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Rassegna Storica Crevalcorese - Comune di Crevalcore

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<strong>Rassegna</strong> storica crevalcorese<br />

è stata realizzata<br />

con il contributo della<br />

1


<strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />

<strong>Rassegna</strong> storica<br />

crevalcorese<br />

1<br />

giugno 2005<br />

❦<br />

Istituzione dei Servizi Culturali Paolo Borsellino<br />

3


4<br />

<strong>Rassegna</strong> storica crevalcorese<br />

Rivista dell’Istituzione dei Servizi Culturali Paolo Borsellino <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />

COMITATO DI REDAZIONE<br />

Magda Abbati, Massimo Balboni, Gabriele Boiani,<br />

Paolo Cassoli, Nicoletta Ferriani, Barbara Mattioli,<br />

Yuri Pozzetti, Carla Righi, Roberto Tommasini.<br />

Direttore resp.<br />

Paolo Cassoli<br />

Progetto Grafico<br />

Paolo Cassoli<br />

Informazioni e comunicazioni<br />

Istituzione dei Servizi Culturali Paolo Borsellino<br />

Via Persicetana 226 - 40014 <strong>Crevalcore</strong> (Bo);<br />

tel. 051.981594, fax 051.6803580<br />

e mail: istituzione@comune.crevalcore.bo.it<br />

Primo numero, <strong>di</strong>stribuzione gratuita


SOMMARIO<br />

Una rivista per <strong>Crevalcore</strong> (la redazione) 7<br />

In questo numero 9<br />

STUDI E RICERCHE<br />

Barbara Mattioli<br />

Il ritorno dell’eroe popolaresco:<br />

Mattioli, Crespi e il Bertoldo del 1736 13<br />

Nicoletta Ferriani<br />

Gaetano Lo<strong>di</strong>: dalle decorazioni in Egitto<br />

alla Cooperativa <strong>di</strong> Imola 35<br />

Massimo Balboni<br />

Il territorio crevalcorese alla fine del Cinquecento.<br />

Comunità, nobili e ban<strong>di</strong>ti 55<br />

NOVECENTO<br />

Magda Abbati<br />

<strong>Crevalcore</strong> al fronte 79<br />

SCHEDE<br />

Paolo Cassoli<br />

La nascita della Vergine,<br />

pala d’altare della Rotonda 89<br />

CORREVA L’ANNO...<br />

Cronaca crevalcorese per l’anno 1796 95<br />

a cura <strong>di</strong> Roberto Tommasini<br />

RECENSIONE<br />

Le <strong>di</strong>more dei Signori (P. C.) 106<br />

NOTIZIE DELL’ISTITUZIONE<br />

Sereserene 2005 108<br />

5


Una “<strong>Rassegna</strong> storica”<br />

per <strong>Crevalcore</strong><br />

L’Istituzione dei servizi culturali Paolo Borsellino è nata il 14 giugno 2003<br />

allo scopo <strong>di</strong> gestire un patrimonio <strong>di</strong> strutture culturali <strong>di</strong> notevole rilevanza,<br />

costituito dall’ottocentesco Teatro comunale, con le decorazioni <strong>di</strong> Gaetano Lo<strong>di</strong>,<br />

dal complesso <strong>di</strong> Villa Ronchi in gran parte restaurato con i suoi affreschi del<br />

XVI secolo, dall’arena estiva del Nuovo Cinema Italia e dalla nuova e grande<br />

biblioteca comunale con le sale per bambini e ragazzi, l’emeroteca e la me<strong>di</strong>ateca,<br />

la sala stu<strong>di</strong>o e l’archivio storico, spazi culturali per la musica e le esposizioni.<br />

Essa è stata tenuta a battesimo da tre citta<strong>di</strong>ni onorari <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>: Rita<br />

Borsellino, sorella del giu<strong>di</strong>ce ucciso dalla mafia, don Enelio Franzoni già parroco<br />

<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> e cappellano dei militari italiani nella tragica campagna <strong>di</strong> Russia<br />

e Giuseppe Pederiali, lo scrittore che ha legato il suo nome al paesaggio della<br />

pianura emiliana e alla gente che vi abita.<br />

L’Istituzione ha il carattere <strong>di</strong> un ente “strumentale” del comune con la<br />

funzione <strong>di</strong> gestire in modo snello e non burocratico le strutture affidatele. È<br />

governata da un Consiglio <strong>di</strong> Amministrazione nominato dal Sindaco, che ha il<br />

compito <strong>di</strong> programmare e progettare le attività culturali della città, che un Direttore<br />

e il suo staff realizzano e gestiscono.<br />

Tali servizi e attività sono in<strong>di</strong>rizzati a <strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> utenza e <strong>di</strong> pubblico;<br />

dalle stagioni teatrali <strong>di</strong> prosa, al teatro <strong>di</strong>alettale e per ragazzi, alle rassegne<br />

musicali de<strong>di</strong>cate al jazz e alla musica corale, dalle attività <strong>di</strong> promozione della<br />

lettura per le scuole ai laboratori in ludoteca, dalle attività per i giovani presso<br />

l’Ex Melò, alle rassegne cinematografiche estive e alle mostre d’arte.<br />

Il nome cui l’Istituzione è intitolata sembra suggerire come dovere prioritario<br />

della cultura quello <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>re la memoria. Memoria che può assumere <strong>di</strong><br />

volta in volta <strong>di</strong>verse connotazioni: memoria “civile” <strong>di</strong> chi, come Paolo Borsellino,<br />

è caduto nel compiere il proprio dovere <strong>di</strong> servitore dello Stato, memoria<br />

“affettiva” del paesaggio della nostra pianura, memoria “storica” dei luoghi e<br />

delle cose in cui ci riconosciamo come comunità e che, avendo fatto parte del<br />

nostro passato, danno forma e sostanza al nostro presente.<br />

7


8<br />

Nel nome della memoria “storica”, “affettiva” e “civile” c’è chi è <strong>di</strong>sposto<br />

a mettersi in gioco: a <strong>Crevalcore</strong> negli anni scorsi si è costituito un gruppo <strong>di</strong><br />

ricerca che ha pubblicato, nel 2001, il volume <strong>Crevalcore</strong>: percorsi storici a cura <strong>di</strong><br />

Magda Abbati. Volume scritto a più mani (nove autori) e che con le sue quasi 500<br />

pagine ha rappresentato un rilevante impegno <strong>di</strong> natura e<strong>di</strong>toriale.<br />

Il gruppo si era ripromesso <strong>di</strong> rimanere attivo e <strong>di</strong> lavorare ad un altro<br />

volume, visto l’interesse con cui quell’opera era stata accolta e la mole <strong>di</strong> materiale<br />

che all’interno degli archivi o sul territorio poteva ancora essere oggetto <strong>di</strong> indagine.<br />

Restava da vedere quanti, nel gruppo, si sarebbero effettivamente resi <strong>di</strong>sponibili,<br />

sottraendo tempo ed energie agli impegni <strong>di</strong> lavoro, alle occupazioni<br />

quoti<strong>di</strong>ane.<br />

Questa rivista vuole essere una risposta.<br />

Di struttura molto più agile rispetto a un volume così “ponderoso”, ha una<br />

redazione costituita in parte da quel gruppo che potremmo definire “storico”, in<br />

parte da alcune giovanissime leve che, recentemente laureatesi con tesi <strong>di</strong> argomento<br />

storico-artistico crevalcorese, <strong>di</strong> grande interesse e competenza, possono<br />

a pieno titolo rafforzare il gruppo originario o sostituirsi a chi, pressato da altre<br />

contingenze, non può più offrire la propria <strong>di</strong>sponibilità.<br />

Ma una rivista è anche il segnale <strong>di</strong> una continuità <strong>di</strong> presenza, con le sue<br />

uscite perio<strong>di</strong>che (due numeri annuali), che un saggio, un volume, concluso in sé,<br />

non offre.<br />

Vogliamo tenere <strong>di</strong>ssodato il campo della memoria, quel campo in cui, in<br />

passato sono cresciuti solitari gli “alberi” <strong>di</strong> Atti e <strong>di</strong> Meletti e seminarvi le nostre<br />

pianticelle, perché forse non è più il tempo <strong>di</strong> queste fatiche artigianali solitarie,<br />

ma <strong>di</strong> un lavoro coor<strong>di</strong>nato e organizzato che intrapren<strong>di</strong>amo con la sensibilità e<br />

le attrezzature culturali e materiali <strong>di</strong> uomini d’oggi.<br />

La rivista consolida, in questo modo, la presenza e l’attività dell’Istituzione<br />

“Paolo Borsellino” cui mancava finora una pubblicazione che ne allargasse l’orizzonte<br />

oltre il campo dell’effimero e ne testimoniasse la vitalità proiettandola dall’hic<br />

et nunc al piano <strong>di</strong> una lunga durata; raccogliesse insomma il testimone <strong>di</strong> chi ci ha<br />

preceduto su questa strada per continuarne l’opera nel nuovo millennio.<br />

Il Presidente dell’Istituzione Lorena Beghelli e i consiglieri <strong>di</strong> amministrazione<br />

Paolo Cassoli e Gianni Guagliumi hanno prestato la loro opera e si adopereranno<br />

perché questi voti si realizzino pienamente.<br />

La redazione


In questo numero<br />

Questo primo numero <strong>di</strong> <strong>Rassegna</strong> storica crevalcorese si apre, nella sezione<br />

Stu<strong>di</strong> e ricerche, con due lavori che sono il frutto <strong>di</strong> ricerche per tesi <strong>di</strong> laurea: si<br />

tratta degli articoli <strong>di</strong> Barbara Mattioli e Nicoletta Ferriani.<br />

Barbara Mattioli ne Il ritorno dell’eroe popolaresco: Mattioli, Crespi e il Bertoldo del<br />

1736 confronta le incisioni <strong>di</strong> Lodovico Mattioli e quelle <strong>di</strong> Giuseppe Maria Crespi<br />

relative al personaggio creato da Giulio Cesare Croce e valorizza l’opera<br />

dell’incisore <strong>di</strong> origine crevalcorese finora ingiustamente considerato in prevalenza<br />

un esecutore <strong>di</strong> pensieri e <strong>di</strong>segni altrui.<br />

Nicoletta Ferriani, in Gaetano Lo<strong>di</strong>: dalle decorazioni in Egitto alla cooperativa <strong>di</strong><br />

Imola analizza l’attività <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong> nell’ottavo decennio del XIX secolo, dal poco noto<br />

capitolo delle decorazioni egiziane alle maioliche <strong>di</strong> stile “egizio” prodotte da<br />

Ginori fino alla <strong>di</strong>rezione artistica della Cooperativa ceramica <strong>di</strong> Imola.<br />

Le tesi erano state presentate nel foyer del Teatro comunale il 17 e il 24<br />

febbraio scorsi nell’ambito degli incontri denominati “Le stanze dell’arte a<br />

<strong>Crevalcore</strong>”, quattro incontri su arte, cultura e paesaggio suscitando tanto interesse<br />

ed apprezzamento.<br />

Segue un articolo <strong>di</strong> Massimo Balboni sui complicati intrecci tra nobiltà,<br />

potere politico e malavita (che prende la forma <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>tismo) nelle nostre terre<br />

alla fine del Cinquecento.<br />

Per la sezione Novecento Magda Abbati ci presenta alcune lettere dal fronte<br />

spe<strong>di</strong>te durante la Grande Guerra da citta<strong>di</strong>ni crevalcoresi combattenti, trai i quali<br />

il Sindaco Alessandro Mattioli, morto nel 1916 in un ospedale militare.<br />

La sezione Correva l’anno… ci presenta una cronaca dell’anno 1796 compila-<br />

9


10<br />

ta, integrando tra loro varie fonti, da Roberto Tommasini, autore anche delle<br />

pregevoli ricostruzioni grafiche del passaggio dell’esercito francese per la nostra<br />

terra.<br />

Infine Paolo Cassoli nella sezione Schede ci dà un’analisi della pala d’altare<br />

della Rotonda, opera <strong>di</strong> Nicola Bertuzzi.<br />

Chiude la rivista la programmazione delle attività estive organizzate dall’Istituzione<br />

“Paolo Borsellino”


11<br />

Stu<strong>di</strong> e Ricerche


BARBARA MATTIOLI<br />

Il ritorno dell’eroe popolaresco:<br />

Mattioli, Crespi e il Bertoldo del 1736<br />

Ludovico Mattioli fu uno dei più gran<strong>di</strong> incisori all’acquaforte che Bologna<br />

poté vantare nel XVIII secolo.<br />

Valente “intagliatore in rame” nacque alla Guisa <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> il 2 Gennaio<br />

del 1662 e si trasferì giovanissimo assieme alla famiglia a Bologna. Di<br />

questo grande incisore oggi si hanno <strong>di</strong>verse notizie; grazie ad importanti<br />

ricerche presso l’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Bologna, presso la Biblioteca<br />

dell’Archiginnasio e tramite continui confronti stilistici tra le incisioni <strong>di</strong> Mattioli<br />

e stampe <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi autori bolognesi e stranieri, ne abbiamo ricostruito la vita<br />

e il percorso incisorio raccogliendo e or<strong>di</strong>nando sistematicamente le sue innumerevoli<br />

stampe. Le antiche biografie del Mattioli ci consegnano l’immagine<br />

<strong>di</strong> un valente incisore, membro dell’Accademia Clementina <strong>di</strong> Bologna<br />

(il suo nome è tra i primi quaranta artisti fondatori dell’Accademia) grande<br />

amico e collaboratore del pittore bolognese Giuseppe Maria Crespi.<br />

Ludovico Mattioli stu<strong>di</strong>ò la tecnica all’acquaforte da auto<strong>di</strong>datta su stampe<br />

francesi, in particolare fu affascinato dalle incisioni <strong>di</strong> paesaggio del parigino<br />

Nicolas Perelle e venne fortemente influenzato dalle stampe nor<strong>di</strong>che<br />

che circolavano in Bologna già da molti anni. Eseguì molteplici incisioni <strong>di</strong><br />

soggetto religioso imparando la grande lezione sullo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> figura dalle<br />

stampe <strong>di</strong> artisti bolognesi del Seicento. Mattioli non ebbe mai né moglie né<br />

figli, vestì sempre da abate (pur non prendendo mai i voti) visse e insegnò<br />

calligrafia e <strong>di</strong>segno all’Orfanotrofio <strong>di</strong> San Bartolomeo <strong>di</strong> Reno a Bologna<br />

fino alla morte avvenuta nel 1747. Ancora oggi, all’interno <strong>di</strong> questo e<strong>di</strong>ficio,<br />

si conserva entro una cornice in stucco sulla parete dello scalone settecentesco<br />

un bellissimo paesaggio a olio su muro, unico esempio pittorico del<br />

nostro incisore.<br />

Per comprendere come nacque l’e<strong>di</strong>zione del Bertoldo del 1736 sarà<br />

interessante calarsi nell’atmosfera intellettuale che animava i protagonisti <strong>di</strong><br />

questa rie<strong>di</strong>zione del poema crociano “addentrandoci” nella bottega dello<br />

stampatore Lelio dalla Volpe.<br />

13


14<br />

Ma cosa era una stamperia a Bologna nei primi anni del Settecento? Il<br />

Settecento fu definito il secolo “ristoratore della tipografia”, in modo particolare<br />

<strong>di</strong> quella Italiana; trionfava in questo secolo il concetto che anche la<br />

stampa era un’arte e che doveva riuscire con i propri mezzi a raggiungere la<br />

bellezza. Da questo nuovo concetto nascono le caratteristiche fondamentali<br />

della stampa bolognese del Settecento: un nuovo <strong>di</strong>segno per i caratteri, <strong>di</strong>sposizione<br />

migliore delle righe e giustezze, nitore e semplicità 1 . Lo stesso<br />

Sant’Uffizio, che per tutto il Seicento aveva continuato nella sua ferrea azione,<br />

a poco a poco attenuò i suoi rigori; l’esame dei libri non passò più attraverso<br />

tanti tribunali, ma spesso si limitò all’approvazione dell’or<strong>di</strong>nario<br />

<strong>di</strong>ocesano. Come scrive Sorbelli in ‘Storia della stampa in Bologna’: “Dopo il<br />

primo quarto <strong>di</strong> secolo i concetti <strong>di</strong> riforma, <strong>di</strong> rinascita, <strong>di</strong> liberazione dal convenzionalismo<br />

spagnolo a dal freddo rigorismo <strong>di</strong> aspetti religiosi esterni, si vanno sempre più affermando,<br />

per cause e origini stazionali, e per l’influsso dell’enciclope<strong>di</strong>smo e dell’illuminismo; cosicché<br />

la via è spianata ad una libertà <strong>di</strong> stampa sufficiente ai nuovi orientamenti del pensiero” 2 .<br />

In anni propizi per un rinnovamento del concetto <strong>di</strong> stampa a Bologna,<br />

verso gli anni venti del Settecento, nacque un sodalizio importante tra il nostro<br />

incisore e il famoso e<strong>di</strong>tore bolognese Lelio della Volpe (attivo a Bologna<br />

nel periodo 1720-1749). Tra i due nacque subito una profonda amicizia;<br />

sappiamo infatti con certezza che Mattioli trascorse molte serate, tra amici e<br />

colleghi, nella bottega <strong>di</strong> Lelio dalla Volpe la quale aveva sede sotto il portico<br />

dei Pollaroli.<br />

In questa bottega, centralissima e in bella posizione, convenivano tutti i<br />

dotti del tempo; questi erano attratti da una parte dai libri e dalle stampe e<br />

dall’altra dal carisma dello stampatore: “..oltre ad essere cortese, arguto, garbato,<br />

possedeva una certa cultura ed era mezzo letterato egli stesso” 3 . Tramite Lelio della<br />

Volpe strinsero rapporti alcuni tra i più gran<strong>di</strong> personaggi della Bologna del<br />

Settecento; letterati e scienziati, nella sua bottega convenivano tutti i Riformatori<br />

della bella letteratura italiana (Dino Provenzal, 1900) è noto, infatti, che in<br />

quel tempo Bologna ebbe un singolare risveglio in ogni campo dell’arte,<br />

delle scienze e delle lettere.<br />

In una <strong>di</strong> quelle sere del 1730 nella quale si riunirono questi intellettuali<br />

nacque l’idea <strong>di</strong> una importante pubblicazione collettiva poetica; il rifacimento<br />

in ottave del “Bertoldo” <strong>di</strong> Giulio Cesare Croce.<br />

1 Sorbelli A., Storia della stampa in Bologna, Bologna 1929, p. 164<br />

2 Ibidem<br />

3 Sorbelli A., Storia della stampa in Bologna, Bologna 1929, p. 165


Ritratto <strong>di</strong> Lodovico Mattioli, da G. P. Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina <strong>di</strong> Bologna<br />

aggregata all’Instituto delle Scienze e dell’Arti, volume secondo, Bologna 1739, p. 20<br />

15


16<br />

È importante sottolineare ciò che afferma proprio Lelio della Volpe a<br />

riguardo, nella prefazione dell’e<strong>di</strong>zione del 1736, rivolgendosi al lettore: “Ti<br />

<strong>di</strong>co dunque che il pensier <strong>di</strong> ridurre questa opera in versi nacque nella mia bottega, una<br />

sera, tenendosi <strong>di</strong>scorso intorno alle belle stampe intagliate dall’egregio Mattioli con la<br />

invenzione, in ciò che è il principale soggetto, del celebre pittore Crespi detto lo Spagnolo (le<br />

quali posseggo) conciossiaché ci fu allora chi <strong>di</strong>sse che ottimamente esse starebbero in una<br />

lunga poesia <strong>di</strong>visa in canti, e che se ne farebbe uno bello, e buon libro”. 4<br />

Queste parole testimoniano come Mattioli avesse già iniziato ad incidere<br />

le venti stampe del Bertoldo, in controparte da quelle <strong>di</strong> Crespi, nel 1730.<br />

I rami delle acqueforti del Crespi illustranti le gesta <strong>di</strong> Bertoldo e Bertol<strong>di</strong>no<br />

(realizzate dopo il suo soggiorno in Toscana del 1710-12) erano infatti logori<br />

e sbia<strong>di</strong>ti e il Della Volpe decise <strong>di</strong> farli rinfrescare e ritoccare da Mattioli,<br />

con l’evidente consenso e incitamento del Crespi.<br />

È interessante notare che la visione della stampe <strong>di</strong> Mattioli, da parte<br />

degli amici e colleghi nella bottega del Della Volpe, suggerì a questi l’idea <strong>di</strong><br />

integrare i venti episo<strong>di</strong> illustrati con la narrazione (preferibilmente poetica),<br />

in modo che ogni tavola stesse a rappresentare un momento dell’azione. Da<br />

una raccolta <strong>di</strong> stampe veniva dunque un libro illustrato, e uno dei primi e<br />

più belli che si formasse <strong>di</strong> tal genere.<br />

Analizzeremo tra poco nello specifico l’e<strong>di</strong>zione del 1736 del Bertoldo<br />

<strong>di</strong> Mattioli per comprendere meglio cosa si intende per forma narrativa dell’immagine<br />

grafica.<br />

L’idea <strong>di</strong> comporre venti canti, uno per ogni immagine, piacque molto<br />

ai letterati, che con entusiasmo s’impegnarono a partecipare al lavoro componendo<br />

un canto per ciascuno; e dove i poeti bolognesi non fossero stati<br />

sufficienti, si incaricarono <strong>di</strong> trovare altri colleghi, <strong>di</strong> fuori, <strong>di</strong>sposti ad accettare<br />

il piacevole compito: “Lo slancio <strong>di</strong> questi poeti, che al momento sapevano ritornare<br />

i dotti e gravi scienziati, ci <strong>di</strong>mostra come la facile vena gioconda e ridanciana non<br />

venisse loro mai meno: modesti buontemponi; amici lieti che in passatempi così innocenti<br />

trovavano il riposo, la quiete e la contentezza del loro spirito ingenuamente gioviale e<br />

bonaccione.” 5<br />

La <strong>di</strong>visione della materia fu fatta da Lelio stesso e la <strong>di</strong>stribuzione dei<br />

canti fu da lui sorteggiata. Il poema doveva essere composto in breve tem-<br />

4 Bertoldo con Bertol<strong>di</strong>no e Cacasenno in ottava rima, con argomenti, allegorie e figure in rame, in-quarto<br />

fig. Bologna, per Lelio della Volpe, 1736.<br />

5 Ron<strong>di</strong>nini A, Appunti e Varietà. Lelio della Volpe e l’e<strong>di</strong>zione del ‘Bertoldo’, in l’Archiginnasio, XXIII,<br />

Bologna 1928, p. 203.


L. Mattioli, frontespizio del “Bertoldo con Bertol<strong>di</strong>no e Cacasenno”,<br />

Stampato da Lelio dalla Volpe, Bologna,1736, collezione privata.<br />

17


18<br />

po, ma come vedremo fu pubblicato solo quattro o cinque anni dopo, per<br />

<strong>di</strong>verse ragioni: la prima fu il <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o sorto tra l’e<strong>di</strong>tore e il socio Longhi, il<br />

quale riteneva che assumersi l’incarico <strong>di</strong> un tale lavoro significasse una spesa<br />

troppo gravosa e improduttiva; in secondo luogo, e questa è forse la ragione<br />

principale, dato che venti dovevano essere gli autori del poema, come era il<br />

numero dei canti, non era facile che fossero finiti da tutti contemporaneamente.<br />

Dal 1732 al 1736 gli accenni al Bertoldo nelle lettere dei bolognesi<br />

sono frequenti e in tutti si avverte una certa ansiosa impazienza affinché il<br />

lavoro giunga a termine e il poema sia finalmente stampato 6 . Man mano che<br />

i canti erano finiti e ritoccati, è molto probabile che l’autore <strong>di</strong> ognuno li<br />

leggesse e li facesse gustare agli amici raccolti nella bottega. Questa trepidazione<br />

del popolo bolognese emerge da alcuni versi della poesia <strong>di</strong> Zanotti:<br />

“Di poi che mille intrichi hanno ridotta / l’impresa del Bertoldo a non finire / essendo<br />

ormai tre anni che d’uscire / s’aspetta, ond’è che il popolo borbotta.” 7<br />

Nel 1736 finalmente venne stampato e <strong>di</strong>stribuito nelle librerie <strong>di</strong> Bologna<br />

il Bertoldo che riscuoterà imme<strong>di</strong>atamente un enorme successo, tanto che<br />

lo stesso anno Lelio Dalla Volpe fece due ristampe una delle quali in versione<br />

economica <strong>di</strong> piccolo formato 8 (cm. 15 x 8 con 310 pagine numerate) 9 .<br />

Questa versione ‘tascabile’ era illustrata da venti incisioni, riduzioni in<br />

piccolo <strong>di</strong> quelle del Mattioli, eseguite da <strong>di</strong>versi autori tra i quali Contarelli,<br />

(Cantarelli), Quadri, Fabri, Pisarri, ecc. 10 Nel 1740 Il Bertoldo venne tradotto<br />

in bolognese, ad opera <strong>di</strong> Angiola e Teresa Canotti e Teresa e Maddalena<br />

Manfre<strong>di</strong>, riscuotendo grande successo tanto che in due anni (1740-1741)<br />

Lelio Dalla Volpe ne fece un<strong>di</strong>ci tirature 11 . La stu<strong>di</strong>osa Franca Varignana 12 ci<br />

informa che da un atto del 1794, relativo ad un inventario steso da Petronio<br />

6 Ibidem<br />

7 Poesie <strong>di</strong> Gian Pietro Cavazzoni Zanotti, tomi 3. In Bologna, nella Stamperia <strong>di</strong> Lelio Dalla<br />

Volpe, 1741-45, tomo III, pag. 231.<br />

8 Varignana F., Appen<strong>di</strong>ce. La fortuna e<strong>di</strong>toriale del Bertoldo crespiano, in Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>), Le<br />

Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal Cinquecento al Neoclassicismo,<br />

Bologna, 1973, p. 427.<br />

9 Le misure <strong>di</strong> questa versione economica del Bertoldo, sono segnalate da Ezio Flori in<br />

L’Archiginnasio, 1923.<br />

10 Varignana F., Appen<strong>di</strong>ce. La fortuna e<strong>di</strong>toriale del Bertoldo crespiano, in Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>), Le<br />

Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal Cinquecento al Neoclassicismo,<br />

Bologna, 1973, p. 427.<br />

11 Ibidem, p. 429.<br />

12 Ibidem, p. 425.


“Bertoldo con Bertol<strong>di</strong>no e Cacasenno”, Ritratto <strong>di</strong> Giulio Cesare Croce,<br />

Lelio dalla Volpe, Bologna,1736, collezione privata.<br />

19


20<br />

Ritratto <strong>di</strong> Lodovico Mattioli in: Luigi Crespi, Felsina Pittrice, vite dei pittori<br />

bolognesi, Tomo III che serve da supplemento all’opera del Malvasia,<br />

Roma 1769, p. 238


G. M. Crespi, “Bertoldo” Tav. 6, Bertoldo<br />

nascosto nel forno<br />

Dalla Volpe che stava in quel tempo trattando la cessione della stamperia<br />

all’Istituto delle Scienze, si apprende che nella bottega restavano i rami per il<br />

Bertoldo intagliati dal Crespi e quelli del Mattioli. Per tutto il Settecento e<br />

buona parte dell’Ottocento, a Bologna e in altre regioni d’Italia, il Bertoldo<br />

continuerà ad essere stampato riscuotendo grande successo tra il pubblico (a<br />

Venezia famosa è l’e<strong>di</strong>zione Savioli e quella del 1805 per i tipi dell’e<strong>di</strong>tore<br />

Marini) 13 .<br />

I venti rami del Mattioli sono tutti in controparte rispetto alle incisioni<br />

del 1710 e misurano alcuni centimetri in meno (quelle <strong>di</strong> Crespi, che contengono<br />

nel margine inferiore lo spazio per i versi, misurano mm. 227 x 144,<br />

quelle <strong>di</strong> Mattioli mm. 200 x 147). Le figure principali sono derivate, secondo<br />

la stu<strong>di</strong>osa Varignana 14 , con il proce<strong>di</strong>mento a calco da quelle del Crespi:<br />

ad eccezione del Bertoldo che entra nel forno (canto sesto) la cui figura è totalmente<br />

<strong>di</strong>fferente. Tutte le stampe <strong>di</strong> Mattioli sono incise con quei tratti molteplici<br />

che si <strong>di</strong>fferenziano a seconda dell’elemento raffigurato; per il paesaggio<br />

(soprattutto nelle montagne) utilizza brevi e tenui segmenti, per le ombre<br />

più marcate infittisce il fine reticolo con grande maestria, nelle frasche degli<br />

13 Ibidem, p. 429-430.<br />

14 Ibidem, p. 427.<br />

Ludovico Mattioli, “Bertoldo” Canto 6,<br />

Bertoldo entra nel forno<br />

21


22<br />

alberi si serve <strong>di</strong> quel tratto arricciolato 15 che crea il rigoglioso fogliame e<br />

infine per gli interni il nostro autore recupera quelle strategie <strong>di</strong> segno utilizzate<br />

per le architetture degli interni <strong>di</strong> chiese bolognesi su cui si era cimentato<br />

nelle stampe degli inizi del Settecento. Queste venti stampe del nostro autore<br />

rivelano una tecnica dell’acquaforte estremamente ricercata ravvisabile, oltre<br />

che nella varietà <strong>di</strong> segno, nella complessità delle replicazioni <strong>di</strong> morsure e<br />

coperture necessarie per rendere l’emergenza del secondo piano che si allontana<br />

grazie ai toni <strong>di</strong> grigio ribassati. In questo confronto tra le due traduzioni<br />

incisorie del Bertoldo del 1710 e del 1736 emergono <strong>di</strong>fferenze tecniche<br />

sorprendenti. Riguardo alla maniera <strong>di</strong> incidere del Crespi, Andrea Emiliani<br />

afferma: “Afferrava l’utensile con una specie <strong>di</strong> dolce violenza, e anziché<br />

replicare uniformemente il segno secondo una griglia ora più rada, ora più<br />

fitta e spessa, ove l’acido avrebbe potuto lavorare con equilibrio a seconda<br />

del “retino” voluto, si ostinava a tracciare segni più adatti al <strong>di</strong>segno se non<br />

ad<strong>di</strong>rittura al pennello. Le ombre, le mezze ombre, i tratti più profon<strong>di</strong> scendevano<br />

così a puntare verso la totalità, ove l’inchiostro si annidava, per stamparsi<br />

poi sulla carta inumi<strong>di</strong>ta con la stessa esplicita forza <strong>di</strong> segno.” 16 Lo<br />

stu<strong>di</strong>oso, nel descrivere la tecnica incisoria <strong>di</strong> Crespi parla <strong>di</strong> ‘scuri intensi’,<br />

‘aggrovigliarsi del graffio’, ‘imprimitura corposa’, espressioni quasi opposte<br />

a quelle utilizzabili per descrivere la delicata grafia del nostro autore.<br />

Analizziamo ora da vicino alcune delle venti stampe del Bertoldo incise<br />

dal nostro autore e anticipiamo quanto verrà detto in modo più dettagliato<br />

per ogni singola incisione: Mattioli nel Bertoldo attinge dal suo vasto repertorio<br />

<strong>di</strong> immagini (ricavate soprattutto dallo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> stampe nor<strong>di</strong>che) vari<br />

elementi che vanno, <strong>di</strong> volta in volta, ad arricchire le sue ambientazioni.<br />

L’antiporta dell’opera verrà esaminata per ultima, visto il riferimento<br />

iconografico importante che è emerso nel corso <strong>di</strong> questi stu<strong>di</strong>.<br />

Il primo canto, che rappresenta Bertoldo torna da re Alboino sull’asino tormentato<br />

dalle mosche, rivela nell’ambientazione tutti quegli arricchimenti<br />

paesaggistici che caratterizzano, a <strong>di</strong>fferenza delle stampe crespiane, queste<br />

illustrazioni del Mattioli. Sul margine sinistro del foglio è presente l’albero<br />

dal tronco nodoso con frasche, elemento chiave e identificatorio <strong>di</strong> molte<br />

stampe del nostro autore, la casa <strong>di</strong>etro l’albero tipicamente nor<strong>di</strong>ca, è la<br />

15 Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>), Le Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal<br />

Cinquecento al Neoclassicismo, Bologna, 1973, p 31.<br />

16 Ibidem, p. 31.


G. M. Crespi, “Bertoldo” Tav. 1, Bertoldo<br />

torna da re Alboino sull’asino tormentato dalle<br />

mosche<br />

G. M. Crespi, “Bertoldo” Tav. 2, Bertoldo<br />

risolve un quesito del re presentandosi col<br />

crivello in capo e una torta<br />

Ludovico Mattioli, “Bertoldo” C. 1, Bertoldo<br />

torna da re Alboino sull’asino tormentato dalle<br />

mosche<br />

23<br />

Ludovico Mattioli, “Bertoldo” C. 2, Bertoldo<br />

risolve un quesito del re presentandosi col crivello<br />

in capo e una torta


24<br />

stessa che Mattioli utilizzò in un altro suo <strong>di</strong>segno (Santo in Preghiera. Disegno<br />

conservato a Stuttgart, Staatsgalerie, Koenig Fachsenfeld) infine, la piccola<br />

cascata in secondo piano è uno degli elementi che il nostro autore assimilò<br />

negli anni giovanili dallo stu<strong>di</strong>o delle stampe dell’incisore parigino Nicolas<br />

Perelle.<br />

Già nel secondo canto, Bertoldo risolve un quesito del Re…, Mattioli inserisce<br />

sullo sfondo quegli elementi ‘d’Arca<strong>di</strong>a’che gli stu<strong>di</strong>osi hanno sempre<br />

posto in evidenza analizzando l’e<strong>di</strong>zione del nostro autore “I paesaggi invece<br />

vengono completamente reinventati in una semplificatissima <strong>di</strong>mensione<br />

arca<strong>di</strong>ca, quasi sempre comprensibile proprio nell’orbita delle ideazioni più<br />

tipiche del Mattioli” 17 e ancora “..le incisioni, tecnicamente assai virtuose e<br />

ben <strong>di</strong>verse dal ruvido, essenziale segno crespiano, sono evidentemente altro<br />

dalla primitiva invenzione. E’un’Arca<strong>di</strong>a elegante e coerente che accoglie i tre<br />

villani, ai quali aggiunge, senza <strong>di</strong>fferenziare cifra e importanza, giovani pastori<br />

e conta<strong>di</strong>ne vezzose, mescolati a ninfe e a personaggi biblici che incombono<br />

travestiti, le barbe da profeta, giusta la consuetu<strong>di</strong>ne del Mattioli a<br />

trasporre in incisioni <strong>di</strong>pinti <strong>di</strong> soggetto sacro. Le figure principali si appiattiscono<br />

entro un paesaggio che le avvolge e le ingloba quasi soavemente, agli<br />

scabri fondali si sostituiscono monti e cascatelle, ra<strong>di</strong>ci nodose e frondose<br />

chiome arboree e improbabili panorami con torrioni e mete egizie e capanne<br />

pittoresche.” 18 Un microuniverso naturalistico anima lo sfondo <strong>di</strong>etro le gran<strong>di</strong><br />

figure dei protagonisti del primo piano; pastori seduti all’ombra degli<br />

alberi con le loro greggi, viandanti con bastoni al seguito <strong>di</strong> muli carichi <strong>di</strong><br />

ceste, conta<strong>di</strong>ne che mungono le mucche. Questi elementi, che sottintendono<br />

lo stile paesaggistico settecentesco del nostro autore svolgono un’altra importante<br />

funzione illustrativa, ovvero, donano un senso <strong>di</strong> continuità narrativa<br />

ai singoli episo<strong>di</strong>.<br />

Nel terzo canto, Mattioli inserisce un obelisco a forma <strong>di</strong> piramide che<br />

si erge nella città rappresentata sullo sfondo; questo elemento che nulla ha a<br />

che fare con i luoghi in cui si svolge la storia <strong>di</strong> Bertoldo è lo stesso obelisco<br />

che il nostro autore inserisce in una delle stampe della serie dei Fasti <strong>di</strong> Luigi<br />

XIV del 1701.<br />

17 Ibidem, p. 30.<br />

18 Varignana F., Giuseppe Maria Crespi e il ‘Bertoldo’: forme <strong>di</strong> una lettura, in Giuseppe Maria Crespi<br />

1665-1747,catalogo mostra a cura <strong>di</strong> Emiliani A., Rave A. B, Bologna 1990, p. 111.


Ludovico Mattioli, “Bertoldo” C. 3, Bertoldo pensa <strong>di</strong> eludere con la lepre le minacce della regina<br />

G. M. Crespi, “Bertoldo” Tav. 3, Bertoldo<br />

pensa <strong>di</strong> eludere con la lepre le minacce<br />

della regina<br />

25<br />

Ludovico Mattioli, Fasti <strong>di</strong> Luigi XIV,<br />

mese <strong>di</strong> Febbraio


26<br />

G. M. Crespi, “Bertoldo” Tav. 4, Bertoldo<br />

messo nel sacco da uno sbirro della regina<br />

G. M. Crespi, “Bertoldo” Tav. 5, Bertoldo<br />

inganna lo sbirro e lo insacca<br />

Lodovico Mattioli, “Bertoldo” C. 4, Bertoldo<br />

messo nel sacco da uno sbirro della regina<br />

Lodovico Mattioli, “Bertoldo” C. 5, Bertoldo<br />

inganna lo sbirro e lo insacca


Lodovico Mattioli, “Bertoldo” C. 7 Bertol<strong>di</strong>no caricato sull’asino <strong>di</strong> traverso<br />

27


28<br />

Nel quarto e nel quinto canto (Bertoldo messo nel sacco da uno sbirro e Bertoldo<br />

inganna lo sbirro e lo insacca) il “delicato interno settecentesco a stucchi e cornici,<br />

rimpiazza il muro spoglio tracciato dallo Spagnolo nella stampa analoga,<br />

con i mattoni a vista.” 19 . In queste due stampe, Mattioli costruisce gli interni<br />

con linee lunghe e parallele; elementi che egli aveva già utilizzato per creare il<br />

rigore gli interni architettonici, nelle stampe <strong>di</strong> chiese bolognesi agli inizi del<br />

Settecento.<br />

Nel sesto canto il soggetto rappresentato è completamente mo<strong>di</strong>ficato<br />

rispetto all’originale crespiano: il Bertoldo celato nel forno, è raffigurato nell’atto<br />

in cui sta per entrare nel forno. Emiliani sottolinea l’eleganza <strong>di</strong> questa figura<br />

che non ha nulla a che vedere con il rozzo Bertoldo “Mattioli pone una<br />

figura intera <strong>di</strong> spalle, in atto <strong>di</strong> introdursi nel forno, in un vano ad arco<br />

acuto; nonostante il cappellaccio, è un personaggio elegante, con un manto<br />

fiorito che scende a drappeggiarsi intorno alle gambe: è ancora un giovin<br />

signore, senza furberie rusticane, che gioca a nascondersi nella masseria della<br />

villa.” 20<br />

Dal settimo canto ve<strong>di</strong>amo svolgersi le avventure <strong>di</strong> Bertol<strong>di</strong>no e compare<br />

la più adulta figura <strong>di</strong> Bertoldo.<br />

Le incisioni per il canto settimo presentano gli stessi elementi che abbiamo<br />

già posto in evidenza. Nell’ottavo canto, il modo <strong>di</strong> trattare le ombre<br />

delle due figure in secondo piano –ovvero linee lunghe parallele e senza incroci–<br />

è lo stesso che il nostro autore aveva utilizzato nella stampa <strong>di</strong> Donna<br />

che si specchia e bimbo, nei Primi elementi <strong>di</strong> pittura e <strong>di</strong>segno del 1728.<br />

Il nono canto, Bertol<strong>di</strong>no cova invece della chioccia, non presenta nessuna variante<br />

rispetto all’opera crespiana, ad eccezione della figura della vecchia in<br />

secondo piano che sbuca per intero, e delle frasche <strong>di</strong>etro al muro che non<br />

sono presenti nell’opera <strong>di</strong> Crespi.<br />

In tutti i canti successivi Mattioli arricchisce lo sfondo con paesaggio e<br />

figure e introduce nel primo piano alberi dal ricco fogliame; il protagonista<br />

del racconto non è più isolato nella sua emergente frontalità 21 , ma è inserito<br />

in un contesto vivace dal racconto <strong>di</strong>namico. Dal quin<strong>di</strong>cesimo canto cambia<br />

nuovamente il protagonista che vede in Cacasenno l’ultimo eroe <strong>di</strong> questa av-<br />

19 Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>), Le Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal<br />

Cinquecento al Neoclassicismo, Bologna, 1973, p. 111.<br />

20 Ibidem<br />

21 Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>), Le Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal<br />

Cinquecento al Neoclassicismo, Bologna, 1973, p. 16.


G. M. Crespi, “Cacasenno”, Tav. 4, Partenza<br />

<strong>di</strong> Cacasenno<br />

G. M. Crespi, “Cacasenno”, Tav. 6,<br />

Cacasenno mangia un vaso <strong>di</strong> colla<br />

29<br />

Lodovico Mattioli, “Bertoldo”, C. 18, Partenza<br />

<strong>di</strong> Cacasenno<br />

Lodovico Mattioli, “Bertoldo”, C. 20, Cacasenno<br />

mangia un vaso <strong>di</strong> colla


30<br />

ventura popolare. Il testo originale che chiude questo racconto venne scritto<br />

all’inizio del Seicento da Camillo Scaligero dalla Fratta, ossia il monaco<br />

olivetano Adriano Banchieri che concluse con Cacasenno, figlio del semplice<br />

Bertol<strong>di</strong>no il poema crociano.<br />

Nel <strong>di</strong>ciottesimo e nel ventesimo canto Mattioli inserisce a margine del<br />

racconto pie<strong>di</strong>stalli con colonne a fusto rispettivamente scanalato e non<br />

scanalato; anche tali elementi architettonici sono già stati utilizzati nel<br />

frontespizio dei Primi elementi <strong>di</strong> pittura e <strong>di</strong>segno del 1728.<br />

Analizziamo ora l’antiporta, che rappresenta la famiglia <strong>di</strong> Bertoldo, <strong>di</strong><br />

questa ristampa <strong>di</strong> Mattioli che non è presente nell’e<strong>di</strong>zione del 1710. Riportiamo<br />

quanto affermano i biografi principali del nostro autore “V’ha bisognato<br />

poi aggiungere <strong>di</strong> suo ritrovamento il frontespizio, che contiene la famiglia tutta <strong>di</strong><br />

Bertoldo, espressa con molta grazia, e verità” 22 e “Ritagliò pure la favola <strong>di</strong> Bertoldo in<br />

venti rami…aggiungendovi però qualche poco <strong>di</strong> paese, ed il frontespizio” 23 . Entrambi i<br />

biografi sono dunque d’accordo nell’attribuire al nostro autore l’invenzione<br />

dell’antiporta. Secondo lo stu<strong>di</strong>oso Renato Roli il <strong>di</strong>segno a sanguigna<br />

dell’antiporta, conservato all’Archiginnasio <strong>di</strong> Bologna, è “un indubbio documento<br />

<strong>di</strong> grafia crespiana” 24 ; <strong>di</strong>scorde è invece Varignana che attribuisce<br />

l’invenzione <strong>di</strong> questa stampa a Mattioli 25 . Tale <strong>di</strong>segno dal contorno continuo<br />

e regolare della sanguigna suggerisce l’idea che questo tratto pulito e<br />

sottile appartenga alla mano <strong>di</strong> un minuzioso incisore quale è Mattioli e non<br />

ad un pittore dal segno più marcato quale è Crespi. Lo stu<strong>di</strong>oso inglese John<br />

Spike, tuttavia, afferma che Crespi presenta una varietà <strong>di</strong> stili <strong>di</strong>fferenti nei<br />

<strong>di</strong>segni, nei quali spesso accanto a <strong>di</strong>segni impetuosi e d’improvvisazione 26 si<br />

trovano prove <strong>di</strong> sanguigna sorvegliata e appuntita 27 . Questa complessa attribuzione,<br />

richiederebbe stu<strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>ti sulla grafia crespiana messa a<br />

confronto con i <strong>di</strong>segni del nostro autore. Ci limiteremo, in questo stu<strong>di</strong>o, a<br />

22 Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina, Bologna 1739, p. 24; il termine “frontespizio”<br />

viene usato, oltre che per il frontespizio propriamente detto, anche per la pagina ornata che lo<br />

precede, chiamata, nella moderna terminologia bibliografica, “antiporta”.<br />

23 Crespi L., Vite de’ Pittori bolognesi non descritti nella ‘Felsina Pittrice’. Bologna 1769, p. 239.<br />

24 Roli R., Disegni <strong>di</strong> Giuseppe Maria Crespi per la serie incisoria delle ‘Storie <strong>di</strong> Bertoldo’, in Atti<br />

e memorie dell’Accademia Clementina <strong>di</strong> Bologna, XI, Bologna 1974, p. 75.<br />

25 Varignana F., Appen<strong>di</strong>ce. La fortuna e<strong>di</strong>toriale del Bertoldo crespiano, in Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>),<br />

Le Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal Cinquecento al Neoclassicismo,<br />

Bologna, 1973, p. 424.<br />

26 Spike J. T., Giuseppe Maria Crespi <strong>di</strong>segnatore, in Giuseppe Maria Crespi 1665-1747, catalogo della<br />

mostra a cura <strong>di</strong> Emiliani A., Rave A. B, Bologna 1990 p. 157.<br />

27 Ibidem.


L. Mattioli, “Bertoldo con Bertol<strong>di</strong>no e Cacasenno”, Antiporta. La scritta incisa in calce alla<br />

lastra recita: “1736. Bononiae. Delineabat et incidebat Ludovicus Mattioli Bononiensis, in<br />

Clementina Picturae, et Sculpturae Academia Professor. ann(os) agens 7(4). F.”<br />

31


32<br />

dare cre<strong>di</strong>to alle fonti principali (Crespi e Zanotti) che attribuiscono esplicitamente<br />

l’invenzione, e quin<strong>di</strong> il <strong>di</strong>segno, a Mattioli.<br />

Solo le quattro figure sono completate con leggere ombreggiature, la<br />

casa e gli elementi <strong>di</strong> ambientazione presenti nella stampa sono, nel <strong>di</strong>segno,<br />

appena accennati. Il nostro autore ha perciò arricchito la scena nell’incisione,<br />

con l’albero sullo sfondo e i dettagli della casa “nor<strong>di</strong>ca”, <strong>di</strong>rettamente sulla<br />

lastra.<br />

Una ricerca dettagliata sui possibili riferimenti iconografici del nostro<br />

incisore, ha portato ad in<strong>di</strong>viduare in una stampa <strong>di</strong> Nicolaes Berchem 28 la<br />

medesima figura della donna <strong>di</strong> spalle con la conocchia e il fuso presente<br />

nell’antiporta <strong>di</strong> Mattioli.<br />

Il nostro incisore (o Crespi?) probabilmente possedeva questa stampa,<br />

ipotesi questa avvalorata dall’Inventario dei suoi beni (documento emerso dalle<br />

nostre ricerche presso l’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Bologna) nel quale leggiamo che<br />

egli possedeva un libro <strong>di</strong> stampe Oltremontane. Si può anche supporre che<br />

Mattioli abbia visto in casa <strong>di</strong> un amico questa incisione <strong>di</strong> Berchem e l’abbia<br />

avuta in prestito per riprodurre la figura <strong>di</strong> donna. Nicolaes Berchem era un<br />

artista molto apprezzato fra i conoscitori del Sette e dell’Ottocento 29 . A<br />

Bologna, per citare un esempio, il famoso collezionista Marcello Oretti possedeva<br />

nella sua raccolta <strong>di</strong> stampe, incisioni Oltremontane tra le quali quelle<br />

<strong>di</strong> Perelle e <strong>di</strong> Nicolaes Berchem 30 .<br />

La figura <strong>di</strong> donna con fuso nell’antiporta <strong>di</strong> Mattioli è esattamente in<br />

controparte rispetto a quella <strong>di</strong> Berchem e identica in ogni minimo dettaglio.<br />

Inoltre, nel Gabinetto delle Stampe e Disegni <strong>di</strong> Bologna abbiamo rintracciato<br />

un esemplare della stampa <strong>di</strong> Berchem e si è potuto constatare che le<br />

due figure speculari hanno la stessa <strong>di</strong>mensione. L’unica piccola variante è<br />

l’inclinazione della conocchia che nella stampa <strong>di</strong> Mattioli passa sotto il braccio<br />

sinistro della donna, ed è infilata posteriormente nella cinta del grembiule,<br />

secondo una modalità tipica delle filatrici. La tecnica incisoria dal segno<br />

fluido e intenso che Berchem utilizza per descrivere l’elegante figura <strong>di</strong> questa<br />

donna è tradotta da Mattioli con un più accurato reticolo che caratterizza<br />

tutta la stampa dell’antiporta. Tale ‘presenza’ olandese nell’opera <strong>di</strong> Mattioli<br />

28 La stampa <strong>di</strong> Nicolaes Berchem (1620-1683) che raffigura il Pastore seduto a una fontana è<br />

riprodotta in The Illustrated Bartsch, vol. 7, fig. 8 (259) p. 53.<br />

29 Catalogo della mostra su Nicolaes Berchem, a cura <strong>di</strong> Gianvittorio Dillon, Bassano del Grappa<br />

1981.<br />

30 Tali notizie sono desunte dalla lettura del manoscritto dell’Oretti conservato all’Archiginnasio<br />

<strong>di</strong> Bologna, In<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> stampe e <strong>di</strong>segni…, ms. B. 405.


L. Mattioli,<br />

particolare della<br />

donna che fila<br />

Nicolaes Berchem, “pastore seduto ad una fontana”, 1692. TIB<br />

vol. 7, fig. 8 (259) p. 53.<br />

33<br />

Nicolaes Berchem,<br />

particolare ‘specchiato’<br />

dell’originale.


34<br />

conferma ancora una volta la pre<strong>di</strong>lezione del nostro artista per le stampe <strong>di</strong><br />

artisti nor<strong>di</strong>ci.<br />

A conclusione <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o sull’e<strong>di</strong>zione del Bertoldo del 1736, segnaliamo<br />

i <strong>di</strong>segni a sanguigna nello stesso verso delle stampe <strong>di</strong> Mattioli<br />

ritrovati da Boffito 31 nel 1926 che Varignana considera come “copia assai<br />

poco curata tratta dai rami del Mattioli (a quella data già eseguiti tanto da<br />

suscitare l’intera impresa letteraria) tracciata da qualcuno della bottega e da<br />

usarsi per l’approvazione <strong>di</strong> legge (11 Julii 1733. Incidatur. D. Pius Caietanus<br />

Cadolini Vicarius Generalis S. Officii Bononiae)” 32 .<br />

Lodovico Mattioli, “Bertoldo”, C. 16, Finalino<br />

31 Boffito G., Le acqueforti del Crespi e le stampe dell’e<strong>di</strong>zione illustrata del Bertoldo, in l’Archiginnasio,<br />

XXI, Bologna 1926. p. 6.<br />

32 Varignana F., Appen<strong>di</strong>ce. La fortuna e<strong>di</strong>toriale del Bertoldo crespiano, in Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>), Le<br />

Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal Cinquecento al Neoclassicismo,<br />

Bologna, 1973, p. 427.


NICOLETTA FERRIANI<br />

Gaetano Lo<strong>di</strong>: dalle decorazioni in Egitto<br />

alla cooperativa <strong>di</strong> Imola<br />

Nel 1872 il decoratore crevalcorese Gaetano Lo<strong>di</strong> si imbarcò per l’Egitto 1 , chiamato<br />

ad ornare alcuni e<strong>di</strong>fici Reali <strong>di</strong> recente costruzione. Lo stato africano, all’epoca,<br />

era governato da una stirpe <strong>di</strong> sovrani turchi, i Ke<strong>di</strong>vè, cresciuti culturalmente<br />

sul suolo europeo, precisamente a Parigi 2 ; l’amore e la passione che essi<br />

<strong>di</strong>mostrarono nei riguar<strong>di</strong> dell’Occidente fu ben riconoscibile, poiché gioirono<br />

nel circondarsi <strong>di</strong> schiere <strong>di</strong> musicisti, architetti e pittori europei 3 . Questa tendenza<br />

filo-occidentale mostrò i più alti risultati con l’incoronazione del Ke<strong>di</strong>vè Ismail 4<br />

nel 1863: fu lui a commissionare a Giuseppe Ver<strong>di</strong> l’opera, ambientata in Egitto,<br />

Aida, messa in scena nel 1871 entro il nuovissimo teatro dell’opera al Cairo;<br />

contemporaneamente cominciò il riassetto <strong>di</strong> una zona al centro della capitale,<br />

Al-Tahrir Midan, secondo l’impianto urbano delle città giar<strong>di</strong>no inglesi, con ampi<br />

viali alberati, strutturati sul modello dei boulevard parigini, dove vennero fatti<br />

costruire <strong>di</strong>versi palazzi (denominati kasr) per la corte del re 5 , che richiesero la<br />

presenza <strong>di</strong> numerose maestranze, tra cui, appunto, il Lo<strong>di</strong>.<br />

Durante il settimo decennio del XIX secolo non fu, infatti, così insolito<br />

incontrare sul suolo egiziano professionisti italiani 6 attratti dalle <strong>di</strong>verse richieste <strong>di</strong><br />

mano d’opera: l’apertura del Canale <strong>di</strong> Suez, nel 1869, portò forti profitti commerciali<br />

alla neonata nazione italiana 7 . Agli interessi economici si affiancarono<br />

1 Lettera dell’ ing. Luigi Vassalli, in data 28 luglio 1872, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori.<br />

2 http// www.cronologia.it/mondo07<br />

3 Pieri, Architetti e artigiani tra Toscana ed Egitto nella seconda metà dell’ Ottocento, in Giusti M.A.,<br />

Godoli E., (a cura <strong>di</strong>), L’orientalismo nell’architettura italiana tra Ottocento e Novecento, Siena 1999, pp.<br />

301-310<br />

4 ibid.<br />

5 Sull’ argomento si consulti: http//www.egy.com<br />

6 Si veda: Orvieto C., La presenza degli italiani in Egitto, Roma 1961; Briani V., Italiani in Egitto,<br />

Roma 1982<br />

7 Sul colonialismio italiano si consulti: Pavanati C., Colonialismo, Milano 1997, p. 54; Gabrielli C.,<br />

Colonialismo, Milano 1997; Palma S., L’Italia coloniale, Roma 1999, pp. 6-7; http//www. colonialismo<br />

italiano.it<br />

35


36<br />

quelli culturali: il grande fascino che da sempre il paese africano esercitava sulla<br />

civiltà occidentale, così che numerosi <strong>di</strong>vennero i viaggi <strong>di</strong> esplorazione geografica<br />

e <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o storico organizzati in quegli anni.<br />

Tornando a Gaetano Lo<strong>di</strong>, numerosissima è la corrispondenza e la documentazione<br />

inerente ai quasi cinque anni trascorsi al Cairo (dal 1872 al 1877) 8 , che ha<br />

permesso <strong>di</strong> ricostruire le <strong>di</strong>verse commissioni che egli eseguì. Lo<strong>di</strong> si era <strong>di</strong>stinto<br />

in patria come decoratore, avendo ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui la<br />

nomina <strong>di</strong> “Pittore della Real Casa Savoia” e <strong>di</strong> “Accademico Onorario” presso<br />

l’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti <strong>di</strong> Firenze, e ora questa nuova prova, su <strong>di</strong> un territorio<br />

straniero, ne inorgogliva l’animo e ne stimolava la volontà <strong>di</strong> sperimentazione,<br />

nonché <strong>di</strong> ulteriore appren<strong>di</strong>mento 9 .<br />

La prima opera alla quale si de<strong>di</strong>cò (e che continuò durante tutto il soggiorno,<br />

fino al 1877) fu il servizio da tavola in porcellana che il Ke<strong>di</strong>vè aveva or<strong>di</strong>nato alla<br />

<strong>di</strong>tta fiorentina Ginori 10 ; Lo<strong>di</strong> fu tra i numerosi <strong>di</strong>segnatori e modellatori 11 che<br />

stu<strong>di</strong>arono, sul suolo egizio, lo stile dell’antica civiltà faraonica, per tradurlo in<br />

modo originale sulle preziose superfici in ceramica. Con enorme passione lavorò<br />

sulle decorazioni in stile egiziano, cercando <strong>di</strong> stilizzare e sintetizzare quei tratti, dai<br />

vivaci colori, che poi <strong>di</strong>segnava entro i piccoli spazi del servizio da portata (fig. 1).<br />

Egli eseguiva i bozzetti per “saliere, zuppiere, piatti da portata…” 12 , i quali venivano<br />

presentati al Ke<strong>di</strong>vè per poi essere spe<strong>di</strong>ti in Italia, tramite il console italiano<br />

De Martini, ed essere prodotti nella fabbrica <strong>di</strong> Doccia 13 .<br />

Come è stato accennato precedentemente, anche in Egitto Lo<strong>di</strong> non abbandonò<br />

il grande amore per la decorazione parietale, visto che il Ke<strong>di</strong>vè richiese la sua<br />

presenza entro alcune residenze private. Attraverso lo stu<strong>di</strong>o della corrispondenza<br />

si è potuto rintracciare il nome <strong>di</strong> una <strong>di</strong> esse, kasrel-al-ali 14 , probabilmente la<br />

8 Sono state ritrovate quarantasette lettere scritte al Cairo. Giornale <strong>di</strong> lettere, Archivio Lo<strong>di</strong>-<br />

Vettori<br />

9 Dell’ esperienza in Egitto Lo<strong>di</strong> andò sempre fiero e ne menzionò, negli anni successivi, in<br />

numerose lettere <strong>di</strong> presentazione: Giornale <strong>di</strong> lettere 1878, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />

10 Si veda: Figurier L., Le meraviglie dell’ industria, il vetro e le porcellane, Milano 1880, p. 302; Liverani<br />

G., Il museo delle porcellane <strong>di</strong> Doccia, Firenze 1967, pp. 44-74; Ginori Lisci L., Le porcellane <strong>di</strong> Doccia,<br />

Firenze 1967, pp. 120, 136, 147; Monti R. (a cura <strong>di</strong>), La manifattura Richard-Ginori <strong>di</strong> Doccia,<br />

Firenze 1988, pp. 91-93<br />

11 Jafet Torelli, Vannini e Cesari (modellatori), Leopoldo Nincheri, Lorenzo Bacheroni, Giuseppe<br />

Bendassi (decoratori). Per la vicenda si veda: http// www. museo<strong>di</strong>doccia.it<br />

12 Lettera all’ ing. Luigi Vassalli, 7 agosto 1872, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />

13 Lettera del 19 gennaio 1873, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />

14 Appunto <strong>di</strong> pagamento <strong>di</strong> Lire 15.000 per un salone da pranzo, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori


(fig. 1) Ditta Ginori: Servizio <strong>di</strong> porcellana per il Ke<strong>di</strong>vè<br />

Ismail. c. 1872-1876. Doccia, Museo della <strong>di</strong>tta Richard-<br />

Ginori<br />

più imponente, 15 oltre alla lista dei <strong>di</strong>segni preparatori eseguiti per l’harem privato<br />

del sovrano: l’elenco comprende oltre cinquanta voci. 16 Un lavoro davvero imponente,<br />

<strong>di</strong> cui ora rimane il ricordo attraverso il recupero <strong>di</strong> sette bozzetti donati<br />

dai figli <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong> al <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Bologna nel 1933, e conservati nel deposito della<br />

locale Galleria d’Arte Moderna. 17 Di notevoli <strong>di</strong>mensioni, raggiungono infatti<br />

misure che superano i due metri <strong>di</strong> lunghezza, realizzati con la qualità e la precisione<br />

<strong>di</strong> un miniatore, rigogliosi <strong>di</strong> decorazioni secondo gli stili europei. Così amante<br />

dell’arte occidentale, il Ke<strong>di</strong>vè Ismail volle contornarsi <strong>di</strong> un tripu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> arte neo<br />

barocca, rinascimentale e floreale: eclettismo è il termine migliore per descrivere<br />

la tipologia <strong>di</strong> quei soffitti e <strong>di</strong> quelle pareti caratterizzati da una moltiplicità <strong>di</strong> stili,<br />

nessuno dei quali prevarica sugli altri, senza che si determini tra <strong>di</strong> essi una fusione<br />

in<strong>di</strong>ssolubile e una sintesi rinnovatrice, rimanendo così <strong>di</strong>stinguibili 18 .<br />

Lo<strong>di</strong> seppe recuperare la gamma <strong>di</strong> modelli pittorici impiegati nelle precedenti<br />

opere decorative, aumentandone il grado <strong>di</strong> sintesi figurativa, per creare impo-<br />

15 http// www.egy.com<br />

16 Elenco: <strong>di</strong>segni dei lavori eseguiti al Cairo, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />

17 Lettera del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Bologna al sig. Cesare Lo<strong>di</strong> Focar<strong>di</strong>, 30 luglio 1952, <strong>Crevalcore</strong>, Archivio<br />

storico.<br />

18 Sull’ argomento si veda: Crispolti A., ad vocem “Eclettismo”, in Enciclope<strong>di</strong>a universale dell’arte. vol.<br />

IV. Venezia-Roma 1963. pp. 486-498; Mazzoni L., Santin S., Tra<strong>di</strong>zioni e regionalismi: aspetti<br />

dell’eclettismo in Italia Napoli 2000, passim; Visentin C., L’equivoco dell’Eclettismo, Bologna 2003.<br />

37


38<br />

nenti spazi dove il brulichio generale <strong>di</strong> linee e colori superava la percezione dei<br />

singoli elementi. Le pareti e i soffitti furono <strong>di</strong>visi tramite impianti modulari a<br />

comparti, secondo la tipologia decorativa in uso in Italia nella prima metà del<br />

XIX secolo, 19 entro cui i motivi pittorici apposti seguirono un grado <strong>di</strong> astrazione<br />

e semplificazione che può essere ricondotto alla consuetu<strong>di</strong>ne geometrizzante<br />

della cultura araba. 20<br />

Un ampio soffitto dalla forma lobata e dalla superficie a volta cassettonata è ciò<br />

che Lo<strong>di</strong> ideò per il “Salone al piano superiore” 21 (fig. 2): è un lussureggiante<br />

intreccio <strong>di</strong> foglie e riccioli in finta pietra grigia, tra bouquet <strong>di</strong> rose, brillii d’oro e<br />

panneggi <strong>di</strong> un rosso intenso, che scoprono la ban<strong>di</strong>era turca coronata. Nella<br />

finta volta <strong>di</strong>segnata sono alcune ron<strong>di</strong>ni a dare vita alla scena, volando verso il<br />

centro della composizione, dove un rosone, ornato da leggere volute rocaille,<br />

pare sfumare nella nebbia (fig. 3).<br />

Con minuzia e rigore è stato eseguito il progetto per un “Salone al pian terreno”<br />

(fig. 4), la cui superficie è <strong>di</strong>visa da una serie si riquadri dal <strong>di</strong>verso perimetro<br />

entro cui campeggiano, alternandosi, decorazioni a grottesca con animali, dall’andamento<br />

simmetrico e figure vestite in abiti classici. Nella parte più esterna una<br />

finta cornice architettonica proietta la propria ombra fino alla zona centrale, decorata<br />

a finti cassettoni <strong>di</strong> forma circolare, con elementi allegorici e figure mostruose<br />

(curiosa è la presenza dello stemma del comune <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, paese<br />

natale <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong>) su fondali bianchi e neri, come fossero caselle <strong>di</strong> una scacchiera. Il<br />

fuoco dell’intero soffitto è un comparto <strong>di</strong> forma mistilinea entro cui si mostra<br />

un gruppo <strong>di</strong> tre figure, volanti sopra una nuvola, con panneggi leggeri alzati dal<br />

vento.<br />

La parete <strong>di</strong> una sala non identificata 22 si presenta, nel progetto <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong>, colma <strong>di</strong><br />

decorazioni (fig. 5): sul lato sinistro due finte paraste con capitello composito si<br />

mostrano ornate nella parte centrale con un tralcio <strong>di</strong> vite che si intreccia attorno<br />

ad un esile tronco; in mezzo ad esse, su <strong>di</strong> un pie<strong>di</strong>stallo <strong>di</strong>segnato, sporgente dalla<br />

superficie, poggia un vaso dal fondo nero e dalle fattezze greche, il quale proietta<br />

la propria ombra sopra gli altri elementi. La parte rimanente della parete, inter-<br />

19 Si veda: Matteucci A. M., I decoratori <strong>di</strong> formazione bolognese tra Settecento e Ottocento. Da Mauro Tesi<br />

ad Antonio Basoli, Milano 2002<br />

20 Sull’ arte islamica si veda: Atil E., (a cura <strong>di</strong>), Arte islamica e mecenatismo: tesori del Kuwait. Collezione<br />

Al-Sabah, Catalogo mostra (Firenze 1994), New York 1999; Papadopalo A., L’ Islam e l’ arte<br />

musulmana, Milano 2000<br />

21 Per questo bozzetto e per quelli <strong>di</strong> seguito esaminati, la <strong>di</strong>citura, in<strong>di</strong>cante gli ambienti (non<br />

meglio identificati) cui le decorazioni erano destinate, compare sugli stessi progetti<br />

22 Il <strong>di</strong>segno non ha <strong>di</strong>citure apposte sulla propria superficie


(fig. 2) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al Cairo. c. 1872-1876. Tempera<br />

su carta. Bologna, Galleria d’ Arte moderna<br />

(fig. 3) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al Cairo. c. 1872-1876. Tempera<br />

su carta. Bologna, Galleria d’ Arte moderna<br />

39


40<br />

(fig. 4) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al Cairo. c. 1872-1876. Tempera<br />

su carta. Bologna, Galleria d’ Arte moderna.<br />

(fig. 5) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al Cairo. c. 1872-1876. Tempera<br />

su carta. Bologna, Galleria d’ Arte moderna.


(fig. 6) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al<br />

Cairo. c. 1872-1876. Tempera su carta. Bologna, Galleria d’Arte<br />

moderna<br />

rotta dalla presenza <strong>di</strong> una porta, mostra una decorazione in stile pienamente<br />

eclettico, poiché vengono uniti a spazi con decorazioni a grottesca, riquadri dal<br />

fondo azzurro con figure femminili classicheggianti, cornici con ghirlande floreali<br />

policrome, decorazioni modulari a greca dal fine contorno dorato, o specchiature<br />

in finto marmo.<br />

Simile, nel criterio compositivo, è il progetto per un’altra parete 23 (si potrebbe<br />

ipotizzare sia una versione elaborata del precedente <strong>di</strong>segno), dove lo stile è <strong>di</strong>venuto<br />

molto più florido e arioso: la sud<strong>di</strong>visione per comparti ha lasciato il posto<br />

a ghirlande pendenti entro uno spazio unico, sorrette da un tripu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> elementi<br />

ad ornato barocco in finta pietra (fig. 6).<br />

Di particolare interesse risulta la decorazione <strong>di</strong> un soffitto 24 entro cui campeggiano<br />

finti cassettoni, <strong>di</strong> forma rettangolare e circolare, con mascheroni mostruo-<br />

23 Il <strong>di</strong>segno è denominato: Parete del soffitto B<br />

24 Il <strong>di</strong>segno è denominato: C laterale del soffitto A<br />

41


42<br />

(fig. 7) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al Cairo. c.<br />

1872-1876. Tempera su carta. Bologna, Galleria d’Arte moderna<br />

si (elemento ricorrente nelle decorazioni <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong>) (fig. 7). Al centro viene racchiuso<br />

uno spazio con un motivo molto stilizzato a corolla floreale, che presenta nella<br />

parte più esterna elementi curvi, <strong>di</strong> color blu, ed elementi angolari, <strong>di</strong> color rosso,<br />

sopra i quali campeggiano le silhouette <strong>di</strong> una mezza luna e <strong>di</strong> una stella a cinque<br />

punte; la tonalità del fondo è <strong>di</strong> un azzurro trasparente, il quale degrada verso un<br />

candore lucente. Questo motivo non ha continuità con le altre decorazioni parietali<br />

che Gaetano Lo<strong>di</strong> eseguì per il sovrano egiziano, trovando maggiore eco negli<br />

esempi eseguiti per il servizio in ceramica, dove la schematizzazione degli elementi<br />

decorativi è evidente.<br />

La capacità <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong> <strong>di</strong> saper unire tipologie decorative <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso stile, si mostra<br />

nel progetto della “parete del salone nel Salamelech”, dove tra una serie <strong>di</strong> ritratti<br />

<strong>di</strong> personaggi abbigliati secondo l’usanza araba (probabilmente si tratta <strong>di</strong> ritratti<br />

<strong>di</strong>nastici), si apre uno spazio da cui pende una finta tenda <strong>di</strong> color rosso sulla<br />

quale compare la figura <strong>di</strong> un angelo che reca in mano due corone <strong>di</strong> alloro. La<br />

commistione tra la cultura turca e quella europea è ben visibile in questo esempio<br />

e si evidenzia come il decoratore seppe dar concretezza ai desideri del suo mecenate,<br />

sia dal punto <strong>di</strong> vista iconografico che stilistico.<br />

Il settimo <strong>di</strong>segno, conservato nella galleria bolognese, è probabilmente il progetto<br />

<strong>di</strong> una porzione <strong>di</strong> soffitto (ipotesi che si basa sulla presenza <strong>di</strong> una finta cornice<br />

architettonica in rilievo posta solamente su uno dei quattro lati del <strong>di</strong>segno), <strong>di</strong><br />

forma quadrangolare, <strong>di</strong> una sala non conosciuta del palazzo reale: la decorazione<br />

ideata da Lo<strong>di</strong> è costituita da un riquadro in cui si alternano cassettoni dalle<br />

forme <strong>di</strong>verse, (motivo già proposto nel <strong>di</strong>segno “C laterale del soffitto A”, fig.<br />

7) e dalle tonalità rosse e bianche, i quali racchiudono, nella zona centrale, un<br />

motivo quadrilobato (fig. 8).


(fig. 8) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al Cairo. c.<br />

1872-1876. Tempera su carta. Bologna, Galleria d’Arte moderna<br />

Dopo aver attentamente scorso ed analizzato le opere egiziane del decoratore<br />

bolognese, si può notare come egli seppe rinnovare il proprio stile, abbandonando<br />

quel repertorio decorativo, fatto <strong>di</strong> revival stilistici, che rischiava <strong>di</strong> venire<br />

riproposto in modo meccanico nelle <strong>di</strong>verse commissioni; il contatto con una<br />

cultura così <strong>di</strong>fferente da quella italiana, come è quella islamica e la presenza <strong>di</strong> un<br />

mecenate aperto nell’accettare nuove soluzioni decorative furono, quasi sicuramente,<br />

le motivazioni che portarono Lo<strong>di</strong> a questa evoluzione artistica.<br />

L’attento stu<strong>di</strong>o della corrispondenza <strong>di</strong> Gaetano ha potuto evidenziare la sua<br />

presenza all’interno <strong>di</strong> un’altra residenza del Cairo: durante il 1873 egli soggiornò<br />

presso il commendatore Pietro Cicolani, per cui portò a termine importanti opere<br />

<strong>di</strong> pittura 25 , delle quali si hanno solamente riferimenti scritti ma non visivi; si<br />

trattava <strong>di</strong> quattro corridoi, un salotto ed un atrio 26 .<br />

25 Lettera in<strong>di</strong>rizzata al sig. Cicolani <strong>di</strong> Livorno, 19 gennaio 1873, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />

26 Richiesta <strong>di</strong> pagamento <strong>di</strong> Lire 34.000 al sig. Cicolani, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />

43


44<br />

L’ultimo anno in terra egiziana, il 1876 27 , fu per Lo<strong>di</strong> piuttosto duro, poiché non<br />

si vedeva recapitare, da parte del Ke<strong>di</strong>vè, i compensi dovuti e desiderava enormemente<br />

tornare dalla propria famiglia in Italia 28 : “… le commissioni erano però<br />

in altri termini, ora tutto è speculazione … ma in un modo che l’artista vero non<br />

può vivere e ti <strong>di</strong>rò francamente che non veggo l’ora <strong>di</strong> aver terminato i miei<br />

impegni per tornarmene in Italia.” 29<br />

Fortunatamente non si perse mai d’animo, anche grazie alle continue offerte <strong>di</strong><br />

lavoro che ricevette 30 , tra cui la proposta, fattagli dal sindaco <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, <strong>di</strong><br />

decorare il nuovo teatro in via <strong>di</strong> costruzione, e che Gaetano, spinto dal forte<br />

legame che sempre mantenne con il proprio luogo natio, accettò con orgoglio.<br />

Le sfide per Gaetano non si erano ancora concluse, poiché dopo aver portato a<br />

termine l’opera pittorica nella platea crevalcorese e ottenuto la cattedra <strong>di</strong> ornato<br />

presso la scuola speciale <strong>di</strong> ornato dell’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti <strong>di</strong> Bologna, accettò<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>rigere la nuova sezione artistica della Cooperativa “Ceramica <strong>di</strong> Imola” 31 ;<br />

la storia <strong>di</strong> questa società è quella <strong>di</strong> una parte dell’Italia lavoratrice che all’alba<br />

dell’unificazione sentì la necessità <strong>di</strong> dare una svolta alla propria storia.<br />

Al contrario <strong>di</strong> paesi come l’Inghilterra o la Francia, in cui si incentivava ampiamente<br />

l’impren<strong>di</strong>toria industriale, in Italia tutto era ancora <strong>di</strong>sorganizzato, e vincolato<br />

da una tra<strong>di</strong>zione quasi del tutto agricola.<br />

All’inizio fu “fabbrica <strong>di</strong> maioliche e stoviglie” coraggiosamente fondata dalla<br />

famiglia Bucci; quando Giuseppe ne assunse la <strong>di</strong>rezione (era il 1871) intuì che<br />

l’azienda necessitava <strong>di</strong> una svolta in senso cooperativo. Nel 1875 i soci firmarono<br />

il Patto <strong>di</strong> fratellanza in cui si superava l’interesse in<strong>di</strong>viduale per tendere ad un<br />

miglioramento morale e materiale.<br />

Convinti sostenitori della necessità <strong>di</strong> una legge <strong>di</strong> tutela nei riguar<strong>di</strong> del lavoro<br />

minorile, i primi soci istituirono una scuola serale <strong>di</strong> alfabetizzazione, così da<br />

educare correttamente le nuove generazioni e contemporaneamente formarle dal<br />

punto <strong>di</strong> vista lavorativo.<br />

27 Consolato d’ Italia al Cairo: certificato <strong>di</strong> nazionalità per l’ anno 1876, <strong>Crevalcore</strong>, Archivio<br />

storico<br />

28 Numerose sono le lettere inerenti i problemi <strong>di</strong> pagamento, scritte durante il 1876, Archivio<br />

Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />

29 Lettera in<strong>di</strong>rizzata al sig. Busi, 24 settembre 1876, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />

30 Gli venne commissionato il restauro <strong>di</strong> un teatro <strong>di</strong> Livorno: Lettera dell’ ottobre 1876, Archivio<br />

Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />

31 Ravanelli Guidotti C., Gaetano Lo<strong>di</strong> (1830-1886): un “ornatista” per l’arte della ceramica, in “Faenza”,<br />

n 1-6, LXVII, 1981, pp. 83-91


Nel giro <strong>di</strong> pochi anni l’associazione <strong>di</strong> Imola <strong>di</strong>venne un punto <strong>di</strong> riferimento<br />

per le nascenti cooperative italiane. A darle rinomanza nazionale avevano contribuito<br />

le <strong>di</strong>verse esposizioni a cui la società partecipò con grande successo: a Milano<br />

nel 1881, a Imola nel 1883 e a Torino nel 1884, dove i soci ricevettero<br />

<strong>di</strong>verse medaglie per meriti <strong>di</strong> produzione.<br />

La vera novità e la grande svolta fu la creazione <strong>di</strong> una sezione autonoma, quella<br />

artistica, fondata nel 1882, dotata <strong>di</strong> un proprio regolamento e avente come<br />

<strong>di</strong>rettore il professor Gaetano Lo<strong>di</strong>. Egli non percepiva alcuno stipen<strong>di</strong>o, gli<br />

spettavano solo compensi e rimborsi spese in caso <strong>di</strong> spostamenti; la sua non era<br />

un’occupazione costante, poiché già era impegnato nell’incarico all’Accademia<br />

del capoluogo. Certo gli veniva riconosciuta grande stima come artista, e la sua<br />

maniera così eclettica portò a Imola un’ondata <strong>di</strong> novità.<br />

L’incontro con la ceramica per Lo<strong>di</strong> era avvenuto in anni giovanili quando, arrivato<br />

a Bologna ventenne, frequentò i corsi <strong>di</strong> decorazione all’Accademia Pontificia<br />

e fece pratica <strong>di</strong> bottega sotto l’allora illustre professor Giuseppe Manfre<strong>di</strong>ni.<br />

In città conobbe anche Angelo Minghetti, uno dei più importanti produttori <strong>di</strong><br />

terraglie 32 bolognesi e fu con questo materiale che Gaetano realizzò i suoi primi<br />

lavori su cui appose decorazioni a motivo floreale. Lavorò sempre adottando<br />

una tecnica pittorica leggera, con ricche sfumature <strong>di</strong> colore condotte in modo<br />

abbozzato. La sua notevole capacità decorativa gli fece avere un’importante lavoro<br />

nell’ambito delle ceramiche: come si ricordava in precedenza, collaborò all’esecuzione<br />

dei bozzetti per il servizio commissionato dal Ke<strong>di</strong>vè, i quali venivano<br />

puntualmente inviati allo stabilimento Ginori nei pressi <strong>di</strong> Firenze perché fossero<br />

realizzati in porcellana.<br />

L’incontro che il decoratore ebbe con l’arte egiziana produsse uno sviluppo della<br />

sua creatività davvero esplosivo che, nell’ambito della ceramica, si nota dalla serie<br />

<strong>di</strong> opere in stile esotico realizzate a Imola tra il 1883 e 1886, anno della sua morte<br />

(fig. 9). Nell’ultimo periodo della vita si de<strong>di</strong>cò con devozione sia alla creazione <strong>di</strong><br />

piatti, coppe e tazze per la propria famiglia o come dono per gli amici, dove si<br />

nota un tratto pittorico <strong>di</strong> notevole sensibilità moderna, sia alla pratica dell’insegnamento<br />

che pare essere stata per lui una vera vocazione.<br />

Il 26 luglio del 1883 il cavalier Lo<strong>di</strong> venne nominato <strong>di</strong>rettore della sezione artistica,<br />

nonché socio onorario, atto testimoniato dal <strong>di</strong>ploma decorato a china, dallo<br />

stesso insignito, con motivi <strong>di</strong> fiori e insetti 33 . Il Regolamento della sezione, che<br />

32 Voce “ceramica” in, Enciclope<strong>di</strong>a dell’ arte, Tanga S., (a cura <strong>di</strong>), Novara 1992, p. 240: per terraglia<br />

si intende un materiale costituito da terra fine bianco-avorio coperta <strong>di</strong> vernice piombifera (sabbia<br />

silicea e ossido <strong>di</strong> piombo) trasparente.<br />

33 Diploma <strong>di</strong> nomina… 26 luglio 1883, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />

45


46<br />

venne definitavene redatto ed approvato alla fine dello stesso anno con vali<strong>di</strong>tà<br />

retroattiva, stabiliva l’uniformità <strong>di</strong> intenti con il resto della cooperativa pur rimanendone<br />

staccata, e concedeva molta flessibilità <strong>di</strong> movimenti al proprio <strong>di</strong>rettore<br />

(<strong>di</strong>versi punti dello Statuto furono creati su misura del Lo<strong>di</strong>, poiché non residente<br />

a Imola).<br />

I numerosi pezzi che sono conservati nel Museo della Cooperativa mostrano<br />

l’enorme versatilità e il senso totale per la decorazione che Gaetano mantenne<br />

inalterato negli anni, continuando a toccare <strong>di</strong>versi stili <strong>di</strong> ornamenti dal pompeiano<br />

al turco al persiano. Da una lettera 34 risulta evidente come molti lavori venissero<br />

svolti dai pittori della sezione artistica sulle sole in<strong>di</strong>cazioni del <strong>di</strong>rettore, quin<strong>di</strong> è<br />

risultato arduo, in alcuni casi, la <strong>di</strong>retta attribuzione <strong>di</strong> opere al Professore.<br />

“Dice bene nella sua lettera che bisogna andare avanti colla velocità dell’elettrico.<br />

Diversamente c’è il pericolo per tutti <strong>di</strong> non riuscire a nulla <strong>di</strong> buono […] la<br />

nostra fortuna e il nostro avvenire <strong>di</strong>pendono da battesimo che ci verrà dato<br />

dall’Esposizione <strong>di</strong> Torino […] un’occasione come quella che ci offre l’Esposizione<br />

<strong>di</strong> Torino, Dio sa quando ci capiterà più” 35 .Con queste parole un assistente<br />

scriveva al Lo<strong>di</strong> il 27 ottobre 1883, quando i fermenti per i preparativi erano<br />

molto evidenti. L’occasione, per la Cooperativa <strong>di</strong> Imola, fu davvero <strong>di</strong> enorme<br />

importanza per potersi far conoscere a livello internazionale. Il Lo<strong>di</strong> faceva recapitare,<br />

dal suo stu<strong>di</strong>o all’Accademia, numerosi bozzetti per opere da farsi in previsione<br />

dell’evento, tra cui il piatto <strong>di</strong> grande formato con il ritratto <strong>di</strong> Vittorio<br />

Emanuele II da offrire alla regina Margherita (fig. 10); l’opera fu notata dalla<br />

critica che si espresse in tal modo: “All’Esposizione <strong>di</strong> Torino domenica è stato<br />

acquistato dal Principe Amedeo il piatto con il ritratto <strong>di</strong> Vittorio Emanuele della<br />

fabbrica Società Ceramica <strong>di</strong> Imola, ove per la parte artistica è <strong>di</strong>rettore il prof.<br />

Cavaliere Gaetano Lo<strong>di</strong>. Ciò torna a molto onorevole decoro della fabbrica<br />

stessa e dell’egregio suo Direttore” 36 .<br />

Per le giornate torinesi fu progettato e realizzato inoltre un grande piatto da<br />

pompa con la <strong>di</strong>citura “Esposizione Generale <strong>di</strong> Torino 1884” a mo’ <strong>di</strong> cartiglio<br />

sotto lo stemma sabaudo completamente incoronato da una folta composizione<br />

floreale, volto chiaramente ad ingraziarsi i consensi della giuria.<br />

Quanto stesse a cuore al Lo<strong>di</strong> la partecipazione della Cooperativa all’Esposizione<br />

lo si nota dall’intensificarsi della corrispondenza che egli scambiò con numerosi<br />

34 La lettera è pubblicata in: Ravanelli Guidotti C., Gaetano Lo<strong>di</strong> (1830-1886): un “ornatista” per l’arte<br />

della ceramica, in “Faenza”, n 1-6, LXVII, 1981, pp. 83-91. nota 71, p. 131<br />

35 Ibid., p. 57<br />

36 Ibid., p. 68


conoscenti che risiedevano nella città piemontese e a cui egli chiedeva giu<strong>di</strong>zi e<br />

consigli. Tito Azzolini, membro del collegio giu<strong>di</strong>cante, espresse all’amico grande<br />

ammirazione per come fosse riuscito ad elevare il lavoro dei ceramisti ottenendo<br />

risultati <strong>di</strong> pregevole fattura e lo avvisava dell’assegnazione <strong>di</strong> una medaglia d’argento<br />

per i progressi fatti 37 .<br />

Le ultime composizioni mostrano sostanziali mutamenti dello stile decorativo <strong>di</strong><br />

Gaetano Lo<strong>di</strong>: le superfici sono prive <strong>di</strong> spazi vuoti, gremite <strong>di</strong> elementi, soprattutto<br />

fiori intrecciati come in giungle, realizzati con un tratto sempre più evanescente<br />

e stilizzato, erano fiori da pareti, da piatti, non elementi della natura, sintomo<br />

che il germe dello “stile floreale”, che si <strong>di</strong>ffuse a Bologna agli inizi del Novecento,<br />

in lui era già pienamente presente.<br />

Di grande interesse è stato il ritrovamento <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> appunti privati che il<br />

professor Lo<strong>di</strong> probabilmente utilizzò durante alcune lezioni teoriche presso la<br />

cooperativa imolese: cinquantasette fogli non rilegati, pieni <strong>di</strong> cancellature, annotazioni<br />

e non catalogati, sono rimasti per troppo tempo entro un raccoglitore<br />

dell’Archivio Storico del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> 38 .<br />

Il manoscritto fu un gra<strong>di</strong>to dono al paese <strong>di</strong> origine dell’artista da parte <strong>di</strong> un<br />

pronipote, il signor Luca Vettori: poche persone ne conoscevano l’esistenza o in<br />

pochi se ne ricordavano.<br />

Meticolosamente numerati, come era abitu<strong>di</strong>ne del Lo<strong>di</strong>, nella parte in alto a<br />

sinistra del foglio con l’uso <strong>di</strong> inchiostro <strong>di</strong> colore rosso, presentano altri elementi<br />

apposti con la medesima tinta, come annotazioni a lato del testo o titolazioni. La<br />

parte scritta, con inchiostro nero, lascia sulla sinistra della pagina uno spazio vuoto,<br />

che in venti fogli è riempita con <strong>di</strong>segni esplicativi dell’argomento trattato:<br />

alcuni sono realizzati con il solo uso del tratto a china, altri (conservati in sei fogli)<br />

presentano colorazioni a tempera.<br />

Questi scritti dovevano servire al Lo<strong>di</strong> come materiale <strong>di</strong>dattico, come appunti<br />

me<strong>di</strong>ante i quali mostrare alla classe <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>sti le <strong>di</strong>verse modalità sulle tecniche<br />

pittoriche <strong>di</strong> decorazione su muro.<br />

Il manoscritto è sud<strong>di</strong>viso in tre progressive lezioni che vanno dalle prime definizioni<br />

<strong>di</strong> materiali, colori e <strong>di</strong> semplici calcoli geometrici, fino all’uso delle tinte<br />

secondo <strong>di</strong>verse tecniche pittoriche (ad affresco, a calce, a colla, a matto, etc.),<br />

all’applicazione delle foglie d’oro.<br />

L’intero corpo è una testimonianza assai preziosa sulla situazione tecnico-artistica<br />

37 Ibid., p. 73<br />

38 Lo<strong>di</strong>, Lezioni teorico-pratiche <strong>di</strong> tecniche <strong>di</strong> decorazione, 1882, <strong>Crevalcore</strong>, Archivio storico<br />

47


48<br />

alla fine del XIX secolo in ambito bolognese. Le parole pronunciate dal professore<br />

non erano rivolte a un gruppo <strong>di</strong> giovani e promettenti artisti ma ad artigiani<br />

specializzati nella lavorazione della ceramica, ad imbianchini che nei momenti <strong>di</strong><br />

sosta dall’impiego (le lezioni si svolgevano <strong>di</strong> domenica) cercavano <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re<br />

la propria conoscenza pittorica, come si denota dalle parole del professore:<br />

“ … fate poco ma fate bene e non fate come certi pittorocchi che vogliono fare<br />

dell’arte che fa metà [...] lasciate fare agli artisti l’arte e le cose serie, e così vedrete<br />

che ve la caverete bene sotto ogni rapporto.” 39<br />

Si ricor<strong>di</strong> che la considerazione verso gli operai e le cooperative sociali era cambiata<br />

già dall’inizio del secolo, che il concetto <strong>di</strong> arte si era <strong>di</strong> molto <strong>di</strong>latato ed<br />

aveva cominciato ad entrare negli oggetti <strong>di</strong> uso quoti<strong>di</strong>ano; l’arte iniziava a dover<br />

<strong>di</strong>videre la propria posizione sul po<strong>di</strong>o con la presenza <strong>di</strong> manufatti seriali.<br />

Vennero stampati in quegli anni anche corsi <strong>di</strong> decorazione per corrispondenza,<br />

come “Il piccolo artista” o l’“ABC del <strong>di</strong>segno” 40 : erano costituiti da un unico<br />

foglio piegato in quattro su cui venivano raffigurati modelli <strong>di</strong> ornato da copiare,<br />

come tralci <strong>di</strong> vite, capitelli e fiori d’acanto.<br />

Furono, questi, anni <strong>di</strong> fermento e <strong>di</strong> passaggio da un uso esclusivo <strong>di</strong> tecniche e<br />

materiali artigianali ai prodotti usciti dalle industrie: <strong>di</strong>fficile infatti comprendere<br />

cosa il Lo<strong>di</strong> pre<strong>di</strong>ligesse poiché si formò in un ambiente come quello dell’Accademia<br />

bolognese non troppo incline a rapide evoluzioni, ma l’esperienza, i numerosi<br />

viaggi che effettuò durante la vita e il ritrovamento <strong>di</strong> alcuni fogli 41 mostrano<br />

che egli precorreva senza alcuna remora il proprio tempo. Come ricorda Vincenzo<br />

Gherol<strong>di</strong>, la volontà <strong>di</strong> rinnovamento e il vincolo con la tra<strong>di</strong>zione sono veri<br />

problemi nello stu<strong>di</strong>o delle tecniche, poiché i decoratori in quell’epoca si trovarono,<br />

nel giro <strong>di</strong> pochi anni, a <strong>di</strong>sposizione prodotti <strong>di</strong> poco costo che permisero<br />

realizzazioni molto rapide e facilitate, ottenendo risultati <strong>di</strong> livello <strong>di</strong>screto, cosa<br />

che fino allora avrebbe richiesto grande abilità. 42<br />

Al foglio 3 (fig. 12) Lo<strong>di</strong> fa cenno dell’uso del latte <strong>di</strong>luito in acqua da porre sul<br />

muro come rime<strong>di</strong>o per un’imprimitura troppo forte: questa modalità fa parte<br />

<strong>di</strong> usi e ricette dettati dalla tra<strong>di</strong>zione e dall’esperienza; come ricorda Gherol<strong>di</strong> il<br />

latte funge da fissativo e isolante ed evita che la pittura scrosti, molto usato era<br />

anche come lucidante per le pitture a tempera. Ecco che l’orizzonte della storia fa<br />

39 Lo<strong>di</strong>, 1882, foglio 34.<br />

40 Gherol<strong>di</strong> V., Tra<strong>di</strong>zione e innovazione. Due seminari sui comportamenti tecnici dei decoratori e decoratrici<br />

fra storia, industria e artigianato senza tempo, Mantova 1997.<br />

41 Listino prezzi della <strong>di</strong>tta <strong>di</strong> colori inglese “Reeves and sons”, <strong>Crevalcore</strong>, Archivio Storico<br />

42 Gherol<strong>di</strong> V., Tra<strong>di</strong>zione e innovazione..., cit.


(fig. 10) Piatto celebrativo con il ritratto <strong>di</strong> Vittorio Emanuele II, maiolica policroma; sul bordo del<br />

cavetto vi è la scritta in caratteri epigrafici IX GENNAIO MDCCCLXXXIV. Eseguito presso la<br />

Cooperativa Ceramica <strong>di</strong> Imola. Nel medaglione centrale è firmato Prof. Lo<strong>di</strong>. Firenze, Coll. Lo<strong>di</strong>-<br />

Focar<strong>di</strong> Abbondanti. Simile a questo doveva essere il piatto acquistato dal principe Amedeo presso<br />

l’esposizione <strong>di</strong> Torino.<br />

49<br />

(fig. 9) “Fantasia egizia”,<br />

maiolica policroma;<br />

piatto eseguito<br />

presso la Cooperativa<br />

Ceramica <strong>di</strong><br />

Imola nel 1884. Nel<br />

medaglione centrale è<br />

firmato Prof. Lo<strong>di</strong>. Firenze,<br />

Coll. Lo<strong>di</strong>-<br />

Focar<strong>di</strong>


50<br />

il proprio ritorno sopra nuove e più rapide soluzioni portate dall’evoluzione tecnica.<br />

Sulla stessa linea si mostrano gli impieghi <strong>di</strong> olio <strong>di</strong> lino cotto, al foglio 5,<br />

come isolante per l’umi<strong>di</strong>tà o quello del blan medosir (bianco medone 43 ) al foglio<br />

21.<br />

Ai propri allievi il Lo<strong>di</strong> portò un bagaglio <strong>di</strong> conoscenze e nozioni che egli aveva<br />

pienamente assimilato nei lunghi anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e soprattutto <strong>di</strong> insegnamento<br />

all’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti come or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> ornato; qui la biblioteca era molto<br />

fornita dei testi che avevano delineato i tratti principali <strong>di</strong> teoria e pratica pittorica<br />

nei secoli ed egli doveva averne un <strong>di</strong>retto e rapido accesso: si può immaginare,<br />

anzi, che alcuni fondamentali trattati si trovassero <strong>di</strong> norma posti sopra la sua<br />

scrivania. Giorgio Vasari, Andrea Pozzo e Francesco Milizia sono ben riconoscibili,<br />

negli appunti del professore, come fonti: in alcuni casi si tratta della ripresa <strong>di</strong><br />

nozioni e concetti che da sempre avevano costituito le basi della pratica artistica e<br />

che quin<strong>di</strong> erano largamente con<strong>di</strong>visi, in altri si tratta dell’influenza <strong>di</strong> nozioni ben<br />

specifiche, per le quali si ritrovano infatti frasi riprese testualmente dai trattati<br />

menzionati. Per sei fogli, poi, è ad<strong>di</strong>rittura il modo <strong>di</strong> impaginazione e <strong>di</strong> costruzione<br />

della struttura del testo ad essere ripreso: dal settimo al do<strong>di</strong>cesimo Lo<strong>di</strong><br />

parla <strong>di</strong> come preparare, dal punto <strong>di</strong> vista geometrico, le pareti e i soffitti prima<br />

<strong>di</strong> apporvi la pittura; si nota la totale ripresa del metodo dall’opera <strong>di</strong> Padre<br />

Pozzo “Perspectiva pictorum et architectorum”, con la spiegazione del modo <strong>di</strong><br />

operare svolta attraverso l’uso <strong>di</strong> un linguaggio colloquiale e la <strong>di</strong>mostrazione<br />

grafica a lato, sulla sinistra della pagina. Tutto il trattato del pittore della Chiesa <strong>di</strong><br />

S. Ignazio fu per la cultura emiliana della quadratura un testo <strong>di</strong> grande rilievo fino<br />

alla fine del Ottocento. 44<br />

; e così soprattutto dalla sezione finale dell’opera, intitolata “Breve istruzione sul<br />

<strong>di</strong>pingere a fresco”, il nostro professore riprese il modo <strong>di</strong> classificare i colori per<br />

lavorare sia a calce che ad affresco 45 .<br />

43 Bianco medone: noto anche come bianco <strong>di</strong> Spagna, è una polvere finissima <strong>di</strong> carbonato <strong>di</strong> calce<br />

venduta in pani, da ad<strong>di</strong>zionarsi a colla solubile in acqua. Si usava come legante per colori prima<br />

dell’ avvento <strong>di</strong> prodotti industriali; si veda, Gherol<strong>di</strong> V., Tra<strong>di</strong>zione e innovazione. Due seminari sui<br />

comportamenti tecnici dei decoratori e decoratrici fra storia, industria e artigianato senza tempo, Mantova<br />

1997, p. 27<br />

44 Pozzo, perspectiva pictorum et architectorum. 1° e<strong>di</strong>zione in latino, de<strong>di</strong>cata all’ Imperatore Leopoldo<br />

I, con 22° tavole incise, 2 voll., Roma 1693-1702; vi è aggiunta una Breve istruzione per <strong>di</strong>pingere a<br />

fresco, (ed. cit., Roma 1741-1758) 2 voll; altre e<strong>di</strong>zioni: Roma 1770; Roma 1717; Roma 1723;<br />

Roma 1737; Roma 1764; Roma 1798<br />

45 Lo<strong>di</strong>, 1882, foglio 22 e 23


Il linguaggio usato da Lo<strong>di</strong> è molto <strong>di</strong>retto e semplice, viene evitato l’uso <strong>di</strong><br />

articolazioni grammaticali complicate e manca in alcuni casi la punteggiatura; si<br />

può pensare che il motivo stesse nell’esigenza <strong>di</strong> rivolgersi ad un gruppo <strong>di</strong> allievi<br />

<strong>di</strong> cultura non eccellente o più verosimilmente nel fatto che il testo scritto fungeva<br />

solamente da promemoria per l’insegnante e come traccia per l’esposizione orale.<br />

Spesso il Lo<strong>di</strong> fa mostra della sua ampia conoscenza citando antichi trattati; e<br />

facendo questo gli capita anche <strong>di</strong> cadere in errore: nel foglio 35C egli parla <strong>di</strong> un<br />

famoso concetto vasariano attribuendolo a Leonardo da Vinci:<br />

“ e <strong>di</strong>ce benissimo Leonardo da Vinci che quelli che cercano <strong>di</strong> lavorare nel muro<br />

lavorino visibilmente a fresco e non ritocchino a secco, che oltre a essere cosa vilissima<br />

vi rende più corta la vita alle pitture.” 46<br />

Pare, ad ogni modo che egli volesse dare elevazione ed importanza a ciò che<br />

andava <strong>di</strong>cendo.<br />

Per quanto riguarda l’opera <strong>di</strong> Francesco Milizia il “Dizionario delle belle arti e<br />

del <strong>di</strong>segno” uscito nel 1797 si conosce già l’impatto che al suo comparire aveva<br />

avuto a Bologna. 47<br />

L’autore nelle proprie definizioni non mancava mai <strong>di</strong> fare riferimento alla natura<br />

e criticava duramente chi si limitasse alla pratica del copiare servilmente. Anche<br />

Lo<strong>di</strong> al foglio 14 delle proprie lezioni titolato “Quali sono le prime regole per<br />

<strong>di</strong>segnare la decorazione in pratica” mostra <strong>di</strong> aderire in pieno a questi principi e<br />

<strong>di</strong> aver sicuramente letto con interesse il “Dizionario”. Nei fogli 26 e 27 quando<br />

tratta <strong>di</strong> intonazioni <strong>di</strong> colori segue le parole del Milizia a proposito <strong>di</strong> armonia<br />

generale della composizione, raggiunta grazie all’impiego <strong>di</strong> tonalità dominanti.<br />

Sull’argomento delle armonie tra <strong>di</strong>verse gradazioni cromatiche che si vengono a<br />

formare nell’occhio dell’osservatore, il Lo<strong>di</strong> doveva aver letto un passo da qualche<br />

aggiornato trattato in cui si facesse riferimento ai rapporti tra l’arte e la fisiologia<br />

umana, magari un trattato <strong>di</strong> ottica; nelle lezioni si ritrovano infatti osservazioni<br />

su principi ottici che nei trattati dei secoli precedenti non venivano presi in<br />

considerazione, testimonianza <strong>di</strong> come nel giro <strong>di</strong> pochi decenni gli stu<strong>di</strong> si fossero<br />

sviluppati e <strong>di</strong> come il Lo<strong>di</strong> ne fosse a conoscenza.<br />

Un testo <strong>di</strong> fondamentale riferimento tecnico per l’analisi dei materiali durante<br />

l’Ottocento fu pubblicato a Milano nel 1833 da Lorenzo Marcucci col titolo:<br />

“Saggio analitico-chimico sopra i colori minerali e sul modo <strong>di</strong> procurarsi gli artefatti, gli smalti<br />

46 Ibid., foglio 35C<br />

47 Milizia, <strong>di</strong>zionario della belle arti del <strong>di</strong>segno, 2 voll., 1° e<strong>di</strong>z.: Bassano 1787, (ed. cit. Bologna 1822),<br />

altre e<strong>di</strong>zioni: Bassano 1797; Milano 1802; Bologna 1827<br />

51


52<br />

(fig. 11) G. Lo<strong>di</strong>: Lezione 1, foglio I, lezioni teorico-pratiche <strong>di</strong> tecniche <strong>di</strong> decorazione,<br />

1882, <strong>Crevalcore</strong> Archivio storico


(fig. 12) G. Lo<strong>di</strong>: lezione III, foglio 3: lezioni teorico-pratiche <strong>di</strong> tecniche <strong>di</strong> decorazione,<br />

1882, <strong>Crevalcore</strong> Archivio storico<br />

53


54<br />

e le vernici”. 48<br />

L’opera analizza un’ampia gamma <strong>di</strong> sostanze usate in ambito artistico svelandone<br />

composizioni chimiche e modalità per la produzione, anche attraverso l’uso <strong>di</strong><br />

tavole figurative. E’un punto fondamentale per comprendere come quelli furono<br />

anni <strong>di</strong> passaggio tra la manualità artigianale e i prodotti industriali: ad esempio<br />

dei pigmenti viene offerta la storia che essi ebbero nei secoli, i luoghi <strong>di</strong> importazione<br />

e i <strong>di</strong>fferenti usi che se ne fecero. Attraverso la lettura <strong>di</strong> queste pagine si<br />

sono potuti dare riferimenti più precisi alle lezioni del professor Lo<strong>di</strong>, anche a<br />

materiali <strong>di</strong> cui inizialmente sembrava <strong>di</strong>fficile comprendere l’origine.<br />

Attraverso questi stu<strong>di</strong> si sono potuti evidenziare aspetti fino ad oggi poco conosciuti<br />

della figura del crevalcorese Gaetano Lo<strong>di</strong>, mettendone in risalto la personalità<br />

artistica, la complessa attività decorativa, il valente insegnamento al <strong>di</strong> fuori<br />

delle ufficiali istituzioni accademiche, la varia cultura artistico-letteraria che lo rendono<br />

una figura degna <strong>di</strong> attenzione <strong>di</strong> quell’epoca <strong>di</strong> passaggio tra l’operare<br />

artistico tra<strong>di</strong>zionale e le nuove esigenze imposte dalle trasformazioni economico-sociali<br />

avvenute sullo scorcio del XIX secolo.<br />

48 Marcucci, L., Saggio analitico- chimico sopra i colori minerali e il modo <strong>di</strong> procurarsi gli artefatti, gli smalti<br />

e le vernici, Milano 1833


MASSIMO BALBONI<br />

Il territorio crevalcorese alla fine del ‘500:<br />

comunità, nobili e ban<strong>di</strong>ti.<br />

Alla fine del 1500 il controllo che lo Stato Pontificio cercava <strong>di</strong> imporre sul<br />

territorio bolognese era necessariamente limitato e circoscritto per l’inadeguatezza<br />

dei mezzi politici e militari a <strong>di</strong>sposizione e perché le autorità tendevano comunque<br />

ad esercitare un controllo parziale della vita dei sud<strong>di</strong>ti. Nelle società<br />

agrarie le comunità conta<strong>di</strong>ne, in circostanze normali, vivevano sotto un potere<br />

locale o regionale <strong>di</strong>retto e ben identificato, Signori in grado <strong>di</strong> mobilitare uomini<br />

e dare vita a sistemi <strong>di</strong> forza e protezione. Regni e Imperi erano visitatori occasionali:<br />

non avevano i mezzi per mantenere un controllo costante su tutte le popolazioni.<br />

Prima del 1800 ben pochi Stati europei erano in grado <strong>di</strong> controllare i<br />

propri confini, anche perché spesso i confini non erano ben delimitati. Nel 1600<br />

l’unico Stato in grado <strong>di</strong> mantenere un esercito nazionale permanente era l’Impero<br />

Ottomano. Un potere debole racchiudeva in se il germe del ban<strong>di</strong>tismo. I<br />

ban<strong>di</strong>ti sono, infatti, per definizione, fuori del potere costituito. In origine, bisogna<br />

ricordare, che i briganti non furono altro che membri <strong>di</strong> gruppi armati non<br />

appartenenti ad una forza regolare, che facevano del possesso delle armi uno<br />

strumento per conquistare il potere e il controllo sul territorio. Quando non esiste<br />

un potere forte in grado <strong>di</strong> mantenere l’or<strong>di</strong>ne, non serve fare appello all’or<strong>di</strong>ne<br />

pubblico, tanto più che il risultato spesso è <strong>di</strong> attirare sul posto una squadra <strong>di</strong><br />

soldati, spesso più dannosa dei ban<strong>di</strong>ti stessi. Pertanto chiunque aveva il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />

eliminare un fuorilegge, perché spesso l’autorità non era in grado <strong>di</strong> far valere le<br />

leggi nei suoi confronti. Raramente, come vedremo, il potere centrale rimase<br />

assente così a lungo da consentire ai capi ban<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> rimanere come attori principali<br />

nel territorio 1 .<br />

Gli anni ’80 del XVI secolo videro nel territorio bolognese un periodo <strong>di</strong><br />

lotte cruente tra due fazioni identificate come “guelfi” e “ghibellini”. Era la città<br />

<strong>di</strong> Bologna che alimentava queste lotte che si svolgevano soprattutto nella Bassa<br />

1 E. J. Hobsbawm, I ban<strong>di</strong>ti. Il ban<strong>di</strong>tismo sociale nell’età moderna, Torino, 2002<br />

55


56<br />

Stemma dei Pepoli<br />

pianura settentrionale e nella collina bolognese. Sono anni in cui si assiste ad una<br />

più accentuata centralità politica della città, dove si esprimono le riven<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong><br />

una nobiltà feudale agraria in crisi, in un momento <strong>di</strong> frattura sociale tra il vecchio<br />

mondo rurale e l’avvento della grande proprietà urbana.<br />

Tra XVI e XVII si assiste ad una convergenza <strong>di</strong> forti cambiamenti politici e<br />

gran<strong>di</strong> epidemie. Alle <strong>di</strong>verse élite a carattere locale si è andato via via<br />

sovrapponendo il dominio del Principe, capace <strong>di</strong> catalizzare <strong>di</strong>verse esigenze<br />

espresse dai partiti citta<strong>di</strong>ni. Si era passati, poi, dal dominio signorile a quello<br />

pontificio. Nella latitanza <strong>di</strong> potere dovuta ad antiche rivalità nobiliari, si vanno<br />

definendo nuovi meccanismi istituzionali, soprattutto le competenze senatoriali,<br />

legatizie e vescovili. Questa profondo stato <strong>di</strong> trasformazione trova un terreno <strong>di</strong><br />

scontro nelle proprietà “in<strong>di</strong>vise”, legate alla partecipanza e ai territori comuni 2 .<br />

La vasta ed attiva partecipazione dei signori feudali che, pur se non va<br />

sopravvalutata, fu sicuramente una caratteristica del ban<strong>di</strong>tismo della seconda<br />

metà del Cinquecento, era venuta meno alla fine del secolo. Riacquistate le posizioni<br />

prima perdute, in quel processo che generalmente è chiamato <strong>di</strong><br />

rifeudalizzazione e che, più recentemente, è stato definito come “processo <strong>di</strong><br />

aristocratizzazione legato ad un nuovo sviluppo della proprietà terriera” 3 , la<br />

nobiltà, come classe sociale, non aveva più motivazioni sufficienti per passare<br />

attivamente dalla parte dei ribelli e porsi alla loro guida. E’ noto che, pur se la<br />

nobiltà nel suo complesso, come classe, non aveva perso potere e prestigio, né il<br />

governo papale adottò mai una costante ed incisiva politica antisignorile, molte<br />

2 Alberta Toniolo, Territori In<strong>di</strong>visi. Una proposta <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sul ban<strong>di</strong>tismo cinquecentesco nell’area della<br />

Partecipanze modenesi e bolognesi, a cura <strong>di</strong> Euride Fregni, Terre e comunità nell’Italia Padana, Cheiron,<br />

anno VIII, n.14-15, II semestre 1990/ I semestre 1991, Brescia, pp. 175-185.<br />

3 P. Pro<strong>di</strong>, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna<br />

1982, p. 152.


Il Castello <strong>di</strong> Palata, da un volume <strong>di</strong> cabrei datato 1642 in cui sono registrati tutti i posse<strong>di</strong>menti<br />

<strong>di</strong> Odoardo Pepoli in territorio crevalcorese.Archivio storico <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>.<br />

famiglie nobili si trovarono in una situazione d’estrema <strong>di</strong>fficoltà finanziaria, mentre<br />

emersero nuove famiglie il cui successo aveva, tra le sue cause principali, la politica<br />

del nepotismo 4 .<br />

Sono anni in cui il controllo territoriale si manifesta attraverso il controllo<br />

economico delle risorse agricole, con opere <strong>di</strong> bonifica e razionalizzazione territoriale,<br />

e soprattutto con la completa riorganizzazione dell’assetto fon<strong>di</strong>ario della<br />

Bassa pianura e della collina bolognese. Nella montagna bolognese si sviluppa,<br />

infatti, un sistema agricole silvo-pastorale basato sull’in<strong>di</strong>vidualismo agrario, in cui<br />

è il ceto dei piccoli e me<strong>di</strong> proprietari ad usurpare i beni demaniali. Questo ceto<br />

sociale si sottrae al naturale indebitamento dovuto alla bassa red<strong>di</strong>tività dei fon<strong>di</strong><br />

frazionati e all’aumento delle tasse demaniali, attraverso perio<strong>di</strong>che prestazioni<br />

d’opera presso manifatture e botteghe urbane. E’ un ceto che col tempo tende<br />

poi a trasferirsi definitivamente in città, acquisendo la citta<strong>di</strong>nanza. La presenza<br />

del ceto <strong>di</strong> piccoli e me<strong>di</strong> proprietari rimane <strong>di</strong>ffusa anche nella pianura. Sono i<br />

territori in<strong>di</strong>visi <strong>di</strong> dominio nonantolano e vescovile, che subiscono la pressione<br />

<strong>di</strong> una parte dei proprietari citta<strong>di</strong>ni e comunali. Il motore della politica agraria sul<br />

territorio crevalcorese continua ad essere l’Abbazia <strong>di</strong> Nonantola, che abbandona<br />

la politica <strong>di</strong> sostegno delle comunità, attraverso la concessione in enfiteusi <strong>di</strong><br />

terreni comuni alle comunità stesse, sostituite dalle famiglie nobili bolognesi e<br />

modenesi, che avevano a <strong>di</strong>sposizione ingenti capitali da investire nelle bonifiche<br />

dei terreni.<br />

4 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.<br />

57


58<br />

Come risposta a questi movimenti si assiste all’istituzionalizzazione delle<br />

partecipanze, segnando il passaggio da un sistema socioeconomico all’altro, in<br />

un’azione propositiva e allo stesso tempo <strong>di</strong>fensiva. E’ messo in <strong>di</strong>scussione il<br />

possesso e la forma <strong>di</strong> utilizzo collettivo <strong>di</strong> aree che costituivano una sorta <strong>di</strong><br />

barriera geografica, tra territori coltivati e incolti, e tra <strong>di</strong>versi Stati, argine all’espansionismo<br />

aristocratico bolognese 5 .<br />

L’espansione dei Pepoli nel territorio crevalcorese inizia con una gran concessione<br />

fatta dall’abbazia <strong>di</strong> Nonantola nella metà del 1300, continuamente ampliata.<br />

Al 5 maggio 1505 risale il rinnovo della concessione enfiteutica ogni 29<br />

anni <strong>di</strong> 2000 biolche nel territorio del Secco fatta nel 1475. Era una grand’estensione<br />

<strong>di</strong> terra sud<strong>di</strong>visa in <strong>di</strong>verse parti separate l’una dalle altre, con <strong>di</strong>verse caratteristiche:<br />

una parte era già arabile con impiantati alberi da frutto, un’altra era<br />

boschiva, prativa e incolta. Il costo del rinnovo fu <strong>di</strong> 300 lire. La concessione fu<br />

poi confermata con una breve <strong>di</strong> papa Giulio II del 15 gennaio 1509. Del 1516<br />

è la notizia del consolidamento dei Pepoli nel territorio crevalcorese con la sud<strong>di</strong>visione<br />

dei beni fatta fra i cinque figli <strong>di</strong> Guido Pepoli: al conte Camillo furono<br />

affidate 1425 tornature con terra arabile, alberi e vite, a Galeazza, Palata e Bevilacqua;<br />

1763 terre “piscose et non piscose” a Cà dei Coppi e altre 537 tornature sparse<br />

nel crevalcorese; 673 tornature furono affidate al conte Alessandro in Valbona; al<br />

conte Filippo 4533 tornature, con abitazioni per i fattori e il mulino della Palata; a<br />

Girolamo furono affidate 1243 tornature <strong>di</strong> terra arativa con abitazioni sempre<br />

alla Palata 6 . È chiaro che l’area d’interesse dei Pepoli nel territorio crevalcorese era<br />

concentrata nella zona a nord del paese, quella non interessata dalla centuriazione<br />

romana, composta invece <strong>di</strong> piccole e me<strong>di</strong>e proprietà.<br />

Del 1518, scoppiò una lite presso la Rota <strong>di</strong> Roma tra il nuovo abate <strong>di</strong><br />

Nonantola, il car<strong>di</strong>nale Giuliano Cesarini, e i Pepoli per i posse<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> Galeazza,<br />

il cui possesso era ritenuto formalmente illegittimo. Pertanto se ne richiedeva la<br />

restituzione. I Pepoli insistevano sul fatto che le terre avute in enfiteusi erano<br />

completamente incolte, mentre quelle che avrebbero dovuto restituire erano fiorenti<br />

e rigogliose. Il nuovo abate Sertorio, considerando l’impossibilità <strong>di</strong> recuperare<br />

i titoli, ma riconoscendo che i Pepoli avevano effettivamente reso produttivi<br />

terreni incolti e paludosi attraverso ingenti opere d’irrigazione e valorizzazione,<br />

rinunciò alla lite riconoscendo la legittimità dei posse<strong>di</strong>menti ai Pepoli, rinnovan-<br />

5 Alberta Toniolo, Territori In<strong>di</strong>visi. Una proposta <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sul ban<strong>di</strong>tismo cinquecentesco nell’area della<br />

Partecipanze modenesi e bolognesi, a cura <strong>di</strong> Euride Fregni, Terre e comunità nell’Italia Padana, Cheiron,<br />

anno VIII, n.14-15, II semestre 1990/ I semestre 1991, Brescia, pp. 175-185.<br />

6 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.


do le concessioni dei territori della Galeazza e della Valbona, con un <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />

possesso quasi totale, eccetto la protezione dei boschi e delle peschiere, e il <strong>di</strong>vieto<br />

esplicito <strong>di</strong> creare fortilizi od opere <strong>di</strong> protezione. I Pepoli versarono 500 ducati<br />

d’oro, più il solito canone <strong>di</strong> 40 lire annuali. Il canone era puramente simbolico, in<br />

quanto una corba <strong>di</strong> frumento costava 4/5 lire. Retaggio degli antichi privilegi<br />

me<strong>di</strong>evali era l’obbligo <strong>di</strong> inviare all’Abbazia <strong>di</strong> Nonantola ad ogni nomina dell’abate<br />

uno sparviero e due cani bracchi. L’accordo fu imme<strong>di</strong>atamente ratificato<br />

“Motu proprio” dal papa Leone X 7 .<br />

Questa resa incon<strong>di</strong>zionata dell’Abbazia, suggellata imme<strong>di</strong>atamente da<br />

Roma, segna un momento fondamentale nella storia del territorio crevalcorese: si<br />

riconosce, infatti, ai Pepoli un <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> proprietà quasi esclusivo, se si esclude il<br />

limite della costruzione <strong>di</strong> fortilizi. Questo <strong>di</strong>vieto rimane il tentativo <strong>di</strong> evitare<br />

che queste zone <strong>di</strong>ventino feu<strong>di</strong> completamente autonomi e in<strong>di</strong>pendenti, anche<br />

dal punto <strong>di</strong> vista militare. Resistenza che durerà poco. Già nel 1532 l’abate Sartorio<br />

riconobbe ai Pepoli la facoltà <strong>di</strong> costruire fortilizi, con conferma <strong>di</strong> una breve del<br />

1538 <strong>di</strong> Paolo III. Ormai il territorio a nord <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> risulta essere interamente<br />

controllato dai Pepoli. Questi fortilizi, come vedremo, saranno poi la base<br />

operativa per i ban<strong>di</strong>ti controllati dai Pepoli. Il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> proprietà è ulteriormente<br />

ampliato per sistemare alcuni problemi <strong>di</strong> successione all’interno della famiglia<br />

dei Pepoli. Nel 1543 il rinnovo dell’enfiteusi comprendeva anche la possibilità <strong>di</strong><br />

trasferirla ai figli bastar<strong>di</strong> riconosciuti. Nel 1544 ampliarono i loro posse<strong>di</strong>menti<br />

con un altro terreno al Secco.<br />

Altre famiglie nobili agivano in questi anni nel territorio, ma in una fase<br />

d’arretramento rispetto all’espansione dei Pepoli: del 1531 è la breve <strong>di</strong> Clemente<br />

VII che conferma 700 biolche <strong>di</strong> terra al Secco agli ere<strong>di</strong> dei Bentivoglio 8 , che<br />

però già nel 1531 e nel 1544 cedettero al conte Filippo Pepoli il “Secco” e la<br />

“Giovannina”, per una valore complessivo <strong>di</strong> 13 mila lire bolognini. Erano tenute<br />

da duemila ettari, organizzate in possessioni e pezze, con case coloniche e<br />

e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> servizio. Interessante è vedere come anche la politica propria <strong>di</strong> qualche<br />

abate nonantolano che tenta <strong>di</strong> favorire qualche famigliare con nuove rilevanti<br />

concessioni è destinato a fallire: nel 1533 gli ere<strong>di</strong> Bentivoglio vendettero 763<br />

biolche del Secco al conte Giovanni Filippo Sartorio, cedute il 23 maggio 1533<br />

da Antonio Maria Sertorio abate <strong>di</strong> Nonantola in enfiteusi ventennale a Giovanni<br />

Filippo Sartorio, nobile modenese. Nel 1546 alla morte <strong>di</strong> quest’ultimo torna<br />

7 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />

8 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />

59


60<br />

tutto ai Bentivoglio e ai Bevilacqua. Verso la zona dei Ronchi operano poi<br />

in<strong>di</strong>sturbati i Caprara, mentre nella zona della Crocetta i Dell’Armi 9 .<br />

E’ soprattutto con le concessioni enfiteutiche da parte del monastero <strong>di</strong><br />

Nonantola che il patrimonio dei Pepoli <strong>di</strong>venta veramente considerevole: negli<br />

anni ‘80 <strong>di</strong>etro a corresponsioni puramente simboliche, formarono un patrimonio<br />

che raggiunse i 6 mila ettari, <strong>di</strong> campi appoderati, con una rete in crescita <strong>di</strong><br />

scoli, canali e strade. Il monastero favorisce la famiglia bolognese anche rispetto<br />

ad altri contendenti. Le concessioni del monastero si tramutarono in una giuris<strong>di</strong>zione<br />

autonoma de facto, dove i conti amministrano terre e uomini, comminano<br />

pene pecuniarie e corporali, danno rifugio a sgherri e ricercati aderenti alla parte<br />

guelfa. Le vaste possessioni <strong>di</strong> Galeazza, Palata, Valbona, Guisa e Cà de Coppi<br />

sono frutto delle opere <strong>di</strong> bonifica iniziate alla fine del XV secolo dal Conte<br />

Guido e proseguiti dai figli, nipoti e pronipoti. All’interno delle valli e delle selve<br />

i Pepoli hanno via via aperto macchie <strong>di</strong> terre emerse, inizialmente fazzoletti <strong>di</strong> 2/<br />

3 biolche destinati a lavorativo, sulle quali erano costruiti casoni <strong>di</strong> canne palustri,<br />

abitate da braccianti o affittuari. Dopo lo scavo dei “cavamenti” e “scoladuri”, le<br />

acque cedono progressivamente il posto ad ampi appezzamenti coltivati a frumento<br />

e organizzati secondo il sistema della piantata “bolognese”. Le partecipanze<br />

risentirono dell’espansione attuata dalla grande proprietà citta<strong>di</strong>na: la famiglia dei<br />

Pepoli procedendo nelle bonifiche attraverso la creazione d’infrastrutture costringe<br />

i partecipanti e il <strong>Comune</strong> a contribuire alla sua politica d’espansione con<br />

ingenti somme 10 . Nel 1550 il Conte Filippo Pepoli affermava <strong>di</strong> dover avere<br />

150 lire dal <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> per la realizzazione del Casamento. Il <strong>Comune</strong><br />

replicava <strong>di</strong> non averlo voluto, così come il canale del mulino e la sua manutenzione,<br />

lavori fatti a beneficio del Pepoli e non della comunità. Soprattutto il <strong>Comune</strong><br />

lamenta <strong>di</strong> non riuscire ad assumere uomini per i lavori comunali perché<br />

spaventati da soldati “amici e nemici”. Il 28 novembre 1550 il Ministro delle<br />

Acque <strong>di</strong> Bologna condanna il <strong>Comune</strong> al pagamento della cifra richiesta dal<br />

Pepoli 11 . Anche i partecipanti perdono via via il possesso e il controllo dei mulini<br />

comunitari, fino ad essere costretti a pagare pedaggi per il transito sulla strada<br />

fatta aprire dai Pepoli lungo la fossa Rangona.<br />

Sono le zone in cui, come abbiamo visto, la presenza <strong>di</strong> terre in<strong>di</strong>vise è più<br />

9 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />

10 Alberta Toniolo, Territori In<strong>di</strong>visi. Una proposta <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sul ban<strong>di</strong>tismo cinquecentesco nell’area della<br />

Partecipanze modenesi e bolognesi, in a cura <strong>di</strong> Euride Fregni, Terre e comunità nell’Italia Padana, Cheiron,<br />

anno VIII, n.14-15, II semestre 1990/ I semestre 1991, Brescia, pp. 175-185.<br />

11 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.


La razzia, particolare <strong>di</strong> una acquaforte <strong>di</strong> Jacques Callot appartenente alla serie Les Miseres Et<br />

Les Mal-Heures De La Guerre, Paris 1633. Nel XVI e nel XVII secolo spesso accadeva, e non solo<br />

in Italia, che grosse squadre <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>ti, costituite anche da militari sbandati, si dessero alla razzia<br />

e al saccheggio.<br />

<strong>di</strong>ffusa, e la comunità riparte perio<strong>di</strong>camente le terre comuni, composte da territori<br />

produttivi coltivati a fianco <strong>di</strong> vasti acquitrini e palu<strong>di</strong>, o le ren<strong>di</strong>te derivanti,<br />

tra gruppi specifici <strong>di</strong> famiglie. Le acquisizioni fon<strong>di</strong>arie dei Pepoli nel territorio<br />

prendevano avvio proprio dalle terre sommerse, chiamate per l’appunto “fon<strong>di</strong><br />

assenti”. Il progressivo controllo da parte dei Pepoli, attraverso il suo ramo<br />

senatorio, avviene essenzialmente attraverso investiture e locazioni enfiteutiche delle<br />

aree non <strong>di</strong>stribuite attraverso la gestione comunitaria. Nel giro <strong>di</strong> pochi decenni<br />

i Pepoli ampliarono in maniera considerevole i propri posse<strong>di</strong>menti a settentrione<br />

<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, inglobando proprietà d’antico impianto, in pratica già appoderate,<br />

attraverso una politica <strong>di</strong> totale controllo sul territorio, Stato nello Stato.<br />

Un debole tentativo <strong>di</strong> arrestare quest’espansione dei Pepoli a danno delle<br />

comunità rurali è fatta dalla Camera bolognese alla Camera Apostolica. Il contrasto<br />

tra i Pepoli e la comunità crevalcorese negli anni ’60 non verteva sull’entità del<br />

possesso, quanto piuttosto sulle forme.<br />

In questo ambiente operavano le bande <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>ti, contrapposti in guelfi e<br />

ghibellini, più compatte e agguerrite della pianura bolognese settentrionale, a ridosso<br />

dei confini con il ducato Estense. Nelle relazioni inviate a Roma, le stesse autorità<br />

citta<strong>di</strong>ne sono costrette ad ammettere che le loro giuris<strong>di</strong>zioni sono “occupate”<br />

da una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> delinquenti. Le comunità segnalano la necessità <strong>di</strong> “contrastare<br />

co’ ban<strong>di</strong>ti, assassini et ladri <strong>di</strong> campagna, che in grossissime squadre, sotto <strong>di</strong>versi capi,<br />

infestando il paese uccidendo, brugiando case e ville, taglieggiando.”. Le due armate che si<br />

muovono nel territorio crevalcorese sono capeggiate dalla famiglia dei Rascazzi,<br />

61


62<br />

che agiva in nome della fazione guelfa, appoggiata dai Pepoli e dai Dall’Armi,<br />

con base a Malacompra nel territorio centese nel Ducato Estense, e i Saccomanni,<br />

<strong>di</strong> Sant’Agostino, <strong>di</strong>retti dai Malvezzi, attraverso il Conte Pirro 12 . In particolare<br />

oltre alla presenza <strong>di</strong> proprietà sul nostro territorio dei Pepoli, bisogna segnalare<br />

che anche la famiglia Dell’Armi aveva numerosi posse<strong>di</strong>menti in zone a<strong>di</strong>acenti a<br />

quelli dei Pepoli, soprattutto nella zona della Crocetta. Del 1519 c’è una nota a<br />

favore <strong>di</strong> Francesco e Gaspare dell’Armi da parte del vice legato <strong>di</strong> Bologna che<br />

conferma i loro posse<strong>di</strong>menti. Ciò che traspare dalle fonti è che la famiglia si<br />

muove sul territorio protetta <strong>di</strong>rettamente da Bologna piuttosto che con appoggi<br />

dall’Abbazia nonantolana 13 .<br />

Che i Pepoli facessero una politica <strong>di</strong> controllo sul territorio anche confinante<br />

alla zona <strong>di</strong> Galeazza e Palata è evidente dagli interventi nella vicina Cento sulle<br />

faide citta<strong>di</strong>ne:<br />

Alli uintitre <strong>di</strong> maggio del’istesso anno (1543) un certo Giouanni della Mariona capo de’<br />

ban<strong>di</strong>ti, intrò dentro <strong>di</strong> Cento con uinticinque compagni al’improuiso, et hauendo preso li cantoni<br />

della piazza, andarono alla speciaria <strong>di</strong> Cesare Borgognoni, col quale haueuano inimicizia, et<br />

egli uedendoli uenire, usci fuori della bottega, et si pose à fugire, ma non andò molto lontano, che<br />

fu sopragiunto dalli nemici, che l’ammazzorono, et poi subito uscirono fuori dalla Terra, senza<br />

offender’alcun’altro. L’anno seguente mille cinquecento quaranta cinque (1546), fu fatta la pace<br />

tra queste due famiglie Don<strong>di</strong>ni, et Borgognoni, tra quali erano state grauissime inimicitie, et<br />

erano successi molti homici<strong>di</strong>j, et accioche longamente si douesse tra loro confessare amicitia, et uno<br />

non offendesse l’altro, il Conte Girolamo Pepoli ui s’interpose, et fece la sicurtà per l’una, et<br />

l’altra parte 14 .<br />

Negli ultimi anni del Cinquecento, come è noto, l’apporto del clero al<br />

ban<strong>di</strong>tismo fu rilevante. Numerosi autori hanno tentato <strong>di</strong> spiegare le cause del<br />

forte e <strong>di</strong>ffuso legame creatosi fra ecclesiastici e ban<strong>di</strong>ti negli ultimi anni del XVI<br />

secolo: le conclusioni non sono unanimi. Mentre alcuni hanno in<strong>di</strong>viduato nella<br />

corruzione del clero la motivazione principale che spinse un numero consistente<br />

<strong>di</strong> ecclesiastici dalla parte dei fuorusciti altri, ritenendo tale giu<strong>di</strong>zio insufficiente e,<br />

dunque, incapace <strong>di</strong> far comprendere il reale significato <strong>di</strong> questa partecipazione,<br />

affermano che tale legame vada interpretato nel quadro della “resistenza interna<br />

all’in<strong>di</strong>rizzo della Controriforma.” 15 . Le alte gerarchie ecclesiastiche ed il clero<br />

12 Alberta Toniolo, Territori In<strong>di</strong>visi. Una proposta <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sul ban<strong>di</strong>tismo cinquecentesco nell’area della<br />

Partecipanze modenesi e bolognesi, in a cura <strong>di</strong> Euride Fregni, Terre e comunità nell’Italia Padana, Cheiron,<br />

anno VIII, n.14-15, II semestre 1990/ I semestre 1991, Brescia, pp. 175-185.<br />

13 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />

14 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />

15 R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini (1585-1647), Bari 1967, pp. 71-81.


omano, la cui vita era caratterizzata da quello sfarzo e quel lusso tipici dei nobili<br />

e delle famiglie più ricche, erano completamente esterni a questa realtà. L’aiuto<br />

del clero ai ban<strong>di</strong>ti si concretizzò in varie forme: innanzi tutto, i conventi continuavano<br />

a praticare il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> asilo; inoltre gli ecclesiastici fornivano cibo e denaro<br />

ai fuorilegge. Va detto poi che i preti, come tutta la popolazione povera,<br />

finivano spesso in carcere e, oltre a commettere numerosi reati, avevano frequentemente<br />

in loro possesso armi proibite 16 . Rappresentativa <strong>di</strong> questa situazione è<br />

la banda capitanata dal Pretino Farioli, che imperversava nella zona tra il bolognese<br />

e il ferrarese:<br />

Alli cinque d’agosto un Mingone dè gigli, et uno detto il Pretino Fariolo con molti altri<br />

compagni armati intrarono la mattina in Cento, et essendo arriuati nella piazza uidero Alessandro<br />

Don<strong>di</strong>ni, et l’assaltarono, ma egli per esser solo, e <strong>di</strong>sarmato, e colto d’improuuiso, si pose<br />

à correre uerso il palazzo del gouernatore per saluarsi, et intrando dentro, e hauendo aperta la<br />

camera del carceriero, u’intrò, e subito chiuse la porta, ma alcuni <strong>di</strong> coloro corsero, et per la<br />

finestra li tirarono delle archibugiate, et egli ferito cadè in terra; il che udendo la moglie del<br />

carceriero tutta intimorita, apperse la porta per fugire, et quelli suoi nemici introrono dentro, et<br />

lo finirono d’amazzare co’i pugnali, et subito uscirono fuori dalla Terra, senza che li fosse dato<br />

fasti<strong>di</strong>o alcuno 17 .<br />

Nel 1563 un altro episo<strong>di</strong>o che si svolge a Cento e si chiude a Palata mostra<br />

chiaramente cosa avveniva normalmente in un episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>tismo dell’epoca:<br />

La moltitu<strong>di</strong>ne de’ban<strong>di</strong>ti, et l’inamicitia,ch’erano tra molti della Terra, causarono alcuni<br />

inconuenienti, poiche nel spatio <strong>di</strong> pochi giorni introrono in Cento due squadre d’huomini armati,<br />

et fecero delli homici<strong>di</strong>j; la prima fù <strong>di</strong> sedeci huomini, i quali al’improuiso uscendo fuori dalla casa<br />

<strong>di</strong> Bastiano Seghelli andarono in piazza, quiui ammazzarono uno, chiamato Chechino Marchetti<br />

Sartore; por pian piano senza <strong>di</strong>scummodarsi niente andarono alla porta della Chiusa, et<br />

uscirono fuori, senza essersi mossa persona alcuna; et questo fù alli undeci d’agosto. Alli <strong>di</strong>eci poi<br />

<strong>di</strong> settembre la mattina, ch’era finita la prima messa uscì <strong>di</strong> casa <strong>di</strong> Gio: Battista Accarisi una<br />

compagnia <strong>di</strong> <strong>di</strong>ciotto huomini armati <strong>di</strong> haste, et archibugetti da ruota con le faccie tutte tinte,<br />

e con le barbe pasticcie, et introrono in casa <strong>di</strong> Bernar<strong>di</strong>no Baruffal<strong>di</strong> notaio, e procuratore,<br />

ferinno à morte un Francesco Maria Grisenda, e poi si partirono in due parti, sette <strong>di</strong> loro<br />

andarono à pigliare la porta del molino, accio essi, e li compagni posessero uscire, et non fossero<br />

impe<strong>di</strong>ti, li altri undeci andarono per la Terra, et amazzarono un Carlo Antonio Spadaccini, et<br />

<strong>di</strong>edero delle ferite ad un nipote del Rettore della Chiesa <strong>di</strong> San Biasio, e lo lasciarono per morto,<br />

poi arriuorono al Cantone del Partio, et essendo usciti fuori <strong>di</strong> casa li Pasqualini, cominciorono à<br />

16 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.<br />

17 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />

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64<br />

La Galeazza, da un volume <strong>di</strong> cabrei datato 1692 in cui sono registrati i posse<strong>di</strong>menti della famiglia Pepoli a<br />

Galeazza.Archivio Storico <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />

La Galeazza, la torre, gli e<strong>di</strong>fici rustici, il giar<strong>di</strong>no all’italiana; da un volume <strong>di</strong> cabrei datato 1692. Archivio<br />

storico <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>.


scaramucciare insieme, et hauendo li Pasqualini ferito uno <strong>di</strong> loro con un’archibugiata, e calcandoseli<br />

adosso arbitamente, furono causa, che coloro si leuorono <strong>di</strong> là, e portando uia il ferito,<br />

andarono alla porta del molino, et usciti fuori trouarono uicino à Reno un carro, e ue lo posero<br />

sopra, e lo fecero condur uia, e si <strong>di</strong>sse, che per strada era morto. Et perch’erano tardati<br />

alquanto, arriuorono dalla Palata molti ban<strong>di</strong>ti della parte contraria, i quali insieme con li<br />

Pasqualini, li Lamberti, et la corte se li misero <strong>di</strong>etro dandoli la caccia, et amazzarono ua’Hettore<br />

Miari capo <strong>di</strong> quella compagnia 18 .<br />

Ciò che è evidente da uno degli episo<strong>di</strong> più rilevanti del 1564 è che nel<br />

territorio compreso tra Palata, Cento, Finale e Sant’Agostino si creò un regno in<br />

pratica in<strong>di</strong>pendente, controllato dai Pepoli e, in parte, dai Bentivoglio. Il Duca <strong>di</strong><br />

Ferrara per cercare <strong>di</strong> comporre la faida tra le due parti chiede l’intervento dei<br />

Pepoli a Palata e dei Bentivoglio a Finale:<br />

Duca uoleua, che si pacificassero insieme; e dopò pochi giorni il Conte Fabio Pepoli, et<br />

Hettore Ariosti uennero alla Palata, et Cornelio Bentiuogli andò al Finale, e trattavano la pace<br />

tra quelle due famiglie de uecchi, et de Miari, et u’includeuano generalmente tutti li adherenti, et<br />

interessati cosi <strong>di</strong> Cento, come della Palata, del corpo <strong>di</strong> Reno, <strong>di</strong> santo Agostino, e tutti li altri,<br />

ch’erano fauoreuoli ad una <strong>di</strong> queste due parti, perche li Guelfi fauoriuano la parte de uecchi, et<br />

i Ghibellini la parte de’Miari; ma per allora non fù conchiusa la Pace; et la causa fù, perch’hauendo<br />

Cornelio Bentiuoglio mandati à chiamare Alberto Miari, che uenisse al Finale, per trattar seco<br />

sopra detta pace, detto Alberto fù assaltato dalla parte contraria alla Torre da cane, et li fù<br />

sparata un’archibugiata, qual non li colse, ma colse bene il suo seruitore, che li era uicino, et cadè<br />

morto 19 .<br />

È evidente che la volontà <strong>di</strong> raggiungere un accordo fu abilmente compromessa<br />

da un agguato che mirava a far saltare le trattative. Anzi la parte guelfa<br />

spinta dai Pepoli si fece più aggressiva e pronta ad una prova <strong>di</strong> forza:<br />

…Et una compagnia de ban<strong>di</strong>ti, cio è il Pretino Farioli, Mingone, et Alessandro de Gigli<br />

con li suoi compagni andarono ad una Colombara <strong>di</strong> Camillo Ferrari fatta in modo <strong>di</strong> fortezza<br />

su’l Bolognese nella uilla d’Asia, nella quale ui era un suo unico figliuolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci, ò dodeci anni,<br />

chiamato Fuluio, et hauendo detti ban<strong>di</strong>ti attaccato il fuoco alla prima porta, l’abbruggiorono,<br />

et affaticandosi per rompere un’altra porta, ch’era <strong>di</strong> ferro, quel figliuolo per sua mala sorte<br />

s’affaccio alla finestra, et uno <strong>di</strong> coloro gli tirò un’archibugiada, et l’amazzo. Et perche con lui<br />

detta colombara u’era un Giacomo delli Massari, quei ban<strong>di</strong>ti fecero tanto con le minaccie, e con<br />

buone parole, ch’egli aperse la porta <strong>di</strong> ferro, et essi intrati dentro, leuarono tredeci archibugi con<br />

molta munitione, e si partirono. Andaua talmente crescando l’audacia et l’isolenza de’ban<strong>di</strong>ti, che<br />

18 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />

19 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />

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66<br />

non solo s’amazzauano tra <strong>di</strong> loro come nemici ma come ladri ancora andauano per le uille<br />

rubando bestie, et saccheggiando le case et amazzando chiunque se li opponeua, <strong>di</strong> modo che<br />

nessuno era sicuro dalle mani loro …. anzi si posero à far’una cosa essecranda e fù, che molestarono<br />

tutti quelli, ch’andauano in campagna per seminare, et non uoleuano, che si seminasse,<br />

hauend’essi questa pessima intentione, come <strong>di</strong>ceuano, che con questo modo uoleuano impe<strong>di</strong>re, che<br />

l’anno seguente non si raccogliesse cosa alcuna da uiuere, et cosi le genti morissero <strong>di</strong> fame 20 .<br />

Sembra ormai evidente l’intenzione <strong>di</strong> provocare una reazione, che <strong>di</strong>ventò<br />

una vera e propria prova <strong>di</strong> forza, che coinvolgeva non solo il Ducato Estense e<br />

lo Stato Pontificio, ma anche l’altra parte in causa, quella dei Ghibellini:<br />

… et perche ciò faceuano non solamente nello stato del Duca, ma anco sù’ l Bolognese, però<br />

il Duca, et il Gouernator <strong>di</strong> Bologna si accordarono insieme et mandorono li barigelli <strong>di</strong> Bologna,<br />

e Ferrara con li loro sbirri, et li caualli leggeri del Duca ad unirsi con la parte de’Miari, quali<br />

tutti insieme andarono alla Palata, et al primo arriuo amazzarono due fratelli della famiglia<br />

delli Occellatori, ciò è Luca, e Gio: Antonio, et uno de Farioli, et li altri ban<strong>di</strong>ti si ritirono<br />

dentro al palazzo della Palata, et alcuni altri fugirono, e si fecero forti nella Torre della Galeazza,<br />

quali tutti furono serrati, et asse<strong>di</strong>ati in detti luochi dalli sbirri, Miari, e caualli leggeri 21 .<br />

A questo punto vorrei ricordare come la concessione <strong>di</strong> costruire fortilizi<br />

nei territori dati in enfiteusi dall’abbazia <strong>di</strong> Nonatola aveva come scopo proprio<br />

quello <strong>di</strong> cui ci segnala il Bagni, creare uno stato autonomo per la fazione dei<br />

ban<strong>di</strong>ti guelfi. Lo scontro fu durissimo:<br />

… e acciò non li mancasse munitione da combattere, mandarono à Cento un Giulio<br />

Ferrari à pigliare molta quantità <strong>di</strong> poluere da schioppo, et mandorono à Bologna Gioseffo<br />

Ferrari detto Burattino quello che da Luca Occellatore fù ferito stando sù la finestra della<br />

prigione in Rocca, et con lui mandorono uno de’Canani del Finale ad auisare il Gouernatore, che<br />

li ban<strong>di</strong>ti erano chiusi nella Palata, e Galeazza, e però mandasse aiuto per poterli combattere, e<br />

pigliarli, ò amazzarli; onde furono comandati i soldati del Contado <strong>di</strong> Bologna, quali uennero in<br />

gran numero et circondarono quei luochi <strong>di</strong> modo che nessuno poteua ne uscirne ne entrarui. Vi<br />

sopragionse anco un Commissario del Papa con auttorità spetiale contro i ban<strong>di</strong>ti, il quale fece<br />

dar l’assalto, et alcuni ban<strong>di</strong>ti furono uccisi, et altri pigliati, et quelli ch’erano nella Palata furono<br />

condotti alla Galeazza, et iui posti prigioni, ou’erano anco Giouannino Lamberto, Angelo<br />

Pasqualini, Gio: Agostino Farioli, un uenetiano, et alcuni altri. Et hauendoui lasciato buona<br />

guar<strong>di</strong>a, il Commissario uenne à Cento, e passando per Malaffitto fece prendere Alissandro de’<br />

Gigli, e lo fece condor prigione nella Torre della Galeazza con li altri; et arriuato nella Terra,<br />

fece piglire Gio: Battista Accarisi, e due giouani <strong>di</strong> Gigli; et Giuliano de’Gigli, ch’era prigione<br />

20 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />

21 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.


qùi in Rocca, fù mandato dal Commissario à Bologna, et condotto dal barigello, e sbirri <strong>di</strong> quella<br />

Città,ma non passorono molti giorni, che fù ricondotto à Cento nel’istessa prigione <strong>di</strong> prima, e <strong>di</strong><br />

quà poi condotto à Ferrara con altri ban<strong>di</strong>ti 22 .<br />

È importante rilevare come l’intento del Governatore pontificio fosse <strong>di</strong><br />

sfruttare questo momentaneo momento <strong>di</strong> debolezza della parte guelfa per tentare,<br />

con un episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> vero terrorismo, <strong>di</strong> sra<strong>di</strong>care la base locale dei ban<strong>di</strong>ti,<br />

in<strong>di</strong>viduati nei pescatori della palude, tra l’altro un gruppo sociale ai margini della<br />

società a base agricola del periodo:<br />

Ritornato che fù il Commissario alla Palata, fece abbruggiare tutte le cappane, ò Casoni<br />

delli pescatori, ch’erano nella ualle, et fece pigliare Bartolomeo <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong> con alcuni altri, et poi ce<br />

citare tutti li capi <strong>di</strong> famiglia <strong>di</strong> quel Commune, che douessero comparire auanti <strong>di</strong> lui nel<br />

palazzo, quali furono essaminati sopra le cose de bàn<strong>di</strong>ti. Poi si partì, et fece condur molti ban<strong>di</strong>ti<br />

à Bologna, quali furono fatti morire, come meritauano. Et il Duca ne fece anc’egli condur<br />

molt’altri à Ferrara, de quali alcuni furono fatti morire, et confiscati li beni loro, et applicati alla<br />

Camera Ducale, et altri furono liberati 23 .<br />

Vittime e aggressori sono nemici tra loro: quelli che agiscono nel crevalcorese<br />

non sono ban<strong>di</strong>ti sociali ma delinquenti, che agiscono però con fortissimi legami<br />

locali nel territorio a nord del paese. Le bande <strong>di</strong> briganti non possono restare<br />

interamente fuori della società, ma intrecciano con essa una fitta rete <strong>di</strong> relazioni:<br />

mangiare, rifornirsi d’armi e munizioni, spendere il denaro frutto delle razzie. Sul<br />

territorio i ban<strong>di</strong>ti recuperano poi un altro bene prezioso per la loro sopravvivenza,<br />

le informazioni. La maggior parte dei ban<strong>di</strong>ti vive, a <strong>di</strong>fferenza degli abitanti<br />

sul territorio in cui operano, in un’economia monetaria. In realtà dal punto <strong>di</strong><br />

vista economico il ban<strong>di</strong>tismo alimenta una sfitta serie <strong>di</strong> parassiti senza avere una<br />

qualche ricaduta economica concreta. Il brigantaggio ha avuto la tendenza a <strong>di</strong>ventare<br />

endemico in epoche d’impoverimento e crisi economiche. Tutte le società<br />

conta<strong>di</strong>ne del passato erano abituate a carestie perio<strong>di</strong>che, perio<strong>di</strong> che inevitabilmente<br />

favorivano il brigantaggio 24 .<br />

Dagli avvenimenti dell’anno successivo (1564) è evidente che l’operazione<br />

militare contro i ban<strong>di</strong>ti abbia avuto un esito parziale, poiché i capi della fazione<br />

Guelfa erano rimasti illesi:<br />

Quando furono pigliati li ban<strong>di</strong>ti alla Palata, e alla Galeazza, alcuni della sua parte, cio<br />

è il Pretino Farioli, Mingnone de ‘Gilli, Pasino, et Cesare de Putti con tre altri, non si trouarono<br />

22 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />

23 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />

24 E. J. Hobsbawm, I ban<strong>di</strong>ti. Il ban<strong>di</strong>tismo sociale nell’età moderna, Torino, 2002<br />

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68<br />

con loro, et hauend’inteso quanto era successo, stettero nascosi per un poco <strong>di</strong> tempo, ma in questo<br />

mese <strong>di</strong> marzo uscirono in campagna, et assaltando alla strada alcuni mercanti da Cento,<br />

ch’andauano al mercato <strong>di</strong> San Giouanni, li rubarono molti denari, et un Caualliero <strong>di</strong> casa<br />

Marescotti, che si trouaua à San Giouanni, hauend’inteso il fatto, congregò molti soldati <strong>di</strong><br />

quella Terra, e si pose à dar la caccia à detti ban<strong>di</strong>ti, quali essendo giunti al fiume Panara, per<br />

non restar prigioni del Caualliero, lasciarono li caualli, et alcune bagaglie, e portando seco li<br />

denari, si posero à nuoto, et passarano il fiume, et il Caualliero con la sua gente gli <strong>di</strong>ede la fuga<br />

sino alla Cà bianca, e non andò più auanti per non intrar nel Modenese; ma la parte de’Miari<br />

hauendo saputo, che costoro erano in quelle parti, si misero a seguitarli, ma non poteuano hauerli<br />

nelle mani. Et alli quatro d’aprile li soldati del battaglione <strong>di</strong> Bologna furono mandati a San<br />

Giouàni, e perchè s’hebbe saputo, che non uenissero a dan’i dello Stato del Duca <strong>di</strong> Ferrara,<br />

perchè si <strong>di</strong>ceua, ch’egli era stato citato à Roma sotto pena <strong>di</strong> scomunica per non hauer pagato il<br />

solito censo alla Chiesa, però qui in Cento si cominciorono à far le guar<strong>di</strong>e alle porte, et alla<br />

piazza; ma detti soldati al numero <strong>di</strong> trecento, andarono per gettar a terra, a spianar il palazzo<br />

della Palata, et la Torre della Galeazza, et hauendo leuato giù li coppi del tetto <strong>di</strong> detta Torre,<br />

uen’e un or<strong>di</strong>ne da Bologna, che ne li ritornassero, et si partissero, come fecero, e per questo si<br />

lasciò anco <strong>di</strong> far le guar<strong>di</strong>e in Cento 25 .<br />

Innanzitutto colpisce il numero (300) dei soldati che si mossero per <strong>di</strong>struggere<br />

il covo dei ban<strong>di</strong>ti Guelfi, alla Palata e alla Galeazza, e soprattutto che le<br />

influenze dei Pepoli a Bologna impe<strong>di</strong>rono la <strong>di</strong>struzione dei propri beni. Nel<br />

1566 si chiude anche l’epopea del Pretino Farioli: Il Duca desideroso <strong>di</strong> leuar totalmente<br />

li ban<strong>di</strong>ti, quali faceuano gran male in questi paesi, fece ogni sforzo per hauerli nelle mani, et<br />

hauendone fatto pigliar’alcuni, e particolarmente il Pretino Fariolo, ch’era capo principalissimo,<br />

et molti altri suoi compagni, li fece impiccare à Ferrara in più uolte, e poi li mandaua à Cento à<br />

squartare, et li questi erano posti in <strong>di</strong>uersi luochi fuori della Terra, et le teste loro furono poste<br />

alle porte, ma quella del Pretino Fariolo fù attaccata alli merli della Rocca 26 .<br />

Dai documenti risulta che ci fu una recrudescenza degli episo<strong>di</strong> negli anni<br />

’80 del 1500, anche con il passaggio nel nostro territorio <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>ti famosi, che<br />

operavano in più Stati:<br />

…In questo tempo (1584) erano in <strong>di</strong>uersi luochi d’Italia molti ban<strong>di</strong>ti, che tenneuano<br />

sotto sopra le Città, le Terre, e lor territorii, faccendo molti mali, et alcuni capi loro erano persone<br />

nobili, tra quali era il Conte Ottauio Auogadro nobile Bresciano, il quale alli tre<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> giugno<br />

uolend’intrare in Cento con quaranta caualli, fù impe<strong>di</strong>to dal Commissario, il qual’hauendo fatto<br />

porre in or<strong>di</strong>ne tutti li soldati ben’ armati, con molti caualli li <strong>di</strong>ede la fuga sino alla palazzina<br />

25 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />

26 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.


Felice Peretti, (1521-1590) da Grottammare (Ascoli<br />

Piceno) salì al soglio pontificio alla morte <strong>di</strong> Gregorio<br />

XIII nel 1585 col nome <strong>di</strong> Sisto V. Il suo governo si<br />

<strong>di</strong>stinse particolarmente nella repressione del ban<strong>di</strong>tismo.<br />

delli Androuan<strong>di</strong>, ma detto Conte comandò alli suoi, che non tirassero à nissuno con gli archibugi,<br />

e cosi non successe mal’alcuno. Et alli quindeci <strong>di</strong> settembre il Conte Girolamo Pepoli dopò la<br />

longa prigionia, ch’egli hebbe in Bologna per le false imputationi, che li furono date, uenne ad<br />

habitar’à Cento nella sua casa antica con la moglie e tutta la famiglia, ou’hebbe figliuli, e figliuole.<br />

Per la moltitu<strong>di</strong>ne de ban<strong>di</strong>ti, ch’erano sù’l Bolognese, et spesse uolte gli era data la fuga dalle<br />

genti del legato, si dubitaua, che non intrassero in Cento a far qualche danno, li Consoli Hortentio<br />

Accarisi, et Vincenzo Don<strong>di</strong>ni per assicurarsi da loro, fecero cauar le fosse, che circondano la<br />

terra, accio sempre fossero piene d’acqua, et impe<strong>di</strong>rono il transito; il che assicurò Cento dal’incursioni<br />

<strong>di</strong> detti ban<strong>di</strong>ti, ma poi fù causa, ch’essendosi corrotta l’aria, elesse una mortalità gran<strong>di</strong>ssima del<br />

popolo. 27<br />

I ban<strong>di</strong>ti inoltre erano soliti recarsi a raccogliere la frutta <strong>di</strong> notte, o a danneggiare<br />

i campi ed i vigneti dei propri nemici: si trattava comunque <strong>di</strong> un’abitu<strong>di</strong>ne<br />

molto <strong>di</strong>ffusa non solo fra i fuorilegge ma, più in generale, fra tutta la popolazione,<br />

come risulta da numerose testimonianze, oltre che dai ripetuti provve<strong>di</strong>menti<br />

legislativi emanati contro coloro che danneggiavano vigne, frutteti, ecc. <strong>di</strong><br />

27 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />

69


70<br />

solito,neanche i più ricchi. Le classi me<strong>di</strong>e, i piccoli proprietari erano dunque i più<br />

colpiti (forse perché era più facile rubare a costoro) sia durante i viaggi, sia nelle<br />

loro case 28 . Nelle campagne ormai i ban<strong>di</strong>ti erano arrivati al punto <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re<br />

perfino <strong>di</strong> seminare i campi. Il breve interregno tra Gregorio XIII e Sisto V aveva<br />

ispirato nei ban<strong>di</strong>ti una speranza <strong>di</strong> avere dal prossimo papa una sospensione dei<br />

ban<strong>di</strong>. Invece il nuovo papa avviò una politica molto ra<strong>di</strong>cale su tutto il territorio<br />

pontificio. Il nuovo legato bolognese inviato da Sisto V, il car<strong>di</strong>nale Salviati, con il<br />

vice legato Toschi, si mise subito a perseguitare i ban<strong>di</strong>ti, premiando chi li uccideva<br />

o li dava in mano alla giustizia 29 . Il provve<strong>di</strong>mento legislativo era molto severo<br />

e ferocemente repressivo anche nei confronti <strong>di</strong> tutti quelli che, in qualsiasi modo,<br />

avevano favorito un ban<strong>di</strong>to. La severità <strong>di</strong> tali misure mirava a rompere il forte<br />

vincolo <strong>di</strong> solidarietà che univa il ban<strong>di</strong>to al mondo rurale, alle classi più povere<br />

alle quali <strong>di</strong> solito apparteneva. Si doveva impe<strong>di</strong>re ciò che frequentemente accadeva:<br />

i lavoratori poveri, invece <strong>di</strong> perseguitare i ban<strong>di</strong>ti, “li celano, nascondono,<br />

favoriscono, sovvengono <strong>di</strong> cose necessarie al vitto, o vestito; e alle volte <strong>di</strong><br />

monitioni, o armi, e ben spesso gli fanno la spia per poter commettere qualche<br />

delitto, o per salvarli dalla Corte, o per altri loro <strong>di</strong>segni”. Per evitare ciò, nel<br />

Bando si <strong>di</strong>chiara che chiunque “darà aiuto, favore, o consiglio a detti<br />

delinquenti,<strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente, incorra ipso facto nelle medeme pene<br />

<strong>di</strong> ribellione, e lesa Maestà”. Chi aiutava i ban<strong>di</strong>ti incorreva dunque in pene severissime,<br />

ma le autorità pretendevano ancora <strong>di</strong> più. Non bastava rimanere neutrali,<br />

non favorire i ban<strong>di</strong>ti: in linea con la via energicamente sostenuta da Sisto V<br />

infatti si esigeva una collaborazione ed una partecipazione attiva <strong>di</strong> tutti i sud<strong>di</strong>ti<br />

nella repressione del ban<strong>di</strong>tismo. Ognuno doveva “farsi sbirro” e collaborare<br />

con le autorità, pena la morte. Le <strong>di</strong>sposizioni nei confronti dei parenti e <strong>di</strong> tutti<br />

quelli che hanno aiutato i fuorusciti proseguono minuziose nel provve<strong>di</strong>mento<br />

esaminato, cercando <strong>di</strong> prevedere tutti gli eventi possibili. Tra l’altro, i familiari <strong>di</strong><br />

ban<strong>di</strong>ti “fino in quarto grado, secondo il Ius Canonico, e più oltre ad arbitrio del<br />

Presidente, o Superiore” sono tenuti “alla refettione, e restitutione <strong>di</strong> tutti li danni<br />

che tali delinquenti, ancorché non fossero giu<strong>di</strong>tialmente condennati, daranno a<br />

qual si voglia loco publico, o privato con scacciamenti de lavoratori, ammazzamenti<br />

d’animali, devastationi de beni, o altra simil sorte <strong>di</strong> sceleratezza; et similmente<br />

siano tenuti al resarcimento e restitutione <strong>di</strong> tutte le spese che in qualsivoglia modo<br />

farà la Rev. Camera Apostolica per l’estirpatione, e persecutione <strong>di</strong> tali delinquen-<br />

28 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.<br />

29 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.


ti”. Rischia la morte persino chi non denuncia o informa le autorità <strong>di</strong> ogni notizia,<br />

relativa ai fuorusciti, <strong>di</strong> cui è venuto a conoscenza. Certo, nella realtà tutte<br />

queste <strong>di</strong>sposizioni non furono applicate alla lettera, anche perché il rispetto <strong>di</strong> tali<br />

norme avrebbe portato ad un vero sterminio delle popolazioni, ma deve far<br />

riflettere il rigore e la minuziosità <strong>di</strong> quanto <strong>di</strong>sposto. Sembra che le autorità<br />

volessero esercitare una più generale azione repressiva contro le popolazioni: si<br />

voleva <strong>di</strong>ffondere il terrore, colpire alcuni come “esempio” per tutto il mondo<br />

rurale che, sicuramente, era più vicino al mondo dei ban<strong>di</strong>ti che a quello delle<br />

autorità. Si volevano “educare” con mezzi terroristici tutti quelli che, più facilmente,<br />

potevano unirsi ai ban<strong>di</strong>ti, aiutarli, o comunque esprimere in qualche modo<br />

la protesta 30 . Destinatarie <strong>di</strong> questi provve<strong>di</strong>menti erano dunque -oltre ai ban<strong>di</strong>ti<br />

- le classi più povere. Sisto V si era adoperato nella persecuzione dei familiari dei<br />

ban<strong>di</strong>ti non soltanto come “misura <strong>di</strong> rappresaglia”: la famiglia era, infatti “il<br />

nucleo fondamentale dell’organizzazione interna del mondo conta<strong>di</strong>no, la base<br />

più solida e resistente della <strong>di</strong>fesa delle comunità rurali <strong>di</strong> fronte a minacce e<br />

pericoli provenienti dall’esterno e dell’aiuto reciproco nei bisogni della vita quoti<strong>di</strong>ana”<br />

31 . Questa politica non valeva solo per lo Stato Pontificio, ma anche per il<br />

Ducato Estense: sentendosi dunque ogni qual giorno molti latrocinij, e ribaldarie, il Duca fece<br />

publicare un bando alla ringhiera sotto pena della confiscatione de beni, che qual si uoglia persona<br />

non douesse dar ricapito à ban<strong>di</strong>ti, ne darli da mangiare, ne portare sue lettere à nissuno; et se<br />

alcun ban<strong>di</strong>to facesse qual si uoglia male, ò hauesse rubato bestie, ò denari, ò roba, che li parenti<br />

sino in quarto grado fossero obligati à so<strong>di</strong>sfar il danno sotto pene grauissime. E perchè fu posto<br />

in prigione un Gio: Battista Lamburghino, c’haueua pigliato una lettera dalli ban<strong>di</strong>ti, e portatala<br />

à Gioseffo Piombini, non hauendo roba, che li potesse esser confiscata, li furono dati tre tratti<br />

<strong>di</strong> corda nella piazza pubblicamente 32 .<br />

Quanto alla legislazione or<strong>di</strong>naria, per tutto il periodo <strong>di</strong> cui ci occupiamo<br />

rimase in vigore a Roma lo Statuto pubblicato nel 1580 33 : per la quasi totalità dei<br />

reati generalmente commessi dai ban<strong>di</strong>ti in esso era prevista la pena <strong>di</strong> morte. Lo<br />

Statuto prevedeva la pena <strong>di</strong> morte per impiccagione per gli autori <strong>di</strong> un latrocinium<br />

(ovvero qui per vin furatur), per gli assassini (cioè coloro che “pretio vel pecunia<br />

aliquem quomodocumque occiderit, aut occideri tentaverit, vel occi<strong>di</strong> fecerit, aut<br />

30 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.<br />

31 R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini (1585-1647), Bari 1967, pp. 87-88.<br />

32 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />

33 Dello Statuto <strong>di</strong> Roma abbiamo consultato l’e<strong>di</strong>zione del 1611; un elenco delle <strong>di</strong>fferenti e<strong>di</strong>zioni<br />

degli Statuti è nel Catalogo della raccolta <strong>di</strong> Statuti, consuetu<strong>di</strong>ni; leggi, decreti, or<strong>di</strong>ni e privilegi dei comuni,<br />

delle associazioni e degli enti locali italiani dal Me<strong>di</strong>oevo alla fine del XVIII secolo, Roma 1943-63.<br />

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72<br />

mandaverit”), per i fures (coloro che occulte rubano) solo in caso <strong>di</strong> reci<strong>di</strong>va e persino,<br />

in talune circostanze, per gli autori <strong>di</strong> incen<strong>di</strong>. Nello Stato della Chiesa il supplizio<br />

rimaneva dunque la forma principale per colpire chi non rispettava le “regole<br />

del gioco” e, quin<strong>di</strong>, il corpo dell’imputato era ancora il principale bersaglio<br />

della giustizia. La funzione più importante della prigione rimaneva dunque quella,<br />

tipica della società pre-capitalista, <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>re temporaneamente gli accusati, prima<br />

del processo e dell’esecuzione della pena. Accanto alle punizioni corporali nel<br />

sistema delle pene adottato nello Stato pontificio assunse un ruolo importante, a<br />

causa della sua massiccia applicazione, l’istituto del bando. “Exilium, prout est,<br />

simplex eiectio è Civitate...in absentes <strong>di</strong>citur bannum, in praesentes exilium,<br />

secundum communem usum loquen<strong>di</strong>”. Tale <strong>di</strong>ffusa applicazione, se <strong>di</strong>mostrava<br />

l’inefficienza dell’apparato repressivo, contemporaneamente<br />

alimentò il fenomeno del ban<strong>di</strong>tismo. Abbiamo già ricordato che negli ultimi<br />

decenni del Cinquecento e nei primi del Seicento furono emessi numerosi<br />

provve<strong>di</strong>menti legislativi specifici contro i ban<strong>di</strong>ti. Essi erano <strong>di</strong> due tipi: i Ban<strong>di</strong><br />

generali, che stabilivano i reati, le pene e le misure da adottare contro i fuorusciti,<br />

e i provve<strong>di</strong>menti riguardanti singoli ban<strong>di</strong>ti, nei quali si stabilivano premi per chi<br />

li avesse consegnati, vivi o morti, alle autorità.<br />

Caratteristica dell’azione del governo papale contro i ban<strong>di</strong>ti e, dunque, anche<br />

della “legislazione speciale” contro il ban<strong>di</strong>tismo, fu il tentativo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgregare<br />

le bande dal loro interno, promettendo premi ed impunità a tutti quei ban<strong>di</strong>ti che<br />

avessero consegnato, vivo o morto, un loro compagno 34 . Un esempio <strong>di</strong> questa<br />

funzione viene dall’episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Bartolomeo Dan<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong>venuto ban<strong>di</strong>to per risponder<br />

ad una faida famigliare: et haueuano saputo, ch’il capo <strong>di</strong> coloro era questo<br />

Bartolomeo Don<strong>di</strong>ni,li fece poser taglia dal Duca, e remissione de ban<strong>di</strong> a chi lo daua ò uiuo, ò<br />

morto; onde alcuni sui compagni, e tra li altri uno, che s’era imparentato seco, cominciorono à<br />

trattare <strong>di</strong> liberar lor stessi <strong>di</strong> bando, et anco <strong>di</strong> guadagnar la taglia…. 35 .<br />

Mentre, come si è detto, l’azione del governo papale volta a recidere il vincolo<br />

<strong>di</strong> solidarietà fra fuorilegge e mondo rurale non produsse gli effetti sperati<br />

nella lotta al ban<strong>di</strong>tismo, il sistema <strong>di</strong> premi ed impunità costruito per <strong>di</strong>struggere<br />

dal loro interno i gruppi <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>ti produsse risultati non irrilevanti per le autorità<br />

pontificie. Fra i ban<strong>di</strong>ti si insinuò la paura del tra<strong>di</strong>mento, che ruppe in parte<br />

quella solidarietà presente fra i fuorilegge. I risultati furono notevoli, nel breve<br />

periodo, soprattutto perché la mancanza <strong>di</strong> un programma, <strong>di</strong> una motivazione<br />

34 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.<br />

35 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.


politica o <strong>di</strong> riven<strong>di</strong>cazioni imme<strong>di</strong>ate rendeva più fragile il vincolo e, quin<strong>di</strong>, più<br />

<strong>di</strong>sgregabile il movimento. Gli effetti dell’azione repressiva non potevano però<br />

essere durevoli, in assenza <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>cali mutamenti della struttura sociale.<br />

Bisogna però ricordare che tali provve<strong>di</strong>menti legislativi prevedevano premi<br />

anche per coloro che, pur non essendo ban<strong>di</strong>ti, avessero consegnato, vivo o<br />

morto, un ban<strong>di</strong>to. Sulla base delle fonti <strong>di</strong>sponibili non sembra che tali misure<br />

abbiano prodotto risultati notevoli nella lotta al ban<strong>di</strong>tismo.<br />

Quando non esisteva un interesse imme<strong>di</strong>ato, <strong>di</strong>retto, legato alla propria vita<br />

(ovvero la possibilità <strong>di</strong> ottenere la grazia), pare che, nonostante la miseria della<br />

popolazione, nessuno si adoperasse per guadagnare le ingenti taglie sui ban<strong>di</strong>ti,<br />

anche se 200 o 300 scu<strong>di</strong> - tale era l’ammontare me<strong>di</strong>o delle taglie - avrebbero<br />

risolto molti problemi a chi aveva, a malapena, <strong>di</strong> che sopravvivere.<br />

Al momento della presentazione delle teste emergeva anche un problema<br />

più generale degli Stati dell’epoca: in una società in cui l’identificazione degli in<strong>di</strong>vidui<br />

(e quin<strong>di</strong> anche dei ban<strong>di</strong>ti) era incerta, per l’assenza <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> univoci <strong>di</strong><br />

riconoscimento, non si poteva certo escludere il rischio <strong>di</strong> fro<strong>di</strong> nel macabro<br />

“mercato” 36 . Considerando che la maggioranza della popolazione rurale aveva<br />

almeno un parente ban<strong>di</strong>to, con il quale rimaneva legata, tali <strong>di</strong>sposizioni erano<br />

sicuramente allettanti. I premi pecuniari per la cattura dei ban<strong>di</strong>ti erano previsti<br />

anche per soldati e sbirri, pure se costoro già ricevevano una paga per il proprio<br />

mestiere: evidentemente si voleva incentivare chi non si sentiva altrimenti motivato<br />

a <strong>di</strong>fendere l’or<strong>di</strong>ne pubblico. Si deve però aggiungere che non sembra che lo<br />

Stato abbia sempre mantenuto le promesse, pagando le somme previste dalle<br />

taglie sui ban<strong>di</strong>ti.<br />

Fin qui si è detto della repressione del ban<strong>di</strong>tismo condotta all’interno della<br />

legalità: bisogna però ricordare che nel combattere i fuorilegge le autorità<br />

pontificie utilizzarono anche, e nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> maggiore espansione del fenomeno<br />

forse in modo prevalente, l’annientamento militare, <strong>di</strong> fatto, sottratto<br />

dunque a qualsiasi norma e legge. Se molti furono i ban<strong>di</strong>ti condannati a<br />

morte e giustiziati, un numero notevolmente maggiore <strong>di</strong> fuorusciti moriva<br />

nel corso degli scontri militari, le “scaramucce” con i soldati, senza neanche<br />

aver subito un processo ed una condanna.<br />

Le spe<strong>di</strong>zioni contro i ban<strong>di</strong>ti furono numerose, negli ultimi decenni<br />

del XVI secolo così come nei primi del secolo successivo: nonostante ciò,<br />

36 Irene Polverini Fosi, Il ban<strong>di</strong>tismo nello stato pontificio nella seconda metà del Cinquecento, pp.67-85, a<br />

cura <strong>di</strong> Gherardo Ortalli, Bande armate, ban<strong>di</strong>ti, ban<strong>di</strong>tismo e repressione <strong>di</strong> giustizia negli stati europei <strong>di</strong><br />

antico regime, Atti del Convegno – Venezia 3-5 novembre 1985, Roma 1986.<br />

73


74<br />

come si è detto, il contrad<strong>di</strong>ttorio processo <strong>di</strong> riorganizzazione dello Stato<br />

allora in corso non riuscì, nel periodo in esame, a rendere effettivo il controllo<br />

su tutti i territori. I verbali dei processi sono ricchi <strong>di</strong> esempi in relazione<br />

alla libertà <strong>di</strong> azione <strong>di</strong> cui godevano i ban<strong>di</strong>ti a causa della mancanza <strong>di</strong><br />

organizzazione delle forze che avrebbero dovuto combatterli 37 .<br />

Il 1585 fu l’anno dell’applicazione dei provve<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> Sisto V nel nostro<br />

territorio: il 14 agosto Milano Fanti <strong>di</strong> Sant’ Agostino, alle ore 13 fu<br />

incarcerato per possesso <strong>di</strong> armi e alle ore 19 impiccato. Il 17 Cesare<br />

Saccomanni, uno degli esponenti <strong>di</strong> una delle famiglie che coor<strong>di</strong>navano la<br />

fazione guelfa, con altri tre furono sorpresi <strong>di</strong> notte armati in Bologna. Il 29<br />

settembre furono impiccati Biagio Busi, Antonio ed Ercole da Fano, Alessandro<br />

Pasquali, Marco Antonio Mengoli da Loiano, Giovanni Maria <strong>di</strong><br />

Girolamo Arena, detto il Moretto, e <strong>di</strong> Palata, Bartolomeo e Pietro Antonio,<br />

con Giacomo <strong>di</strong> Alessandro Accarisi, fratelli, e Domenico Grazia, Giovanni<br />

Paolo Piccinini, Antonio <strong>di</strong> Domenico Albertini, <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, Giovanni<br />

Croci <strong>di</strong> Capugnano, Alberto, detto Barili dalla Corba, Domenico da Ro<strong>di</strong>ano,<br />

Marco <strong>di</strong> Cesare Berti da Sasso, Giulio Mazzoni da Sant’Antonio <strong>di</strong> Savena,<br />

Antonio Pellegrino da Selva, Paolo <strong>di</strong> Marco dallo Spedale, Antonio <strong>di</strong> Matteo<br />

Tognoli da Gaggio e Marco <strong>di</strong> Nicolò da Funo. Questa rapido riassunto<br />

degli interventi fatti nel bolognese mostra chiaramente la <strong>di</strong>visione operativa<br />

del ban<strong>di</strong>tismo: la zona collinare e quella della pianura, attorno a Palata e<br />

Sant’Agostino, con la presenza <strong>di</strong> fuoriusciti, aggregati alle bande 38 . I ban<strong>di</strong>ti<br />

dunque restavano spesso legati al proprio paese, a quella gente che si sentiva<br />

unita, da un vincolo <strong>di</strong> solidarietà, al proprio “paesano”, anche se condannato:<br />

nei piccoli centri parte del clero era interna a questo mondo. Anche nei casi in<br />

cui mancava il concreto appoggio degli ecclesiastici nei confronti dei ban<strong>di</strong>ti, tale<br />

assenza non sembra si sia mai trasformata in persecuzione nei loro confronti, in<br />

collaborazione con le autorità pontificie 39 .<br />

Nel resto dell’anno il bargello venne a <strong>Crevalcore</strong> in luglio a prendere due<br />

prigionieri, Biagio Paganello e un tal Zampado, che sembra fosse in chiesa. A<br />

settembre ritornò per Giacomo Ruberti. Nell’ottobre portò 12 sbirri. Non appena<br />

il car<strong>di</strong>nale Salviati lasciò Bologna dove aveva condannato a morte Giovanni<br />

Pepoli, il nuovo legato Enrico Gaetano, ri<strong>di</strong>ede il possesso delle terre confiscate<br />

ai figli Ugo, Giacomo e Riccardo, bastar<strong>di</strong> legittimati. Intanto i massari pagavano<br />

69 lire a Bologna per l’estirpazione dei ban<strong>di</strong>ti e la conduzione <strong>di</strong> due persone<br />

37 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.<br />

38 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />

39 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.


a Bologna perché avevano fatto rumore nell’aia del Dell’Armi, altra famiglia della<br />

parte Guelfa.<br />

Nell’anno successivo (1586) Sigismondo Lugari o Lupari, nobile ferrarese, a<br />

capo <strong>di</strong> una banda, fu impiccato e squartato a Bologna, con Matteo Morani <strong>di</strong><br />

Samoggia e Ludovico Mantovani della Palata. Nel periodo si assiste ad un gran<br />

movimento <strong>di</strong> sbirri. Sono tradotti a Bologna Tomaso Beccantini e alcuni sbirri<br />

vanno alla Palata per pigliare Fir<strong>di</strong>no, un noto ban<strong>di</strong>to.<br />

Il 1588 fu l’anno in cui alla piaga del ban<strong>di</strong>tismo si affiancò una terribile<br />

carestia, per mancato raccolto: il frumento da 6 lire passò a 20 a corba, poi a 100.<br />

Nel 1590 erano conteggiati 10mila poveri a Bologna e 30 mila nel contado. In 96<br />

giorni solo a <strong>Crevalcore</strong> furono registrati 108 morti per le conseguenze della<br />

denutrizione 40 .<br />

I <strong>di</strong>versi rami famigliari dei Pepoli si accordarono per una spartizione <strong>di</strong><br />

terreni del valore <strong>di</strong> 60 mila scu<strong>di</strong> e il possesso <strong>di</strong> 3/4 del mulino <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>.<br />

La temporanea sconfitta politica del ceto aristocratico più aggressivo da parte <strong>di</strong><br />

Sisto V, aveva avuto come contropartita il riconoscimento e la tutela della ren<strong>di</strong>ta<br />

fon<strong>di</strong>aria citta<strong>di</strong>na sulle campagne crevalcoresi 41 .<br />

Nonostante l’impegno militare profuso, il territorio crevalcorese continuò<br />

ad essere al centro <strong>di</strong> una vivace attività ban<strong>di</strong>tesca. Tra il 1589 e il 1591 si creò<br />

un’alleanza tra Sisto V, il Granduca <strong>di</strong> Toscana e il Duca <strong>di</strong> Ferrara:<br />

A questa miseria della carestia s’aggiunse anco un <strong>di</strong>sturbo gran<strong>di</strong>ssimo, che niuno poteua<br />

andar sicuramente per i suoi uiaggi, particolarmente nella Romagna, et altri luochi circonuicini<br />

per rispetto d’una moltitu<strong>di</strong>ne de’ ban<strong>di</strong>ti, <strong>di</strong>uisi in due parti, il capo d’una era Giacomo della<br />

Serra, et il capo dell’altra Cesare Zanarese, i quali ban<strong>di</strong>ti rubauano, sualigiauano, spogliauano;<br />

et anco amazzauano li uiandanti; onde il Duca <strong>di</strong> Ferrara, Bolognesi, Romagnoli, et il gran<br />

Duca <strong>di</strong> Toscana uniti insieme, si <strong>di</strong>sposero <strong>di</strong> estirparli totalmente, et liberar li lor confini da<br />

gente così ribalda; per questo uenne a Cento il Conte Enea Montecucoli con i cauai leggieri <strong>di</strong><br />

Ferrara, et hauendo fatto porre al’or<strong>di</strong>ne tutta la nostra militia, la condusse seco nel mese <strong>di</strong><br />

giugno à dar la fuga à detti ban<strong>di</strong>ti; quali dopo molti combattimenti furono al fine <strong>di</strong>strutti; et<br />

quasi tutti restarono morti, e le teste loro furono portate nelle Città uicine, et appese alle forche<br />

con horrido spettacolo; e quelli, che restarono uiui, e furono fatti prigioni, furono poi impiccati<br />

come meritavano 42 .<br />

40 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />

41 Alberta Toniolo, Territori In<strong>di</strong>visi. Una proposta <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sul ban<strong>di</strong>tismo cinquecentesco nell’area della<br />

Partecipanze modenesi e bolognesi, a cura <strong>di</strong> Euride Fregni, Terre e comunità nell’Italia Padana, Cheiron,<br />

anno VIII, n.14-15, II semestre 1990/ I semestre 1991, Brescia, pp. 175-185.<br />

42 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />

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76<br />

Inizialmente i ghibellini si ritirarono in collina e i guelfi nelle valli ferraresi. I<br />

soldati girarono spesso a vuoto, anche perché i ban<strong>di</strong>ti erano informati e finanziati<br />

<strong>di</strong>rettamente dall’aristocrazia bolognese. Nel 1591 è segnalata la presenza, tra<br />

<strong>Crevalcore</strong> e Palata, <strong>di</strong> uno dei più famosi ban<strong>di</strong>ti dell’epoca, Alfonso Piccolomini,<br />

nobile che con la sua banda tenne in scacco lo Stato Pontificio. Nel 1591 milizie<br />

bolognesi, ferraresi, toscane e romagnole si riunirono, per sciogliere le bande<br />

riunitesi prima della morte del Piccolomini, con artiglierie e carri blindati. Il carnefice<br />

giustiziò 350 ban<strong>di</strong>ti e molte furono le teste consegnate nelle città. Il 14 febbraio<br />

furono fatti prigionieri e portati a Bologna vari ban<strong>di</strong>ti. Ancora nel 1595 si<br />

segnalano movimenti <strong>di</strong> truppe. Nel 1597 furono impiccati Lorenzo <strong>di</strong> Natale e<br />

Marco Antonio Lolli <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, razziatori, e fu trovata una testa nella valle.<br />

Sono gli ultimi episo<strong>di</strong>: ormai l’aristocrazia bolognese ha legittimato il suo <strong>di</strong>ritto<br />

<strong>di</strong> proprietà sul territorio. Il <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, probabilmente forte <strong>di</strong> una<br />

situazione politica apparentemente mutata, aveva nel 1587 intentato una causa<br />

contro i Pepoli, gli Orsi e i Malvasia, cercando <strong>di</strong> recuperare terre illegalmente<br />

possedute da loro. Solo pochi anni dopo l’Abbazia <strong>di</strong> Nonantola chiudeva ogni<br />

possibilità <strong>di</strong> ottenere giustizia confermando i <strong>di</strong>ritti dei Pepoli sui posse<strong>di</strong>menti<br />

in vertenza con la comunità 43 .<br />

Non per questo però si può affermare che il ban<strong>di</strong>tismo, nello Stato pontificio,<br />

sia scomparso alla fine del Cinquecento. Sicuramente vi fu una notevole<br />

riduzione del numero <strong>di</strong> fuorusciti operanti nel territorio dello Stato ma, nonostante<br />

tale <strong>di</strong>minuzione - le cui cause imme<strong>di</strong>ate possono essere ricercate nell’arruolamento<br />

<strong>di</strong> fuorilegge per la guerra d’Ungheria e la conquista <strong>di</strong> Ferrara, nella,<br />

seppur temporanea, efficacia degli strumenti usati nella repressione del fenomeno<br />

e nell’attenuarsi, per alcuni anni, delle carestie che avevano pesantemente colpito la<br />

popolazione negli ultimi anni del XVI secolo - il ban<strong>di</strong>tismo fu, ancora nei primi<br />

decenni del Seicento, significativamente rilevante dal punto <strong>di</strong> vista quantitativo e,<br />

quanto all’aspetto qualitativo assunse, nonostante le sue multiformi e spesso contrad<strong>di</strong>ttorie<br />

caratteristiche, i caratteri <strong>di</strong> quel fenomeno che comunemente viene<br />

definito ban<strong>di</strong>tismo sociale, soprattutto tra la Romagna e il Lazio.<br />

43 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.


77<br />

Novecento


78<br />

Gruppo <strong>di</strong> militari con fiaschi <strong>di</strong> vino. Al centro, seduto, il crevalcorese Pecorari<br />

Antonio <strong>di</strong> Vincenzo, nato 31 maggio 1888, morto il 5 ottobre 1918 nell’ospedale da<br />

campo n°47.


MAGDA ABBATI<br />

<strong>Crevalcore</strong> al fronte<br />

Nel <strong>di</strong>battito storiografico attuale si riprende a parlare, <strong>di</strong>scutere e pensare intorno<br />

alle esperienze <strong>di</strong> guerra degli uomini al fronte durante la Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale.<br />

Forse ci si sente più liberi nell’espressione ora che da poco é iniziato il<br />

secondo millennio. Gli stu<strong>di</strong> si sono orientati anche sull’adesione o, al contrario,<br />

sulla contestazione del conflitto all’interno dell’esercito italiano, un sentire che pare<br />

sia stato assai significativo.<br />

<strong>Crevalcore</strong> ha nel proprio archivio il lavoro minuzioso e vario <strong>di</strong> uno storico<br />

locale, Lorenzo Meletti, che si é occupato <strong>di</strong> moltissimi aspetti storici della vita<br />

crevalcorese.<br />

Lorenzo Meletti, nelle proprie cronache <strong>di</strong> guerra, ha raccolto una certa<br />

quantità <strong>di</strong> lettere e cartoline che alcuni soldati al fronte spe<strong>di</strong>vano a casa o a lui<br />

personalmente. In genere si tratta <strong>di</strong> poche righe scritte nei momenti <strong>di</strong> tregua,<br />

con calligrafie incerte, spesso corrette dalla censura militare o dallo stesso Meletti<br />

in caso <strong>di</strong> comunicazioni troppo personali.<br />

La maggior parte delle lettere raccolte vengono da esponenti della cerchia<br />

<strong>di</strong> amicizie dello storico e, quin<strong>di</strong>, da un ambito <strong>di</strong> ceto me<strong>di</strong>o.<br />

Bello Maselli, figlio <strong>di</strong> Caro, ragioniere del comune, nel 1915 scrive ai compagni<br />

<strong>di</strong> lavoro, impiegati comunali:<br />

“scusate se ancora non mi sono fatto vivo ma questa nuova vita mi ha un po’ sconvolto<br />

(...). Mai, costì, mi sentii tanto italiano: mai in me come ora fu così grande il sentimento nazionale<br />

(...).Il sangue bolle: tutti i sentimenti più cari si risvegliano e, ripeto, mi sembra <strong>di</strong> essere<br />

<strong>di</strong>ventato un altro uomo” (1).<br />

La guerra è la prima grande esperienza <strong>di</strong> massa che unifica non solo sulla<br />

carta il Paese. In questa lettera piena <strong>di</strong> entusiasmo e <strong>di</strong> patriottismo, la guerra è un<br />

evento creatore <strong>di</strong> personalità (2). Nello stesso anno il tenente Guido Mattioli<br />

1 - cfr. MELETTI, op. cit., Parte IV, volume VII, fasc. I Diario fino al 31 <strong>di</strong>cembre 1915, ms 42<br />

(28), pp. 88-89.<br />

2 - E.J. LEED, Terra <strong>di</strong> nessuno, Bologna 1985, p.193.<br />

3 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 42 (28) pp. 123 e 154.<br />

79


80<br />

<strong>di</strong>chiara che l’azione bellica gli procura “energie nuove”; Fulvio Cirri <strong>di</strong>ce che ha<br />

cessato “<strong>di</strong> essere citta<strong>di</strong>no per essere solo soldato” (3).<br />

Al fronte si realizza una vera e propria “rinascita” dell’in<strong>di</strong>viduo. Nel 1914-<br />

15 nessun uomo nel fiore degli anni sapeva cosa fosse realmente la guerra (4). In<br />

Italia c’era stato il conflitto libico, ma non era stato così nuovo, così industrializzato<br />

come quello che si prospettava ora; una cartolina inviata ad Ernesto Francia,<br />

responsabile dell’ufficio anagrafe, riporta queste parole:<br />

“ho assistito ad uno spettacolo nuovo aereoplani austriaci hanno lanciato bombe su U<strong>di</strong>ne” (5).<br />

Il capitano Amedeo Pederzini, a casa in convalescenza nel 1916, riferisce a<br />

Meletti delle armi mici<strong>di</strong>ali che ha visto in azione, degli aerei carichi <strong>di</strong> esplosivo<br />

che potevano <strong>di</strong>struggere una città intera.<br />

Questa guerra ha un potenziale <strong>di</strong>struttivo senza precedenti, è troppo nuova<br />

per essere capita da chi non combatte (6). L’iniziale impressione <strong>di</strong> una guerra<br />

veloce, che si era <strong>di</strong>ffusa fra civili e militari, viene smentita dalle parole <strong>di</strong> questo<br />

ufficiale, convinto che le ostilità non finiranno almeno prima <strong>di</strong> un anno (7).<br />

Nessun tono trionfalistico nell’unica lettera del sindaco Mattioli che dal fronte<br />

riesce a raggiungere il figlio: “Caro Aldo, scrivi tu una parola al tuo babbo e gli basta, ti mando<br />

un bacione e vorrei che tu mi vedessi. Siamo in tanti papà qui ma tutti più bambini <strong>di</strong> te” (8).<br />

Sono poche righe che testimoniano una con<strong>di</strong>zione che sfugge alla propria<br />

volontà: si deve obbe<strong>di</strong>re, come bambini.<br />

Fra le altre, c’è un’unica lettera <strong>di</strong> uno “zappatore”, Giuseppe Guastaroba,<br />

che scrive al padre:<br />

“Tra il rombo, mentre scrivo, del cannone, (...) ma che volete io non penso più a nulla o avuto<br />

un piccolo buco in un braccio ma il quale non pensate a nulla che non è un gran male (...)” (9).<br />

La propaganda interventista alla vigilia del conflitto non aveva cercato <strong>di</strong><br />

attirarsi il favore delle classi rurali, probabilmente perchè queste da un conflitto<br />

potevano aspettarsi solo danni (10).<br />

La vita al fronte fa <strong>di</strong>re a Giuseppe che non pensa a nulla. Padre A. Gemelli,<br />

<strong>di</strong>rettore del laboratorio psicofisiologico del Comando Supremo, rileva che “il<br />

soldato in trincea pensa poco, perché vede assai poco; pensa sempre le stesse cose”.<br />

4 - P. FUSSELL, La Grande Guerra e la memoria moderna, Bologna 1984, p. 26.<br />

5 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 42 (28), p. 108.<br />

6 - cfr. FUSSELL, op. cit., p. 111-112.<br />

7 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 42 (28), p. 108.<br />

8 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 43 (29), p. 53.<br />

9 - cfr. ibidem, p. 58.<br />

10 - A. PAPA, Guerra e Terra 1915- 1918, in “Stu<strong>di</strong> Storici”, gennaio-marzo 1969, p. 4.


Pergamena commemorativa per la morte del sindaco Alessandro Mattioli<br />

81


82<br />

La vita militare, al <strong>di</strong> là degli attacchi e dei bombardamenti, segue schemi<br />

rigi<strong>di</strong> e, quin<strong>di</strong>, monotoni, provocando un vero torpore intellettuale (11). I combattenti<br />

che possedevano istruzione e cultura soffrivano più <strong>di</strong> altri questo stato.<br />

Guido Mattioli scrive nel giugno 1917:<br />

“attualmente le brighe svariate mi portano via molto tempo e mi rimangono appena cinque<br />

ore da dormire. Il che mi <strong>di</strong>spiace perché non posso de<strong>di</strong>carmi affatto ai miei svaghi preferiti, né<br />

colla lettura né collo scritto (...) non che ciò sia un danno, ma io ne sento un vuoto, nel contempo<br />

un bisogno <strong>di</strong> sfogo che devo pur appagare (...)” (12).<br />

Un altro ufficiale, Carlo Mattioli (non è parente <strong>di</strong> Guido) riferisce nel luglio 1916 che<br />

sta conducendo “ una vita <strong>di</strong> sacrificio” e che gli sembra d’essere “un eremita che faccia penitenza”<br />

(13).<br />

Questi uomini preferiscono l’azione all’attesa e alla noia delle trincee; chiedono<br />

scusa della ripetitività che caratterizza i loro scritti, ma è dovuta alla monotonia<br />

della loro vita.<br />

Nel 1917 comincia a sentirsi il peso <strong>di</strong> quella guerra che sembra sempre sul<br />

punto <strong>di</strong> finire e invece continua: pare comunque che la speranza <strong>di</strong> una fine a<br />

breve termine abbia rappresentato un inaspettato aiuto psicologico per i soldati<br />

(14). Ma la stanchezza si fa sentire.<br />

Alfonso Breveglieri, fante, si trova nelle retrovie ma desidera allontanarsi<br />

ancora <strong>di</strong> più dal pericolo; G. Mattioli, in trincea da più <strong>di</strong> un mese, nell’agosto<br />

1917 spera <strong>di</strong> andare in luoghi più sicuri, nonostante il sempre fiero impegno <strong>di</strong><br />

soldato, e <strong>di</strong>ce: “non l’ho mai desiderato come stavolta” e in un’altra lettera dello stesso<br />

periodo:<br />

“sono impossibilitato ad accozzare qualche idea perché le (...) occupazioni mi rubano tutto<br />

il tempo, anche quello necessario a riposare. Da qualche giorno vivo entro una cavernaccia, <strong>di</strong><br />

giorno e <strong>di</strong> notte, e tranne le passeggiate che faccio in linea non mi muovo (...). Per ora, nessun<br />

altro desiderio mi resta che avere un po’ <strong>di</strong> tregua anche internamente e intellettualmente” (15).<br />

L. Meletti trascrive anche le memorie del sergente maggiore Gaetano<br />

Pettazzoni, che scrive a proposito della ritirata <strong>di</strong> Caporetto. Le sue parole descrivono<br />

lo smarrimento, la marcia forzata sotto la pioggia, i rumori del tuono e del<br />

cannone che si confondono, i paesi in fiamme e i civili che cercano riparo: scenari<br />

11 - P. MELOGRANI, Storia politica della Grande Guerra 1915-1918, Bari 1969, pp. 80-83 ; per<br />

l’attività <strong>di</strong> padre Agostino Gemelli cfr. il saggio <strong>di</strong> V. LABITA, Un libro-simbolo: “Il nostro soldato” <strong>di</strong><br />

padre Agostino Gemelli, in “Rivista <strong>di</strong> storia contemporanea”, fasc. 3 luglio 1986, pp. 402-429.<br />

12 - cfr. MELETTI, op. cit., Parte IV, volume VII, fasc. III Diario 1917, ms 44 (30), p. 64.<br />

13 - cfr. ibidem, p. 73.<br />

14 - cfr. MELOGRANI, op. cit., p.77.<br />

15 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 44 (30), pp. 84,90 e 73.


<strong>di</strong> desolazione e dolore insieme alla ricerca <strong>di</strong> una spiegazione dell’accaduto (cfr.<br />

Appen<strong>di</strong>ce) (16).<br />

C’è anche chi è ansioso <strong>di</strong> andare al fronte. Renato Gavioli, farmacista come<br />

il padre, alla fine del 1917 ha fretta <strong>di</strong> finire il corso per ufficiali per poter andare<br />

a combattere. Nel maggio 1918, quando già si trova al fronte, scrive al padre<br />

degli scambi fra italiani e inglesi che “stanchi delle marmellate e dei dolciumi”<br />

chiedono pane ora che anche i loro rifornimenti scarseggiano (17). Per Gavioli<br />

arriva finalmente il momento della lotta in cui si lancia con entusiasmo: “questa<br />

volta gli austriaci le bussano molto forte!”, e nel novembre 1918 incontra i nemici: “sono<br />

in generale uomini anziani. Non sono sporchi ma luri<strong>di</strong> nel vero senso della parola. Hanno le<br />

facce magre e <strong>di</strong> un colore cadaverino. Le baracche loro, i ricoveri hanno un odore nauseabondo<br />

(...)” (18).<br />

E’ l’unica descrizione del nemico che si trovi in queste lettere. La guerra <strong>di</strong><br />

trincea era condotta infatti contro un avversario “invisibile”: potevano passare<br />

mesi prima <strong>di</strong> vedere da vicino gli avversari (19).<br />

La battaglia del Piave rinsalda il patriottismo dei combattenti crevalcoresi e<br />

<strong>di</strong> tutti i soldati italiani. Le operazioni militari <strong>di</strong>mostrano almeno ora l’efficienza<br />

delle truppe e del comando (20).<br />

G. Mattioli scrive: “abbiamo la piena sensazione <strong>di</strong> essere i veri <strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> quelli che<br />

non piegarono la fronte agli oppositori” e in seguito riba<strong>di</strong>sce l’idea che con questa<br />

vittoria si rinnova la grandezza dei padri e dell’Italia (21).<br />

Molti con<strong>di</strong>videvano l’opinione per cui la guerra avrebbe inserito l’Italia nel<br />

“club delle gran<strong>di</strong> potenze”; in realtà anche questa era un’illusione, soprattutto<br />

dopo la sconfitta <strong>di</strong> Caporetto. La nazione si era mostrata impreparata sia<br />

militarmente che civilmente a fronteggiare i problemi <strong>di</strong> guerra; la classe <strong>di</strong>rigente<br />

italiana trova la forza per organizzarsi solo dopo la <strong>di</strong>sfatta del ’17 (22).<br />

Nel novembre 1918 Meletti parla con Celeste Lo<strong>di</strong>, caporale, prigioniero<br />

dalla fine del 1917 e rimpatriato da pochi giorni:<br />

“sono partito per la guerra perché chiamato alle armi, senza averne ben compreso il<br />

motivo. Nato e cresciuto nella pace dei campi, non sapevo farmene capace (...). Oggi che ho<br />

16 - cfr. ibidem, pp. 118-123.<br />

17 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 45 (31), p. 63.<br />

18 - cfr. ibidem, pp. 144 e 151.<br />

19 - cfr. LEED, op. cit., p. 167.<br />

20 - cfr. MELOGRANI, op. cit., pp.544-547.<br />

21 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 45 (31), pp. 74 e 153.<br />

22 -E. RAGIONIERI, La storia politica e sociale in Storia d’Italia, vol. IV, tomo III, Torino Einau<strong>di</strong><br />

1976, pp. 2060-2063, 2007-2008 e 2041.<br />

83


84<br />

conosciuto ed esperimentata la barbarie tedesca in tutto il suo orrore, se dovesse riaccendersi la<br />

guerra partirei volontario e vorrei essere fra i primi perché quei popoli meritano <strong>di</strong> essere puniti”<br />

(23).<br />

Per la maggioranza dei combattenti, la guerra equivale ad una esperienza <strong>di</strong><br />

sacrificio, <strong>di</strong> privazione, eppure non si può ignorare l’entusiasmo per essa che<br />

trapela da questo piccolo campione <strong>di</strong> testimonianze. Un sentimento che viene<br />

con<strong>di</strong>viso da chi resta a casa, come Pietro Cirri che nel maggio 1916, malgrado<br />

abbia quattro figli al fronte e due in procinto <strong>di</strong> partire, scrive:<br />

“In questo momento <strong>di</strong> tremenda lotta fra le Nazioni, quasi mon<strong>di</strong>ale, benché sia grande<br />

il dolore <strong>di</strong> rimanere privo dei miei figli, il mio morale è alquanto forte ed elevato, e ben volentieri<br />

do i miei figli in <strong>di</strong>fesa della Patria e del Re nonché dell’intera Nazione sempre fedele ai miei<br />

principi e nessuna forza <strong>di</strong> partiti mi <strong>di</strong>stoglie dalle mie gran<strong>di</strong> idee, benché il sacrificio sia grande,<br />

ma giungerà il giorno in cui sarò orgoglioso <strong>di</strong> aver dato i miei figli alla <strong>di</strong>fesa delle patrie<br />

istituzioni. Nel raggiungere l’ora del declinare dei miei giorni sarò lieto <strong>di</strong> aver contribuito a far<br />

Grande Forte e Temuta la mia Patria. Attendo con pazienza e rassegnazione l’ora estrema del<br />

maggior cimento persuaso della Vittoria (...)” (24).<br />

E.J. Leed, analizzando le memorie <strong>di</strong> volontari e ufficiali tedeschi ed inglesi,<br />

ritiene che tale entusiasmo sia dovuto alla gioia <strong>di</strong> non sentirsi più isolati come<br />

singoli in<strong>di</strong>vidui, <strong>di</strong> partecipare ad un grande evento collettivo: in fondo, la <strong>di</strong>chiarazione<br />

<strong>di</strong> guerra costituisce “il perseguimento <strong>di</strong> uno scopo” che rende “coerente<br />

e uni<strong>di</strong>rezionale” la vita (25).<br />

G. Rochat ha giustamente osservato che l’analisi dei volumi <strong>di</strong> E.J. Leed,<br />

“Terra <strong>di</strong> nessuno”, e <strong>di</strong> P. Fussell, “La grande guerra e la memoria moderna”, ha<br />

per protagonisti giovani <strong>di</strong> buona estrazione sociale, partiti come volontari o,<br />

comunque, certi della necessità del conflitto (26). Bisogna considerare, dunque, la<br />

“parzialità” <strong>di</strong> questi contributi, che non possono descrivere, come <strong>di</strong>ce Leed, il<br />

“modo in cui la guerra mutò gli uomini che vi presero parte”, estendendo un<br />

simile giu<strong>di</strong>zio alla totalità degli uomini impegnati nel conflitto (27).<br />

Anche nel caso delle lettere dal fronte raccolte da Meletti, le riflessioni che si<br />

possono fare riguardano l’esperienza <strong>di</strong> un ristretto gruppo sociale che prova<br />

sicuramente il <strong>di</strong>sagio e la pesantezza della situazione, ma è profondamente con-<br />

23 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 45 (31), pp. 170-171.<br />

24 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 42 (28), pp. 135-136 e ms 43 (29), p. 41.<br />

25 - cfr. LEED, op. cit., pp. 68 e 75.<br />

26 - G. ROCHAT, La grande guerra negli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Fussell e Leed, in “Rivista <strong>di</strong> storia contemporanea”<br />

fasc. 2 aprile 1987, p. 295.<br />

27 - cfr. LEED, op. cit., p.6 e ROCHAT, op. cit., p. 295.


Cartolina crevalcorese commemorativa<br />

Saluti da <strong>Crevalcore</strong>: Cartolina crevalcorese del periodo <strong>di</strong> guerra<br />

85


86<br />

vinto della vali<strong>di</strong>tà del proprio contributo alla lotta, come Cinto Cirri (uno dei<br />

figli <strong>di</strong> Pietro), che nel 1916 scrive dall’Albania:<br />

“sebbene lontano dalla Patria, il morale è altissimo e sono sicuro <strong>di</strong> conservarlo fino alla<br />

fine (...)”;<br />

o come il sottotenente Gino Forni: “Anche in questo nuovo fronte internazionale<br />

mi trovo bene e conservo immutata fede nei destini della Patria, della<br />

nostra Italia che qui ha acquistato la dovuta considerazione mostrando la propria<br />

forza e la propria vigorosa vitalità” (28).<br />

La vita al fronte, il combattimento danno un senso all’esistenza <strong>di</strong> questi<br />

soldati <strong>di</strong> estrazione borghese attraverso il recupero <strong>di</strong> valori tra<strong>di</strong>zionali, primo<br />

fra gli altri il patriottismo, che li accompagneranno anche a conflitto terminato.<br />

Nonostante il fatto che la realtà abbia mostrato loro quanto, invece, il conflitto<br />

sia privo <strong>di</strong> senso e fonte <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione, il “mito” della guerra come evento<br />

rigeneratore<br />

“fu fatto proprio e utilizzato in continuazione negli anni Venti da chiunque, per qualsiasi<br />

ragione, non fosse <strong>di</strong>sposto ad accettare il fatto <strong>di</strong> essere stato strumentalizzato, sfruttato, mutilato,<br />

e sacrificato in guerra senza alcun fine nazionale o personale” (29).<br />

Una sorta <strong>di</strong> “razionalizzazione”, quin<strong>di</strong>, necessaria per affrontare le delusioni<br />

del dopoguerra, quando si apre la “questione dei reduci”. Molti fra <strong>di</strong> loro<br />

sono orgogliosi <strong>di</strong> avere fatto il proprio dovere per la patria e proprio per questo<br />

chiederanno <strong>di</strong> essere ricompensati dei sacrifici fatti.<br />

28 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 43 (29) pp. 154 e 148.<br />

29 - cfr. LEED, op. cit., p. 193.


87<br />

Schede


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La Rotonda: Nicola Bertuzzi, Nascita della Vergine


PAOLO CASSOLI<br />

La Nascita della Vergine<br />

Pala d’altare della Rotonda<br />

Alcuni anni fa, per il volume <strong>Crevalcore</strong>: percorsi storici, redassi una scheda sui<br />

<strong>di</strong>pinti della Rotonda nella quale non ebbi la possibilità <strong>di</strong> inserire, per le limitazioni<br />

imposte al numero e al tipo delle immagini, i confronti visivi che sarebbero stati<br />

utili a dare più adeguata sostanza all’analisi <strong>di</strong> questo interessantissimo <strong>di</strong>pinto. Mi<br />

propongo ora <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>are a quella mancanza, certo che il <strong>di</strong>pinto della Nascita<br />

della Vergine potrà così essere meglio capito e apprezzato.<br />

I <strong>di</strong>pinti della Rotonda costituiscono un gruppo fortemente unitario non<br />

solo perché appartengono tutti ad un’unica mano, ma anche perché costituiscono<br />

un ciclo decorativo e iconografico pensato e progettato espressamente per quel<br />

luogo e per quegli spazi.<br />

Sono otto tele <strong>di</strong> cui una soltanto, appunto la Nascita della Vergine, <strong>di</strong> forma<br />

rettangolare, le altre sette <strong>di</strong> forma ovale e <strong>di</strong> piccola <strong>di</strong>mensione.<br />

Cinque <strong>di</strong>pinti (Oltre alla Nascita la Presentazione al tempio (o Purificazione), l’Annunciazione,<br />

l’Immacolata Concezione e l’Assunzione) rappresentano i principali momenti<br />

della liturgia mariana, gli altri tre raffigurano i Santi Martino, Francesco d’Assisi,<br />

Francesco <strong>di</strong> Paola e Luigi Gonzaga che adorano il Sacro Cuore.<br />

L’autore del ciclo è Nicola Bertuzzi, pittore nativo <strong>di</strong> Ancona (circa 1710)<br />

che, trasferitosi a Bologna in giovane età, si è formato alla scuola del Bigari dopo<br />

aver vinto, nel 1734, il primo premio nel corso <strong>di</strong> pittura dell’Accademia Clementina.<br />

Della stessa Accademia Bertuzzi, nel 1774, quasi al termine della propria feconda<br />

carriera (sarebbe morto infatti il 2 gennaio del 1777), sarà anche eletto presidente.<br />

Le notizie biografiche su <strong>di</strong> lui sono piuttosto scarse; tra queste meritano un<br />

cenno quelle che ci fornisce il Tognetti, segretario della Pontificia Accademia <strong>di</strong><br />

Belle Arti dal 1823 al 1845, forse non desunte soltanto dagli Atti dell’Accademia<br />

Clementina, ma verosimilmente anche dai ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> qualche persona dell’ambiente<br />

che poteva averlo conosciuto una cinquantina d’anni prima. Il Tognetti<br />

riferisce infatti che Bertuzzi “… fu valente figurista per feracità d’invenzione e per<br />

colorito elegante. Velocissimo nell’operare, onde moltiplicò i lavori a migliaia.<br />

Rare volte usciva dalla sua stanza, dove stava continuamente solitario dallo spuntar<br />

del giorno fino all’imbrunire affatto della sera, e questa fu forse la cagione <strong>di</strong><br />

fiera ipocondria che se gli leggeva sul volto. Era <strong>di</strong> naturale biliosissimo e mal si<br />

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90<br />

poteva tenere da contrattempi che gli rendeano poco onore e questa fu la cagione<br />

che perdè molte amicizie che gli erano state e gli poteano essere <strong>di</strong> vantaggio. Per<br />

altro per le rare volte che trovavasi allegro, faceva e <strong>di</strong>ceva cose da far credere che<br />

fosse il più ilare uomo del mondo.” 1<br />

La “feracità <strong>di</strong> invenzione” e la velocità nell’operare <strong>di</strong>pendevano anche dal<br />

fatto che il Bertuzzi sfruttasse volentieri moduli compositivi già sperimentati declinandoli<br />

in base alle <strong>di</strong>fferenti esigenze. È ad esempio il caso dell’angelo nella<br />

parte superiore destra della Nascita della Vergine del tutto simile all’angelo della<br />

Cacciata <strong>di</strong> Adamo ed Eva dal para<strong>di</strong>so terrestre realizzato a carboncino e gessetto<br />

su carta azzurra <strong>di</strong> proprietà dell’Accademia Clementina. Il <strong>di</strong>segno è firmato<br />

“Nicola Bertuzzi Anconitano 1734 I. Classe”. Si tratta quin<strong>di</strong> del <strong>di</strong>segno che<br />

guadagnò al ventiquattrenne pittore il premio accademico. In esso il braccio destro<br />

dell’angelo non è piegato verso il petto come nella Nascita della Vergine e la<br />

mano bran<strong>di</strong>sce la torcia fiammeggiante che minaccia i due progenitori. Altra<br />

notevole <strong>di</strong>fferenza si nota nella gamba sinistra, quasi parallela al piano prospettico<br />

nel <strong>di</strong>segno della Clementina e orientato obliquamente nel <strong>di</strong>pinto. Resta il fatto<br />

che il Bertuzzi riutilizza nel <strong>di</strong>pinto della Rotonda, a ben 34 anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza,<br />

questo modello giovanile la cui origine prima, a ben vedere, potrebbe essere<br />

l’angelo dell’Immacolata che si trova nella chiesa Bolognese <strong>di</strong> S. Eugenio Papa,<br />

del suo maestro Vittorio Bigari. 2<br />

Ma esiste un altro <strong>di</strong>pinto che ha rapporti ancora più stretti con la Nascita<br />

della Vergine della Rotonda: si tratta <strong>di</strong> un quadro <strong>di</strong> identico soggetto già in collezione<br />

Molinari Pradelli, ora nelle raccolte d’arte della Fondazione Cassa <strong>di</strong> Risparmio<br />

in Bologna. Esso venne eseguito per la villa Sampiera dei marchesi Boschi a<br />

Barbiano e risale al 1764, come <strong>di</strong>mostra una ricevuta autografa pubblicata da G.<br />

Zucchini. 3<br />

Questa tela, <strong>di</strong> poco precedente il <strong>di</strong>pinto della Rotonda, ne anticipa l’invenzione<br />

compositiva nel gruppo principale dei personaggi: la servetta, la balia che<br />

tiene in braccio Maria bambina, la figura femminile adorante accanto a loro ed<br />

anche la sant’Anna giacente nel letto in secondo piano che però nella pala d’altare<br />

della Rotonda è quasi come ribaltata in controparte. L’effetto d’insieme è tuttavia<br />

1 Citato in: Guido Zucchini, Il pittore Nicola Bertuzzi detto L’Anconitano, 1710-1777, Urbino 1955,<br />

pag. 6-7.<br />

2 L’oratorio fu solennemente benedetto l’8 ottobre 1768 dal Vicario Generale dell’Abate <strong>di</strong><br />

Nonantola Baccarini, come risulta da Meletti, <strong>Crevalcore</strong>…, Parte IV, vol. II, sec. XVIII E<strong>di</strong>fici, p.<br />

181; mss 20B della Biblioteca comunale <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>. La posa della prima pietra della Rotonda<br />

risale al 4 ottobre 1764 (Meletti, ivi) Le tele del Bertuzzi debbono perciò essere datate 1767-68.<br />

3 G. Zucchini, Paesaggi e rovine nella pittura bolognese del Settecento, Bologna 1947, p. 35; si veda una<br />

scheda del <strong>di</strong>pinto in: La Raccolta Molinari Pradelli. Dipinti del Sei e Settecento, Firenze 1984, cat. della<br />

mostra Bologna, Palazzo del Podestà 26 maggio-29 agosto1984, p. 110


<strong>di</strong>versissimo, dato che il quadro della Sampiera ha uno sviluppo orizzontale e i<br />

personaggi vi sono <strong>di</strong>sposti lungo linee oblique <strong>di</strong>scendenti, mentre quello della<br />

Rotonda ha uno sviluppo verticale e la composizione un andamento piramidale<br />

o forse sarebbe meglio <strong>di</strong>re spiraliforme ascendente, ciò che meglio si attaglia alla<br />

flessuosità neomanieristica <strong>di</strong> queste aggraziate figurette.<br />

Secondo Renato Roli il quadro già in villa Sampiera è <strong>di</strong>pinto “con una verve<br />

degna <strong>di</strong> un veneziano, vicinissima ai mo<strong>di</strong> del Nogari”. 4 Il riferimento più pertinente<br />

per la “propensione veneteggiante” 5 del Bertuzzi è Vincenzo Monti, come<br />

ha <strong>di</strong>mostrato Ugo Ruggeri in un suo articolo intitolato per l’appunto Nicola<br />

Bertuzzi ‘Falso veneziano’ . 6 Occorre tener conto che il Monti si era già trasferito<br />

definitivamente a Brescia nel 1738 e che perciò la sua influenza sul Bertuzzi risale<br />

agli anni della formazione del pittore. Bertuzzi però astrae da quella magniloquenza<br />

ancora presente nel Monti alla ricerca <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>atezza e schiettezza; è così che le<br />

sue figurette in atteggiamenti umili, tratte dal quoti<strong>di</strong>ano e rese con velocità stenografica,<br />

sono parse espressione <strong>di</strong> una certa vena caricaturale del pittore, che meglio<br />

forse si vede nelle altre tele della Rotonda, poiché la pala d’altare, per la sua<br />

con<strong>di</strong>zione privilegiata, è più aderente a un ductus pittorico <strong>di</strong> impreziosito<br />

calligrafismo. In questo <strong>di</strong>pinto si avvicina alla pittura veneta più per il tentativo <strong>di</strong><br />

ottenere la morbida e polverosa levità del pastello che quella grassa succosità <strong>di</strong><br />

cui parla il Ruggeri. 7<br />

Di notevole suggestione sono alcuni riman<strong>di</strong> che riflettono la scena della<br />

Natività all’interno dell’oratorio: la predella sulla quale si trovano i personaggi in<br />

primo piano è in tutto simile alla predella reale dell’altare e lo spazio pittorico<br />

viene suggerito come spazio curvo a imitazione dell’ambiente reale.<br />

Le figure <strong>di</strong>pinte risultano così trasferite nello spazio vero come per un<br />

gioco <strong>di</strong> specchi, mentre un altro gioco <strong>di</strong> specchi, allusivamente e sottilmente<br />

ambiguo, a livello dei significati, fa sì che la Madonna, simbolo stesso della maternità,<br />

rifletta, prefigurandola, l’immagine della nascita del figlio.<br />

In questo gioco, composto <strong>di</strong> sorridente armonia, nella grazia che permea<br />

le misurate figurette e nella flessuosità neomanieristica della linea che le muove sta<br />

la poetica del Bertuzzi, pittore non <strong>di</strong> primaria grandezza, ma senz’altro uno dei<br />

più interessanti rappresentanti del rococò bolognese alla vigilia della stagione<br />

neoclassica.<br />

4 Renato Roli, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignani ai Gandolfi, Bologna 1977, p. 124<br />

5 La definizione è ancora <strong>di</strong> Renato Roli, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignani ai Gandolfi, Bologna<br />

1977, p. 125<br />

6 Ugo Ruggeri Nicola Bertuzzi ‘Falso Veneziano’, in: Musei Ferraresi, bollettino annuale n. 12,<br />

1982, pp. 115-130.<br />

7 Ugo Ruggeri, Nicola Bertuzzi ‘Falso Veneziano’, cit.<br />

91


92<br />

In alto a sinistra: Accademia Clementina,<br />

<strong>di</strong>segno a carboncino e gessetto<br />

su carta azzurra firmato “Nicola Bertuzzi<br />

Anconitano 1734 I. Classe.<br />

In alto a destra: Vittorio Bigari, Immacolata<br />

Concezione, particolare dell’angelo.<br />

Bologna, Sant’Eugenio Papa.<br />

A lato: particolare dell’angelo della pala<br />

della Rotonda<br />

La foto della pala d’altare è opera <strong>di</strong><br />

Luciano Calzolari e proviene dall’archivio<br />

dell’Accademia In<strong>di</strong>fferenti Risoluti,<br />

la cui attività <strong>di</strong> conservazione è<br />

preziosa per tutti coloro che si occupano<br />

della storia e del patrimonio artistico<br />

crevalcorese e alla quale vanno i nostri<br />

ringraziamenti.


In alto Fondazione Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna; Nicola Bertuzzi, Nascita della Vergine, 1764,<br />

proveniente da villa Sampiera.<br />

In basso: il gruppo centrale nella Nascita della Vergine della Rotonda.<br />

93


94<br />

Il passaggio dei Francesi; sullo sfondo la chiesa dei Poveri, la rocca e la Porta <strong>di</strong> Levante.<br />

Ricostruzione storica <strong>di</strong> R.Tommasini.


Correva l’anno...<br />

Cronaca <strong><strong>Crevalcore</strong>se</strong> per l’anno 1796<br />

a cura <strong>di</strong> Roberto Tommasini<br />

Fine Marzo 1796: come tutti gli anni durante la Settimana Santa, terminava la<br />

consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> far suonare la campana maggiore dopo l’una <strong>di</strong> notte. Ra<strong>di</strong><br />

rintocchi che avevano lo scopo <strong>di</strong> guidare nel buio, verso il castello, i viandanti in<br />

transito per le valli paludose.<br />

Si trattava <strong>di</strong> un’usanza antichissima che cominciava il primo novembre, nel<br />

giorno dei Santi. A suonare la campana per quel servizio e sempre pronto a segnalare<br />

ogni tipo <strong>di</strong> pericolo, era un incaricato dal <strong>Comune</strong>, che trascorreva le notti in<br />

una cella del Campanile; da tutti era chiamato il “Campanaro della Notte”.<br />

Proprio in quei giorni, il 26 Marzo, Napoleone Bonaparte, <strong>di</strong>ventato generale<br />

da poche settimane, assumeva il comando dell’armata francese in Italia. Un’armata<br />

<strong>di</strong> 38.000 uomini, inesperti, male equipaggiati, mal pagati, che fu trasformata<br />

in breve in un’irresistibile macchina da guerra in grado <strong>di</strong> travolgere ovunque le<br />

<strong>di</strong>fese Austro Piemontesi.<br />

A metà Aprile Nizza e Savoia <strong>di</strong>ventavano Francesi. A metà maggio gli<br />

Austriaci erano costretti ad abbandonare Milano.<br />

Il duca <strong>di</strong> Parma, terrorizzato, si affrettava a comprare l’armistizio per due<br />

milioni <strong>di</strong> lire, 1.700 capi <strong>di</strong> bestie da soma e da tiro, 10.000 quintali <strong>di</strong> frumento,<br />

2.000 buoi e 20 quadri <strong>di</strong> rinomati autori.<br />

Nulla <strong>di</strong> quanto avveniva <strong>di</strong> là dai propri terrapieni sembrava turbare la vita<br />

del piccolo mondo <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, con il tempo scan<strong>di</strong>to dall’alternarsi delle <strong>di</strong>verse<br />

processioni e la vita animata dalle liti sugli organisti.<br />

Così Don Gaetano Paltrinieri descriverà, anni dopo, il Paese in quegli anni:<br />

“<strong>Crevalcore</strong> era selciato in veruna contrada né aveva case imbiancate, né pulite,<br />

né adorne come ora; ma era pieno <strong>di</strong> fango e <strong>di</strong> gramigna come una campagna<br />

e forse peggio”.<br />

Il testo si basa prevalentemente sulle notizie riportate nei manoscritti :<br />

-Lorenzo Meletti<br />

-Gaetano Paltrinieri<br />

-Don Angelo Frabetti (che comprende la trascrizione completa della Storia <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> <strong>di</strong> Gaetano<br />

Atti) nelle pagine relative al 1796 e all’epoca precedente all’arrivo dei Francesi.<br />

95


96<br />

(fig. 1) Confraternita religiosa in processione: ricostruzione storica <strong>di</strong> R.Tommasini.


Erano circa tremila le persone che componevano in quei giorni la Comunità<br />

<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, retta allora dal Sig. Giuseppe Cremonini Moroni che aveva sostituito<br />

Andrea Lamberti, console eletto per il 1° semestre e che, però, era morto il 5<br />

aprile.<br />

La lite per gli organisti, Francia o Traeri, aveva creato un clima <strong>di</strong> tensione in<br />

Paese e per questo avevano abbandonato la Parrocchia uno dopo l’altro i Prevosti<br />

Don Gavioli e Don Ansaloni.<br />

Il 7 Maggio, la notizia della fuga del Duca <strong>di</strong> Modena e la presenza dei<br />

Francesi ai confini cominciarono a destare allarme.<br />

Così, mentre Ercole III lasciava Modena per Venezia e delegava il Marchese<br />

Rangoni a trattare l’armistizio con i Francesi (costato poi <strong>di</strong>eci milioni <strong>di</strong> tornesi e<br />

qualche decina dei migliori quadri del Duca), il Senato Bolognese decideva col<br />

consenso del Car<strong>di</strong>nale Legato Vincenzi Mareri <strong>di</strong> Rieti, <strong>di</strong> chiedere a Roma o<br />

istruzioni o libertà d’agire<br />

Anche il Consiglio <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, in attesa <strong>di</strong> <strong>di</strong>sposizioni, cominciava a<br />

darsi da fare e il 9 Maggio or<strong>di</strong>nava una delle poche cose in suo potere, ovvero,<br />

una solenne funzione religiosa.<br />

Le funzioni erano momenti caratterizzanti e importanti nella vita crevalcorese<br />

e per la loro riuscita lavoravano ben sette Confraternite religiose <strong>di</strong> antica istituzione.<br />

(fig.1)<br />

Don Carlo Ansaloni, un prevosto crevalcorese <strong>di</strong>ventato poi Vicario Generale<br />

<strong>di</strong> Nonantola, soleva <strong>di</strong>re che nella sola Roma aveva vedute delle processioni<br />

“più magnifiche” <strong>di</strong> quelle che si vedevano a <strong>Crevalcore</strong>.<br />

Al fine <strong>di</strong> affrontare degnamente la minaccia francese furono fatte le cose in<br />

grande e l’invito a partecipare fu esteso ai frati d’Abrenunzio e ai preti delle parrocchie<br />

vicine; la funzione si tenne il 12 Maggio, giorno in cui il Senato Bolognese<br />

inviava a Parma l’avvocato Pistorini Proconsultore e i Senatori Malvasia e Caprara<br />

per aprire un confronto con i Francesi.<br />

Nulla trapelava della consultazione ufficiale, ma il Senato Bolognese cominciava<br />

a pubblicare e<strong>di</strong>tti che proibivano al contado <strong>di</strong> suonare le campane a martello;<br />

se nel territorio fosse entrato qualche <strong>di</strong>staccamento francese, s’invitava a<br />

rispettarlo e a trattarlo amichevolmente (21 Maggio).<br />

Si proibiva, poi, a chiunque <strong>di</strong> far scommesse in relazione alle contingenze<br />

della guerra, ingiungendo <strong>di</strong> non mancare <strong>di</strong> rispetto ai governi delle potenze<br />

belligeranti ed alle loro armate ed obbligando, inoltre, ogni bottegaio a tener<br />

esposto l’or<strong>di</strong>ne nei rispettivi esercizi (23 Maggio).<br />

Un paio <strong>di</strong> settimane trascorsero senza che azioni o parole facessero chiarezza<br />

sulle intenzioni francesi. Solo il 15 Giugno giunse dal Senato <strong>di</strong> Bologna,<br />

in<strong>di</strong>rizzato al Console della Comunità, un plico <strong>di</strong> stampe, ma la consegna era <strong>di</strong><br />

aprirlo il giorno 19.<br />

97


98<br />

Se le informazioni provenienti dal Governo non chiarivano granché, notizie<br />

poco rassicuranti giungevano dalle zone occupate dai Francesi. In particolare il 17<br />

Giugno, verso l’Ave Maria, un espresso inviato da don Domenico Cremonini<br />

Moroni, prevosto a Camurana vicino a Mirandola, informava suo fratello Giuseppe,<br />

console <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, che i Francesi stavano costruendo un ponte sul<br />

Panaro e che il mattino seguente sarebbero entrati in territorio Pontificio. La voce<br />

si sparse velocemente nel Castello creando allarme, spavento ed incredulità.<br />

Il tempo delle preoccupazioni fu però breve. Infatti, la mattina seguente,<br />

verso le ore 6 (sabato 18 Giugno), entravano in Paese per la Porta <strong>di</strong> Ponente tre<br />

Ussari a cavallo, i quali, fattisi condurre alla presenza del Console, lo informarono<br />

dell’imminente arrivo <strong>di</strong> un contingente armato per il quale or<strong>di</strong>narono al primo<br />

citta<strong>di</strong>no settemila razioni <strong>di</strong> viveri.<br />

Ferrati i cavalli e date in<strong>di</strong>cazioni al maniscalco Tioli <strong>di</strong> preparare molti altri<br />

ferri per i cavalieri in arrivo, i tre proseguirono in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Bologna.<br />

Fu aperto il plico <strong>di</strong> stampe ricevuto il 15. Si trattava <strong>di</strong> avvisi da appendere<br />

alle porte del Castello. In essi s’informava la citta<strong>di</strong>nanza del passaggio delle truppe<br />

francesi per il Paese e si chiedeva “<strong>di</strong> accamparli e <strong>di</strong> non far loro alcuna<br />

resistenza, anzi accoglierli amorosamente e somministrargli alloggio e cibarie“.<br />

I tempi dell’invasione erano quin<strong>di</strong> già stati concordati fra Senato Bolognese<br />

e Comando Francese da almeno tre giorni.<br />

Altri proclami del Governo Bolognese informavano quello stesso giorno<br />

che i Francesi stavano per arrivare, avvertendo che essi «...non attentavano alla<br />

proprietà, alla religione...» e che pertanto verso i soldati francesi era necessario<br />

usare una certa deferenza. Alle 8 circa, ecco spuntare l’avanguar<strong>di</strong>a francese, seguita<br />

a breve dal grosso delle truppe: in parte fanteria, in parte cavalleria.<br />

La conquista del primo castello dello Stato Pontificio venne celebrata in<br />

modo adeguato. Gli ufficiali schierarono le truppe (circa 12.000 uomini) davanti<br />

a Porta Modena; quin<strong>di</strong>, accompagnati dal suono <strong>di</strong> tre bande musicali, entrarono<br />

trionfalmente in paese: l’arco <strong>di</strong> Porta Modena aveva sicuramente ispirato “la<br />

grandeur” dei comandanti.<br />

Tutta la fanteria passò per la via principale del castello, andandosi poi ad<br />

accampare nelle campagne circostanti, a fianco della via per Bologna, dalle fosse<br />

fino a Santa Sofia, lungo la via <strong>di</strong> Mezzo e le strade che portavano alla Guisa; la<br />

strada per Sant’Agata era completamente occupata e non era possibile transitare<br />

per il Crociale del Bisentolo.<br />

La cavalleria, invece, oltrepassò il Paese all’esterno dalla parte <strong>di</strong> Mezzogiorno.<br />

(fig.2)<br />

Le vie del paese e le campagne circostanti si colorarono delle tinte vivaci<br />

delle <strong>di</strong>vise militari. Il generale Augerau, comandante della colonna, prese alloggio<br />

in casa del Ceneri (il palazzo attualmente sede della banca Unicre<strong>di</strong>t); un altro


(fig. 2) Il passaggio della cavalleria francese a sud del Paese: ricostruzione storica <strong>di</strong><br />

R.Tommasini.<br />

generale fu ospitato dall’arciprete Don Rinaldo Tomasini; un terzo alloggiò nella<br />

casa <strong>di</strong> Camillo Orsi. Gli ufficiali si sistemarono nelle case del Castello, mentre un<br />

migliaio <strong>di</strong> uomini si accamparono sotto i portici.<br />

Imme<strong>di</strong>atamente furono poste sentinelle a guar<strong>di</strong>a del forno della Ba<strong>di</strong>a e a<br />

quello pubblico, affinché entrambi rimanessero esclusivamente a <strong>di</strong>sposizione delle<br />

truppe.<br />

Le musiche continuarono anche nelle ore successive ad echeggiare per le vie<br />

del paese; sotto le finestre della casa dove era alloggiato il generale Augerau, nella<br />

via maestra del castello, le bande militari allietavano il proprio comandate con il<br />

loro miglior repertorio.<br />

Verso mezzogiorno tutta la cavalleria si radunò in castello per prendere il fieno<br />

dai venti carri che, su or<strong>di</strong>ne della Comunità, erano stati affannosamente preparati.<br />

Anche i fanti cominciarono a far spese per il castello, pagando tutto regolarmente,<br />

e nulla fu danneggiato se non le coltivazioni presenti nei terreni dove<br />

erano sorti gli accampamenti.<br />

L’armamento dei militari era composto da semplici fucili: solo quattro cannoni<br />

furono visti mentre venivano caricati su carri al Ponte della Ca’ Rossa.<br />

La Comunità, fin dal mattino, aveva inviato un messo a Bologna per informare<br />

il Senato <strong>di</strong> quanto stava accadendo. Con una riunione d’urgenza i Senatori<br />

99


100<br />

presero i provve<strong>di</strong>menti del caso, affidando fra l’altro il controllo della nostra<br />

zona al Senatore Carlo Caprara, al quale toccò ben presto una spinosa questione.<br />

Dal grosso delle truppe provenienti da Camposanto, all’altezza dei Ronchi,<br />

si staccarono sei fanti, curiosi <strong>di</strong> visitare il Convento <strong>di</strong> Abrenunzio, del quale era<br />

allora guar<strong>di</strong>ano il padre Guarino da S. Giovanni.<br />

Dopo essersi ben rifocillati a spese dei religiosi, i bravi guerrieri, armi alla<br />

mano, chiesero denaro ai frati che, spaventati, si <strong>di</strong>edero alla fuga. Scontento <strong>di</strong><br />

andarsene a mani vuote, uno dei militari entrò allora in chiesa e, sfondato il tabernacolo,<br />

s’impadronì <strong>di</strong> due pissi<strong>di</strong> e <strong>di</strong> un ostensorio. I frati corsero allora dal<br />

Senatore Caprara, il quale non tardò ad informare a sua volta dell’accaduto il generale<br />

Augerau. Senatore e generale si recarono sul posto per le verifiche del caso cui<br />

seguirono, per or<strong>di</strong>ne del generale, ricerche negli accampamenti <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, dove<br />

il colpevole, trovato ancora in possesso della refurtiva, fu arrestato.<br />

Il calare del sole offriva ai <strong>Crevalcore</strong>si altre viste insolite: dalle campagne<br />

illuminate dai fuochi dei bivacchi a quaranta “carrettoni” stracolmi <strong>di</strong> farina e<br />

pagnotte che, con il vino inviato dalla Comunità e la carne <strong>di</strong> 30 buoi forniti da<br />

<strong>di</strong>versi conta<strong>di</strong>ni, dovevano costituire il vitto dei militari.<br />

Nelle stesse ore arrivava a Bologna l’avanguar<strong>di</strong>a francese il cui comandante,<br />

a nome <strong>di</strong> Napoleone Bonaparte, informava il gonfaloniere marchese Filippo<br />

Ercolani del prossimo arrivo delle truppe, richiedendo per esse i viveri necessari.<br />

L’esigenza <strong>di</strong> consolidare l’occupazione <strong>di</strong> Bologna fece mo<strong>di</strong>ficare i piani<br />

del contingente <strong>di</strong> stanza a <strong>Crevalcore</strong>, che, contrariamente a quanto annunciato,<br />

anticipò <strong>di</strong> circa do<strong>di</strong>ci ore la partenza per la città, infatti le truppe partirono<br />

verso la mezzanotte. L’or<strong>di</strong>ne fu improvviso e parte del vitto preparato venne<br />

lasciato sul posto.<br />

Passando il Ravone venne eseguita la sentenza <strong>di</strong> morte nei confronti <strong>di</strong><br />

alcuni militari francesi, fra i quali il soldato reo del furto sacrilego commesso nella<br />

Chiesa <strong>di</strong> Abrenunzio. Ai pie<strong>di</strong> del fucilato furono posti i sacri arre<strong>di</strong> da lui rubati.<br />

La colonna entrò in città per la porta S. Felice con musica militare e ban<strong>di</strong>ere<br />

spiegate.<br />

Domenica 19 Giugno <strong>Crevalcore</strong> fu presi<strong>di</strong>ata fino a sera da una cinquantina<br />

<strong>di</strong> uomini armati arrivati alla mattina con un “carrettone”.<br />

Cadeva in quello stesso giorno e senza opporre resistenza la fortezza <strong>di</strong><br />

Forte Urbano a Castelfranco che veniva rapidamente svuotata <strong>di</strong> uomini (in parte<br />

imprigionati) e <strong>di</strong> armi <strong>di</strong> ogni calibro che prendevano la via <strong>di</strong> Mantova.<br />

Poco dopo la mezzanotte Bonaparte arrivava a Bologna e dopo aver gentilmente<br />

invitato il Car<strong>di</strong>nal Legato Vicenzi a partire per Roma, dandogli tre ore<br />

<strong>di</strong> tempo, accoglieva rispettosamente il vecchio Senato nella Sala Farnese, promettendo<br />

che Bologna sarebbe <strong>di</strong>ventata Repubblica.<br />

Proseguiva lunedì 20 Giugno il passaggio per <strong>Crevalcore</strong> dei reparti france-


101<br />

si che provenivano in maggioranza dal conquistato Forte Urbano.<br />

L’assistenza ai militari era a carico della nostra Comunità. Sempre nello stesso<br />

giorno avvenne una gran requisizione <strong>di</strong> cavalli; i più belli furono scelti ed<br />

inviati a Bologna. La stima degli animali requisiti fu fatta da due professori bolognesi:<br />

le spese, in questo caso, furono a carico del Senato Bolognese.<br />

Martedì 22 Giugno, mentre anche Ferrara passava sotto controllo francese<br />

con una rapi<strong>di</strong>tà degna delle manovre del generale Bonaparte, i Commissari<br />

napoleonici presentavano ai Bolognesi il conto della pacifica invasione.<br />

I quadri migliori delle chiese Bolognesi, che già stavano prendendo la via <strong>di</strong><br />

Parigi, non erano che un piccolo anticipo delle richieste che ammontavano a circa<br />

quattro milioni <strong>di</strong> lire, due dei quali in verghe d’argento e d’oro e due in “generi”,<br />

ossia beni <strong>di</strong> varia natura. Del conto non faceva parte quanto già prelevato dalle<br />

casse pubbliche e dai Monti a titolo <strong>di</strong> conquista. Subito il Governo Bolognese si<br />

<strong>di</strong>ede da fare per reperire i fon<strong>di</strong> necessari. Argento venne chiesto alle chiese <strong>di</strong><br />

città e campagna. Con un e<strong>di</strong>tto pubblicato il 25 Giugno si invitavano i citta<strong>di</strong>ni<br />

facoltosi a consegnare oro, argento e contanti: il <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Bologna si impegnava<br />

a riconoscere questi cre<strong>di</strong>ti col frutto annuo del cinque per cento. Anche le<br />

nostre chiese vennero ovviamente coinvolte nella contribuzione e così le compagnie<br />

religiose.<br />

Quella del SS.mo inviò Gio. Filippo Golinelli a Bologna con 510 once <strong>di</strong><br />

argenteria, per la quale fu segnato un cre<strong>di</strong>to <strong>di</strong> lire 2.550, moneta plateale <strong>di</strong><br />

Bologna. Erano in gran parte gli argenti donati da Pellegrino Albertini. La Compagnia<br />

dei Battuti inviava invece il Camerlengo Roberto Lamberti e l’Assunto<br />

Stanislao Ferranti. Le sue argenterie, un intero servizio da altare, ammontavano a<br />

ben 121 libbre e mezzo. Arrivavano al peso <strong>di</strong> 122 once le argenterie inviate a<br />

Bologna dalla Compagnia del Rosario che sacrificava alla causa anche un bellissimo<br />

turibolo.<br />

Alla Compagnia dei Poveri fu segnato un cre<strong>di</strong>to <strong>di</strong> lire 766 e sol<strong>di</strong> cinque,<br />

valutando l’argento a norma <strong>di</strong> lire 5 l’oncia, come il Senato aveva stabilito. Non<br />

sfuggirono alla contribuzione le chiese delle campagne: molti oggetti furono asportati<br />

dall’oratorio dei Ronchi, fra cui 14 candelieri d’argento, mentre da Galeazza<br />

furono ceduti oggetti per un valore <strong>di</strong> 782 lire.<br />

Un buon numero <strong>di</strong> oggetti che costituivano il patrimonio storico e artistico<br />

<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> prendevano la strada <strong>di</strong> Bologna dove, in una fonderia approntata<br />

nella Canonica <strong>di</strong> San Salvatore, venivano fusi assieme a quelli degli altri paesi del<br />

bolognese e trasformati in tante verghe d’argento, necessarie a finanziare la guerra<br />

del Generale Bonaparte.<br />

Giovedì 23 Giugno Pio IV, nel tentativo <strong>di</strong> limitare i danni allo Stato della<br />

Chiesa, chiedeva una tregua ai Francesi che prontamente e generosamente accettavano<br />

in cambio <strong>di</strong> una ventina <strong>di</strong> milioni, la possibilità <strong>di</strong> scegliere nel patrimo-


102<br />

nio artistico del Vaticano cento quadri, cento busti, cento manoscritti, ospitalità<br />

garantita nei porti dello Stato Pontificio, chiusura dei porti ai nemici della Francia,<br />

ed anche Bologna (e provincia), Ferrara e la fortezza <strong>di</strong> Ancona.<br />

Il 26 Giugno tutti i Consoli e Massari del Contado vennero chiamati a prestare<br />

giuramento al nuovo Governo Democratico Repubblicano.<br />

Il 30 Giugno il Console eletto per il secondo semestre, Lorenzo Bartolucci,<br />

i Comunisti Gio Filippo Golinelli e il Capitano Giuseppe Menarini si recarono a<br />

Bologna per giurare fedeltà al Senato Bolognese, che già aveva giurato fedeltà alla<br />

Repubblica Francese. Do<strong>di</strong>ci giorni soltanto erano passati dall’arrivo dei Francesi<br />

a <strong>Crevalcore</strong>.<br />

Se il governo cambiava, restavano invece i problemi. La nuova Municipalità<br />

si trovava costretta a contrarre un mutuo per pagare le spese sostenute dal<br />

giorno dell’occupazione e per far fronte a quelle future, dal momento che il<br />

passaggio <strong>di</strong> truppe continuava. I nostri amministratori contavano sul rimborso<br />

<strong>di</strong> tali spese.<br />

Il 5 Luglio arrivava a <strong>Crevalcore</strong> il nuovo prevosto: Don Andrea Borelli.<br />

A rendere più <strong>di</strong>fficile la vita nella ex Legazione <strong>di</strong> Bologna, arrivò una<br />

grave epidemia fra il bestiame. Iniziò a <strong>di</strong>ffondersi il 12 Luglio e a <strong>Crevalcore</strong> i<br />

primi casi si manifestarono il 24. Tutte le fiere furono proibite, compresa quella<br />

crevalcorese <strong>di</strong> luglio. Successivamente furono aboliti anche tutti i mercati e alla<br />

fine le per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> bestiame ammontarono a 18.000 capi.<br />

Cominciava inoltre ad aumentare in maniera preoccupante la delinquenza:<br />

una notificazione del 15 Luglio ricompensava con cinque scu<strong>di</strong> la collaborazione<br />

utile all’arresto <strong>di</strong> malviventi.<br />

Dalla Giunta delle Contribuzioni arrivarono, il primo <strong>di</strong> Agosto, or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong><br />

pagamento per 1.500 lire da effettuarsi entro tre giorni in contanti o in metalli<br />

preziosi. I Municipalisti si <strong>di</strong>chiaravano impossibilitati a sod<strong>di</strong>sfare la richiesta a<br />

causa delle spese già sostenute a favore delle truppe <strong>di</strong> passaggio. Inoltre, la recente<br />

notizia relativa all’entrata in Italia <strong>di</strong> un nuovo contingente austriaco <strong>di</strong><br />

sessantamila uomini consigliava sicuramente <strong>di</strong> non affrettare i pagamenti agli<br />

occupanti francesi. In tutta l’Italia si riaccendevano le speranze dei partiti avversi ai<br />

Francesi: il Papa sospendeva i pagamenti concordati nell’armistizio e avviava il<br />

potenziamento dell’esercito; il Re <strong>di</strong> Napoli rafforzava i confini. In vari territori<br />

occupati dai Francesi erano scoppiati tumulti.<br />

L’impresa austriaca ebbe però vita breve. Napoleone, contando sull’effetto<br />

sorpresa e abbandonando a Mantova gli armamenti pesanti, piombò (prima che<br />

si potessero ricongiungere) sui tre corpi che formavano l’esercito nemico, sbaragliandoli<br />

uno dopo l’altro a Montechiaro, a Lonato il 3 Agosto e a Castiglione<br />

delle Stiviere due giorni dopo. Gli Austriaci si ritirarono in fretta, lasciando <strong>di</strong>etro<br />

<strong>di</strong> sé 20.000 uomini.


(fig. 3) L’albero della Libertà: ricostruzione storica <strong>di</strong> R.Tommasini.<br />

103<br />

Il Senato Bolognese decise che quello era il momento <strong>di</strong> ricostituire una<br />

propria forza armata e informò il nostro Consiglio che avrebbe dovuto fornire<br />

a tal scopo tre <strong>Crevalcore</strong>si. Non furono trovati volontari. Fra tutti i maschi dai<br />

18 ai 40 anni (ammogliati e capifamiglia esclusi) vennero così sorteggiati i citta<strong>di</strong>ni<br />

Francesco Albertini, Giovanni <strong>di</strong> Luca Paltrinieri e Vincenzo <strong>di</strong> Francesco Monari<br />

che l’11 Agosto si presentavano per l’arruolamento al convento dei Padri<br />

dell’Annunziata. Il corpo che si costituì venne chiamato “dei Riga<strong>di</strong>ni”.<br />

Le nuove idee <strong>di</strong> Libertà ed Uguaglianza, lo spirito repubblicano cominciavano<br />

a far presa fra la nostra popolazione e il 29 Agosto alcuni <strong>Crevalcore</strong>si<br />

decisero <strong>di</strong> mostrare la loro adesione al nuovo corso piantando un albero nel<br />

mezzo della Piazza in segno <strong>di</strong> Libertà ed Eguaglianza.<br />

Così Frabetti descrive quell’avvenimento: “andarono all’Oratorio <strong>di</strong> San<br />

Bernar<strong>di</strong>no vicino al Castello quasi un miglio <strong>di</strong>etro la via del Papa e presero un<br />

pioppo <strong>di</strong> quelli che stanno d’intorno e si rotolò fino entro il Castello, lo piazza-


104<br />

rono nella pubblica piazza passeggiando d’intorno ad esso schiamazzando e gridando<br />

“Viva la Repubblica, Viva la Libertà “ forzando anche altri a fare lo stesso;<br />

in<strong>di</strong> apersero un Quartiere arruolando i paesani a far la guar<strong>di</strong>a della Civica giorno<br />

e notte. Quell’albero vi restò fino alla primavera dell’anno 1797” (fig. 3).<br />

Il 5 Settembre arrivò a <strong>Crevalcore</strong> un Commissario Francese per visitare<br />

tutti i palazzi ed il convento <strong>di</strong> Abrenunzio: solo qualche tempo dopo si sarebbe<br />

capito il perché.<br />

Settembre riconfermava la superiorità dell’armata francese su quella austriaca,<br />

nuovamente sconfitta a Bassano, costretta a <strong>di</strong>vidersi e a ripiegare parte nel<br />

Tirolo, parte nel Friuli. Il Comandante austriaco, Wurnser, riuscì a stento a rifugiarsi<br />

in Mantova, subito asse<strong>di</strong>ata dai Francesi.<br />

A tutti gli insorti vennero imposte nuove contribuzioni: il Re <strong>di</strong> Napoli fu<br />

costretto a comprare la pace per otto milioni <strong>di</strong> franchi.<br />

A Bologna il 14 Settembre iniziava la rimozione degli stemmi Pontifici ed in<br />

quella stessa sera fu piantato l’albero della Libertà, al quale furono costretti <strong>di</strong><br />

guar<strong>di</strong>a nobili e cavalieri.<br />

Intanto a <strong>Crevalcore</strong>, grazie agli uffici del nuovo Prevosto, trovava soluzione<br />

in questo mese la lunga lite degli organisti che aveva spaccato in due il paese. La<br />

fazione che sosteneva il Traeri si era definita dei “Ghibellini”, quella a favore del<br />

Francia dei “Guelfi”. Una scrittura privata metteva d’accordo le Compagnie del<br />

Santissimo e del Rosario, il Prevosto e il <strong>Comune</strong>, ma ormai degli organisti non<br />

importava più niente a nessuno.<br />

Anche l’orologio doveva adeguarsi ai tempi nuovi e, a partire dalla fine <strong>di</strong><br />

Settembre, fu regolato alla «francese»: la campana continuava però a suonare<br />

l’Ave Maria, il Mezzogiorno e l’Ora <strong>di</strong> Notte o Coprifuoco.<br />

Sabato 29 Settembre, “un’ora avanti giorno”, una gran<strong>di</strong>ssima scossa <strong>di</strong><br />

terremoto venne ad accrescere le preoccupazioni.<br />

Il 6 Ottobre i Modenesi filo-francesi si ribellavano al Duca e, grazie all’appoggio<br />

<strong>di</strong> duemila militari napoleonici, sbaragliavano la debole resistenza dei<br />

soldati estensi, rimasti a presi<strong>di</strong>are il ducato dopo la fuga <strong>di</strong> Ercole III. Allora gli<br />

alberi della libertà spuntarono come funghi in tutto il Ducato <strong>di</strong> Modena, che<br />

passava sotto il controllo francese.<br />

Un<strong>di</strong>ci giorni dopo veniva costituita la Confederazione Cispadana che comprendeva<br />

le città e province <strong>di</strong> Bologna, Modena, Ferrara e Reggio Emilia, Bologna<br />

ne era capitale.<br />

Continuava il passaggio <strong>di</strong> truppe a <strong>Crevalcore</strong>: 300 guastatori provenienti<br />

da Bologna venivano alloggiati il 29 Giugno nella Chiesa <strong>di</strong> S.M. dei Poveri.<br />

Frabetti li descrive: “erano armati <strong>di</strong> ba<strong>di</strong>li, mannaie e picconi ed erano tutti della<br />

plebaglia e malviventi e bericchini bolognesi oziosi dei capelli”. Alla loro partenza<br />

fu notato che erano stati asportati dalla Chiesa una piccola statua ed altri oggetti.


105<br />

Il Senato, informato del fatto, chiedeva alla Comunità <strong>di</strong> far sapere al popolo,<br />

a tutela della tranquillità pubblica, che <strong>di</strong>sapprovava l’accaduto.<br />

Il primo Novembre, il nostro Consiglio inviava Felice Rossi e Giovanni<br />

Paolo Dossali al comizio per l’elezione <strong>di</strong> 45 can<strong>di</strong>dati al Senato Cispadano. Fra<br />

gli eletti vi fu Dossali che assunse il titolo <strong>di</strong> Senatore il 7 Novembre.<br />

Il 5 Novembre fu pubblicata una Costituzione con la quale venivano aboliti<br />

i titoli nobiliari e si or<strong>di</strong>nava la <strong>di</strong>struzione delle armi gentilizie. I vari titoli nobiliari<br />

erano sostituiti da quello <strong>di</strong> “citta<strong>di</strong>no” e tutti furono obbligati a portare la coccarda<br />

francese o nazionale <strong>di</strong> colore bianco, rosso e verde.<br />

Il 14 Novembre la Comunità, rimborsata dalla Giunta delle Contribuzioni,<br />

restituiva a Pasquale Golinelli lire 5.000 avute in prestito fin da Luglio allo scopo<br />

<strong>di</strong> sostenere le truppe <strong>di</strong> passaggio. Continuavano, invece, le richieste <strong>di</strong> contributi<br />

alle confraternite, costrette a versare somme in contanti. Così per esempio i Battuti<br />

furono “quotati” per lire 700 e per 750 la Compagnia del Rosario.<br />

L’Austria, con un esercito al comando del maresciallo Allvintzy, ritentava <strong>di</strong><br />

contrastare l’espansione francese, ma l’esito fu ancora negativo. Dopo qualche<br />

successo fu battuta il 15, il 16 e il 17 Novembre in quella battaglia <strong>di</strong> giganti che<br />

prese il nome dal villaggio <strong>di</strong> Arcole.<br />

La sera del 4 Dicembre in San Petronio a Bologna fu accettata la Costituzione.<br />

La sera stessa e nel pomeriggio del giorno seguente, furono eletti i 36 deputati<br />

che dovevano recarsi a Reggio per il congresso costitutivo della Repubblica<br />

Cispadana.<br />

Nel suddetto comizio gli elettori erano complessivamente 484. <strong>Crevalcore</strong><br />

era rappresentato da: Pigozzi Dott. Orazio <strong>di</strong> Vincenzo, Orsoni Luigi, Rossi<br />

Leopoldo, Malaguti Luca, Golinelli Gio Filippo ( il mandato è datato 31 Maggio<br />

1797).<br />

Il Congresso <strong>di</strong> Reggio proclamava il 30 <strong>di</strong>cembre la Costituzione della<br />

Repubblica Cispadana.<br />

I reggitori della nostra Comunità <strong>di</strong>ventavano Municipalisti; <strong>Crevalcore</strong> veniva<br />

incluso nel Dipartimento dell’Alta Padusa con capoluogo Cento, <strong>di</strong>venuto<br />

sede della Vice Prefettura.<br />

L’anno che aveva contato per la Parrocchia <strong>di</strong> San Silvestro 210 battezzati,<br />

56 matrimoni e166 morti si chiudeva e con esso chiudeva l’epoca delle processioni<br />

(seconde solo a quelle romane), delle Compagnie Religiose, dei privilegi del<br />

forno dell’Abbazia, del Campanaro della Notte.<br />

Niente sarebbe più stato come prima: il modo <strong>di</strong> pensare, <strong>di</strong> misurare, <strong>di</strong><br />

pesare, <strong>di</strong> segnare il tempo... il giorno seguente, infatti, sarebbe stato il 12 Nevoso,<br />

anno IV.<br />

Si ringraziano per la collaborazione Magda Abbati e Marcello Ansaloni


106<br />

Recensione<br />

Le <strong>di</strong>more dei Signori<br />

Alla fine dello scorso anno ha visto la luce un sontuoso volume scritto a due<br />

mani da Pierangelo Pancal<strong>di</strong> e Alberto Tampellini dal titolo: Le <strong>di</strong>more dei Signori.<br />

Il volume è stto curato, per le e<strong>di</strong>zioni Marefosca da Floriano Govoni.<br />

L’opera illustra ventidue ville signorili presenti nei comuni <strong>di</strong> Anzola<br />

dell’Emilia, Calderara <strong>di</strong> Reno, <strong>Crevalcore</strong>, Sala Bolognese, Sant’Agata Bolognese,<br />

San Giovanni in Persiceto, che costituiscono l’associazione “Terre d’acqua” e<br />

sono legati da vicende comuni e morfologia territoriale simile.<br />

Lo scopo <strong>di</strong>chiarato del volume non è quello <strong>di</strong> fare un censimento esaustivo<br />

delle residenze nobiliari <strong>di</strong> questo territorio, ma <strong>di</strong> fornirne un campione significativo.<br />

Tale <strong>di</strong>chiarata limitazione offre, da un lato, il vantaggio <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso ben<br />

documentato su ciascuno dei ventidue complessi architettonici, come si vede<br />

dalla bibliografia a chiusura <strong>di</strong> ogni trattazione, dall’altro la possibilità <strong>di</strong> inserire in<br />

una grafica elegante, un apparato illustrativo straor<strong>di</strong>nario per ricchezza e qualità.<br />

Le foto <strong>di</strong> Floriano Govoni e Alberto Tampellini non sono infatti soltanto<br />

un corredo del testo, maq sono eloquenti quanto gli stessi testi nel descrivere<br />

l’eleganza del vivere e l’impronta nell’organizzazione del territorio <strong>di</strong> cui la nobiltà<br />

bolognese seppe dar prova tra il XVI e il XVIII secolo, quando investì nelle<br />

campagne ingentissimi patrimoni spesso provenienti dalle attività mercantili del<br />

periodo precedente.<br />

Si tratta del processo in genere definito “rifeudalizzazione”, parallelo alla<br />

per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> competività dell’economia della penisola che si ebbe alla fine del me<strong>di</strong>oevo<br />

e che, se anche viene interpretato in maniera negativa dagli storici, ha però<br />

il merito <strong>di</strong> essere stato il più notevole fattore propulsivo <strong>di</strong> sistemazione delle<br />

campagne dopo la centuriazione romana.


107<br />

Le ville nobiliari <strong>di</strong> tale processo si può <strong>di</strong>re che rappresentarono il fulcro e<br />

il motore.<br />

Ciò che è accaduto negli ultimi cento anni è invece una storia <strong>di</strong> decadenza:<br />

i nuovi assetti agricoli e poderali provocarono una “defunzionalizzazione” delle<br />

ville signorili che in molti casi vennero riusate come magazzini e depositi <strong>di</strong> derrate<br />

agricole.<br />

Le quattro residenze nobiliari poste nel territorio <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> che gli autori<br />

prendono in considerazione, ovvero il Castello <strong>di</strong> Palata, il Castello dei Ronchi, il<br />

Castello <strong>di</strong> Galeazza e il Palazzo Bevilacqua, costituiscono, sotto questo aspetto,<br />

un campionario istruttivo. Due infatti subirono questa sorte (i Ronchi e Bevilacqua)<br />

mentre Galeazza nel 1870 fu ceduta ai Falzoni Gallerani che costruirono a ridosso<br />

degli e<strong>di</strong>fici preesistenti una sorta <strong>di</strong> quinta scenografica con molti elementi arbitrari<br />

(ciò che ne fa una sorta <strong>di</strong> castello “<strong>di</strong>sneyano”) e il castello <strong>di</strong> Palata nello<br />

stesso periodo fu ceduto dai Pepoli ai principi Torlonia che lo utilizzarono come<br />

residenza estiva.<br />

Dopo l’ultima guerra Galeazza fu utilizzata per raccogliervi sfollati con l’inevitabile<br />

conseguenza <strong>di</strong> deturpamenti e per<strong>di</strong>ta degli arre<strong>di</strong> e Palata non subì una<br />

sorte migliore: dopo la ven<strong>di</strong>ta da parte dei Torlonia tutto l’arredamento e i<br />

<strong>di</strong>pinti fu <strong>di</strong>sperso e l’e<strong>di</strong>ficio, ridotto ad un contenitore vuoto, subì <strong>di</strong>versi passaggi<br />

<strong>di</strong> mano senza che nessuno potesse trovargli una destinazione qualsiasi e si<br />

occupasse <strong>di</strong> farvi le più in<strong>di</strong>spensabili opere <strong>di</strong> manutenzione. Il risultato è sotto<br />

gli occhi <strong>di</strong> tutti: il tetto <strong>di</strong> un’intera ala è crollato e non si sa chi potrà avere la<br />

volontà e le risorse per evitare che l’intero palazzo, uno dei migliori esempi <strong>di</strong><br />

architettura villereccia del XVI secolo in Italia, crolli e si perda per sempre. Le<br />

foto del libro evitano accuratamente <strong>di</strong> mostrare lo scempio. Come i ritratti un<br />

po’ sfocati <strong>di</strong>ssimulano le rughe e i guasti del tempo <strong>di</strong> quelle donne che furono<br />

belle in gioventù, esse ci mostrano il palazzo ancora ammantato dell’aura della sua<br />

stagione più gloriosa. Con un sapiente uso degli scorci e dei punti <strong>di</strong> ripresa la<br />

mastodontica mole si staglia ancora torreggiante sull’azzurro del cielo. Per quanto<br />

tempo ancora?<br />

L’augurio è che questo bel libro, che nonostante una tiratura <strong>di</strong> 1500 copie e un<br />

prezzo <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> 45 Euro (ma dobbiamo riconoscere che ampiamente li<br />

vale) è esaurito in brevissimo tempo, tanto che da più parti se ne chiede una ristampa,<br />

non solo contribuisca alla conoscenza del nostro patrimonio e della<br />

nostra storia (obiettivo che <strong>di</strong>amo per scontato), ma ci induca a intervenire perché<br />

questo patrimonio non vada <strong>di</strong>sperso. (P. C.)


108<br />

EVENTI & FIERE<br />

Venerdì 1 Luglio<br />

Galeazza<br />

FESTA ANNUALE DEL BEATO<br />

FERDINANDO MARIA BACCILIERI<br />

a cura della Congregazione Suore Serve<br />

<strong>di</strong> Maria <strong>di</strong> Galeazza<br />

Sabato 2 Luglio<br />

<strong>Crevalcore</strong><br />

EMPORIO IN PIAZZA<br />

a cura della dell’Amministrazione<br />

Comunael, della Pro Loco e dei Commercianti<br />

<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />

Domenica 3 Luglio ore 15.30- 20.00<br />

Villa Ronchi<br />

DOLCE FAR NIENTE<br />

Pomeriggi al fresco nel parco <strong>di</strong> Villa<br />

Ronchi<br />

a cura dall’Associazione “I Sempar in<br />

Baraca” <strong>di</strong> Bolognina<br />

Venerdì 8 Luglio ore 21<br />

<strong>Crevalcore</strong> Biblioteca comunale<br />

RASSEGNA STORICA<br />

CREVALCORESE<br />

Presentazione del primo numero della<br />

rivista <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> storici<br />

dell’Istituzione Paolo Borsellino<br />

8 – 24 Luglio<br />

Bevilacqua<br />

SAGRA DEL TORTELLONE E FESTA<br />

DI S.GIACOMO<br />

a cura della Polisportiva Bevilacquese<br />

e del Gruppo Ricreatorio<br />

SERESERENE 2005<br />

PROGRAMMA ESTIVO<br />

Sabato 9 Luglio<br />

Verona - Trasferta all’Arena per<br />

LA BOHEME<br />

in collaborazione con Froggy Travel<br />

14 - 18 Luglio<br />

<strong>Crevalcore</strong><br />

FIERA DEL CARMINE<br />

a cura dell’Amministrazione Comunale<br />

e della Pro Loco <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />

15 - 31 Luglio<br />

Galeazza<br />

SAGRA DEL PESCE DI MARE<br />

a cura della Polisportiva <strong>di</strong> Galeazza<br />

Venerdì 29 Luglio<br />

Verona - Trasferta all’Arena per<br />

NABUCCO<br />

in collaborazione con Froggy Travel<br />

Giovedì 18 Agosto<br />

Verona - Trasferta all’Arena per<br />

AIDA<br />

in collaborazione con Froggy Travel<br />

Domenica 4 Settembre<br />

<strong>Crevalcore</strong><br />

FIERONE DI SETTEMBRE<br />

A cura dell’Amministrazione Comunale,<br />

della Pro Loco, delle Associazioni <strong>di</strong><br />

Volontariato del territorio e dei Commercianti<br />

<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />

9 – 18 Settembre<br />

Bevilacqua<br />

SAGRA DEI PRIMI PIATTI<br />

a cura della Polisportiva Bevilacquese,<br />

del Gruppo Ricreatorio e Bevilacqua For<br />

Fun


Sabato 10 Settembre ore 16-24<br />

<strong>Crevalcore</strong> – Parco Armando Sarti<br />

Sonica 2005 presenta<br />

SCREAMBLOODYGORE OPEN AIR<br />

a cura dell’associazione Voice of the Soul<br />

16 - 18 Settembre<br />

Villa Ronchi<br />

FIERA DI BOLOGNINA<br />

a cura dell’Associazione I Sempar in<br />

Baraca con il patrocinio del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>Crevalcore</strong><br />

16 – 18 Settembre<br />

Villa Ronchi – primo piano<br />

LA FAVOLOSA VILLA RONCHI<br />

Dal Passato al Presente<br />

esposizione <strong>di</strong> arte e artigianato artistico<br />

crevalcorese<br />

inaugurazione venerdì 16 ore 18<br />

Sabato 2 Luglio ore 21.30<br />

QUANDO SEI NATO NON PUOI PIU’<br />

NASCONDERTI <strong>di</strong> Marco Tullio<br />

Giordana<br />

Domenica 3 Luglio ore 21.30<br />

I COLORI DELL’ANIMA – MODIGLIANI<br />

<strong>di</strong> Mick Davis<br />

Martedì 5 Luglio ore 21.30<br />

LA STELLA DI LAURA <strong>di</strong> P. De Rycker<br />

e T. Rothkirch<br />

Giovedì 7 Luglio ore 21.30<br />

LA CADUTA – GLI ULTIMI GIORNI DI<br />

HITLER <strong>di</strong> Oliver Hirschbiegel<br />

Sabato 9 Luglio ore 21.30<br />

THE AVIATOR <strong>di</strong> Martin Scorsese<br />

NUOVO CINEMA ITALIA<br />

Via Mattioli, 38<br />

109<br />

Sabato 17 Settembre<br />

<strong>Crevalcore</strong><br />

EMPORIO IN PIAZZA<br />

a cura della dell’Amministrazione Comunale,<br />

della Pro Loco e dei Commercianti<br />

<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />

23 – 25 Settembre<br />

Palata Pepoli<br />

FESTA DEL NOME DI MARIA<br />

a cura del Comitato Feste e Sagre Paesane<br />

25 Settembre<br />

Bevilacqua<br />

RADUNO DI AUTO 500 E STORICHE<br />

a cura della Polisportiva Bevilacquese e<br />

Bevilacqua For Fun<br />

Domenica 10 Luglio ore 21.30<br />

CONSTANTINE <strong>di</strong> Francis Lawrence<br />

Martedì 12 Luglio ore 21.30<br />

NEVERLAND – Un sogno per la vita <strong>di</strong><br />

Marc Forster<br />

Mercoledì 13 Luglio ore 21.30<br />

HOTEL RWANDA <strong>di</strong> Terry George<br />

Martedì 19 Luglio ore 21.30<br />

ALLA LUCE DEL SOLE <strong>di</strong> Roberto<br />

Faenza<br />

Mercoledì 20 Luglio ore 21.30<br />

STAR WARS <strong>di</strong> George Lucas<br />

Giovedì 21 Luglio ore 21.30<br />

SIDEWAYS <strong>di</strong> Alexander Payne


110<br />

Sabato 23 Luglio ore 21.30<br />

MILLION DOLLAR BABY<strong>di</strong> Clint<br />

Eastwood<br />

Domenica 24 Luglio ore 21.30<br />

LA FEBBRE <strong>di</strong> Alessandro D’Alatri<br />

Martedì 26 Luglio ore 21.30<br />

IN GOOD COMPANY <strong>di</strong> Paul Weitz<br />

Mercoledì 27 Luglio ore 21.30<br />

THE GRUDGE <strong>di</strong> Takashi Shimizu<br />

Venerdì 1 Luglio ore 21<br />

Caselle – Cortile Scuola Materna<br />

Il Cabaret <strong>di</strong> Antonio Guidetti presenta<br />

MO GUERDA TE<br />

Giovedì 14 Luglio ore 21<br />

<strong>Crevalcore</strong> - Largo Q. Gherman<strong>di</strong> presso<br />

Casa Protetta “S. Pertini”<br />

La Compagnia I Burattini <strong>di</strong> Riccardo<br />

presenta<br />

LE AVVENTURE DI SGANAPINO<br />

Giovedì 21 Luglio ore 21<br />

Bevilacqua – Campo Sportivo<br />

La Compagnia Il Pavaglione presenta<br />

IL FALSO PRINCIPE<br />

Giovedì 25 Agosto ore 20.30<br />

Caselle – Cortile Scuola Materna<br />

La Compagnia Il Pavaglione presenta<br />

FARSE DELLA TRADIZIONE<br />

Giovedì 1 Settembre ore 20.30<br />

Bevilacqua – Campo Sportivo<br />

La Compagnia Dialettale Mirabellese<br />

Giovedì 28 Luglio ore 21.30<br />

IL MERCANTE DI VENEZIA <strong>di</strong> Michael<br />

Radford<br />

Sabato 30 Luglio ore 21.30<br />

STAGE BEAUTY <strong>di</strong> Richard Eyre<br />

Domenica 31 Luglio ore 21.30<br />

L’UOMO PERFETTO <strong>di</strong> Luca Lucini<br />

La programmazione del Nuovo Cinema Italia proseguirà fino al 25 agosto nelle<br />

giornate <strong>di</strong> martedì, giovedì, sabato e domenica. Il programma, comprensivo delle<br />

novità cinematografiche estive, sarà in <strong>di</strong>stribuzione a partire dal 15 luglio.<br />

DIALETTANDO<br />

presenta<br />

CLA BRAGONA AD MIE MUIER<br />

Giovedì 8 Settembre ore 20.30<br />

Palata Pepoli – Cortile Scuola Elementare<br />

Gruppo Dialettale Bolognese presenta<br />

NUOVE STORIE DI QUATAR CIACAR<br />

IN FAMEJA<br />

Giovedì 15 Settembre ore 20.30<br />

Galeazza – Teatro Congregazione Suore<br />

Serve <strong>di</strong> Maria<br />

La Compagnia I Burattini <strong>di</strong> Menozzi<br />

presenta<br />

L’ULTIMA DISGRAZIA DI FAGIOLINO<br />

Domenica 18 Settembre ore 16.00<br />

Cortile Villa Ronchi<br />

La Compagnia I Burattini <strong>di</strong> Alessandro<br />

presenta<br />

LE AVVENTURE DI FAGIOLINO<br />

nell’ambito della Fiera <strong>di</strong> Bolognina a<br />

cura dell’Associazione I Sempar in<br />

Baraca


INFORMAZIONI<br />

EVENTI & FIERE<br />

Istituzione dei servizi culturali Paolo Borsellino<br />

Via Persicetana, 226 <strong>Crevalcore</strong> - tel. 051 6800834;<br />

cultura@comune.crevalcore.bo.it<br />

Pro Loco tel.051 988458; Ufficio Commercio tel. 051 988409<br />

c/o <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> via Matteotti 191<br />

Per gli eventi curati dall’Associazione “ I Sempar in Baraca “ <strong>di</strong> Bolognina consultare<br />

il sito www.isemparinbaraca.it<br />

Per le trasferte all’Arena <strong>di</strong> Verona: Froggy Travel tel. 051 6800595<br />

NUOVO CINEMA ITALIA<br />

La programmazione del Nuovo Cinema Italia è a cura <strong>di</strong> Union Comunicazione,<br />

con il contributo <strong>di</strong> Coop Adriatica e del CIICAI, la collaborazione dell’Istituzione<br />

Paolo Borsellino e il patrocinio della Provincia <strong>di</strong> Bologna e della Regione Emilia<br />

Romagna<br />

Biglietteria: Interi E. 5,00 Ridotti E. 4,50 ( Agis, Soci Coop, Militari, Carta Istituzione,<br />

Carta Giovani, Tessera Pro Loco) Ridotti E. 3,50 (Bambini e Anziani)<br />

INFO: Union 0545/281860; union@unioncom.com<br />

La programmazione cinematografica è suscettibile <strong>di</strong> variazioni per cause in<strong>di</strong>pendenti<br />

dalla volontà degli organizzatori.<br />

DIALETTANDO<br />

INFO: Istituzione dei servizi culturali Paolo Borsellino<br />

Via Persicetana, 226 a <strong>Crevalcore</strong> tel. 051 68 03581<br />

prosa@comune.crevalcore.bo.it<br />

111<br />

tutte le serate <strong>di</strong> Dialettando sono ad ingresso gratuito<br />

I caso <strong>di</strong> maltempo gli spettacoli programmati a Caselle, Bevilacqua e Ronchi si terranno<br />

in locali coperti a<strong>di</strong>acenti. Per i restanti appuntamenti le nuove date verranno<br />

tempestivamente comunicate<br />

Un ringraziamento particolare a:Istituto Comprensivo <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />

Parrocchia <strong>di</strong> Bevilacqua, Circolo ARCI <strong>di</strong> Caselle, Congregazione Suore Serve <strong>di</strong><br />

Maria <strong>di</strong> Galeazza


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