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Rassegna Storica Crevalcorese - Comune di Crevalcore

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<strong>di</strong> desolazione e dolore insieme alla ricerca <strong>di</strong> una spiegazione dell’accaduto (cfr.<br />

Appen<strong>di</strong>ce) (16).<br />

C’è anche chi è ansioso <strong>di</strong> andare al fronte. Renato Gavioli, farmacista come<br />

il padre, alla fine del 1917 ha fretta <strong>di</strong> finire il corso per ufficiali per poter andare<br />

a combattere. Nel maggio 1918, quando già si trova al fronte, scrive al padre<br />

degli scambi fra italiani e inglesi che “stanchi delle marmellate e dei dolciumi”<br />

chiedono pane ora che anche i loro rifornimenti scarseggiano (17). Per Gavioli<br />

arriva finalmente il momento della lotta in cui si lancia con entusiasmo: “questa<br />

volta gli austriaci le bussano molto forte!”, e nel novembre 1918 incontra i nemici: “sono<br />

in generale uomini anziani. Non sono sporchi ma luri<strong>di</strong> nel vero senso della parola. Hanno le<br />

facce magre e <strong>di</strong> un colore cadaverino. Le baracche loro, i ricoveri hanno un odore nauseabondo<br />

(...)” (18).<br />

E’ l’unica descrizione del nemico che si trovi in queste lettere. La guerra <strong>di</strong><br />

trincea era condotta infatti contro un avversario “invisibile”: potevano passare<br />

mesi prima <strong>di</strong> vedere da vicino gli avversari (19).<br />

La battaglia del Piave rinsalda il patriottismo dei combattenti crevalcoresi e<br />

<strong>di</strong> tutti i soldati italiani. Le operazioni militari <strong>di</strong>mostrano almeno ora l’efficienza<br />

delle truppe e del comando (20).<br />

G. Mattioli scrive: “abbiamo la piena sensazione <strong>di</strong> essere i veri <strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> quelli che<br />

non piegarono la fronte agli oppositori” e in seguito riba<strong>di</strong>sce l’idea che con questa<br />

vittoria si rinnova la grandezza dei padri e dell’Italia (21).<br />

Molti con<strong>di</strong>videvano l’opinione per cui la guerra avrebbe inserito l’Italia nel<br />

“club delle gran<strong>di</strong> potenze”; in realtà anche questa era un’illusione, soprattutto<br />

dopo la sconfitta <strong>di</strong> Caporetto. La nazione si era mostrata impreparata sia<br />

militarmente che civilmente a fronteggiare i problemi <strong>di</strong> guerra; la classe <strong>di</strong>rigente<br />

italiana trova la forza per organizzarsi solo dopo la <strong>di</strong>sfatta del ’17 (22).<br />

Nel novembre 1918 Meletti parla con Celeste Lo<strong>di</strong>, caporale, prigioniero<br />

dalla fine del 1917 e rimpatriato da pochi giorni:<br />

“sono partito per la guerra perché chiamato alle armi, senza averne ben compreso il<br />

motivo. Nato e cresciuto nella pace dei campi, non sapevo farmene capace (...). Oggi che ho<br />

16 - cfr. ibidem, pp. 118-123.<br />

17 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 45 (31), p. 63.<br />

18 - cfr. ibidem, pp. 144 e 151.<br />

19 - cfr. LEED, op. cit., p. 167.<br />

20 - cfr. MELOGRANI, op. cit., pp.544-547.<br />

21 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 45 (31), pp. 74 e 153.<br />

22 -E. RAGIONIERI, La storia politica e sociale in Storia d’Italia, vol. IV, tomo III, Torino Einau<strong>di</strong><br />

1976, pp. 2060-2063, 2007-2008 e 2041.<br />

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