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(TERMO)DINAMICA DEI SISTEMI CONTINUI La meccanica ... - DIMA

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(<strong>TERMO</strong>)<strong>DINAMICA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>SISTEMI</strong> <strong>CONTINUI</strong><br />

UGO BRUZZO<br />

<strong>La</strong> <strong>meccanica</strong> dei sistemi continui si sviluppa sulla base della fondamentale<br />

osservazione che ogni processo è governato dagli stessi principi fisici, indipendentemente<br />

dal tipo di corpo considerato. In effetti, qualunque sia la sostanza<br />

considerata, e qualunque sia il tipo di processo a cui la sostanza è sottoposta,<br />

la massa deve conservarsi, l’energia deve soddisfare un opportuno bilancio, e<br />

così via. Sono le equazioni costitutive che, combinate con i principi fisici, generano<br />

le singole teorie (elasticità, fluidodinamica, magnetoidrodinamica, ecc.).<br />

In accordo con questo schema, la trattazione in questo capitolo sarà dapprima<br />

del tutto generale, e riguarderà la scrittura dei principi fisici sotto forma di<br />

equazioni di bilancio (Par. 1,2). In particolare nel Par. 2 vedremo come la<br />

scrittura di un’equazione che descriva la conservazione dell’energia richieda la<br />

considerazione della termodinamica. Nel Par. 3 vengono introdotte la temperatura<br />

e il concetto di processo termocinetico; vengono inoltre brevemente<br />

discusse le equzioni costitutive. Nel Par. 4 verrà infine introdotta la seconda<br />

legge della termodinamica, vista come vincolo a priori sulle equazioni costitutive.<br />

1. Equazioni di bilancio<br />

Equazione di continuità.Ricordiamo che un sistema continuo è fra l’altro<br />

caratterizzato da una funzione non negativa ρ(x, t), detta densità di massa,<br />

tale che, detta ∆t una generica porzione del sistema all’istante t, l’integrale<br />

<br />

M(∆t) ≡ ρ (III.1.1)<br />

fornisca la massa della porzione ∆t. Nella <strong>meccanica</strong> dei sistemi continui<br />

le grandezze fisicamente rilevanti sono definite frequentemente in termini di<br />

quantità specifiche — ovvero riferite all’unità di massa. Di conseguenza tali<br />

grandezze sono calcolabili come l’integrale di ρ (la densità di massa) per la<br />

grandezza specifica: intuitivamente, “l’elemento di massa” dM è dato dal<br />

prodotto ρdV , dove dV è “l’elemento di volume”. Allora, se per esempio η è<br />

la densità specifica di una grandezza H, il valore di H relativo a una porzione<br />

∆t di continuo è<br />

<br />

H(∆t) = ρη . (III.1.2)<br />

1<br />

∆t<br />

∆t


2 UGO BRUZZO<br />

Ricordando il teorema del trasporto, e considerata all’istante t una porzione<br />

∆t che rappresenti l’evoluzione di una fissata porzione ∆ nella configurazione di<br />

riferimento (cioé ∆t = Ψt(∆), dove Ψt è l’evoluzione del continuo), l’Eq. (III.1.2)<br />

fornisce<br />

d<br />

dt H(∆t) = d<br />

<br />

dt ∆t<br />

<br />

ρη =<br />

∆t<br />

∂(ρη)<br />

∂t<br />

<br />

+ Div (ρηv) =<br />

∆t<br />

[( ˙ρ + ρ Div v)η + ρ ˙η]<br />

(III.1.3)<br />

dove con il punto sovrapposto si è denotata la derivata totale rispetto al tempo:<br />

˙ρ ≡ dρ ∂ρ<br />

=<br />

dt ∂t + ∇vρ = ∂ρ ∂ρ ∂ρ<br />

+ vi = + v · Grad ρ .<br />

∂t ∂xi ∂t<br />

In particolare, ponendo η = 1, nel qual caso la grandezza H è la massa, si<br />

ottiene<br />

d<br />

dt M(∆t)<br />

<br />

∂ρ<br />

= + Div (ρv) = [ ˙ρ + ρ Div v] . (III.1.4)<br />

∂t<br />

∆t<br />

Poiché la frontiera di ∆t è formata ad ogni istante dalle stesse particelle, dal<br />

volume ∆t non possono uscire, né possono entrarvi, particelle. Quindi è del<br />

tutto naturale imporre che la massa di ogni porzione ∆ si conservi nel tempo.<br />

Allora l’Eq. (III.1.4) implica, essendo valida per ogni regione di integrazione<br />

∆t,<br />

˙ρ + ρ Div v = 0 (III.1.5)<br />

(equazione di continuità). L’equazione di continuità esprime quindi la conservazione<br />

della massa. Ciò si può visualizzare in modo leggermente diverso nella<br />

seguente maniera. Usando la forma alternativa del teorema del trasporto (vedi<br />

per esempio Eq. (III.1.3)) l’equazione di continuità si può riscrivere<br />

∂ρ<br />

+ Div (ρv) = 0 .<br />

∂t<br />

(III.1.6)<br />

Sia V una regione di V3 (quindi V appare fissa, e non è una porzione del<br />

continuo che viene seguita durante l’evoluzione). Integrando la (III.1.6) su V ,<br />

e usando il teorema di Gauss, si ottiene:<br />

<br />

∂ρ<br />

= −<br />

∂t<br />

ρv · n da<br />

V<br />

dove n è il versore normale di ∂V , orientato verso l’esterno. Questa equazione<br />

esprime il fatto che la variazione nel tempo della massa contenuta in V (membro<br />

di sinistra dell’equazione; infatti d<br />

∂ρ<br />

ρ = ) uguaglia il flusso entrante<br />

dt V V ∂t<br />

di particelle, espresso dal flusso del campo vettoriale −ρv (membro di destra).<br />

Si noti infine che la (III.1.6) è formalmente identica all’equazione di continuità<br />

dell’elettromagnetismo, a patto di sostituire ρ con la densità di carica elettrica<br />

e ρv con il vettore densità di corrente j.<br />

∂V<br />

∆t


(<strong>TERMO</strong>)<strong>DINAMICA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>SISTEMI</strong> <strong>CONTINUI</strong> 3<br />

Usando l’equazione di continuità, e ritornando all’Eq. (III.1.2), si ha la seguente<br />

Proposizione, che verrà sistematicamente impiegata nei successivi sviluppi.<br />

Proposizione III.1.1 Se H è una grandezza fisica la cui densità specifica<br />

è η, e si suppone verificata l’equazione di continuità, si ha<br />

d<br />

dt H(∆t)<br />

<br />

= ρ ˙η . (III.1.7)<br />

Dimostrazione. Segue dalla (III.1.3) usando l’equazione di continuità. <br />

Forze agenti su un continuo. Una delle assunzioni fondamentali della<br />

<strong>meccanica</strong> dei continui è che le forze siano distribuite; solo occasionalmente,<br />

nella formulazione di semplici modelli, si introducono forze concentrate, cioé<br />

applicate in punti isolati del continuo. In altre parole le forze agiscono in ogni<br />

parte ∆t del continuo in esame. Tali forze possono essere di due tipi:<br />

• forze di volume Fb, descritte da una densità specifica b, in modo che<br />

la forza totale di volume che agisce su una porzione ∆t di continuo sia<br />

data da<br />

<br />

Fb(∆t) = ρ b ;<br />

∆t<br />

esempi di forze di volume sono la forza peso (dove b non è altro che<br />

l’accelerazione di gravità g) o la forza elettrica (dove b = ρeE/ρ, essendo<br />

ρe la densità di carica elettrica ed E il campo elettrico);<br />

• forze di contatto Fc, che agiscono sulla superficie ∂∆t del volume ∆t,<br />

e che sostanzialmente descrivono le interazioni di contatto tra le varie<br />

parti del continuo. Esempio tipico di forze di contatto sono le forze di<br />

pressione, le tensioni (per esempio la tensione superficiale) e le forze<br />

d’attrito interne dei continui (forze viscose). Si assume inoltre che le<br />

forze di contatto si possano scrivere nella forma<br />

<br />

Fc(∆t) = t(n) da (III.1.8)<br />

(integrale di superficie) dove il campo vettoriale t (detto trazione) rappresenta<br />

la “densità superficiale di forze di contatto”. In accordo alla<br />

notazione, si assume che il vettore t dipenda, oltre che da x e dal<br />

tempo, dalle proprietà locali della superficie ∂∆t, riassunte nella normale<br />

n, considerata orientata verso l’esterno.<br />

Nota III.1.1. Nelle precedenti equazioni per la prima volta si introducono<br />

integrali di campi vettoriali, mentre sinora si è dato significato invariante, cioé<br />

indipendente dal sistema di coordinate, solamente all’integrale di grandezze<br />

scalari. Poiché l’integrazione corrisponde sostanzialmente a un processo di<br />

somma, integrare un campo vettoriale richiede la somma di vettori applicati in<br />

∂∆t<br />

∆t


4 UGO BRUZZO<br />

punti diversi, la quale operazione, come già discusso in precedenza, è priva di<br />

significato. Altra obiezione che si può sollevare è che il risultato dell’integrale è<br />

“un vettore non applicato”, e quindi non è un vettore nel senso della geometria<br />

differenziale. Si può comunque dare un significato a uguaglianze come quella<br />

che segue questa nota supponendo di usare sistemi di coordinate cartesiane<br />

ortogonali, e considerando l’integrale di un campo vettoriale come una terna<br />

di integrali di funzioni (le componenti del campo). Il risultato dell’integrale<br />

è allora una terna di numeri reali. Si verifica facilmente che la risultante<br />

uguaglianza è invariante per trasformazioni di coordinate, purché queste ultime<br />

siano limitate a coordinate cartesiane ortogonali. Per semplificare la<br />

discussione, e avendo visto che a equazioni di tale tipo è possibile dare senso<br />

compiuto, nel seguito accetteremo equazioni contenenti integrali di campi vettoriali.<br />

<br />

<strong>La</strong> risultante e il momento rispetto al polo xO delle forze che agiscono su ∆t<br />

sono definiti attraverso le relazioni<br />

<br />

R(∆t) =<br />

MO =<br />

<br />

∆t<br />

∆t<br />

<br />

ρ(x − xO) ∧ b +<br />

<br />

ρb +<br />

∂∆t<br />

∂∆t<br />

t(n) da (III.1.9)<br />

(x − xO) ∧ t(n) da . (III.1.10)<br />

Leggi di Eulero. Diamo dapprima una formulazione integrale delle leggi<br />

di conservazione della quantità di moto e del momento angolare. A questo<br />

scopo introduciamo, per ogni porzione ∆t del continuo, la sua quantità di<br />

moto P(∆t) e il suo momento angolare LO(∆t), quest’ultimo riferito a un polo<br />

xO che appaia fisso nel riferimento considerato, ponendo<br />

<br />

P(∆t) = ρv (III.1.11)<br />

<br />

LO(∆t) =<br />

∆t<br />

∆t<br />

ρ(x − xO) ∧ v . (III.1.12)<br />

Per analogia con la <strong>meccanica</strong> dei sistemi di punti materiali, dove valgono le<br />

equazioni cardinali, si assume quanto segue:<br />

in ogni sistema di riferimento inerziale l’evoluzione del continuo soddisfa le<br />

relazioni (dette leggi di Eulero)<br />

R(∆t) = d<br />

dt P(∆t), MO(∆t) = d<br />

dt LO(∆t) per ogni porzione ∆t del continuo<br />

(III.1.13)<br />

che esprimono rispettivamente il bilancio della quantità di moto e del momento<br />

angolare.<br />

Contrariamente a quanto avviene nella <strong>meccanica</strong> dei sistemi di punti materiali,<br />

dove le equazioni cardinali si dimostrano a partire dalla seconda legge della


(<strong>TERMO</strong>)<strong>DINAMICA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>SISTEMI</strong> <strong>CONTINUI</strong> 5<br />

dinamica, nella <strong>meccanica</strong> dei sistemi continui le leggi di Eulero non sono<br />

dimostrabili, ma sono degli assiomi. Si noti infine che il bilancio del momento<br />

angolare, così come scritto nella (III.1.13), si scosta dalla seconda equazione<br />

cardinale per l’assenza di un contributo contenente la velocità del polo O, in<br />

quanto il polo è qui assunto fermo.<br />

Usando la Proposizione (III.1.1), le derivate temporali che appaiono nella<br />

(III.1.13) si scrivono<br />

d<br />

dt P(∆t)<br />

<br />

=<br />

∆t<br />

ρ a ,<br />

d<br />

dt LO<br />

<br />

=<br />

∆t<br />

ρ (x − xO) ∧ a . (III.1.14)<br />

Le rappresentazioni (III.1.9), (III.1.10) e (III.1.13) permettono di porre le leggi<br />

di Eulero nella forma integrale<br />

<br />

<br />

ρb + t(n) da = ρ a , (III.1.15)<br />

<br />

∆t<br />

<br />

ρ(x − xO) ∧ b +<br />

∆t<br />

∂∆t<br />

∂∆t<br />

∆t<br />

<br />

(x − xO) ∧ t(n) da =<br />

∆t<br />

ρ (x − xO) ∧ a . (III.1.16)<br />

2. Forma locale delle equazioni di bilancio<br />

Tensore degli sforzi. Dalla forma integrale (III.1.15,16) delle equazioni<br />

di bilancio (Leggi di Eulero), vediamo che per poter mettere tali equazioni in<br />

forma locale, analogamente a quanto è stato fatto per l’equazione di bilancio<br />

relativa alla massa, è necessario trasformare gli integrali di superficie in integrali<br />

di volume, in modo da poter poi invocare l’arbitrarietà della regione<br />

di integrazione e dedurre l’uguaglianza degli integrandi. A questo scopo è<br />

necessario considerare un risultato, dovuto a Cauchy, il quale asserisce che la<br />

trazione t(n) si può esprimere mediante un tensore doppio T , detto tensore<br />

degli sforzi, in accordo alla formula<br />

t i (n) = T ik nk . (III.2.1)<br />

A livello dello sviluppo logico della presente trattazione, l’esistenza del tensore<br />

degli sforzi viene assunta come assioma. Tale assioma si può giustificare con<br />

la discussione seguente, la quale potrebbe essere affinata, sino a costituire una<br />

dimostrazione della (III.2.1), cosa che peraltro qui non ci proponiamo.<br />

Il teorema di Cauchy (cenno di dimostrazione). <strong>La</strong> “dimostrazione”<br />

della (III.2.1) assume che sia verificata l’equazione di bilancio della quantità<br />

di moto (III.1.15), e che le quantità ρa e ρb siano a ogni istante limitate come<br />

funzioni del posto.<br />

Si consideri una regione ∆ (il tempo è ritenuto fissato e verrà omesso dalla<br />

notazione) di continuo, che, con riferimento a un fissato sistema di coordinate<br />

cartesiane ortogonali centrate in un punto x del continuo, abbia la forma di


6 UGO BRUZZO<br />

un tetraedro avente per vertici l’origine e i punti (L, 0, 0), (0, L, 0) e (0, 0, L).<br />

Le lunghezze degli spigoli giacenti sugli assi coordinati valgono dunque L. Si<br />

scriva l’Eq. di bilancio (III.1.15) nella forma<br />

<br />

<br />

ρ(a − b) = t(n)da ; (III.2.2)<br />

∆t<br />

in base all’ipotesi di limitatezza, il membro di sinistra della (III.2.2) soddisfa<br />

la condizione <br />

<br />

<br />

<br />

ρ(a − b) <br />

≤ KL3<br />

∆<br />

essendo K un’opportuna costante positiva. Le precedenti equazioni implicano<br />

lim<br />

L→0<br />

1<br />

L2 <br />

t(n)da = 0 . (III.2.3)<br />

∂∆<br />

Denotiamo con Σ0 la faccia “obliqua” del tetraedro, con Σi la faccia ortogonale<br />

all’asse x i , e con A0, Ai le rispettive aree. Si vede elementarmente che, se n è<br />

la normale a Σ0, allora Ai = A0 ni. Usando il teorema della media, si ottiene<br />

<br />

dove z (k) , z (k)<br />

i<br />

∂∆t<br />

3<br />

t<br />

∂∆<br />

k (n) da = A0t k (n, z (k) ) +<br />

i=1<br />

A0<br />

<br />

t k (n, z (k) ) +<br />

3<br />

i=1<br />

Ait k (−ei, z (k)<br />

i ) =<br />

ni t k (−ei, z (k)<br />

i )<br />

sono per ogni k opportuni punti di Σ0 e Σi rispettivamente,<br />

ei è il versore dell’i-esimo asse coordinato, e si è usato il fatto che il versore<br />

normale a Σi è −ei. <strong>La</strong> notazione t(−ei, z) rappresenta la trazione relativa alla<br />

superficie di normale −ei valutata in zi. Ricordando l’Eq. (III.2.3), e notando<br />

che<br />

lim A0<br />

= c = 0 ,<br />

L→0 L2 si ha che effettuando il limite L → 0,<br />

3<br />

t(n, x) + nit(−ei, xi) = 0 , (III.2.4)<br />

i=1<br />

in quanto in tale limite i punti z (k) , z (k)<br />

i<br />

<br />

,<br />

vanno tutti a coincidere con x. Si<br />

noti che durante l’operazione di limite il versore n rimane costante. Ponendo<br />

n = ei la (III.2.4) fornisce<br />

t(ei, x) = −t(−ei, x)


(<strong>TERMO</strong>)<strong>DINAMICA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>SISTEMI</strong> <strong>CONTINUI</strong> 7<br />

per cui la (III.2.4) stessa si può riscrivere (sopprimendo la notazione della<br />

dipendenza da x)<br />

t(n) = n i t(ei) . (III.2.5)<br />

Ponendo t(ei) = T k i ek, la (III.2.5) si può scrivere<br />

t i (n) = T ik nk<br />

per cui si ottiene la (III.2.1). <br />

L’interpretazione fisica delle componenti del tensore degli sforzi appare chiara<br />

dalla (III.2.1) e dal significato della trazione t: la componente T ik rappresenta<br />

l’i-esima componente della forza di contatto che si manifesta su una superficie<br />

che nel punto considerato è normale al k-esimo asse coordinato. In particolare<br />

le componenti di T fuori diagonale vengono dette sforzi di taglio, mentre le<br />

componenti diagonali sono dette pressioni o tensioni a seconda che esse siano<br />

negative o positive, cioé a seconda che esse individuino forze dirette verso<br />

l’interno (pressioni) o verso l’esterno (tensioni) della superficie. Come primo<br />

esempio di tensore degli sforzi discutiamo brevemente il caso di un fluido perfetto,<br />

che verrà ripreso in maggior dettaglio nel Capitolo IV. Per definizione,<br />

un fluido perfetto è incapace di esercitare sforzi di taglio; in effetti, un fluido<br />

reale non troppo viscoso si dispone istantaneamente in modo tale da offrire<br />

la sua superficie a contatto con l’esterno perpendicolare allo sforzo; in particolare,<br />

un fluido perfetto prende in maniera praticamente istantanea la forma<br />

del contenitore in cui è posto. Matematicamente, ciò equivale al fatto che in<br />

coordinate cartesiane ortogonali T è diagonale. Inoltre, un fluido perfetto è<br />

isotropo, nel senso che non privilegia alcuna direzione; quindi T è un multiplo<br />

dell’identità. Poiché un fluido perfetto inoltre esercita solo pressioni, e non<br />

tensioni, si ha<br />

T ik = −pδ ik in coordinate cartesiane,<br />

(ovvero, T ik = −p gik in coordinate arbitrarie), essendo p una funzione non<br />

negativa. Il fatto che T sia proporzionale all’identità segue anche dal fatto che<br />

un tensore doppio che in ogni sistema di coordinate cartesiane ortogonali sia<br />

diagonale è necessariamente un multiplo dell’identità.<br />

Prima legge di Cauchy. In virtù del teorema di Cauchy, la prima legge di<br />

Eulero (III.1.15) ammette la rappresentazione<br />

<br />

<br />

ρb + T (n) da = ρ a , (III.2.6) .<br />

∆t<br />

∂∆t<br />

Una immediata generalizzazione del teorema di Gauss fornisce ora l’equazione<br />

<br />

<br />

<br />

T (n) da = Div T ; in componenti, T ik <br />

nk da = T ik ;k .<br />

∂∆t<br />

∆t<br />

∆t<br />

∂∆t<br />

∆t<br />

(III.2.7)


8 UGO BRUZZO<br />

Applicando questo risultato alla (III.2.6) si perviene alla relazione<br />

<br />

ρb + Div T = ρ a ,<br />

∆t<br />

∆t<br />

che si ritiene valida per ogni scelta della regione ∆t. Essa quindi implica<br />

∆t<br />

ρa = ρb + Div T . (III.2.8)<br />

L’Eq. (III.2.8), detta prima legge di Cauchy, rappresenta il bilancio della quantità<br />

di moto in forma locale, nel senso che essa è una relazione fra campi tensoriali,<br />

valida punto per punto. Inoltre la (III.2.8) è un’equazione alle derivate<br />

parziali, come risulta dalla scrittura (II.2.5) dell’accelerazione.<br />

Seconda legge di Cauchy. Vediamo adesso l’espressione locale dell’equazione<br />

di bilancio del momento angolare (III.1.16). Usando il teorema di Cauchy,<br />

questa si scrive<br />

<br />

<br />

<br />

ρ(x − xO) ∧ b + (x − xO) ∧ T (n) da = ρ (x − xO) ∧ a .<br />

∆t<br />

∂∆t<br />

Introducendo la prima legge di Cauchy (III.2.8), si ottiene<br />

<br />

<br />

(x − xO) ∧ T (n) da = (x − xO) ∧ Div T .<br />

∂∆t<br />

∂∆t<br />

Conviene adesso passare alla notazione in componenti, e in particolare usare<br />

coordinate cartesiane ortogonali. <strong>La</strong> precedente equazione diviene<br />

<br />

εijk (x j − x j<br />

O )T kh <br />

nh da = εijk (x j − x j<br />

O )T kh ;h ; (III.2.9)<br />

Ricordando che in coordinate cartesiane ortogonali le componenti del tensore<br />

di Ricci coincidono con il simbolo di Levi-Civita, e sono quindi costanti, si ha<br />

avendo usato il fatto che<br />

εijk (x j − x j<br />

O )T kh ;h = εijk (x j − x j<br />

O )T<br />

kh<br />

;h − εijk T kj ,<br />

(x j − x j<br />

O )<br />

∂xh = δ j<br />

h .<br />

Usando il teorema di Gauss il membro di destra della (III.2.9) diventa<br />

<br />

εijk (x j − x j<br />

O )T kh <br />

nh da − εijk T kj ,<br />

∂∆t<br />

∆t<br />

∆t<br />

O );h = ∂(xj − x j<br />

il contributo del primo termine di questa equazione al membro di destra della<br />

(III.2.9) si elide con il membro di sinistra. <strong>La</strong> (III.2.9) si riduce quindi a<br />

<br />

εijk T kj = 0 ;<br />

∆t<br />

∆t<br />

∆t


(<strong>TERMO</strong>)<strong>DINAMICA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>SISTEMI</strong> <strong>CONTINUI</strong> 9<br />

essendo la regione di integrazione arbitraria, si ottiene<br />

Moltiplicando per ε ihm , la (III.2.10) fornisce<br />

εijk T kj = 0 . (III.2.10)<br />

T hm − T mh = 0 ovvero T hm = T mh . (III.2.11)<br />

D’altra parte la (III.2.11) implica banalmente la (III.2.10). Troviamo quindi<br />

che, supposte valide l’equazione di continuità e il bilancio della quantità di<br />

moto, il bilancio del momento angolare equivale matematicamente alla simmetria<br />

del tensore degli sforzi. Ciò non significa che un generico sistema continuo<br />

abbia il tensore degli sforzi simmetrico; piuttosto, il significato della (III.2.10)<br />

è che fra le leggi che regolano l’evoluzione del sistema va inclusa la condizione<br />

che la parte antisimmetrica del tensore degli sforzi si annulli. In altri termini,<br />

l’Eq. (III.2.11) (detta seconda legge di Cauchy) non è una restrizione a priori<br />

sul continuo, ma una equazione del moto; infatti esistono sistemi il cui tensore<br />

degli sforzi ha una parte antisimmetrica (esempi sono le miscele o i continui micropolari,<br />

cioé i continui che su scala sufficientemente piccola hanno momenti<br />

di dipolo elettrico o magnetico non nulli).<br />

Teorema dell’energia cinetica. Iniziamo ora a discutere gli aspetti energetici<br />

della <strong>meccanica</strong> dei sistemi continui. In particolare, vedremo che la<br />

scrittura del teorema dell’energia cinetica (cioé il calcolo esplicito della derivata<br />

temporale dell’energia cinetica) ci porterà a concludere che, in generale, non<br />

è possibile dedurre o imporre la conservazione dell’energia <strong>meccanica</strong>, e che,<br />

conformemente ai risultati della termodinamica, per avere una legge di conservazione<br />

di tipo energetico è necessario prevedere l’esistenza di forme di energia<br />

non meccaniche. Ciò condurrà infine alla formulazione del primo principio<br />

della termodinamica, inteso come un’equazione di bilancio energetico che ogni<br />

possibile evoluzione del continuo deve necessariamente verificare.<br />

Definiamo l’energia cinetica relativa a una porzione ∆t del continuo come<br />

<br />

K(∆t) = 1<br />

2<br />

Dalla Proposizione III.1.1 si ottiene<br />

<br />

˙K(∆t) = 1<br />

2<br />

∆t<br />

∆t<br />

ρ v 2 .<br />

ρ d<br />

dt v2 <br />

=<br />

∆t<br />

ρv · a .<br />

Inserendo ora la prima legge di Cauchy (III.2.8), e passando alla notazione in<br />

coordinate, si ha<br />

<br />

˙K(∆t) =<br />

∆t<br />

vi(ρ b i + T ik ;k) . (III.2.12)


10 UGO BRUZZO<br />

Usando l’identità vi T ik ;k = (vi T ik );k−vi;k T ik e il teorema di Gauss, la (III.2.12)<br />

si scrive<br />

<br />

˙K(∆t) =<br />

∆t<br />

<br />

ρb · v +<br />

∂∆t<br />

<br />

t · v −<br />

∆t<br />

vi;k T ik . (III.2.13)<br />

Introduciamo ora le quantità<br />

<br />

Πb(∆t) = ρb · v = potenza delle forze di volume<br />

∆t <br />

Πc(∆t) = t · v = potenza delle forze di contatto<br />

∂∆t<br />

Π(∆t) = Πb(∆t) + Πc(∆t) = potenza totale<br />

e sostituiamo nella (III.2.13) la seconda legge di Cauchy (III.2.11). Il tensore<br />

degli sforzi si può allora ritenere simmetrico, per cui in luogo delle componenti<br />

vi;k del tensore gradiente di velocità possiamo inserire le componenti della<br />

parte simmetrica di quest’ultimo, cioé le componenti del tensore velocità di<br />

deformazione D (si veda il Par. II.4). <strong>La</strong> (III.2.13) si trascrive allora<br />

<br />

˙K(∆t) = Π(∆t) − Dik T ik . (III.2.14)<br />

L’Eq. (III.2.14) esprime il teorema dell’energia cinetica per i sistemi continui.<br />

In tale relazione si noti la presenza del termine − <br />

∆t Dik T ik , detto potenza<br />

degli sforzi, che non compare nel teorema dell’energia cinetica per i sistemi di<br />

punti materiali. In generale la presenza di tale termine preclude la validità di<br />

un teorema di conservazione dell’energia <strong>meccanica</strong>. In effetti, anche nel caso<br />

in cui esista una funzione “energia potenziale” U tale che ˙ U = −Π (cosa che<br />

in generale non avviene), si ottiene<br />

<br />

d<br />

(K + U) = − Dik T<br />

dt ik<br />

(III.2.15)<br />

per cui “l’energia <strong>meccanica</strong> totale” K +U non si conserva. Quindi la mancata<br />

conservazione dell’energia <strong>meccanica</strong> è dovuta al lavoro compiuto dagli sforzi.<br />

Ciò appare evidente dai due esempi seguenti.<br />

Esempio III.2.1. Nel caso in cui il continuo Bt sia un corpo rigido, si ponga<br />

∆t = Bt, e si assuma che le forze di volume (forze esterne) siano conservative.<br />

Le forze di contatto in questo caso sono le reazioni vincolari che assicurano<br />

la rigidità, le quali come noto hanno potenza nulla, Πc = 0. Si ha allora<br />

˙U = −Π, essendo U il potenziale delle forze esterne. Per un corpo rigido si ha<br />

inoltre D = 0 (criterio di rigidità di Eulero), per cui la (III.2.15) fornisce la<br />

conservazione dell’energia <strong>meccanica</strong>. <br />

∆t<br />

∆t


(<strong>TERMO</strong>)<strong>DINAMICA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>SISTEMI</strong> <strong>CONTINUI</strong> 11<br />

Esercizio III.2.1. Si dimostri l’identità<br />

tr D = ρ d 1<br />

dt ρ .<br />

Esempio III.2.2. Si consideri come continuo un fluido perfetto, per cui<br />

−T ik Dik = pgik Dik = ptr D; si ha allora<br />

<br />

− Dik T ik <br />

= pρ d 1<br />

dt ρ =<br />

<br />

ρp ˙υ<br />

∆t<br />

∆t<br />

avendo introdotto il volume specifico υ = 1/ρ. Quindi la potenza degli sforzi è<br />

il lavoro svolto dalle forze di pressione nell’unità di tempo. Se inoltre si assume<br />

p costante nello spazio si ha<br />

<br />

−<br />

∆t<br />

Dik T ik <br />

= p<br />

∆t<br />

∆t<br />

ρ ˙υ = p d<br />

dt vol(∆t)<br />

(si confronti con il termine “p dV ” delle trattazioni elementari dell’idrodinamica).<br />

<br />

Primo principio della termodinamica. <strong>La</strong> mancata conservazione dell’energia<br />

<strong>meccanica</strong> suggerisce il fatto che per ristabilire una conservazione dell’energia<br />

sia necessario considerare l’esistenza di forme di energia non <strong>meccanica</strong><br />

(calore). Già in termodinamica elementare si considera una legge di conservazione<br />

(il primo principio) dove sono incluse energie non meccaniche; usualmente<br />

il primo principio si scrive nella forma<br />

∆Q = L + ∆U (III.2.16)<br />

ed è enunciato dicendo che la quantità di calore che entra in un sistema termodinamico<br />

durante una trasformazione uguaglia la variazione dell’energia interna<br />

del sistema sommata al lavoro che il sistema compie sull’esterno. L’energia<br />

interna è una funzione che dipende solo dallo stato del sistema (“funzione<br />

di stato”), per cui una sua variazione rende conto del fatto che il sistema<br />

ha cambiato stato “internamente”. Infine, per una corretta interpretazione<br />

della (III.2.16) nell’ambito della termodinamica elementare, notiamo i seguenti<br />

punti:<br />

• non si assume l’esistenza di una “funzione calore”, ma si dà solo senso<br />

alla “quantità di calore scambiato”.<br />

• L’Eq. (III.2.16) si riferisce a trasformazioni fra stati in cui il sistema<br />

sta in equilibrio termodinamico. L’equilibrio termodinamico implica<br />

l’equilibrio meccanico, per cui l’energia cinetica è nulla prima e dopo<br />

la trasformazione. Per questo motivo, la (III.2.16) non contiene un<br />

termine cinetico.


12 UGO BRUZZO<br />

Vogliamo ora generalizzare il primo principio della termodinamica al caso dei<br />

sistemi continui. A questo scopo assumiamo l’esistenza di una funzione scalare<br />

U, detta energia interna, la quale ammette una densità specifica ε:<br />

<br />

U(∆t) = ρε , (III.2.17)<br />

e di una funzione scalare Q, che rappresenta fisicamente la quantità di energia<br />

non <strong>meccanica</strong> (calore) che entra nella porzione ∆t nell’unità di tempo, e che<br />

ammette una rappresentazione del tipo<br />

<br />

Q(∆t) = ρ r + h da . (III.2.18)<br />

∆t<br />

Nella (III.2.18) il campo scalare h rappresenta il flusso di calore che entra nella<br />

porzione di continuo attraverso la sua superficie, e rende quindi conto dei processi<br />

di conduzione. L’integrale di volume descrive invece processi per cui ogni<br />

porzione microscopica del continuo assorbe calore direttamente, senza interazione<br />

con i suoi vicini, e rende conto per esempio dei processi di trasporto<br />

di calore per irraggiamento. Infatti in tali processi, la materia assorbe (totalmente<br />

o parzialmente) delle onde elettromagnetiche, ed è tale energia assorbita<br />

per unità di massa del continuo che viene rappresentata nella (III.2.18) dal termine<br />

r. Quest’ultimo è usualmente detto rifornimento di energia.<br />

Imponiamo infine il primo principio nella forma<br />

∆t<br />

∂∆t<br />

Q(∆t) = −Π(∆t) + ˙ U(∆t) + ˙ K(∆t) . (III.2.19)<br />

Il primo principio è stato imposto a livello di potenze, e non di energie; questo<br />

permette di evitare il problema della non-esistenza della “quantità di calore”.<br />

Inoltre la potenza ha il segno opposto del lavoro nella (III.2.16) a causa delle<br />

diverse convenzioni. Infine, nella (III.2.19) compare un termine cinetico, in<br />

quanto il primo principio della termodinamica si assume valido istante per<br />

istante per ogni evoluzione del sistema, e non solamente in condizioni di equilibrio.<br />

Vogliamo ora scrivere il primo principio in forma locale. Usando le definizioni<br />

(III.2.17) e (III.2.18), la Proposizione (III.1.1), e il teorema dell’energia cinetica,<br />

si ottiene<br />

<br />

ρ r + h da = ρ ˙ε − T ik Dik . (III.2.20)<br />

∆t<br />

∂∆t<br />

∆t<br />

Per scrivere quest’ultima equazione in forma locale è necessario scrivere l’integrale<br />

di superficie sotto forma di integrale di volume. A questo scopo riscriviamo la<br />

∆t


(<strong>TERMO</strong>)<strong>DINAMICA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>SISTEMI</strong> <strong>CONTINUI</strong> 13<br />

(III.2.20) nella forma<br />

<br />

<br />

ik<br />

ρ ˙ε − ρ r − T Dik = h da . (III.2.21)<br />

∆t<br />

∂∆t<br />

Ragionando come si è fatto per l’introduzione del tensore degli sforzi, e in<br />

particolare assumendo che l’integrando del membro di sinistra della (III.2.21)<br />

sia limitato su Bt a ogni istante, e che il flusso di calore h dipenda dalla<br />

superficie su cui è valutato solo tramite la normale n a questa, appare naturale<br />

assumere l’esistenza di un campo vettoriale q tale che<br />

h = −q · n .<br />

Il segno meno è stato inserito per far sì che il flusso di q sia positivo quando<br />

il calore entra nella superficie; cioé, q punta nella direzione in cui si muove il<br />

flusso di energia.<br />

Usando il teorema di Gauss, si ottiene ora<br />

<br />

<br />

<br />

h da = − q · nda = − Div q<br />

∂∆t<br />

∂∆t<br />

per cui la (III.2.21), essendo valida per ogni regione ∆t, fornisce la forma locale<br />

del primo principio:<br />

ρ ˙ε = − Div q + ρ r + T ik Dik . (III.2.22)<br />

3. Temperatura ed equazioni costitutive; la seconda legge della termodinamica.<br />

È noto dalla termodinamica elementare che, nel momento in cui si preveda<br />

l’esistenza di forme di energia che a livello macroscopico non si possono interpretare<br />

<strong>meccanica</strong>mente, è anche necessario introdurre una nuova variabile per<br />

descrivere lo stato del sistema: la temperatura. Dal nostro punto di vista, ci<br />

limitiamo ad assumere l’esistenza di un campo scalare, dipendente dal tempo<br />

e strettamente positivo, denotato con θ(x, t) e detto campo di temperatura.<br />

In seguito all’introduzione di questa nuova variabile, l’evoluzione del sistema<br />

non è più descritta completamente dalla deformazione Ψt: è necessario specificare<br />

anche la temperatura. Diciamo processo termocinetico una specificazione<br />

dei campi dipendenti dal tempo v(x, t) e θ(x, t) (la specificazione ad ogni istante<br />

del campo di velocità è sostanzialmente equivalente alla specificazione<br />

della deformazione). Il processo termocinetico è l’equivalente in termo<strong>meccanica</strong><br />

dei continui della legge oraria del moto nella <strong>meccanica</strong> del punto materiale.<br />

<strong>La</strong> soluzione del problema del moto in termo<strong>meccanica</strong> dei continui<br />

consiste nella determinazione del processo termocinetico, una volta opportunamente<br />

fissate le condizioni iniziali e al contorno.<br />

∆t


14 UGO BRUZZO<br />

Equazioni costitutive. Abbiamo sinora imposto che l’evoluzione di un<br />

generico sistema continuo verifichi le seguenti condizioni, che esprimiamo in<br />

forma locale:<br />

˙ρ + ρ Div v = 0 equazione di continuità (1 eq. scalare)<br />

ρa = ρb + Div T bilancio della quantità di moto (3 eq. “scalari”)<br />

T ik = T ki<br />

bilancio del momento angolare (3 eq. “scalari”)<br />

ρ ˙ε = − Div q + ρ r + T ik Dik bilancio dell’energia (1 eq. scalare).<br />

Abbiamo quindi in totale 8 equazioni. Queste vanno considerate come equazioni<br />

del moto, nel senso che le evoluzioni reali del sistema sono tutte e solo quelle che<br />

verificano il sistema di equazioni alle derivate parziali formato dalle equazioni<br />

di bilancio. D’altra parte tale sistema contiene le seguenti incognite:<br />

ρ (densità di massa; 1 incognita)<br />

θ (temperatura; 1 incognita)<br />

v (campo di velocità; 3 incognite)<br />

b (densità delle forze di volume; 3 incognite)<br />

T (tensore degli sforzi; 9 incognite)<br />

r (rifornimento di energia; 1 incognita)<br />

q (vettore flusso di calore; 3 incognite)<br />

ε (energia interna specifica; 1 incognita)<br />

per un totale di 22 incognite. Vedremo più avanti che la formulazione del<br />

secondo principio della termodinamica richiede l’introduzione di un’ulteriore<br />

quantità scalare (entropia). Quindi il numero di incognite supera largamente<br />

il numero di equazioni. Sarebbe d’altra parte impensabile che lo schema sinora<br />

costruito fosse in grado di prevedere l’evoluzione di tutti i possibili continui,<br />

senza che il formalismo sia informato di quale continuo stiamo studiando!<br />

Le relazioni che specificano la natura del continuo sotto esame sono dette<br />

equazioni costitutive. Esse determinano il valore delle quantità sopra elencate<br />

in funzione del processo termocinetico. In generale tali relazioni sono date come<br />

funzionali del processo termocinetico, nel senso che i valori delle quantità in<br />

questione in un dato punto a un certo istante non dipendono solo dallo stato<br />

termocinetico del continuo in quel punto e a quell’istante, ma piuttosto dallo<br />

stato termocinetico in tutti i punti e a tutti gli istanti, con l’ovvia restrizione<br />

che lo stato futuro del continuo non possa influenzarne lo stato presente. Per<br />

esempio, potremmo assumere che in un fluido il tensore degli sforzi sia del tipo


(<strong>TERMO</strong>)<strong>DINAMICA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>SISTEMI</strong> <strong>CONTINUI</strong> 15<br />

Tik = −pgik, con la pressione p determinata dalla relazione<br />

t<br />

p(x, t) = dt ′<br />

<br />

−∞<br />

Bt ′<br />

d 3 x ′ G(v(x ′ , t ′ ), θ(x ′ , t ′ ), x, t) ,<br />

dove G è una funzione opportunamente regolare. Da questo punto di vista,<br />

l’ipotesi più semplice è che il valore di una quantità in un certo punto e a<br />

un certo istante dipenda dalla velocità e dalla temperatura in quel punto e a<br />

quell’istante. Per esempio, nei continui fluidi si assume usualmente p = p(ρ, θ),<br />

la quale equazione va letta nel senso<br />

p(x, t) = p(ρ(x, t), θ(x, t)) .<br />

Si noti che una dipendenza dalla densità è in ultima analisi una dipendenza<br />

dalla velocità, visto che le due grandezze sono legate dall’equazione di continuità.<br />

Esempio III.3.1. Come esempio realistico di equazione costitutiva consideriamo<br />

la legge di Fourier, che è la più semplice caratterizzazione possibile del<br />

processo di conduzione termica nei continui. L’esperienza mostra che, se si<br />

pone una porzione di un continuo solido o fluido fra due pareti piane parallele<br />

a distanza L, aventi superficie A e poste rispettivamente a temperature θ1 e<br />

θ2, con θ1 < θ2, la quantità di calore che viene trasferita per unità di tempo<br />

dalla parete calda alla parete fredda è con buona approssimazione data da<br />

Q = κA θ2 − θ1<br />

. (III.3.1)<br />

L<br />

Poiché il campo vettoriale q rappresenta proprio la quantità di calore per unità<br />

di tempo e per unità di superficie, la più naturale generalizzazione della legge<br />

sperimentale (III.3.1) nell’ambito della termo<strong>meccanica</strong> dei sistemi continui è<br />

q = −κ Grad θ (III.3.2)<br />

(legge di Fourier). Se nella (III.3.2) la quantità κ è uno scalare (coefficiente di<br />

conduttività termica), il processo di conduzione termica è isotropo, nel senso<br />

che il continuo non possiede direzioni privilegiate e quindi il flusso di calore<br />

avviene nella direzione del gradiente di temperatura. In generale, κ è invece un<br />

tensore: per esempio, in un cristallo il flusso di calore non ha necessariamente<br />

la direzione del gradiente di temperatura.<br />

<strong>La</strong> seconda legge della termodinamica. Dal punto di vista logico,<br />

il secondo principio della termodinamica svolge un ruolo diverso dai principi<br />

fisici sinora introdotti, espressi localmente dalle equazioni (III.1.5), (III.2.8),<br />

(III.2.11) e (III.2.22). Infatti questi ultimi sono intesi come restrizioni sulle<br />

possibili evoluzioni del sistema, per cui essi determinano, fra tutti le evoluzioni<br />

a priori concepibili, l’evoluzione effettiva del sistema a partire da fissate condizioni<br />

iniziali; essi sono quindi delle equazioni del moto. Viceversa, il secondo


16 UGO BRUZZO<br />

principio della termodinamica verrà inteso come un vincolo a priori sulla caratterizzazione<br />

costitutiva del continuo; ovvero, verrano considerati realistici, e<br />

quindi accettabili, solamente i modelli di continuo che soddisfino il secondo<br />

principio identicamente, per ogni possibile evoluzione del sistema che verifichi<br />

le equazioni di bilancio (conservazione di massa, quantità di moto, momento<br />

angolare ed energia).<br />

Un esempio in termodinamica elementare. Consideriamo un semplice<br />

esempio di calcolo di una variazione di entropia nell’ambito della termodinamica<br />

elementare. Il sistema sotto esame è costituito da una mole di gas ideale<br />

posto in contatto termico con un termostato a temperatura θ0. Il gas, partendo<br />

da uno stato iniziale di equilibrio termodinamico, subisce una compressione<br />

violenta (irreversibile), ottenuta applicando una pressione esterna pari<br />

al doppio della pressione iniziale P0 del gas, dopodiché si aspetta che si ristabilisca<br />

l’equilibrio termico. Poiché l’entriopia del gas è una funzione di stato,<br />

possiamo calcolarne la variazione lungo una qualsiasi trasformazione (fittizia)<br />

reversibile che porti dallo stato iniziale a quello finale. Per esempio, possiamo<br />

scegliere una compressione reversibile isoterma. In una tale trasformazione, la<br />

variazione di entropia del gas è<br />

Vi<br />

∆Hgas =<br />

dQ<br />

θ<br />

dove l’integrale si intende effettuato lungo la trasformazione considerata nello<br />

spazio dei parametri termodinamici, e dQ è il calore scambiato. Ricordando<br />

che in un gas ideale l’energia interna è funzione solo della temperatura, che nel<br />

nostro caso è costante, e usando l’equazione di stato pV = Rθ, con R costante<br />

dei gas perfetti, si ha dQ = pdV = Rθ0 dV , per cui<br />

V<br />

Vf dV Vf<br />

∆Hgas = R = R log = R log<br />

V Vi<br />

P0<br />

= −R log 2 < 0 .<br />

2P0<br />

Si noti che il calcolo della quantità ∆Hgas coinvolge l’equazione di stato; ovvero,<br />

nel linguaggio della <strong>meccanica</strong> dei continui, la sua valutazione richiede la<br />

conoscenza delle equazioni costitutive.<br />

Il calore che esce dal gas entra nel termostato. <strong>La</strong> variazione di entropia del<br />

termostato è<br />

∆Htermostato = ∆Qtermostato<br />

θ0<br />

= − ∆Qgas<br />

θ0<br />

= − L<br />

θ0<br />

= − 2P (Vf − Vi)<br />

θ0<br />

= R.<br />

Per il calcolo della variazione totale di entropia del sistema gas + termostato<br />

si ha<br />

∆Htotale = ∆Hgas + ∆Htermostato = R(1 − log 2) > 0


(<strong>TERMO</strong>)<strong>DINAMICA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>SISTEMI</strong> <strong>CONTINUI</strong> 17<br />

in accordo con la seconda legge della termodinamica, la cui formulazione<br />

nell’ambito della termodinamica elementare consiste nell’affermare che in ogni<br />

possibile trasformazione termodinamica di un sistema, l’entropia dell’universo<br />

cresce o al più rimane costante. In particolare, per una trasformazione reversibile<br />

l’entropia dell’universo rimane costante.<br />

Disuguaglianza di Clausius–Duhem. Ritornando ora nell’ambito della<br />

termo<strong>meccanica</strong> dei sistemi continui, vediamo come si possa esprimere la seconda<br />

legge della termodinamica in tale ambito. Sulla falsariga di quanto visto<br />

nel precedente esempio, appare naturale supporre l’esistenza di una grandezza<br />

fisica, detta entropia, la quale ammette una densità specifica η:<br />

<br />

H(∆t) = ρη .<br />

<strong>La</strong> quantità che non può decrescere nel tempo non è H, ma piuttosto la somma<br />

di H con l’entropia del resto dell’universo (cioé di tutto l’universo salvo la<br />

porzione di continuo ∆t). Poiché q · n rappresenta la quantità di calore per<br />

unità di tempo e per unità di superficie che esce da una superficie di normale<br />

n, mentre il calore per unità di tempo che esce dalla porzione per effetti di<br />

tipo volumico è −ρr, si suppone che valga la disuguaglianza<br />

<br />

˙H(∆t) +<br />

∂∆t<br />

∆t<br />

q · n<br />

da −<br />

θ<br />

<br />

∆t<br />

ρr<br />

θ<br />

≥ 0 . (III.3.3)<br />

<strong>La</strong> precedente discussione ha comunque una valore puramente euristico; la<br />

disequazione (III.3.3), detta disuguaglianza di Clausius–Duhem, è un assioma.<br />

Prima di discutere in che modo essa è ritenuta un assioma, vediamo come<br />

la (III.3.3) si porta dalla formulazione integrale a quella locale: è sufficiente<br />

usare il teorema di Gauss sull’integrale di superficie e invocare l’arbitrarietà<br />

della regione ∆t per ottenere<br />

ρ ˙η + Div<br />

<br />

q<br />

<br />

−<br />

θ<br />

ρr<br />

θ<br />

≥ 0 . (III.3.4)<br />

I processi termocinetici che verificano la (III.3.4) con il segno di uguale sono<br />

detti reversibili.<br />

<strong>La</strong> seconda legge della termodinamica consiste nell’assumere che ogni processo<br />

termocinetico che verifica le equazioni di bilancio soddisfi automaticamente<br />

la disuguaglianza (III.3.4). Un continuo che ammetta dei processi termocinetici<br />

che, pur verificando le equazioni di bilancio, non soddisfino la (III.3.4),<br />

è da considerarsi inammissibile. In altri termini, la seconda legge della termodinamica<br />

non è da considerarsi come una restrizione sui possibili processi<br />

termocinetici che un dato continuo può compiere, ma piuttosto come una restrizione<br />

sulla caratterizzazione costitutiva del continuo; possiamo accettare


18 UGO BRUZZO<br />

solo modelli di continuo che verifichino identicamentela seconda legge della<br />

termodinamica per tutte le evoluzioni ammesse dalle equazioni di bilancio.<br />

Imposizione della disuguaglianza di Clausius–Duhem. A stretto rigore,<br />

prima di imporre la disuguaglianza di Clausius–Duhem sarebbe necessario<br />

caratterizzare l’insieme dei processi termocinetici effettivamente ammissibili<br />

per il continuo sotto esame, ovvero l’insieme dei processi termocinetici che<br />

verificano le equazioni di bilancio; è infatti su questi ultimi che va imposta<br />

la disuguaglianza di Clausius–Duhem. Ciò equivarrebbe alla determinazione<br />

dell’integrale generale del sistema di equazioni alle derivate parziali costituito<br />

dal complesso delle equazioni di bilancio, la qual cosa è impossibile anche nei<br />

casi più elementari. Si può comunque aggirare questo ostacolo, perlomeno per<br />

una vasta classe di sistemi continui, mediante la seguente procedura.<br />

(i) Consideriamo innanzi tutto solamente sistemi il cui tensore degli sforzi<br />

sia simmetrico, in modo che l’equazione di bilancio del momento angolare sia<br />

verificata identicamente.<br />

(ii) Specifichiamo il processo termocinetico arbitrariamente e consideriamo<br />

l’equazione di continuità come un’equazione alle derivate parziali per la funzione<br />

densità; a questo punto l’equazione di continuità non deve più essere<br />

imposta.<br />

(iii) Usiamo la prima legge di Cauchy e il primo principio della termodinamica<br />

per determinare b e r, che ovviamente rinunciamo a caratterizzare costitutivamente.<br />

A questo punto i bilanci della quantità di moto e dell’energia non<br />

devono più essere imposti.<br />

In questo modo abbiamo ottenuto (per sistemi il cui tensore degli sforzi sia<br />

simmetrico) una classe di processi termocinetici che – pur non rappresentando<br />

l’integrale generale delle equazioni di bilancio – sicuramente soddisfano queste<br />

ultime. Usualmente l’applicazione della disuguaglianza di Clausius–Duhem a<br />

tale classe di processi termocinetici fornisce sufficienti informazioni.<br />

Esempio III.3.1. Sistema idrostatico omogeneo.<br />

È un sistema in cui il tensore<br />

degli sforzi è del tipo Tik = −pgik, e pressione, densità e temperatura non<br />

dipendono dal posto. Lo stato del sistema è quindi descritto da funzioni solo<br />

del tempo p, θ, V (usiamo il volume invece della densità per uniformità con<br />

le convenzioni correnti). L’energia interna e l’entropia di questo sistema sono<br />

date da funzioni U = U(V, θ) e H = H(V, θ). Per un sistema di questo tipo la<br />

disuguaglianza (III.3.4) si riduce a<br />

˙H − Q<br />

θ<br />

<br />

≥ 0 con Q =<br />

Bt<br />

ρr . (III.3.5)


(<strong>TERMO</strong>)<strong>DINAMICA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>SISTEMI</strong> <strong>CONTINUI</strong> 19<br />

Valutando esplicitamente la potenza degli sforzi, il primo principio si scrive<br />

Q = ˙ U + p ˙ <br />

∂U<br />

V = + p ˙V +<br />

∂V ∂U<br />

∂θ ˙ θ .<br />

<strong>La</strong> disuguaglianza (III.3.5) si scrive allora<br />

<br />

θ ∂H<br />

<br />

∂U<br />

− − p ˙V + θ<br />

∂V ∂V ∂H<br />

∂θ<br />

<br />

∂U<br />

− ˙θ ≥ 0 . (III.3.6)<br />

∂θ<br />

In base alla precedente discussione, il processo termocinetico è arbitrario; consideriamo<br />

allora la (III.3.6) prima per un certo processo termocinetico, poi per<br />

il processo che si ottiene invertendo l’ordine del tempo. In questo secondo processo<br />

le quantità ˙ V e ˙ θ cambiano segno, per cui la (III.3.6) deve valere anche<br />

nel verso opposto, ovvero vale come uguaglianza. Quindi un sistema omogeneo<br />

idrostatico può compiere solo trasformazioni reversibili.<br />

Nella (III.3.6) le quantità ˙ V e ˙ θ sono arbitrarie, per cui si ottiene infine la<br />

coppia di equazioni<br />

θ ∂H ∂U<br />

− − p = 0 (III.3.7a)<br />

∂V ∂V<br />

θ ∂H ∂U<br />

− = 0 . (III.3.7b)<br />

∂θ ∂θ<br />

Le equazioni (III.3.7) vincolano la caratterizzazione costitutiva del sistema; se<br />

l’energia interna si suppone assegnata, le (III.3.7) determinano l’entropia. Per<br />

esempio nel caso di gas ideale omogeneo, in cui si ha<br />

U = CV θ, p = Rθ<br />

V ,<br />

dove CV è detto calore specifico a volume costante ed R è la costante di stato<br />

dei gas perfetti, le (III.3.7) si scrivono<br />

∂H R<br />

=<br />

∂V V ;<br />

∂H CV<br />

= . (III.3.8)<br />

∂θ θ<br />

Le Eq. (III.3.8) costituiscono un sistema di equazioni differenziali per H che<br />

verifica le necessarie condizioni di integrabilità; infatti si ha<br />

<br />

∂ R<br />

=<br />

∂θ V<br />

∂<br />

<br />

CV<br />

= 0 .<br />

∂V θ<br />

<strong>La</strong> soluzione del sistema (III.3.8) è<br />

H(V, θ) = CV log θ<br />

θ0<br />

+ R log V<br />

dove V0 è θ sono costanti arbitrarie. Quest’ultima equazione esprime la forma<br />

generale dell’entropia di un gas ideale. * <br />

* Si veda ad esempio M. W. Zemansky, Calore e termodinamica,Zanichelli 1970.<br />

V0


20 UGO BRUZZO<br />

Esempio III.3.2. Fluido conduttore. Consideriamo un fluido conduttore di<br />

calore, caratterizzato dalle equazioni<br />

⎧<br />

⎪⎨ Tik = −pgik p = p(ρ, θ)<br />

ε = ε(ρ, θ) η = η(ρ, θ)<br />

⎪⎩<br />

q = −κ Grad θ .<br />

(III.3.9)<br />

Assumiamo che κ sia uno scalare, e studiamo le restrizioni che il secondo<br />

principio impone sulle quantità contenute nelle (III.3.9). Poiché<br />

<br />

q<br />

<br />

Div =<br />

θ<br />

1 1<br />

Div q − q · Grad θ ,<br />

θ θ2 la (III.3.4) si scrive<br />

ρθ ˙η + Div q + ρr − 1<br />

q · Grad θ ≥ 0 .<br />

θ<br />

Inserendo la legge di Fourier, ricavando il termine Div q − ρr dal primo principio,<br />

e sostituendo, si ottiene<br />

ρθ ˙η − ρ ˙ε − ptr D + κ<br />

θ Grad θ2 ≥ 0 . (III.3.10)<br />

Calcolando le derivate totali rispetto al tempo, e ricordando che tr D = Div v =<br />

− ˙ρ/ρ, la (III.3.10) si può mettere nella forma<br />

<br />

ρθ ∂η<br />

<br />

− ρ∂ε ˙θ + ρθ<br />

∂θ ∂θ<br />

∂η<br />

<br />

p<br />

− ρ∂ε + ˙ρ +<br />

∂ρ ∂ρ ρ<br />

κ<br />

θ Grad θ2 ≥ 0 . (III.3.11)<br />

Imponiamo ora che la (III.3.11) valga per alcuni processi termocinetici particolari.<br />

Consideriamo dapprima un processo in cui la temperatura non dipenda dal<br />

posto, per cui Grad θ = 0. Lo stesso ragionamento che nell’esempio precedente<br />

ha portato alle equazioni (III.3.7) fornisce le equazioni<br />

θ ∂η ∂ε<br />

−<br />

∂θ ∂θ<br />

= 0 (III.3.12a)<br />

θ ∂η ∂ε p<br />

− + = 0 (III.3.12b)<br />

∂ρ ∂ρ ρ2 che generalizzano le (III.3.7).<br />

Inserendo le (III.3.12) nella (III.3.11) si ottiene<br />

κ<br />

θ Grad θ2 ≥ 0<br />

la quale implica<br />

κ ≥ 0 . (III.3.13)<br />

Quest’ultima condizione asserisce che il calore fluisce dalle regioni del continuo<br />

a temperatura più elevata verso le zone a temperatura più bassa. Ciò non è


(<strong>TERMO</strong>)<strong>DINAMICA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>SISTEMI</strong> <strong>CONTINUI</strong> 21<br />

necessariamente verificato in modelli più complessi di quello sotto esame, in<br />

quanto la presenza di “pompe di calore” può invertire la direzione del flusso di<br />

calore; in altri termini, il calore fluisce dal freddo verso il caldo purché si compia<br />

lavoro sul sistema (come accade in un frigorifero). Comunque nel continuo che<br />

stiamo esaminando ciò non è possibile, in quanto non previsto dalle equazioni<br />

costitutive, per cui effettivamente il calore fluisce dal caldo verso il freddo. In<br />

questo senso la (III.3.13) è coerente con l’enunciato detto “di Clausius” del<br />

secondo principio, così come è formulato nella termodinamica elementare. *<br />

* Si veda per esempio M. W. Zemansky, op. cit.

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