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30.05.2013 Views

76 talenthunter a cura di daniele perra DANIELE MArZorATI Che libri hai letto di recente? Sto per finire La somiglianza per contatto di Georges Didi-Huberman, prima La piega. Leibniz e il barocco di Gilles Deleuze, e una breve storia di José Saramago, Il racconto dell’isola sconosciuta, che ho riletto più e più volte. Che musica ascolti? De Andrè, Afterhours, comunque dipende dalla giornata. Città che consiglieresti di visitare e perché. Bucarest. È una città che non si può immaginare, da 5 anni la rivisito di continuo e paradossalmente è tanto assordante da azzittirti. Tutti i miei istinti per potervi produrre un lavoro, lì sono bloccati. I luoghi che ti hanno particolarmente affascinato. Tutti i posti che mi ritornano in mente hanno a che fare con l’altitudine o, se vogliamo ribaltare la faccenda, con una sorta di diminuzione della gravità. La funivia che percorre un intero ghiacciaio a 4.000 metri. Un giorno Classe 1988, sta terminando il triennio alla NABA di Milano e di recente ha preso parte a un workshop alla XIV Biennale Internazionale di Scultura a Carrara, tenuto dall’artista polacco Grzegorz Kowalski. Leggerezza e pesantezza, interno ed esterno: sono questi gli elementi su cui ruota la sua ricerca artistica. Daniele Marzorati realizza performance, che documenta con brevi filmati, e studi pittorici sulle pagine di piccoli diari, che con la materialità della pittura acquistano tridimensionalità. Ma la forza del suo lavoro va verso una direzione: la scultura. Senza confini, perché oggi “non hanno motivo d’essere”... Io non vivo mai negli spazi antropologici - 2009 - performance lo vorrei percorrere a piedi, intorno non c’è nulla, e il ghiaccio a volte è fragile. Le pellicole che hai amato di più. Quelle di Antonioni sono terrificanti, nel senso buono! Se rivedi i suoi film mille e mille volte non finisci mai d’imparare, Deserto rosso su tutti. Mi piace il modo con cui si astraeva e faceva funzionare il “meccanismo film”, così, da solo, un po’ come il pensiero di Boetti. Le mostre visitate che ti hanno lasciato un segno. Nel 2004 Joan Miró, Alchimista del segno a Como forse mi ha avvicinato ai primi disegni. Poi la collezione della Fondazione Beyeler a Basilea, Gianni Colombo al Castello di Rivoli, alcune sezioni della Biennale a Carrara e il Maxxi a Roma. Gli artisti del passato per i quali nutri interesse. Pontormo, Auguste Rodin, Jean- Auguste-Dominique Ingres, Peter Paul Rubens, Giovanni e Nicola Pisano, Constantin Brancusi, Medar- do Rosso, Joseph Beuys, Gino de Dominicis, Robert Rauschenberg, Sol LeWitt, Giuseppe Penone, Neo Rauch... insomma, troppi per scrivere un elenco finito. E i giovani a cui ti senti vicino, artisticamente parlando? È da un po’ di tempo che m’interessa il lavoro di Giuseppe Gabellone, prima di lui alcuni lavori di Christian Frosi, poi di Tomas Saraceno, Thomas Houseago, Marco Bongiorni... Che formazione hai? Liceo artistico, ora sto per finire il triennio in Pittura e Arti visive alla NABA di Milano. Hai seguito un workshop con l’artista polacco Grzegorz Kowalski. Cosa ricordi di quest’esperienza? Carrara porta da sola un’energia in sé, nella montagna di marmo. Lì si crea un vuoto che è già scultura. Di Grzegorz Kowalski, la sua clinicità e la pulizia di pensiero limata da orpelli inutili. È stato un vero confronto aperto a tutto e tutti, reale democrazia. Le tue opere sembrano essere accomunate da un binomio costante ma allo stesso tempo contrastante: leggerezza e pesantezza, interno ed esterno. Penso alla scultura con le pietre e la scansione di una di queste o al lavoro fotografico con la scorza di mandarino. Ti ritrovi in questa mia lettura? M’interessa molto il limite delle cose, che sia superficie o meno non capisco mai fin dove esistono. Se dico: interno /esterno è già sufficiente a mettere in dubbio il mio pensiero, la mia posizione. La domanda successiva è: allora dove terminano questi due? Ecco perciò la mia attenzione per una sorta di formazione del pensiero come relazione nello spazio, che non si identifica mai definitivamente. L’idea poi di ribaltare le cose è costante o, meglio, d’avere uno sguardo, un sotto-sopra, una linea d’orizzonte che appartiene a chissà quale dei due lati. È inutile oggi delimitare dei confini, non hanno motivo d’essere. Hai realizzato due performance fatte di gesti semplici. In un caso la performance si è trasformata in un’immagine fotografica come in laltrapartedelcielo, in altri casi le hai riprese, al solo scopo di documentazione, con brevi filmati. Da cosa nascono le tue azioni? Una premessa m’impone la performance come interessante, solo se non risulta teatrale. Penso dunque alle mie come a “sculture globali”, minime certamente e che lavorano con una loro ripetitività, producendo la possibilità di uno sguardo distante. Da dove nascono in realtà non lo capisco, ritengo essenziale non concepirle come gesti, in esse non voglio entri in azione un’emotività aliena. So che potrebbero essere eseguite da tutti, un’ulteriore forma di calco sempre differente; di queste ritengo importante che formino appunto una “scultura del pensiero”, non fisica, e che lavorino nello spazio, inteso non come luogo cartografico, piuttosto come posizione senza riferimenti, smontabile e ricomponibile. Hai raccolto sulle pagine di piccoli diari alcune pitture che “parlano” di scultura. Le consideri studi preparatori? Che rapporto hai con il mezzo pittorico? Non li considero studi preparatori, esistono come studi e basta. Questi formano delle specie di assimilazioni. Ecco perché hanno la forma del diario, contengono una continuità, a rimarcare una fissità come insistenza lavorativa, consumativa. Scorso dunque tutto il libretto, se ipoteticamente cucissi i disegni intorno a un cilindro, ruotandovi attorno potrei ottenere una sorta di scultura piana, come fosse costruita da tantissime fotografie di particolari, una vicina all’altra. Un giorno “sfogliavo” Bacon: trovo interessantissimo il suo processo, la moltitudine di pagine strappate, cancellate e piegate su cui interveniva in diversi modi, quasi ad attaccare la materia, intuendola in modo differente. Stai lavorando con la fotografia. Cosa ti interessa di quel mezzo? La fotografia è un mezzo straordinario già di per sé. Esiste prima d’essere prodotta. Mi dà la possibilità di mantenermi rigido rispetto a ciò che mi si presenta, ed è il metodo di partenza per la comprensione del segno pittorico. È un lavoro mentale: la si deve scattare per ottenere sostanzialmente un’incisione che rimanga visibile, ma in realtà sarà totalmente differente da come ci si presenta nell’obiettivo. Proprio in quel motivo si gioca la possibilità di questo mezzo: costituisce un’altra evenienza dello sguardo, disambiguo e con una straordinaria “dislessia” in se stesso.

fotofinish 77 In senso orario da in alto a sinistra: Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir; Simona Marchini; Rita Levi Montalcini; Achille Bonito Oliva; Vittorio Gasmann, Eduardo de Filippo e Marcello Mastroianni; Maria Luisa Frisa; Giorgio de Chirico. Al centro, dall’alto in basso: Carmelo Bene e Lydia Mancinelli; Oliviero Toscani. Umberto Pizzi - C’era un volto è il titolo della mostra, curata da Micol Veller, che dal 18 novembre si tiene a Roma all’Auditorium - Parco della Musica e che celebra il noto fotografo per una volta al di fuori delle atmosfere cafonal di cui è interprete, per conto di Dagospia, da dieci anni a questa parte. Paparazzo vero e quindi narratore, il fotoreporter Pizzi è uno dei monumenti della post-Dolce Vita romana. I settanta scatti in mostra puntano a porre l’accento sul valore artistico e professionale del lavoro fotografico di Pizzi. Exibart concede a Umberto Pizzi una passerella privilegiata per un ingresso “ufficiale” nel mondo dell’arte attraverso un’intera pagina dedicata al maestro, con alcuni scatti inediti che non troverete né in mostra, né sul catalogo. Per questo numero la nostra classica pagina dedicata alle foto gossip dai vernissage e dalle serate frequentate dal mondo dell’arte italiano e internazionale vengono sostituite dagli scatti di Pizzi a personalità del mondo intellettuale dagli anni ‘60 a oggi. Lo sguardo netto di un artista che da mezzo secolo riesce a interpretare lo spirito profondo dei personaggi noti e di coloro che noti vorrebbero diventare. dal 18 novembre al 4 dicembre. Umberto Pizzi - C’era un volto. Fotografie 1965-2010. Dalle ore 11 alle 18. Tel. 06 6872700 - info@micolveller.com

fotofinish 77<br />

In senso orario<br />

da in alto a sinistra:<br />

Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir;<br />

Simona Marchini; Rita Levi Montalcini;<br />

Achille Bonito Oliva; Vittorio Gasmann,<br />

Eduardo de Filippo e Marcello<br />

Mastroianni; Maria Luisa Frisa;<br />

Giorgio de Chirico.<br />

Al centro, dall’alto in basso:<br />

Carmelo Bene e Lydia Mancinelli;<br />

Oliviero Toscani.<br />

Umberto Pizzi - C’era un volto è il titolo della mostra, curata da Micol Veller, che dal 18 <strong>novembre</strong> si tiene a Roma all’Auditorium - Parco della Musica e che<br />

celebra il noto fotografo per una volta al di fuori delle atmosfere cafonal di cui è interprete, per conto di Dagospia, da dieci anni a questa parte. Paparazzo<br />

vero e quindi narratore, il fotoreporter Pizzi è uno dei monumenti della post-Dolce Vita romana. I settanta scatti in mostra puntano a porre l’accento sul valore<br />

artistico e professionale del lavoro fotografico di Pizzi. Exibart concede a Umberto Pizzi una passerella privilegiata per un ingresso “ufficiale” nel mondo<br />

dell’arte attraverso un’intera pagina dedicata al maestro, con alcuni scatti inediti che non troverete né in mostra, né sul catalogo. Per questo <strong>numero</strong> la nostra<br />

classica pagina dedicata alle foto gossip dai vernissage e dalle serate frequentate dal mondo dell’arte italiano e internazionale vengono sostituite dagli scatti<br />

di Pizzi a personalità del mondo intellettuale dagli anni ‘60 a oggi. Lo sguardo netto di un artista che da mezzo secolo riesce a interpretare lo spirito profondo<br />

dei personaggi noti e di coloro che noti vorrebbero diventare.<br />

dal 18 <strong>novembre</strong> al 4 dicembre. Umberto Pizzi - C’era un volto. Fotografie 1965-2010. Dalle ore 11 alle 18. Tel. 06 6872700 - info@micolveller.com

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