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free | anno nono | numero sessantanove | novembre ... - Il Mattino

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60 tornaconti<br />

a cura di alfredo sigolo<br />

<strong>Il</strong> rItorno<br />

dell’artIgIano<br />

Iper-professionalizzazione dei processi (e dei prodotti)? Delocalizzazione delle mansioni?<br />

Segmentazione degli incarichi nell’industria artistica che deve produrre opere d’arte a tutto vapore?<br />

Tutto vero, sì, salvo eccezioni, che puntano al riavvicinamento dell’artista a una qual certa manualità...<br />

La grande mostra di Maurizio<br />

Cattelan a Milano diventa un’ottima<br />

occasione per riflettere sul mestiere<br />

dell’artista a cavallo del nuovo secolo.<br />

A partire dagli anni ‘90 la grande fortuna<br />

avuta dall’arte contemporanea<br />

ha prodotto senza dubbio profondi<br />

cambiamenti non solo strutturali, ma<br />

anche nei suoi protagonisti ed eroi.<br />

Che si sono dovuti confrontare con i<br />

nuovi scenari globalizzati, quelli stessi<br />

profetizzati da Jean-François Lyotard<br />

già alla fine degli anni ’70, caratterizzati<br />

dalla crisi delle “grandi narrazioni”<br />

e dall’arretramento degli statinazione<br />

a vantaggio di nuovi equilibri<br />

trasversali governati dall’economia.<br />

Tramontata definitivamente l’idea<br />

classica dell’artista demiurgo che<br />

assomma in sé l’artigiano e il divino,<br />

la pratica e l’idea, un nuovo individualismo<br />

conduce l’artista a farsi protagonista<br />

diretto delle nuove dinamiche<br />

dell’arte dominata dal mercato, secondo<br />

logiche di carattere imprenditoriale.<br />

L’impresa d’artista è molto distante<br />

dalla “bottega” di classica memoria,<br />

che si fondava sull’apprendistato e<br />

sulla trasmissione di competenze dal<br />

maestro verso gli allievi. È più simile<br />

a un’azienda che individua le competenze<br />

necessarie al raggiungimento<br />

di obiettivi strategicamente definiti.<br />

Nel 2008 il Guardian pubblicava un<br />

interessante articolo sull’industria<br />

che si muove intorno al mestiere<br />

d’artista. Qualche esempio? A<br />

Brighton la Millimetre è una vera<br />

e propria fabbrica a disposizione<br />

per la realizzazione dei più disparati<br />

progetti artistici. Dietro gli animali<br />

imbalsamati di Damien Hirst c’è<br />

lo studio di Gloucestershire gestito<br />

dall’inseparabile assistente Emily<br />

Mayer, mentre Tristan Simmonds è<br />

l’ingegnere e progettista che ha reso<br />

possibili le idee di Antony Gormley o<br />

Anish Kapoor. Si dice che se qualcuno<br />

tirasse una bomba sullo studio<br />

di un oscuro personaggio nominato<br />

Michael Smith il volto dell’arte contemporanea<br />

britannica ne uscirebbe<br />

stravolto. Dal suo lavoro dipendono<br />

infatti artisti come Rachel Whiteread,<br />

Gary Hume, Gavin Turk, Keith<br />

Tyson, Jake & Dinos Chapman,<br />

Max Wallinger.<br />

Tra agenti e dealer, assistenti, progettisti<br />

e artigiani che realizzano le<br />

loro opere, la figura dell’artista che<br />

unisce il genio all’abilità e al virtuosismo<br />

tecnico è un’astrazione oggi<br />

molto distante dal vero. La spiegazione<br />

è persino banale: per un artista di<br />

media fama, con un mercato internazionale,<br />

il <strong>numero</strong> di opportunità di<br />

esporre i lavori supera la sua capacità<br />

di produrli.<br />

Certo l’idea di un’arte pianificata,<br />

programmata sulla scorta di scelte<br />

strategiche che sembrano avere più<br />

affinità con il marketing che con una<br />

qualche forma di Weltanschauung<br />

non è propriamente affascinante,<br />

ma di fatto ha rappresentato perfettamente<br />

quello che si è voluto defi-<br />

Sembra crescere una nuova sensibilità<br />

che prova a reagire ai rigidi modelli<br />

imposti dall’economia, rivendicando<br />

il riscatto della creatività applicata<br />

nire “nuovo Rinascimento”, un’epoca<br />

che ha portato l’arte a specchiarsi<br />

nel suo mercato. Probabilmente il<br />

Damien Hirst più interessante non è<br />

tanto quello che squarta gli animali<br />

ma piuttosto quello che organizza<br />

un’asta dei propri lavori, o quello che<br />

realizza l’opera più costosa del mondo.<br />

Ma potremmo citare il gallerista<br />

al muro e la Wrong gallery di Cattelan<br />

e giungere fino al suicidio del<br />

collezionista di Elmgreen & Dragset<br />

[nella foto di Manolo Remiddi], solo<br />

per evidenziare alcuni esempi autoreferenziali<br />

che sembrano introdurre,<br />

su altri fronti, produzioni seriali<br />

improntate a una sorta di perpetuo<br />

autocitazionismo.<br />

La recente crisi dalla quale anche<br />

l’industria culturale mondiale sta faticosamente<br />

tentando di risollevarsi ha<br />

pericolosamente intaccato non solo il<br />

comparto economico, ma anche (e<br />

diremmo soprattutto) le strutture<br />

come i musei e le pubbliche collezioni<br />

che in qualche modo dovrebbero<br />

fungere da garanti e ammortizzatori,<br />

mostrando tutti i limiti di un sistema<br />

dell’arte dall’andamento centripeto rispetto<br />

all’economia che certamente<br />

non ha risparmiato neppure la figura<br />

dell’artista.<br />

Forse mai come oggi, anche dopo le<br />

sterili polemiche che h<strong>anno</strong> preceduto<br />

la mostra di Maurizio Cattelan a<br />

Milano, la figura disincantata e cinica<br />

dell’artista degli anni ‘90 ci appare<br />

offuscata, quasi avesse perso di autorevolezza.<br />

Nel frattempo però, in altri contesti,<br />

sembra crescere una nuova sensibilità<br />

che prova a reagire ai rigidi modelli<br />

imposti dall’economia, rivendicando<br />

il riscatto della creatività applicata.<br />

Una sorta di neo Arts & Crafts che<br />

però, a differenza del movimento<br />

che a cavallo tra XIX e XX secolo si<br />

opponeva all’industrializzazione, non<br />

nasce in una cerchia intellettuale<br />

come quella di cui facevano parte<br />

John Ruskin e William Morris, ma si<br />

muove dal basso, tra i giovani e la<br />

gente comune.<br />

Recentemente è uscita in Italia la traduzione<br />

dell’opera del sociologo americano<br />

Richard Sennett dal titolo L’uomo<br />

artigiano (titolo originale The craftsman,<br />

2008) che analizza dapprima<br />

la progressiva decadenza nel mondo<br />

contemporaneo post-industriale della<br />

figura dell’artigiano, almeno nelle<br />

forme tramandate storicamente, e<br />

celebra poi la sua rinascita in nuovi<br />

ambiti come la tecnologia. Esemplare<br />

è poi l’esperienza di Matthew<br />

Crawford: smessi i panni del colletto<br />

bianco a Washington, ha aperto un<br />

negozio di riparazione di cicli e moto,<br />

riscoprendo il valore etico del lavoro<br />

manuale. <strong>Il</strong> suo libro di successo, <strong>Il</strong><br />

lavoro manuale come medicina dell’anima,<br />

rivendica la funzione sociale ed<br />

etica dell’artigianato.<br />

Di qualche <strong>anno</strong> precedenti sono<br />

le riflessioni di Charles Leadbeater:<br />

amateur professionalism è un ossimoro<br />

creato dal teorico britannico,<br />

già consigliere di Tony Blair, per de-<br />

finire tutto quel complesso di attività<br />

esercitate a livello dilettantistico,<br />

prevalentemente nel tempo libero, le<br />

quali opportunamente coltivate, indirizzate<br />

e organizzate possono fornire<br />

modelli alternativi di sviluppo economico<br />

e produrre determinanti capitali<br />

culturali.<br />

La sua Pro-Am Revolution è il riscatto<br />

della creatività amatoriale dopo un<br />

secolo di oscurantismo determinato<br />

dal mito della specializzazione estrema<br />

e della gerarchizzazione dei saperi.<br />

Sono soprattutto le nuove tecnologie<br />

a fornire le infrastrutture che<br />

servono e favoriscono la diffusione di<br />

questo fenomeno: i social network, il<br />

peer to peer, gli open source, attraverso<br />

questi e altri canali si generano<br />

community che condividono e si<br />

toplot a cura di santa nastro<br />

scambiano saperi vecchi e nuovi, nei<br />

più disparati settori della creatività.<br />

Quasi a confermare questi spunti,<br />

Federico Rampini sulle pagine de La<br />

Repubblica qualche mese fa celebrava<br />

il successo di Etsy che, con 724<br />

milioni di visitatori al mese, è un portale<br />

che dal 2005 si è posto come<br />

obiettivo il commercio e la diffusione<br />

di tutto quanto si definisce handmade.<br />

L’artista contemporaneo negli ultimi<br />

decenni sembrava aver abdicato alle<br />

pratiche manuali nel suo lavoro, di<br />

fatto privandosi in prima persona (e<br />

privando al pubblico di conseguenza)<br />

di tutta una serie di valori che un<br />

tempo costituivano importanti elementi<br />

di distinzione come la ricerca<br />

sulle tecniche, la sperimentazione<br />

diretta dei materiali, l’esercizio e lo<br />

sviluppo di abilità, la perizia artigianale<br />

e la pratica virtuosa. Non che<br />

questi siano scomparsi, semplicemente<br />

sono stati demandati, differiti<br />

e delocalizzati.<br />

Eppure c’è chi intravede anche<br />

nell’arte i segnali di un cambiamento<br />

di rotta. Recentemente, è parso significativo<br />

il progetto A basic human<br />

impulse della Civica Galleria di Monfalcone<br />

nel quale Andrea Bruciati ipotizza,<br />

sulla scia di Sennett, un ritorno<br />

alle pratiche artigianali e un dialogo<br />

più serrato con il design. Ancor prima,<br />

nello Spazio Brown di Milano<br />

riflessioni sul concetto del “fare” h<strong>anno</strong><br />

caratterizzato progetti come Let’s<br />

forget about today until Tomorrow di<br />

Marco Tagliafierro o L’uomo ridotto.<br />

È possibile che siamo alla vigilia di un<br />

ritorno della manualità nell’arte?<br />

A rispondere positivamente anche un<br />

progetto padovano in corso, curato<br />

da Guido Bartorelli e intitolato Art/<br />

Tube - creatività a bassa risoluzione,<br />

nel quale alcuni giovani artisti contemporanei<br />

sono messi a confronto<br />

con gli anonimi creativi che affollano<br />

YouTube: una sfida che si fa davvero<br />

dura. <br />

L’arte è alla ricerca di nuove mete? Forse no, ma da Christie’s a<br />

ottobre si sono segnalati risultati sorprendenti per i tre appuntamenti<br />

dedicati all’arte islamica (Art of the Islamic and Indian Worlds,<br />

Oriental Rugs and Carpet, Indian and Islamic Works of Art and<br />

Textiles) che h<strong>anno</strong> totalizzato a Londra un gran totale di quasi 16<br />

milioni di sterline, con l’82% di venduto (per valore). <strong>Il</strong> primo round<br />

ha conseguito oltre 11 milioni di sterline, praticamente stracciando<br />

la stima iniziale di 8, con un catalogo (comprendente circa 50 lotti<br />

dalla collezione di Mohammed Said Farsi) dedicato a opere e oggetti<br />

d’arte di un periodo inquadrabile tra il IX e il XIX secolo. Top<br />

lot dell’evento, che non ha dimenticato di dedicare due sezioni,<br />

anch’esse molto apprezzate, all’arte ottomana e indiana, è stata<br />

una porta egiziana intagliata in legno e avorio della seconda metà<br />

del XIII secolo, battuta per oltre 1 milione di sterline. Anche da Sotheby’s,<br />

sempre nella capitale britannica, l’arte islamica ha dato ottimi<br />

risultati. Un’asta in due sessioni ha totalizzato oltre 18 milioni<br />

di sterline, il più alto esito mai realizzato per questa categoria, cui<br />

v<strong>anno</strong> ad aggiungersi i 7 milioni battuti per la Princely Collection.<br />

Top lot e top price un pugnale spagnolo del XV secolo, un rarissimo<br />

Nasrid Ear-Dagger: stimato 600-800.000 sterline, è stato aggiudicato<br />

per 3,7 milioni.

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