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Rassegna Storica Crevalcorese - Comune di Crevalcore

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do le concessioni dei territori della Galeazza e della Valbona, con un <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />

possesso quasi totale, eccetto la protezione dei boschi e delle peschiere, e il <strong>di</strong>vieto<br />

esplicito <strong>di</strong> creare fortilizi od opere <strong>di</strong> protezione. I Pepoli versarono 500 ducati<br />

d’oro, più il solito canone <strong>di</strong> 40 lire annuali. Il canone era puramente simbolico, in<br />

quanto una corba <strong>di</strong> frumento costava 4/5 lire. Retaggio degli antichi privilegi<br />

me<strong>di</strong>evali era l’obbligo <strong>di</strong> inviare all’Abbazia <strong>di</strong> Nonantola ad ogni nomina dell’abate<br />

uno sparviero e due cani bracchi. L’accordo fu imme<strong>di</strong>atamente ratificato<br />

“Motu proprio” dal papa Leone X 7 .<br />

Questa resa incon<strong>di</strong>zionata dell’Abbazia, suggellata imme<strong>di</strong>atamente da<br />

Roma, segna un momento fondamentale nella storia del territorio crevalcorese: si<br />

riconosce, infatti, ai Pepoli un <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> proprietà quasi esclusivo, se si esclude il<br />

limite della costruzione <strong>di</strong> fortilizi. Questo <strong>di</strong>vieto rimane il tentativo <strong>di</strong> evitare<br />

che queste zone <strong>di</strong>ventino feu<strong>di</strong> completamente autonomi e in<strong>di</strong>pendenti, anche<br />

dal punto <strong>di</strong> vista militare. Resistenza che durerà poco. Già nel 1532 l’abate Sartorio<br />

riconobbe ai Pepoli la facoltà <strong>di</strong> costruire fortilizi, con conferma <strong>di</strong> una breve del<br />

1538 <strong>di</strong> Paolo III. Ormai il territorio a nord <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> risulta essere interamente<br />

controllato dai Pepoli. Questi fortilizi, come vedremo, saranno poi la base<br />

operativa per i ban<strong>di</strong>ti controllati dai Pepoli. Il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> proprietà è ulteriormente<br />

ampliato per sistemare alcuni problemi <strong>di</strong> successione all’interno della famiglia<br />

dei Pepoli. Nel 1543 il rinnovo dell’enfiteusi comprendeva anche la possibilità <strong>di</strong><br />

trasferirla ai figli bastar<strong>di</strong> riconosciuti. Nel 1544 ampliarono i loro posse<strong>di</strong>menti<br />

con un altro terreno al Secco.<br />

Altre famiglie nobili agivano in questi anni nel territorio, ma in una fase<br />

d’arretramento rispetto all’espansione dei Pepoli: del 1531 è la breve <strong>di</strong> Clemente<br />

VII che conferma 700 biolche <strong>di</strong> terra al Secco agli ere<strong>di</strong> dei Bentivoglio 8 , che<br />

però già nel 1531 e nel 1544 cedettero al conte Filippo Pepoli il “Secco” e la<br />

“Giovannina”, per una valore complessivo <strong>di</strong> 13 mila lire bolognini. Erano tenute<br />

da duemila ettari, organizzate in possessioni e pezze, con case coloniche e<br />

e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> servizio. Interessante è vedere come anche la politica propria <strong>di</strong> qualche<br />

abate nonantolano che tenta <strong>di</strong> favorire qualche famigliare con nuove rilevanti<br />

concessioni è destinato a fallire: nel 1533 gli ere<strong>di</strong> Bentivoglio vendettero 763<br />

biolche del Secco al conte Giovanni Filippo Sartorio, cedute il 23 maggio 1533<br />

da Antonio Maria Sertorio abate <strong>di</strong> Nonantola in enfiteusi ventennale a Giovanni<br />

Filippo Sartorio, nobile modenese. Nel 1546 alla morte <strong>di</strong> quest’ultimo torna<br />

7 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />

8 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />

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