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Marzo - Club Alpino Italiano

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ARGOMENTI. Le molte e contraddittorie realtà della regione alpina<br />

Quale progetto per le Alpi<br />

“Si pensa poco e si cammina poco verso il futuro.<br />

Così si può solo rotolare dentro la modernità che<br />

avanza. Salvo poi mobilitarsi e chiedere a gran<br />

voce, con tanto di manifestazione dei sindaci, la<br />

superstrada del fondovalle in Valtellina o bloccare<br />

l’alta velocità in Val di Susa”. Basterebbe questa<br />

frase per comprendere il senso della denuncia<br />

apparsa nelle pagine del Sole 24 Ore sotto il titolo<br />

“Alpi, distretto senza progetto”. L’immagine delle<br />

vallate alpine proposta da Aldo Bonomi nel<br />

giornale della Confindustria appare tutt’altro che<br />

lusinghiera (“…è un distretto triste. Di cui ci<br />

accorgiamo solo quando i lamenti territoriali<br />

diventano come in Val di Susa resistenza<br />

all’ipermodernità che avanza”) benché gli<br />

indicatori socio-economici risultino più alti rispetto<br />

al sistema Paese. Sulla necessità di condividere<br />

con le società locali un progetto e una visione del<br />

futuro intervengono ora, auspicando una rinnovata<br />

politica nazionale e trans-nazionale (europea) per<br />

la montagna, il presidente dell’UNCEM Enrico<br />

Borghi e il presidente del CAI Annibale Salsa,<br />

approfondendo i temi sviluppati nel quotidiano<br />

diretto da Francesco de Bortoli.<br />

Aldo Bonomi ha tratteggiato con la sua consueta capacità<br />

l’attuale situazione delle Alpi, da lui definite “distretto<br />

ricco ma senza un progetto”. E non vi è dubbio che<br />

nella nuova piattaforma alpina, baricentro e tessuto connettivo<br />

di un nuovo sistema economico che dimentica (finalmente) il<br />

concetto nazionalista di “spartiacque” (vedasi la brillante operazione<br />

di Profumo con il sistema del Credito Bavarese) coesistono<br />

oggi molte e contraddittorie realtà. Le Alpi italiane sono un<br />

concentrato di modernità e tradizione, antropizzazione e spopolamento.<br />

Lo spopolamento non è - in sé - né una maledizione divina né<br />

un fenomeno automatico. Se guardiamo alla catena alpina ci<br />

accorgiamo che esso è avvenuto solo in alcune zone: nelle Alpi<br />

francesi, così come in quelle svizzere e come in quelle<br />

dell’Austria dell’Ovest, sono più le zone in cui si è registrato un<br />

incremento demografico nell’ultimo decennio che uno spopolamento,<br />

che invece è maggiormente caratterizzante delle Alpi italiane<br />

e di quelle piemontesi in particolare. Se consideriamo che<br />

dal 1981 al 2000 la popolazione delle Alpi è passata da 13 a 14,2<br />

milioni di abitanti ci accorgiamo che il fenomeno spopolamento<br />

è soprattutto nostro, e che stiamo andando in controtendenza<br />

rispetto ai nostri partner transalpini.<br />

Esso è evidentemente figlio della deindustrializzazione, della<br />

stagnazione del mercato turistico e della crisi dell’agricoltura<br />

tradizionale: la combinazione di questi tre fattori ha certamente<br />

inciso sulla demografia di molti comuni montani piemontesi. Ma<br />

è figlio anche della scarsa sensibilità della politica ai temi della<br />

montagna, che ha prodotto politiche che oscillano tra il nostalgi-<br />

6 • Lo Scarpone n. 3 - <strong>Marzo</strong> 2006<br />

smo e il paternalismo, e quindi inefficaci per la costruzione di un<br />

vero modello produttivo per la montagna del Duemila.<br />

Perché di questo parliamo: senza un rilancio economico, produttivo<br />

e occupazionale, non si può né arrestare lo spopolamento<br />

né venire incontro alle nuove domande di welfare di una<br />

popolazione che - dove si stabilizza quantitativamente - invecchia<br />

progressivamente e quindi produce maggiori richieste<br />

finanziarie a una società locale non più in grado di assicurare da<br />

sola i cespiti da cui trarre risorse. Quando succede questo scatta<br />

il corto circuito: i giovani se ne vanno, e con essi gli unici soggetti<br />

in grado di produrre il reddito necessario per mantenere attiva<br />

una società anziana e più necessitante di interventi. Se la politica<br />

non effettua la perequazione fiscale (come in questi anni)<br />

ecco la “desertificazione” dei territori.<br />

E’ urgente quindi porre il tema del modello economico, del<br />

rilancio produttivo della montagna che pure è un consistente<br />

giacimento di risorse oggi nuovamente contabilizzabili: acqua,<br />

energia, ambiente, aria, legno, pietra sono tutti capitoli di una<br />

nuova economia che dalla montagna può produrre reddito,<br />

secondo il nostro slogan “la montagna: da problema a risorsa, da<br />

risorsa a mercato”.<br />

Il punto è trovare il giusto equilibrio ambientale (il famoso sviluppo<br />

sostenibile) e mettere i territori montani e le loro popolazioni<br />

in grado di governare le filiere produttive e godere del loro<br />

valore aggiunto. Altrimenti è una nuova colonizzazione. Ma per<br />

fare questo servono scelte politiche vere, la volontà di applicare<br />

davvero il principio di sussidiarietà, e non nuovi o antichi centralismi<br />

(statali o regionali, cambia poco) che continuano a concepire<br />

la montagna come “il tesoro della corona”, di un regno<br />

evidentemente incentrato sulla metropoli o, peggio, di “periferia<br />

dell’Impero”.<br />

Il punto è esattamente questo: in Italia si concepisce la montagna<br />

come un puro spazio integrativo tra le grandi città, quando<br />

non come una barriera da spianare. Da ciò discendono risposte<br />

politiche errate, e la compressione (elevatasi in maniera forte in<br />

questi ultimi cinque anni) degli spazi delle autonomie locali della<br />

montagna. Occorre reimpostare l’edificio dalle basi, concependo<br />

invece la montagna non come mero territorio extraurbano, ma<br />

come realtà specifica e molteplice, in cui convivono molti aspetti<br />

(dalla montagna turistica a quella agricola, da quella manifatturiera<br />

a quella postindustriale).<br />

In questo occorre avere il coraggio di investire sulla sussidiarietà<br />

istituzionale. Certo, i comuni montani sono troppo piccoli,<br />

troppo frazionati e di dimensioni non consone alle politiche di<br />

promozione economica e alla logica essenziale delle economie di<br />

scala per l’erogazione dei servizi. E spesso le mentalità di campanile<br />

sono i primi freni allo sviluppo. E’ per questo che occorre<br />

rilanciare e sostenere l’esperienza delle Comunità montane,<br />

strumento da riformare e rafforzare anziché penalizzare, come<br />

fatto finora. Perché solo creando ambiti territoriali in cui economia,<br />

società e ambiente si integrano e si intrecciano è possibile<br />

governare dal basso una realtà così complessa.<br />

Occorrerebbe quindi una politica nazionale e trans-nazionale<br />

(europea) per la montagna, in cui l’Unione Europea, lo Stato, le<br />

Regioni e gli Enti Locali cooperassero realmente e lealmente<br />

creando una scala virtuosa della sussidiarietà incentrata sulla<br />

specificità montana: è il messaggio in bottiglia che lanciamo a<br />

questa legislatura parlamentare che va aprendosi.<br />

Enrico Borghi Annibale Salsa<br />

Presidente UNCEM Presidente CAI

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