati 

importi complessivamente ripartibili in due quote 

complementari - ammontanti, nella ripartizione inerente 

alla prima annualità del terzo triennio, rispettivamente 

al 70% ed al 30% e, nella seconda, all’80% ed 

al 20% del relativo totale - nonché, fermo restando 

l’utilizzo per entrambe dei criteri predetti, di rapportare 

la prima delle indicate percentuali anche alla consistenza 

numerica delle strutture scolastiche delle singole 

realtà territoriali interessate, limitandosi, per le restanti, 

all’adozione unicamente dei criteri citati, senza 

alcuna parametrazione alla consistenza medesima; 

Ritenuto, altresì, che, nell’ultima annualità, dette 

percentuali siano rispettivamente elevate al 90% ed al 

10%, così da assicurare che nell’intero, presente, terzo 

triennio di programmazione non venga superata, come 

sopra determinata, l’incidenza media complessiva dell’80% 

del prefato criterio relativo alla parametrazione 

predetta; 

Ribadita, inoltre, l’opportunità, di confermare - anche 

al fine di un adeguato bilanciamento con tale 

criterio - il riconoscimento per la capacità di spesa 

dimostrata delle singole amministrazioni regionali, già 

adottato nel precedente triennio, mantenendo, pertanto, 

la riserva, a tali fini, di una percentuale del 10% 

dell’importo disponibile, rapportata al livello di utilizzo 

dei finanziamenti concessi nelle precedenti triennalità 

ai sensi dell’art. 4 della legge n. 23/1996; 

Acquisito, come formulato nella seduta del 2 ottobre 

2003 (rep. atti 1834 di pari data), il parere favore- 


vole della Conferenza permanente tra Stato, regioni e 

province autonome di Bolzano e Trento e fatte salve le 

norme speciali relative a queste ultime; 

Decreta: 

Art. 1 

Ai sensi e per gli effetti di quanto in premessa indicato, 

per l’attivazione delle annualità prima (2003) e seconda 

(2004) del terzo piano di programmazione triennale 

(2003/2005) contemplato dall’art. 4 della legge 11 

gennaio 1996, n. 23, sono rispettivamente disponibili le 

somme complessive di Euro 112.600.641,48 e di Euro 

348.915.607,75, entrambe sotto forma di mutui con 

ammortamento a totale carico dello Stato accendibili 

presso la Cassa depositi e prestiti. 

Art. 2 

Le ripartizioni dei finanziamenti previsti per le due 

citate annualità come sopra determinate - e fermo restando 

quanto indicato in epigrafe per la terza - è predisposta 

con i criteri, le basi di calcolo, i pesi, il procedimento 

ed ogni altra modalità rappresentati nell’allegato 1 al 

presente decreto, del quale costituisce parte integrante. 

Art. 3 

Le somme attribuite alle amministrazioni beneficiarie, 

per l’attivazione delle opere relative alla prima annualità 

2003 del terzo triennio 2003/2005, in applicazione di quanto 

disposto nei precedenti articoli sono quelle a lato di 

ciascuna di esse indicate, come nel seguito riportate: (v. 

tabella 1). 

Art. 4 

Le somme attribuite alle amministrazioni beneficiarie, 

per l’attivazione delle opere relative alla seconda annualità 

2004 del terzo triennio 2003/2005, in applicazione di quanto 

disposto nei precedenti articoli sono quelle a lato di 

ciascuna di esse indicate, come nel seguito riportate: (v. 

tabella 2). 

Art. 5 

Al fine di assicurare il necessario coordinamento dei 

rispettivi interventi nell’ambito della programmazione 

scolastica nazionale, le regioni, in sede di predisposizione 

del terzo piano generale triennale 2003/2005 e dei 

relativi piani annuali attuativi - attivabili nei termini e 

con le modalità indicate nelle premesse - si atterranno, 

nell’ordine, tenuto anche conto dei risultati ottenuti con 

i precedenti interventi in materia, ai seguenti indirizzi: 

a) privilegiare gli interventi finalizzati prioritariamente 

alla messa a norma ed all’adeguamento delle 

preesistenti strutture alla vigente normativa in materia 

di agibilità, sicurezza ed igiene ed, altresì, all’eliminazione 

delle barriere architettoniche, nonché quelli diretti 

ai completamenti funzionali di opere già iniziate ed al 



Legislazione 

soddisfacimento del fabbisogno immediato di aule, in 

relazione all’indice di carenza determinato dall’offerta 

del servizio scolastico a fronte della relativa richiesta da 

parte dell’utenza - con particolare riguardo alle esigenze 

derivanti dall’entrata in vigore della legge 28 marzo 

2003, n. 53, indicata in premessa - ed alla eliminazione 

del fenomeno delle locazioni onerose, al fine di determinare 

le condizioni strutturali idonee ad assicurare un 

adeguato standard qualitativo del servizio medesimo, il 

rinnovamento della didattica ed un’efficace lotta alla 

dispersione scolastica; 

b) favorire il coordinamento ed il più razionale sfruttamento 

della rete scolastica con la distribuzione degli 

edifici, tenendo anche conto dell’opportunità di un organico 

inserimento delle istituzioni scolastiche nelle diverse 

realtà territoriali e collettività locali; 

c) considerare ogni opportunità di adeguamento dei 

relativi edifici alle nuove esigenze della scuola ed ai 

processi di riforma degli ordinamenti e dei programmi; 

d) garantire, anche al fine di migliorare il servizio 

reso all’utenza, la fornitura di sedi idonee per un dignitoso 

e corretto funzionamento delle direzioni scolastiche 

regionali e dei centri di servizio amministrativo. 

Art. 6 

Nel procedimento programmatorio le regioni valuteranno 

opportunamente il fabbisogno di aule in ragione 

di una dettagliata indicazione, da parte di comuni e 

province, sull’utilizzo degli edifici vincolati alla destinazione 

scolastica, anche tenuto conto delle relative, eventuali, 

proposte di revoca formulate ai sensi dell’art. 8, 

comma 7, della legge 11 gennaio 1996, n. 23, e dell’intervenuta, 

razionalizzazione della rete scolastica, considerando 

altresì, le prevedibili esigenze di utilizzo a 

medio/lungo termine per effetto anche della recente 

riforma avviata con la precitata legge n. 53/2003, con 

conseguente adozione di criteri ispirati alla necessaria 

modularità e flessibilità nella progettazione dei relativi 

interventi. 

Art. 7 

Nella scelta degli interventi medesimi, ferme restando 

le indicazioni di cui ai precedenti articoli 5 e 6, le 

regioni terranno conto anche della celerità d’esecuzione 

degli stessi, con particolare riguardo alla sussistenza di 

progettazione esecutiva e disponibilità delle aree nonché 

all’assenza di vincoli di carattere normativo. 

Art. 8 

Restano confermati, in quanto compatibili con il presente 

provvedimento, ogni altra disposizione, modalità, 

termine, indirizzo, finalità o criterio contemplati nei 

precedenti decreti 18 aprile 1996, n. 152, e 6 settembre 

1999, nonché 8 giugno 1998, 6 aprile 2000 e 23 aprile 

2001 indicati nelle premesse, che integralmente vengono 

richiamate nel presente dispositivo. l 



Legislazione 


Piemonte 

Euro 

6.747.058,00 

Valle d'Aosta 287.079,00 

Lombardia 12.114.804,00 

Provincia autonoma di Bolzano 746.318,00 

Provincia autonoma di Trento 840.137,00 

Veneto 7.529.657,00 

Friuli-Venezia Giulia 2.602.365,00 

Liguria 3.014.714,00 

Emilia-Romagna 7.106.972,00 

Toscana 8.040.946,00 

Umbria 1.840.968,00 

Marche 3.352.318,00 

Lazio 8.163.966,00 

Abruzzo 3.613.208,00 

Molise 1.307.231,00 

Campania 11.459.394,00 

Puglia 8.036.621,00 

Basilicata 1.741.899,00 

Calabria 7.551.365,00 

Sicilia 12.020.200,00 

Sardegna 4.483.421,00 

Piemonte 

Euro 

20.822.306,00 

Valle d'Aosta 826.291,00 

Lombardia 37.953.236,00 

Provincia autonoma di Bolzano 2.399.813,00 

Provincia autonoma di Trento 2.706.226,00 

Veneto 23.402.837,00 

Friuli-Venezia Giulia. 7.521.147,00 

Liguria 8.781.518,00 

Emilia-Romagna 20.842.228,00 

Toscana 23.670.702,00 

Umbria 5.635.141,00 

Marche 10.101.463,00 

Lazio 26.398.526,00 

Abruzzo 10.864.907,00 

Molise 3.748.906,00 

Campania 37.685.968,00 

Puglia 25.300.455,00 

Basilicata 5.256.324,00 

Calabria 23.854.702,00 

Sicilia 37.301.226,00 

Sardegna 13.841.685,00 

TABELLA 1 

TABELLA 2 



CRITERI E PROCEDIMENTO PER IL RIPARTO 


Legislazione 

Allegato 1 

A) A fronte dell’importo complessivamente ripartibile per ciascuna delle annualità 2003 e 2004 del terzo 

triennio di programmazione regionale - e cioè, rispettivamente, per la prima annualità (2003) di Euro 

112.600.641,48 e per la seconda (2004) di Euro 348.915.607,75 - alle finalità contemplate dall’art. 1, 

comma 2, lettere a) e c) della legge 11 gennaio 1996, relative al soddisfacimento del fabbisogno 

immediato di aule, con riguardo anche alla progressiva eliminazione del fenomeno delle locazioni 

onerose, nonché all’adeguamento alla vigente normativa in materia di agibilità, sicurezza ed igiene, è 

stata riconosciuta la maggiore priorità; 

B) nell’ordine, è stato, poi, assegnato un grado progressivamente decrescente di valenza alle altre 

finalità previste dal citato art. 1, comma 2, lettera e): equilibrata organizzazione territoriale del sistema 

scolastico, lettera f): disponibilità di palestre ed impianti sportivi di base e lettera b): riqualificazione del 

patrimonio esistente; 

C) preso atto preliminarmente del numero degli edifici scolastici insistente in ciascuna regione, come 

noto sulla base dei più recenti dati in possesso dell’amministrazione, sono stati, poi, determinati, a 

fronte di questi ultimi, i seguenti sei indicatori rappresentativi delle situazioni di fatto connesse alle 

finalità di cui alle precedenti lettere A) e B), relativi agli edifici medesimi: 

1) indicatore sintetico dell’affollamento delle strutture; 

2) indicatore sintetico della precarietà degli edifici e degli impianti; 

3) indicatore sintetico della distribuzione territoriale; 

4) indicatore semplice della carenza di palestre ed impianti sportivi; 

5) indicatore semplice degli edifici soggetti a vincolo storico-monumentale; 

6) indicatore semplice degli edifici in affitto. 

D) le informazioni sono state, quindi, classificate secondo tali indicatori, determinando una situazione 

comparabile delle diverse regioni tra di loro e successivamente aggregati in un unico indice sintetico, con 

i seguenti pesi: 

0,35 per gli indicatori relativi all’affollamento delle strutture ed alla precarietà di edifici ed impianti; 

0,10 per quelli concernenti la distribuzione territoriale e la carenza di palestre o di impianti sportivi; 

0,05, infine, per quelli inerenti agli edifici in affitto ovvero soggetti a vincolo storico o monumentale. 

E) il 90% di ciascuna delle precitate somme di Euro 112.600.641,48 ed Euro 348.915.607,75 complessivamente 

assegnabili nelle relative annualità di riferimento e pari, rispettivamente, ad Euro 101.340.577,00 ed Euro 

314.024.046,00, è stato suddiviso tra le singole regioni secondo l’indice relativo sintetico di cui alla suindicata 

lettera D). Al fine della necessaria rimodulazione riequilibrativa del riparto detto indice è stato, però, 

parzialmente parametrato anche al numero degli immobili scolastici insistenti nei singoli ambiti territoriali 

interessati, rapportando - nell’annualità 2003 - il 70% della somma utilizzabile a tali fini all’indicatore 

medesimo “pesato” col numero degli edifici scolastici come sopra determinato ed il restante 30% al solo 

indicatore sintetico citato, sommando poi i due parziali così ottenuti. Nell’annualità 2004, ferma restando 

ogni altra modalità operativa, tali percentuali sono state rispettivamente elevate all’80% ed al 20%; 

F) il rimanente 10% - pari ad Euro 11.260.064,00 per l’annualità 2003 e ad Euro 34.891.561,00 per 

l’annualità 2004 - è stato, poi, suddiviso tra tutte le regioni in rapporto ad un indice ponderato 

rappresentativo della capacità di spesa di ciascuna di esse, valutato sulla base del rispettivo livello di 

concreto utilizzo, come noto all’atto dell’effettuazione del presente riparto, dei finanziamenti assegnati 

nelle precedenti annualità ai sensi dell’art. 4 della legge 11 gennaio 1996, n. 23. L’importo finale 

assegnato alle singole regioni e province autonome è stato, infine, definito sommando i valori di cui alla 

presente lettera F) con quelli indicati nella precedente lettera E). 



Quesiti 

di Monica Calzavarini, Polistudio S.r.l. 

1 Normativa: sicurezza nella scuola 


Dal sito della Provincia di Rovigo alcuni chiarimenti sugli obblighi e le responsabilità 

Le domande più frequenti 

sulla sicurezza nelle scuole 

La Provincia di Rovigo ha inaugurato il nuovo portale “Orientati al Sapere” all’indirizzo www.pubblicaistruzione.it/rovigo 

presentato da Gioia Beltrame, Assessore alla Cultura della Provincia di 

Rovigo, e da Valerio Gasparetto, architetto e Dirigente Settore Pubblica Istruzione. Una sezione 

specifica del sito “Sicurezza: l’esperto risponde” è stata esclusivamente dedicata al tema della 

sicurezza e della prevenzione dei rischi nella scuola (D.Lgs. n. 626/1994 e D.M. n. 382/1998). 

Pubblichiamo alcune delle domande che sono pervenute all’indirizzo della Provincia e alla cui 

risposta è stata incaricata, dalla stessa pubblica amministrazione, la società Polistudio. 

Quale è il riferimento legislativo che individua il dirigente scolastico quale datore di lavoro? 

Il decreto del Ministero dell’interno 21 giugno 1996, n. 292. 

Quali sono i soggetti invitati a partecipare alla riunione periodica? 

Il Dirigente Scolastico indice almeno una volta all’anno una riunione (art. 11, D.Lgs. n. 626/1994), cui 

partecipano: 

a) il datore di lavoro o un suo rappresentante; 

b) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi; 

c) il medico competente ove previsto; 

d) il rappresentante per la sicurezza. 

Lo scopo della riunione è di sottoporre all’esame dei partecipanti: 

a) il documento di valutazione dei rischi; 

b) l’idoneità dei mezzi di protezione individuale; 

c) i programmi di informazione e formazione dei lavoratori ai fini della sicurezza e della protezione della loro 

salute. 

La riunione rimarrà agli atti con redazione di apposito verbale. 

La riunione dovrà essere indetta in occasione di eventuali significative variazioni delle condizioni di esposizione 

al rischio, compresa la programmazione e l’introduzione di nuove tecnologie che hanno riflessi sulla 

sicurezza e salute dei lavoratori. 

Quando è necessaria la nomina del Medico competente? 

L’art. 4 del D.M. n. 382/1998, «Regolamento recante norme per l’individuazione delle particolari esigenze 

negli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, ai fini delle norme contenute nel decreto 

legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche ed integrazioni», stabilisce che la sorveglianza 

sanitaria, a mezzo del medico competente, è finalizzata a realizzare specifici controlli nelle istituzioni 

scolastiche ed educative nelle quali la valutazione dei rischi, effettuata dal datore di lavoro, abbia evidenziato 

concrete situazioni di esposizione a rischi per la salute dei lavoratori tali da rendere obbligatoria la 

sorveglianza sanitaria. 

Accertato tale presupposto, il datore di lavoro procede alla nomina del medico competente, ai fini ed agli 

effetti di cui all’articolo 17 del decreto legislativo n. 626. 

Successivamente la circolare del Ministero della Pubblica Istruzione 29 aprile 1999, n. 119 ribadisce che la 

sorveglianza sanitaria deve essere assicurata esclusivamente nei casi di attività lavorative rischiose evidenziate 

a seguito della valutazione dei rischi. 



Chi è il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza? 

Quali sono i suoi compiti e che requisiti deve avere? 

Si tratta di una persona, o più persone, eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto 

concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro (art. 2, lett. f), D.Lgs. n. 626/1994). Il 

D.M. n. 382/1998, regolamento recante norme per l’individuazione delle particolari esigenze negli istituti 

di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, in merito all’individuazione dell’RLS nella scuola 

rimanda, così come la circolare del Ministero della Pubblica Istruzione 19 aprile 2000, n. 119, al contratto 

collettivo nazionale quadro (C.C.N.Q.) concordato il 7 maggio 1996 tra l’Agenzia per la rappresentanza 

negoziale delle pubbliche amministrazioni (A.R.A.N.) e le organizzazioni sindacali (in Gazzetta Ufficiale 

del 30 luglio 1996, n. 177). A seguito di questo contratto, che individua diritti, formazione e strumenti per 

l’espletamento degli incarichi del RLS nelle pubbliche amministrazioni, è stato emesso il Contratto 

Collettivo Nazionale Integrativo - Comparto Scuola anni 1998-2001 - Tutela della salute negli ambienti di 

lavoro. Qui si stabilisce che in tutte le unità scolastiche, individuate dal D.M. n. 382/1998, i Rappresentanti 

dei Lavoratori per la Sicurezza vengono eletti o designati nell’ambito delle Rappresentanze Sindacali 

Unitarie (RSU) nel numero di 1 rappresentante nelle istituzioni scolastiche fino a 200 dipendenti e 3 

rappresentanti nelle istituzioni scolastiche con più di 200 dipendenti fino a 1000. In attesa della costituzione 

delle RSU i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza vengono eletti o designati nell’ambito delle 

Rappresentanze Sindacali Aziendali (RSA); in mancanza di tali RSA tutti i lavoratori della scuola possono 

essere eletti alla carica di RLS secondo le modalità previste dal contratto collettivo nazionale quadro 

(C.C.N.Q.) sopra citato. Per quanto riguarda le attribuzioni del RLS nella scuola vale quanto è stato 

disciplinato dagli articoli 18 e 19 del D.Lgs. n. 626/1994. Nel Contratto Collettivo Nazionale Integrativo si 

ribadisce inoltre che l’RLS ha diritto alla formazione specifica (art. 19, comma 1, lettera G) del D.Lgs. n. 

626/1994) che prevede un programma base minimo di 32 ore i cui contenuti sono quelli previsti dal D.Lgs. 

n. 626/1994 e dal decreto del Ministro del Lavoro 16 gennaio 1997; in sede di organismo paritetico 

possono essere proposti percorsi formativi aggiuntivi in considerazione di particolari esigenze. 

2 Dirigente scolastico: compiti, obblighi e responsabilità 

Quali sono i compiti del dirigente scolastico? 

I compiti del dirigente scolastico in materia di sicurezza negli ambienti di lavoro sono normati dal D.Lgs. n. 

626/1994 e dal D.M. n. 382/1998. 

In sintesi: 

● individua il RSPP e il SPP con cui collabora alla redazione del documento di valutazione dei rischi; 

● promuove ogni idonea iniziativa di informazione e formazione; 

● svolge la programmazione e l’organizzazione delle emergenze; 

● deve richiedere agli enti locali la realizzazione degli interventi necessari per salvaguardare la salute e 

la sicurezza dei lavoratori e degli allievi; con tale richiesta si intende assolto l’obbligo di competenza 

del datore di lavoro; 

● sospende in caso di pericolo grave o imminente le attività scolastiche. 

Nel caso in cui il dirigente scolastico abbia rilevato la presenza di un rischio grave e immediato, cosa 

deve fare? 

Nel caso in cui il datore di lavoro, sentito l’eventuale responsabile del servizio di prevenzione e di protezione, 

ravvisi grave ed immediato pregiudizio alla sicurezza ed alla salute dei lavoratori e degli allievi adotta, sentito lo 

stesso responsabile, ogni misura idonea a contenere o eliminare lo stato di pregiudizio, informandone contemporaneamente 

l’ente locale per gli adempimenti di obbligo (art. 5, comma 2, D.M. n. 382/1998). 

Nei Conservatori di Musica il Legislatore chi individua come “datore di lavoro”? 

In tali istituti scolastici il D.M. del 21 giugno 1996, n. 292 individua come “Datore di Lavoro” il presidente del 

consiglio d’amministrazione. 

3 Ente gestore dell’immobile: compiti, obblighi e responsabilità 


Quesiti 

Gli interventi strutturali e di manutenzione nella scuola, necessari per garantire la sicurezza, a chi spettano? 

Come ribadito dall’art. 4, comma 12, D.Lgs. n. 626/1994 e dalla circolare del Ministero della Pubblica Istruzione 29 

aprile 1999, n. 119 tali interventi sono a carico dell’ente locale tenuto, ai sensi della vigente normativa in materia 

- ed in particolare dell’art. 3 della legge 11 gennaio 1996, n. 23 - alla loro fornitura e manutenzione. 

L’ente gestore dell’immobile, a seguito del ricevimento della richiesta interventi da effettuarsi 

presso la scuola, che adempimenti deve attuare? 

Ai sensi del D.Lgs. n. 626/1994 deve essere redatto un programma interventi che rispetti la priorità imposta 

dalla valutazione del rischio. Inoltre la legge n. 265 del 3/8/1999, art. 15 ribadisce che gli interventi previsti 

dall’art. 3 della legge 11 gennaio 1996, n. 23 siano completati entro il 31 dicembre 2004 sulla base di un 

programma, articolato in piani annuali attuativi, predisposto dai soggetti o enti competenti. 



Quesiti 


A chi spetta l’acquisto e la manutenzione degli arredi scolastici? 

Torna opportuno ricordare che, mentre fanno capo agli Enti locali rispettivamente competenti, Comuni o 

Province, gli interventi sulle strutture, gli arredi, le spese varie d’ufficio e l’impiantistica in generale (articolo 3 

della legge 11 gennaio 1996, n. 23) - fatto salvo, ovviamente, l’obbligo da parte del Capo d’istituto di 

adottare ogni misura idonea e contingente in caso di grave ed immediato pregiudizio per l’incolumità 

dell’utenza - resta di pertinenza di quest’ultimo l’adeguamento delle attrezzature e dei materiali destinati 

alle attività didattiche. 

Di tali circostanze andrà tenuto il debito conto nella valutazione dei fattori di rischio, nella stesura del 

relativo documento e nella proposizione degli interventi che dovessero rendersi necessari (lettera H, circolare 

ministeriale 29 aprile 1999, n. 119). 

Quali sono gli enti che concedono in uso un edificio scolastico? 

I comuni, per quelli da destinare a sede di scuole materne, elementari e medie; le province, per quelli da 

destinare a sede di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, compresi i licei artistici e gli istituti 

d’arte, di conservatori di musica, di accademie, di istituti superiori per le industrie artistiche, nonché di 

convitti e di istituzioni educative statali (art. 3, legge 11 gennaio 1996, n. 23). 

4 Documento di valutazione dei rischi: rilevazione dei rischi nella scuola 

Quali sono le parti principali di cui si compone il Documento di Valutazione dei Rischi? 

La risposta a tale domanda è sancita dall’art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994. 

Di seguito si riporta una sintesi: 

a) una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono 

specificati i criteri adottati per la valutazione stessa; 

b) l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate in conseguenza della valutazione di 

cui alla lettera a), nonché delle attrezzature e dispositivi di protezione utilizzate; 

c) il programma di attuazione delle misure di cui alla lettera b). 

Dove deve essere custodito il Documento di Valutazione dei Rischi? 

In base all’interpretazione dell’art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 626/1994, il D.V.R. deve essere custodito 

l’originale presso il plesso scolastico e una copia presso la presidenza, per una migliore gestione documentale. 

Nell’area cortiliva a disposizione della scuola XXX è presente una struttura ludica in legno in stato 

d’avanzato degrado (legno con schegge, ponte mobile pericolante, ecc.). La scuola cosa deve fare? 

Inviare al Comune una lettera in cui si richiede la rimozione tempestiva della struttura; nel frattempo la 

scuola dovrà provvedere ad interdire l’utilizzo del gioco da parte dei bambini. 

Quali elementi di sicurezza devono essere rispettati dalla scuola per quanto riguarda l’utilizzo 

delle scale portatili? 

La scala portatile è un’attrezzatura particolarmente pericolosa nell’ambiente di lavoro (causa ogni anno circa 

100 infortuni mortali e circa 11.000 infortuni con invalidità superiore a 30 gg.), è per questo motivo che il 

datore di lavoro: 

1. deve riservare l’uso della scala portatile a lavoratori all’uopo designati per iscritto, 

2. con specifica procedura di sicurezza, 

3. previa formazione ed addestramento. 

È chiaro che non ha senso ottemperare ai tre punti succitati e dare ai lavoratori attrezzature non adeguate 

allo scopo. Infatti per le scale portatili si dovrà dimostrare la rispondenza ai vigenti criteri costruttivi dettati 

dal D.M. 23 marzo 2000, ovvero requisiti tecnici (rispondenza alla norma UNI EN 131) e documentali (foglio 

e/o libretto, dichiarazione di conformità, ecc.) anche se presenti nell’ambiente di lavoro prima dell’entrata in 

vigore di detta disposizione legislativa. 

5 Piano d’emergenza: organizzazione e gestione dell’emergenza nella scuola 

Con quale frequenza devono essere svolte le esercitazioni antincendio? 

Il datore di lavoro deve assicurare che almeno due volte nel corso dell’anno scolastico si effettuino delle 

esercitazioni antincendio per mettere in pratica le procedure di esodo e di primo intervento (decreto 26 

agosto 1992, Allegato punto 12.0, «Norme di prevenzione incendi per l’edilizia scolastica»). 

6 Informazione e Formazione: lavoratori e “figure sensibili” 

Sono Dirigente scolastico di una scuola media con popolazione scolastica superiore alle 300 

persone. Dalla valutazione del rischio incendio è emerso che gli addetti all’antincendio dovranno 

partecipare ad un corso per “rischio medio”. È sufficiente l’attestato di partecipazione? 

Il D.M.10 marzo 1998 prevede all’Allegato X per le scuole con oltre 300 persone presenti, l’obbligo per gli 

addetti di conseguire, dopo aver ricevuto l’adeguata formazione, l’attestato di idoneità tecnica (esame da 

effettuare presso il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco). 

È un obbligo del Dirigente scolastico formare gli addetti al primo soccorso? Il corso di quante ore 

deve essere? 

Il datore di lavoro ha l’obbligo di formare gli addetti nominati (art. 22, comma 5, D.Lgs. n. 626/1994). La 

durata dei corsi di formazione non è ancora stata normata; il disegno di legge propone una durata di 12 ore 

(teoria ed esercitazioni pratiche di intervento sull’infortunato). 




Quesiti 

Sono il Dirigente Scolastico di un Istituto Superiore; con l’inizio del nuovo anno scolastico presso 

il mio istituto sono stati assunti nuovi docenti; è obbligatorio effettuare formazione agli stessi? 

Come previsto dall’art. 22 del D.Lgs. n. 626/1994 il datore di lavoro deve promuovere un’attività di formazione 

ogni qualvolta ci sia una nuova assunzione, trasferimento o cambiamento di mansione del lavoratore, 

introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze o preparati pericolosi. 

La formazione deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi, ovvero all’insorgenza 

di nuovi rischi. 

7 

Documentazione inerente la sicurezza nella scuola: competenze del Dirigente scolastico e dell’Ente 

gestore dell’immobile 

A chi spetta redigere il piano di emergenza? 

Come previsto dall’art. 1, comma 3, D.M. n. 382/1998 e artt. 12-15 del D.Lgs. n. 626/1994 e succcessive 

modifiche e integrazioni, spetta al dirigente scolastico la gestione delle emergenze intesa come la redazione 

del Piano di emergenza, la designazione degli addetti alla gestione dell’emergenza e la formazione e 

informazione degli stessi. 

A chi spetta l’istruzione della pratica per l’ottenimento del CPI? 

Secondo quanto previsto dalla nota del 14 agosto 2000, prot. n. 902/4122 sott. 32, è confermato che la 

richiesta del CPI, debba essere inoltrata dall’Amministrazione Provinciale o dal Comune proprietario dell’immobile. 

Il materiale elettrico è soggetto alla marcatura CE? 

Ai sensi del D.Lgs. 25 novembre 1996, n. 626 di attuazione della direttiva 93/68/CE in materia di marcatura Ce 

del materiale elettrico, «prima dell’immissione in commercio, il materiale elettrico di cui all’art. 1 (della legge 

791 del 18 ottobre 1977) deve essere munito della marcatura CE prevista dall’articolo 7, che attesta la 

conformità del materiale alle disposizioni di legge». 

8 Laboratori: aspetti di sicurezza 

Come posso verificare che gli impianti di distribuzione gas installati presso il laboratorio di 

chimica, siano a norma? 

Gli impianti distribuzione gas devono essere realizzati in conformità alle Norme UNI-CIG e in modo particolare 

le tubazioni di raccordo tra gli impianti fissi e gli utilizzatori devono riportare stampata la data di validità 

(cioè posteriore alla data di verifica). 

Con che criteri deve essere studiata la postazione VDT rispetto alle fonti luminose? 

L’illuminazione adeguata del posto di lavoro è l’elemento più importante da curare. Il lavoro al VDT richiede 

lettura di dati su monitor e contemporanea lettura di dati su carta. Il monitor ha una sua illuminazione, per la 

lettura di dati su carta si ha bisogno dell’illuminazione naturale ed artificiale, questa situazione di interazione tra 

sistemi d’illuminazione deve essere controllata e regolata al fine di avere un buon contrasto nel campo visivo 

dell’operatore. Questi valori, però, se possono essere raggiunti con una adeguata progettazione dell’impianto 

d’illuminazione artificiale sono difficili da ottenere nelle ore diurne in quanto lo stato dell’illuminazione naturale 

è estremamente variabile. Per questo motivo sono necessarie nei posti di lavoro delle tendine tipo veneziana che 

consentano la regolazione dell’illuminazione diurna dell’ambiente di lavoro in quanto la luce diretta del sole 

potrebbe risultare eccessiva e causa di abbagliamenti e scarso contrasto del monitor. Altro accorgimento indispensabile 

è quello di non essere abbagliati dalla luce diretta naturale o artificiale. Pertanto l’illuminazione artificiale 

deve essere fornita da apparecchi illuminanti antiabbagliamento o quantomeno posizionati in modo tale da non 

abbagliare. Il modo migliore per posizionare la luce artificiale per un VDT è quello di disporre parallelamente alle 

finestre della stanza file di luce di apparecchi illuminanti. Ovviamente il posto di lavoro al VDT deve essere 

perpendicolare alle finestre e non deve avere punti di illuminazione artificiale e naturali dietro il monitor 

(abbagliamento) o davanti al monitor (riflessi). Sono stati brevettati dispositivi che misurano costantemente 

l’illuminazione del posto di lavoro dando indicazione su come intervenire se l’illuminazione non è corretta. 

Il pulsante di arresto d’emergenza deve essere presente su tutte le macchine? 

L’allegato 1 al D.P.R. n. 459/1996, al paragrafo 1.2.4 - Dispositivi di arresto, recita: «Ogni macchina deve essere 

munita di uno o più dispositivi di arresto di emergenza che consentano di evitare situazioni di pericolo che 

rischino di prodursi imminentemente e che si stiano producendo. Sono escluse da quest’obbligo: le macchine 

per le quali il dispositivo di arresto di emergenza non può ridurre il rischio perché non riduce il tempo per 

ottenere l’arresto normale oppure perché non permette le misure specifiche che il rischio richiede - le macchine 

portatili e quelle a guida manuale». 

L’acquisto di una nuova macchina deve avvenire sempre previo controllo dell’esistenza della 

marcatura CE o è sufficiente una dichiarazione di conformità del rivenditore? 

La rispondenza di una macchina ai requisiti è certificata dalla compresenza di dichiarazione di conformità e 

dalla marcatura CE: «Prima dell’immissione sul mercato o della messa in servizio, il costruttore o il suo 

mandatario residente nell’Unione europea deve attestare la conformità ai requisiti di cui al comma 1: a) per 

le macchine, mediante la dichiarazione CE di conformità di cui all’allegato II, punto A, e l’apposizione della 

marcatura di conformità di cui all’articolo 5» (articolo 2, comma 2, D.P.R. n. 459/1996). 



Quesiti 


9 Dispositivi di Protezione Individuale (DPI): utilizzo e tipologia 

Quando gli studenti frequentano laboratori devono essere dotati di D.P.I. e chi li deve fornire? 

Ai sensi del art. 1, comma 2, D.M. n. 382/1998, e art. 2, comma 1, lettera a), del D.Lgs. n. 626/1994, sono 

equiparati ai lavoratori gli allievi delle istituzioni scolastiche ed educative nelle quali i programmi e le attività 

di insegnamento prevedono espressamente la frequenza e l’uso di laboratori appositamente attrezzati, con 

possibile esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici, l’uso di macchine, apparecchi e strumenti di lavoro in 

genere ivi comprese le apparecchiature fornite di VDT.In forza di ciò gli allievi alla pari dei lavoratori devono 

essere forniti di DPI. 

L’obbligo di fornitura spetta al datore di lavoro, nel caso specifico al Dirigente sanitario. 

Cosa si intende per dispositivi di protezione individuale? 

Si intende per dispositivo di protezione individuale (DPI) qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e 

tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o 

la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo (art. 40, D.lgs. n. 

626/1994). 

Quali sono gli obblighi dei lavoratori (studenti ed insegnanti) in merito all’utilizzo dei dispositivi 

di protezione individuale? 

I lavoratori sono obbligati: 

● a sottoporsi ai programmi di formazione ed addestramento organizzati dal datore di lavoro; 

● ad utilizzare i DPI messi a loro disposizione conformemente all’informazione, alla formazione e all’addestramento 

ricevuti; 

● ad aver cura dei DPI messi a loro disposizione; 

● a non apportarvi modifiche di propria iniziativa; 

a riconsegnarli al termine dell’utilizzo seguendo le procedure aziendali; 

a segnalare immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al preposto qualsiasi difetto o inconveniente 

da essi rilevato. 


di Gianandrea Gino, amministratore EHSirt srl Milano 

Con qualche mese di ritardo 

sulla data prevista, l’11 agosto 

2003 è stato pubblicato in Gazzetta 

Ufficiale n. 185, il decreto 

del Ministero della Salute 

17 aprile 2003 riguardante i limiti 

e le restrizioni relative all’impiego 

di creosoto ed altre 

sostanze. Il breve decreto, di 

soli due articoli, modifica nuovamente 

l’allegato del D.P.R. 

n. 904/1982 sull’attuazione delle 

norme per l’immissione sul 

mercato e l’utilizzo di talune 

sostanze e preparati pericolosi, 

già oggetto di recenti interventi 

(si veda Ambiente & Sicurezza 

n. 11/2003, pag. 73, e n. 

13/2003, pag. 55). Vengono così 

recepite tre direttive comunitarie, 

le 2001/90/CE, 

2001/91/CE e 2003/11/CE, recanti 

il settimo e l’ottavo adeguamento 

dell’allegato I e la XXIV 

modifica della direttiva 

76/769/CE. 


Il decreto del Ministero della Salute 17 aprile 2003 recepisce le direttive 2001/90/CE, 2001/91/CE e 2003/11/CE 

Bandito il creosoto, diffuso biocida 

per la conservazione e il trattamento del legno 

Il testo del decreto del Ministero della Salute 17 aprile 2003, «Recepimento 

delle direttive 2001/90/CE; 2001/91/CE; 2003/11/CE recanti 

rispettivamente il settimo e ottavo adeguamento dell’allegato I nonché 

la ventiquattresima modifica della direttiva 76/769/CE relativa 

alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune 

sostanze e preparati pericolosi (Creosoto - Difeniletere pentabromato 

- Difeniletere octabromato)» è disponibile on-line all’indirizzo 

Il creosoto, con la famiglia di 

prodotti e preparati che lo contengono 

(si veda la tabella 1), è 

utilizzato prevalentemente come 

biocida per la conservazione e il 

trattamento del legno. 

L’immissione sul mercato e 

l’uso era già soggetta a limitazioni 

regolamentari. 

Successivi studi scientifici hanno 

evidenziato un rischio di insorgenza 

di tumori superiore a quello 

inizialmente ipotizzato e il Comitato 

scientifico della tossicità, dell’ecotossicità 

e dell’ambiente 

(CSTEE), dopo attenta verifica ne 

ha condiviso i risultati. 

Secondo i nuovi dati il creosoto 

con contenuto di benzo(a)pirene 

(BaP) inferiore a 0,005% in massa 

e/o il legno trattato con creosoto 

presentano un rischio di insorgenza 

del cancro per il consumatore 

finale e che l’entità del rischio 

non è trascurabile. 

L’analisi del rapporto costi/benefici 

condotta per valutare l’opportunità 

di nuove restrizioni ha 

stabilito che nella Comunità, per 

usi industriali, il contenuto di BaP 

è già, nella quasi totalità dei casi, 

inferiore a 0,005%. In questi casi i 

rischi per la salute sono probabilmente 

ridotti. 


Articolo 

Anche se in materia sono attese 

nuove regolamentazioni armonizzate 

a livello europeo, per la Commissione 

le limitazioni relative al 

creosoto devono essere adeguate 

al progresso tecnico. 

Dopo aver stabilito il divieto di 

impiego dei composti e dell’immissione 

sul mercato del legno così 

trattato, da cui sono esclusi i 

manufatti usati, nell’allegato al decreto 

sono puntualmente elencate 

le concentrazioni limite massime 

per BaP e fenoli (si veda la tabella 

2) e le altre condizioni in cui è 

possibile una deroga al divieto. 

Anche se con concentrazioni inferiori 

al limite l’impiego è consentito, 

solo ove sia applicabile la 

legislazione comunitaria per la 

protezione dei lavoratori, per l’Italia 

si legga il D.Lgs. n. 626/1994. 

I manufatti al creosoto non potranno 

essere a disposizione o entrare 

in contatto in modo incontrollato 

con l’utente non professionale/ 

consumatore finale. 

A tal proposito le sostanze e i 

preparati per il trattamento del legno 

in impianti industriali o da 

parte di utilizzatori professionali, 

non possono essere venduti al pubblico. 

Sull’imballaggio, oltre alle usuali 

etichettature, deve essere apposta 



Articolo 

Sostanza o preparato EINECS CAS 

Creosoto 232-287-5 8001-58-9 

Olio di creosoto 263-047-8 61789-28-4 

Distillati e olii di naftalene 283-484-8 84650-04-4 

Olii di creosoto, frazione di acenaftene 292-605-3 90640-84-9 

Distillati (catrame di carbone) di testa 266-026-1 65996-91-0 

Olio di antracene 292-602-7 90640-80-5 

Fenoli di catrame, carbone greggio 266-019-3 65996-85-2 

Creosoto del legno 232-419-1 8021-39-4 

Olio di catrame a bassa temperatura, estratti alcalini 310-191-5 122384-78-5 

Sostanza Concentrazione 

Benzo(a) pirene < 0,005% in massa 

Fenoli estraibili con acqua < 3% in massa 

All’interno degli edifici, indipendentemente dalla loro destinazione 

Giocattoli 

Campi da gioco 

Composti del creosoto soggetti a restrizioni 

Concentrazione limite per sostanze e preparati 

Divieti di utilizzo 


Archi, giardini e altri luoghi di pubblica ricreazione all’aria aperta in cui vi è un rischio di frequenti contatti con la pelle 

Fabbricazione di mobili da giardino (per esempio: tavoli da pic-nic) 

TABELLA 1 

TABELLA 2 

TABELLA 3 

Fabbricazione, uso e qualsiasi trattamento di: 

● contenitori destinati a culture agricole; 

● imballaggi che possono entrare in contatto con prodotti greggi, intermedi e/o finiti destinati all’alimentazione 

umana e/o animale; 

● altri materiali che possono contaminare i prodotti sopracitati. 


in modo leggibile e indelebile la 

scritta: “Unicamente per uso in impianti 

industriali oppure da parte di 

utilizzatori professionali”. 

In tabella 3 sono riportati tutti i 

casi in cui nei manufatti comunque 

non possono essere utilizzati 

o presenti i conservanti. 

Le nuove norme non modificano 

i requisiti minimi per la protezione 

dei lavoratori e in particolare 

il titolo VIII sulla protezione 

contro i rischi derivanti da 

un’esposizione ad agenti cancerogeni 

e il titolo VII-bis sui rischi 

derivanti da agenti chimici contenuti 

nel D.Lgs. n. 626/1994. 

Le altre sostanze 

Esacloroetano 

L’impiego di esacloroetano per 

la produzione e la lavorazione di 

metalli non ferrosi era già vietato. 

Tuttavia, per necessità tecniche, 

era consentita una deroga che 


ne permetteva l’impiego, a determinate 

condizioni, nelle fonderie 

non integrate che producono colate 

di alluminio e per alcune leghe 

di magnesio. 

Con l’evoluzione delle modalità 

produttive sono disponibili alternative 

tecniche; la necessità di deroghe 

è pertanto venuta meno e viene depennata 

dalla voce 39 dell’allegato 

al D.P.R. n. 904/1982, mantenendo 

solo il divieto assoluto. 

BDE 

Le molecole di difeniletere polisostituito 

con bromo sono utilizzate 

nelle formulazione dei ritardanti 

antifiamma e presentano una 

ecotossicità e rischi per l’ambiente 

che debbono essere ridotti tramite 

l’introduzione di nuove norme 

che ne limitino l’impiego. 

Tra l’altro, fin dall’anno 2000 

il CSTEE aveva rilevato che il pentaBDE 

era entrato nella catena alimentare 

umana e che l’immissio- 


Articolo 

ne in ambiente si rifletteva in crescenti 

livelli di concentrazione misurata 

nel latte materno, con possibili 

effetti sull’allattamento dei 

bambini. 

Il pentabromodifeniletere (pentaBDE) 

e l’ottabromodifeniletere 

(octaBDE) sono inseriti al punto 

41 “a” e “b” dell’allegato, mentre 

sotto osservazione si trova il decaBDE, 

consentibile fino al 2006 

nelle apparecchiature elettriche ed 

elettroniche. 

Per effetto dell’entrata in vigore 

del decreto i BDE non possono 

essere immessi sul mercato o utilizzati 

in concentrazioni superiori 

allo 0,1% in massa. Analoga sorte 

è riservata agli articoli contenenti 

tali sostanze utilizzate come ritardanti 

di fiamma. 

Termini di adeguamento 

Per il creosoto e l’esacloroetano i 

divieti si applicano dal 30 giugno 

2003 mentre per i BDE i termini 

sono stabiliti al 15 agosto 2004. l 


LEGISLAZIONE 

In breve 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


EUROPA 

MOVIMENTI TRANSFRONTALIERI OGM 

Regolamento (CE) del Parlamento europeo 

e del Consiglio del 15 luglio 

2003, n. 1946/2003 

«Regolamento (CE) n. 1946/2003 del Parlamento 

europeo e del Consiglio del 15 

luglio 2003 sui movimenti trasfrontalieri degli 

organismi geneticamente modificati» (in 

G.U.C.E. L del 5 novembre 2003, n. 287) 

La disciplina comunitaria emanata al fine di istituire 

un sistema comune di notifica e informazione 

per i movimenti trasfrontalieri di organismi 

geneticamente modificati (OGM) e di garantire 

l’attuazione coerente delle disposizioni del 

Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza a nome 

della Comunità, così da contribuire ad assicurare 

un adeguato livello di protezione relativamente 

al trasferimento, alla manipolazione e 

all’uso sicuri di OGM che possono avere effetti 

negativi sulla conservazione e l’uso sostenibile 

della diversità biologica, tenendo conto, altresì, 

dei rischi per la salute umana (art. 1). Il campo di 

applicazione della nuova normativa risulta esteso 

ai movimenti trasfrontalieri di tutti gli OGM 

che possono avere effetti negativi sulla conservazione 

l’uso sostenibile della diversità biologica, 

tenendo altresì conto dei rischi per la salute 

umana, ad eccezione dei movimenti di prodotti 

farmaceutici per uso umano già oggetto di accordi 

od organizzazioni internazionali pertinenti. 

Dopo i primi tre articoli dedicati agli obiettivi, 

campo di applicazione e definizioni, la decisione 

si compone di tre capi, rispettivamente dedicati 

all’esportazione di OGM verso Paesi terzi (capo 

II, artt. da 4 a 13), ai movimenti trasfrontalieri 

non intenzionali di OGM (capo III, art. 14) e a 

talune disposizioni a carattere generale (capo II, 

artt. da 15 a 20). Il Capo II reca, a sua volta, 

distinte discipline a seconda che trattasi di OGM 


destinati all’emissione deliberata nell’ambiente 

(sezione I), ovvero di OGM destinati all’uso diretto 

nell’alimentazione umana o animale o alla 

lavorazione (sez. II) o di OGM destinati ad un 

uso confinato (sez. III, art. 11). 

Gli Stati comunitari dovranno adottare misure 

adeguate al fine di impedire movimenti trasfrontalieri 

non intenzionali di OGM, con particolari 

oneri sugli Stati conoscitori del verificarsi nel proprio 

territorio di un’emissione di OGM tale da comportare 

o poter comportare un movimento trasfrontaliero 

non intenzionale di OGM con possibili 

gravi conseguenze negative per la conservazione 

e l’uso sostenibile della biodiversità e la salute 

umana. In tali casi graverà, infatti, su detti Stati 

l’obbligo di una comunicazione tempestiva in tal 

senso a favore degli Stati comunitari, della Commissione 

delle CE, di tutti gli Stati effettivamente 

o potenzialmente interessati nonché a favore dell’apposito 

centro di scambio di informazioni sulla 

biosicurezza (Biosafety Clearing House - BCH). 

Il regolamento entra in vigore il ventesimo giorno 

successivo a quello di pubblicazione in Gazzetta 

Ufficiale dell’Unione Europea, e sarà applicabile 

a decorrere dalla data di entrata in vigore 

del Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, 

annesso alla Convenzione di Rio de Janeiro del 

1992 sulla diversità biologica, ovvero dalla data 

di entrata in vigore del regolamento medesimo, 

a seconda di quale delle due date sia posteriore. 

ITALIA 

SICUREZZA DELLE NAVI 

E CONDIZIONI DI LAVORO A BORDO 

Decreto del Ministero Infrastrutture 

e dei Trasporti 13 ottobre 2003, 

n. 305 

«Regolamento recante attuazione della 

direttiva 2001/106/CE del Parlamento europeo 

e del Consiglio del 19 dicembre 2001 

che abroga e sostituisce il decreto 19 aprile 

2000, n. 432, del Ministero delle Infrastutture 


e dei trasporti, concernente il regolamento di 

recepimento della direttiva 95/21/CE relativa 

all’attuazione di norme internazionali per la 

sicurezza delle navi, la prevenzione dell’inquinamento 

e le condizioni di vita e di lavoro a 

bordo, come modificato dalle direttive 

98/25/CE, 98/42/CE e 99/97/CE» (in G.U. del 13 

novembre 2003, n. 264) 

Si tratta dell’aggiornamento italiano alla disciplina 

di cui al titolo, con contestuale abrogazione 

dalla precedente normativa contenuta nel D.M. 

19 aprile 2000, n. 432, a propria volta attuativo 

della precedente normativa comunitaria di settore. 

In particolare risulta (ri)definita la normativa 

concernente le ispezioni da svolgersi sulle 

navi e relativi equipaggi che approdano in un 

porto nazionale o in un impianto off-shore o 

ancorate al largo di tale porto/impianto, fatta 

eccezione per le navi di stazza lorda inferiore a 

500 tonnellate soggette alla normativa internazionale 

(Convenzione sulla sicurezza della navigazione 

e la prevenzione dell’inquinamento marino) 

o, se non applicabile, alle prescrizioni mini- 


LEGISLAZIONE 

In breve 

me di cui all’allegato IV, D.M. in oggetto. Parimenti, 

risultano sottratte al campo di applicazione 

della nuova disciplina le navi da pesca, le 

navi da guerra, le navi ausiliarie, le imbarcazioni 

in legno di costruzione rudimentale, le navi dello 

Stato utilizzate a fini non commerciali e le 

unità da diporto non adibite a traffici commerciali 

(art. 2, comma 2). Per l’effetto vengono 

definiti lo status e requisiti degli ispettori (art. 

3), gli obblighi ispettivi minimi gravanti sulle 

autorità locali (le quali dovranno svolgere un 

numero minimo di ispezioni di sicurezza per almeno 

il 25% del numero medio annuo di singole 

navi approdate nei porti nazionali, calcolato 

secondo gli ultimi tre anni solari di cui sono 

disponibili statistiche) (art. 4), le procedure e 

documentazione di ispezione (art. 5, allegati IV 

e II) e il comportamento che gli ispettori dovranno 

attuare nel caso in cui una nave sottoposta a 

ispezione rilevi carenze tali che «individualmente 

o nel complesso, rendano le operazioni della 

stessa pericolose per la sicurezza, la salute dei 

passeggeri o dell’equipaggio o l’ambiente» 

(artt. 8 e 9). l 

Servizi di prevenzione e vigilanza antincendio 

durante gli spettacoli pubblici: 

dal 2004 stanziati 5 mln di euro all’anno 

Con la legge 11 novembre 2003, n. 310, «Costituzione della “Fondazione lirico-sinfonica Petruzzelli e Teatri di 

Bari”, con sede in Bari, nonché disposizioni in materia di pubblici spettacoli, fondazioni lirico-sinfoniche e 

attività culturali», in Gazzetta Ufficiale del 17 novembre 2003, n. 267, all’articolo 2, di modifica alla legge n. 

29/2001, «Nuove disposizioni in materia di interventi per i beni e le attività culturali», è stato definito lo 

stanziamento di oltre 5 milioni di euro l’anno, a partire dal 2004, per la parziale copertura delle spese 

riguardanti i servizi di prevenzione e vigilanza antincendi prestati dal personale del Corpo nazionale dei vigili 

del fuoco in occasione di pubblici spettacoli. 

Art. 2 

Modifiche alla legge 23 febbraio 2001, n. 29 

1. All’articolo 5 della legge 23 febbraio 2001, n. 29, sono apportate le seguenti modificazioni: 

a) il comma 5 è sostituito dal seguente: 

«5. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, adottato annualmente di concerto con il Ministro 

dell’interno, sono individuati i soggetti ammessi a fruire, nei limiti dello stanziamento di cui al comma 5-bis, 

della parziale copertura delle spese inerenti ai servizi di prevenzione e vigilanza antincendi prestati dal 

personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco in occasione di pubblici spettacoli, nonché le modalità 

applicative del beneficio e, per ciascuno dei soggetti fruitori, la misura dello stesso»; 

b) dopo il comma 5 è inserito il seguente: 

«5-bis. Per la copertura degli oneri derivanti dall’applicazione del beneficio di cui al comma 5, è autorizzata la 

spesa annua di 5.164.560 euro a decorrere dall’anno 2004. Il predetto importo, iscritto nello stato di previsione 

del Ministero per i beni e le attività culturali, è versato in quote trimestrali nell’apposito capitolo dello stato di 

previsione dell’entrata per la successiva riassegnazione alle unità previsionali di base dello stato di previsione del 

Ministero dell’interno, ai sensi della normativa vigente in materia di servizi di prevenzione e vigilanza del Corpo 

nazionale dei vigili del fuoco e previa certificazione delle spese effettivamente sostenute in tale periodo dagli 

utilizzatori del servizio». 

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano a decorrere dall’anno 2004. 

La legge regionale Lombardia 29 settembre 2003, n. 17, «Norme per il risanamento dell’ambiente, bonifica e 

smaltimento dell’amianto», il cui testo e il relativo commento sono stati pubblicati in Ambiente&Sicurezza n. 

21/2003, pag. 84, è raccolta nel S.O. al Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia del 3 ottobre 2003, n. 40 e 

non sul Bollettino del 29 settembre 2003 come erroneamente indicato. 


LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI 

IL CASO 

di Pierguido Soprani, magistrato 

IL CONTENUTO DEL PSC 

IN PUNTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI 

«L’art. 4 del D.Lgs. n. 494/1996 stabilisce 

l’obbligo del coordinatore per la progettazione 

di redigere, durante la progettazione dell’opera, 

il Piano di sicurezza e di coordinamento. 

Il successivo art. 12 del decreto ne individua i 

contenuti, e il recente D.P.R. n. 222/2003 ne specifica 

i contenuti minimi. Le norme di legge impongono 

l’obbligo della valutazione dei rischi: 

quali rischi devono essere valutati nel PSC e in 

che modo?» 

La recente emanazione del Regolamento 

sui contenuti minimi dei Piani di sicurezza 

nei cantieri temporanei o mobili, in 

attuazione dell’articolo 31, comma 1, della 

legge Merloni n. 109/1994, ha completato il 

percorso normativo sul tema. Già con il varo 

del D.Lgs. n. 528/1999, e la scomparsa del 

Piano generale di sicurezza per i grandi cantieri, 

il contenuto dell’originario art. 13 del 

“decreto cantieri” era stato fatto rifluire nel 

precedente art. 12, a significare l’imprescindibilità 

tout court, per il coordinatore per la 

progettazione, di dare una veste di contenuto 

al Piano di sicurezza e di coordinamento, 

quantomeno in relazione agli elementi indicati 

alle lettere da a) a t), che potevano (e 

possono tuttora) essere considerati quali requisiti 

minimi del PSC legislativamente definiti, 

sia pure «in relazione alla tipologia del 

cantiere», cioè tenendo conto delle caratteristiche 

del sito e del tipo di lavori (edili o di 

ingegneria civile) da compiere. 

Con l’emanazione del D.P.R. n. 222/2003, è 

un dato indiscutibile - se mai lo fosse stato - 

che i contenuti minimi dei Piani di sicurezza 

(PSC, POS, PSS) sono divenuti contenuti minimi 

“di qualità”, ad indicare l’obbligo, per il 

coordinatore per la progettazione, sia di dare 

dei contenuti “specifici” ai piani, in relazione 

alla realtà di lavoro di ogni singolo 

cantiere temporaneo o mobile, sia di valutarne 

la concreta fattibilità nella successiva fase 

di esecuzione dei lavori. Dunque, l’imperativo 

categorico-funzionale che presiede all’at- 


tività di redazione dei Piani di sicurezza è 

quello di non scostarsi significativamente verso 

il basso rispetto agli standard medi generalmente 

praticati nel settore professionale 

di appartenenza. 

Peraltro, il Regolamento, con riferimento all’organizzazione 

del cantiere, ha aggiunto 

altri elementi a quelli indicati nell’articolo 

12, comma 1, del D.Lgs. n. 494/1996, prevedendo 

che il PSC deve contenere anche indicazioni 

circa: 

a) le eventuali modalità di accesso dei mezzi 

di fornitura dei materiali; 

b) la dislocazione degli impianti di cantiere; 

c) la dislocazione delle zone di carico e scarico; 

d) le zone di deposito attrezzature e di stoccaggio 

materiali e dei rifiuti; 

e) le eventuali zone di deposito dei materiali 

con pericolo d’incendio o di esplosione. 

Non vi è dubbio che il Regolamento sui contenuti 

minimi dei Piani di sicurezza ha confermato 

la distinzione ontologica tra i fattori di 

rischio intra-aziendale e quelli professionali 

(di rispettiva riconducibilità alle imprese esecutrici 

e ai lavoratori autonomi), e i fattori di 

rischio integrati (aggiuntivi e/o interferenziali) 

o “di cantiere”, facenti capo all’area della 

committenza e del coordinamento; peraltro, 

esso ha per oggetto i soli contenuti “minimi” 

dei piani di sicurezza, i quali possono - e 

devono, se necessario - essere utilmente incrementati 

verso l’alto, in coerenza con la 

natura di strumenti programmatici che contraddistingue, 

nella loro dinamicità, i Piani 

stessi. Quest’ultimo aspetto rileva particolarmente 

con riguardo alle fasi critiche del processo 

di costruzione, in relazione alla complessità 

dell’opera da realizzare. 

La previsione dell’art. 2 del Regolamento, 

che il PSC deve essere «specifico per ogni 

singolo cantiere (...) e di concreta fattibilità», 

e che «i suoi contenuti sono il risultato 

di scelte progettuali ed organizzative conformi 

alle prescrizioni dell’articolo 3 del decreto 

legislativo 19 settembre 1994, n. 626», èla 

conferma di come la tutela delle condizioni 

di lavoro sia un obiettivo che deve essere 

perseguito non come punto di partenza di 


un arido piano di sicurezza, bensì come dato 

tendenziale che prefigura e accompagna 

un’esperienza concreta di lavoro. 

Muovendo dal presupposto che il Codice penale, 

in tema di imputazione della responsabilità 

colposa omissiva, richiede all’agente di 

«fare tutto il possibile per evitare l’evento» 

(in tal senso Cass. pen., sez. VI, 10 luglio 

1990, Iannone; Cass. pen., sez. IV, 11 marzo 

1981, Vaira), la Corte di Cassazione, sia pure 

con riguardo al Piano di sicurezza dell’art. 4 

del D.Lgs. n. 626/1994, ha ritenuto che rientra 

nel concetto di omessa redazione del Piano 

anche il caso di una sua redazione gravemente 

insufficiente. Così per Cass. pen., sez. 

III, 12 gennaio 1996, Cimmino, «Viola l’art. 

24, comma 1, d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277 il 

datore di lavoro che effettua una valutazione 

parziale e inadeguata del rischio da 

amianto». Analogamente per Cass. pen., sez. 

III, 13 marzo 1996, Segala, «In tema di esposizione 

dei lavoratori a rumori dannosi, la valutazione 

del rumore durante il lavoro deve 

essere svolta in materia accurata e deve condurre 

all’identificazione nominativa dei lavoratori 

esposti ai diversi livelli di rumore e 

all’indicazione dei diversi livelli di rumore 

esistenti in ogni singolo luogo. Pertanto l’autoanalisi 

contemplata dall’art. 40, comma 1, 

D.L. n. 277/1991, non può mai essere eseguita 

senza una sia pur rudimentale misurazione 

dell’intensità del rumore. L’effettuazione 

dell’autoanalisi con strumenti inadeguati o 

in maniera scorretta o insufficiente o incompleta, 

sì da non conseguire le finalità individuate 

dal comma 1 dell’art. 40, D.LG. n. 

277/1991, costituisce inosservanza della disposizione 

citata ed il conseguente reato contemplato 

dall’art. 50, lett. a) della stessa normativa». 

Con specifico riguardo all’impiego, 

per la valutazione del rischio, di una metodologia 

non adeguata, Cass. pen., sez. III, 17 

novembre 1995, Rolle, secondo cui «Ai sensi 

del D.LG. 15 agosto 1991 n. 277, in materia 

di esposizione dei lavoratori a rumori dannosi, 

il rilevamento della pressione acustica 

istantanea alla quale è sottoposto il singolo 

lavoratore nel luogo di lavoro deve essere 

effettuato in unità di misura lineare -db- e 

senza ponderazione (db (a)). Pertanto, la 

non consentita adozione del criterio ponderato 

di rilevamento, in quanto idonea a pregiudicare 

la corretta valutazione del rischio 



da rumore, integra violazione al disposto dell’art. 

40, comma 1, ed è punita ai sensi dell’art. 

50, lett. a), D.LG. n. 277/1991». 

Per un caso in cui la Cassazione ha ritenuto 

incompleto un Piano di valutazione dei rischi 

che aveva totalmente omesso di prendere in 

considerazione lo specifico pericolo di caduta 

di carichi dall’alto, si veda l’interessante 

pronuncia di Cass. pen., 27 marzo 2000, Bergantini. 

Non è dunque condivisibile né convincente 

l’opinione - peraltro isolata - di quella giurisprudenza 

di merito che, di fronte ad un 

Piano di valutazione dei rischi lacunoso e in 

concreto non esaustivo, ha ritenuto, richiamando 

il divieto dell’analogia in malam partem, 

che l’obbligo di cui all’art. 4, comma 2, 

del D.Lgs. n. 626/1994 ha una connotazione 

meramente formale e non di contenuto 

(Trib. Salerno, 16 novembre 1999, Est. Baldi, 

imp. Morrone, inedita); e, superata ormai la 

prima fase di applicazione del D.Lgs. n. 

494/1996, appaiono sufficientemente maturi 

i tempi per contestare la violazione dell’obbligo 

di valutazione dei rischi assegnandogli 

una valenza non soltanto formale, quanto 

sostanziale di contenuti (e di qualità dei medesimi), 

quantomeno in tutti i casi in cui la 

valutazione sia stata bensì effettuata, ma 

con modalità gravemente inidonee o contenuti 

significativamente lacunosi (ad esempio, 

non sia stata valutata un’area o un fattore 

di rischio; ovvero le insufficienze e/o le 

omissioni siano di tale portata da far ritenere 

adempiuti gli obblighi di legge solo in 

senso meramente formale). Sotto questo profilo, 

è auspicabile che la Giurisprudenza valorizzi, 

anche con riguardo all’art. 4, comma 1, 

del “decreto cantieri”, il principio della sanzionabilità 

di una valutazione dei rischi fatta 

con strumenti inadeguati, o in maniera scorretta, 

insufficiente, incompleta, rispetto agli 

standard professionali e tecnico-operativi 

del o dei settori di riferimento. 

Ciò detto, quanto all’obbligo di valutazione 

dei rischi, va specificato che nel PSC devono 

essere valutati e presi in considerazione tutti 

i fattori di rischio professionale, a prescindere 

dalla loro natura intra o extra aziendale o 

professionale (riferita ai lavoratori autonomi). 

Peraltro, una cosa è la valutazione, altra 

cosa la gestione di tali fattori: ecco perché, 

mentre la relazione di cui si compone il 



PSC, concernente l’individuazione, l’analisi e 

la valutazione dei rischi, ha carattere generale 

e onnicomprensivo, l’individuazione delle 

prescrizioni operative (intese come le indicazioni 

particolari di carattere temporale, comportamentale, 

organizzativo, tecnico e procedurale), 

delle misure preventive e protettive 

e dei dispositivi di protezione individuale è 

riferita, nel D.P.R. n. 222/2003, unicamente 

alle interferenze tra le lavorazioni. La cerniera 

tra questi due momenti valutativi è 

costituita dall’ulteriore obbligo di indicare 

nel Piano di sicurezza e di coordinamento, 

beninteso ove la particolarità delle lavorazioni 

lo richieda, il tipo di procedure complementari 

e di dettaglio, connesse alle scelte 

autonome di ciascuna impresa esecutrice, da 

esplicitare nel POS. 

È poi solo con riguardo alle interferenze tra 

le lavorazioni, che il PSC deve contenere le 

prescrizioni operative per lo sfasamento spaziale 

o temporale delle lavorazioni interferenti, 

nonché le modalità di verifica del rispetto 

di tali prescrizioni, indicando, nel caso 


in cui permanessero rischi di interferenza, le 

misure preventive e protettive ed i dispositivi 

di protezione individuale, atti a ridurre al 

minimo tali rischi; mentre, con riferimento ai 

rischi connessi alle lavorazioni svolte in cantiere 

da parte di ciascuna impresa, è il POS a 

dover individuare le misure preventive e protettive, 

integrative rispetto a quelle contenute 

nel PSC. 

In definitiva, il Piano di sicurezza e di coordinamento 

deve rimanere uno strumento per 

la gestione dei fattori di rischio inerenti alla 

realtà di cantiere, non anche di quelli riconducibili 

alla realtà organizzativa e di lavoro 

delle singole imprese, rispetto alla quale il 

Piano deve dare indicazioni (ma non «prescrizioni 

operative») e indicare in aggiunta, ove 

la particolarità delle lavorazioni lo richieda, 

le procedure complementari e di dettaglio, 

connesse alle scelte autonome dell’impresa 

esecutrice (che in quel momento il coordinatore 

non conosce, ma può solo - in ipotesi - 

immaginare e prefigurarsi), da esplicitare 

nel POS. l 


a cura di Alessandro Jazzetti, magistrato e Maria Melizzi, consulente legale 

DILIGENZA DELL’IMPRENDITORE 

PER LE REALI MANSIONI E RESPONSABILITÀ 

Cassazione, sez. lav., (ud. 30 aprile 2003) 

17 ottobre 2003, n. 15598, 

Pres. Mileo, Est. Curcuruto, Ric. Sivi Srl 

Infortunio sul lavoro - Lesioni - Mezzi di 

protezione - Responsabilità - Datore di lavoro 

- Obbligo di vigilanza e controllo 

La diligenza cui l’imprenditore è tenuto ex 

articolo 2087 codice civile deve rapportarsi al 

lavoro in concreto da svolgere, ovvero alla sua 

ubicazione, all’esperienza del lavoratore, alla 

prevedibilità della sua condotta, alla normalità 

della tecnica di lavorazione. 

Nota 

L’obbligo di controllo del datore di lavoro, 

effettivamente, non comporta una continua 

vigilanza nell’esecuzione di ogni attività, né 

il dovere di affiancare un preposto ad ogni 

lavoratore impegnato in mansioni richiedenti 

le prestazioni di una sola persona, ma, nel 

caso in esame, la necessità del controllo s’imponeva 

oltre che per l’oggettiva, intrinseca 

pericolosità dell’ambiente in genere, anche, 

soprattutto, per la particolare collocazione 

del sito specifico di lavoro, dato che il lavoratore 

infortunato era stato mandato ad operare 

sul pavimento di una buca contenente 

un serbatoio di acido solforico e, per di più, 

direttamente sotto il rubinetto in pvc dell’asta 

di livellamento posta sopra di lui: a 

causa della rottura della tubazione il lavoratore 

era stato investito da un getto di acido, 

riportando lesioni da ustioni con invalidità 

temporanea e permanente. 

L’angustia del luogo, l’insufficiente altezza 

della posizione del rubinetto e la necessità 

di doversi spostare per eseguire il lavoro 

rendevano, assolutamente, necessario imporre 

all’operaio l’uso dei mezzi protettivi. 


RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA 

GIURISPRUDENZA 

Massime 

Inoltre, come emerso dalla stessa prova testimoniale, 

a mezzo del suo direttore tecnico, 

la ditta datrice di lavoro era stata avvertita 

che nel serbatoio poteva esserci dell’acido: 

dunque, inescusabilmente il lavoratore era 

stato mandato a lavorare, proprio sotto il 

fragile rubinetto dell’asta di livellamento 

del liquido, senza che ci si assicurasse che 

egli fosse dotato di una qualche protezione 

pur nella consapevolezza del rischio che correva. 

La Corte di Cassazione, che ha rigettato il 

ricorso proposto dalla ditta datrice di lavoro 

ed ha confermato la sentenza emessa dalla 

Corte di Appello, ha riconosciuto la responsabilità 

della ditta ricorrente per non aver 

vigilato affinché il lavoratore si munisse delle 

protezioni adeguate per tutelarsi contro i 

rischi della fuoriuscita dell’acido: ad escludere 

la colpa della società non poteva valere, 

neanche, la circostanza che il rubinetto fosse 

stato rotto dall’operaio stesso, perché il 

comportamento anche colposo del lavoratore 

può esonerare il datore da responsabilità 

solo quando presenti i caratteri della abnormità 

e della assoluta inopinabilità, nella specie 

insussistenti, visto che il fatto appariva 

tutt’altro che imprevedibile. 

AL LAVORATORE L’ONERE DI PROVARE 

L’ESISTENZA DEL DANNO 

Cassazione, sez. lav., (ud. 10 aprile 2003) 

10 ottobre 2003, n. 14645, 

Pres. Mileo, Est. Cuoco, Ric. Aercoib Di 

Cecco Srl 

Prevenzione degli infortuni sul lavoro - 

Apparecchi di protezione - Esperienza del 

lavoratore - Responsabilità - Onere della 

prova - Rapporto causale 

Al lavoratore che lamenti di aver subito, a 

causa dell’attività lavorativa svolta, un dan- 



Massime 

no alla salute, incombe l’onere di provare 

l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente 

di lavoro ed il nesso causale fra questi 

due elementi. Quando il lavoratore abbia 

provato tali circostanze, grava sul datore di 

lavoro l’onere di dimostrare di aver adottato 

tutte le cautele necessarie ad impedire il 

verificarsi del danno. 

Anche ove il danno derivi specificamente da 

un macchinario che il lavoratore aveva il 

compito di manovrare, egli ha solo l’onere 

di provare il danno ed il rapporto causale 

con l’uso del macchinario. 

Nota 

Per escludere la sua colpa è necessario che il 

datore di lavoro provi di aver osservato non 

solo le norme prescritte dall’ordinamento in 

relazione al tipo specifico di attività imprenditoriale 

svolta, bensì le norme che siano 

necessarie, in base alla particolarità del lavoro, 

all’esperienza ed alla tecnica, per tutelare 

l’integrità fisica e la personalità morale 

del lavoratore; e, nel quadro di queste norme, 

che abbia non solo adottato le misure 

protettive richieste, bensì abbia controllato 

e vigilato sull’uso delle misure stesse, al fine 

di evitare eventi che, nella logica del rischio 

professionale, siano riconducibili alla sua responsabilità 

(Cass. 17 novembre 1993, n. 

11351; Cass. 17 febbraio 1998, n. 1687; Cass. 

3 febbraio 1995, n. 1269). 

L’articolo 115 del D.P.R. n. 547/1955 afferma 

che le presse, le trance e macchine simili 

devono essere munite di ripari o dispositivi 

tali da garantire l’incolumità del lavoratore, 

ed i dispositivi di riparo delle aperture di 

alimentazione e di scarico devono essere 

realizzati in modo da costituire un’assoluta 

inaccessibilità agli organi pericolosi della 

macchina. 

Nella fattispecie in esame, la responsabilità 

del datore di lavoro è scaturita proprio dall’insufficienza 

dei sistemi di sicurezza del 

macchinario assegnato al lavoratore infortunato, 

e, più in generale, dalla carenza delle 

misure necessarie per tutelare l’integrità fisica 

e la personalità morale del lavoratore. 


La lama della macchina troncatrice, a cui era 

addetto il lavoratore, doveva essere protetta 

da un meccanismo apposito (carter) e non 

doveva essere consentito all’operatore di rimuoverlo; 

nell’eventualità di questa rimozione 

doveva entrare in funzione il blocco automatico 

della macchina: la sentenza in esame, 

però, attraverso motivata ricostruzione 

del fatto, ha accertato che la macchina non 

era dotata di questi meccanismi. 

Per quanto riguarda a particolare esperienza 

del lavoratore, a cui fa riferimento la 

società ricorrente, condannata in appello al 

risarcimento del danno scaturito dall’infortunio 

di cui si tratta, la Suprema Corte ha 

affermato che anche se l’abnormità del comportamento 

del lavoratore è da valutarsi in 

relazione al suo livello di esperienza, le maggiori 

conoscenze tecniche che egli abbia 

non escludono il suo diritto alla protezione 

prevista dalla normativa sugli infortuni, diretta 

a proteggere anche la sua attività. 

Il lavoratore ha un generale diritto di essere 

tutelato anche dalla propria eventuale disattenzione: 

le misure genericamente e specificamente 

prescritte, ed in particolare il meccanismo 

di blocco automatico, non avrebbero 

ragione di essere per un comportamento 

di piena attenzione e prudenza; la ragione 

normativa della tutela è anche nelle momentanee 

imprudenze e disattenzioni del lavoratore. 

Il comportamento del lavoratore diventa 

idoneo ad escludere il rapporto causale fra 

comportamento datorile ed evento infortunistico 

solo quando costituisca di per sé la 

causa sola e sufficiente a determinare l’evento 

(Cass. 21 maggio 2002, n. 7454). 

Questa autosufficienza, che è assenza di colpa 

del datore di lavoro, presuppone che il 

lavoratore ponga in essere un comportamento 

assolutamente anomalo ed imprevedibile: 

abnorme. In tal modo l’abnormità d’identifica 

con l’autosufficienza causale del comportamento 

del lavoratore, e, nel contempo, 

con l’assenza di colpa da parte del datore. 

Nel caso in esame, dunque, l’abnormità sarebbe 

stata delineabile solo in quanto il com- 


portamento del lavoratore fosse stato ipotizzabile 

nell’ambito del normale funzionamento 

della macchina. 

Il giudice di merito, invece, ha accertato l’insufficienza 

delle misure di protezione ed il 

suo causale contributo alla determinazione 

dell’evento; tutto ciò, integrando la colpa 

del datore di lavoro, ha escluso che il comportamento 

del lavoratore potesse considerarsi 

abnorme. 

CONTROLLI NELLE IMPRESE DI TRASPORTO: 

L’ISPETTORATO PUÒ SANZIONARE 

Cassazione, sez. lav., (ud. 7 maggio 2003) 

20 ottobre 2003, n. 15692, 

Pres. Ianniruberto, Est. Mazzarella, Ric. 

Ispettorato lavoro - Prov. Autonoma di 

Bolzano 

Tutela e sicurezza del lavoro - Trasporti su 

strada - Autoveicoli - Controlli - Ispezioni - 

Violazioni - Sanzioni 

L’Ispettorato del lavoro è competente non 

solo ad effettuare i controlli nei locali delle 

imprese di trasporto di cui all’articolo 6 del 

D.M. 12 luglio 1995, ma anche ad emettere 

gli eventuali provvedimenti sanzionatori nei 

confronti dei datori di lavoro per le violazioni 

dei Regolamenti comunitari n. 3820/85 e 

n. 3821/85 del 20 dicembre 1985. 

Nota 

La Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto 

dall’Ispettorato del lavoro della provincia 

di Bolzano ed ha cassato la sentenza 

impugnata che ha negato ogni competenza 

dell’Ispettorato ad emettere il provvedimento 

sanzionatorio nella forma dell’ordinanzaingiunzione. 

Il Tribunale di Bolzano aveva accolto il ricorso 

proposto dal legale rappresentante della 

ditta di trasporto in questione che aveva 

impugnato l’ordinanza-ingiunzione con cui 

l’Ispettorato gli aveva applicato la sanzione 

amministrativa per la violazione dell’articolo 

6 del Reg. (CEE) n. 3820/85 del 20 dicembre 

1985 e dell’articolo 15, comma 5, del 



Massime 

Reg. (CEE) n. 3821/85 del 20 dicembre 1985 

(regolamenti che perseguono una finalità 

sia di sicurezza dei trasporti su strada, sia di 

protezione dei lavoratori addetti a tale attività 

e che sono direttamente applicabili nell’ordinamento 

interno senza necessità di trasposizione). 

Nella fattispecie in esame, relativamente alle 

violazioni degli obblighi posti a carico dei 

datori di lavoro dai citati regolamenti comunitari, 

la competenza della provincia autonoma 

ricorrente emerge dall’articolo 1, comma 

2, del D.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 e 

dall’articolo 3 del D.P.R. 26 gennaio 1980, n. 

197 che, rispettivamente, assegnano alle province 

autonome l’esercizio delle attribuzioni 

in materia di prevenzione degli infortuni sul 

lavoro e delle malattie professionali, e delegano 

alle province medesime le funzioni amministrative 

in materia di vigilanza e tutela 

del lavoro, oltre che trasferire alle province 

autonome stesse gli ispettorati provinciali 

del lavoro. 

Dunque, anche quelle particolari funzioni 

rientranti nella competenza degli organi periferici 

del Ministro del lavoro e della previdenza 

sociale, quali previste dal D.M. 12 luglio 

1995 (ossia i controlli nelle imprese per 

la verifica del rispetto dei menzionati regolamenti 

comunitari del 1985), sono state devolute 

alle province autonome. 

Ed è quanto è avvenuto nella specie perché 

è stato l’Ispettorato della provincia di Bolzano 

ad effettuare il controllo nell’azienda di 

trasporto, accertando una serie di violazioni 

alla suddetta normativa comunitaria. 

Naturalmente, ha aggiunto la Cassazione, la 

suddetta competenza ispettiva e di controllo 

non può, nel caso delle province autonome 

di Bolzano e Trento, andare disgiunta 

dal potere di emettere anche l’ordinanza - 

ingiunzione: il trasferimento della funzione 

di vigilanza, controllo ed accertamento delle 

violazioni dei citati regolamenti comunitari, 

quanto al profilo della sicurezza del lavoro 

a cui sono ispirati i controlli nelle imprese 

ad opera dell’Ispettorato del lavoro, trascina 

con sé anche il potere di emettere l’ordinanza-ingiunzione 

di applicazione della sanzione 

amministrativa. l 


NORME TECNICHE 

Osservatorio UNI 

UNI EN 12354-4:2003 

Italiano 

UNI EN 12195-3:2003 

Italiano 

UNI EN 1756-1:2003 

Italiano 

UNI EN 13411-4:2003 

Italiano 

UNI EN 818-7:2003 

Italiano 

UNI EN 12809:2003 

Italiano 


Norme UNI e CEI luglio - ottobre 2003 

NORME UNI 

Numero norma Titolo 

Ambiente 

Acustica 

Acustica in edilizia - Valutazioni delle prestazioni acustiche di edifici 

a partire dalle prestazioni di prodotti - Trasmissione del rumore 

interno all’esterno 

La presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della 

norma europea EN 12354-4 (edizione settembre 2000). La norma 

descrive un modello di calcolo per il livello di potenza sonora 

irradiato dall’involucro di un edificio a causa del rumore aereo 

all’interno di quell’edificio, primariamente per mezzo dei livelli di 

pressione sonora misurati all’interno dell’edificio e dei dati misurati 

che caratterizzano la trasmissione sonora degli elementi pertinenti e 

delle aperture dell’involucro dell’edificio. 

Apparecchi di sollevamento e relativi accessori 

Dispositivi di ancoraggio del carico su veicoli stradali - Sicurezza - 

Catene di ancoraggio 

La presente norma è la versione ufficiale in lingua italiana della norma 

europea EN 12195-3 (edizione aprile 2001). La norma specifica i requisiti di 

sicurezza per le catene di ancoraggio e le combinazioni di ancoraggio con 

catene per il trasporto di superficie sicuro delle merci su dispositivi portacarico, 

per esempio camion e rimorchi utilizzati su strada o situati su navi o 

su vagoni ferroviari e/o combinazioni di essi. 

Sponde caricatrici - Piattaforme elevatrici per l’installazione su 

veicoli dotati di ruote - Requisiti di sicurezza - Sponde caricatrici 

per merci 


norma europea EN 1756-1 (edizione novembre 2001). La norma 

fornisce i requisiti per il progetto delle sponde caricatrici per merci 

installate su veicoli dotati di ruote. Fornisce inoltre le modalità per 

la verifica di tali sponde e le istruzioni per un utilizzo sicuro che 

devono essere fornite. 

Estremità per funi di acciaio - Sicurezza - Capocorda con metallo 

fuso o resina 


europea EN 13411-4 (edizione febbraio 2002). La norma specifica i requisiti 

minimi per i capocorda con metallo fuso o resina di funi di acciaio. 

Catene a maglie corte per sollevamento - Sicurezza - Catene a 

tolleranza stretta per paranchi. Grado T (tipi T, DAT, DT) 


norma europea EN 818-7 (edizione febbraio 2002). La norma fornisce 

i requisiti relativi alla sicurezza delle catene per paranchi di 

Grado T (tipi T, DAT, DT). 

CTI 

Caldaie per riscaldamento domestico, indipendenti, a combustibile 

solido - Potenza termica nominale non maggiore di 50 kW - 

Requisiti e metodi di prova 


europea EN 12809 (edizione giugno 2001). 


UNI EN 12815:2003 

Italiano 

UNI EN 774:2003 

Italiano 

UNI EN 788:2003 

Italiano 

UNI EN 836:2003 

Italiano 

UNI EN 1005-1:2003 

Italiano 

UNI EN 1005-3:2003 

Italiano 


La norma specifica i requisiti di progettazione, fabbricazione, costruzione, 

prestazioni (rendimento ed emissioni), sicurezza, istruzioni e marcature, 

unitamente ai relativi metodi di prova e combustibili di prova, per le prove 

di omologazione delle caldaie per riscaldamento domestico indipendenti, 

a combustibile solido. 

Termocucine a combustibile solido - Requisiti e metodi di prova 


europea EN 12815 (edizione giugno 2001). 

La norma specifica i requisiti di progettazione, fabbricazione, costruzione, 

sicurezza e prestazioni (rendimento ed emissioni), istruzioni e marcature, 

unitamente ai relativi metodi di prova e combustibili di prova, per le prove 

di omologazione delle termocucine a combustibile solido. 

CUNA 

Macchine da giardinaggio - Tosasiepi portatili con motore incorporato 

- Sicurezza 


europea EN 774 (edizione aprile 1996), dell’aggiornamento A1 (edizione 

febbraio 1997), dell’aggiornamento A2 (edizione giugno 1997) e dell’aggiornamento 

A3 (edizione marzo 2001). La norma specifica i requisiti di 

sicurezza e di verifica per la progettazione e la costruzione delle tosasiepi 

portatili con motore incorporato, concepite per essere utilizzate da un 

operatore per tagliare le siepi e gli arbusti mediante l’uso di una o più 

lame con moto alternativo lineare. 

Macchine da giardinaggio - Tagliabordi e tagliaerba elettrici portatili 

e con conducente a piedi - Sicurezza meccanica 


europea EN 786 (edizione maggio 1996) e dell’aggiornamento A1 (edizione 

marzo 2001). La norma specifica i requisiti di sicurezza meccanica e di 

verifica per la progettazione e la costruzione dei tagliaerba e dei tagliabordi 

elettrici portatili e con conducente a piedi, con elementi di taglio 

costituiti da un filo non metallico o da una o più lame non metalliche 

rotanti liberamente su un perno, ciascuno con un’energia cinetica non 

maggiore di 10 J. Queste attrezzature sono utilizzate principalmente per il 

taglio dell’erba da parte di un operatore in posizione eretta. 

Macchine da giardinaggio - Tosaerba a motore - Sicurezza 


europea EN 836 (edizione marzo 1997), dell’aggiornamento A1 (edizione 

ottobre 1997) e dell’aggiornamento A2 (edizione marzo 2001). La norma 

specifica i requisiti di sicurezza e di verifica per la progettazione e la 

costruzione di tosaerba a motore ad asse verticale e di quelli a lame 

elicoidali, con conducente a piedi e con conducente seduto, di trattorini 

da prato e da giardino, di tosaerba professionali, di trattorini da prato e 

da giardino con attrezzature falcianti adattabili. 

Ergonomia 



Sicurezza del macchinario - Prestazione fisica umana - Termini e 

definizioni 


europea EN 1005-1 (edizione ottobre 2001). La norma fornisce i termini e 

le definizioni relativi ai concetti e parametri utilizzati nelle EN 1005-2, 

prEN 1005-3, EN 1005-4 ed EN 1005-5. 

Sicurezza del macchinario - Prestazione fisica umana - Limiti di 

forza raccomandati per l’utilizzo del macchinario 


europea EN 1005-1 (edizione gennaio 2002). La norma presenta una guida 

per i costruttori di macchinario o delle sue parti componenti e per gli 

estensori delle norme di tipo C per il controllo dei rischi sulla salute dovuti 

all’impiego della forza muscolare per l’utilizzo di macchine. 




UNI EN 563:2003 

Italiano 

UNI EN 527-2:2003 

Italiano 

UNI EN 54-10:2003 

Italiano 

UNI EN 54-4:2003 

Italiano 

UNI EN 54-12:2003 

Italiano 

UNI EN 13862:2003 

Italiano 

UNI EN 167:2003 

Italiano 

UNI EN 168:2003 

Italiano 


Sicurezza del macchinario - Temperature delle superficie di contatto 

- Dati ergonomici per stabilire i valori limite di temperatura per 

le superficie calde 


europea EN 563 (edizione giugno 1994) e dell’aggiornamento A1 (edizione 

agosto 1999) e tiene conto dell’errata corrige dell’ottobre 1994 

(AC:1994). La norma presenta dati ergonomici e il loro uso per stabilire 

valori limite di temperatura per superfici calde e per la valutazione dei 

rischi di ustione. 

Mobili 

Mobili per ufficio - Tavoli da lavoro e scrivanie - Requisiti meccanici 

di sicurezza 


europea EN 527-2 (edizione ottobre 2002). La norma specifica i requisiti 

meccanici di sicurezza dei tavoli e delle scrivanie per ufficio. 

Protezione attiva contro gli incendi 

Sistemi di rivelazione e di segnalazione d’incendio - Rivelatori di 

fiamma - Rivelatori puntiformi 


europea EN 54-10 (edizione gennaio 2002). La norma specifica i requisiti, i 

metodi di prova e i criteri di prestazione per rivelatori di fiamma ripristinabili 

di tipo puntiforme, che funzionano utilizzando l’irradiazione proveniente 

da una fiamma, da utilizzare all’interno di edifici. 

Sistemi di rivelazione e di segnalazione d’incendio - Apparecchiatura 

di alimentazione 


europea EN 54-4 (edizione ottobre 1997) e dell’aggiornamento A1 (edizione 

dicembre 2002). La norma specifica i requisiti, i metodi di prova ed i 

criteri prestazionali dell’apparecchiatura di alimentazione in uso nei sistemi 

di rivelazione e di segnalazione d’incendio installati negli edifici. La 

norma contiene le disposizioni per la marcatura CE. 

Sistemi di rivelazione e di segnalazione d’incendio - Rivelatori di 

fumo - Rivelatori lineari che utilizzano un raggio ottico luminoso 


europea EN 54-12 (edizione novembre 2002). La norma specifica i requisiti, 

i metodi di prova e i criteri di prestazione per rivelatori di fumo lineari che 

utilizzano l’attenuazione e/o l’attenuazione di un raggio ottico, da impiegarsi 

in sistemi di rivelazione incendi installati in edifici. La norma dà le 

disposizioni per la marcatura CE dei prodotti. 

Sicurezza 

Macchine per taglio di superfici piane orizzontali - Sicurezza 


europea EN 13862 (edizione settembre 2001). La norma si applica a macchine 

semoventi per taglio di superfici piane orizzontali con operatore a 

bordo e operatore a terra, dotate di alimentazione motorizzata, alimentazione 

manuale o alimentazione a mano per il taglio, la realizzazione di 

scanalature e la fresatura di superfici piane orizzontali di calcestruzzo, 

asfalto e materiali da costruzione minerali simili dove la potenza principale 

è fornita da un motore elettrico o da un motore primario a combustione 

interna. 

Protezione personale degli occhi - Metodi di prova ottici 


europea EN 167 (edizione novembre 2001). La norma definisce i metodi di 

prova ottici per i protettori dell’occhio i cui requisiti sono specificati in 

altre. 

Protezione personale degli occhi - Metodi di prova non ottici 


europea EN 168 (edizione novembre 2001). La norma definisce i metodi di 

prova non ottici per i protettori dell’occhio i cui requisiti sono specificati in 

altre EN. 


UNI EN ISO 6529:2003 

Italiano 

UNI EN 381-10 

Italiano 

UNI EN 1073-2:2003 

Italiano 

UNI EN 1127-2:2003 

Italiano 

UNI EN 353-1:2003 

Italiano 

UNI EN 353-2:2003 

Italiano 

UNI EN 13274-7:2003 

Italiano 

UNI EN 13274-8:2003 

Italiano 


Indumenti di protezione - Protezione contro prodotti chimici - 

Determinazione della resistenza dei materiali utilizzati per indumenti 

di protezione alla permeazione mediante liquidi e gas 


europea EN ISO 6529 (edizione ottobre 2001) e tiene conto delle 

correzioni del 16 ottobre 2002. La norma descrive i metodi di prova di 

laboratorio che consentono una determinazione della resistenza dei 

materiali utilizzati negli indumenti di protezione alla permeazione 

mediante prodotti chimici liquidi o gassosi nelle condizioni di contatto 

continuo o intermittente. 

Indumenti di protezione per utilizzatori di seghe a catena portatili 


europea EN 381-10 (edizione ottobre 2002). La norma, specifica le procedure 

relative alla campionatura e al pretrattamento dei protettori della parte 

superiore del corpo il cui scopo è fornire protezione dal taglio di seghe a 

catena portatili, la misurazione del rivestimento protettivo, l’apparecchiatura 

e i metodi di prova per valutare la resistenza al taglio e la prova 

pratica di impiego per valutare le proprietà ergonomiche in relazione alla 

parte 11 della norma. 

Indumenti di protezione contro la contaminazione radioattiva - 

Requisiti e metodi di prova per indumenti di protezione non ventilati 

contro la contaminazione radioattiva sotto forma di particelle 


europea EN 1073-2 (edizione luglio 2002). La norma specifica i requisiti e i 

metodi di prova per gli indumenti di protezione non ventilati che proteggono 

il portatore dalla contaminazione radioattiva sotto forma di parti- 

celle. 



Atmosfere esplosive - Prevenzione dell’esplosione e protezione 

contro l’esplosione - Concetti fondamentali e metodologia per 

attività in miniera 


europea EN 1127-2 (edizione aprile 2002). La norma fornisce linee guida 

generali per la prevenzione dell’esplosione e la protezione contro le 

esplosioni nelle miniere mediante la definizione di concetti fondamentali 

e metodologia per la progettazione e costruzione di equipaggiamenti, 

sistemi di protezione e componenti. 

Dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall’alto - 

Dispositivi anticaduta di tipo guidato comprendenti una linea di 

ancoraggio rigida 


europea EN 353-1 (edizione maggio 2002). La presente norma europea 

specifica i requisiti, i metodi di prova, la marcatura, le informazioni fornite 

dal fabbricante e l’imballaggio per i dispositivi anticaduta di tipo guidato 

comprendenti una linea di ancoraggio rigida, generalmente fissati o integrati 

a scale fisse o a pioli rese adeguatamente solidali a strutture idonee. 


Dispositivi anticaduta di tipo guidato comprendenti una linea di 

ancoraggio flessibile 


europea EN 353-2 (edizione maggio 2002). La norma specifica i requisiti, i 

metodi di prova, la marcatura, le informazioni fornite dal fabbricante e 

l’imballaggio per i dispositivi anticaduta di tipo guidato comprendenti una 

linea di ancoraggio flessibile che possono essere fissati a un punto di 

ancoraggio superiore. 

Apparecchi di protezione delle vie respiratorie - Metodi di prova - 

Determinazione della penetrazione dei filtri antipolvere 


europea EN 13274-7 (edizione dicembre 2002). La norma specifica il procedimento 

di prova per la penetrazione dei filtri antipolvere degli apparecchi 

di protezione delle vie respiratorie. 

Apparecchi di protezione delle vie respiratorie - Metodi di prova - 

Determinazione dell’intasamento con polvere di dolomite 


europea EN 13274-8 (edizione dicembre 2002). La norma specifica il procedimento 

di prova per la determinazione dell’intasamento con polvere di 

dolomite degli apparecchi di protezione delle vie respiratorie. 




UNI EN 142:2003 

Italiano 

UNI EN 354:2003 

Italiano 

UNI EN 355:2003 

Italiano 

UNI EN 360:2003 

Italiano 

UNI EN 361:2003 

Italiano 

UNI EN 363:2003 

Italiano 

UNI EN 943-1:2003 

Italiano 

UNI EN 12417:2003 

Italiano 

UNI EN 12622:2003 

Italiano 


Apparecchi di protezione delle vie respiratorie - Boccaglio completo 

- Requisiti, prove, marcatura 


europea EN 142 (edizione aprile 2002). 

La norma si riferisce ai boccagli completi per gli apparecchi di protezione 

delle vie respiratorie, ad eccezione degli apparecchi destinati alla fuga o 

all’uso subacqueo. Essa specifica i requisiti minimi per i boccagli completi 

destinati ad essere utilizzati con gli apparecchi di protezione delle vie 

respiratorie. 


Cordini 


europea EN 354 (edizione maggio 2002). La norma specifica i requisiti, i 

metodi di prova, le istruzioni per l’uso, la marcatura e l’imballaggio per i 

cordini fissi e regolabili. 


Assorbitori di energia 


europea EN 355 (edizione maggio 2002). 

La norma specifica i requisiti, i metodi di prova, le istruzioni per l’uso, la 

marcatura e l’imballaggio per gli assorbitori di energia. 


Dispositivi anticaduta di tipo retrattile 



La norma specifica i requisiti, i metodi di prova, le istruzioni per l’uso e la 

marcatura per i dispositivi anticaduta di tipo retrattile. 


Imbracature per il corpo 


europea EN 361 (edizione maggio 2002). La norma specifica i requisiti, i 

metodi di prova, le istruzioni per l’uso, la marcatura e l’imballaggio per le 

imbracature per il corpo. 


Sistemi di arresto caduta 



La norma specifica la terminologia e i requisiti generali per i sistemi di 

arresto caduta che servono da dispositivo di protezione individuale contro 

le cadute dall’alto. 

Indumenti di protezione contro prodotti chimici liquidi e gassosi, 

inclusi aerosol liquidi e particelle solide - Requisiti prestazionali 

per tute di protezione chimica, ventilate e non ventilate, a tenuta 

di gas (Tipo 1) e non a tenuta di gas (Tipo 2) 


europea EN 943-1 (edizione settembre 2002). La norma specifica i requisiti 

minimi, i metodi di prova, la marcatura e le informazioni fornite dal 

fabbricante per le tute di protezione chimica ventilate e non ventilate di 

tipo 1 e di tipo 2. 

STANIMUC 

Macchine utensili - Sicurezza - Centri di lavorazione 


europea EN 12417 (edizione luglio 2001). La norma specifica i requisiti 

tecnici di sicurezza e le misure di protezione che devono essere adottati 

dalle persone incaricate della progettazione, della fabbricazione e della 

fornitura (inclusi l’installazione e lo smontaggio, con disposizioni per il 

trasporto e la manutenzione) di centri di lavorazione di macchina. 

Sicurezza delle macchine utensili - Presse piegatrici idrauliche 


europea EN 12622 (edizione aprile 2001). La norma specifica i requisiti 

tecnici di sicurezza e le misure di protezione che devono essere adottati 

dai progettisti, dai fabbricanti e dai fornitori di presse idrauliche, destinate 

alla lavorazione a freddo di metallo o di materiale parzialmente metallico. 


UNI EN 12840:2003 

Italiano 

UNI EN 13743:2003 

Italiano 

UNI EN ISO 15641:2003 

Italiano 

UNI EN 792-7:2003 

Italiano 

20-36/5-0 CEI EN 50362 

(Prima edizione) 

(Inglese - Italiano) 

31-12 CEI EN 50050 

(Seconda edizione) 


31-29 CEI EN 50104 

(Terza edizione) 


31-53 CEI EN 50271 




Sicurezza delle macchine utensili - Torni a comando manuale con o 

senza comando automatico 


europea EN 12840 (edizione febbraio 2001). La norma specifica i requisiti 

di sicurezza e/o le misure da adottare per eliminare o ridurre i pericoli a 

comando manuale con o senza comando automatico limitato illimitato 

destinati alla lavorazione a freddo dei metalli. 

Requisiti di sicurezza per gli abrasivi flessibili 


europea EN 13743 (edizione dicembre 2001). La norma specifica i requisiti 

per l’eliminazione o la riduzione dei pericoli relativi alla progettazione e 

all’applicazione dei prodotti abrasivi. 

Frese per lavorazioni ad alta velocità - Requisiti di sicurezza 


europea EN ISO 15641 (edizione settembre 2001). La norma considera 

iprincipali pericoli derivanti dall’utilizzo di frese, in lavorazioni ad alta 

velocità, su macchine utensili per la lavorazione dei metalli e prescrive i 

requisiti di sicurezza applicabili. 

UNIUM 

Utensili portatili non elettrici - Requisiti di sicurezza - Smerigliatrici 


europea EN 792-7 (edizione dicembre 2001). 

La norma si applica agli utensili portatili non elettrici per smerigliare, 

riporta un elenco dei pericoli significativi generati da detti utensili e 

specifica i requisiti di sicurezza validi per diversi aspetti della sicurezza 

durante la loro durata di vita prevedibile. 

NORME CEI 

Numero norma Titolo 

20 - Cavi per energia 

Metodo di prova per la resistenza al fuoco di cavi per energia e 

comando di grosse dimensioni (con diametro esterno superiore a 

20 mm) non protetti per l’uso in circuiti di emergenza 

La presente norma si applica ai cavi che presentano una resistenza 

intrinseca al fuoco, utilizzati nei circuiti di emergenza. I cavi oggetto 

della presente norma hanno diametro superiore di 20 mm e una 

tensione nominale di 0,6/1 kV. 

31 - Materiali antideflagranti 


Osservatorio CEI 

Costruzioni elettriche per atmosfere potenzialmente esplosive - 

Apparecchiature portatili di spruzzatura elettrostatica 

La presente norma tratta i requisiti costruttivi e di prova per le apparecchiature 

portatili di spruzzatura elettrostatica e dei loro apparati associati. 

Queste apparecchiature sono idonee ad utilizzare prodotti di verniciatura 

liquidi, in polvere e in fiocco. 

Costruzioni elettriche per la rilevazione e la misura di ossigeno - 

Requisiti di funzionamento e metodi di prova 

La presente norma specifica i requisiti di prova e di prestazione per le 

apparecchiature portatili, mobili e fisse destinate alla misura di concentrazioni 

di ossigeno in miscela con i gas, con indicazioni fino al 25% (v/v). 

Costruzioni elettriche per la rilevazione e misura di gas combustibili, 

gas tossici od ossigeno - Prescrizioni e prove per le costruzioni 

che utilizzano software e/o tecnologie digitali 

La presente norma specifica i requisiti costruttivi e le prescrizioni di 

prova per le apparecchiature destinate alla rilevazione e la misura 

dei gas combustibili, tossici ed ossigeno mediante software o tecnologie 

digitali. 




31-54 CEI EN 50348 



31-2 CEI EN 50016 

(Quarta edizione) 


31-9 CEI EN 50020 

(Terza edizione) 


31-55 CEI CLC/TR 50404 



34-86 CEI EN 50107-1 



62-50 CEI EN 60601-1-2 



CEI 79 


(Italiano) 

81-9 CEI EN 61663-2 




Installazioni di apparecchiature automatiche di spruzzatura 

elettrostatica per la spruzzatura di prodotti liquidi non infiammabili 

La presente norma tratta le prescrizioni per le apparecchiature 

automatiche di spruzzatura elettrostatica che utilizzano liquidi di 

spruzzatura non infiammabili. 

Costruzioni elettriche per atmosfere potenzialmente esplosive 

- Modo di protezione a sovrapressione interna “p” 

La presente norma europea specifica le prescrizioni di costruzione e 

di prova delle costruzioni elettriche di tipo pressurizzato “p” destinate 

ad essere utilizzate in atmosfera potenzialmente esplosiva di gas 

e nebbie. 

Costruzioni elettriche per atmosfere potenzialmente esplosive - 

Sicurezza intrinseca “i” 

La presente norma specifica le regole di costruzione e di prova per 

le apparecchiature a sicurezza intrinseca destinate ad essere utilizzate 

in ambienti con presenza di atmosfera potenzialmente esplosiva. 

Elettrostatica - Guida e raccomandazioni per evitare i pericoli dovuti 

all’elettricità statica 

La presente Guida fornisce le informazioni relative alle proprietà di prodotti 

e processi necessari ad evitare i pericoli dovuti a fenomeni elettrostatici. 

Questa Guida fornisce anche le istruzioni operative che devono essere 

riportate nei manuali d’uso per un utilizzo sicuro del prodotto o del 

processo. 

34 - Lampade e relative apparecchiature 

Installazioni di insegne e di tubi luminosi a scarica funzionanti 

con tensione a vuoto superiore a 1 kV ma non superiore a 10 

kV - Parte 1: Prescrizioni generali 

Questa Norma specifica le prescrizioni e i metodi di installazione per 

insegne e tubi luminosi a scarica che funzionano con tensione nominale 

di uscita a vuoto superiore a 1.000 V ma non superiore a 10.000 V, 

compresi i componenti elettrici ed il loro cablaggio. Essa si applica ad 

installazioni usate per la pubblicità, per decorazioni o per l’illuminazione 

generale, sia per uso esterno che interno. 

Tali installazioni di insegne o tubi luminosi a scarica possono essere 

fisse o mobili, alimentate da una sorgente a bassa tensione (LV) o a 

bassissima tensione (ELV) tramite trasformatori, invertitori o convertitori. 

62 - Apparecchiature elettriche per uso medico 

Apparecchi elettromedicali - Parte 1: Prescrizioni generali per 

la sicurezza - Norma collaterale: Compatibilità elettromagnetica 

- Prescrizioni e prove 

La Norma si applica alla compatibilità elettromagnetica di apparecchi e 

sistemi elettromedicali. 

Specifica le prescrizioni generali e le prove per la compatibilità 

elettromagnetica di apparecchi e sistemi e serve come base per 

possibili prescrizioni e prove aggiuntive nelle Norme particolari. 

79 - Sistemi di rilevamento e segnalazione per incendio, 

intrusione, furto, sabotaggio e aggressione 

Impianti antieffrazione, antiintrusione antifurto e antiaggressione 

- Norme particolari per gli impianti antieffrazione e 

antiintrusione - Foglio di interpretazione F. 27 

Il presente foglio di interpretazione si riferisce alla Norma CEI 79-3:1998 

(fascicolo 3680C). 

81 - Protezione contro i fulmini 

Protezione delle strutture contro i fulmini - Linee di telecomunicazione 

- Parte 2: Linee in conduttori metallici 

La presente Norma riguarda la protezione contro i fulmini delle 

linee di telecomunicazioni esterne in conduttori metallici (reti di 

accesso, linee tra edifici). 


82-22 CEI EN 50380 




82 - Sistemi di conversione 

fotovoltaica dell’energia solare 



Fogli informativi e dati di targa per moduli fotovoltaici 

La presente Norma descrive i fogli informativi e i dati di targa per 

moduli fotovoltaici non a concentrazione. 

95 - Relè di misura e dispositivi di protezione 

95-17 CEI EN 60255-22-7 

Relè elettrici - Parte 22-7: Prove di disturbo elettrico sui relè di 


misura e sui dispositivi di protezione - Prove di immunità alla 


frequenza di rete 

La presente Norma internazionale fa parte della serie IEC 60255 e specifica 

i requisiti generali relativi alle prove di immunità a frequenza di rete per i 

relè di misura e i dispositivi di protezione per i sistemi elettrici di potenza, 

comprese le apparecchiature di controllo, comando ed interfaccia associate 

a tali sistemi. Obiettivo delle prove è la verifica che l’apparecchiatura in 

prova funzioni correttamente quando è alimentata e sottoposta a disturbi 

alla frequenza di rete, di breve durata, di modo comune e differenziale 

applicati alle entrate di stato in corrente continua. I requisiti specificati 

nella presente Norma sono applicabili ai relè di misura ed ai dispositivi di 

protezione allo stato nuovo e tutte le prove specificate sono di tipo. 

96 - Trasformatori di sicurezza ed isolamento 

96-3; V1 CEI EN 61558-1/A11 

Sicurezza dei trasformatori, delle unità di alimentazione e similari 


- Parte 1: Prescrizioni generali e prove 

106 - Esposizione umana ai campi elettromagnetici 

106-5 CEI EN 50383 

Norma di base per il calcolo e la misura dell’intensità di campo 


elettromagnetico e del SAR relativi all’esposizione umana derivan- 


te dalle stazioni radio base e dalle stazioni terminali fisse per 

sistemi di telecomunicazione senza fili (110 MHz - 40 GHz) 

La presente Norma di base definisce, con riferimento all’esposizione umana 

ai campi elettromagnetici ad alta frequenza, i metodi di calcolo e di 

misura del campo elettromagnetico e del SAR prodotti dalle stazioni radio 

base e dalle stazioni terminali fisse per sistemi di telecomunicazione senza 

fili operanti nella gamma di frequenze tra 110 MHz e 40 GHz. In particolare, 

la Norma definisce, per tali apparecchiature, i criteri di valutazione 

delle distanze di conformità con i limiti di base (direttamente o indirettamente 

attraverso la conformità con i livelli di riferimento). Questa Norma 

costituisce il riferimento per le norme di prodotto CEI EN 50384 e CEI EN 

50385. 

106-6 CEI EN 50384 

Norma di prodotto per dimostrare la conformità delle stazioni 


radio base e delle stazioni terminali fisse per sistemi di telecomuni- 


cazione senza fili ai limiti di base e ai livelli di riferimento relativi 

all’esposizione umana ai campi elettromagnetici a radio frequenza 

(110 MHz - 40 GHz) - Lavoratori 

La presente Norma di prodotto definisce, con riferimento all’esposizione 

dei lavoratori ai campi elettromagnetici ad alta frequenza, i criteri di 

conformità ai limiti di base delle stazioni radio base e delle stazioni 

terminali fisse per sistemi di telecomunicazione senza fili operanti nella 

gamma di frequenze tra 110 MHz e 40 GHz. I criteri di valutazione della 

conformità di tali apparecchiature sono definiti sia con riferimento diretto 

ai limiti di base sia indirettamente attraverso la conformità con i livelli di 

riferimento. Per le modalità di misura e di valutazione si fa riferimento alla 

CEI EN 50383. 

106-7 CEI EN 50385 

Norma di prodotto per dimostrare la conformità delle stazioni 


radio base e delle stazioni terminali fisse per sistemi di telecomuni- 


cazione senza fili ai limiti di base e ai livelli di riferimento relativi 

all’esposizione umana ai campi elettromagnetici a radio frequenza 

(110 MHz - 40 GHz) - Popolazione 

La presente Norma di prodotto definisce, con riferimento all’esposizione 

della popolazione ai campi elettromagnetici ad alta frequenza, i criteri di 

conformità ai limiti di base delle stazioni radio base e delle stazioni 

terminali fisse per sistemi di telecomunicazione senza fili operanti nella 

gamma di frequenze tra 110 MHz e 40 GHz. I criteri di valutazione della 

conformità di tali apparecchiature sono definiti sia con riferimento diretto 

ai limiti di base sia indirettamente attraverso la conformità con i livelli di 

riferimento. Per le modalità di misura e di valutazione si fa riferimento alla 

CEI EN 50383. 


Sui prossimi numeri di Ambiente&Sicurezza: 

● acquisti verdi obbligatori per le PA (decreto del Ministero dell’Ambiente 

e della Tutela del territorio 8 maggio 2003, n. 203); 

● energia: le linee guida per la definizione dei criteri e delle modalità 

per il rilascio dei titoli di efficienza energetica (deliberazione dell’Autorità 

per l’energia elettrica e il gas 18 settembre 2003, n. 103); 

● elettrosmog: l’evoluzione del conflitto Stato-regioni dopo i decreti 

attuativi della legge quadro; 

● terre e rocce da scavo ancora all’attenzione della Suprema Corte 

(Cassazione, sez. III penale, n. 1510/2003); 

● sulla nozione autentica di rifiuto, torna a pronunciarsi la Corte di 

Giustizia delle Comunità Europee (sentenza 11 settembre 2003 C-114 ); 

● le disposizioni urgenti per la raccolta, lo smaltimento e lo stoccaggio, 

in condizioni di massima sicurezza, dei rifiuti radioattivi (D.L. 14 

novembre 2003, n. 314); 

● le disposizioni urgenti in tema di composizione delle commissioni per la 

valutazione di impatto ambientale e di procedimenti autorizzatori 

per le infrastrutture di comunicazione elettronica (D.L. 14 novembre 

2003, n. 315); 

● i dettagli operativi per la disattivazione degli impianti nucleari 

(ordinanza del Commissario delegato per la sicurezza dei materiali 

nucleari 10 novembre 2003, n. 13/2003) 

● VIA,terre e rocce da scavo e IPPC nella Comunitaria 2003 (legge 31 

ottobre 2003, n. 306)

ACQUA 

Articolo 

di Mara Chilosi, Butti, Peres & Partner, avvocati 

Il D.L. 30 settembre 2003, n. 269 

«Disposizioni urgenti per favorire 

lo sviluppo e per la correzione 

dell’andamento dei conti 

pubblici» ha sensibilmente modificato 

l’art. 113, Testo unico sull’ordinamento 

degli enti locali, 

in materia di servizi pubblici locali, 

peraltro già sostituito dall’art. 

35, comma 1, legge finanziaria 

2002. In particolare, la denominazione 

dei servizi pubblici 

assoggettati alla disciplina dell’art. 

113, Testo Unico, passa da 

«di rilevanza industriale» a «di 

rilevanza economica». Affrontata, 

poi, la questione del «periodo 

transitorio» (ossia alla fase di 

passaggio dal sistema previgente 

alla nuova disciplina), con 

l’eliminazione delle previsioni 

precedentemente contenute 

nell’art. 35, legge n. 448/2001. 

Introdotto, inoltre, 

il principio della proprietà pubblica, 

in mano agli EELL, 

degli impianti, delle reti e delle 

altre dotazioni patrimoniali 

destinate alla erogazione 

dei servizi pubblici locali. 

AMBIENTE 

Tenuti in considerazione diversi input comunitari, a partire dalla questione “periodo transitorio” 

Novità per i servizi pubblici locali 

dal decreto-legge n. 269/2003 

Con il decreto-legge 30 settembre 

2003, n. 269 «Disposizioni 

urgenti per favorire lo sviluppo 

e per la correzione dell’andamento 

dei conti pubblici» (in S.O. n. 157 

alla Gazzetta Ufficiale del 2 ottobre 

2003, n. 229), il Governo ha sensibilmente 

modificato l’art. 113, D.Lgs. 

n. 267/2000 (Testo Unico sull’ordinamento 

degli enti locali, meglio noto 

come TUEL) [1] , in materia di servizi 

pubblici locali, recependo le indicazioni 

impartite dalla Commissione europea 

nell’ambito della procedura di 

infrazione avviata nei confronti dell’Italia 

a seguito dell’entrata in vigore 

dell’art. 35, legge n. 448/2001 (Finanziaria 

2002) [2] . 

I profili di incompatibilità della disciplina 

introdotta dalla legge n. 

448/2001 rispetto al Trattato CE e 

alla disciplina comunitaria della concorrenza 

[3] , contestati nella procedura 

sanzionatoria appena citata, risiedevano, 

principalmente, nei punti seguenti: 

● permanenza della possibilità di 

attribuire l’attività di gestione di reti, 

impianti e altre dotazioni patrimoniali 

- ove separata da quella di erogazione 

del servizio - mediante affidamento 

diretto (art. 113, comma 4, 

TUEL); 

● eccessiva durata del periodo transitorio, 

variabile da tre a cinque an- 

ni, prorogabili sino a ulteriori cinque 

anni (art. 35, commi 2, 3 e 4, 

legge finanziaria 2002) e incertezza 

in ordine al decorso dei termini di 

anticipata cessazione delle gestioni 

in corso, subordinati all’emanazione 

di un regolamento governativo 

(art. 35, comma 16); 

● previsione della facoltà di assegnare 

direttamente a società in mano 

pubblica il servizio idrico integrato 

(art. 35, comma 5); 

● libero ricorso a procedure di affidamento 

diretto per i servizi privi di 

rilevanza industriale (art. 113-bis, 

TUEL). 

Già nei mesi scorsi, alcuni Ministeri, 

in particolare quello dell’Ambiente 

e della Tutela del territorio, avevano 

invitato le pubbliche amministrazioni 

interessate a disapplicare l’art. 

35, legge finanziaria 2002, quantomeno 

nelle disposizioni maggiormente 

contrastanti con la disciplina comunitaria 

della concorrenza [4] . 

Con il decreto in oggetto si è tentato 

di risolvere definitivamente il conflitto, 

accogliendo, al contempo, alcuni 

suggerimenti avanzati dagli operatori 

del settore nell’immediato della 

riforma. 

La nuova formulazione dell’art. 

113, TUEL non risolve, peraltro, tutte 

le questioni interpretative sollevate 

dall’art. 35, legge finanziaria 2002 - 

[1] In S.O. n. 162 alla Gazzetta Ufficiale del 28 settembre 2000, n. 227. Si veda M. Fabrizio, Nuovo Testo Unico degli enti locali: le 

competenze ambientali in Ambiente&Sicurezza n. 21/2000, pag. 88. 

[2] La lettera di messa in mora datata 26 giugno 2002 non rappresenta, peraltro, la prima contestazione mossa dalla Comunità 

europea all’Italia in materia di tutela della concorrenza e servizi pubblici locali; già nel novembre 2000, infatti, la 

Commissione aveva richiesto al Governo italiano chiarimenti in merito alle modalità di affidamento dei servizi pubblici previste 

dall’art. 22, legge n. 142/1990, criticando la possibilità di procedere alla assegnazione senza procedure di gara e la 

conseguente compressione del principio di trasparenza e non discriminazione. 

(segue) 


alcune delle quali già affrontate dalla 

giurisprudenza amministrativa più recente 

- ma, anzi, ne introduce di nuove. 

Si tenga presente che ogni considerazione 

definitiva è da rimandarsi alla 

conversione in legge della novella, 

che dovrà avvenire entro il 1˚ dicembre 

2003. 

Servizi pubblici a rilevanza 

economica e non 

Una prima modifica riguarda la 

denominazione dei servizi pubblici 

assoggettati alla disciplina dell’art. 

113, TUEL, i quali, individuati inizialmente 

nei servizi «di rilevanza industriale», 

divengono ora quelli «di 

rilevanza economica». 

Il comma 16 dell’art. 35, legge n. 

448/2001, attribuiva a un regolamento 

di attuazione il compito di elencare 

i servizi pubblici soggetti alla riforma 

proconcorrenziale, differenziandoli 

così dalle attività prive di rilevanza 

industriale, regolamentate dall’art. 

113-bis, Testo Unico (anch’esso introdotto 

dall’art. 35) [5] . 

In attesa dell’intervento governativo, 

la giurisprudenza amministrativa 

ha chiarito - svolgendo considerazioni 

che debbono ritenersi ancora valide 

- che l’individuazione, in sede di 

attuazione, dei servizi pubblici di rilevanza 

industriale ha una funzione meramente 

ricognitiva e dichiarativa, e 

non costitutiva, del relativo regime 

giuridico, con la conseguenza che, anche 

in assenza del regolamento, l’interprete 

può, comunque, procedere alla 

definizione della natura dell’attività 

in concreto effettuata [6] , utilizzando 

criteri oggettivi di valutazione, 

AMBIENTE 

quali la rilevante organizzazione di 

uomini e mezzi, l’impiego di capitale 

richiesto e la complessità delle operazioni 

svolte. 

Così, se da un lato non si può 

dubitare - sulla scorta della giurisprudenza 

appena citata, dell’evoluzione 

storica della normativa in materia e 

di alcuni dati testuali [7] - che la disciplina 

di cui all’art. 113, TUEL si applichi 

ai servizi di acquedotto, fognatura 

e depurazione, nettezza urbana, 

distribuzione di gas ed energia elettrica 

a livello locale e trasporto, dall’altro 

appare evidente, anche in ragione 

dell’abrogazione della norma che prevedeva 

il regolamento governativo, 

che il novero dei servizi assoggettati 

alla riforma è destinato ad ampliarsi. 

La valutazione della “rilevanza 

economica” dell’attività, infatti, sarà 

presumibilmente affidata alla discrezionalità 

dell’amministrazione locale, 

che la condurrà sulla base dei principi 

del “metodo economico” (remunerazione 

degli investimenti, autosufficienza 

dell’impresa e profitto); in 

quest’ottica, ogni attività capace di 

produrre reddito e utile nel territorio 

di riferimento potrà rientrare nella disciplina 

di cui all’art. 113, TUEL, 

indipendentemente dalle finalità (economica 

o sociale) che è volta a soddisfare. 

Questa ricostruzione appare, peraltro, 

in linea con la definizione dei 

«servizi pubblici di interesse economico 

generale» contenuta nella «Comunicazione 

della Commissione in 

materia di servizi di interesse generale 

in Europa del 1996», quali prestazioni 

rese dietro retribuzione, che 

gli organi nazionali assoggettano a 

ACQUA 

Articolo 

specifici obblighi di servizio pubblico 

in quanto finalizzati a soddisfare 

esigenze diffuse, ma che debbono 

essere, in ogni caso, gestiti secondo 

le regole della concorrenza e del 

mercato (art. 86, Trattato CE). In 

tabella 1 viene riportato un confronto 

tra le due successive versioni dell’articolo 

113, TUEL, come modificato, 

rispettivamente, dalla Finanziaria 

2002 e dal D.L. 30 settembre 

2003, n. 269. 

Le normative di settore 

Il D.L. n. 269/2003 ha modificato 

i commi 1 e 7 dell’art. 113, TUEL 

(si veda la tabella 1) precisando che 

la disciplina contenuta dell’art. 113 

medesimo concerne la tutela della 

concorrenza ed è da considerarsi inderogabile 

e integrativa della normativa 

di settore. La specificazione della 

finalità di tutela della concorrenza 

(materia demandata dall’art. 117, Costituzione 

alla competenza esclusiva 

dello Stato) è volta evidentemente a 

riaffermare - considerato anche il 

“giudizio di costituzionalità” dell’art. 

35 promosso da alcune regioni 

- la legittimità dell’intervento statale 

in materia di servizi pubblici locali a 

seguito della riforma del titolo V della 

Costituzione e del conseguente 

nuovo riparto delle competenze legislative 

fra Stato e regioni [8] . Chiarire, 

invece, che il dettato dell’art. 

113, TUEL ha portata generale e si 

applica a tutti i servizi, compresi 

quelli già disciplinati da norme specifiche 

[9] e da fonti comunitarie [10] , 

sbarra la strada a quelle teorie, da 

taluni avanzate nel vigore del primo 

art. 35 e già rigettate dalla giurispru- 

[3] La Commissione europea ha ritenuto che l’affidamento diretto si ponga in contrasto non solo con il generale principio di 

trasparenza e non discriminazione e con gli artt. 43 e 49 segg., Trattato CE, ma, altresì, con il disposto delle direttive 

92/50/CEE e 93/38/CEE in materia di appalti pubblici di servizi, con ciò identificando la modalità di organizzazione dei servizi 

pubblici locali, a seconda dei casi, con un appalto pubblico di servizi, ovvero una concessione di servizi. L’applicazione delle 

predette direttive alle procedure di affidamento dei servizi pubblici locali non è peraltro pacifica ed è stata, anzi, esclusa dalla 

giurisprudenza del Consiglio di Stato e dalla dottrina, nonché, recentemente, dallo stesso Ministro per le politiche comunitarie, 

una volta investito della procedura di infrazione (il riferimento è alla nota circolare del Dipartimento per le politiche 

comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri 19 ottobre 2001, n. 12727, la cosiddetta “circolare Buttiglione”). Sul 

punto si veda G. Butti e M. Chilosi, Servizi pubblici locali e gestione idrica Il Sole 24 ORE, Milano, 2002, pag. 72 e segg., 

nonché M. Chilosi, Servizi pubblici locali a rilevanza industriale: l’art. 35 al vaglio del giudice amministrativo in Ambiente&Sicurezza 

n. 18/2003, pag. 71. 

(segue) 


ACQUA 

Articolo 

Articolo 113, TUEL, come sostituito dall’art. 35, comma 1, 

legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002), a 

decorrere dal 1˚ gennaio 2002 (precedente versione). 

«Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di 

rilevanza industriale» 

«1. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai servizi 

pubblici locali di rilevanza industriale. Restano ferme le disposizioni 

previste per i singoli settori e quelle nazionali di attuazione 

delle normative comunitarie». 

«4. Qualora sia separata dall’attività di erogazione dei servizi, 

per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni 

patrimoniali gli enti locali, anche in forma associata, si avvalgono: 

a) di soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di 

capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, 

anche associati, cui può essere affidata direttamente tale attività; 

b) di imprese idonee, da individuare mediante procedure ad 

evidenza pubblica, ai sensi del comma 7». 

«5. L’erogazione del servizio, da svolgere in regime di concorrenza, 

avviene secondo le discipline di settore, con conferimento 

della titolarità del servizio a società di capitali individuate 

attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza 

pubblica». 

«7. La gara di cui al comma 5 è indetta nel rispetto degli 

standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione 

sul territorio e di sicurezza definiti dalla competente 

Autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti locali. La 

gara è aggiudicata sulla base del migliore livello di qualità e 

sicurezza e delle condizioni economiche e di prestazione del 

servizio, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento 

delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, 

nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale. 

Tali elementi fanno parte integrante del contratto di 

servizio». 

«13. Gli enti locali, anche in forma associata, possono conferire 

la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni 

patrimoniali a società di capitali di cui detengono la maggioranza, 

che è incedibile. Tali società pongono le reti, gli impianti e le 

altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati 

della gestione del servizio o, ove prevista la gestione separata 

della rete, dei gestori di quest’ultima, a fronte di un canone 

stabilito dalla competente Autorità di settore, ove prevista, o 

dagli enti locali. Alla società suddetta gli enti locali possono 

anche assegnare, ai sensi della lettera a) del comma 4, la gestione 

delle reti, nonché il compito di espletare le gare di cui al 

comma 5». 

AMBIENTE 

Art. 113, TUEL: le modifiche del D.L. n. 269/2003 

(le variazioni sono riportate in grassetto corsivo) 

TABELLA 1 

Articolo 113, TUEL, come sostituito dall’art. 14, D.L. 30 settembre 

2003, n. 269, a decorrere dal 2 ottobre 2003 (termine per la 

conversione in legge: 1˚ dicembre 2003) (nuova versione) 

«Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di 

rilevanza economica» 

«1. Le disposizioni del presente articolo che disciplinano 

le modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici 

locali concernono la tutela della concorrenza e sono 

inderogabili ed integrative delle discipline di settore. 

Restano ferme le altre disposizioni di settore e quelle di 

attuazione di specifiche normative comunitarie». 

«4. Qualora sia separata dall’attività di erogazione dei servizi, 

per la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni 

patrimoniali gli enti locali, anche in forma associata, si avvalgono: 

a) di soggetti allo scopo costituiti, nella forma di società di 

capitali con la partecipazione totalitaria di capitale pubblico, 

cui può essere affidata direttamente tale attività, a condizione 

che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino 

sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui 

propri servizi e che la società realizzi la parte più importante 

della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la 

controllano; b) di imprese idonee, da individuare mediante 

procedure ad evidenza pubblica, ai sensi del comma 7». 

«5. L’erogazione del servizio avviene secondo le discipline 

di settore e nel rispetto della normativa dell’Unione 

europea, con conferimento della titolarità del servizio: a) 

a società di capitali individuate attraverso l’espletamento 

di gare con procedure ad evidenza pubblica; b) a società 

di capitale misto pubblico privato nelle quali il socio 

privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare 

con procedura ad evidenza pubblica che abbiano dato 

garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in 

materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate 

dalle autorità competenti attraverso provvedimenti 

o circolari specifiche; c) a società di capitali interamente 

pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari 

del capitale sociale esercitino sulla società un controllo 

analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la 

società realizzi la parte più importante della propria attività 

con l’ente o gli enti pubblici che la controllano». 

«7. La gara di cui al comma 5 è indetta nel rispetto degli 

standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione 

sul territorio e di sicurezza definiti dalla competente 

Autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti locali. La 

gara è aggiudicata sulla base del migliore livello di qualità e 

sicurezza e delle condizioni economiche e di prestazione del 

servizio, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento 

delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, 

nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale. 

Tali elementi fanno parte integrante del contratto di 

servizio. Le previsioni di cui al presente comma devono 

considerarsi integrative delle discipline di settore». 

«13. Gli enti locali, anche in forma associata, nei casi in cui non 

sia vietato dalle normative di settore, possono conferire la 

proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali 

a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile. 

Tali società pongono le reti, gli impianti e le altre dotazioni 

patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati della gestione 

del servizio o, ove prevista la gestione separata della rete, 

dei gestori di quest’ultima, a fronte di un canone stabilito dalla 

competente Autorità di settore, ove prevista, o dagli enti locali. 

Alla società suddetta gli enti locali possono anche assegnare, ai 

sensi della lettera a) del comma 4, la gestione delle reti, nonché 

il compito di espletare le gare di cui al comma 5». 


denza immediatamente successiva alla 

riforma [11] , per le quali esso non 

troverebbe invece applicazione in 

presenza di disposizioni speciali e/o 

parzialmente derogatorie. 

La società “immobiliare” 

del comune 

Il comma 2 dell’art. 113 TUEL, 

come novellato dall’art. 35, legge n. 

448/2001, ha introdotto il principio 

della proprietà pubblica, in mano agli 

AMBIENTE 

enti locali, degli impianti, delle reti e 

delle altre dotazioni patrimoniali destinate 

alla erogazione dei servizi pubblici 

locali. Esso ha, infatti, sancito, 

in via generale e salvo quanto stabilito 

dal successivo comma 13, il divieto 

di cessione della loro proprietà. 

Questo principio si coordina, evidentemente, 

con quello relativo all’erogazione 

del servizio in regime 

di concorrenza ed è preordinato alla 

sua concreta e corretta attuazione; la 

ACQUA 

Articolo 

«15-bis: Nel caso in cui le disposizioni previste per i singoli 

settori non stabiliscano un congruo periodo di transizione, 

ai fini dell’attuazione delle disposizioni previste nel 

presente articolo, le concessioni rilasciate con procedure 

diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro 

e non oltre la data del 31 dicembre 2006, senza necessità 

di apposita deliberazione dell’ente affidante. Sono escluse 

dalla cessazione le concessioni affidate a società a 

capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato 

sia stato scelto mediante procedure ad evidenza pubblica 

che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme 

interne e comunitarie in materia di concorrenza, nonché 

quelle affidate a società a capitale interamente pubblico 

a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale 

sociale esercitino sulla società un controllo analogo a 

quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi 

la parte più importante della propria attività con l’ente o 

gli enti pubblici che la controllano». 

partecipazione alle gare di aspiranti 

gestori che non possano vantare la 

proprietà di beni funzionalmente e 

necessariamente destinati alla erogazione 

del servizio garantisce, infatti, 

la parità di condizioni tra i concorrenti 

ed esclude situazioni di indebito 

vantaggio a favore di alcuni soggetti. 

Il comma 13 - che, come accennato, 

rappresenta espressa deroga al 

principio della incedibilità - stabilisce 

che gli enti locali, singolarmente o in 

[4] Con circolare 18 marzo 2003, prot. GAB/2003/2975/B01, relativa al servizio idrico integrato, il Ministro dell’Ambiente e della 

Tutela del territorio ha invitato le regioni, le Autorità d’Ambito e le Autorità di Bacino a disapplicare l’art. 35, nella parte in 

cui prevedeva la separazione della gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali dall’erogazione del 

servizio all’utenza e l’attribuzione della proprietà dei beni strumentali a società immobiliari a prevalente capitale pubblico, al 

contempo diffidando le medesime amministrazioni dal disporre l’affidamento diretto del ciclo dell’acqua a favore di società 

partecipate dagli enti locali, mediante l’applicazione della previsione di favore contenuta nel comma 5. Sul punto si veda M. 

Chilosi, Servizi pubblici locali a rilevanza industriale: l’art. 35 al vaglio del giudice amministrativo in Ambiente&Sicurezza n. 

18/2003, pag. 71. 

[5] La distinzione tra servizi pubblici «di rilevanza industriale» e quelli «privi di rilevanza industriale» comportava notevoli 

differenze nel regime giuridico a essi applicabile, posto che per i primi l’art. 113, TUEL prevedeva la regola generale 

dell’attribuzione con gara (sia pure con alcune eccezioni), mentre per i secondi l’art. 113-bis ammetteva l’affidamento diretto a 

enti e società pubbliche. La riforma introdotta dall’art. 14, D.L. n. 269/2003 ha, peraltro, avvicinato la disciplina delle due 

categorie di servizi, dal momento che ha introdotto per entrambi, quali condizioni per la legittimità dell’affidamento senza gara 

a società di capitali interamente pubbliche, la circostanza che «gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla 

società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria 

attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano». 

[6] Sentenza del Consiglio di Stato n. 2380/2003; per un commento si veda l’articolo citato in nota 4. Sul punto si vedano anche le 

sentenze del TAR Marche n. 246/2003 e del TAR Campania n. 4203/2003. 

[7] Il DDL 4014 - progetto di riforma della disciplina dei servizi pubblici locali precedente all’art. 35, con il quale, peraltro, 

quest’ultimo si pone in linea di sostanziale continuità - già distingueva i «servizi a rilevanza industriale o imprenditoriale» dagli 

altri, annoverando, tra i primi, i seguenti: 

- servizio idrico integrato (acquedotto civile, fognatura e depurazione); 

- servizio di nettezza urbana (o igiene ambientale); 

- servizio di distribuzione del gas; 

- servizio di distribuzione dell’energia elettrica; 

- servizio di trasporto locale. 

Dal dato letterale dell’art. 35 si desume l’applicabilità della riforma al servizio idrico integrato e al trasporto locale; essi sono, 

infatti, espressamente richiamati nell’art. 113, comma 8, e nell’art. 35, comma 5 (peraltro oggi abrogato dal D.L. n. 269/2003). 

(segue) 


ACQUA 

Articolo 

forma associata, possano costituire società 

di capitali (o, come si ritiene comunemente, 

avvalersi di società già 

costituite per altri scopi, previa eventuale 

modifica dello statuto), al fine di 

conferire le reti, gli impianti e le altre 

dotazioni patrimoniali destinati al servizio, 

dei quali siano proprietari. 

Mentre nella versione del comma 

13 introdotta dalla legge finanziaria 

2002 queste società “immobiliari” dovevano 

essere a capitale pubblico 

maggioritario (ed era, quindi, ammessa 

la partecipazione di un socio privato), 

oggi è invece richiesto, in virtù 

delle modifiche apportate dal D.L. 

269/2003 (si veda la tabella 1) alla 

disposizione in questione, che il capitale 

sociale sia totalmente detenuto 

dagli enti locali. 

Questa previsione, se da un lato 

AMBIENTE 

vale a rafforzare (sia pur indirettamente) 

il principio della proprietà 

pubblica dei beni strumentali all’esercizio 

dell’attività, dall’altro rischia di 

creare problemi nelle situazioni in 

cui debba procedersi allo scorporo 

dei beni [12] (con successivo conferimento 

della titolarità degli stessi alla 

società immobiliare comunale) dalle 

attuali società di gestione a capitale 

misto (il cui capitale sociale sia, cioè, 

detenuto, anche se in misura minoritaria, 

da soci privati). 

La modifica introdotta dal D.L. n. 

269/2003 puntualizza, inoltre, che la 

facoltà degli enti locali di conferire la 

proprietà dei beni strumentali a una 

società immobiliare interamente dagli 

stessi partecipata debba essere prevista 

dalle normative di settore (o, 

più correttamente, non vietata). 

Per quanto concerne quest’ultimo 

punto, si rileva che il Ministero dell’Ambiente 

e del Territorio, nella già 

citata circolare 18 marzo 2003, 

GAB/2003/2975/B01, ha sostenuto 

l’inapplicabilità del comma 13 dell’art. 

113, TUEL al servizio idrico 

integrato, dovuta, da un lato, al regime 

di demanialità della maggior parte 

dei beni strumentali alla sua erogazione, 

dall’altro all’esigenza di evitare 

che la creazione di nuovi «contenitori 

societari» e l’imposizione di canoni 

di concessione d’uso si tramutino 

in nuovi costi e, di conseguenza, 

in aumenti tariffari a carico degli 

utenti. 

Le forme di gestione 

Il comma 3 dell’art. 113, TUEL, 

come modificato dall’art. 35, legge n. 

[8] Sul tema della riforma introdotta dalla legge 18 ottobre 2001, n. 3 recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della 

Costituzione» (in Gazzetta Ufficiale del 24 ottobre 2001, n. 248) si vedano i nn. 7/2002 e 17/2002 di Ambiente&Sicurezza, 

nonché il recente E. Mariotti, VIA, “legge obiettivo” ed elettrosmog: giudizi di costituzionalità dalla Consulta in Ambiente&Sicurezza 

n. 20/2003, pag. 103. 

[9] Si considerino in particolare: 

- la legge 5 gennaio 1994, n. 36 (cosiddetta “legge Galli”; in S.O. n. 11 alla Gazzetta Ufficiale del 19 gennaio 1994, n. 14), 

quanto al servizio idrico integrato; 

- il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modificazioni (cosiddetto “decreto Ronchi”; in S.O. n. 33 alla 

Gazzetta Ufficiale del 15 febbraio 1997, n. 38), relativamente al servizio di nettezza urbana; 

- il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, modificato dal decreto legislativo 20 settembre 1999, n. 400 (cosiddetti decreti 

“Burlando” - in Gazzetta Ufficiale del 10 dicembre 1997, n. 287 - e “Burlando bis” - in Gazzetta Ufficiale del 4 novembre 

1999, n. 259), per quanto riguarda il trasporto pubblico locale; 

- il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (cosiddetto “decreto Bersani”; in Gazzetta Ufficiale del 31 marzo 1999, n. 75), per 

quanto attiene alla distribuzione di energia elettrica; 

- il decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (cosiddetto decreto “Letta”; in Gazzetta Ufficiale del 20 giugno 2000, n. 142), 

relativamente alla distribuzione di gas naturale. 

[10] In particolare, per quanto concerne le normative nazionali di applicazione di disposizioni comunitarie, restano fermi i decreti 

legislativi 17 marzo 1995, nn. 157 e 158 attuativi delle direttive n. 92/50/CEE, 90/531/CEE e 93/38/CEE in materia di appalti 

pubblici di servizi, i cui precetti dovranno essere rispettati dai gestori di servizi pubblici, quali “amministrazioni aggiudicatrici”, 

nel caso intendano avvalersi, nel corso della loro attività gestionale, di operatori terzi. 

[11] Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 2380/2003 già citata, ha affermato che il richiamo, contenuto in varie disposizioni 

dell’art. 35, legge finanziaria 2002, alle misure previste per i singoli settori e alla normativa comunitaria, non vale a escludere 

a priori, in presenza della normativa speciale, l’applicabilità della disposizione generale di cui all’art. 113, TUEL. Il Giudice 

osserva che, se si affermasse la prevalenza di tutte le normative di settore, sulla base della loro semplice esistenza, «si 

priverebbe la norma (art. 35, n.d.r.) di ogni utilità e significato, posto che tutti i servizi pubblici locali risultano autonomamente 

regolati in via speciale, e le si impedirebbe di produrre qualsiasi effetto». 

[12] Al fine di conseguire l’obiettivo di mantenere pubblica la proprietà delle opere destinate alla erogazione del servizio, il comma 

9 dell’articolo 35, legge finanziaria 2002 - lasciato invariato dal D.L. n. 269/2003 - impone agli enti locali di procedere allo 

scorporo delle opere e dei beni necessari per la gestione del servizio dal patrimonio delle società, già costituite alla data di 

entrata in vigore della legge finanziaria, nelle quali la maggioranza del capitale sociale sia detenuto dagli enti locali. 

[13] Fra le varie legislazioni a oggi adottate in materia di servizi a rete fissa, il decreto “Bersani”, riguardante il mercato interno 

dell’energia elettrica, è quello che ha più limpidamente previsto la predetta separazione. L’art. 3, decreto in esame ha, infatti, 

demandato il compito di esercitare «le attività di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica, ivi compresa la gestione 

unificata della rete di trasmissione nazionale» (definita, al precedente art. 2, comma 20, «il complesso delle stazioni di 

trasformazione e delle linee elettriche di trasmissione ad alta tensione sul territorio nazionale gestite unitariamente”) a un 

soggetto denominato “gestore della rete di trasmissione nazionale», che opera, ai sensi dell’art. 3, comma 5, in regime di 

concessione. La legge n. 36/1994 relativa ai servizi idrici, invece, non consente espressamente la separazione dell’attività di 

(segue) 


448/2001 (non mutato dal D.L. 269/ 

2003), dispone che «le discipline di 

settore stabiliscono i casi nei quali 

l’attività di gestione delle reti e degli 

impianti destinati alla produzione dei 

servizi pubblici locali (...) può essere 

separata da quella di erogazione degli 

stessi». 

La separazione dell’attività di gestione 

dei beni strumentali da quella 

di erogazione del servizio deve, dunque, 

essere espressamente consentita 

dalle normative che disciplinano i vari 

settori [13] . 

Il comma 4 dell’art. 113 stabilisce 

che, qualora sia separata dall’erogazione 

del servizio, l’attività di gestione 

dei beni sia affidata: 

● in linea generale, a società di capitali 

selezionate con gara, 

AMBIENTE 

ovvero 

● a società di capitali partecipate 

totalmente dagli enti locali, anche 

con affidamento diretto (ossia senza 

selezione concorsuale), a patto che 

gli enti pubblici titolari «esercitino 

sulla società un controllo analogo a 

quello esercitato sui propri servizi e 

che la società realizzi la parte più 

importante della propria attività 

con l’ente o gli enti pubblici che la 

controllano». 

Le due condizioni sono state introdotte 

dal D.L. n. 269/2003, sulla 

falsariga della sentenza della Corte 

di Giustizia europea (pronunciata il 

18 novembre 1999, in causa C- 

107/98, nota come sentenza 

“Teckal”) [14] , relativa alla conformità 

al diritto europeo dell’aggiudica- 

ACQUA 

Articolo 

zione diretta, a un consorzio partecipato 

da parte di un ente locale, di un 

contratto di fornitura di prodotti e di 

prestazione di determinati servizi. 

La Corte, in particolare, ha concluso 

per la soluzione affermativa, ossia 

per la legittimità dell’assegnazione 

senza gara, nel caso in cui il soggetto 

affidatario sia controllato dagli enti 

locali e svolga la parte più significativa 

della propria attività a favore 

degli enti medesimi (cosiddetto affidamento 

“in house”). 

Per quanto riguarda l’ordinamento 

italiano, il principio ora enunciato era 

già stato accolto, prima dell’emanazione 

del D.L. n. 269/2003, nella circolare 

del Dipartimento per le politiche 

comunitarie della Presidenza del 

Consiglio dei Ministri 19 ottobre 

gestione dei beni strumentali da quella di erogazione del servizio, anzi, sembra optare per la soluzione opposta, ossia per la 

unificazione delle due attività in capo a un unico soggetto gestore. In particolare, l’art. 16 della legge in esame stabilisce che 

«ciascun ente locale ha facoltà di realizzare le opere necessarie per provvedere all’adeguamento del servizio idrico in relazione 

ai piani urbanistici, previa convenzione con il soggetto gestore del servizio medesimo, al quale le opere sono affidate in 

gestione». Inoltre, l’art. 12, comma 1, legge “Galli” prevede che «le opere, gli impianti e le canalizzazioni ... di proprietà degli 

enti locali o affidati in dotazione o in esercizio ad aziende speciali e a consorzi, salvo diverse disposizioni della convenzione, 

sono affidati in concessione al soggetto gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini 

previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare». Ancora, il D.P.C.M. 4 marzo 1996, recante «Disposizioni in materia di 

risorse idriche», stabilisce, all’Allegato, paragrafo 7, punto 7.2.1. che «il gestore deve dare concreta attuazione al programma di 

investimento» definito dagli enti locali a norma dell’art. 11, legge n. 36/1994, all’esito delle operazioni di ricognizione delle 

opere di acquedotto, fognatura e depurazione esistenti. «A tal fine», prosegue la disposizione, «gli Enti locali, nell’affidamento 

della gestione, dovranno verificare che il soggetto gestore possieda i requisiti necessari in termini di capacità organizzative 

generali e specifiche competenze professionali». Il gestore potrà individuare «le situazioni di crisi, in atto o potenziali, nelle reti, 

negli impianti e nell’organizzazione e nelle condizioni di esercizio in genere» attraverso «un’idonea gestione del sistema di 

controllo». Il punto 8.4.11. del medesimo allegato precisa che il sistema di qualità, del quale si debbono necessariamente 

munire i gestori di servizi con utenza superiore a 100.000 abitanti, deve includere «un piano di manutenzione programmata e di 

rinnovi tali da garantire il continuo mantenimento in efficienza del sistema affidato al gestore». Dall’insieme delle disposizioni 

esaminate si deduce che, nel sistema delineato dalla legge n. 36/1994, l’attività di gestione delle reti, degli impianti e delle altre 

dotazioni patrimoniali debba essere attribuita al gestore del servizio idrico integrato. Questa interpretazione è stata peraltro 

adottata dal Ministro dell’Ambiente nella circolare 18 marzo 2003 sopra citata. Per quanto, infine, riguarda il settore del gas 

naturale, è significativo osservare che una recente proposta di direttiva europea, presentata dal Parlamento e dal Consiglio in 

data 13 marzo 2001, recante «Modificazione delle direttive 96/92/CE e 98/30/CE relative a norme comuni per i mercati interni 

dell’energia elettrica e del gas naturale», ha sottolineato la necessità di addivenire a una separazione più netta delle attività di 

trasmissione e distribuzione da quelle di gestione delle reti. Anche nel mercato interno del gas, come in quello dell’energia 

elettrica, la tendenza è dunque quella di separare l’attività di erogazione del servizio da quella di gestione delle reti, processo 

peraltro già avviato dal “decreto Letta” (D.Lgs. n. 164/2000). 

[14] In Raccolta della Giurisprudenza 1999, pagg. I-8121. 

[15] Sul punto si veda G. Butti e M. Chilosi., op. cit. in nota 3, pag. 63 e segg. 

[16] «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, recante norme per l’accelerazione delle 

procedure di dismissione di partecipazione dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni» (in Gazzetta Ufficiale del 30 

luglio 1994, n. 177). 

[17] «Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e controllo» (in Gazzetta 

Ufficiale del 17 maggio 1997, n. 113). È la cosiddetta “Bassanini-bis”. 

[18] Per quanto concerne il servizio idrico integrato, questa disposizione va coordinata con la legge n. 36/1994 e successive 

modifiche e integrazioni, con la normativa regionale e i relativi provvedimenti di attuazione. La “legge Galli” ha - come noto - 

riformato il servizio idrico integrato (acquedotto, fognatura e depurazione) promuovendone l’affidamento ad un unico soggetto 

gestore per Ambito Territoriale Ottimale. L’art. 9, comma 4, legge in esame ha tuttavia previsto che «al fine di salvaguardare le 

(segue) 


ACQUA 

Articolo 

2001, n. 12727 «Affidamento a società 

miste della gestione dei servizi pubblici 

locali». Questa nota ministeriale 

ha, infatti, richiamato l’orientamento 

espresso dalla Corte di Giustizia europea 

nella sentenza “Teckal”, sostenendo 

che il rapporto di controllo intercorrente 

tra enti locali e soggetto 

gestore deve essere analogo a una 

relazione di subordinazione gerarchica, 

la quale si verifica, in particolare, 

«quando sussiste un controllo gestionale 

e finanziario stringente dell’ente 

pubblico sull’ente societario»; in questi 

casi, la gestione del servizio può 

essere affidata direttamente, senza necessità 

di procedere con gara a evidenza 

pubblica secondo le modalità 

indicate nelle leggi comunitarie. Ciò 

anche quando si configuri una concessione 

di servizi, ossia qualora l’affidamento 

riguardi «un servizio in cambio 

della gestione dello stesso come 

corrispettivo». 

La Commissione europea, nella 

procedura di infrazione avviata nei 

confronti dell’Italia il 26 giugno 

2002, ha ulteriormente chiarito che 

affinché possa sussistere il controllo 

analogo a quello esercitato sui propri 

servizi «non è sufficiente il semplice 

esercizio degli strumenti di cui dispone 

il socio di maggioranza secondo 

le regole proprie del diritto societario. 

Il controllo contemplato dalla 

sentenza Teckal fa infatti riferimento 

ad un rapporto che determina, da 

AMBIENTE 

parte dell’amministrazione controllante, 

un assoluto potere di direzione, 

coordinamento e supervisione 

dell’attività del soggetto partecipato, 

e che riguarda l’insieme dei più 

importanti atti di gestione del medesimo. 

In virtù di tale rapporto il soggetto 

partecipato, non possedendo alcuna 

autonomia decisionale in relazione 

ai più importanti atti di gestione, 

si configura soltanto come un’entità 

distinta solo formalmente dall’amministrazione, 

ma che in concreto continua 

a costituire parte della stessa. 

Solo a tali condizioni si può ritenere 

che tra amministrazione ed aggiudicatario 

non sussista, agli effetti pratici, 

un rapporto di terzietà rilevante 

ai fini dell’applicazione delle regole 

comunitarie in materia di appalti 

pubblici». 

È evidente che, se questa interpretazione 

dovesse essere confermata 

dalla giurisprudenza italiana e da 

quella della Corte di Giustizia, un 

simile rapporto sarebbe difficilmente 

configurabile rispetto alle società di 

capitali costituite dagli enti locali, a 

meno che un controllo stringente degli 

stessi sulla conduzione aziendale 

non venga garantito, indipendentemente 

dal modello organizzativo prescelto, 

attraverso patti parasociali collegati 

ai programmi di attività, strumenti 

statutari o convenzionali in grado 

di contribuire od orientare concre- 

tamente l’attività verso il conseguimento 

di finalità e secondo criteri dettati 

dalle amministrazioni proprietarie 

[15] . 

Ai soggetti che soddisfino le due 

condizioni esaminate (controllo degli 

enti locali e prevalenza dell’attività a 

favore dei medesimi) può essere affidata, 

oltre alla gestione delle reti, degli 

impianti e delle altre dotazioni 

patrimoniali, anche l’attività di erogazione 

del servizio - generalmente oggetto 

di gara - in virtù delle modifiche 

apportate dal D.L. n. 269/2003 al 

comma 5 dell’art. 113 TUEL (si veda 

la tabella 1). 

A mente della citata disposizione, 

l’affidamento diretto può essere disposto, 

in alternativa alla selezione 

concorsuale, anche nei confronti di 

società a capitale misto il cui socio 

privato sia stato selezionato mediante 

procedure di gara a evidenza pubblica 

(non sembra, quindi, più possibile 

ricorrere alla trattativa diretta con i 

potenziali acquirenti ex lege n. 

474/1994 [16] , richiamata per le società 

degli enti locali dall’art. 17, comma 

51, legge n. 127/1997) [17] . In questo 

caso, il Legislatore ritiene legittimo 

l’affidamento diretto in ragione 

dell’“anticipazione” al momento della 

costituzione della società della garanzia 

dei principi di imparzialità e di 

libera concorrenza, resa possibile dal 

procedimento di scelta con gara del 

partner privato. 

forme e le capacità gestionali degli organismi esistenti che rispondono a criteri di efficienza, di efficacia e di economicità, i 

comuni e le province possono provvedere alla gestione integrata del servizio idrico anche con una pluralità di soggetti e di forme 

tra quelle di cui al comma 2. In tal caso, i comuni e le province individuano il soggetto che svolge il compito di coordinamento 

del servizio ed adottano ogni altra misura di organizzazione e di integrazione delle funzioni fra la pluralità di soggetti gestori». 

La salvaguardia disposta dall’Autorità d’Ambito può ritenersi coincidere con quella prevista dalla normativa di settore 

richiamata dal comma 15-bis del rinnovato art. 113, TUEL. Sull’argomento della salvaguardia si è recentemente pronunciato il 

TAR Lazio con sentenza 21 ottobre 2003, n. 8883, il quale, con riferimento alla L.R. Lazio n. 6/1996, di attuazione della “legge 

Galli”, ha affermato che «l’unicità della gestione rappresenta la regola e la salvaguardia di organismi esistenti va riguardata alla 

stregua di un’eccezione», con la conseguenza che non è configurabile, a favore dei soggetti gestori esistenti, un diritto a 

ottenere la salvaguardia, nonostante siano in possesso dei requisiti indicati dalla normativa regionale; in particolare, il giudice 

amministrativo osserva che «la legge non pone alcun obbligo di procedere ad una preventiva verifica» sulla base dei criteri e 

parametri indicati dalla legge regionale «al fine di individuare gli organismi esistenti da salvaguardare o meno; ma, al contrario, 

evidenzia la necessità di effettuare rigorosi riscontri e controlli, solo nell’eventualità in cui sia stata espressa la volontà di 

salvaguardia in relazione ad una gestione dell’organismo esistente, talmente efficace sul piano della qualità e dell’economicità 

dei servizi prestati da far apparire antieconomico non continuare ad avvalersene». Per quanto riguarda gli altri settori, il 

“decreto Burlando” (D.Lgs. 422/1997, modificato dal D.Lgs. 400/1999) ha stabilito, relativamente al trasporto pubblico locale, 

che «le Regioni prevedono un periodo transitorio, da concludersi comunque entro il 31 dicembre 2003, nel corso del quale vi è 

la facoltà di mantenere tutti gli affidamenti agli attuali concessionari ed alle società derivanti dalle trasformazioni di cui al 

(segue) 


La durata del periodo 

transitorio 

Il D.L. n. 269/2003 ha aggiunto 

all’art. 113, TUEL il comma 15-bis 

(si veda la tabella 1), relativo al 

“periodo transitorio” (ossia alla fase 

di passaggio dal sistema previgente 

alla nuova disciplina), eliminando 

le previsioni precedentemente contenute 

nell’art. 35, legge finanziaria 

2002 (in particolare commi 2, 3 e 

4). 

La nuova disposizione prevede 

che, qualora il termine delle gestioni 

esistenti non sia stato fissato dalle 

normative di settore [18] , esse debbano, 

comunque, cessare entro il 31 

dicembre 2006, termine oggi non 

più prorogabile, stante l’avvenuta 

abrogazione dei commi 3 e 4 dell’art. 

35, legge finanziaria 2002 [19] 

da parte del decreto in commento. 

La cessazione anticipata della gestione 

del servizio pubblico locale rispetto 

ai contratti in corso - spesso 

di durata rilevante - non trova, peraltro, 

attuazione nel caso di società 

miste che abbiano scelto il socio privato 

con gara (o attraverso la quota- 

AMBIENTE 

zione in borsa) e di società totalmente 

pubbliche che soddisfino le condizioni 

individuate dalla sentenza 

“Teckal” sopra esaminate (controllo 

degli enti locali equivalente a quello 

esercitato sui propri servizi e svolgimento 

dell’attività prevalentemente 

a favore degli enti medesimi). La 

norma intende, evidentemente, coordinare 

la disciplina transitoria con 

quella “a regime” contenuta nel comma 

5 dell’art. 113 (si veda il paragrafo 

precedente). 

Abrogazione di norme 

transitorie e finali 

Oltre ai commi 2, 3 e 4 dell’art. 

35, legge n. 448/2001, relativi al 

periodo transitorio, il D.L. n. 

269/2003 ha abrogato le disposizioni 

contenute nei commi 5 e 16 del 

medesimo articolo: 

● il comma 5 prevedeva una disciplina 

speciale per il “ciclo dell’acqua” 

(acquedotto, fognatura e 

depurazione), secondo la quale 

l’Autorità d’ambito - ente regolatore 

formato da tutti gli enti locali 

compresi nell’Ambito Territoriale 

ACQUA 

Articolo 

Ottimale di riferimento - poteva 

affidare direttamente il servizio 

idrico integrato a società di capitali 

partecipate unicamente da enti 

facenti parte dello stesso ambito, 

per un lasso di tempo non superiore 

al periodo transitorio massimo 

definito dal Governo. Entro due 

anni dall’affidamento, gli azionisti 

pubblici, inoltre, avrebbero dovuto 

cedere a un socio privato - 

secondo procedura a evidenza pubblica 

- almeno il 40% del pacchetto 

azionario della società, pena la 

perdita immediata dell’affidamento 

del servizio. L’eliminazione di 

questa disposizione di carattere eccezionale, 

palesemente derogatoria 

rispetto al generale principio 

di concorrenza, era stata del resto 

suggerita dalla Commissione europea 

nell’ambito della procedura 

di infrazione del giugno del 2002. 

È presumibile che questa modifica 

possa creare problemi nei casi 

in cui il predetto procedimento sia 

stato applicato nonostante il Ministero 

dell’Ambiente avesse invitato 

le amministrazioni locali a di 

comma 3, ma con l’obbligo di affidamento di quote del servizio o di servizi speciali mediante procedure concorsuali, previa 

revisione dei contratti di servizio in essere se necessaria» (art. 18, comma 3-bis). Il decreto “Bersani” (D.Lgs. n. 79/1999), 

dopo aver liberalizzato «le attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica» e 

sottoposto a regime di concessione «l’attività di distribuzione» della stessa (art. 1, comma 1), ha disposto che «le imprese 

distributrici operanti alla data di entrata in vigore del presente decreto (...) continuano a svolgere il servizio di distribuzione sulla 

base di concessioni rilasciate entro il 31 marzo 2001 dal Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato e aventi 

scadenza 31 dicembre 2030. Con gli stessi provvedimenti sono individuati i responsabili della gestione, della manutenzione e, 

se necessario, dello sviluppo delle reti di distribuzione e dei relativi dispositivi di interconnessione» (art. 9, comma 1). Infine, il 

decreto “Letta” (D.Lgs. n. 164/2000), che ha liberalizzato «le attività di importazione, esportazione, trasporto e dispacciamento, 

distribuzione e vendita di gas naturale, in qualunque forma e comunque utilizzato» (art. 1, comma 1), ha previsto un periodo 

transitorio di «cinque anni a decorrere dal 31 dicembre 2000», incrementabile di ulteriori cinque anni a determinate condizioni 

(sostanzialmente, l’allargamento del bacino d’utenza e la privatizzazione nella misura minima del 40%), durante il quale 

possono essere mantenuti gli affidamenti diretti e le concessioni in essere (art. 15, commi 4, 5 e 7). 

[19] Il comma 3 dell’art. 35 consentiva la proroga del termine di cessazione dell’affidamento in presenza di determinate condizioni. 

Il periodo transitorio, in particolare, poteva essere incrementato in misura non inferiore a: 

- un anno nel caso in cui, almeno dodici mesi prima dello scadere del termine fissato dal regolamento governativo, si fosse 

costituita, mediante una o più fusioni, una nuova società in grado di servire un bacino di utenza «complessivamente non 

inferiore a due volte quello originariamente servito dalla società maggiore»; 

- due anni nel caso in cui, entro il medesimo termine di cui al punto precedente, un’impresa affidataria si fosse trovata a 

operare, anche a seguito di una o più fusioni, in un ambito «corrispondente almeno all’intero territorio provinciale ovvero a 

quello ottimale, laddove previsto dalle norme vigenti»; 

- un anno nel caso in cui, sempre entro il termine di cui al primo punto, la società affidataria del servizio fosse stata 

partecipata, almeno per il 40%, da soggetti privati; 

- un ulteriore anno nel caso in cui, ancora entro il termine di cui al primo punto, la società affidataria fosse passata in mano 

privata (avesse cioè ceduto ai privati il proprio pacchetto azionario nella misura minima del 51%). 

Il comma 4 dell’art. 35 precisava che, nel caso ricorressero più d’una delle condizioni indicate al comma 3, i relativi termini 

potessero essere, al fine della proroga del periodo transitorio, sommati. L’abrogazione di queste disposizioni è stata 

espressamente richiesta dalla Commissione europea, in quanto le proroghe, che potevano arrivare sino a cinque anni, 

avrebbero comportato uno slittamento eccessivo del termine di apertura dei mercati. 


ACQUA 

Articolo 

sapplicare il comma 5 dell’art. 35 

(circolare del 18 marzo 2003); 

● per quanto riguarda il comma 16 

dell’art. 35, esso demandava al Governo 

il compito di adottare con regolamento, 

entro sei mesi dalla data di 

entrata in vigore della legge finanziaria 

2002, le disposizioni necessarie 

per l’esecuzione e l’attuazione della 

riforma. Il regolamento doveva disciplinare, 

in particolare, i seguenti 

aspetti: 

Art. 35, legge finanziaria 2002 Art. 35, legge finanziaria 2002, come sostituito dall’art. 14, 

D.L. 30 settembre 2003, n. 269, a decorrere dal 2 ottobre 2003 

(termine per la conversione in legge: 1˚ dicembre 2003) 

«1. L’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento 

degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 

267, è sostituito dal seguente:» (si veda la tabella 1). 

«2. Nei casi in cui le disposizioni previste per i singoli settori non 

stabiliscono un congruo periodo di transizione, ai fini dell’attuazione 

delle disposizioni previste dall’articolo 113 del testo unico 

delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto 

legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito dal comma 1 

del presente articolo, il regolamento di cui al comma 16 del 

presente articolo indica i termini, comunque non inferiori a tre 

anni e non superiori a cinque anni, di scadenza o di anticipata 

cessazione della concessione rilasciata con procedure diverse 

dall’evidenza pubblica. A valere da tale data si applica il divieto 

di cui al comma 6 del medesimo articolo 113 del citato testo 

unico, salvo nei casi in cui si tratti dell’espletamento delle prime 

gare aventi per oggetto i servizi forniti dalle società partecipanti 

alla gara stessa. Il regolamento definisce altresì le condizioni 

per l’ammissione alle gare di imprese estere, o di imprese italiane 

che abbiano avuto all’estero la gestione del servizio senza 

ricorrere a procedure di evidenza pubblica, a condizione che, 

nel primo caso, sia fatto salvo il principio di reciprocità e siano 

garantiti tempi certi per l’effettiva apertura dei relativi mercati. 

A far data dal termine di cui al primo periodo, è comunque 

vietato alle società di capitali in cui la partecipazione pubblica è 

superiore al 50 per cento, se ancora affidatarie dirette, di partecipare 

ad attività imprenditoriali al di fuori del proprio territorio». 

AMBIENTE 

- individuazione dei servizi pubblici 

di rilevanza industriale (art. 35, 

comma 16); 

- la durata del periodo transitorio 

(art. 35, commi 2 e 3); 

- le condizioni per l’ammissione 

alle gare di imprese che abbiano ottenuto 

all’estero l’affidamento di un 

servizio senza partecipare a procedure 

concorsuali (art. 35, comma 2). 

Dei tre punti, il D.L. n. 269/2003 

ha espressamente risolto solo il se- 

Art. 35, legge n. 448/2001 (Finanziaria 2002): 

le modifiche del D.L. n. 269/2003 

(le variazioni sono riportate in grassetto corsivo) 

«1. L’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento 

degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 

267, è sostituito dal seguente:» (si veda la tabella 1). 

Abrogato 

condo; nonostante l’abrogazione del 

comma 16, è peraltro auspicabile 

che il Governo intervenga, entro un 

termine ragionevole, a disciplinare 

anche il terzo, dettando le condizioni 

per l’ammissione alle gare delle imprese, 

straniere e italiane, già affidatarie 

dirette di servizi pubblici locali. 

In tabella 2 viene riportato un confronto 

tra l’articolo 35, legge n. 

448/2001 (Finanziaria 2002), e la versione 

modificata D.L. 30 settembre 

2003, n. 269. l 

TABELLA 2 


«3. Il periodo transitorio di cui al comma 2 può essere incrementato, 

alle condizioni sotto indicate, in misura non inferiore a: a) 

un anno nel caso in cui, almeno dodici mesi prima dello scadere 

dei termini previsti dal regolamento di cui al comma 16 del 

presente articolo, si dia luogo, mediante una o più fusioni, alla 

costituzione di una nuova società capace di servire un bacino di 

utenza complessivamente non inferiore a due volte quello originariamente 

servito dalla società maggiore; b) due anni nel caso 

in cui, entro il termine di cui alla lettera a), un’impresa affidataria, 

anche a seguito di una o più fusioni, si trovi ad operare in 

un ambito corrispondente almeno all’intero territorio provinciale 

ovvero a quello ottimale, laddove previsto dalle norme vigenti; 

c) un anno nel caso in cui, entro il termine di cui alla lettera 

a), la società affidataria sia partecipata almeno per il 40 per 

cento da soggetti privati; d) un ulteriore anno nel caso in cui, 

entro il termine di cui alla lettera a), la società affidataria sia 

partecipata almeno per il 51 per cento dai privati». 

«4. Ove ricorra più di una delle condizioni indicate al comma 3 i 

relativi termini possono essere posticipati, sommando le relative 

scadenze». 

«5. In alternativa a quanto previsto dal comma 5 dell’articolo 

113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, 

di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come 

sostituito dal comma 1 del presente articolo, i soggetti competenti, 

individuati dalle regioni ai sensi dell’articolo 9 della legge 

5 gennaio 1994, n. 36, possono affidare, entro diciotto mesi 

dalla data di entrata in vigore della presente legge, il servizio 

idrico integrato a società di capitali partecipate unicamente da 

enti locali che fanno parte dello stesso ambito territoriale ottimale, 

per un periodo non superiore a quello massimo determinato 

ai sensi delle disposizioni di cui al comma 2 del presente 

articolo. Entro due anni da tale affidamento, anche se già 

avvenuto alla data di entrata in vigore della presente legge, 

con le modalità di cui al presente comma, gli enti locali azionisti 

applicano le disposizioni di cui alla lettera c) del comma 3, 

mediante procedura ad evidenza pubblica, pena la perdita 

immediata dell’affidamento del servizio alla società da essi 

partecipata». 

«7. Le imprese concessionarie cessanti nei termini stabiliti dal 

regolamento di cui al comma 16 del presente articolo reintegrano 

gli enti locali nel possesso delle reti, degli impianti e delle 

altre dotazioni utilizzati per la gestione dei servizi. Ad esse è 

dovuto dal gestore subentrante un indennizzo stabilito secondo 

le disposizioni del comma 9 dell’articolo 113 del citato testo 

unico di cui al decreto legislativo n. 267/2000, come sostituito 

dal comma 1 del presente articolo». 

«15. Dopo l’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento 

degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 

2000, n. 267, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, 

è inserito il seguente: “Art. 113-bis. (Gestione dei servizi pubblici 

locali privi di rilevanza industriale)”; (si veda la tabella 1)». 

«16. Con regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 17, 

comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive 

modificazioni, sentite le Autorità indipendenti di settore e la 

Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 

28 agosto 1997, n. 281, il Governo adotta le disposizioni necessarie 

per l’esecuzione e l’attuazione del presente articolo, con 

l’individuazione dei servizi di cui all’articolo 113, comma 1, del 

testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui 

al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, come sostituito dal 

comma 1 del presente articolo, entro sei mesi dalla data di 

entrata in vigore della presente legge». 

AMBIENTE 

Abrogato 

Abrogato 

Abrogato 

«7. Le imprese concessionarie cessanti al termine dell’affidamento 

reintegrano gli enti locali nel possesso delle reti, degli 

impianti e delle altre dotazioni utilizzati per la gestione dei 

servizi. Ad esse è dovuto dal gestore subentrante un indennizzo 

stabilito secondo le disposizioni del comma 9 dell’articolo 113 

del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267/2000, 

come sostituito dal comma 1 del presente articolo». 

15. Dopo l’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento 

degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 

2000, n. 267, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, 

è inserito il seguente “Art. 113-bis. (Gestione dei servizi pubblici 

locali privi di rilevanza industriale)”; (si veda la tabella 1)». 

Abrogato 

ACQUA 

Articolo 


VIA 

Articolo 

di Elisabetta Mariotti, professoressa incaricata di diritto amministrativo e dell’ambiente 

presso il Politecnico di Milano 

Alla luce delle nuove misure 

per la riqualificazione urbanistica, 

ambientale e paesaggistica 

e per la definizione degli illeciti 

edilizi di cui all’art. 32, 

D.L. 30 settembre 2003, n. 269, 

si impongono almeno due considerazioni. 

La prima riguarda 

la suddivisione delle competenze 

legislative tra Stato e regioni 

dopo la riforma del Titolo V 

della Costituzione che ha escluso 

qualsiasi competenza dello 

Stato in materia edilizia, se 

non per dettare i principi fondamentali; 

tuttavia, la nuova 

misura esprime la volontà statale 

di riservarsi il compito di 

definire l’oggetto della sanatoria, 

senza lasciare alle regioni 

lo spazio per allontanarsi da tale 

identificazione. La seconda 

riguarda, invece, la scarsa attenzione 

posta dal Legislatore 

in questa sede alla tutela ambientale. 

In questo senso, uno 

strumento correttivo potrebbe 

essere rappresentato dal richiamo 

ai principi comunitari di tutela 

dell’ambiente contenuti 

nella legislazione vigente. 

AMBIENTE 

Centrale la questione delle competenze Stato-regioni dopo la riforma costituzionale 

Con il maxi-decreto, abusi edilizi sanati 

senza la previsione di procedure di VIA 

La previsione normativa contenuta 

nell’art. 32, D.L. 30 settembre 

2003, n. 269 «Disposizioni 

urgenti per favorire lo sviluppo 

e per la correzione dell’andamento 

dei conti pubblici» (in S.O. 

n. 157 alla Gazzetta Ufficiale del 2 

ottobre 2003, n. 229) ha una formulazione 

copiosa che impone riflessioni 

sulla materia specifica della 

sanatoria edilizia e sui principi fondamentali 

di gestione del territorio 

di recente rivisitati dalla riforma del 

Titolo V della Costituzione [1] . 

L’impostazione scelta dal Legislatore 

è caratterizzata dalla finalità 

di dettare nuove misure per la riqualificazione 

urbanistica, ambientale e 

paesaggistica, per l’incentivazione 

dell’attività di repressione dell’abusivismo 

edilizio, nonché per la definizione 

degli illeciti edilizi e delle 

occupazioni di aree demaniali. Ciò 

ha comportato la previsione di un 

articolato complesso destinato a trattare 

le modalità di intervento sul 

territorio ai fini della riqualificazione 

delle aree deturpare dal fenomeno 

dell’abusivismo edilizio sia mediante 

l’incentivazione dell’azione 

amministrativa di repressione sia 

mediante la creazione di spazi di 

sanatoria. 

La lettura dell’art. 32 dimostra 

questo duplice obiettivo, laddove individua 

forme di supporto finanziario 

e amministrativo per gli enti lo- 

cali nelle istruttorie e nell’assunzione 

di provvedimenti di repressione 

e nell’attuazione di quelli già adottati, 

nonché criteri per la concessione 

di permessi di costruire in sanatoria 

per le situazioni ritenute “sanabili”. 

In questo senso, l’art. 32 ha toccato 

l’assetto delle potestà degli organi 

dello Stato in misura diversa e 

più ampia rispetto alle discipline dei 

“condoni edilizi” che l’Italia aveva 

già avuto modo di vedere negli ultimi 

venti anni. 

Ecco perché ormai da più parti si 

sollevano critiche in ordine alla portata 

dell’art. 32 alla luce della ripartizione 

dei compiti tra lo Stato e le 

regioni, proprio perché, come è noto, 

sulla base del titolo V della Costituzione, 

lo Stato non ha più competenza 

in materia edilizia, se non per 

dettare i principi fondamentali [2] . 

Questa considerazione impone di 

valutare che, nella materia squisitamente 

edilizia, l’unico fondamento 

della potestà statale risiede nella materia 

penale che, nel caso specifico, 

si integra nell’estinzione generalizzata 

dei reati edilizi. Con questa impostazione, 

il provvedimento legislativo 

avrebbe, quindi, assunto la natura 

giuridica di un’amnistia, con la 

conseguente illegittimità procedurale 

per l’emanazione con decreto legge 

nell’ambito della Finanziaria e 

non con legge specifica, con la maggioranza 

qualificata dei due terzi 

[1] Riforma attuata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (in Gazzetta Ufficiale del 24 ottobre 2001, n. 248). Si vedano 

anche i nn. 7/2002 e 17/2002 di Ambiente&Sicurezza. 

[2] Si veda il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia» (in S.O. n. 

(segue) 


prevista dall’art. 79 della Costituzione. 

In aiuto rispetto a questa criticità 

deve richiamarsi l’interpretazione 

assunta dalla Corte Costituzionale 

(sentenze n. 369/1988 e n. 427/ 

1995) che, riconoscendo la stretta 

vicinanza dei due istituti, ma ritenendo 

che la specialità del condono 

risieda nel fatto che il condono stesso 

«opera solo a seguito della realizzazione 

di una complessa fattispecie 

la quale è, insieme, estintiva di 

effetti penali e costitutiva di effetti 

amministrativi», offre occasioni di 

salvataggio al percorso scelto dall’art. 

32, D.L. n. 269/2003 . 

Per quanto si faccia riferimento a 

quest’ultima interpretazione, non 

sfugge che la natura giuridica 

“speciale” del condono, riconosciuta 

dalla Consulta, oggi deve fare i 

conti con la Costituzione vigente 

che ha riconosciuto alla regione la 

competenza a regolare gli effetti amministrativi 

in materia edilizia. Ciò 

comporta, come detto sopra, che 

l’art. 32 sollevi riflessioni di non 

poco rilievo sulla legittimità costituzionale 

della sua emanazione, ancor 

prima di entrare a esaminare la portata 

delle singole prescrizioni per 

l’operatività della sanatoria. 

Da queste osservazioni si deve 

concludere che, per quanto concerne 

la portata delle prescrizioni dell’art. 

32 che attengono più specificamente 

il rilascio del permesso in sanatoria, 

rimangono vivi i dubbi di legittimità 

AMBIENTE 

dell’intervento, almeno per le regioni 

che hanno provveduto a disciplinare 

la materia edilizia con propria legge 

regionale nell’ambito degli spazi 

consentiti dal T.U. dell’edilizia. 

Si è comunque osservato che la 

portata della previsione in commento 

è ampia poiché essa interviene 

sulla materia del governo del territorio 

per la quale si è in presenza di 

competenza concorrente Stato-regioni 

e sulla materia della tutela dell’ambiente 

per la quale vige la competenza 

esclusiva statale. 

In base all’art. 117 (commi 3, 4 e 

5), in materie di competenza concorrente, 

la definizione dei principi 

spetta allo Stato, mentre la disciplina 

di dettaglio è di competenza delle 

regioni. L’art. 32, D.L. n. 

269/2003 sembra richiamare questa 

impostazione al comma 3 laddove 

stabilisce che «le condizioni, i limiti 

e le modalità del rilascio del predetto 

titolo abilitativo sono stabilite 

dal presente articolo e dalle normative 

regionali». 

Ora, stante questa disposizione, 

ci si pone la domanda se la “normativa” 

regionale possa disporre in 

modo da pregiudicare gli effetti penali 

previsti dal condono, con il rischio 

di avere una legislazione attuativa 

del condono diversa per ogni 

regione italiana, in violazione dei 

principi di uguaglianza ancora oggi 

inderogabili. 

Ciò fa pensare che la statuizione 

VIA 

Articolo 

in ordine alla vigenza di una disciplina 

derogatoria per il rilascio del permesso 

di costruire in sanatoria sia il 

principio generale, mentre le modalità 

procedurali di attuazione del principio 

siano rimesse alle singole regioni. 

Ai commi 37 e 38 dell’art. 32 si 

legge, infatti, che le regioni, entro 

sessanta giorni dalla data di entrata in 

vigore del D.L. n. 269/2003, emanino 

norme per la definizione del procedimento 

amministrativo relativo al rilascio 

del titolo abilitativo edilizio in 

sanatoria e possano prevederne, tra 

l’altro, un incremento dell’oblazione 

fino al massimo del 10% della misura 

determinata nella tabella C allegata 

al D.L. n. 269/2003 stesso, ai fini 

dell’attivazione di politiche di repressione 

degli abusi edilizi e per la promozione 

di interventi di riqualificazione 

dei nuclei interessati da fenomeni 

di abusivismo edilizio, nonché 

per l’attuazione di quanto previsto 

dall’articolo 23, legge 28 febbraio 

1985, n. 47 [3] . 

Con la legge regionale, gli oneri 

di concessione relativi alle opere 

abusive oggetto di sanatoria possono 

essere incrementati fino al massimo 

del 100%. Le amministrazioni 

comunali perimetrano gli insediamenti 

abusivi entro i quali gli oneri 

concessori sono determinati nella 

misura dei costi per la realizzazione 

delle opere di urbanizzazione primaria 

e secondaria necessarie, nonché 

per gli interventi di riqualificazione 

239 alla Gazzetta Ufficiale del 20 ottobre 2001, n. 245) entrato in vigore a decorrere dal 1˚ luglio 2003. In particolare, l’art. 1 

recita «Il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia. 

Restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali e ambientali contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 

1999, n. 490, e le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia. Sono fatte salve altresì le 

disposizioni di cui agli articoli 24 e 25 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, ed alle relative norme di attuazione, in 

materia di realizzazione, ampliamento, ristrutturazione e riconversione di impianti produttivi». 

L’art. 2 recita «Le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali 

della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico. 

2. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la propria potestà legislativa esclusiva, 

nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione. 

3. Le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano 

direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi. 

4. I comuni, nell’ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 18 agosto 

2000, n. 267, disciplinano l’attività edilizia. 

5. In nessun caso le norme del presente testo unico possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione allo Stato di funzioni e compiti 

trasferiti, delegati o comunque conferiti alle regioni e agli enti locali dalle disposizioni vigenti alla data della sua entrata in vigore». 

[3] «Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico - edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie» (in 

Gazzetta Ufficiale del 2 marzo 1985, n. 53). 


VIA 

Articolo 

igienico-sanitaria e ambientale attuati 

dagli enti locali. 

Coloro che in proprio o in forme 

consortili, nell’ambito delle zone perimetrate, 

intendano eseguire in tutto 

o in parte le opere di urbanizzazione 

primaria, nel rispetto dell’articolo 

2, comma 5, legge 11 febbraio 1994, 

n. 109 [4] , e successive modificazioni 

e integrazioni, secondo le disposizioni 

tecniche dettate dagli uffici comunali, 

possono detrarre dall’importo 

complessivo quanto già versato, a 

titolo di anticipazione degli oneri 

concessori, di cui alla tabella D allegata. 

Con legge regionale, ai sensi 

dell’articolo 29, legge 28 febbraio 

1985, n. 47, come modificato dall’articolo 

32, D.L. n. 269/2003, sono 

disciplinate le relative modalità di 

attuazione. Di conseguenza, l’art. 32 

esprime la volontà dello Stato di riservarsi 

il compito di definire l’oggetto 

della sanatoria, senza lasciare 

alle regioni lo spazio per allontanarsi 

da tale identificazione. 

Il comma 32 dell’art. 32 stabilisce 

quali sono le tipologie di illecito suscettibili 

di sanatoria rispetto alle disposizioni 

della legge 28 febbraio 

1985, n. 47, la quale mantiene oggi la 

propria vigenza in quanto richiamata 

e riportata pressoché letteralmente nel 

corpo del T.U. dell’edilizia. 

Gli aspetti di 

tutela ambientale 

Nell’ambito dell’art. 32, il Legislatore 

si è occupato di attivare un 

programma nazionale di interventi, 

anche con la partecipazione di risorse 

private, rivolto alla riqualificazione 

di ambiti territoriali caratterizzati 

da consistente degrado economico e 

sociale, con riguardo ai fenomeni di 

abusivismo edilizio, da attuare anche 

attraverso il recupero delle risor- 

AMBIENTE 

se ambientali e culturali; a questo 

proposito è destinata una somma di 

20 milioni di euro per l’anno 2004 e 

di 40 milioni di euro per ciascuno 

degli anni 2005 e 2006. 

Con successivo decreto del Ministro 

delle infrastrutture e dei trasporti, 

da adottare entro sessanta giorni dalla 

data di entrata in vigore del D.L. n. 

269/2003, sentita la Conferenza unificata 

di cui all’articolo 8, D.Lgs. 28 

agosto 1997, n. 281 [5] , verranno individuati 

gli ambiti di rilevanza e interesse 

nazionale oggetto di riqualificazione 

urbanistica, ambientale e culturale. 

Sarà su queste aree che il Ministero 

delle Infrastrutture e dei Trasporti, 

d’intesa con i soggetti pubblici interessati, 

predisporrà il programma di interventi, 

anche in riferimento a quanto 

previsto dall’articolo 29, comma 4, 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, come 

sostituito dal comma 42, D.L. n. 

269/2003. 

La medesima linea di intervento 

di fronte al fenomeno dell’abuso edilizio 

è stata adottata anche ai fini 

del miglioramento, della tutela e della 

valorizzazione delle aree demaniali 

mediante lo stanziamento della 

spesa fino a un importo massimo di 

20 milioni di euro per l’anno 2004 e 

di 40 milioni di euro per ciascuno 

degli anni 2005 e 2006. 

Sarà compito dell’Agenzia del 

demanio, di concerto con il Ministero 

delle infrastrutture e dei trasporti 

predisporre un programma di interventi 

volti alla riqualificazione delle 

aree demaniali, approvato con decreto 

del Ministro delle infrastrutture e 

dei trasporti, di concerto con il dicastero 

dell’economia e delle finanze. 

Di fronte a queste iniziative, ci si 

chiede quali siano i limiti per gli 

enti locali, per le regioni e per il 

Governo alla riqualificazione e alla 

riabilitazione delle aree soggette a 

fenomeni di abuso. 

Sicuramente l’art. 32, per quanto 

concerne l’applicazione cogente 

della sanatoria, offre alcune limitazioni. 

La norma prevede che le opere 

abusive prive di copertura da parte 

di un vincolo di tutela disposto da 

un organo statale o regionale competente 

non siano comunque suscettibili 

di sanatoria, qualora: 

● siano state eseguite dal proprietario 

o avente causa condannato con 

sentenza definitiva, per i delitti di cui 

all’art. 416-bis, 648-bis e 648-ter, c.p. 

o da terzi per suo conto; 

● non sia possibile effettuare interventi 

per l’adeguamento antisismico, 

rispetto alle categorie previste per i 

comuni, secondo quanto indicato dalla 

ordinanza del Presidente del Consiglio 

dei Ministri 20 marzo 2003 [6] ; 

● non sia data la disponibilità di 

concessione onerosa dell’area di 

proprietà dello Stato o degli enti 

pubblici territoriali, con le modalità 

e condizioni di cui all’articolo 32, 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, e al 

D.L. n. 269/2003; 

● siano state realizzate su immobili 

soggetti a vincoli imposti sulla base 

di leggi statali e regionali a tutela 

degli interessi idrogeologici e delle 

falde acquifere, dei beni ambientali 

e paesistici, nonché dei parchi e delle 

aree protette nazionali, regionali 

e provinciali qualora istituiti prima 

dell’esecuzione di dette opere, in assenza 

o in difformità del titolo abilitativo 

edilizio e non conformi alle 

norme urbanistiche e alle prescrizioni 

degli strumenti urbanistici; 

● siano state realizzate su immobili 

dichiarati monumento nazionale con 

provvedimenti aventi forza di legge o 

dichiarati di interesse particolarmen- 

[4] «Legge quadro in materia di lavori pubblici» (in S.O. n. 1 alla Gazzetta Ufficiale del 19 febbraio 1994, n. 41 ). È la cosiddetta 

“Legge Merloni”. 

[5] «Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province 

autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei 

comuni, con la conferenza Stato-Città ed autonomie locali» (in Gazzetta Ufficiale del 30 agosto 1997, n. 202). 

[6] «Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le 

costruzioni in zona sismica» (in S.O. n. 72 alla Gazzetta Ufficiale dell’8 maggio 2003, n. 105). 


te rilevante ai sensi degli articoli 6 e 

7, D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 [7] ; 

● fermo restando quanto previsto 

dalla legge 21 novembre 2000, n. 

353 [8] , e indipendentemente dall’approvazione 

del piano regionale di 

cui la comma 1 dell’articolo 3, legge 

n. 353/2000, il comune subordina 

il rilascio del titolo abilitativo 

edilizio in sanatoria alla verifica che 

le opere non insistano su aree boscate 

o su pascolo i cui soprassuoli 

siano stati percorsi dal fuoco. Agli 

effetti dell’esclusione dalla sanatoria 

è sufficiente l’acquisizione di elementi 

di prova, desumibili anche dagli 

atti e dai registri del Ministero 

dell’Interno, che le aree interessate 

dall’abuso edilizio siano state, nell’ultimo 

decennio, percorse da uno 

o più incendi boschivi; 

● siano state realizzate nei porti e 

nelle aree, appartenenti al demanio 

marittimo, di preminente interesse 

nazionale in relazione agli interessi 

della sicurezza dello Stato e alle esigenze 

della navigazione marittima, 

quali identificate ai sensi del comma 

2 dell’articolo 59, D.P.R. 24 luglio 

1977, n. 616 [9] . 

L’attenzione all’aspetto di tutela 

dell’ambiente è limitato alla previsione 

che le opere abusive non siano state 

realizzate su immobili soggetti a vincoli 

imposti sulla base di leggi statali e 

regionali a tutela degli interessi idrogeologici 

e delle falde acquifere, dei 

beni ambientali e paesistici, nonché 

dei parchi e delle aree protette nazionali, 

regionali e provinciali qualora istituiti 

prima della esecuzione di dette opere, 

in assenza o in difformità del titolo 

abilitativo edilizio e non conformi alle 

norme e alle prescrizioni degli stru- 

AMBIENTE 

menti urbanistici. Nessuna traccia della 

previsione di verifiche di compatibilità 

ambientale specifiche per la riabilitazione 

delle opere sul territorio. 

Nello stesso senso deve leggersi 

la limitazione di sanatoria per le 

opere che siano state realizzate su 

immobili dichiarati monumento nazionale 

con provvedimenti aventi 

forza di legge o dichiarati di interesse 

particolarmente rilevante ai sensi 

degli articoli 6 e 7, D.Lgs. 29 ottobre 

1999, n. 490, ovvero per le opere 

non insistano su aree boscate o su 

pascolo i cui soprassuoli siano stati 

percorsi da incendi. 

Si è di fronte all’assenza di procedure 

di valutazione dell’impatto 

sull’ambiente che potrebbero 

avere le opere definitivamente abilitate 

a permanere sul territorio. 

L’aspetto inerente la tutela dell’ambiente 

appare residuale ai casi 

“classici” degli immobili sottoposti 

a vincoli specifici di natura statale o 

regionale calati, in misura puntuale, 

a individuare un particolare ambiente. 

Questa impostazione si perfezione 

con la previsione dell’art. 32 per 

gli immobili sottoposti a vincolo, 

riguardo i quali la norma stabilisce 

che il rilascio del titolo abilitativo 

edilizio in sanatoria per opere eseguite 

su tali tipologie di edificio sia 

subordinato al parere favorevole delle 

amministrazioni preposte alla tutela 

del vincolo stesso. Qualora questo 

parere non venga formulato dalle 

suddette amministrazioni entro 

centottanta giorni dalla data di ricevimento 

della richiesta di parere, il 

richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto. 

Il rilascio del titolo abilitativo 

edilizio estingue anche il rea- 

VIA 

Articolo 

to per la violazione del vincolo. Il 

parere non è richiesto quando si tratti 

di violazioni riguardanti l’altezza, 

i distacchi, la cubatura o la superficie 

coperta che non eccedano il 2% 

delle misure prescritte. 

Un’ulteriore apertura nel senso 

di ampliare i margini di operatività 

della sanatoria a scapito della tutela 

dell’ambiente derivano dalla prescrizione 

per la quale sono suscettibili 

di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, 

le opere insistenti su aree 

vincolate dopo la loro esecuzione e 

che risultino: 

● in difformità dalla legge 2 febbraio 

1974, n. 64 [10] , e successive modificazioni, 

e dal D.P.R. 6 giugno 

2001, n. 380, quando possano essere 

collaudate secondo il disposto del 

quarto comma dell’articolo 35, legge 

28 febbraio 1985, n. 47; 

● in contrasto con le norme urbanistiche 

che prevedono la destinazione 

a edifici pubblici o a spazi pubblici, 

purché non in contrasto con le 

previsioni delle varianti di recupero 

di cui al Capo III, legge 28 febbraio 

1985, n. 47; 

● in contrasto con le norme del 

D.M. 1˚ aprile 1968, n. 1404 [11] e 

con agli articoli 16, 17 e 18, legge 

13 giugno 1991, n. 190 [12] , e successive 

modificazioni, sempre che le 

opere stesse non costituiscano minaccia 

alla sicurezza del traffico; 

L’articolo 32, legge 28 febbraio 

1985, n. 47, sostituito integralmente dal 

nuovo testo previsto dall’art. 32, comma 

43, “maxi-decreto” prevede, altresì, 

che, ai fini dell’acquisizione del parere 

favorevole delle amministrazioni preposte 

alla tutela del vincolo stesso sull’immobile 

di pregio, si applichi quanto pre- 

[7] «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’articolo 1 della legge 8 ottobre 

1997, n. 352» (in S.O. n. 229 alla Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 1999, n. 302). Si veda anche l’Inserto pubblicato sul n. 

3/2000 di Ambiente&Sicurezza. 

[8] «Legge-quadro in materia di incendi boschivi» (in Gazzetta Ufficiale del 30 novembre 2000, n. 280). 

[9] «Attuazione della delega di cui all’art. 1 della L. 22 luglio 1975 n. 382» (in Gazzetta Ufficiale del 29 agosto 1977, n. 234). 

[10] «Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche» (in Gazzetta Ufficiale del 21 marzo 1974, n. 76). 

[11] «Distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui 

all’art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765» (in Gazzetta Ufficiale del 13 aprile 1968, n. 96) 

[12] «Delega al governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale» (in Gazzetta Ufficiale del 

28 giugno 1991, n. 150). 


VIA 

Articolo 

visto dall’articolo 20, comma 6, D.P.R. 

6 giugno 2001, n. 380, con la conseguenza 

che il motivato dissenso espresso 

da una amministrazione preposta alla 

tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, 

ivi inclusa la soprintendenza 

competente, alla tutela del patrimonio 

storico artistico o alla tutela della salute, 

preclude il rilascio del titolo abilitativo 

edilizio in sanatoria. 

Il panorama legislativo introdotto 

dall’art. 32, se esaminato sotto il 

profilo della tutela dell’ambiente 

che per primo ha sofferto del fenomeno 

abusivo, non è affatto soddisfacente. 

L’attenzione alle esigenze 

di prevenzione di nocumento irreversibile 

al territorio è soddisfatta 

incidentalmente e non ha rappresentato 

un momento fondamentale di 

attenzione da parte del Legislatore. 

In particolare, percorrendo tutto l’articolato 

della sanatoria, si coglie 

che la protezione del bene “ambiente” 

è stata lasciata alla fase della 

prevenzione più che di quella della 

repressione; infatti, i commi 7 e 

8, art. 32, D.L. n. 269/2003, rappresentano 

l’invito alle amministrazioni 

di dotarsi degli strumenti di programmazione 

o pianificazione urbanistica 

per evitare un’attività edilizia 

selvaggia poco rispettosa delle 

esigenze del territorio; il comma 11 

rappresenta una previsione di finanziamento 

a favore delle regioni, vincolato 

ai fini del ripristino e delle 

riqualificazione paesaggistica delle 

aree tutelate, senza chiarire le finalità 

del decreto ministeriale. Questa 

incertezza sulle precise finalità che 

il D.M. dovrà evidenziare quali condizioni 

per l’erogazione del finanziamento 

è preoccupante perché potrebbe 

permettere alle regioni di disporre 

legittimamente di queste somme 

per il governo del territorio in generale. 

Ciò che è opportuno sottolineare 

è che l’esperienza dei condoni precedenti 

dimostra come non sia materialmente 

possibile, da parte delle 

[13] In G.U.C.E. L del 5 luglio 1985, n. 175. 

AMBIENTE 

amministrazioni comunali, effettuare 

un controllo, se non in via formale, 

sulle istanze di sanatoria. Questo, 

in concreto, significa che si 

guardano le date di presentazioni, i 

versamenti degli oneri concessori e 

la corrispondenza di quanto dichiarato 

con i requisiti di legge, ma non 

con l’esistente e il reale pregiudizio 

ambientale verificatosi. Questo genera 

situazioni paradossali, scoperte 

quasi per caso, come quelle di condoni 

presentati su abusi mai fatti (in 

tal caso il condono veniva sfruttato 

per fare nuovi interventi edili altrimenti 

non ammessi) o condoni limitati 

a piccole parti, ma che in realtà 

avrebbero dovuto riguardare cubature 

ben più estese. 

La prassi ha visto anche grandi 

abusi incondonabili che, frazionati 

in più pratiche di condono separate, 

sono stati sanati. 

Sempre l’esperienza ha dimostrato 

che i vincoli paesaggistici vengono 

sostanzialmente ignorati nelle procedure 

di rilascio di condono. Il motivo 

è semplice, in quanto la legge prevede 

che nelle aree vincolate prima 

del condono ci sia un parere preventivo 

dei “soggetti preposti alla tutela 

del vincolo”; quindi per i limiti paesaggistici, 

per i quali lo Stato ha delegato 

le regioni, che, a loro volta hanno 

subdelegato i comuni, nella stragrande 

maggioranza dei casi gli stessi 

comuni che rilasciano i condoni 

sono quelli che esprimono il parere. I 

vincoli paesaggistici ricoprono il 

46% del territorio italiano e la situazione 

che si è determinata, al di là di 

rappresentare un assai discutibile 

commistione tra controllato e controllore, 

è aggravata dalla impossibilità 

dei comuni di effettuare verifiche concrete, 

per cui, a parità di termini, di 

cubatura e di requisiti, uno stesso abuso 

realizzato pur in zone diverse rischia, 

di fatto, di essere trattato nel 

medesimo modo senza valutare l’incidenza 

di questo nel contesto paesaggistico. 

A un opera abusiva, soprattutto se 

consolidata nel territorio, corrisponde 

molto spesso uno scarico non autorizzato, 

una captazione idrica fatta senza 

le necessarie autorizzazioni, un’occupazione 

di suolo che si inserisce senza 

nessuna previsione e valutazione 

nell’ambiente, nel paesaggio, a volte 

anche in zone di pregio o, addirittura, 

in zone di rischio, con la conseguenza 

che, in caso di calamità, i danni conseguenti 

a localizzazioni sbagliate sono 

a carico dell’intera comunità. 

Anche con questa edizione della 

sanatoria, il Legislatore non invita 

gli operatori all’obbligo di valutare 

questi aspetti di fondamentale importanza 

per il territorio; si chiede, 

infatti, agli abusivi di pagare oneri 

concessori stabiliti su parametri 

che, ancora una volta, prescindono 

da considerazioni capaci di tenere 

nel debito conto i costi ambientali. 

I principi europei di tutela: 

un limite alla sanatoria? 

La scarsa attenzione riservata dall’art. 

32, D.L. n. 269/2003 agli aspetti 

di tutela dell’ambiente (e non solo 

alle bellezze qualificate di interesse 

specifico e destinate a particolare tutela) 

potrebbe essere ripianata dal richiamo 

ai principi comunitari di tutela 

dell’ambiente contenuti nella legislazione 

vigente alla quale è subordinata 

l’applicazione e l’interpretazione 

della normativa statale. 

È utile ricordare che la Commissione 

europea ha il compito e il potere 

di vigilare sulla coerenza delle 

azioni degli Stati membri rispetto 

agli obiettivi del programma di sviluppo 

europeo del territorio e sulla 

loro compatibilità con tutte le politiche 

comunitarie comprese quelle in 

campo ambientale. 

Nello specifico, in conformità dell’articolo 

2, direttiva 85/337/ CEE del 

Consiglio del 27 giugno 1985 concernente 

«la valutazione dell’impatto ambientale 

di determinati progetti pubblici 

e privati» [13] , modificata dalla 


direttiva 97/11/CE del Consiglio del 3 

marzo 1997 [14] gli Stati membri sono 

tenuti ad adottare le disposizioni necessarie 

affinché prima del rilascio 

dell’autorizzazione, i progetti per i 

quali si prevede un impatto ambientale 

importante, segnatamente per la loro 

natura, le loro dimensioni o la loro 

ubicazione, formino oggetto di una 

valutazione del loro impatto. 

Il principio sul quale si basa la 

previsione è che l’autorizzazione di 

progetti pubblici e privati per i quali 

si prevede un impatto ambientale importante 

possa essere concessa solo 

dopo aver effettuato una valutazione 

dei probabili effetti significativi che 

questi progetti possono esercitare sull’ambiente. 

Per contro, le opere che 

sono già state effettuate ma che non 

sono state sottoposte, allo stato di 

progetto, alla procedura di valutazione 

di impatto ambientale dovrebbero 

esservi, a questo punto, sottoposte 

[14] In G.U.C.E. L del 14 marzo 1997, n. 73. 

[15] In G.U.C.E. L del 22 luglio 1992, n. 206. 

[16] In G.U.C.E. L del 25 aprile 1979, n. 103. 

AMBIENTE 

prima del rilascio della sanatoria. 

Un altro aspetto potrebbe riguardare 

le richieste di sanatoria di opere 

che interessassero un sito proposto come 

sito di importanza comunitaria 

(SIC) ai sensi della direttiva 

92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 

1992 relativa alla «conservazione 

degli habitat naturali e seminaturali e 

della flora le della fauna selvatica» 

[15] , o una zona di protezione speciale 

(ZPS) ai sensi della direttiva 

79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 

1979 [16] concernente la «conservazione 

degli uccelli selvatici», per i cui 

casi potrebbero essere pertinenti le disposizioni 

dell’articolo 6, direttiva 

92/43/CEE. 

Per quanto riguarda i SIC, la direttiva 

92/43/CEE fa obbligo agli 

Stati membri di intervenire in modo 

da assicurare che gli obiettivi della 

direttiva non siano messi a repentaglio. 

Anche in assenza di un elenco 

D.L. 29 settembre 2003, n. 269 

VIA 

Articolo 

comunitario, le autorità degli Stati 

membri sono, pertanto, invitate 

quanto meno ad astenersi da tutte le 

attività che possono provocare il deterioramento 

di un sito inserito nell’elenco 

nazionale. 

Per quanto riguarda le ZPS, gli 

Stati membri sono tenuti ad adottare 

le misure opportune per evitare nelle 

zone speciali di conservazione il 

degrado degli habitat naturali e di 

quelli di specie nonché la perturbazione 

delle specie per cui le zone 

sono state designate, nella misura in 

cui questo sconvolgimento potrebbe 

avere conseguenze significative relativamente 

agli obiettivi della direttiva. 

Inoltre, qualsiasi piano o progetto 

che possa avere incidenze significative 

sul sito in questione, singolarmente 

o congiuntamente ad altri piani 

e progetti, forma oggetto di opportuna 

valutazione dell’incidenza 

che ha sul sito. l 

Art. 32 

Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione 

dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione 

degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali 

1. Al fine di pervenire alla regolarizzazione del settore è consentito, in conseguenza del condono, il 

rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria delle opere esistenti non conformi alla disciplina 

vigente. 

2. La normativa è disposta nelle more dell’adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti 

nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, approvato con D.P.R. 6 

giugno 2001, n. 380, in conformità al titolo V della Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 

18 ottobre 2001, n. 3, e comunque fatte salve le competenze delle autonomie locali sul governo del 

territorio. 

3. Le condizioni, i limiti e le modalità del rilascio del predetto titolo abilitativo sono stabilite dal presente 

articolo e dalle normative regionali. 

4. Sono in ogni caso fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome 

di Trento e di Bolzano. 

5. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti fornisce, d’intesa con le regioni interessate, il supporto 

alle amministrazioni comunali ai fini dell’applicazione della presente normativa e per il coordinamento 

con le leggi 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modifiche e integrazioni, e con l’art. 39 della legge 23 

dicembre 1994, n. 724, e successive modifiche e integrazioni. 


VIA 

Articolo 

AMBIENTE 

6. Al fine di concorrere alla partecipazione alla realizzazione delle politiche di riqualificazione urbanistica 

dei nuclei interessati dall’abusivismo edilizio, attivate dalle regioni ai sensi del comma 33 è destinata una 

somma di 10 milioni di euro per l’anno 2004 e di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006. Con 

decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 

del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati gli interventi da ammettere a finanziamento. 

7. Al comma 1 dell’ articolo 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è aggiunta, in fine, la 

seguente lettera: 

«c-bis) nelle ipotesi in cui gli enti territoriali al di sopra dei mille abitanti siano sprovvisti dei relativi 

strumenti urbanistici generali e non adottino tali strumenti entro diciotto mesi dalla data di elezione 

degli organi. In questo caso, il decreto di scioglimento del consiglio è adottato di concerto con il Ministro 

delle infrastrutture e dei trasporti. Le disposizioni di cui alla presente lettera si applicano anche nei 

confronti degli altri organi tenuti all’adozione di strumenti urbanistici». 

8. All’articolo 141 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è aggiunto il seguente comma: 

«2-bis. Nell’ipotesi di cui alla lettera c-bis) del comma 1, trascorso il termine entro il quale gli strumenti 

urbanistici devono essere adottati, la regione assegna agli enti che non vi abbiano provveduto un 

ulteriore termine di tre mesi, alla scadenza del quale, con lettera notificata al Sindaco, diffida il consiglio 

ad adempiere nei successivi trenta giorni. Trascorso infruttuosamente quest’ultimo termine, la regione 

ne dà comunicazione al Prefetto. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche nei 

confronti degli altri organi tenuti all’adozione di strumenti urbanistici». 

9. Per attivare un programma nazionale di interventi, anche con la partecipazione di risorse private, 

rivolto alla riqualificazione di ambiti territoriali caratterizzati da consistente degrado economico e 

sociale, con riguardo ai fenomeni di abusivismo edilizio, da attuare anche attraverso il recupero delle 

risorse ambientali e culturali, è destinata una somma di 20 milioni di euro per l’anno 2004 e di 40 milioni 

di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006. Con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, 

da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita la 

Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati gli ambiti di 

rilevanza e interesse nazionale oggetto di riqualificazione urbanistica, ambientale e culturale. Su tali 

aree, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con i soggetti pubblici interessati, predispone 

un programma di interventi, anche in riferimento a quanto previsto dall’articolo 29, comma 4, della 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, come sostituito dal comma 42. 

10. Per la realizzazione di un programma di interventi di messa in sicurezza del territorio nazionale dal 

dissesto idrogeologico è destinata una somma di 20 milioni di euro per l’anno 2004 e di 40 milioni di 

euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006. Con decreto del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del 

territorio, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita 

la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, sono individuate le aree 

comprese nel programma. Su tali aree, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio, d’intesa 

con i soggetti pubblici interessati, predispone un programma operativo di interventi e le relative 

modalità di attuazione. 

11. Allo scopo di attuare un programma di interventi per il ripristino e la riqualificazione delle aree e dei 

beni soggetti alle disposizioni del titolo II del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, è destinata una somma di 10 

milioni di euro per l’anno 2004 e di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006. Con decreto 

del Ministro per i beni e le attività culturali, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in 

vigore del presente decreto, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, 

n. 281, tale somma è assegnata alle regioni per l’esecuzione di interventi di ripristino e di riqualificazione 

paesaggistica delle aree tutelate, dopo aver individuato le aree comprese nel programma. 

(omissis) 

24. Ai fini del miglioramento, della tutela e della valorizzazione delle aree demaniali è autorizzata una 

spesa fino ad un importo massimo di 20 milioni di euro per l’anno 2004 e di 40 milioni di euro per 

ciascuno degli anni 2005 e 2006. L’Agenzia del demanio, di concerto con il Ministero delle Infrastrutture 

e dei Trasporti predispone un programma di interventi volti alla riqualificazione delle aree demaniali. Il 


AMBIENTE 

VIA 

Articolo 

programma è approvato con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con il 

Ministro dell’Economia e delle Finanze. 

25. Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e 

integrazioni, come ulteriormente modificate dall’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e 

successive modificazioni e integrazioni, nonché dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che 

risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto 

superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento 

superiore a 750 mc. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate 

nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per singola 

richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria. 

26. Sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all’allegato 1: 

a) numeri da 1 a 3, nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla 

lettera e) del comma 27, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’articolo 

32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47; 

b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 

47, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del 

presente decreto, con la quale è determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità 

a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio. 

27. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere 

abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: 

a) siano state eseguite dal proprietario o avente causa condannato con sentenza definitiva, per i delitti 

di cui all’art. 416-bis, 648-bis e 648-ter del codice penale o da terzi per suo conto; 

b) non sia possibile effettuare interventi per l’adeguamento antisismico, rispetto alle categorie previste 

per i comuni secondo quanto indicato dalla ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 marzo 

2003, n. 3274, pubblicata nel supplemento ordinario alla G.U. n. 105 dell’8 maggio 2003; 

c) non sia data la disponibilità di concessione onerosa dell’area di proprietà dello Stato o degli enti 

pubblici territoriali, con le modalità e condizioni di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, 

ed al presente decreto; 

d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a 

tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei 

parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di 

dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche 

e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici; 

e) siano state realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge 

o dichiarati di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli articoli 6 e 7 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490; 

f) fermo restando quanto previsto dalla legge 21 novembre 2000, n. 353, e indipendentemente dall’approvazione 

del piano regionale di cui la comma 1 dell’articolo 3 della citata legge n. 353/ 2000, il comune 

subordina il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria alla verifica che le opere non insistano su 

aree boscate o su pascolo i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco. Agli effetti dell’esclusione dalla 

sanatoria è sufficiente l’acquisizione di elementi di prova, desumibili anche dagli atti e dai registri del 

Ministero dell’Interno, che le aree interessate dall’abuso edilizio siano state, nell’ultimo decennio, 

percorse da uno o più incendi boschivi; 

g) siano state realizzate nei porti e nelle aree, appartenenti al demanio marittimo, di preminente interesse 

nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato ed alle esigenze della navigazione marittima, 

quali identificate ai sensi del secondo comma dell’articolo 59 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. 

28. I termini previsti dalle disposizioni sopra richiamate e decorrenti dalla data di entrata in vigore 

dell’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, ove non 

disposto diversamente, sono da intendersi come riferiti alla data di entrata in vigore del presente 

decreto. Per quanto non previsto dal presente decreto si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui 

alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, e al predetto articolo 39. 

(omissis) 


VIA 

Articolo 

AMBIENTE 

32. La domanda relativa alla definizione dell’illecito edilizio, con l’attestazione del pagamento dell’oblazione e 

dell’anticipazione degli oneri concessori, è presentata al comune competente, a pena di decadenza, entro il 31 

marzo 2004, unitamente alla dichiarazione di cui al modello allegato e alla documentazione di cui al comma 35. 

33. Le regioni, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, emanano norme per 

la definizione del procedimento amministrativo relativo al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria e 

possono prevederne, tra l’altro, un incremento dell’oblazione fino al massimo del 10 per cento della misura 

determinata nella tabella C allegata, ai fini dell’attivazione di politiche di repressione degli abusi edilizi e per 

la promozione di interventi di riqualificazione dei nuclei interessati da fenomeni di abusivismo edilizio, 

nonché per l’attuazione di quanto previsto dall’articolo 23 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. 

34. Ai fini dell’applicazione del presente articolo non si applica quanto previsto dall’articolo 37, comma 2, 

della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Con legge regionale gli oneri di concessione relativi alle opere abusive 

oggetto di sanatoria possono essere incrementati fino al massimo del 100 per cento. Le amministrazioni 

comunali perimetrano gli insediamenti abusivi entro i quali gli oneri concessori sono determinati nella misura 

dei costi per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria necessarie, nonché per gli 

interventi di riqualificazione igienico-sanitaria e ambientale attuati dagli enti locali. Coloro che in proprio o 

in forme consortili, nell’ambito delle zone perimetrate, intendano eseguire in tutto o in parte le opere di 

urbanizzazione primaria, nel rispetto dell’articolo 2, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e 

successive modificazioni e integrazioni, secondo le disposizioni tecniche dettate dagli uffici comunali, possono 

detrarre dall’importo complessivo quanto già versato, a titolo di anticipazione degli oneri concessori, di 

cui alla tabella D allegata. Con legge regionale, ai sensi dell’articolo 29 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, 

come modificato dal presente articolo, sono disciplinate le relative modalità di attuazione. 

(omissis) 

43. L’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, è sostituito dal seguente: 

«32. Opere costruite su aree sottoposte a vincolo. 

1. Fatte salve le fattispecie previste dall’articolo 33, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per 

opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni 

preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga formulato dalle suddette amministrazioni 

entro centottanta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può impugnare 

il silenzio-rifiuto. Il rilascio del titolo abilitativo edilizio estingue anche il reato per la violazione del vincolo. 

Il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la 

superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte. 

2. Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro 

esecuzione e che risultino: 

a) in difformità dalla legge 2 febbraio 1974, n. 64, e successive modificazioni, e dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 

380, quando possano essere collaudate secondo il disposto del quarto comma dell’articolo 35; 

b) in contrasto con le norme urbanistiche che prevedono la destinazione ad edifici pubblici od a spazi 

pubblici, purché non in contrasto con le previsioni delle varianti di recupero di cui al capo III; 

c) in contrasto con le norme del D.M. 1˚ aprile 1968, n. 1404, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13 

aprile 1968, e con agli articoli 16, 17 e 18 della legge 13 giugno 1991, n. 190, e successive modificazioni, 

sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico. 

3. Qualora non si verifichino le condizioni di cui al comma 2, si applicano le disposizioni dell’articolo 33. 

4. Ai fini dell’acquisizione del parere di cui al comma 1 si applica quanto previsto dall’articolo 20, comma 6, 

del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela 

ambientale, paesaggistico-territoriale, ivi inclusa la soprintendenza competente, alla tutela del patrimonio 

storico artistico o alla tutela della salute preclude il rilascio del titolo abilitativi edilizio in sanatoria. 

5. Per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o di enti pubblici territoriali, in assenza di un 

titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria è 

subordinato anche alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste 

dalle leggi statali o regionali vigenti, l’uso del suolo su cui insiste la costruzione. La disponibilità all’uso del 

suolo, anche se gravato di usi civici, viene espressa dallo Stato o dagli enti pubblici territoriali proprietari 

entro il termine di centottanta giorni dalla richiesta. La richiesta di disponibilità all’uso del suolo deve essere 

limitata alla superficie occupata dalle costruzioni oggetto della sanatoria e alle pertinenze strettamente 


AMBIENTE 

necessarie, con un massimo di tre volte rispetto all’area coperta dal fabbricato. Salve le condizioni previste da 

leggi regionali, il valore è stabilito dalla filiale dell’Agenzia del demanio competente per territorio per gli 

immobili oggetto di sanatoria ai sensi della presente legge e dell’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 

724, con riguardo al valore del terreno come risultava all’epoca della costruzione aumentato dell’importo 

corrispondente alla variazione del costo della vita, così come definito dall’ISTAT, al momento della determinazione 

di detto valore. L’atto di disponibilità, regolato con convenzione di cessione del diritto di superficie per 

una durata massima di anni sessanta, è stabilito dall’ente proprietario non oltre sei mesi dal versamento 

dell’importo come sopra determinato. 

6. Per le costruzioni che ricadono in aree comprese fra quelle di cui all’art. 21 della legge 17 agosto 1942, n. 

1150, il rilascio della concessione o della autorizzazione in sanatoria è subordinato all’acquisizione della 

proprietà dell’area stessa previo versamento del prezzo, che è determinato dall’Agenzia del territorio in 

rapporto al vantaggio derivante dall’incorporamento dell’area. 

7. Per le opere non suscettibili di sanatoria ai sensi del presente articolo si applicano le sanzioni previste dal 

D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380». 

Nel collegato alla Finanziaria 2004, rinnovate le agevolazioni 

sulle accise dei combustibili energetici industriali 

di Daniele Verdesca, dipartimento Economia Politica - Università di Siena 

VIA 

Articolo 

Nel maxi-decreto collegato alla Finanziaria 2004 (D.L. n. 269/2003), il Governo rinnova il sostegno fiscale 

alle imprese per quel che riguarda il tema delle accise sulle fonti energetiche a uso industriale. 

Nello specifico, all’articolo 17 del collegato viene ribadito come, dalla data di entrata in vigore dello stesso 

e sino al 31 dicembre 2004, rimarranno valide le agevolazioni in materia di aliquote di accise per le 

imprese, ormai in vigore da diversi anni e relative a: 

● uso delle emulsioni stabilizzate [1] ; 

● uso del gas metano per fini industriali [2] ; 

● reti di teleriscaldamento alimentate con biomassa o anche con energia geotermica [3] . 

Tutte queste agevolazioni fiscali derivano da precedenti disposizioni urgenti in materia risalenti al 2000, 

convertite in legge e successivamente prorogate nel tempo al fine di rendere comunque effettivi i 

risultati, anche oltre i tempi di applicazione temporanea inizialmente previsti. 

A confermare questa politica di prolungamento del mantenimento in vigore di quelle che dovevano 

essere interventi pro-tempore vi è anche il successivo comma 3, articolo 17 citato, per quel che riguarda le 

agevolazioni inerenti le reti di teleriscaldamento alimentate da fonti rinnovabili come biomasse e geotermia; 

pur prendendo atto del raggiungimento del limite di spesa per questo tipo di agevolazione, così 

come formalizzato in Gazzetta Ufficiale dal Ragioniere generale dello Stato [4] , viene deciso uno stanziamento 

aggiuntivo di 5 milioni di euro, valido per l’anno fiscale 2003, provvedendo con le nuove entrate 

previste proprio dallo stesso D.L. n. 269/2003 in altri capitoli. 

In questo quadro, oltre alle agevolazioni prima descritte, nell’articolo 17, comma 2, viene sospesa 

l’emanazione del decreto del Presidente del Consiglio [5] che avrebbe dovuto contenere gli aumenti 

intermedi delle aliquote sulle accise sugli olii minerali, sul carbone, sul coke di petrolio, sull’orimulsion, 

nonché sulle emissioni stabilizzate [6] ; tutto questo al fine di evitare il progressivo incremento fiscale su 

determinate tipologie di combustibile, la cui pressione si sarebbe dovuta accrescere progressivamente 

negli anni, sino a raggiungere la misura massima delle aliquote a decorrere dal 1˚ gennaio 2005. 

Sempre sul tema delle accise, ma all’interno del successivo articolo 25, viene decretato dal Governo un 

ulteriore rinnovo delle agevolazioni in materia di accisa sul gas metano [7] , ma relativamente a un suo uso 

per fini civili; anche in questo caso, il mantenimento della precedente agevolazione deve essere considerato 

valido sino alla data del 31 dicembre 2004. 

––––––––––––––––––––––––––––––––– 

(1) Articolo 24, comma 1, lettera d), legge 388/2000; articolo 1, comma 1-bis, D.L. n. 452/2001, convertito, con modificazioni, 

dalla legge n. 16/2002. 

(2) Articolo 4, D.L. n. 356/2001 convertito, con modificazione, dalla legge n. 418/2001. 

(3) Articolo 4, D.L. n. 356/2001 convertito, con modificazione, dalla legge n. 418/2001. 

(4) Decreto del Ragioniere generale dello Stato 15 luglio 2003, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 31 luglio 2003, n. 176, ai 

sensi dell’articolo 11-ter, comma 7, legge 5 agosto 1978, n. 468. 

(5) Articolo 8, comma 5, legge n. 448/1998. 

(6) Articolo 24, comma 1, lettera d), legge n. 388/2000. 

(7) Articolo 27, comma 4, legge n. 388/2000. 


LEGISLAZIONE 

In breve 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


EUROPA 

REGOLATORI PER IL GAS E L’ELETTRICITÀ 

Decisione della Commissione 

11 novembre 2003, n. 2003/796/CE 

«Decisione (2003/796/CE) della Commissione 

dell’11 novembre 2003 che istituisce 

il gruppo dei regolatori europei per il gas 

e l’elettricità» (G.U.C.E. L del 14 novembre 

2003, n. 296) 

La decisione istituisce un gruppo consultivo 

indipendente per l’elettricità e il gas, denominato 

“gruppo dei regolatori europei per 

il gas e l’elettricità”, con compiti di consulenza 

e assistenza nell’opera di consolidamento 

del mercato interno dell’energia, con particolare 

riferimento alla preparazione di progetti 

di disposizioni di applicazione nel settore 

del gas e dell’elettricità e su qualunque 

aspetto attinente il mercato interno del gas 

e dell’elettricità (art. 1, comma 2). Il gruppo 

dovrà, altresì, agevolare la consultazione, il 

coordinamento e la cooperazione delle autorità 

nazionali di regolamentazione, contribuendo 

all’applicazione coerente, in tutti 

gli Stati comunitari, delle disposizioni della 

direttiva 2003/54/CE, relativa a norme comuni 

per il mercato dell’energia elettrica, della 

direttiva 2003/55/CE, relativa a norme comuni 

per il mercato del gas naturale, e del 

regolamento (CE) n. 1228/2003 relativo alle 

condizioni di accesso alla rete per gli scambi 

trasfrontalieri di energia elettrica. Il 

“gruppo” dovrà anche agevolare l’applica- 

AMBIENTE 

zione di eventuali future normative comunitarie 

nel settore del gas e dell’elettricità. La 

decisione reca contestuale abrogazione delle 

decisioni 95/539/CEE e 92/167/CEE ed entra 

in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione 

in G.U.C.E. 

ITALIA 

LOTTA ALL’EFFETTO SERRA. 

CONTRIBUTI E FINANZIAMENTI 

Decreto del Ministero dell’Ambiente 

e Tutela del territorio 31 luglio 2003 

«Modifiche al decreto 4 giugno 2001, n. 

467, relativo all’individuazione dei programmi 

nazionali, previsti ex art. 3 del decreto 

n. 337 del 2000» (G.U. dell’8 novembre 

2003, n. 260) 

Il decreto cancella, ai sensi dell’art. 1, comma 

3, D.M. n. 467/2000, taluni sottoprogrammi di 

ricerca correlati al «Programma nazionale di 

ricerca per la riduzione delle emissioni e ai 

Programmi di Cooperazione internazionale 

nell’ambito del meccanismo di Kyoto», inserendone 

di nuovi e aggiungendo nuovi sottoprogrammi 

(con relativo importo finanziato) 

nell’ambito del «Programma nazionale di ricerca 

per la riduzione delle emissioni e dei 

Programmi di Cooperazione internazionale 

nell’ambito dei “meccanismi del protocollo di 

Kyoto”». Sul tema del Protocollo di Kyoto si 

veda lo Speciale pubblicato a pag. 15. 


SISTEMI DI GESTIONE AMBIENTALE. 

CONTRIBUTI E FINANZIAMENTI. 

Circolare del Ministero delle Attività 

produttive 7 ottobre 2003, n. 946364 

«Decreto del Ministero delle attività produttive 

del 21 novembre 2002, recante “Semplificazione 

delle modalità per l’accesso delle 

imprese artigiane agli interventi di cui all’art. 

1, comma 2, del decreto legge 22 ottobre 

1992, n. 415, convertito, con modificazioni, 

dalla legge 19 dicembre 1992, n. 488” - Circolare 

applicativa» (in S.O. n. 168 alla G.U. del 10 

novembre 2003, n. 261) 

Trattasi di una preziosa circolare esplicativa, 

indirizzata a numerose associazioni imprenditoriali 

(Artigiancassa, ASS.I.LEA, Confartigianato, 

CNA, Cassartigiani) nonché a tutte 

le imprese interessate, al fine di consentire 

l’accesso delle imprese artigiane alle agevolazioni 

della legge n. 488/1992 sì come regolate 

con le direttive di cui al D.M. 3 luglio 

2000 e succ. modd. e con il regolamento di 

cui al D.M. n. 527/1995 e succ. modd., con le 

specifiche disposizioni del D.M. 21 novembre 

2002. In particolare, vengono fornite indicazioni 

in merito alle modalità di accesso 

al credito nonché, in allegato, il facsimile 

del modulo di domanda, l’elenco delle documentazioni 

e gli schemi delle principali dichiarazioni 

necessarie per la concessione e 

l’erogazione delle agevolazioni. Risulta precisato 

come, laddove sia previsto che la documentazione 

venga sostituita da autocertificazione, 

quest’ultima debba essere rilasciata 

dal legale rappresentante dell’impresa ai 

sensi e per gli effetti degli artt. 47 e 76, 

D.P.R. n. 445/200 e succ. modd. e, soprattutto, 

come le disposizioni della circolare abbiano 

efficacia «solo con riferimento alle domande 

presentate a valere sugli specifici 

bandi indetti sulla base del citato decreto 21 

novembre 2002». Si ricorderà che, tra le spese 

ammissibili, rilevano, per tutti i settori 

AMBIENTE 

interessati (incluso quello dei servizi), tra le 

altre, le spese sostenute per studi di valutazione 

di impatto ambientale, oneri per le 

concessioni edilizie, collaudi di legge e prestazioni 

di terzi per l’ottenimento delle certificazioni 

di qualità e ambientali secondo 

standard e metodologie internazionalmente 

riconosciute (lettera a), Allegato IV, circolare 

citata). 

AREE NATURALI PROTETTE 

LEGISLAZIONE 

In breve 

Decreto del Ministero dell’Ambiente 

e Tutela del territorio 17 luglio 2003 

«Rettifica al decreto 6 settembre 1999, relativo 

all’area marina protetta denominata 

“Penisola del Sinis - Isola Mal di Ventre”» 

(G.U. dell’11 novembre 2003, n. 262) 

Nel modificare il decreto indicato al titolo il 

presente provvedimento reca, tra le altre, 

innovazioni relativamente alla perimetrazione 

dell’area marina protetta “Penisola del 

Sinis - Isola di Mal di Ventre” (nuovo art. 2, 

D.M. 6 settembre 1999), e alle finalità perseguite 

dall’istituzione della detta area (nuovo 

art. 3, D.M. citato), quanto alle attività 

turistiche con possibilità di prioritario o 

esclusivo svolgimento da parte dei «cittadini 

residenti e da imprese ed associazioni aventi 

sede nel comune ricadente nell’area marina 

protetta». Risultano, inoltre, novati gli articoli 

del D.M. 6 settembre 1999 in materia di 

attività consentite all’interno dell’area protetta, 

con la consueta tripartizione di aree 

(zona A di riserva integrale, zona B di riserva 

generale e zona C di riserva parziale - art. 

4, D.M. citato), in materia di sorveglianza, 

delegata alle locali Capitanerie di Porto e 

polizie degli enti locali interessati (art. 7), e 

riguardo, infine, al regolamento dell’area 

marina, la cui formulazione risulta demandata 

al gestore dell’area protetta (art. 8, D.M. 

cit.). l 



IL CASO 

di Cesare Parodi, Procura della Repubblica di Torino, docente a contratto 

di Diritto dell’ambiente, Università di Torino, Facoltà Scienze MFN 

TRATTAMENTO DEI VEICOLI FUORI USO 

E RESPONSABILITÀ PENALI 

Come risultano modificate, in seguito all’entrata 

in vigore del D.Lgs 24 giugno 2003, n. 

209, le ipotesi di responsabilità penale derivante 

dal trattamento dei veicoli fuori uso? In particolare, 

le nuove sanzioni introdotte dal citato decreto 

esauriscono le possibilità di porre in essere comportamenti 

penalmente sanzionati? 

Gli autoveicoli rappresentano, verosimilmente 

insieme ai televisori, ai telefoni e ai personal 

computer, i beni strumentali non solo maggiormente 

diffusi, ma che, con maggior forza, rappresentano 

simbolicamente la nostra società. Proprio gli autoveicoli, 

poi, sono, tra quelli menzionati, i beni che da più 

tempo accompagnano e caratterizzano la vita quotidiana 

e, soprattutto, quelli di maggior ingombro, il 

cui “smaltimento” comporta, sotto vari profili, le 

maggiori difficoltà. Di fornire una soluzione a queste 

criticità si fa carico proprio il recente D.Lgs 24 giugno 

2003, n. 209 [1] , che ha attuato la direttiva 2000/53/CE 

relativa ai veicoli fuori uso - con il quale l’autoveicolo 

come rifiuto acquista un’autonomia e una centralità 

nel sistema previsto dal Legislatore che, nei provvedimenti 

normativi anteriori al D.Lgs. n. 22/1997 - 

“Ronchi” stesso compreso, - era sconosciuta. 

Al proposito è sufficiente ricordare gli specifici obiettivi 

del D.Lgs. n. 209/2003, tra i quali quello primario 

risulta essere proprio la riduzione al minimo dell’impatto 

dei veicoli fuori uso sull’ambiente, al fine di 

contribuire alla protezione, alla conservazione e al 

miglioramento della qualità di quest’ultimo; finalità 

corredata, poi, da quella diretta a evitare distorsioni 

della concorrenza, soprattutto per quanto riguarda 

l’accesso delle piccole e delle medie imprese al mercato 

della raccolta, della demolizione, del trattamento 

e del riciclaggio dei veicoli fuori uso e di determinare 

AMBIENTE 

i presupposti e le condizioni che consentono lo sviluppo 

di un sistema in grado di assicurare un funzionamento 

efficiente, razionale ed economicamente sostenibile 

della filiera di raccolta, di recupero e di riciclaggio 

dei materiali degli stessi veicoli. 

Resta da chiarire se, in concreto, la nuova e organica 

disciplina del decreto menzionato abbia innovato le 

disposizioni di carattere generale del D.Lgs. n. 

22/1997, in relazione al trattamento dei veicoli usati. 

In base alle indicazioni della Cassazione, i rifiuti provenienti 

dalla demolizione delle autovetture sono stati 

ricondotti alla categoria di rifiuti speciali, anche se gli 

stessi possono anche avere natura di “pericolosi” in 

alcune loro componenti quali accumulatori e oli esauriti 

dei circuiti idraulici e frenanti, che rientrano nelle 

previsioni dell’art. 7, ultimo comma, D.Lgs. n. 

22/1997, e Allegati [2] . Come rifiuti speciali è necessaria 

la preventiva autorizzazione per l’esercizio delle 

operazioni di smaltimento, la cui mancanza costituisce 

reato di natura permanente [3] . Si rileva, per altro, 

che in base alle indicazioni dell’attuale CER, i veicoli 

usati dovrebbero essere considerati rifiuti pericolosi 

(codice 160104) e non più semplicemente rifiuti speciali 

non pericolosi, quantomeno sino all’avvenuta separazione 

delle parti e dei liquidi pericolosi. Già in 

tema di smaltimento di rifiuti speciali, il D.Lgs. 9 marzo 

1995, n. 66 [4] , più volte reiterato e mai convertito, i 

cui effetti erano stati fatti salvi dalla legge 11 novembre 

1996, n. 575 [5] , poneva precise condizioni alle 

quali subordinare l’esonero dalla normativa prevista 

dal D.P.R. n. 915/1982 [6] , ovvero la prova oggettiva 

della destinazione al riutilizzo dei rifiuti, così da poterli 

considerare, in questo caso, come residui. Con riguardo 

all’attività di autodemolizione le carcasse di 

auto potevano essere qualificate residui solo se previamente 

depurate delle batterie, della plastica, degli 

oli e degli altri materiali estranei, così da far residuare 

solo materiale privo di sostanze tossiche o nocive [7] . 

Sino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 209/ 2003, per 

[1] In Gazzetta Ufficiale del 7 agosto 2003, n. 182. Per testo e commento si veda l’Inserto pubblicato nel n. 19/2003 di 

Ambiente&Sicurezza. 

[2] Si veda la sentenza della Cassazione, sez III, 12 ottobre 2000, n. 2861, CED 217589. 

[3] Si veda la sentenza della Cassazione, sez. III, 24 luglio 1998, n. 8572, CED 211545. 

[4] «Disposizioni in materia di riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo in un processo 

(segue) 


le attività dei centri di raccolta per la messa in sicurezza, 

la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione 

dei veicoli a motore e rimorchi fuori uso e 

parti di essi, era previsto - in totale sintonia con la 

disciplina già formatasi nel regime del D.P.R. n. 

915/1982 - l’obbligo di specifica autorizzazione ai sensi 

degli artt. 27 e 28. Una giurisprudenza affermatasi 

in vigore del D.P.R. n. 915/1982 e mantenutasi costante 

dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 22/1997, ha 

stabilito che, in relazione all’attività di un centro di 

raccolta per la demolizione, l’eventuale recupero parziale 

e la rottamazione dei veicoli a motore fuori uso 

in assenza di specifica autorizzazione regionale debba 

ritenersi penalmente rilevante, anche se i soggetti 

privati che gestiscono risultano essere muniti di una 

apposita licenza comunale ex art 15, D.P.R. n. 

915/1982, atteso che questo permesso non sostituisce 

l’autorizzazione regionale, dovendo l’attività di demolizione 

essere ricondotta al concetto di smaltimento 

[8] . L’esercizio dei centri stessi in assenza di autorizzazione 

ovvero in violazione delle relative prescrizioni 

deve, quindi, ritenersi tale da integrare i reati contemplati 

dall’art. 51, D.Lgs. n. 22/1997. 

Ancor prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 

209/2003, i veicoli erano considerati rifiuti sin dal momento 

in cui venivano dimessi da coloro che li conferivano 

per la demolizione a soggetti che, a loro volta, 

assumevano il ruolo di meri detentori di residui di 

terzi [9] . Secondo la Cassazione non può essere considerato 

produttore di rifiuti proprio il soggetto che 

provvede alla demolizione e alla rottamazione di veicoli 

altrui, trasportati in un’area in sua dotazione, ove 

procede alla separazione delle varie componenti, al 

recupero dei residui riutilizzabili e all’accumulo degli 

scarti, in quanto le vetture assumono il carattere di 

rifiuti fin dal momento in cui vengono dimesse dal 

proprietario o possessore, che li consegna al demolitore, 

così che tutta l’attività dei centri di raccolta rientra 

AMBIENTE 


nell’ambito dello smaltimento e del recupero e non 

può essere esercitata senza autorizzazione [10] . Il menzionato 

decreto non ha, in realtà, sostanzialmente 

modificato questa impostazione, atteso che definisce 

veicoli fuori uso i veicoli a motore appartenenti alle 

categorie M1 e N1 di cui all’allegato II, parte A, direttiva 

70/156/CEE [11] , e i veicoli a motore a tre ruote 

come definiti dalla direttiva 2002/24/CE [12] , con esclusione 

dei tricicli a motore a fine vita, tale da costituire 

rifiuto ai sensi dell’art. 6, D.Lgs. n. 22/1997 e successive 

modificazioni. 

Non vi sono ragioni per dubitare che la logica desumibile 

dalle decisioni sopra riportate debba ritenersi 

pienamente applicabile anche dopo l’entrata in vigore 

del D.Lgs. n. 209/2003, che si inserisce nel più ampio 

contesto del D.Lgs. n. 22/1997; in questo senso, la 

definizione di «impianto di trattamento» contenuta 

nel menzionato decreto - ossia l’impianto autorizzato 

ai sensi degli articoli 27, 28 o 33, decreto legislativo n. 

22/1997 presso il quale sono effettuate tutte o alcune 

delle attività di trattamento definite dal decreto stesso 

- determina che lo svolgimento delle menzionate 

attività in assenza di autorizzazione o delle prescritte 

comunicazioni possa determinare l’applicazione delle 

sanzioni penali di cui all’art. 51, D.Lgs. n. 22/1997. 

Che sussista una piena e inequivoca continuità con le 

indicazioni già previste dai menzionati artt. 27, 28, 31 

e 33 è desumibile dall’indicazione dell’art. 1, comma 

4, D.Lgs. n. 209/2003, che fa salva «la normativa vigente 

in materia, in particolare, di sicurezza e di controllo 

delle emissioni atmosferiche e sonore, nonché di protezione 

del suolo e delle acque»; ciò si rileva, inoltre, 

dal testo dell’art. 6, D.Lgs. n. 209/02003, il quale, nel 

modellare i poteri di intervento e il controllo degli 

enti pubblici territoriali sulle attività menzionate si 

limita a delle modeste correzioni di rotta rispetto al 

quadro generale del settore. In questo senso così viene 

stabilito che: 

produttivo o in un processo di combustione, nonché in materia di smaltimento dei rifiuti» (in Gazzetta Ufficiale del 9 

marzo 1995, n. 57). 

[5] «Sanatoria degli effetti della mancata conversione dei decreti legge in materia di recupero dei rifiuti» (in Gazzetta 

Ufficiale del 12 novembre 1996, n. 265). 

[6] «Attuazione delle direttive (Cee) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e dei 

policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi» (in Gazzetta Ufficiale del 15 dicembre 1982, n. 343). 

[7] In questo senso, si veda la sentenza della Cassazione, sez. III, 9 febbraio 1998, n. 1495, CED 209821. 

[8] In questo senso tra le altre Cass., sez. III, n. 2810, 26/9/1997, CED 209541 

[9] In questi termini si veda la sentenza della Cassazione, sez. III, 11 dicembre 1998, CED 212836. 

[10] Si veda la sentenza della Cassazione, sez. III, 21 ottobre 1998, n. 10952, CED 212045. 

[11] «Direttiva 70/156/CE del Consiglio del 6 febbraio 1970 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri 

relative all’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi» (in G.U.C.E. L del 23 febbraio 1970, n. 42). 

[12] «Direttiva 2002/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 marzo 2002, relativa all’omologazione dei 

veicoli a motore a due o tre ruote e che abroga la direttiva 92/61/CEE del Consiglio» (in G.U.C.E. L del 9 maggio 

2002, n. 124). 



● nel caso che, dopo l’avviamento dell’impianto di 

trattamento, la provincia competente per territorio 

accerti la non conformità dello stesso all’autorizzazione 

rilasciata ai sensi dell’articolo 27, D.Lgs. n. 22/1997, 

ovvero il mancato rispetto delle condizioni e delle 

prescrizioni stabilite nel provvedimento di autorizzazione 

all’esercizio delle operazioni di trattamento, 

rilasciato ai sensi dell’articolo 28 del medesimo decreto, 

la regione competente per territorio, previa diffida, 

sospende quest’ultima autorizzazione per un 

periodo massimo di dodici mesi; 

● l’autorizzazione è revocata qualora il titolare 

dell’impianto non provveda a conformarsi, entro il 

predetto termine, alle prescrizioni delle predette 

autorizzazioni. 

● l’ammissione delle attività di recupero dei rifiuti 

derivanti da veicoli fuori uso alle procedure semplificate, 

ai sensi degli articoli 31 e 33, D.Lgs. n. 

22/1997, è subordinata a preventiva ispezione da 

parte della provincia competente per territorio, da 

effettuarsi entro sessanta giorni dalla presentazione 

della comunicazione di inizio di attività e, comunque, 

prima dell’avvio della stessa attività; ove 

la provincia accerti in esito a questa ispezione - da 

effettuarsi, dopo l’inizio dell’attività, almeno una 

volta l’anno - la violazione delle disposizioni stabilite 

dall’art 6, comma 5, D.Lgs. n. 209/2003, è previsto 

il divieto previa diffida e fissazione di un termine 

per adempiere, dell’inizio ovvero della prosecuzione 

dell’attività, salvo che il titolare dell’impianto 

non provveda, entro il termine stabilito, a conformare 

detta attività alla normativa vigente. 

Le disposizioni generali di natura sanzionatoria vengono 

integrate e corroborate sul piano strettamente 

penale dalla previsione dell’art. 13, comma 1, nuovo 

decreto, che prevede l’arresto da sei mesi a due anni 

e l’ammenda da 3.000 euro a 30.000 euro per tutti 

coloro che effettuano attività di gestione dei veicoli 

fuori uso e dei rifiuti costituiti dei relativi componenti 

e materiali «in violazione dell’articolo 6, comma 2». Il 

problema ermeneutico di questa disposizione è dato 

dal fatto che le condotte sanzionate devono essere 

individuate non soltanto sulla base del rinvio al menzionato 

articolo - che contiene le prescrizioni relative 

al trattamento del veicolo fuori uso - quanto alla luce 

di ulteriori disposizioni, di differente natura, alcune 

delle quali certamente non redatte originariamente 

per costituire elementi di una fattispecie penale. 

Al centro della disposizione in oggetto si colloca il 

concetto di trattamento, che deve avvenire - a pena 

dell’applicazione della menzionata sanzione penale - 

in conformità a una serie di misure. Si può per altro 

rilevare che lo stesso trattamento viene definito dall’art. 

3, lettera f), citato decreto, con una formula 

particolarmente ampia, che comprende, in effetti, 

AMBIENTE 

non solo varie attività “tipizzate” - quali la messa in 

sicurezza, la demolizione, la pressatura, la tranciatura, 

la frantumazione, il recupero o la preparazione 

per lo smaltimento dei rifiuti frantumati - ma che 

prevede anche una formula di chiusura tale da ricomprendere 

tutte le altre operazioni eseguite ai fini del 

recupero o dello smaltimento del veicolo fuori uso e 

dei suoi componenti effettuate, dopo la consegna 

dello stesso veicolo, presso un impianto di trattamento. 

Ne consegue che, di fatto, la piena legittimità del 

“rapporto” che viene a instaurarsi tra il veicolo consegnato 

al centro e l’attività ivi svolta risulta fortemente 

condizionata da prescrizioni sia di ordine generale 

e programmatico che tecnico-operative. 

Il trattamento deve, in effetti, avvenire: 

● in conformità ai principi generali previsti dall’articolo 

2, comma 2, D.Lgs. n. 22/1997; 

● in conformità delle “pertinenti” prescrizioni dell’allegato 

I al D.Lgs. n. 209/2003; 

● nel rispetto dei seguenti obblighi indicati dallo 

stesso art. 6. 

Certamente se il Legislatore voleva mantenere in 

buon allenamento le capacità interpretative degli addetti 

ai lavori, con la fattispecie così delineate ha 

centrato l’obiettivo, anche se avrebbe potuto essere 

maggiormente auspicabile un’individuazione di condotte 

aventi rilevanza penale caratterizzata da un 

diverso coefficiente di determinatezza. L’art. 2, D.Lgs. 

n. 22/1997 risulta una di quelle disposizioni apprezzabili 

sul piano lessicale in quanto espressiva delle “intenzioni” 

generali e dello spirito del provvedimento; 

vi si legge che «i rifiuti devono essere recuperati o 

smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza 

usare procedimenti o metodi che potrebbero recare 

pregiudizio all’ambiente e, in particolare senza determinare 

rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna 

e la flora, senza causare inconvenienti da rumori o 

odori e senza danneggiare il paesaggio e i siti di 

particolare interesse, tutelati in base alla normativa 

vigente». Una prima domanda che potrebbe derivare 

è cosa sia un “pericolo”, piuttosto che un pregiudizio, 

un rischio o un inconveniente. E ancora se il danneggiamento 

del paesaggio sia un qualcosa di diverso - 

ed eventualmente ulteriore - rispetto all’ipotesi di cui 

all’art. 635 c.p. - danneggiamento - ovvero prevista 

dall’art. 734 c.p. «Distruzione o deturpamento di bellezze 

naturali»). Si tratta, per quel che è dato comprendere 

in questa prima fase di applicazione delle 

nuove normative, di concetti che difficilmente possono 

rispondere a quei canoni espressivi che dovrebbero 

improntare l’attività del Legislatore in chiave penale 

e che, conseguentemente, dovranno essere ampiamente 

integrati in sede giurisprudenziale, con il rischio 

- almeno per una prima fase - di interpretazioni 

anche largamente discordanti. 


Si potrebbe obiettare che le indicazioni di carattere 

generale del menzionato articolo potrebbero essere 

precisate sulla scorta delle «pertinenti prescrizioni dell’allegato 

I» a esse immediatamente conseguenti e 

alle quali, parimenti, le operazioni di trattamento dei 

veicoli fuori uso si devono conformare. Il contributo 

di queste prescrizioni non è, tuttavia, verosimilmente 

utilizzabile a questo fine; l’Allegato I contiene, in effetti, 

un corposo elenco di requisiti «relativo al centro 

di raccolta e all’impianto di trattamento dei veicoli 

fuori uso», suddivisa in otto specifici punti, a loro 

volta articolati, con oggetto 

● ubicazione dell’impianto di trattamento; 

● requisiti del centro di raccolta e dell’impianto di 

trattamento; 

● organizzazione del centro di raccolta; 

● criteri per lo stoccaggio; 

● operazioni per la messa in sicurezza del veicolo 

fuori uso; 

● attività di demolizione; 

● operazioni di trattamento per la promozione 

del riciclaggio; 

● criteri di gestione. 

Occorre, quindi, valutare il rapporto in cui si pongono 

le due disposizioni. La formula di legge pare essere 

indubbiamente cumulativa, dovendo le prescrizioni 

dell’allegato aggiungersi ai principi del decreto 

“Ronchi”; è da verificare, piuttosto, se tutte le prescrizioni 

dell’Allegato - laddove violate - determinino 

l’applicazione della sanzione; la risposta sembrerebbe 

negativa, atteso che le solo prescrizioni 

“pertinenti” ai principi espressi dall’art 2 dovrebbero 

essere compresi nella fattispecie. Principi, quindi, che 

non solo non potrebbero essere letti alla luce del 

contenuto dell’Allegato, ma che, al contrario, dovrebbero 

servire da criterio integrativo per individuare 

quali tra le numerose prescrizioni previste dall’Allegato 

stesso siano state ritenute di maggior rilievo dal 

Legislatore - evidentemente in relazione alla loro connessione 

funzionale con la tutela degli interessi contemplati 

dall’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 22/1997 - e 

come tali “assistite” dalla sanzione penale. Tutto ciò 

con buona pace delle linearità e semplicità della lettura 

della norma. 

Apparentemente più chiara risulta la seconda parte 

del comma 2 dell’art. 6, che richiama al rispetto di 

specifici obblighi, compiutamente descritti; la stessa 

impone in effetti di: 

● effettuare le operazioni per la messa in sicurezza 

del veicolo fuori uso di cui all’Allegato I, punto 5 al 

più presto e prima di procedere allo smontaggio dei 

componenti del veicolo fuori uso o ad altre equivalenti 

operazioni volte a ridurre gli eventuali effetti nocivi 

sull’ambiente; 

● rimuovere preventivamente, nell’esercizio delle 

operazioni di demolizione, i componenti e i mate- 

AMBIENTE 


riali etichettati o resi in altro modo identificabili, 

secondo quanto disposto in sede comunitaria; 

● rimuovere e separare i materiali e i componenti 

pericolosi in modo da non contaminare i successivi 

rifiuti frantumati provenienti dal veicolo fuori uso; 

● eseguire le operazioni di smontaggio e di deposito 

dei componenti in modo da non comprometterne 

la possibilità di reimpiego, di riciclaggio e di 

recupero. 

Per la verità, anche nella descrizione di questi obblighi 

non mancano le dizioni tali da ingenerare potenzialmente 

equivoche letture, prima fra tutte quella 

che impone di effettuare la messa in sicurezza di 

veicoli fuori uso «al più presto»; un’indicazione che, 

senza un riferimento cronologico, può essere fonte di 

infinite discussioni, dovendo il dato temporale convivere 

con le esigenze tecnico-organizzative dei gestori 

dei centri di raccolta; in questo senso, più lineari risultano 

le indicazioni che precisano specificamente le 

necessità che determinate attività presentino una determinata 

scansione cronologica, laddove si prevede 

che la messa in sicurezza debba precedere lo smontaggio 

dei componenti del veicolo e che la rimozione 

dei materiali etichettati o resi in altro modo identificabili 

debba precedere le altre operazioni di demolizione. 

In relazione, infine, all’obbligo di separazione di 

materiali, in modo tale da evitare contaminazioni e 

di effettuare smontaggio e deposito senza compromettere 

le possibilità di reimpiego, di riciclaggio e di 

recupero, si tratta di disposizioni che non potranno 

che essere interpretate in chiave evolutiva in base 

allo “stato dell’arte”, conformemente a quanto accade 

per innumerevoli altre fattispecie del diritto penale 

dell’ambiente. 

Resta, infine, da chiarire se le violazioni penali previste 

e punite dall’art. 13, D.Lgs. n. 209/2003, possano 

essere contestate non solo a soggetti operanti nell’ambito 

di un’attività autorizzata di trattamento rifiuti 

ex art. 27, 28 o oggetto di comunicazione ex art. 

31, 33, D.Lgs. n. 22/1997-, ma anche a coloro che si 

muovono totalmente al di fuori di una logica di regolare 

rapporto con la P.A.; una risposta positiva in 

questo senso potrebbe fondarsi non solo sulla base 

del dato letterale - che indica in “chiunque” il possibile 

autore del reato -, ma soprattutto di un’interpretazione 

teleologica, atteso che il decreto si propone, 

per ottenere un’efficace tutela del bene ambiente, di 

regolamentare nella loro globalità tutte le fasi e le 

modalità di svolgimento continuativo e organizzato 

di gestione di veicoli fuori uso. Una tutela, quindi, che 

parrebbe andare oltre al ristretto ambito di disciplina 

delle attività ufficiali, coprendo - eventualmente in 

concorso con l’illecito di realizzazione ed esercizio di 

discarica abusiva cui all’art. 51, comma 3, D.Lgs. n. 

22/1997 - qualsiasi forma di “impresa”, anche e soprattutto 

informale, attiva nel settore. l 



Massime 

a cura di Luciano Butti, Butti & Peres Partner avvocati 

TUTELA DELLE ACQUE 

DALL’INQUINAMENTO 

Cassazione civile, I sezione, 25 marzo - 25 

settembre 2003, n. 14256 

Scarichi idrici - Scarichi civili preesistenti alla 

legge n. 319/1976 (”legge Merli”) - Autorizzazione 

allo scarico - Necessità alla luce 

della normativa regionale delle Puglie 

Alla luce della normativa regionale pugliese (legge 

regionale 19 dicembre 1983, n. 24), tutti gli 

scarichi civili - e perciò anche quelli preesistenti 

all’entrata in vigore della legge n. 319/1976 - 

sono soggetti ad obbligo di autorizzazione, con 

la conseguente applicabilità, in caso di violazione 

di tale obbligo, della sanzione amministrativa 

prevista dalla legge nazionale per l’effettuazione 

di scarichi civili non autorizzati 

Nota 

La sentenza della Cassazione è importante sotto 

un duplice profilo. 

In primo luogo essa ribadisce e rafforza l’orientamento 

da tempo espresso dalla Corte costituzionale 

(sentenza n. 168/1993), secondo il qua- 

AMBIENTE 

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA 

le le regioni - in sede di disciplina degli scarichi 

civili che non recapitano in pubbliche fognature 

- hanno un generale potere di integrare la 

disciplina nazionale. Questo potere, secondo 

la Cassazione, comprende anche la possibilità 

di imporre l’obbligo di autorizzazione nei casi 

(tipico quello degli scarichi idrici preesistenti 

alla “legge Merli”) nei quali la legge nazionale 

direttamente non prevede obbligo di autorizzazione. 

In secondo luogo, la sentenza in commento 

chiarisce che - laddove la disciplina regionale 

integri quella nazionale - è ben possibile che la 

sanzione amministrativa prevista dalla normativa 

dello Stato venga utilizzata anche per sanzionare 

comportamenti obbligatori sulla base 

di quella regionale. 

È comunque importante osservare che la decisione 

della Corte - riguardando un fatto assai 

risalente nel tempo - si basa su una disciplina 

sostanziale oggi non più del tutto attuale e 

non soltanto perché la legge n. 319/1976 è 

stata sostituita dal D.Lgs. n. 152/1999, ma anche 

e soprattutto per effetto della legge costituzionale 

n. 3/2001, che ha attribuito l’intera 

materia della “tutela dell’ambiente” alla competenza 

esclusiva dello Stato. l 

ESAME ADR: SEGNALAZIONE DI QUIZ ERRATI 

Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Dipartimento per i trasporti 

terrestri e per i sistemi informativi e statistici - Direzione Generale della Motorizzazione e 

della Sicurezza del Trasporto Terrestre 28 agosto 2003, prot. 3270 MOT 2/F 

Certificato di formazione professionale per i conducenti di veicoli che trasportano merci 

pericolose su strada, CFP-ADR. Schede quiz - aggiornamento 2003. 

Si comunica che nelle schede quiz per il conseguimento del certificato di formazione professionale CFP - 

ADR recentemente distribuite agli uffici in indirizzo, sono stati riscontrati errori di stampa che possono 

trarre in inganno i candidati. 

Pertanto fino a quando non verranno ristampate dal Poligrafico dello Stato le schede quiz in forma 

corretta, si dispone che non vengano prese in considerazione in sede di valutazione di esame le seguenti 

risposte: 

- tabulato 06a, domanda n. 5251, risposta n. 6 

- tabulato 11c, domanda n. 11870, risposta n. 2 

- tabulato 17b, domanda n. 17705, risposta n. 7 


SICUREZZA 

DELLE MACCHINE DA CANTIERE: 

LE GRU A TORRE 

Dopo un primo approfondimento dedicato alle terne (n. 18/2003, pag. II), 

Ambiente&Sicurezza prosegue la pubblicazione degli inserti dedicati alla 

sicurezza delle macchine da cantiere occupandosi delle gru a torre. 

L’Inserto propone un panorama delle norme, soprattutto tecniche, che 

regolano la progettazione e l’utilizzo in sicurezza di queste macchine e la 

schedatura dei rischi più ricorrenti, con indicata la magnitudo della 

pericolosità, che ripercorre tutti gli aspetti legati all’impiego delle gru: dal 

montaggio alle modalità di utilizzo, dalla documentazione a corredo della 

macchina alle procedure di imbracatura dei carichi, dalla formazione dell’operatore 

addetto alla conduzione alle verifiche da effettuare a lavorazione 

ultimata. 

Si propone, inoltre, una check list che guida al controllo delle condizioni 

della macchina prima, durante e successivamente il suo utilizzo. 

Contributi di: 

● Marco Vigone 

● Claudio Conio 

2


Articolo 

di Marco Vigone, Presidente Commissione “Sicurezza” UNI, Milano - Rapporteur Settore 

“Sicurezza e salute sul posto di lavoro” CEN, Bruxelles - Direttore Generale I.E.C. Srl, Torino 

Come indicato dalla direttiva 

2000/14/CE, recepita in Italia 

dal D.Lgs. n. 262/2002, al punto 

53 dello stesso decreto legislativo, 

per gru a torre si intende 

una gru il cui braccio ruota 

a 360˚ e poggia sulla sommità 

di una torre, la quale in fase di 

lavoro resta approssimativamente 

perpendicolare al suolo. 

Questa macchina può essere 

motorizzata e provvista di 

un sistema di carichi sospesi. 

Le norme tecniche che si occupano 

di queste macchine sono 

numerose anche se molte di 

queste non trattano specificatamente 

del loro utilizzo in sicurezza 

ma includono l’aspetto 

progettuale in quanto sono 

considerate fra le macchine 

più pericolose anche da questo 

punto di vista. 

INSERTO 

Le gru a torre sono anche inserite nell’elenco della direttiva 2000/14/CE sui limiti di emissione acustica 

Progettazione e utilizzo in sicurezza 

con le norme UNI, ISO e BS 

Le gru torre sono chiaramente definite 

nelle loro caratteristiche 

sia nella norma UNI ISO 4306/3 

sia alla voce 53 della direttiva 

2000/14/CE (recepita in Italia con il 

D.Lgs. n. 262/2002) ove rispettivamente 

si afferma: 

● Norma UNI ISO 4306/3: 

«gru a torre: gru a braccio orientabile, 

in cui il braccio stesso è montato 

sulla parte superiore di una torre verticale 

(vedere UNI ISO 4306/1). Questo 

apparecchio semovente deve essere 

equipaggiato con meccanismi che permettano 

il sollevamento e la discesa 

dei carichi sospesi e la movimentazione 

di tali carichi sia con variazione di 

sbraccio dei carichi sia per un movimento 

di traslazione, rotazione o scorrimento 

di tutto l’apparecchio. Alcuni 

apparecchi consentono più movimenti, 

ma non necessariamente tutti. L’apparecchio 

può essere installato in posizione 

fissa o dotato di meccanismi per 

lo scorrimento e/o l’elevazione»; 

● Direttiva 2000/14/CE: 

«53. Gru a torre. Gru il cui braccio 

ruota a 360˚ e poggia sulla sommità 

di una torre, la quale in fase di 

lavoro resta approssimativamente 

perpendicolare al suolo. La gru a torre 

è motorizzata e provvista di un 

sistema di sollevamento dei carichi 

sospesi; questi sono quindi trasportati 

mediante modifica dello sbraccio, 

traslazione del carrello o traslazione 

della gru stessa. Talvolta la gru esegue 

solo alcune di queste operazioni. 

La gru può essere fissa o dotata di 

mezzi per la traslazione, anche fuoristrada». 

Vi sono molti tipi di gru di questo 

tipo ed in particolare: 

- gru a torre per cantiere e per 

costruzioni generiche che possono essere 

smontate; 

- gru montate in permanenza; 

- gru con testa a martello; 

- gru a torre per bacini e cantieri 

navali. 

Tutti questi tipi di macchine sono 

regolate da norme tecniche specifiche 

e dalla direttiva 2000/14/CE riguardante 

l’emissione acustica ambientale 

delle macchine ed attrezzature 

destinate a funzionare all’aperto. 

Le norme tecniche 

Sono numerose le norme tecniche 

riguardanti questi tipi di macchine; 

molte di queste non si occupano specificatamente 

del loro utilizzo in sicurezza 

ma anche dell’aspetto progettuale 

in quanto sono considerate fra le 

macchine più pericolose anche da questo 

punto di vista. 

Per lo spazio limitato concesso 

non è possibile entrare nel merito di 

ogni singola norma, ma è certamente 

importante per gli interessati conoscerne 

l’esistenza: 

● UNI ISO 4301 parte 3 a . Apparecchi 

di sollevamento - Classificazione 

- Gru a torre; 

● UNI ISO 4306 parte 3 a : Apparecchi 

di sollevamento - Vocabolario - 

Gru a torre; 


di sollevamento - Organi di comando 

- Disposizioni e caratteristiche 

- Gru a torre; 


di sollevamento - Cabine - Gru 

a torre; 

● UNI 7570: Gru a torre per cantieri 

edili - Tipo con rotazione in basso; 

● UNI 7571: Gru a torre per cantieri 

edili - Tipo con rotazione in alto; 

● UNI 9309 parte 3 a : Apparecchi 

di sollevamento - Criteri di progetto 

II www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 9 dicembre 2003 - N. 22

per i carichi e le combinazioni di 

carichi - Gru a torre. 

Numerose ed estremamente interessanti 

sono anche le norme tecniche inglesi 

sull’argomento ed in particolare: 

● BS 7121 part 2: Code of practice 

for safe use of cranes. Inspection, 

testing and examination; 

● BS 7121 part 5: Code of practice 

for safe use of cranes. Towers cranes. 

Inoltre, sono in fase di elaborazione 

anche numerose norme internazionali 

(ISO) ed europee sull’argomento, 

in particolare: 

● ISO/DIS 8686-3 - Cranes - Design 

principles for loads and loads combinations 

- Part 3: Tower cranes; 

● ISO/DIS 9273 - Tower cranes - 

Support conditions on site and for 

installation; 

● ISO/DIS 9942-3 - Cranes - Information 

labels - Part 3: Tower cranes; 

● ISO/DIS 10245-3 - Cranes - Limiting 

and indicating devices - Part 

3: Tower cranes; 

● ISO/DIS 11660-3 - Cranes - Access, 

guards and retraints - Part 3: 

Tower cranes; 

INSERTO 

● ISO/DIS 12485-3 - Cranes - Stability 

requirements - Part 3: Tower 

cranes; 

● ISO/DIS 13201 - Tower cranes - 

Tests and test procedures; 

● ed a livello europeo, in applicazione 

alla Direttiva Macchine: 

● prEN 14439 - Cranes - Tower 

cranes. 

Dato il lungo elenco non è possibile 

analizzare i singoli documenti, si 

rimanda alla loro lettura le persone 

interessate in quanto in tutti questi 

testi sono contenute importanti informazioni 

sia riguardanti la progettazione, 

ma ancora di più l’installazione, 

l’utilizzo in sicurezza e la verifica della 

gru a torre. 

L’emissione sonora 

Come già evidenziato precedentemente 

anche questo tipo di macchina 

è stato inserito nell’elenco di quelle 

che devono rispettare la direttiva 

2000/14/CE (recepita in Italia con il 

D.Lgs. n. 262/2002) ed in particolare 

al n. 53 dell’elenco dello stesso decreto 

legislativo. 


Articolo 

Così come le terne, di cui si è scritto 

nell’articolo pubblicato in Ambiente& 

Sicurezza n. 18/2003, pag. II), anche 

le gru a torre sono state inserite fra le 

macchine ed attrezzature soggette a limiti 

di emissione acustica garantita dal 

costruttore mediante dichiarazione 

emessa dal costruttore a seguito dell’intervento 

di un Organismo Notificato. 

I livelli di potenza sonora di emissione 

che il costruttore deve garantire 

per la gru a torre devono essere eguali 

o inferiori ai seguenti: 

● a partire dal 3 gennaio 2002: 98 

+ log P 

● a partire dal 3 gennaio 2006: 96 

+ log P 

dove con P si indica la potenza 

netta installata in KW. 

Come già per le terne, anche per le 

gru a torre oltre alla marcatura “CE” 

deve essere anche riportato il pittogramma 

indicante il livello di potenza 

sonora garantito (si veda Ambiente& 

Sicurezza n. 18/2003, pag. III). 

Senza queste indicazioni e senza la 

dichiarazione CE di conformità queste 

macchine non possono essere immesse 

sul mercato. l 

9 dicembre 2003 - N. 22 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com III


Articolo 

di Claudio Conio, Esem - Ente Scuola Edile Milanese 

Il montaggio delle gru a torre deve 

essere eseguito da personale 

specializzato che alla fine dell’intervento 

deve rilasciare certificazione 

di idoneità dichiarando 

l’esecuzione dell’installazione in 

ottemperanza alle norme di sicurezza 

e di igiene del lavoro, nonché 

alle istruzioni fornite dai rispettivi 

fabbricanti dei macchinari 

e degli altri mezzi tecnici per la 

parte di loro competenza, secondo 

quanto menzionato dall’articolo 

6, comma 3 del D.Lgs. n. 

626/1994. Alla manovra dell’apparecchio 

abitualmente è addetta 

una sola persona per la quale il 

datore di lavoro, dell’impresa appaltatrice, 

dovrà dichiarare di avere 

effettuato un idoneo addestramento. 

INSERTO 

Principali tipologie, caratteristiche tecniche e di impiego, formazione del personale addetto 

Per la sicurezza ad “alta quota” 

analisi dei rischi e una lista di controllo 

Per apparecchi di sollevamento 

si intendono tutte quelle attrezzature 

che, nelle attività agricole, 

edili e produttive in generale, sono 

adibiti all’esecuzione delle attività di 

movimentazione e sollevamento di carichi, 

di materiali, di attrezzature, di 

macchinari, ecc. 

In base alle principali caratteristiche 

strutturali e secondo la funzione 

svolta, gli apparecchi di sollevamento 

possono classificarsi nel seguente modo: 

● gru a torre; 

● gru automontante; 

● autogrù; 

● argani; 

● sollevatori telescopici; 

● carrelli elevatori fuoristrada sviluppabili. 

Sono, inoltre, particolari apparecchi di 

sollevamento quelle macchine adibite al 

sollevamento in quota delle persone e 

quelle che consentono di realizzare postazioni 

di lavoro sopraelevate. 

All’interno della famiglia degli apparecchi 

di sollevamento la gru a torre rappresenta 

il più importante e diffuso apparecchio 

per la movimentazione ed il sollevamento 

dei carichi nei cantieri edili di 

nuova edificazione. 

Le gru a torre sono macchine costituite 

da una struttura verticale in traliccio di 

acciaio sulla cui sommità è installata la 

ralla rotante che garantisce la mobilità del 

braccio, anch’esso tralicciato. La capacità 

lavorativa è garantita da un argano posizionato 

sul carrello del braccio rotante. 

La stabilità della macchina è generalmente 

assicurata da una zavorra posta alla 

base della torre verticale e da una zavorra 

di controfreccia posta all’estremità non 

operativa del braccio rotante. 

Completano la macchina l’insieme dei 

dispositivi di sicurezza elettrica necessari 

per prevenire pericoli dovuti a malfunzionamenti 

e a possibili errori dell’operatore. 

Questo tipo di gru può raggiungere 

notevoli altezze di rotazione e lunghezze 

di braccio di oltre 70 metri con una portata 

in punta variabile a seconda del modello. 

Sul dispositivo di sollevamento del carrello 

è possibile installare diversi accessori 

idonei per la movimentazione dei diversi 

materiali presenti in cantiere: 

● gancio di sollevamento, per sollevare 

materiali imbracati; 

● cassoni metallici, per la movimentazione 

di inerti; 

● ceste, per il sollevamento di materiali 

e attrezzature minuti; 

● forche, per il carico e lo scarico di 

bancali dagli autocarri; 

● gabbie, per la movimentazione di 

bancali mediante l’uso della forca ad 

altezze superiori a 2 m. 

Generalmente non è mai omologata al 

trasporto e all’elevazione di persone. 

Principali tipologie 

in commercio 

La tipologia della gru a torre è ormai 

stabile sul mercato ed i diversi modelli 

disponibili si differenziano solo per pochi 

particolari costruttivi che non identificano 

vere e proprie tipologie. 

È tuttavia possibile individuare distinte 

tipologie in ragione delle diverse caratteristiche 

del carro di base che può essere: 

● di tipo fisso direttamente collegato 

ai plinti di fondazione; 

● di tipo fisso, ma poggiante su stabilizzatori; 

● traslante su binari. 

Inoltre, è possibile suddividere le gru a 

torre in funzione di alcune principali caratteristiche 

quali, ad esempio, la posizione 

della cabina di comando. È, infatti, possibile 

distinguere le macchine presenti sul 

mercato in: 

● grandi gru con cabina di comando in 

quota; 

● medie-piccole gru senza cabina di 

manovra in quota. 

IV www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 9 dicembre 2003 - N. 22

Caratteristiche tecniche 

Solitamente le gru vengono classificate 

in base alla portata massima espressa in 

tonnellate, ma questa non è l’unica caratteristica 

saliente della macchina. 

Anche altri parametri di riferimento 

sono significativi per identificare la capacità 

operativa della macchina, tra i più 

importanti, oltre al carico massimo sollevabile, 

ricordiamo: l’altezza massima del 

braccio, la lunghezza dello sbraccio, la 

portata massima realizzata alla massima 

altezza e alla massima distanza di sbraccio 

(capacità di carico in punta), il numero 

di taglie in cui si ha la portata massima, 

ovvero la portata dell’argano alla prima 

ed all’ennesima spira, il diametro dell’argano 

e la sua velocità di avvolgimento. 

I limiti di operatività del mezzo sono 

forniti dal produttore insieme al libretto 

tecnico e rappresentano dei massimi assolutamente 

non derogabili. 

Tutti i parametri citati concorrono a 

realizzare macchine con prestazioni assai 

varie. 

Non è raro trovare gru aventi un braccio 

particolarmente robusto e quindi in 

grado di garantire una portata massima 

molto interessante, ma con un diagramma 

delle portate caratterizzato da una brusca 

diminuzione di valori all’aumentare della 

distanza dovuta alla pesantezza del braccio 

stesso con conseguente penalizzazione 

della portata sbracciata e, al contrario, 

gru con un braccio leggero che penalizza 

la portata massima sollevata, ma fornirà 

portate maggiori all’aumentare dello 

sbraccio. 

La moltitudine delle combinazioni è 

poi ulteriormente arricchita dalla scelta 

dell’argano che può aumentando e diminuendo 

le taglie influire significativamente 

sulla portata e sulla velocità operativa 

della macchina. 

I motori e gli organi di movimento del 

braccio e dell’argano sono generalmente 

alimentati da un motore elettrico trifase a 

380 Volt. 

L’alimentazione dovrà avvenire tramite 

cavo di alimentazione flessibile di tipo 

H07RN-F con interruttore generale ubicato 

sul quadro elettrico. 

I cavi di alimentazione devono essere 

disposti parallelamente alle vie di transito 

e, se possibile, tenuti sollevati da terra; 

non devono essere sollecitati a piegamenti 

di piccolo raggio né sottoposti a torsione, 

né agganciati su spigoli vivi o su materiali 

caldi o lasciati su pavimenti sporchi 

INSERTO 

di cemento, oli o grassi; se soggetti a 

calpestio o al transito di mezzi pesanti 

devono essere opportunamente preservati 

con tubazioni o assito di protezione. 

Se comandabile mediante radiocomando 

questo dispositivo deve rispondere a 

quanto previsto dal D.M. 10 maggio 

1988, n. 347. 

Le gru provviste di cabina di manovra 

devono avere: 

● scala di acceso protetta da gabbia 

metallica di sicurezza; 

● idonee protezioni contro l’irraggiamento 

solare; 

● riscaldamento elettrico alimentato tramite 

trasformatore di isolamento. 

Ai fini di un utilizzo sicuro le regole di 

buona tecnica e la normativa prevedono i 

seguenti equipaggiamenti minimi: 

● limitatore di prestazioni (carico e 

momento); 

● freno automatico, tale che quando i 

controlli - sono rilasciati -, il funzionamento 

si arresta (controllo ad uomo presente); 

● discesa solo a motore innestato; 

● fine corsa dei movimenti gru; 

● il gancio deve essere dotato di un 

dispositivo di sicurezza che impedisca 

la fuoriuscita dei sistemi di imbraco e 

deve recare inciso il carico massimo 

ammissibile. Il gancio deve essere marchiato 

di conformità alle norme. 

Principali caratteristiche 

di impiego 

Il montaggio dovrà essere eseguito da 

personale specializzato che alla fine dell’intervento 

dovrà rilasciare certificazione 

di idoneità dichiarando l’esecuzione dell’installazione 

in ottemperanza alle norme 

di sicurezza e di igiene del lavoro, nonché 

alle istruzioni fornite dai rispettivi fabbricanti 

dei macchinari e degli altri mezzi 

tecnici per la parte di loro competenza, 

secondo quanto menzionato dall’articolo 

6, comma 3 del D.Lgs. n. 626/1994. 

Durante le fasi di installazione si ricorre 

solitamente all’ausilio di una autogrù 

per il sollevamento in quota degli elementi 

strutturali mentre gli operatori utilizzano 

utensili manuali quali: chiave dinamometria, 

chiavi, martello e mazzetta. 

Se durante l’installazione della gru gli 

operatori sono esposti a rischi residui di 

caduta dall’alto, oltre ai tradizionali DPI, 

si dovranno fornire imbracature di sicurezza 

complete di connettori e cordini con 

dissipatore di energia o dispositivi retratti- 


Articolo 

li. Inoltre, gli operatori dovranno essere 

formati ed addestrati al corretto utilizzo 

dei DPI anticaduta e informati sui corretti 

punti di ancoraggio utilizzabili durante 

le fasi di lavoro. 

Al termine dell’installazione occorre 

sempre controllare l’efficienza ed il corretto 

funzionamento dei dispositivi di sicurezza 

in dotazione: 

● fine corsa e salita del gancio; 

● fine corsa di traslazione del carrello; 

● taratura dei dispositivi limitatori di carico 

e di momento; 

● arresto automatico della gru e del carico 

in caso di interruzione di energia; 

● dispositivo di frenatura e pronto arresto 

e la posizione di fermo del carico e del 

mezzo; 

● dispositivi acustici di segnalazione ed 

avvertimento; 

● funzionamento del motore innestato 

anche durante la discesa del carico; 

● prova di funzionamento e di carico. 

Alla manovra dell’apparecchio sarà 

addetta normalmente una sola persona 

per la quale il datore di lavoro, dell’impresa 

appaltatrice, dovrà dichiarare di avere 

effettuato un idoneo addestramento per 

l’uso e la manovra della gru. 

Modalità di impiego 

Prima di ogni turno di lavoro occorre 

accertarsi della solidità del piano 

di appoggio con particolare cura 

se sono presenti scavi nelle immediate 

vicinanze. 

Le gru devono essere installate in modo 

che durante l’utilizzo si mantengano 

ad almeno 5 metri dalle linee elettriche 

aeree. 

La gru deve essere protetta contro le 

scariche atmosferiche secondo le disposizioni 

delle norme CEI 81-1, terza edizione. 

Occorre sempre realizzare una delimitazione 

del basamento della gru operata 

con solidi recinti. 

Il braccio della gru deve essere libero 

di ruotare su un angolo giro completo 

(360˚), non sono ammesse interferenze 

con alcun tipo di ostacolo; se la rotazione 

avviene al di sotto della quota massima 

degli ostacoli presenti sul luogo di installazione, 

deve essere garantito un franco di 

almeno 70 cm tra la sagoma d’ingombro 

della gru e gli ostacoli fissi. 

Lungo il braccio della gru devono essere 

indicate le diverse portate massime in 

funzione dello sbraccio operativo. 

9 dicembre 2003 - N. 22 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com V


Articolo 

Durante l’utilizzo operativo è necessario 

attenersi alle seguenti indicazioni: 

● i carichi non devono mai superare i 

valori massimi stabiliti dal diagramma 

delle portate. I diagrammi di portata 

devono essere resi visibili dagli appositi 

cartelli fissati lungo il braccio; 

● la gru deve essere usata solo per tiri 

verticali. Non è consentito utilizzare la 

gru per tiri inclinati o per traino; il gancio 

di sollevamento deve sempre agire 

verticalmente; 

● è vietato utilizzare la gru per sradicare 

alberi o smuovere casseforme o altri 

dispositivi interrati; 

● le manovre di partenza e di arresto 

devono essere graduali in modo da evitare 

bruschi strappi ed ondeggiamenti 

del carico. Non far dondolare il carico; 

● durante le manovre di sollevamento 

il carico deve essere tenuto ad almeno 2 

metri dal suolo per evitare contatti accidentali 

con persone che si trovino sulla 

traiettoria di passaggio del carico; 

● durante il passaggio dei carichi sospesi, 

nelle zone interessate, deve essere 

interdetto il transito e lo stazionamento 

dei lavoratori. In ogni caso, tutti i 

lavoratori che accedono al cantiere dovranno 

indossare idoneo casco di sicurezza; 

● evitare di far passare il carico sopra le 

zone di transito o di lavoro; non far transitare 

il carico al di fuori del cantiere; 

● sui tamburi, in qualsiasi condizione 

di lavoro, devono sempre essere avvolte 

almeno tre spire di fune; 

● la gru non deve mai essere abbandonata 

con il carico sospeso; 

● la gru deve essere posta fuori servizio 

quando a causa del vento, della pioggia 

o di altro fenomeno atmosferico, gli 

imbracatori e l’operatore ritengono di 

non poter controllare con sufficiente 

margine di sicurezza il sollevamento, il 

trasporto e la posa dei carichi; 

● alla fine del servizio o comunque 

prima di abbandonare la gru si deve 

provvedere a: alzare il gancio sotto il 

braccio, lasciare libero il braccio di ruotare 

sotto la spinta del vento, togliere 

corrente agendo sull’apposito interruttore 

generale; 

● le operazioni di manutenzione ordinaria 

della macchina devono essere eseguite 

come prescritto nel libretto di 

“Uso e Manutenzione” e devono essere 

eseguite servendosi delle apposite passerelle 

munite di normali parapetti oppu- 

INSERTO 

re, laddove non vi dovessero essere, utilizzando 

le apposite imbracature di sicurezza 

mantenute sempre ancorate ad elementi 

strutturali della gru; 

● le verifiche trimestrali di ganci, funi, 

catene, imbrachi ed altri apparecchi 

di sollevamento utilizzati devono essere 

registrate sul libretto di omologazione 

della macchina. Detto compito spetta 

all’operatore designato dal datore di lavoro, 

mentre il preposto ha l’obbligo di 

accertarsi che ciò venga fatto. 

Procedure di imbracatura 

dei carichi 

Le procedure di corretto imbraco sono 

essenziali per l’utilizzo in sicurezza di 

una gru a torre. Questa fase lavorativa è 

infatti spesso responsabile di infortuni avvenuti 

per perdita di parte del carico dovuta 

a errori di imbraco o cedimento degli 

accessori di sollevamento (ganci, brache, 

catene, funi) con conseguente caduta del 

carico. 

Durante l’utilizzo operativo è quindi 

necessario attenersi alle seguenti indicazioni: 

● per evitare gli infortuni caratteristici 

della sua professione e dovuti al contatto 

con i mezzi per l’imbracatura e col 

carico, l’imbracatore deve effettuare 

l’agganciamento e lo sganciamento solo 

a gancio fermo, usare le apposite funi 

o attrezzi per la guida del carico (ad 

esempio, un tirante terminante ad uncino); 

● prima di ogni tiro verificare che il 

carico sia idoneamente imbracato ed 

equilibrato. I materiali devono essere 

sollevati utilizzando opportuni sistemi 

di imbraco in relazione alla tipologia, 

alla dimensione e al peso del carico da 

movimentare; 

● effettuata l’imbracatura, controllarne 

la corrispondenza a quanto voluto (sia come 

entrata in azione di tutti i tratti previsti 

attivi sia come tenuta generale) e la buona 

equilibratura del carico, facendo innalzare 

il carico lentamente e soltanto di poco. 

● dopo aver effettuato una revisione 

visiva dell’imbracatura operata, può essere 

iniziato il sollevamento del carico 

avendo cura che esso avvenga verticalmente; 

● tiri obliqui e accentuate inclinazioni 

del carico sono vietati e pericolosi perché 

danno luogo a cambiamenti di equilibrio 

con possibilità di sfilamento del 

carico nonché ad aumenti di sollecitazioni 

nei mezzi di imbracatura; 

● durante l’imbraco evitare che catene 

e funi entrino in contatto con spigoli 

vivi e su qualsiasi bordo il cui raggio di 

curvatura sia inferiore o pari al diametro 

della fune. A tal fine alcune precauzioni 

risultano molto utili, quali ad 

esempio l’incamiciamento, con tubolare 

di PVC della fune, oppure l’applicazione 

nei punti critici di contatto di paraspigoli 

che ammorbidiscono ed amplificano 

contemporaneamente l’aderenza 

tra la fune e il carico; 

● si dovrà inoltre evitare di piegare le 

funi di acciaio su piccoli perni o ganci. 

Le portate, in simili condizioni, decrescono 

rapidamente con valori pari anche 

inferiori al 50% della portata nominale 

per funi che hanno, ad esempio, la 

piegatura su perni uguali a due volte il 

diametro della fune stessa; 

● è buona norma evitare la piegatura delle 

brache in coincidenza con i manicotti, 

con i capicorda e con le impalmature; 

● precauzione importante nell’utilizzo di 

imbracature ad anello continuo, è quella 

di evitare di appoggiare il carico nei punti 

protetti dipinti con vernice o ricoperte di 

nastro; zone queste che coincidono con 

l’annegamento delle estremità della fune; 

● il sollevamento di casseforme deve 

avvenire utilizzando idonee staffe di ancoraggio 

o utilizzando gli agganci previsti 

quando predisposti dal produttore 

del cassero. Sono rigorosamente vietati 

agganci di fortuna o l’utilizzo di dispositivi 

che impediscano la corretta chiusura 

del fermo di sicurezza del gancio; 

● il sollevamento dei laterizi e di altri 

materiali minuti deve essere effettuato 

esclusivamente mediante cassoni metallici 

o ceste muniti di idoneo fondo e di 

sponde perimetrali di contenimento alte 

quanto il carico. L’utilizzo di forche per 

il sollevamento di bancali di laterizio è 

vietato indipendentemente dal tipo di 

imballo utilizzato (imbrachi, reggette, 

cellophane, ecc.), è consentito l’utilizzo 

di elevatori semplici e forche se dotati 

di cestello esterno; 

● l’uso di forche sospese al gancio 

richiede speciale attenzione, infatti occorre 

valutare caso per caso la capacità 

delle forche di trattenere efficacemente 

il carico nelle condizioni in cui esso si 

presenta al momento del sollevamento; 

● l’uso della forca, secondo le disposizioni 

attualmente vigenti, può considerarsi 

ammissibile, con le cautele appena 

viste, solo per quei materiali per i quali 

VI www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 9 dicembre 2003 - N. 22

non vi siano esplicite disposizioni in 

contrario, come ad esempio quelle dell’art. 

58 del D.P.R. n. 164/1956; 

● per le brache a più bracci e per 

carichi la cui superficie induce ad angolare 

le stesse in modo accentuato, bisognerà 

tener presente che tale portata varia 

notevolmente con il variare dell’angolo 

al vertice. Non è opportuno operare 

con angoli superiori a 60˚ meglio 

ricorrere all’utilizzo di bilancieri o bilancini; 

● per particolari tipi, pesi e dimensioni 

di carichi, è buona norma dotare i carichi 

stessi di due o più funi di guida in 

modo da agevolare e rendere più sicura 

la fase di posa in opera del materiale, 

soprattutto in presenza di vento. I carichi 

ingombranti o pesanti devono essere 

guidati mediante fune o altro dispositivo 

da posizione di sicurezza; 

● gli addetti al ricevimento dei carichi 

debbono sostare in zona sicura ed intervenire 

solo quando i carichi sono in prossimità 

della quota di arrivo; 

● per la ricezione di carichi in quota 

non devono essere rimossi i dispositivi 

di protezione collettiva presenti (parapetti, 

tavole fermapiede, ecc.). Qualora 

sia indispensabile agire altrimenti, l’operatore 

dovrà lavorare obbligatoriamente 

indossando una imbracatura di sicurezza 

opportunamente vincolata con cordino 

di sicurezza al dispositivo di sicurezza 

predisposto e segnalato dal Direttore 

Tecnico di cantiere; 

● il carico va deposto su adeguati appoggi 

che possano facilitare la sua successiva 

movimentazione o ulteriore imbracatura. 

Il tiro va allentato gradualmente 

per controllare che non vi siano 

cadute o spostamenti di parti del carico 

prima e/o a seguito della rimozione dei 

mezzi di imbracatura; 

● quando il carico viene posato a terra 

si deve sempre tenere la fune in tensione 

con il peso del bozzello per evitare 

un anormale avvolgimento della fune 

stessa sul tamburo dell’argano o possibili 

scarrucolamenti che potrebbero causare 

la rottura delle funi e delle parti meccaniche 

della gru; 

● se gli accessori di imbraco tornano 

al posto di partenza appesi al gancio di 

trasporto, occorre sistemarli in modo 

che non diano luogo a inconvenienti o 

infortuni durante la corsa; 

● se gli imbracatori sono più di uno, 

soltanto uno di essi può dare i segnali al 

INSERTO 

manovratore. Il carico sospeso non va 

guidato con le mani ma con funi o ganci; 

non va spinto ma solo tirato, evitando 

di sostarvi sotto. 

Documentazione a corredo 

della macchina 

Oggi tutti gli apparecchi di sollevamento 

sono soggetti alla marcatura CE, 

a dichiarazione di conformità, alrilascio 

del libretto di istruzioni circa l’uso 

e la manutenzione, pertanto devono essere 

provvisti di targa riportante, in modo 

facilmente leggibile ed indelebile, almeno 

le seguenti indicazioni: 

● marcatura CE e altri marchi di conformità; 

● norme ed indirizzo del fabbricante; 

● designazione della serie e del tipo; 

● anno di fabbricazione; 

● eventuale numero di serie; 

● principali caratteristiche tecniche della 

macchina. 

Per le gru a torre il documento riportante 

indicazioni di uso e manutenzione 

deve riportare le informazioni di carattere 

tecnico, le istruzioni d’uso e manutenzione 

ordinaria, straordinaria e preventiva, e 

le indicazioni necessarie per eseguire in 

sicurezza, la messa in funzione, l’utilizzazione, 

il trasporto, l’installazione, il montaggio 

e lo smontaggio, la regolazione, la 

manutenzione e la riparazione della macchina, 

la possibilità di montare accessori. 

In particolare, devono essere chiaramente 

indicate: le norme di sicurezza da adottare, 

la portata massima dell’elevatore, le 

istruzioni per l’imbracatura dei carichi, le 

segnalazioni per comunicare con il manovratore, 

le principali istruzioni d’uso. 

Tutti gli apparecchi di sollevamento 

aventi una portata utile superiore ai 200 kg 

sono soggetti ad omologazione ISPESL. 

La targhetta di immatricolazione rilasciata 

dall’ISPESL deve essere apposta in 

maniera ben visibile e non rimovibile sulla 

macchina. Il libretto di omologazione 

deve accompagnare il mezzo nei suoi spostamenti 

operativi. 

Le gru a torre devono, inoltre, essere 

corredate del certificato di conformità alle 

prestazioni acustiche regolamentato dal 

D.M. n. 588/1987 e dal D.Lgs. n. 

137/1992; sulla macchina devono essere 

applicate due targhette metalliche esagonali 

(codificate dalla normativa) recanti i 

livelli di pressione sonora massima e minima 

emessi dalla macchina durante le lavorazioni. 


Articolo 

Gli stessi accessori, eventualmente previsti 

dal libretto di omologazione della 

gru, sono a loro volta “macchine” e devono 

quindi essere marcati CE. I rispettivi 

documenti di accompagnamento devono 

specificare a quali macchine (costruttore, 

tipo e modello) possono essere applicati. 

È vietato assemblare macchine ed accessori 

che non siano esplicitamente compatibili. 

L’operatore addetto 

alla conduzione 

La legislazione nazionale non prevede 

alcuna formazione obbligatoria per l’utilizzo 

e la manutenzione degli apparecchi di 

sollevamento. Tuttavia con l’entrata in vigore 

del D.Lgs. n. 626/1994, il legislatore 

ha introdotto il principio che questi mezzi, 

così come tutte le attrezzature speciali, debbano 

essere utilizzate dall’operatore solo 

dopo una formazione adeguata e specifica. 

Questa formazione deve garantire che 

l’uso delle macchine avvenga in modo corretto, 

in relazione ai rischi che possono 

essere causati a se stessi o ad altre persone. 

La conduzione di un qualsiasi apparecchio 

di sollevamento richiede sempre una 

particolare abilità e preparazione tecnica, 

nonché un elevato senso di responsabilità. 

Quindi l’operatore deve possedere specifici 

requisiti psicofisici per essere idoneo a 

svolgere questo lavoro. Pertanto l’uso di 

questi mezzi deve essere riservato solo a 

personale incaricato. 

Gli operatori debbono essere opportunamente 

addestrati sull’uso della macchina 

ed informati su eventuali rischi particolari 

presenti nei luoghi di lavoro. 

È consigliato un corso di formazione 

che preveda l’insegnamento di un uso efficace 

e sicuro della macchina e una conoscenza 

specifica del funzionamento del 

motore e dell’impianto idraulico per gli 

interventi di pulizia e manutenzione. 

È inoltre opportuno ricordare che esiste 

un documento per la formazione dei 

preposti alla gestione e supervisione del 

sollevamento dei carichi. Il documento 

di riferimento è l’ISO TC 96/sc5 n. 248 

del 14 maggio 2001 intitolato «Cranes - 

Training of appointed person» dove con il 

termine «appointed person» si identifica 

una «persona competente che ha la supervisione 

delle operazioni della gru e delle 

iniziative di organizzazione richieste dalla 

movimentazione dei carichi». Ciò per evidenziare 

il particolare rischio in tali attività 

e la conseguente necessità di preparazio- 

9 dicembre 2003 - N. 22 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com VII


Articolo 

ne tecnica di tutto il personale coinvolto, 

sia con mansioni operative che organizzative 

e di coordinamento operativo. 

Accessori di imbracatura 

Poiché quasi mai i carichi possono essere 

collegati direttamente al gancio di un 

apparecchio di sollevamento, si devono 

usare sistemi di imbracatura quali, brache, 

catene, funi, o elementi intermedi 

quali, tenaglie, forche, ceste, cassoni, reti 

o altri accessori particolari studiati per 

carichi di forma o natura speciali. 

Va altresì ricordato che l’imbracatura 

dei carichi deve essere effettuata usando 

mezzi idonei per evitare la caduta del carico 

o il suo spostamento dalla primitiva 

posizione di partenza. 

In linea generale, le norme tecniche di 

riferimento in merito fanno capo soprattutto 

a quanto riportato alle norme UNI ISO 

4308 (1 e 2) e prEN 13411, prEN 13414. 

In particolare, per gli accessori di sollevamento 

è da ricordare che ognuno di essi 

all’atto della immissione sul mercato, ovvero 

della prima utilizzazione per quelli 

allestiti direttamente dall’utente, deve oggi 

soddisfare a quanto riportato ai punti 

4.3.2 e 4.4.1 del D.P.R. n. 459/1996 i 

quali specificano che ogni accessorio di 

sollevamento deve recare, come già brevemente 

accennato, i seguenti dati: 

● marcatura CE; 

● identificazione del fabbricante; 

● identificazione del materiale (ad 

esempio: classe internazionale, quando 

questa informazione è necessaria per la 

compatibilità dimensionale); 

● identificazione del carico massimo 

di utilizzazione. 

Per gli accessori di imbracatura che 

comprendono componenti sui quali la 

marcatura è materialmente impossibile 

(per esempio, funi e cordami) le indicazioni 

devono essere apposte su una targa o 

con altro supporto solidamente fissato in 

modo tale da non compromettere la resistenza 

dell’accessorio. Inoltre dette indicazioni 

debbono essere leggibili e disposte 

in un punto tale da non rischiare di scomparire 

in seguito alla lavorazione, all’usura, 

ecc. 

Ogni accessorio di sollevamento o ciascuna 

partita di accessori di sollevamento 

commercialmente indivisibile deve essere 

accompagnato da istruzioni per l’uso che 

forniscano almeno le seguenti indicazioni: 

- le condizioni normali di esercizio; 

INSERTO 

- le prescrizioni per l’uso, il montaggio 

e la manutenzione; 

- i limiti di utilizzazione. 

Gli accessori di sollevamento devono 

essere scelti in funzione delle modalità di 

sollevamento. In particolare per le imbracature 

si dovrà tenere conto di tutte le 

riduzioni di capacità in funzione delle 

componenti delle forze peso che si generano. 

Utile riferimento per la scelta delle 

funi è la norma UNI ISO 4308. 

I mezzi per l’imbracatura possono essere 

collegati al carico in diversi modi: 

a) attaccati direttamente a golfari ad 

occhio circolare con gambo filettato UNI 

2947, e ad occhio allungato, con foro filettato 

UNI 2948; 

b) con attacchi solidali predisposti tipo 

maniglione ad anello con zanca annegata 

nel manufatto di calcestruzzo; 

c) per quanto concerne particolari tipo 

di carico (vedi ad esempio grandi manufatti 

in calcestruzzo), bisognerà porre attenzione 

ai sistemi di attacco che saranno 

costituiti da una parte metallica appositamente 

annegata nel calcestruzzo ed un 

elemento di sospensione ed aggancio ad 

esso opportunamente collegato; 

d) con attacchi di tipo flessibile variamente 

collegati al carico: 

- attaccati a legature passanti attorno al 

carico o preventivamente predisposte con 

l’impiego di corde, funi o catene tese a 

mano o mediante appositi dispositivi; 

- passati sotto e attorno ai carichi, a 

forma di cappio o canestro o con sistema 

più complesso. In tal caso, essi svolgono 

anche funzione di legatura. 

Tra le imbracature più diffuse nei cantieri 

si possono distinguere alcune tipologie 

prevalenti: 

● a tratto unico aperto (brache semplici 

o tiranti); 

● a tratto unico chiuso su se stesso 

(brache ad anello); 

● a più tratti concorrenti ad un estremo 

ad un unico anello (brache multiple 

o gioghi); 

● a più tratti collegati ad un estremo 

ad una o più traverse (bilancieri o bilancini). 

La maggior parte degli accessori sono 

dimensionati per sopportare carichi e tensioni 

passanti per il proprio asse. Ne risulta 

che i tiri obliqui devono essere evitati scrupolosamente 

al fine di non incorrere in 

sollecitazioni anomale e quindi non previste 

nel dimensionamento dell’accessorio. 

In ogni caso, indipendentemente dalla 

tipologia di imbraco e di ancoraggio utilizzato, 

è necessario che: 

● siano rispettate le portate dei diversi 

dispositivi, fissate in relazione alle caratteristiche 

costruttive e alle modalità 

d’impiego; 

● che la manutenzione sia operata in 

modo soddisfacente e siano effettuate le 

verifiche periodiche trimestrali; 

● che gli imbracatori ricevano le necessarie 

istruzioni per l’uso e vi si attengano 

e conoscano anche le prescrizioni 

per i segnali gestuali. 

Le brache, nel contesto generale di 

cantiere, e per l’uso che di esse viene 

fatto, risultano molto esposte a danneggiamenti 

vari. Per limitare questo facile processo 

di degrado, le brache, non dovranno 

mai essere utilizzate e poi abbandonate 

sul terreno, oppure a contatto con agenti 

di degrado, vedi ad esempio fonti di calore, 

schiacciamento sotto i carichi a terra, 

contatto con agenti chimici aggressivi. 

Al fine di proteggere le brache di catena 

alla fine del ciclo lavorativo giornaliero, 

sarà bene che esse vengano immagazzinate 

e sistemate su rastrelliere previa 

lubrificazione, onde evitare i fenomeni 

della corrosione. A tal fine bisognerà evitare 

inoltre l’uso di solventi per la loro 

pulizia. 

I tempi lavorativi, a volte, inducono ad 

operazioni d’uso approssimativo o improprio 

dei mezzi. In questo senso, ai fini 

della sicurezza, bisognerà evitare di accoppiare, 

ad esempio, in modo improprio brache 

di funi costituite da elementi di tiro di 

tipo differente. 

I dispositivi di imbraco più diffusi nei 

cantieri edili sono: 

● brache di catena; 

● brache di fune in acciaio; 

● brache di fibre sintetiche e naturali. 

Brache di catena metallica 

Le portate delle catene sono definite 

in base alla direttiva 98/37/CE che ne 

indica pari a 4, in generale, il coefficiente 

di sicurezza ovvero 5 per quanto riportato 

all’art. 179 del D.P.R. n. 547/1955. 

La portata rappresenta lo sforzo massimo 

sopportabile nei limiti di sicurezza, 

dato il coefficiente di riduzione. Si consideri 

che tale sforzo non coincide sempre 

con il carico effettivamente sollevato: la 

capacità di sollevamento, infatti, è tanto 

minore quanto più la direzione della braca 

si scosta dalla verticale. 

In base alle norme di calcolo, la portata 

dell’intera braca deve essere identificata 

con quella del componente che risulta 

VIII www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 9 dicembre 2003 - N. 22

più debole; inoltre, non bisognerà in alcun 

caso intraprendere il sollevamento essendo 

presenti carichi superiori alla effettiva 

capacità della braca stessa. 

Gli effetti termici rappresentano un ulteriore 

fattore di riduzione dell’efficienza 

dell’imbraco. È da ricordare che una catena 

che lavora in presenza di calore subisce, 

infatti, una riduzione di portata che 

varia in funzione della temperatura raggiunta 

dalla catena stessa. Mai scaldare o 

usare la braca dopo un preriscaldamento 

che vada oltre i 450 ˚C. 

Protezioni per catene in corrispondenza 

di spigoli del carico sono anche da 

prendere in considerazione se il carico 

presenta asperità o spigoli o altre particolarità 

per cui risulti opportuno interporre 

degli spessori in legno o gomma. 

Le catene devono essere contrassegnate 

dal produttore e corredate di una dichiarazione 

riportante tutte le indicazioni e le 

certificazioni richieste dal D.P.R. 21 luglio 

1982 e/o dalla direttiva CEE 91/368. 

La documentazione relativa dovrà sempre 

essere tenuta in cantiere. 

Brache di fune in acciaio 

Tutte le brache costituite da funi di 

acciaio devono essere conformi alla norma 

ISO 2408. 

Tali accessori di sollevamento sono 

costituiti essenzialmente da funi di acciaio 

aventi alle estremità terminali che consentono 

il collegamento con i ganci delle 

gru, con i carichi da sollevare o con organi 

di macchine. Il terminale della fune è 

generalmente protetto da una “redancia”. 

Le funi per brache sono normalmente 

di acciaio lucido, e sono di tipo flessibile 

a 6 trefoli, con anima tessile oppure con 

anima metallica. Sono anche disponibili 

brache di funi di acciaio zincato o di acciaio 

inossidabile per applicazioni particolari. 

Le portate delle funi di acciaio sono 

definite a livello europeo dalla direttiva 

98/37/CE che, in generale, indica pari a 

“5” il coefficiente di sicurezza quando si 

sia tenuto conto anche dell’efficienza del 

terminale, mentre in Italia l’art. 179 del 

D.P.R. n. 547/1955, così dispone: «Le funi 

e le catene degli impianti e degli apparecchi 

di sollevamento e di trazione, salvo 

quanto previsto al riguardo dai regolamenti 

speciali, devono avere, in rapporto 

alla portata e allo sforzo massimo ammissibile, 

un coefficiente di sicurezza di almeno 

6 per le funi metalliche, 10 per le funi 

INSERTO 

composte di fibre e 5 per le catene. Le 

funi e le catene debbono essere sottoposte 

a verifiche trimestrali». 

In merito alla riduzione di efficienza 

(capacità di portata) dovuta al terminale 

usato gli attuali progetti di norma CEN 

armonizzati alla Direttiva Macchine portano 

i seguenti valori riduttivi in funzione 

dei terminali utilizzati: 

a) “Impalmatura a mano”(prEN 

13411-2: 1998) - Efficienza rispetto 

al carico di rottura della fune 80% 

(per funi di diametro fino a 60 mm) e 

70% (per funi di diametro superiore a 

60 mm); 

b) “Capicorda a testa fusa” (prEN 

13411-4: 1998) - Efficienza rispetto al 

carico di rottura della fune 100%; 

c) “Morsetti a cavalletto” (prEN 

13411-5: 1998) - Efficienza rispetto al 

carico di rottura della fune almeno 80%; 

d) “Capicorda asimmetrici a cuneo” 

(prEN 13411-6: 1998) - Efficienza rispetto 

al carico di rottura della fune 85% (per 

funi con resistenza = 1960 N/mm 2) e 

80% (per funi con resistenza ≤ 1960 

N/mm 2); 

e) “Asole fissate con manicotti o impalmatura” 

-(prEN 13414-1: 1998 - Efficienza 

rispetto al carico di rottura della 

fune 90% per manicotti, 80% per impalmatura 

(per funi di diametro fino a 60 

mm). 

Anche le funi devono essere contrassegnate 

dal produttore e corredate 

di una dichiarazione riportante tutte le 

indicazioni e le certificazioni richieste 

dal D.P.R. 21 luglio 1982 e/o dalla 

direttiva CEE 91/368. La documentazione 

relativa dovrà sempre essere tenuta 

in cantiere. 

Brache di fibre sintetiche 

e naturali 

Le brache sintetiche sono costituite da 

nastro di poliammide e di poliestere ed in 

quanto tali rispondono alle norme UNI 

9351-88 (ISO 4878-81) ed al prEN 1492 

- 1 e prEN 1492 - 2 per le quali il riferimento 

è rivolto ai tessuti con fibre multifilamento 

resistente ai raggi ultravioletti e 

termofissati. 

Le portate delle brache in fibra sono 

definite per l’Europa dalla direttiva 

98/37/CE che ne indica in “7” il coefficiente 

di sicurezza, mentre per l’Italia abbiamo 

visto che l’art. 179 del D.P.R. n. 

547/1955 innalza a “10” il coefficiente di 

sicurezza per gli imbrachi realizzati con 

fibre tessili. 


Articolo 

La versatilità delle imbracature in 

fibra risolve efficacemente tutti i problemi 

di collegamento tra il gancio del 

mezzo di sollevamento ed il carico da 

sollevare. 

È preferibile l’utilizzo di questo tipo di 

brache nei casi in cui i carichi da sollevare 

presentino particolari forme o superfici 

tali che non sopporterebbero, ad esempio, 

lo sfregamento di una catena; ovvero, 

quando la braca metallica può venire a 

contatto con sostanze che aggrediscono i 

materiali acciaiosi. 

Con riferimento al sollevamento dei 

carichi pesanti ma delicati, è evidente la 

duttilità della braca in fibra che con la sua 

elasticità riesce ad ammortizzare in modo 

più che soddisfacente gli eventuali strappi 

che si possono presentare durante le manovre; 

né tanto meno è da sottovalutare il 

fattore sicurezza, dovuto al fatto che tali 

mezzi non sono conduttori di elettricità e 

vanno, quindi, a favore della sicurezza del 

lavoratore. Non ultimo il vantaggio per 

tali mezzi di riuscire a sollevare agevolmente 

piccoli carichi per i quali le brache 

di catene o di funi sarebbero meno adatte 

per la loro rigidità. 

Individuazione 

e analisi dei rischi 

Durante l’uso di macchine movimento 

terra si possono riscontrare principalmente 

i seguenti rischi particolari: 

● cedimento del piano di appoggio, 

collasso e crollo della struttura con rischio 

di schiacciamento di persone 

estranee o dello stesso operatore; 

● cesoiamento e schiacciamento degli 

operatori, durante l’installazione dei tralicci 

montanti e del braccio rotante e 

durante le normali fasi di lavoro; 

● rischi di caduta dall’alto dell’operatore 

e di utensili durante le fasi di installazione, 

manutenzione e smontaggio; 

● rischi derivanti dal cattivo funzionamento 

o stato di manutenzione del mezzo 

(vibrazioni, rumore, ecc.). 

● elettrocuzione per contatto con linee 

elettriche aeree; 

● rischi elettrici dovuti all’impianto elettrico 

di cantiere, all’impianto di messa a 

terra e/o all’impianto di protezione dalle 

scariche atmosferiche; 

● rischi indotti dalle condizioni atmosferiche; 

● scivolamenti, cadute a livello durante 

la salita e la discesa dell’operatore e 

durante la fase di imbraco, carico e scarico; 

9 dicembre 2003 - N. 22 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com IX


Articolo 

● caduta dall’alto durante le fasi di 

carico e scarico in quota; 

● rischi derivanti da urti, colpi, impatti, 

compressioni e schiacciamento, durante i 

lavori di imbraco, carico e scarico; 

● rischi derivanti dal rilascio o caduta 

di parte del carico e caduta di materiale 

dall’alto; 

● urto del braccio con strutture fisse e 

rischi indotti dalla presenza di altre gru 

interferenti; 

● rischi derivanti da un uso improprio 

del mezzo; 

● rischi indotti dall’abbandono del 

mezzo; 

● rischi indotti da malfunzionamenti; 

● rischi indotti dalle attività di manutenzione. 

Rischio 

Cedimento del piano di appoggio, collasso e crollo della struttura con rischio 

di schiacciamento di persone estranee o dello stesso operatore, rovesciamento 

Magnitudo Molto grave 

Misure 

di Prevenzione 

e Protezione 

Rischio 

● il Direttore di cantiere dovrà verificare la stabilità del terreno prima di installare la gru ed iniziare i lavori; 

● l’operatore deve conoscere bene prestazioni, peso e carico massimo sollevabile dalla macchina in 

relazione allo sbraccio. 

● i carichi non devono mai superare i valori massimi stabiliti dal diagramma delle portate. I diagrammi di 

portata devono essere resi visibili dagli appositi cartelli fissati lungo il braccio. 

● la gru deve essere usata solo per tiri verticali. Non è consentito utilizzare la gru per tiri inclinati o per 

traino; il gancio di sollevamento deve sempre agire verticalmente; 

● è vietato utilizzare la gru per sradicare alberi o smuovere casseforme o altri dispositivi interrati; 

● evitare di raggiungere le condizioni limite ed in genere comportarsi con prudenza; 

● non utilizzare in modo improprio la macchina. 

Rischi di caduta dall’alto dell’operatore e di utensili durante 

le fasi di installazione, manutenzione e smontaggio 

Magnitudo Grave 

Misure 


e Protezione 

Rischio 

● l’operatore in quota addetto al montaggio o alla manutenzione della gru deve indossare un’imbracatura 

di sicurezza con bretelle e cosciali e disporre di adeguati dispositivi di trattenuta. 

● stante il rischio di caduta nel vuoto con sospensione dell’operatore i cordini di sicurezza deve avere una 

lunghezza massima di 1,5 m e deve essere dotato di dissipatore. 

● tutti gli accessori dei dispositivi anticaduta (imbracatura, cordini, dissipatori, moschettoni, punti di ancoraggio, 

ecc.) devono essere marcati CE ed essere revisionati annualmente; 

● ogni utensile (chiave, martello, ecc.) utilizzato in quota deve essere legato, mediante laccio, alla cintura di 

sicurezza dell’operatore; 

● durante i lavori in quota si deve interdire il transito e la sosta nelle aree sottostanti. 

Cesoiamento e schiacciamento degli operatori, durante l’installazione dei tralicci montanti 

e del braccio rotante e durante le normali fasi di lavoro 


Misure 


e Protezione 

INSERTO 

Le schede di valutazione 

del rischio 

Le macchine utilizzate debbono possedere, 

funzionanti, tutti i dispositivi di sicurezza 

previsti dalla legge e debbono essere 

mantenute in efficienza mediante regolare 

manutenzione. 

Le attività di seguito illustrate debbono 

intendersi come presidio minimo alla 

buona realizzazione in sicurezza delle diverse 

fasi di lavorazione. 

La valutazione del rischio dovrà essere 

opportunamente integrata in relazione 

al contesto operativo nel quale si è chiamati 

ad operare. 

Si prefigura la necessità di ricorrere 

all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale 

per minimizzare il rischio residuo 

a livelli accettabili. 

Utilizzo delle gru a torre: 

individuazione e analisi dei rischi 

I DPI da considerarsi in via preliminare 

per l’operatore macchina sono: 

● calzature di sicurezza con suola antisdrucciolo; 

● indumenti protettivi (tute); 

● casco di sicurezza con sottogola (installazione/manutenzione); 

● guanti (installazione/manutenzione); 

● occhiali protettivi o Visiera (manutenzione); 

● imbracatura di sicurezza, connettori 

e cordino con dissipatore (installazione/ 

manutenzione). 

I DPI da considerarsi in via preliminare 

per l’operatore ausiliario a terra 

sono: 

● casco di sicurezza; 

● calzature di sicurezza; 

● indumenti protettivi ad alta visibilità; 

● guanti. l 

● durante la fase di installazione: delimitare la zona di lavoro, nel raggio d’azione della macchina è 

necessario predisporre sbarramenti e segnaletica di sicurezza; 

● è buona norma tenersi a distanza di sicurezza dai mezzi operativi in movimento; 

● le operazioni di montaggio della gru devono essere eseguite da un operatore esperto e qualificato; 

● i punti di imbracatura per il sollevamento ed il montaggio della gru sono indicati sul libretto d’uso e 

manutenzione e riportati mediante adesivi, targhe o pittogrammi sui singoli elementi; 

● durante lo scarico degli elementi dal mezzo di trasporto, gli addetti all’imbracatura ed aggancio del carico, 

prima di consentire l’inizio della manovra, devono verificare il corretto aggancio dell’imbraco e successivamente 

allontanarsi al più presto dalla traiettoria di movimentazione dell’elemento; 

● durante le fasi di montaggio e quando le strutture sono in movimento gli operai devono restare fuori dalla 

zona di pericolo; 

● le operazioni di montaggio e smontaggio devono essere eseguite in assenza di vento. La velocità massima 

consentita e di 10 km/h; 

X www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 9 dicembre 2003 - N. 22

● è obbligatorio verificare le zavorre e attenersi a quanto indicato nel libretto di montaggio della gru; 

● prima dell’entrata in funzione della gru, il personale addetto, deve indicare i controlli indicati nel 

libretto di montaggio; 

● dal posto di guida non si devono poter raggiungere cremagliere, ingranaggi o in generale organi di 

lavoro pericolosi (distanze adeguate, parafanghi, carter, griglie, cabina di protezione);gli elementi delle 

macchine, devono essere protetti o segregati o provvisti di dispositivi di sicurezza quando sono fonte di 

pericolo; 

● è vietato condurre la macchina e comandare gli organi lavoratori da posizioni diverse del posto di guida, 

in alternativa è concesso solo l’uso di radiocomandi da posizioni a terra appositamente predisposte; 

● è necessario prestare attenzione alle segnalazioni acustiche e/o luminose ed alla segnaletica di 

sicurezza. 

Rischio Vibrazioni 

Magnitudo Media 

Misure 


e Protezione 

● l’esecuzione programmata della manutenzione, la verifica periodica dell’idoneità della macchina 

e la verifica della rumorosità della stessa permettono di intervenire tempestivamente per prevenire il 

rischio. 

● le attrezzature (sedili, comandi, ecc.) dovranno essere dotate di dispositivi antivibranti (manopole, ecc.); 

● i sedili devono essere ergonomici, regolabili e idonei a ridurre la trasmissione delle vibrazioni, 

● una scorretta posizione di guida durante il lavoro può affaticare l’operatore portandolo a compiere 

operazioni non corrette; 

● il posto di guida ed i comandi devono consentire l’agevole esecuzione di tutte le manovre necessarie 

alla conduzione del carico. 

Rischio Rumore 


Misure 


e Protezione 

● l’esecuzione programmata della manutenzione, la verifica periodica dell’idoneità della macchina e la 

verifica della rumorosità della stessa permettono di intervenire tempestivamente per prevenire il rischio; 

● le gru devono essere corredate del certificato di conformità alle prestazioni acustiche come previsto 

dal D.M. n. 588/1987 e dal D.Lgs. n. 137/1992; 

● sulla macchina devono essere applicate due targhette metalliche esagonali (codificate dalla normativa) 

recanti i livelli di pressione sonora massima e minima emessi dalla macchina durante le lavorazioni; 

● controllare che gli sportelli del vano motore siano tutti correttamente chiusi e gli organi in 

movimento (tamburi, pulegge, ecc.) opportunamente ingrassati. 

Rischio Elettrocuzione per contatto con linee elettriche aeree 


Misure 


e Protezione 

Rischio 

● verificare che nelle vicinanze della zona di lavoro non vi siano linee elettriche aeree che possano 

interferire con le manovre del mezzo; 

● non possono essere eseguiti lavori in prossimità di linee elettriche aeree a distanza minore di m 5; 

detta distanza minima inderogabile deve essere rispettata sia dagli elementi strutturali della torre e del 

braccio che dai carichi sospesi movimentati (art. 11, D.P.R. n. 164/1956); 

● durante le lavorazioni l’operatore dovrà fare particolare attenzione nel manovrare il braccio e 

l’argano affinché non si generino oscillazioni del carico che possano condurre a contatti con le linee 

elettriche aeree; 

● particolare attenzione dovrà essere posta durante la movimentazione di grandi elementi prefabbricati 

che, a causa della loro dimensione, potrebbero vanificare anche un corretto rispetto delle distanze di 

installazione. 

Rischi elettrici dovuti all’impianto elettrico di cantiere, all’impianto di messa 

a terra e/o all’impianto di protezione dalle scariche atmosferiche 


Misure 


e Protezione 

INSERTO 


Articolo 

● l’impianto elettrico di cantiere e l’impianto di terra devono essere certificati dall’installatore ai sensi della 

legge n. 46/1990; 

● tutte le connessioni dell’impianto elettrico e di terra devono essere realizzate da personale qualificato 

e controllate periodicamente per verificarne l’efficienza; 

● la realizzazione dell’impianto di terra ad anello chiuso tutela gli operatori anche in caso di taglio 

accidentale; 

● al fine di disperdere a terra le scariche atmosferiche, tutti gli apparecchi e le strutture metalliche di 

grande dimensione dovranno essere collegate elettricamente a terra. Le dimensioni minime dei conduttori 

utilizzabili come dispersori sono individuate dalla norma CEI 11-8; 

● l’alimentazione della gru dovrà avvenire tramite cavo di alimentazione flessibile di tipo H07RN-F con interruttore 

generale ubicato sul quadro elettrico; 

● è vietato inserire o disinserire macchine utensili su prese in tensione. Prima di effettuare l’allacciamento 

occorre accertarsi che l’interruttore di avvio della macchina sia nella posizione “aperto” (motore elettrico fermo), 

cioè in assenza di tensione alla presa; 

● prima di operare qualsiasi intervento di manutenzione su apparecchiature alimentate elettricamente si deve 

togliere tensione agendo sull’interruttore del quadro di alimentazione e/o staccando la spina di alimentazione; 

● quando i cavi vengono posizionati a terra devono essere protetti dall’usura meccanica, evitando comunque 

lo schiacciamento da parte di mezzi pesanti. 

9 dicembre 2003 - N. 22 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XI


Articolo 

Rischio Rischi dovuti alle condizioni atmosferiche 

Magnitudo Medio 

Misure 


e Protezione 

Rischio 

● l’utilizzo di un apparecchio di sollevamento deve essere immediatamente sospeso nei seguenti casi: 

- in presenza di nebbia; 

- in presenza di forte pioggia che limiti la visibilità; 

- in caso di scarsa illuminazione; 

- in presenza di vento forte; 

● per le gru installate all’aperto soggette ad agenti atmosferici devono essere presi provvedimenti tecnici e 

organizzativi per garantire la stabilità in presenza di azioni meteorologiche prevedibili sia in servizio che fuori 

servizio (ancoraggi, anemometri, dispositivi di avvertimento, ecc.); 

● la stabilità della gru deve essere verificata nelle condizioni più sfavorevoli; 

● azione del vento: il vento può sovraccaricare considerevolmente la gru che va sempre posta fuori servizio 

al raggiungimento della velocità denominata “vento limite di servizio” e riportata sul libretto d’uso della 

macchina; 

● si deve quindi controllare durante il servizio la velocità del vento; 

● le norme prevedono che tutte le gru a torre e simili debbano sempre essere poste fuori servizio con 

velocità del vento superiori a 72 km/h; a tale velocità la pressione specifica corrispondente è di 25 N/m 2 ; 

● al raggiungimento della velocità limite si deve interrompere immediatamente il lavoro, sbloccare il 

braccio lasciandolo libero di ruotare, rialzare il gancio ed avvicinarlo alla torre della gru; 

● le gru poste fuori servizio devono comunque resistere alle spinte del vento previste localmente in casi 

eccezionali. La stabilità della gru fuori servizio deve pertanto essere garantita per i valori del vento previsti 

nella zona di impiego. L’installatore può ricorrere anche a mezzi ausiliari di ancoraggio per garantire la 

suddetta stabilità, ma sempre nel rispetto delle caratteristiche d’uso e manutenzione prescritte dal costruttore; 

● nel caso di gru su binario, ove detti ancoraggi fossero costituiti, oltre che dalle tenaglie di fissaggio alle 

rotaie in zona del binario particolarmente rinforzata o zavorrata, anche da funi aventi funzioni di controventature, 

le stesse unitamente agli ancoraggi a terra dovranno avere le caratteristiche previste dal costruttore. 

Scivolamenti e cadute a livello durante la salita e la discesa 

dell’operatore e durante le fasi di imbraco dei carichi 


Misure 


e Protezione 

INSERTO 

● prima di iniziare qualsiasi attività lavorativa bisogna organizzare le aree di lavoro, gli spazi da adibire 

a deposito, gli spazi da destinare alle attrezzature, in maniera tale da consentire tutti gli spostamenti sul 

piano di lavoro in sicurezza; 

● in presenza di cabina di manovra in quota, la scala di accesso della gru deve essere contornata da gabbia 

metallica di sicurezza a partire da 2 m di altezza da terra e deve presentare un ballatoio ogni 8 m; 

● il posto di guida, protetto contro l’irraggiamento solare, e riscaldato, deve essere raggiungibile 

agevolmente ed in piena sicurezza; ciò significa che devono essere predisposti percorsi protetti (parapetti), 

punti di presa per le mani (maniglie, corrimani) e punti di appoggio con superficie antiscivolo per i 

piedi (scalini, grigliati, barre sporgenti, ribaltine, ecc.); 

● pulire sempre dal grasso od olio le maniglie o gli scalini di accesso alla cabina di manovra; 

● l’accesso alle macchine deve avvenire con l’operatore rivolto verso la macchina; 

● non usare le leve di comando in cabina come maniglia da afferrare per scendere o salire;si sono 

verificati gravi infortuni a causa di accaduti contatti durante la caduta con leve e pedali di comando, se 

tali contatti avvengono quando il motore è in moto determinano infatti il pericoloso movimento della 

macchina o del braccio. Per prevenire tali casi è indispensabile che la macchina sia corredata da un 

dispositivo di sicurezza a uomo presente (barre guardacorpo imbottite, cintura di sicurezza dotata di 

interblocco, ecc.) che impedisca il funzionamento del motore e blocchi in modo certo la macchina se 

l’addetto non è al posto di guida; 

● non ammettere all’interno della cabina di manovra altre persone. 

Rischio Caduta dall’alto durante le fasi di carico e scarico in quota 

Magnitudo Molto Grave 

Misure 

● la zona di ricezione del carico posizionata in quota dovrà sempre essere dotata di regolamentare parapetto 


con tavola fermapiede e corrente intermedio; 

e Protezione 

● l’addetto alla ricezione del carico dovrà porre particolare attenzione durante la guida del carico alla 

postazione di sgancio. Particolarmente pericolose sono le azioni di guida del carico che possono condurre 

l’operatore a perdere l’equilibrio; 

● per particolari tipi, pesi e dimensioni di carichi, è buona norma dotare i carichi stessi di due o più funi di 

guida in modo da agevolare e rendere più sicura la fase di posa in opera del materiale, soprattutto in presenza 

di vento; 

● i carichi ingombranti o pesanti devono essere guidati mediante fune o altro dispositivo da posizione di 

sicurezza; 

● qualora le dimensioni del carico rendano necessaria la rimozione dei parapetti e degli altri dispositivi di 

protezione collettiva, gli operatori in quota dovranno indossare obbligatoriamente l’imbracatura di sicurezza ed 

essere opportunamente vincolati, mediante cordino di sicurezza con dissipatore, ad un punto di ancoraggio 

appositamente predisposto; 

● quando argani, paranchi e apparecchi simili sono usati per il sollevamento o la discesa dei carichi tra 

piani diversi di un edificio attraverso aperture nei solai o nelle pareti, le aperture per il passaggio del carico 

ai singoli piani, nonché il sottostante spazio di arrivo o di sganciamento del carico stesso devono essere 

protetti, su tutti i lati, mediante parapetti normali provvisti, ad eccezione di quello del piano terreno, di 

arresto al piede; 

● i parapetti devono essere disposti in modo da garantire i lavoratori anche contro i pericoli derivanti da urti o 

da eventuale caduta del carico di manovra; 

XII www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 9 dicembre 2003 - N. 22

● gli stessi parapetti devono essere applicati anche sui lati delle aperture dove si effettua il carico e lo scarico, 

a meno che per le caratteristiche dei materiali in manovra ciò non sia possibile. In quest’ultimo caso, in 

luogo del parapetto normale deve essere applicata una solida barriera mobile, non asportabile e fissabile nella 

posizione di chiusura mediante chiavistello o altro dispositivo. Detta barriera deve essere tenuta chiusa 

quando non siano eseguite manovre di carico o scarico al piano corrispondente. 

Rischio 

Rischi derivanti da urti, colpi, impatti, compressioni e schiacciamento, 

durante i lavori di imbraco, carico e scarico 


Misure 


e Protezione 

Rischio 

● durante le operazioni di tiro, di sollevamento e di trasporto la parte inferiore del carico si deve 

sempre trovare ad almeno due metri dal suolo onde evitare contatti accidentali con le persone; 

● il gruista dal posto di guida deve avere garantita la completa visibilità della zona di lavoro e di spostamento 

del carico, ciò anche mediante l’ausilio di specchi, dispositivi video, fari e fanali per lavori notturni; 

● richiedere l’assistenza di personale a terra per eseguire lavorazioni in spazi ristretti o con visibilità 

insufficiente; 

● durante il tiro deve essere vietata la presenza delle persone nell’area di lavoro di carico e scarico, 

mediante idonea segnaletica e delimitazione dell’area. L’operatore (o persona incaricate di ciò) deve 

far rispettare tale divieto anche sospendendo il lavoro; 

● prima di effettuare il sollevamento assicurarsi che questo sia perfettamente bilanciato; 

● prima di effettuare lo sgancio del carico assicurarsi che questo sia perfettamente fermo e stabile sugli 

appoggi previsti; 

● l’operatore addetto all’imbraco e l’operatore addetto alla ricezione dei tiri devono indossare indumenti 

ad alta visibilità. 

Rischi derivanti dal rilascio o caduta di parte del carico 

e caduta di materiale dall’alto 


Misure 

● non sovraccaricare la macchina ed assicurarsi che il carico da trasportare sia stabile e ben imbracato 


prima di effettuare ogni tiro di sollevamento; 

e Protezione 

● controllare che i dispositivi di chiusura dei ganci siano funzionanti e che la portata dei ganci sia 

coerente con quella della gru. Nel caso in cui la portata risultasse inferiore a quella della gru dovrà 

assumersi come limite massimo della portata sollevabile; 

● i ganci dovranno essere sostituiti qualora l’imboccatura risulti deformata a causa di un sovraccarico o di 

un’errata posizione della linea di carico. Un gancio deformato può cedere anche per un carico inferiore al 

40% della sua portata nominale; 

● le funi e le catene devono essere protette dal contatto con gli spigoli vivi del materiale da sollevare, 

mediante l’adozione di paraspigoli metallici e/o angolari; 

● le brache in fibra devono essere protette dal contatto con materiali potenzialmente taglienti quali 

per esempio lamiere, laterizi, ecc.; 

● i tiranti dell’imbracatura non devono formare angoli al vertice superiori a 60˚, per evitare eccessive 

sollecitazioni degli stessi; 

● se vengono rilevate diminuzioni di sezione degli elementi costitutivi gli accessori per valori superiori 

al 10%, lo stesso accessorio dovrà essere sostituito; 

● gli accessori assoggettati a sollecitazioni che abbiano fatto superare il limite elastico del materiale con 

effetto permanente (deformazioni) devono essere sostituiti; 

● l’operatore deve evitare di passare con i carichi sospesi al di sopra delle postazioni di lavoro; qualora 

questo non fosse possibile le manovre dovranno essere preannunciate con apposite segnalazioni acustiche. 

● si deve evitare il transito di carichi sospesi su aree pubbliche esterne al cantiere o comunque laddove 

vi sia la presenza di persone estranee al cantiere; 

● i posti di lavoro e di passaggio sottostanti il raggio di azione della gru, devono essere idoneamente 

difesi contro la caduta e l’investimento dai materiali che possono cadere durante l’attività lavorativa; 

● utilizzare sbarramenti e segnaletica di sicurezza per evitare l’avvicinamento, il transito e la sosta di 

persone non addette alle lavorazioni; 

● è vietato costituire depositi di materiali presso il ciglio degli scavi. Qualora tali depositi siano necessari 

Rischio 

si dovrà provvedere a puntellare lo scavo. 

Urto del braccio con strutture fisse 

Magnitudo Molto Grave 

Misure 


e Protezione 

INSERTO 


Articolo 

● la gru e le sue parti mobili, ivi compresi i carichi, relativamente ad oggetti od opere fisse deve 

rispettare un franco minimo di 70 cm; 

● la presenza di un ostacolo fisso che può essere toccato dal braccio o dal controbraccio, rende 

necessaria la limitazione dell’area di lavoro e ciò dovrà essere ottenuto oltre che con l’applicazione di 

dispositivi automatici di finecorsa anche con l’installazione di arresti meccanici; 

● l’installazione di dispositivi ed arresti meccanici costringe il braccio ad offrire al vento una superficie 

maggiore di quella minima per la quale il costruttore ha condotto i calcoli di stabilità (ribaltamento e 

resistenza), pertanto, si dovrà garantire la stabilità della gru con mezzi ausiliari di ancoraggio dimensionati 

introducendo nei calcoli le nuove spinte del vento sulla parte rotante; 

● il franco tra gli ingombri delle opere fisse o provvisionali ed il gancio nella posizione di fine corsa 

superiore deve essere almeno di 2,5 m misurati in verticale; 

● le gru a torre devono essere installate in modo da evitare il rischio di collisione: 

- fra braccio rotante ed ostacoli fissi; 

- fra controbraccio ed ostacoli fissi; 

- fra il carico ed ostacoli fissi (individuazione di aree di sorvolo critiche o vietate. 

9 dicembre 2003 - N. 22 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XIII


Articolo 

Rischio Rischi indotti dalla presenza di altre gru interferenti 


Misure 


e Protezione 

INSERTO 

● la gravità dei rischi connessi con l’eventualità di urti tra gru interferenti richiede che, in sede di 

predisposizione dei cantieri, si debba porre ogni cura affinché l’installazione dei mezzi di sollevamento 

sia prevista in maniera che non vi siano possibilità di interferenze tra di loro. Quando non è possibile 

attuare questo comportamento di tutela sarà necessario predisporre procedure speciali di gestione del 

rischio.- il rischio di collisione fra gru in movimento causato da: 

- contatto tra la fune di sollevamento di una gru alta ed il contrappeso di una gru bassa; 

- contatto tra la fune di sollevamento di una gru alta ed il braccio di una gru bassa; 

- contatto tra il braccio e/o il controbraccio di una gru bassa e la torre di una gru alta per gru che lavorano 

sulle stesse vie di corsa oppure adiacenti; 

● al fine di ridurre al minimo il rischio di interferenza si deve preferire l’individuazione della localizzazione 

di mezzi di sollevamento in posizione fissa in modo da eliminare o ridurre al minimo le zone di possibile 

interferenza, sia in fase di lavoro, sia in fase di inattività. 

● nel caso dovessero operare più apparecchi di sollevamento dovranno essere presi provvedimenti consistenti 

nell’adozione di dispositivi automatici antinterferenza ed anticollisione e attuate procedure organizzative 

come quelle prescritte nella lettera circolare del Ministero del Lavoro n. 22856 del 12 novembre 1984; 

- in presenza di gru interferenti si dovrà: 

- attuare una programmazione delle fasi di movimentazione dei carichi in modo da eliminare la 

contemporanea attività di apparecchi interferenti; 

- garantire la perfetta visibilità dal posto di manovra di tutte le zone di azione del mezzo e la 

predisposizione di un servizio di segnalazione svolto con lavoratori incaricati, nei casi di impossibilità di 

controllo (dal posto di manovra) di tutta la zona di azione del mezzo; 

- fare sistematico ricorso al servizio di segnalazioni previsto dall’ultimo comma dell’art. 182 del D.P.R. 27 

aprile 1955, n. 547. 

● nel caso di più imprese con apparecchi di sollevamento operanti nella stessa zona di lavoro, un idoneo 

livello di sicurezza può essere conseguibile mediante l’unicità di direzione del cantiere e mediante l’istituzione 

di un servizio di coordinamento interaziendale con compiti, oltre che di programmazione e di coordinamento, 

anche di gestione di efficaci sistemi di intercomunicazione fra gru presentanti rischi di potenziale 

interferenza. 

Rischio Rischi derivanti da un uso improprio del mezzo 


Misure 

● in cabina di manovra devono essere esposte in modo chiaro e visibile le istruzioni necessarie per il 


corretto utilizzo della gru; 

e Protezione 

● la macchina deve essere utilizzata in modo rispondente alle sue caratteristiche, senza subire modificazioni 

o essere utilizzata per usi impropri; 

● la gru deve essere usata solo per tiri verticali. Non è consentito utilizzare la gru per tiri inclinati o per 

traino; il gancio di sollevamento deve sempre agire verticalmente; 

● è vietato utilizzare la gru per sradicare alberi o smuovere casseforme o altri dispositivi interrati; 

● non avviare mai le leve di comando senza conoscere a cosa servono; 

● salvo particolare omologazione della macchina, è generalmente vietato il trasporto di persone con la gru 

a torre. Il sollevamento di persone è effettuato soltanto con attrezzature di lavoro e accessori previsti a tal 

fine (art. 184, comma 1, D.P.R. n. 547/1955); 

● è assolutamente vietato trasportare persone all’interno di ceste, cassoni o benne che non siano 

specificatamente rispondenti alle prescrizioni di sicurezza previste per il trasporto di persone. Nel caso di 

utilizzazione di accessori per il sollevamento di persone (cestelli) le apparecchiature devono essere 

omologate ed oggetto di specifici collaudi (ISPESL) e verifiche periodiche (ASL-ARPA); 

● la legge prevede che, in casi eccezionali, possano essere utilizzate per il sollevamento di persone 

attrezzature non previste a tal fine a condizione che siano state prese adeguate misure in materia di 

sicurezza, conformemente a disposizioni di buona tecnica che prevedono il controllo appropriato dei 

mezzi impiegati e la registrazione di tale controllo. Qualora siano presenti lavoratori a bordo dell’attrezzatura 

di lavoro adibita al sollevamento di carichi, il posto di comando deve essere occupato in 

permanenza. I lavoratori sollevati devono disporre di un mezzo di comunicazione sicuro con il posto di 

comando. Devono essere prese le opportune misure per assicurare la loro evacuazione in caso di pericolo. 

Rischio Rischi indotti dall’abbandono del mezzo 


Misure 

● qualora siano presenti lavoratori a bordo dell’attrezzatura di lavoro adibita al sollevamento di carichi, 


il posto di comando deve essere occupato in permanenza; 

e Protezione 

● durante le pause di lavoro si deve togliere l’alimentazione elettrica alla macchina; 

● prima di lasciare la cabina si deve: 

- aprire tutti gli interruttori; 

- liberare il gancio da qualsiasi tipo di carico;- rialzare il gancio, portandolo in prossimità della torre; 

- sbloccare il freno di rotazione per consentire al braccio di ruotare liberamente e disporsi secondo la 

direzione del vento, in modo da offrire ad esso la minor superficie possibile. 

Rischio Rischi indotti da malfunzionamenti 

Magnitudo Bassa 

● avvenimento potenzialmente critico, si riscontra una casistica limitata sempre dovuta a cattiva 

Misure 

manutenzione della macchina ed usura degli accessori di sollevamento (ganci, catene, funi, brache 


sintetiche, ecc.);operare la manutenzione e i tagliandi di revisione secondo le indicazioni fornite dal 

e Protezione 

produttore; 

● segnalare tempestivamente eventuali anomalie o guasti di funzionamento o situazioni pericolose. 

XIV www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 9 dicembre 2003 - N. 22

Rischio Rischi indotti dalle attività di manutenzione 


Misure 


e Protezione 

INSERTO 


Articolo 

● operare la manutenzione e i tagliandi di revisione secondo le indicazioni fornite dal produttore; 

● le funi, i loro dispositivi di trattenuta e gli accessori di sollevamento (gancio, brache, ecc.) devono 

essere verificate trimestralmente. Gli esiti della verifica devono essere annotati su libretto apposito e 

controfirmati dalla persona che ha effettuato la verifica; 

● per i rischi di caduta dall’alto dell’operatore e degli utensili utilizzati si faccia riferimento a quanto 

precedentemente illustrato; 

● è assolutamente vietato operare manutenzione o pulizia su organi in movimento; 

● nel caso si adoperi aria compressa per la pulizia ed il lavaggio della macchina, si devono utilizzare 

pressioni di esercizio basse (max 2 atmosfere) ed utilizzare in caso, gli occhiali o le visiere protettive. 

Check list per lavorare in sicurezza con le gru a torre 

Messa in funzione della gru q 

Prima dell’entrata in funzione della gru, il personale addetto deve effettuare tutti i controlli indicati nel libretto di montaggio q 

Effettuare un controllo visivo di tutto il mezzo, eventualmente compiendo un giro completo q 

Esaminare attentamente tutta la struttura osservando eventuali danni strutturali evidenti q 

Verificare il regolare serraggio di tutti i bulloni e il rifornimento di lubrificante agli ingrassatori delle parti che si trovano in rotazione q 

Provvedere alla lubrificazione delle varie parti secondo quanto prescritto dal costruttore nel libretto d’uso e manutenzione q 

Verificare che non vi siano manomissioni dei carter di protezione e i sistemi di sicurezza q 

Verificare che le linee elettriche aeree, nella zona di lavoro, non interferiscano con operazioni e manovre della macchina (distanza minima 5 m) q 

Verifiche periodiche q 

Con cadenza trimestrale devono essere eseguite le verifiche dell’efficienza e della buona manutenzione (rilevamento di deformazioni, 

schiacciamenti, tagli e allungamenti) dei materiali costituenti i seguenti accessori: 

q 

ganci q 

morsetti (con verifica del corretto serraggio) q 

anelli q 

campanelle di sospensione q 

grilli q 

capicorda q 

funi q 

catene q 

branche in fibra q 

Cabina di guida q 

Liberare la cabina di guida da qualunque oggetto o materiale non pertinente o necessario al servizio q 

Regolare opportunamente la posizione del sedile, in modo da ottenere la massima confortevolezza di guida ed agibilità dei comandi q 

Dispositivi di segnalazione q 

Controllare l’efficienza del segnalatore acustico q 

Controllare l’efficienza del segnalatore luminoso q 

Controllare l’efficienza dei fari q 

Prima di iniziare il turno di lavoro q 

Provare a vuoto il regolare funzionamento di tutte le leve di comando q 

Controllare l’efficienza della pulsantiera q 

Controllare il corretto funzionamento dei freni di rotazione q 

Controllare il corretto funzionamento dei limitatori di corsa q 

9 dicembre 2003 - N. 22 www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com XV


Articolo 

INSERTO 

Controllare il corretto funzionamento degli altri dispositivi di sicurezza e segnalazione in dotazione q 

Controllare che le vie di corsa della gru siano libere q 

Verificare l’efficienza della protezione della zavorra (rotazione bassa) q 

Controllare la chiusura dello sportello del quadro e l’integrità dell’apparato elettrico, quadri, valvole, cavi, ecc. q 

Verificare l’efficienza dei dispositivi di arresto d’emergenza q 

Controllare che la visuale di tutta l’area di lavoro non risulti ostruita da ostacoli q 

Effettuare una rotazione completa con il braccio q 

Accertarsi che la portata della gru, in relazione alle condizioni operative (sbraccio, altezza del tiro, ecc.) sia adeguata al carico da sollevare q 

Accertarsi che i dispositivi di chiusura dei ganci siano funzionanti e che la portata dei ganci sia adeguata ai carichi da sollevare q 

Accertarsi che la portata delle brache sia adeguata ai carichi da sollevare q 

Eliminare le brache che risultino in qualche modo danneggiate q 

Escludere le brache la cui portata sia ignota o di difficile accertamento q 

Ispezionare gli accessori di sollevamento prima della loro messa in opera con particolare attenzione a possibili cedimenti in punti 

delicati, quali le cuciture sui tratti normali della braca e sugli ancoraggi per il trattenimento del carico 

q 

Durante il lavoro q 

Adottare tutte le misure di sicurezza e precauzioni prescritte dal manuale d’uso della macchina q 

Verificare che sia costantemente garantita una buona visibilità dalla postazione di manovra q 

Evitare nella movimentazione del carico, di transitare su postazioni di lavoro e/o di passaggio, nel caso sia necessario preavvisare il 

tiro con la segnalazione acustica ed attendere l’allontanamento del personale dalla zona di pericolo 

q 

Eseguire le operazioni di sollevamento e scarico con le funi in posizione verticale q 

Controllare che la fune di sollevamento si avvolga correttamente q 

I carichi devono essere ben imbracati ed equilibrati q 

Evitare nodi ed incroci, attorcigliamenti, abrasioni ed inclusione di elementi che possano danneggiare gli imbrachi q 

Utilizzare dispositivi e contenitori adatti allo specifico materiale da movimentare q 

La forca deve essere utilizzata solo per operazioni di carico e scarico dagli automezzi e senza mai superare altezze di 2 metri da terra q 

Per movimentare materiali minuti utilizzare benne, castelli o cassoni metallici dotati di ganci di chiusura q 

Richiedere l’aiuto di persone a terra per manovre difficili q 

Mantenere a distanza adeguata il personale durante la lavorazione q 

Allontanare il personale che si dovesse trovare all’interno degli spazi operativi della macchina q 

Utilizzare i dispositivi di protezione individuale e collettivi q 

L’operatore addetto allo sgancio del carico o al suo posizionamento deve utilizzare appositi bastoni dotati di uncino per evitare di 

sporgersi da impalcati di protezione e preservare gli arti da rischi di schiacciamento 

q 

Prima di sganciare il carico controllare che sia stabile q 

Durante le soste, se si abbandona la postazione di guida, ritirare il gancio in posizione di riposo, liberare la gru al vento q 

Segnalare appena possibile al preposto eventuali difetti di funzionamento, situazioni pericolose ed eventuali incidenti verificatisi q 

Sospendere immediatamente il lavoro in caso di gravi anomalie di funzionamento q 

Al termine del turno di lavoro q 

Liberare il gancio da qualsiasi tipo di carico e non lasciare alcun carico sospeso q 

Rialzare il gancio, portandolo in prossimità della torre q 

Sbloccare il freno di rotazione per consentire al braccio di ruotare liberamente e disporsi secondo la direzione del vento q 

Aprire tutti gli interruttori q 

Disinserire l’alimentazione elettrica agendo sul quadro generale di alimentazione q 

Nel caso di gru a torre su binario si dovrà provvedere ad assicurare il carro scorrevole ai binari mediante tenaglie o simili 

Riporre gli accessori di sollevamento e le brache in appositi alloggiamenti (rastrelliere e/o contenitori) che possano preservarli da 

q 

danneggiamenti dovuti a calpestio, contatto con acidi caustici, grassi, sabbia, polvere, ovvero in luoghi asciutti, lontano da superfici 

calde e da fonti di calore 

q 

Pulire il mezzo e gli organi di comando. È assolutamente vietato operare manutenzione o pulizia su organi in movimento q 

Nel caso si adoperi aria compressa per la pulizia ed il lavaggio della macchina, si devono utilizzare pressioni di esercizo basse (max 2 

atmosfere) 

q 

Per la pulizia degli organi meccanici non vanno mai utilizzati liquidi infiammabili come gasolio, nafta, benzina, ma appositi liquidi 

detergenti non infiammabili e non tossici 

q 

Operare la manutenzione e i tagliandi di revisione secondo le indicazioni fornite dal produttore eseguendo il ciclo di manutenzione 

e pulizia come descritto nel manuale 

q 

Segnalare eventuali guasti di funzionamento q 

XVI www.ambientesicurezza.ilsole24ore.com 9 dicembre 2003 - N. 22

Ambiente e Sicurezza..

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

Delete template?

Save as template?