Rassegna Storica Crevalcorese - Comune di Crevalcore
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Le ville nobiliari <strong>di</strong> tale processo si può <strong>di</strong>re che rappresentarono il fulcro e<br />
il motore.<br />
Ciò che è accaduto negli ultimi cento anni è invece una storia <strong>di</strong> decadenza:<br />
i nuovi assetti agricoli e poderali provocarono una “defunzionalizzazione” delle<br />
ville signorili che in molti casi vennero riusate come magazzini e depositi <strong>di</strong> derrate<br />
agricole.<br />
Le quattro residenze nobiliari poste nel territorio <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> che gli autori<br />
prendono in considerazione, ovvero il Castello <strong>di</strong> Palata, il Castello dei Ronchi, il<br />
Castello <strong>di</strong> Galeazza e il Palazzo Bevilacqua, costituiscono, sotto questo aspetto,<br />
un campionario istruttivo. Due infatti subirono questa sorte (i Ronchi e Bevilacqua)<br />
mentre Galeazza nel 1870 fu ceduta ai Falzoni Gallerani che costruirono a ridosso<br />
degli e<strong>di</strong>fici preesistenti una sorta <strong>di</strong> quinta scenografica con molti elementi arbitrari<br />
(ciò che ne fa una sorta <strong>di</strong> castello “<strong>di</strong>sneyano”) e il castello <strong>di</strong> Palata nello<br />
stesso periodo fu ceduto dai Pepoli ai principi Torlonia che lo utilizzarono come<br />
residenza estiva.<br />
Dopo l’ultima guerra Galeazza fu utilizzata per raccogliervi sfollati con l’inevitabile<br />
conseguenza <strong>di</strong> deturpamenti e per<strong>di</strong>ta degli arre<strong>di</strong> e Palata non subì una<br />
sorte migliore: dopo la ven<strong>di</strong>ta da parte dei Torlonia tutto l’arredamento e i<br />
<strong>di</strong>pinti fu <strong>di</strong>sperso e l’e<strong>di</strong>ficio, ridotto ad un contenitore vuoto, subì <strong>di</strong>versi passaggi<br />
<strong>di</strong> mano senza che nessuno potesse trovargli una destinazione qualsiasi e si<br />
occupasse <strong>di</strong> farvi le più in<strong>di</strong>spensabili opere <strong>di</strong> manutenzione. Il risultato è sotto<br />
gli occhi <strong>di</strong> tutti: il tetto <strong>di</strong> un’intera ala è crollato e non si sa chi potrà avere la<br />
volontà e le risorse per evitare che l’intero palazzo, uno dei migliori esempi <strong>di</strong><br />
architettura villereccia del XVI secolo in Italia, crolli e si perda per sempre. Le<br />
foto del libro evitano accuratamente <strong>di</strong> mostrare lo scempio. Come i ritratti un<br />
po’ sfocati <strong>di</strong>ssimulano le rughe e i guasti del tempo <strong>di</strong> quelle donne che furono<br />
belle in gioventù, esse ci mostrano il palazzo ancora ammantato dell’aura della sua<br />
stagione più gloriosa. Con un sapiente uso degli scorci e dei punti <strong>di</strong> ripresa la<br />
mastodontica mole si staglia ancora torreggiante sull’azzurro del cielo. Per quanto<br />
tempo ancora?<br />
L’augurio è che questo bel libro, che nonostante una tiratura <strong>di</strong> 1500 copie e un<br />
prezzo <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> 45 Euro (ma dobbiamo riconoscere che ampiamente li<br />
vale) è esaurito in brevissimo tempo, tanto che da più parti se ne chiede una ristampa,<br />
non solo contribuisca alla conoscenza del nostro patrimonio e della<br />
nostra storia (obiettivo che <strong>di</strong>amo per scontato), ma ci induca a intervenire perché<br />
questo patrimonio non vada <strong>di</strong>sperso. (P. C.)