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free | anno nono | numero sessantanove | novembre ... - Il Mattino

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olzano<br />

ISA GENZKEN<br />

Sconcertante è che, <strong>nono</strong>stante la profusione<br />

di realismo, si approdi da tutt’altra<br />

parte. Come? Dando voce all’inner<br />

side. Lo specchio diventa la metafora<br />

attraverso cui guardare il lavoro Isa<br />

Genzken (Bad Oldesloe, 1948; vive a<br />

Berlino), nella mostra antologica che<br />

il Museion le dedica. Nello specchio si<br />

riflette l’immagine di noi stessi e quella<br />

del mondo, il soggetto e l’oggetto. Un<br />

punto di vista che si muove costantemente<br />

tra esterno e interno e genera un<br />

senso di instabilità visibile anche nelle<br />

sue sculture.<br />

Come calchi della realtà, materiali traslucidi,<br />

riflettenti catturano immagini dal<br />

mondo combinate in composizioni di<br />

più livelli, che spingono a una continua<br />

alterazione del rapporto tra visione soggettiva<br />

e oggettiva.<br />

Calandosi nella sua eterogenea produzione<br />

artistica, sembra di essere di<br />

fronte a un assemblage di linguaggi<br />

opposti, partendo dal purismo formale<br />

comune a Modernismo e Minimalismo e<br />

giungendo al grunge sporco di un Paul<br />

McCarthy. L’ossessione di voler accalappiare<br />

la vita quotidiana è l’unica via<br />

da percorrere.<br />

Al piano terra, Oil, XI, presentato alla<br />

Biennale di Venezia del 2007, ricorda<br />

molto i combine paintings di Robert<br />

Rauchenberg, sorta di collage tridimensionali<br />

in cui il tema del viaggio<br />

rievocato dalle valigie si combina con<br />

disparati elementi: civette impagliate,<br />

corni, quadri, poster. È così messo in<br />

scena il nomadismo dell’arte, in continuo<br />

movimento e senza più un centro.<br />

Ma anche nei lavori che si relazionano<br />

con l’architettura, lo specchio non<br />

è solo richiamo alla trasparenza del<br />

vetro dello skyscraper modernista, ma<br />

presa sulla realtà circostante, pronto a<br />

catturare l’impronta del visitatore e dello<br />

spazio. Le Colonne invitano il visitatore<br />

a camminarvi attorno. L’architettura è<br />

ricondotta del tutto alla portata dell’uomo,<br />

tanto che i singoli lavori prendono<br />

il nome degli amici dell’artista: Kai (Althof),<br />

Dan (Graham)... In un intreccio<br />

di valori formali e soggettivi-personali.<br />

Interessanti sono le Sozialen Fassaden,<br />

in cui le facciate dei palazzi diventano<br />

il riflesso della società e della vita<br />

che si svolge al di fuori, in una sorta di<br />

collage tra materiali specchianti e foto<br />

di piazze e vedute urbane. Tutto esibito<br />

in superficie, mentre più difficile è penetrare<br />

all’interno.<br />

Ancora un omaggio a New York e ai<br />

suoi grattacieli è offerto dalla serie Empire/Vampire.<br />

Tanti piccoli teatrini della<br />

crudeltà o set cinematografici in miniatura,<br />

resi con ombrelli, pasta, cannucce,<br />

bicchieri, giocattoli. Scene apocalittiche<br />

come in un Hieronymus Bosch moderno.<br />

Su tutto, colature di vernici. Un<br />

plastico della vita reale che si spinge<br />

oltre il razionale.<br />

“You see it you know it”: no, c’è sempre<br />

qualcosa di non riconducibile al già<br />

noto. Difficile tentare un approccio analitico<br />

di fronte all’opera di Isa Genzken.<br />

Le opere più recenti sono dedicate a<br />

Michael Jackson. È la serie Wind, fatta<br />

di fogli lucidi, carte a specchio che stavolta<br />

tentano di catturare il movimento<br />

del vento. La sfida è ancora più avvincente:<br />

a imprimersi accanto all’immagine<br />

di Michael, il vento che in una folata<br />

se l’è portato via.<br />

[antonella palladino]<br />

MUSEION<br />

Via Dante 6<br />

fino al 16 gennaio<br />

Isa Genzken<br />

da martedì a domenica ore 10-18<br />

giovedì ore 17-22<br />

intero € 6; ridotto € 3,50<br />

Catalogo Mousse Publishing<br />

tel. 0471 312448<br />

info@museion.it<br />

www.museion.it<br />

venezia<br />

TONY CRAGG<br />

A 30 anni dalla prima partecipazione<br />

di Tony Cragg (Liverpool, 1949; vive<br />

a Wuppertal) alla Biennale di Venezia,<br />

Ca’ Pesaro gli dedica una retrospettiva.<br />

Oltre 30 opere scultoree e una ventina<br />

tra disegni e bozzetti permettono di ripercorrere<br />

la carriera, dagli anni ’80 a<br />

oggi, di questo tornitore-filosofo.<br />

Da sempre Cragg lavora su una doppia<br />

esigenza. Da un lato vi è la ricerca<br />

dell’autentica sostanza formale degli<br />

oggetti. Spesso infatti l’uomo, distratto,<br />

li degrada a puri utensili, inespressivi,<br />

funzionali, statici (e quindi, in realtà,<br />

inutili dal punto di vista estetico-cognitivo).<br />

La riflessione sui principi, sull’idea<br />

porta all’individuazione delle strutture<br />

primarie, semplici, o composte di parti<br />

semplici, di ambito minimal e poverista.<br />

L’altra necessità è empirica. Cragg è<br />

anche l’operaio esperto che conosce<br />

i materiali e li piega al proprio volere,<br />

controllando il processo produttivo. <strong>Il</strong> filosofo<br />

intende l’idea, il tornitore la materializza,<br />

producendo un oggetto nuovo,<br />

aggregato di materia-pensiero.<br />

Queste masse plastiche, vibranti di movimento<br />

vitale, invadono ora la fabbrica<br />

di Longhena, dialogando con gli elementi<br />

architettonici, i cicli sartoriani e,<br />

con l’altro greve Pensatore centenario,<br />

quello di Rodin.<br />

Le sculture sono congegni mobili di<br />

decodificazione spaziale, il cui nucleo<br />

liquido è portato in superficie. Ed è in<br />

superficie che esse appaiono diverse<br />

le une dalle altre. Legni elegantemente<br />

stratificati (Chip) o in tensione plastica<br />

divergente (Red Figure), bronzi curvi<br />

dai colori accesi (Declination, McCormack,<br />

Outspan), raggruppamenti e<br />

accumulazioni di elementi, in poliestere<br />

(Distant Cousin), vetro (Eroded Landscape),<br />

bronzo (Passers-by), figure<br />

totemiche in inox riflettente si avvicendano<br />

nelle sale. E in ogni pezzo, pur<br />

così differente, si riconoscono gli stessi<br />

principi informatori, sempre riaffermati.<br />

Le opere, come macchine, avviano il<br />

processo generativo della forma, agendo<br />

come software topografici di modellazione<br />

multiassiale (4D). L’oggetto è<br />

rimappato. Una tecnica cronoplastica<br />

(analoga al modello futurista, simultaneo<br />

e multiprospettico) giustappone<br />

i layer. È la compresenza nancyana<br />

dei piani, della loro interazione, del<br />

singolare-plurale. Questa modellazione<br />

delle configurazioni possibili determina<br />

l’oggetto-scultura, deliberato (l’organicismo<br />

di Cragg non è un naturalismo<br />

spontaneo). Le forme, spesso antropometriche<br />

(figurazione è trasmissione<br />

di secrezione culturale) e antigraziose<br />

svelano come la verità dell’essere sia<br />

inevitabilmente il divenire.<br />

Che dire infine di Cragg, artista capace,<br />

per oltre 40 anni, di grande, fluida coerenza<br />

formale e ideale? Senza dubbio,<br />

nessuno potrà mai dirlo un eclettico.<br />

Proprio per questo, il suo lavoro non<br />

pare più suscettibile di rinnovamenti radicali.<br />

E, mentre ci si muove tra queste<br />

forme, si sente di conoscerle da molto<br />

tempo. <strong>Il</strong> tornitore Cragg è ancora assai<br />

operoso, si conferma, ma non inventa<br />

più, apparendo ormai definitivamente<br />

storicizzato.<br />

[gianluca d’incà levis]<br />

CA’ PESARO<br />

Santa Croce 2076<br />

fino al 9 gennaio<br />

Tony Cragg<br />

a cura di Silvio Fuso e Jon Wood<br />

da martedì a domenica ore 10-17<br />

intero € 8; ridotto € 5,50<br />

tel. 041 721127<br />

mkt.musei@comune.venezia.it<br />

www.museiciviciveneziani.it<br />

venezia<br />

ISOLA & NORZI<br />

Luogo dell’azione (e soggetto della riflessione)<br />

di Ballad, personale di Isola<br />

e Norzi (Torino, 1976) a Venezia, è lo<br />

spazio teatralizzato dell’idrosfera. La<br />

ballata è, per definizione, un movimento<br />

lento. Come lento è il ciclo dell’oceano,<br />

e l’elemento acquatico stesso, che rallenta<br />

e ottunde i moti, i suoni (si veda<br />

l’installazione sonora Canale audio). E<br />

rallentare, d’altra parte, è orientamento<br />

attentivo, proprio dell’osservazione<br />

scrupolosa.<br />

Elementi principali del lavoro sono:<br />

l’acqua (medium filmico, scacchiere<br />

percettivo), l’archeologia (memoria,<br />

eco, ripescaggio, relitto), l’architettura<br />

(modulo minimo, diaframma, limite, perimetro),<br />

la storia (plot), la condizione<br />

del lavoro artistico, la sua verità (e non<br />

verità) nel luogo deputato (l’acquariomuseo)<br />

al rapporto con il fruitore.<br />

L’esperienza della Starfish House,<br />

evento scientifico-cinematografico realizzato<br />

nel 1964 dall’oceanografo mediatico<br />

Jacques Cousteau, è ripresa<br />

in un saggio di scenografia analitica<br />

dell’archeologica subacquea. L’architettura<br />

è qui intesa come spazio d’interazione<br />

tra uomo e ambiente, natura e<br />

guscio antropico.<br />

Ma questa rievocazione, che torna nelle<br />

foto di Bated Breath, è solo una delle<br />

figure attraverso cui gli autori indagano<br />

il rapporto liquido fra interno e esterno,<br />

delimitato e sconfinato, naturale e<br />

artificiale (ad esempio nella maquette<br />

integrata di Shell). L’attenzione per<br />

l’ambiente subacqueo non è naturalismo<br />

descrittivo.<br />

Non la physis, non uno scarno modello<br />

epigonale di Talete; piuttosto una poetica<br />

dialettica, e scientifica. L’immersione<br />

è pratica riflessiva, studio del medium<br />

acquatico, e quindi del prodotto visivo<br />

che giunge (in pasto) allo spettatore.<br />

La chiave microscopica torna in diversi<br />

lavori, attraverso un’indagine fisica che<br />

produce immagini di processi organici<br />

(spugne, conchiglie), biologici (batteri,<br />

alghe, come negli acquerelli di Relics,<br />

o nel ready made deposizionale del<br />

Grande vetro), chimici (formule di struttura,<br />

molecole, ecco la scultura Platonic<br />

Aquarium), anch’essi messi in architettura,<br />

ovvero collocati entro differenti<br />

magic mirror rilucenti (vasche, lastre, liquid<br />

door), modelli spaziali confinati per<br />

esperimenti fisici formali concettuali.<br />

C’è poi lo sguardo d’insieme, macroscopico,<br />

sul teatro d’acqua. La mostra<br />

della Bevilacqua riprende e sviluppa il<br />

lavoro iniziato circa un <strong>anno</strong> fa nell’acquario<br />

di Coney Island. L’acquario è<br />

un ambiente spettacolare, un idro-zoo<br />

dove le immagini si succedono, e lo<br />

spettatore vi si immerge, come davanti<br />

o dentro una fiction. Questo schermo<br />

(di proiezione) è anche soglia, e sinapsi:<br />

la membrana di contatto tra profondità<br />

naturali e mentali.<br />

Le strutture dell’acquario sono spazi<br />

- idealizzati, metaforici - posti tra percezione<br />

e immaginazione. L’immagine<br />

è colta e trasferita nello spazio chiuso<br />

(vasca, architettura). Qui, attraverso<br />

un’analisi risignificante, acquisisce valore<br />

trasformativo, illustrando la rete dei<br />

rapporti - anche di quelli mendaci - tra<br />

l’oggetto e la sua immagine.<br />

[gianluca d’incà levis]<br />

BEVILACQUA LA MASA<br />

Dorsoduro 2826<br />

Isola & Norzi<br />

a cura di Paola Nicolin<br />

da mercoledì a domenica ore 10.30-17.30<br />

intero € 5; ridotto € 3<br />

Catalogo disponibile<br />

tel. 041 5207797<br />

info@bevilacqualamasa.it<br />

www.bevilacqualamasa.it<br />

venezia<br />

LUCE E MOVIMENTO<br />

Non sempre per quei movimenti che<br />

h<strong>anno</strong> fatto la storia dell’arte contemporanea<br />

l’apporto determinante è arrivato,<br />

come invece si è portati a credere, dalle<br />

intuizioni e dalla capacità organizzativa<br />

di un critico militante.<br />

La vicenda della cosiddetta arte cinetica,<br />

con il suo notevole successo durante<br />

gli anni ’60, dovuto principalmente al<br />

lavoro svolto dalla Galleria Denise René<br />

di Parigi, dimostra chiaramente questa<br />

discontinuità, ovvero che in talune circostanze<br />

i soggetti propulsivi rivelatisi<br />

decisivi sono poi risultati altri rispetto ai<br />

critici patentati, anche dal punto di vista<br />

dell’indirizzamento teorico.<br />

La piccola ma leggendaria mostra Le<br />

mouvement, del 1955, con la quale gli<br />

artisti che si ricollegavano all’avanguardia<br />

costruttivista anteguerra rubarono<br />

definitivamente la scena all’astrazione<br />

lirica propugnata dai protagonisti del<br />

Tachisme, fu ideata e attentamente costruita<br />

(oggi diremmo curata) da Madame<br />

Denise René, direttamente in galleria.<br />

Alla sua intelligenza e lungimiranza<br />

si devono la scelta di puntare su un nucleo<br />

di giovani artisti che operavano in<br />

aperta contrapposizione con le istanze<br />

di matrice espressionista in voga in quel<br />

momento, e la capacità di sostenere il<br />

fenomeno dell’arte cinetica una volta<br />

esploso.<br />

Un decennio più tardi, all’apice del successo<br />

internazionale e con la galleria<br />

parigina ormai attivissima protagonista<br />

in campo (da ricordare, oltre alla mostra<br />

del decennale Le mouvement 2,<br />

tenutasi nel 1965, quella sui costruttivisti<br />

polacchi Wladyslaw Strzemiński e<br />

Katarzyna Kobro, cui venne affiancato<br />

Kazimir Malevic, del 1957), la consacrazione<br />

per l’arte cinetica si ebbe nel<br />

1967, con una collettiva di più ampio respiro,<br />

dal titolo Lumière et mouvement,<br />

allestita al Musée d’Art Moderne de la<br />

Ville de Paris.<br />

Associata nel titolo al suo passaggio<br />

espositivo più altisonante, la mostra<br />

veneziana Luce e movimento si occupa<br />

del senso complessivo di questa storica<br />

esperienza, rendendo omaggio attraverso<br />

l’esempio di Denise René al ruolo<br />

“creativo” del gallerista di razza e dando<br />

conto dell’ampiezza di un discorso che<br />

abbraccia pressoché interamente il secolo<br />

scorso.<br />

Se per un verso è fuori discussione la<br />

pertinenza dell’inserimento tra i dieci<br />

artisti rappresentati di Werner Graeff<br />

e László Moholy-Nagy, già attivi negli<br />

anni ’20 in ambito Bauhaus, e di uno<br />

come Jósef Robakowski, che invece<br />

è stato un protagonista della videoarte<br />

negli anni ’70 e ’80, un’altra ipotesi di<br />

lettura cui la mostra sembra rimandare,<br />

riguarda il debito da parte di molta<br />

produzione site specific attuale incentrata<br />

sul problema della percezione<br />

sensoriale, nei confronti degli ambienti<br />

percorribili concepiti da Jesús Rafael<br />

Soto e Carlos Cruz-Diez, maestri riconosciuti<br />

dell’interazione psico-fisica tra<br />

opera e spettatore.<br />

Da segnalare il finissage-evento con la<br />

proiezione di un film d’artista commissionato<br />

a Delfina Marcello, intitolato<br />

Inside, che racconta e documenta la<br />

mostra.<br />

[pericle guaglianone]<br />

SIGNUM FOUNDATION<br />

San Polo 2177<br />

Luce e movimento<br />

a cura di Grzegorz Musial e Franck Marlot<br />

mercoledì e sabato ore 15-19<br />

Catalogo Marsilio<br />

tel. 041 5289797<br />

www.signum.art.pl<br />

déjàvu [musei & co.] 51<br />

vicenza<br />

RESPIRO<br />

L’idea vulgata dell’artista maudit, tutto<br />

genio, sregolatezza e autodistruzione<br />

è, come ogni mitologia, una narrazione<br />

favolosa ed esagerata fondata su alcuni<br />

dati effettivi. L’immagine romantica (e,<br />

ancor più, decadente) dell’artista associato<br />

agli stati abnormi della coscienza<br />

e a pratiche che nessun medico curante<br />

prescriverebbe non può più darsi acriticamente<br />

nell’attualità, ma resiste (fortunatamente,<br />

forse) a un ribaltamento<br />

speculare. Nessuno immaginerebbe,<br />

per esempio, Hermann Nitsch testimonial<br />

del veganesimo.<br />

La Fondazione Zoé (collegata alla casa<br />

farmaceutica milanese Zambon e centrata<br />

sulla comunicazione nell’area della<br />

salute) per evidenti ragioni allestisce<br />

un’esposizione collettiva di artisti chiamati<br />

a lavorare nella direzione opposta<br />

e sul tema specifico del respiro. Adelina<br />

von Fürstenberg insiste sull’omologia<br />

del suo ruolo con quello del medico che<br />

“cura” il corpo, giocando con le parole<br />

e riferendosi alla concezione ippocratica<br />

della medicina come atto creativo, e<br />

allestisce un’esposizione che si snoda<br />

nel tessuto urbano di Vicenza - città,<br />

come afferma la curatrice, perfetta per<br />

creare situazioni di conflitto data la sua<br />

impronta uniforme palladiana - in quattro<br />

sedi corrispondenti ad altrettante<br />

sezioni.<br />

La videoarte comincia da Sheba Chhachhi:<br />

l’artista, sempre più apprezzata e<br />

quotata, declina il lavoro abituale sulle<br />

icone della cultura indiana nel loop di<br />

un elefante, immerso in una vasca, che<br />

si disintegra e si ricompone creando<br />

un effetto di enorme suggestione, correlando<br />

il ciclo vitale della materia e il<br />

ciclo continuo della respirazione. All’opposto,<br />

l’opera dei Masbedo sembra<br />

soffrire di una certa confusione tra cinema<br />

(mediocre) e arte, senza trovare<br />

uno statuto specifico.<br />

Lo Spazio Monotono è occupato da<br />

Nikos Navridis la cui poetica - si ricordi,<br />

ad esempio, l’installazione dedicata<br />

a Breath di Samuel Beckett, alla Biennale<br />

veneziana del 2005 - si articola attorno<br />

al respiro come gesto esplicativo<br />

dell’individuo ed è dunque prêt-à-porter<br />

sul tema della collettiva. On life, beauty,<br />

translations and other difficulties riprende<br />

quattro ragazzi gonfiare palloncini<br />

mentre ripercorrono momenti salienti<br />

della propria biografia; Difficult breaths<br />

ritrae persone che utilizzano il respiro<br />

nella propria professione.<br />

Nove billboard d’annata (più un’installazione<br />

di Vito Acconci) sono sparsi<br />

tra la Loggia del Capitaniato e il Teatro<br />

Comunale: nel 1998 la casa farmaceutica<br />

Zambon sponsorizzò una mostra<br />

itinerante organizzata da Art for the<br />

world, sempre curata da Adelina von<br />

Fürstenberg, sul tema della salute fisica<br />

e mentale. Era l’epoca in cui i grandi<br />

cartelloni pubblicitari cominciavano<br />

a invadere le metropoli e si chiese ad<br />

alcuni artisti di grido di realizzare billboard<br />

a soggetto libero. Si va dallo slogan<br />

di Alfredo Jaar alla naiveté pop di<br />

Robert Rauschenberg, dall’eleganza<br />

minimal di Pat Steir al parto secondo<br />

Teresa Serrano.<br />

Si ha l’impressione che le opere migliori<br />

siano quelle che sviluppano il tema in<br />

senso metaforico e meno propagandista:<br />

le mitologie, anche logore, h<strong>anno</strong><br />

lunghe radici.<br />

[alessandro ronchi]<br />

FONDAzIONE zOÉ<br />

Corso Palladio 36<br />

fino al 21 <strong>novembre</strong><br />

Respiro<br />

a cura di Adelina von Fürstenberg<br />

tutti i giorni ore 9-18<br />

tel. 044 4325064<br />

info@fondazionezoe.it<br />

www.fondazionezoe.it

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