Rassegna Storica Crevalcorese - Comune di Crevalcore
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<strong>Rassegna</strong> storica crevalcorese<br />
è stata realizzata<br />
con il contributo della<br />
1
<strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />
<strong>Rassegna</strong> storica<br />
crevalcorese<br />
1<br />
giugno 2005<br />
❦<br />
Istituzione dei Servizi Culturali Paolo Borsellino<br />
3
4<br />
<strong>Rassegna</strong> storica crevalcorese<br />
Rivista dell’Istituzione dei Servizi Culturali Paolo Borsellino <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />
COMITATO DI REDAZIONE<br />
Magda Abbati, Massimo Balboni, Gabriele Boiani,<br />
Paolo Cassoli, Nicoletta Ferriani, Barbara Mattioli,<br />
Yuri Pozzetti, Carla Righi, Roberto Tommasini.<br />
Direttore resp.<br />
Paolo Cassoli<br />
Progetto Grafico<br />
Paolo Cassoli<br />
Informazioni e comunicazioni<br />
Istituzione dei Servizi Culturali Paolo Borsellino<br />
Via Persicetana 226 - 40014 <strong>Crevalcore</strong> (Bo);<br />
tel. 051.981594, fax 051.6803580<br />
e mail: istituzione@comune.crevalcore.bo.it<br />
Primo numero, <strong>di</strong>stribuzione gratuita
SOMMARIO<br />
Una rivista per <strong>Crevalcore</strong> (la redazione) 7<br />
In questo numero 9<br />
STUDI E RICERCHE<br />
Barbara Mattioli<br />
Il ritorno dell’eroe popolaresco:<br />
Mattioli, Crespi e il Bertoldo del 1736 13<br />
Nicoletta Ferriani<br />
Gaetano Lo<strong>di</strong>: dalle decorazioni in Egitto<br />
alla Cooperativa <strong>di</strong> Imola 35<br />
Massimo Balboni<br />
Il territorio crevalcorese alla fine del Cinquecento.<br />
Comunità, nobili e ban<strong>di</strong>ti 55<br />
NOVECENTO<br />
Magda Abbati<br />
<strong>Crevalcore</strong> al fronte 79<br />
SCHEDE<br />
Paolo Cassoli<br />
La nascita della Vergine,<br />
pala d’altare della Rotonda 89<br />
CORREVA L’ANNO...<br />
Cronaca crevalcorese per l’anno 1796 95<br />
a cura <strong>di</strong> Roberto Tommasini<br />
RECENSIONE<br />
Le <strong>di</strong>more dei Signori (P. C.) 106<br />
NOTIZIE DELL’ISTITUZIONE<br />
Sereserene 2005 108<br />
5
Una “<strong>Rassegna</strong> storica”<br />
per <strong>Crevalcore</strong><br />
L’Istituzione dei servizi culturali Paolo Borsellino è nata il 14 giugno 2003<br />
allo scopo <strong>di</strong> gestire un patrimonio <strong>di</strong> strutture culturali <strong>di</strong> notevole rilevanza,<br />
costituito dall’ottocentesco Teatro comunale, con le decorazioni <strong>di</strong> Gaetano Lo<strong>di</strong>,<br />
dal complesso <strong>di</strong> Villa Ronchi in gran parte restaurato con i suoi affreschi del<br />
XVI secolo, dall’arena estiva del Nuovo Cinema Italia e dalla nuova e grande<br />
biblioteca comunale con le sale per bambini e ragazzi, l’emeroteca e la me<strong>di</strong>ateca,<br />
la sala stu<strong>di</strong>o e l’archivio storico, spazi culturali per la musica e le esposizioni.<br />
Essa è stata tenuta a battesimo da tre citta<strong>di</strong>ni onorari <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>: Rita<br />
Borsellino, sorella del giu<strong>di</strong>ce ucciso dalla mafia, don Enelio Franzoni già parroco<br />
<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> e cappellano dei militari italiani nella tragica campagna <strong>di</strong> Russia<br />
e Giuseppe Pederiali, lo scrittore che ha legato il suo nome al paesaggio della<br />
pianura emiliana e alla gente che vi abita.<br />
L’Istituzione ha il carattere <strong>di</strong> un ente “strumentale” del comune con la<br />
funzione <strong>di</strong> gestire in modo snello e non burocratico le strutture affidatele. È<br />
governata da un Consiglio <strong>di</strong> Amministrazione nominato dal Sindaco, che ha il<br />
compito <strong>di</strong> programmare e progettare le attività culturali della città, che un Direttore<br />
e il suo staff realizzano e gestiscono.<br />
Tali servizi e attività sono in<strong>di</strong>rizzati a <strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> utenza e <strong>di</strong> pubblico;<br />
dalle stagioni teatrali <strong>di</strong> prosa, al teatro <strong>di</strong>alettale e per ragazzi, alle rassegne<br />
musicali de<strong>di</strong>cate al jazz e alla musica corale, dalle attività <strong>di</strong> promozione della<br />
lettura per le scuole ai laboratori in ludoteca, dalle attività per i giovani presso<br />
l’Ex Melò, alle rassegne cinematografiche estive e alle mostre d’arte.<br />
Il nome cui l’Istituzione è intitolata sembra suggerire come dovere prioritario<br />
della cultura quello <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>re la memoria. Memoria che può assumere <strong>di</strong><br />
volta in volta <strong>di</strong>verse connotazioni: memoria “civile” <strong>di</strong> chi, come Paolo Borsellino,<br />
è caduto nel compiere il proprio dovere <strong>di</strong> servitore dello Stato, memoria<br />
“affettiva” del paesaggio della nostra pianura, memoria “storica” dei luoghi e<br />
delle cose in cui ci riconosciamo come comunità e che, avendo fatto parte del<br />
nostro passato, danno forma e sostanza al nostro presente.<br />
7
8<br />
Nel nome della memoria “storica”, “affettiva” e “civile” c’è chi è <strong>di</strong>sposto<br />
a mettersi in gioco: a <strong>Crevalcore</strong> negli anni scorsi si è costituito un gruppo <strong>di</strong><br />
ricerca che ha pubblicato, nel 2001, il volume <strong>Crevalcore</strong>: percorsi storici a cura <strong>di</strong><br />
Magda Abbati. Volume scritto a più mani (nove autori) e che con le sue quasi 500<br />
pagine ha rappresentato un rilevante impegno <strong>di</strong> natura e<strong>di</strong>toriale.<br />
Il gruppo si era ripromesso <strong>di</strong> rimanere attivo e <strong>di</strong> lavorare ad un altro<br />
volume, visto l’interesse con cui quell’opera era stata accolta e la mole <strong>di</strong> materiale<br />
che all’interno degli archivi o sul territorio poteva ancora essere oggetto <strong>di</strong> indagine.<br />
Restava da vedere quanti, nel gruppo, si sarebbero effettivamente resi <strong>di</strong>sponibili,<br />
sottraendo tempo ed energie agli impegni <strong>di</strong> lavoro, alle occupazioni<br />
quoti<strong>di</strong>ane.<br />
Questa rivista vuole essere una risposta.<br />
Di struttura molto più agile rispetto a un volume così “ponderoso”, ha una<br />
redazione costituita in parte da quel gruppo che potremmo definire “storico”, in<br />
parte da alcune giovanissime leve che, recentemente laureatesi con tesi <strong>di</strong> argomento<br />
storico-artistico crevalcorese, <strong>di</strong> grande interesse e competenza, possono<br />
a pieno titolo rafforzare il gruppo originario o sostituirsi a chi, pressato da altre<br />
contingenze, non può più offrire la propria <strong>di</strong>sponibilità.<br />
Ma una rivista è anche il segnale <strong>di</strong> una continuità <strong>di</strong> presenza, con le sue<br />
uscite perio<strong>di</strong>che (due numeri annuali), che un saggio, un volume, concluso in sé,<br />
non offre.<br />
Vogliamo tenere <strong>di</strong>ssodato il campo della memoria, quel campo in cui, in<br />
passato sono cresciuti solitari gli “alberi” <strong>di</strong> Atti e <strong>di</strong> Meletti e seminarvi le nostre<br />
pianticelle, perché forse non è più il tempo <strong>di</strong> queste fatiche artigianali solitarie,<br />
ma <strong>di</strong> un lavoro coor<strong>di</strong>nato e organizzato che intrapren<strong>di</strong>amo con la sensibilità e<br />
le attrezzature culturali e materiali <strong>di</strong> uomini d’oggi.<br />
La rivista consolida, in questo modo, la presenza e l’attività dell’Istituzione<br />
“Paolo Borsellino” cui mancava finora una pubblicazione che ne allargasse l’orizzonte<br />
oltre il campo dell’effimero e ne testimoniasse la vitalità proiettandola dall’hic<br />
et nunc al piano <strong>di</strong> una lunga durata; raccogliesse insomma il testimone <strong>di</strong> chi ci ha<br />
preceduto su questa strada per continuarne l’opera nel nuovo millennio.<br />
Il Presidente dell’Istituzione Lorena Beghelli e i consiglieri <strong>di</strong> amministrazione<br />
Paolo Cassoli e Gianni Guagliumi hanno prestato la loro opera e si adopereranno<br />
perché questi voti si realizzino pienamente.<br />
La redazione
In questo numero<br />
Questo primo numero <strong>di</strong> <strong>Rassegna</strong> storica crevalcorese si apre, nella sezione<br />
Stu<strong>di</strong> e ricerche, con due lavori che sono il frutto <strong>di</strong> ricerche per tesi <strong>di</strong> laurea: si<br />
tratta degli articoli <strong>di</strong> Barbara Mattioli e Nicoletta Ferriani.<br />
Barbara Mattioli ne Il ritorno dell’eroe popolaresco: Mattioli, Crespi e il Bertoldo del<br />
1736 confronta le incisioni <strong>di</strong> Lodovico Mattioli e quelle <strong>di</strong> Giuseppe Maria Crespi<br />
relative al personaggio creato da Giulio Cesare Croce e valorizza l’opera<br />
dell’incisore <strong>di</strong> origine crevalcorese finora ingiustamente considerato in prevalenza<br />
un esecutore <strong>di</strong> pensieri e <strong>di</strong>segni altrui.<br />
Nicoletta Ferriani, in Gaetano Lo<strong>di</strong>: dalle decorazioni in Egitto alla cooperativa <strong>di</strong><br />
Imola analizza l’attività <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong> nell’ottavo decennio del XIX secolo, dal poco noto<br />
capitolo delle decorazioni egiziane alle maioliche <strong>di</strong> stile “egizio” prodotte da<br />
Ginori fino alla <strong>di</strong>rezione artistica della Cooperativa ceramica <strong>di</strong> Imola.<br />
Le tesi erano state presentate nel foyer del Teatro comunale il 17 e il 24<br />
febbraio scorsi nell’ambito degli incontri denominati “Le stanze dell’arte a<br />
<strong>Crevalcore</strong>”, quattro incontri su arte, cultura e paesaggio suscitando tanto interesse<br />
ed apprezzamento.<br />
Segue un articolo <strong>di</strong> Massimo Balboni sui complicati intrecci tra nobiltà,<br />
potere politico e malavita (che prende la forma <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>tismo) nelle nostre terre<br />
alla fine del Cinquecento.<br />
Per la sezione Novecento Magda Abbati ci presenta alcune lettere dal fronte<br />
spe<strong>di</strong>te durante la Grande Guerra da citta<strong>di</strong>ni crevalcoresi combattenti, trai i quali<br />
il Sindaco Alessandro Mattioli, morto nel 1916 in un ospedale militare.<br />
La sezione Correva l’anno… ci presenta una cronaca dell’anno 1796 compila-<br />
9
10<br />
ta, integrando tra loro varie fonti, da Roberto Tommasini, autore anche delle<br />
pregevoli ricostruzioni grafiche del passaggio dell’esercito francese per la nostra<br />
terra.<br />
Infine Paolo Cassoli nella sezione Schede ci dà un’analisi della pala d’altare<br />
della Rotonda, opera <strong>di</strong> Nicola Bertuzzi.<br />
Chiude la rivista la programmazione delle attività estive organizzate dall’Istituzione<br />
“Paolo Borsellino”
11<br />
Stu<strong>di</strong> e Ricerche
BARBARA MATTIOLI<br />
Il ritorno dell’eroe popolaresco:<br />
Mattioli, Crespi e il Bertoldo del 1736<br />
Ludovico Mattioli fu uno dei più gran<strong>di</strong> incisori all’acquaforte che Bologna<br />
poté vantare nel XVIII secolo.<br />
Valente “intagliatore in rame” nacque alla Guisa <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> il 2 Gennaio<br />
del 1662 e si trasferì giovanissimo assieme alla famiglia a Bologna. Di<br />
questo grande incisore oggi si hanno <strong>di</strong>verse notizie; grazie ad importanti<br />
ricerche presso l’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Bologna, presso la Biblioteca<br />
dell’Archiginnasio e tramite continui confronti stilistici tra le incisioni <strong>di</strong> Mattioli<br />
e stampe <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi autori bolognesi e stranieri, ne abbiamo ricostruito la vita<br />
e il percorso incisorio raccogliendo e or<strong>di</strong>nando sistematicamente le sue innumerevoli<br />
stampe. Le antiche biografie del Mattioli ci consegnano l’immagine<br />
<strong>di</strong> un valente incisore, membro dell’Accademia Clementina <strong>di</strong> Bologna<br />
(il suo nome è tra i primi quaranta artisti fondatori dell’Accademia) grande<br />
amico e collaboratore del pittore bolognese Giuseppe Maria Crespi.<br />
Ludovico Mattioli stu<strong>di</strong>ò la tecnica all’acquaforte da auto<strong>di</strong>datta su stampe<br />
francesi, in particolare fu affascinato dalle incisioni <strong>di</strong> paesaggio del parigino<br />
Nicolas Perelle e venne fortemente influenzato dalle stampe nor<strong>di</strong>che<br />
che circolavano in Bologna già da molti anni. Eseguì molteplici incisioni <strong>di</strong><br />
soggetto religioso imparando la grande lezione sullo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> figura dalle<br />
stampe <strong>di</strong> artisti bolognesi del Seicento. Mattioli non ebbe mai né moglie né<br />
figli, vestì sempre da abate (pur non prendendo mai i voti) visse e insegnò<br />
calligrafia e <strong>di</strong>segno all’Orfanotrofio <strong>di</strong> San Bartolomeo <strong>di</strong> Reno a Bologna<br />
fino alla morte avvenuta nel 1747. Ancora oggi, all’interno <strong>di</strong> questo e<strong>di</strong>ficio,<br />
si conserva entro una cornice in stucco sulla parete dello scalone settecentesco<br />
un bellissimo paesaggio a olio su muro, unico esempio pittorico del<br />
nostro incisore.<br />
Per comprendere come nacque l’e<strong>di</strong>zione del Bertoldo del 1736 sarà<br />
interessante calarsi nell’atmosfera intellettuale che animava i protagonisti <strong>di</strong><br />
questa rie<strong>di</strong>zione del poema crociano “addentrandoci” nella bottega dello<br />
stampatore Lelio dalla Volpe.<br />
13
14<br />
Ma cosa era una stamperia a Bologna nei primi anni del Settecento? Il<br />
Settecento fu definito il secolo “ristoratore della tipografia”, in modo particolare<br />
<strong>di</strong> quella Italiana; trionfava in questo secolo il concetto che anche la<br />
stampa era un’arte e che doveva riuscire con i propri mezzi a raggiungere la<br />
bellezza. Da questo nuovo concetto nascono le caratteristiche fondamentali<br />
della stampa bolognese del Settecento: un nuovo <strong>di</strong>segno per i caratteri, <strong>di</strong>sposizione<br />
migliore delle righe e giustezze, nitore e semplicità 1 . Lo stesso<br />
Sant’Uffizio, che per tutto il Seicento aveva continuato nella sua ferrea azione,<br />
a poco a poco attenuò i suoi rigori; l’esame dei libri non passò più attraverso<br />
tanti tribunali, ma spesso si limitò all’approvazione dell’or<strong>di</strong>nario<br />
<strong>di</strong>ocesano. Come scrive Sorbelli in ‘Storia della stampa in Bologna’: “Dopo il<br />
primo quarto <strong>di</strong> secolo i concetti <strong>di</strong> riforma, <strong>di</strong> rinascita, <strong>di</strong> liberazione dal convenzionalismo<br />
spagnolo a dal freddo rigorismo <strong>di</strong> aspetti religiosi esterni, si vanno sempre più affermando,<br />
per cause e origini stazionali, e per l’influsso dell’enciclope<strong>di</strong>smo e dell’illuminismo; cosicché<br />
la via è spianata ad una libertà <strong>di</strong> stampa sufficiente ai nuovi orientamenti del pensiero” 2 .<br />
In anni propizi per un rinnovamento del concetto <strong>di</strong> stampa a Bologna,<br />
verso gli anni venti del Settecento, nacque un sodalizio importante tra il nostro<br />
incisore e il famoso e<strong>di</strong>tore bolognese Lelio della Volpe (attivo a Bologna<br />
nel periodo 1720-1749). Tra i due nacque subito una profonda amicizia;<br />
sappiamo infatti con certezza che Mattioli trascorse molte serate, tra amici e<br />
colleghi, nella bottega <strong>di</strong> Lelio dalla Volpe la quale aveva sede sotto il portico<br />
dei Pollaroli.<br />
In questa bottega, centralissima e in bella posizione, convenivano tutti i<br />
dotti del tempo; questi erano attratti da una parte dai libri e dalle stampe e<br />
dall’altra dal carisma dello stampatore: “..oltre ad essere cortese, arguto, garbato,<br />
possedeva una certa cultura ed era mezzo letterato egli stesso” 3 . Tramite Lelio della<br />
Volpe strinsero rapporti alcuni tra i più gran<strong>di</strong> personaggi della Bologna del<br />
Settecento; letterati e scienziati, nella sua bottega convenivano tutti i Riformatori<br />
della bella letteratura italiana (Dino Provenzal, 1900) è noto, infatti, che in<br />
quel tempo Bologna ebbe un singolare risveglio in ogni campo dell’arte,<br />
delle scienze e delle lettere.<br />
In una <strong>di</strong> quelle sere del 1730 nella quale si riunirono questi intellettuali<br />
nacque l’idea <strong>di</strong> una importante pubblicazione collettiva poetica; il rifacimento<br />
in ottave del “Bertoldo” <strong>di</strong> Giulio Cesare Croce.<br />
1 Sorbelli A., Storia della stampa in Bologna, Bologna 1929, p. 164<br />
2 Ibidem<br />
3 Sorbelli A., Storia della stampa in Bologna, Bologna 1929, p. 165
Ritratto <strong>di</strong> Lodovico Mattioli, da G. P. Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina <strong>di</strong> Bologna<br />
aggregata all’Instituto delle Scienze e dell’Arti, volume secondo, Bologna 1739, p. 20<br />
15
16<br />
È importante sottolineare ciò che afferma proprio Lelio della Volpe a<br />
riguardo, nella prefazione dell’e<strong>di</strong>zione del 1736, rivolgendosi al lettore: “Ti<br />
<strong>di</strong>co dunque che il pensier <strong>di</strong> ridurre questa opera in versi nacque nella mia bottega, una<br />
sera, tenendosi <strong>di</strong>scorso intorno alle belle stampe intagliate dall’egregio Mattioli con la<br />
invenzione, in ciò che è il principale soggetto, del celebre pittore Crespi detto lo Spagnolo (le<br />
quali posseggo) conciossiaché ci fu allora chi <strong>di</strong>sse che ottimamente esse starebbero in una<br />
lunga poesia <strong>di</strong>visa in canti, e che se ne farebbe uno bello, e buon libro”. 4<br />
Queste parole testimoniano come Mattioli avesse già iniziato ad incidere<br />
le venti stampe del Bertoldo, in controparte da quelle <strong>di</strong> Crespi, nel 1730.<br />
I rami delle acqueforti del Crespi illustranti le gesta <strong>di</strong> Bertoldo e Bertol<strong>di</strong>no<br />
(realizzate dopo il suo soggiorno in Toscana del 1710-12) erano infatti logori<br />
e sbia<strong>di</strong>ti e il Della Volpe decise <strong>di</strong> farli rinfrescare e ritoccare da Mattioli,<br />
con l’evidente consenso e incitamento del Crespi.<br />
È interessante notare che la visione della stampe <strong>di</strong> Mattioli, da parte<br />
degli amici e colleghi nella bottega del Della Volpe, suggerì a questi l’idea <strong>di</strong><br />
integrare i venti episo<strong>di</strong> illustrati con la narrazione (preferibilmente poetica),<br />
in modo che ogni tavola stesse a rappresentare un momento dell’azione. Da<br />
una raccolta <strong>di</strong> stampe veniva dunque un libro illustrato, e uno dei primi e<br />
più belli che si formasse <strong>di</strong> tal genere.<br />
Analizzeremo tra poco nello specifico l’e<strong>di</strong>zione del 1736 del Bertoldo<br />
<strong>di</strong> Mattioli per comprendere meglio cosa si intende per forma narrativa dell’immagine<br />
grafica.<br />
L’idea <strong>di</strong> comporre venti canti, uno per ogni immagine, piacque molto<br />
ai letterati, che con entusiasmo s’impegnarono a partecipare al lavoro componendo<br />
un canto per ciascuno; e dove i poeti bolognesi non fossero stati<br />
sufficienti, si incaricarono <strong>di</strong> trovare altri colleghi, <strong>di</strong> fuori, <strong>di</strong>sposti ad accettare<br />
il piacevole compito: “Lo slancio <strong>di</strong> questi poeti, che al momento sapevano ritornare<br />
i dotti e gravi scienziati, ci <strong>di</strong>mostra come la facile vena gioconda e ridanciana non<br />
venisse loro mai meno: modesti buontemponi; amici lieti che in passatempi così innocenti<br />
trovavano il riposo, la quiete e la contentezza del loro spirito ingenuamente gioviale e<br />
bonaccione.” 5<br />
La <strong>di</strong>visione della materia fu fatta da Lelio stesso e la <strong>di</strong>stribuzione dei<br />
canti fu da lui sorteggiata. Il poema doveva essere composto in breve tem-<br />
4 Bertoldo con Bertol<strong>di</strong>no e Cacasenno in ottava rima, con argomenti, allegorie e figure in rame, in-quarto<br />
fig. Bologna, per Lelio della Volpe, 1736.<br />
5 Ron<strong>di</strong>nini A, Appunti e Varietà. Lelio della Volpe e l’e<strong>di</strong>zione del ‘Bertoldo’, in l’Archiginnasio, XXIII,<br />
Bologna 1928, p. 203.
L. Mattioli, frontespizio del “Bertoldo con Bertol<strong>di</strong>no e Cacasenno”,<br />
Stampato da Lelio dalla Volpe, Bologna,1736, collezione privata.<br />
17
18<br />
po, ma come vedremo fu pubblicato solo quattro o cinque anni dopo, per<br />
<strong>di</strong>verse ragioni: la prima fu il <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o sorto tra l’e<strong>di</strong>tore e il socio Longhi, il<br />
quale riteneva che assumersi l’incarico <strong>di</strong> un tale lavoro significasse una spesa<br />
troppo gravosa e improduttiva; in secondo luogo, e questa è forse la ragione<br />
principale, dato che venti dovevano essere gli autori del poema, come era il<br />
numero dei canti, non era facile che fossero finiti da tutti contemporaneamente.<br />
Dal 1732 al 1736 gli accenni al Bertoldo nelle lettere dei bolognesi<br />
sono frequenti e in tutti si avverte una certa ansiosa impazienza affinché il<br />
lavoro giunga a termine e il poema sia finalmente stampato 6 . Man mano che<br />
i canti erano finiti e ritoccati, è molto probabile che l’autore <strong>di</strong> ognuno li<br />
leggesse e li facesse gustare agli amici raccolti nella bottega. Questa trepidazione<br />
del popolo bolognese emerge da alcuni versi della poesia <strong>di</strong> Zanotti:<br />
“Di poi che mille intrichi hanno ridotta / l’impresa del Bertoldo a non finire / essendo<br />
ormai tre anni che d’uscire / s’aspetta, ond’è che il popolo borbotta.” 7<br />
Nel 1736 finalmente venne stampato e <strong>di</strong>stribuito nelle librerie <strong>di</strong> Bologna<br />
il Bertoldo che riscuoterà imme<strong>di</strong>atamente un enorme successo, tanto che<br />
lo stesso anno Lelio Dalla Volpe fece due ristampe una delle quali in versione<br />
economica <strong>di</strong> piccolo formato 8 (cm. 15 x 8 con 310 pagine numerate) 9 .<br />
Questa versione ‘tascabile’ era illustrata da venti incisioni, riduzioni in<br />
piccolo <strong>di</strong> quelle del Mattioli, eseguite da <strong>di</strong>versi autori tra i quali Contarelli,<br />
(Cantarelli), Quadri, Fabri, Pisarri, ecc. 10 Nel 1740 Il Bertoldo venne tradotto<br />
in bolognese, ad opera <strong>di</strong> Angiola e Teresa Canotti e Teresa e Maddalena<br />
Manfre<strong>di</strong>, riscuotendo grande successo tanto che in due anni (1740-1741)<br />
Lelio Dalla Volpe ne fece un<strong>di</strong>ci tirature 11 . La stu<strong>di</strong>osa Franca Varignana 12 ci<br />
informa che da un atto del 1794, relativo ad un inventario steso da Petronio<br />
6 Ibidem<br />
7 Poesie <strong>di</strong> Gian Pietro Cavazzoni Zanotti, tomi 3. In Bologna, nella Stamperia <strong>di</strong> Lelio Dalla<br />
Volpe, 1741-45, tomo III, pag. 231.<br />
8 Varignana F., Appen<strong>di</strong>ce. La fortuna e<strong>di</strong>toriale del Bertoldo crespiano, in Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>), Le<br />
Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal Cinquecento al Neoclassicismo,<br />
Bologna, 1973, p. 427.<br />
9 Le misure <strong>di</strong> questa versione economica del Bertoldo, sono segnalate da Ezio Flori in<br />
L’Archiginnasio, 1923.<br />
10 Varignana F., Appen<strong>di</strong>ce. La fortuna e<strong>di</strong>toriale del Bertoldo crespiano, in Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>), Le<br />
Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal Cinquecento al Neoclassicismo,<br />
Bologna, 1973, p. 427.<br />
11 Ibidem, p. 429.<br />
12 Ibidem, p. 425.
“Bertoldo con Bertol<strong>di</strong>no e Cacasenno”, Ritratto <strong>di</strong> Giulio Cesare Croce,<br />
Lelio dalla Volpe, Bologna,1736, collezione privata.<br />
19
20<br />
Ritratto <strong>di</strong> Lodovico Mattioli in: Luigi Crespi, Felsina Pittrice, vite dei pittori<br />
bolognesi, Tomo III che serve da supplemento all’opera del Malvasia,<br />
Roma 1769, p. 238
G. M. Crespi, “Bertoldo” Tav. 6, Bertoldo<br />
nascosto nel forno<br />
Dalla Volpe che stava in quel tempo trattando la cessione della stamperia<br />
all’Istituto delle Scienze, si apprende che nella bottega restavano i rami per il<br />
Bertoldo intagliati dal Crespi e quelli del Mattioli. Per tutto il Settecento e<br />
buona parte dell’Ottocento, a Bologna e in altre regioni d’Italia, il Bertoldo<br />
continuerà ad essere stampato riscuotendo grande successo tra il pubblico (a<br />
Venezia famosa è l’e<strong>di</strong>zione Savioli e quella del 1805 per i tipi dell’e<strong>di</strong>tore<br />
Marini) 13 .<br />
I venti rami del Mattioli sono tutti in controparte rispetto alle incisioni<br />
del 1710 e misurano alcuni centimetri in meno (quelle <strong>di</strong> Crespi, che contengono<br />
nel margine inferiore lo spazio per i versi, misurano mm. 227 x 144,<br />
quelle <strong>di</strong> Mattioli mm. 200 x 147). Le figure principali sono derivate, secondo<br />
la stu<strong>di</strong>osa Varignana 14 , con il proce<strong>di</strong>mento a calco da quelle del Crespi:<br />
ad eccezione del Bertoldo che entra nel forno (canto sesto) la cui figura è totalmente<br />
<strong>di</strong>fferente. Tutte le stampe <strong>di</strong> Mattioli sono incise con quei tratti molteplici<br />
che si <strong>di</strong>fferenziano a seconda dell’elemento raffigurato; per il paesaggio<br />
(soprattutto nelle montagne) utilizza brevi e tenui segmenti, per le ombre<br />
più marcate infittisce il fine reticolo con grande maestria, nelle frasche degli<br />
13 Ibidem, p. 429-430.<br />
14 Ibidem, p. 427.<br />
Ludovico Mattioli, “Bertoldo” Canto 6,<br />
Bertoldo entra nel forno<br />
21
22<br />
alberi si serve <strong>di</strong> quel tratto arricciolato 15 che crea il rigoglioso fogliame e<br />
infine per gli interni il nostro autore recupera quelle strategie <strong>di</strong> segno utilizzate<br />
per le architetture degli interni <strong>di</strong> chiese bolognesi su cui si era cimentato<br />
nelle stampe degli inizi del Settecento. Queste venti stampe del nostro autore<br />
rivelano una tecnica dell’acquaforte estremamente ricercata ravvisabile, oltre<br />
che nella varietà <strong>di</strong> segno, nella complessità delle replicazioni <strong>di</strong> morsure e<br />
coperture necessarie per rendere l’emergenza del secondo piano che si allontana<br />
grazie ai toni <strong>di</strong> grigio ribassati. In questo confronto tra le due traduzioni<br />
incisorie del Bertoldo del 1710 e del 1736 emergono <strong>di</strong>fferenze tecniche<br />
sorprendenti. Riguardo alla maniera <strong>di</strong> incidere del Crespi, Andrea Emiliani<br />
afferma: “Afferrava l’utensile con una specie <strong>di</strong> dolce violenza, e anziché<br />
replicare uniformemente il segno secondo una griglia ora più rada, ora più<br />
fitta e spessa, ove l’acido avrebbe potuto lavorare con equilibrio a seconda<br />
del “retino” voluto, si ostinava a tracciare segni più adatti al <strong>di</strong>segno se non<br />
ad<strong>di</strong>rittura al pennello. Le ombre, le mezze ombre, i tratti più profon<strong>di</strong> scendevano<br />
così a puntare verso la totalità, ove l’inchiostro si annidava, per stamparsi<br />
poi sulla carta inumi<strong>di</strong>ta con la stessa esplicita forza <strong>di</strong> segno.” 16 Lo<br />
stu<strong>di</strong>oso, nel descrivere la tecnica incisoria <strong>di</strong> Crespi parla <strong>di</strong> ‘scuri intensi’,<br />
‘aggrovigliarsi del graffio’, ‘imprimitura corposa’, espressioni quasi opposte<br />
a quelle utilizzabili per descrivere la delicata grafia del nostro autore.<br />
Analizziamo ora da vicino alcune delle venti stampe del Bertoldo incise<br />
dal nostro autore e anticipiamo quanto verrà detto in modo più dettagliato<br />
per ogni singola incisione: Mattioli nel Bertoldo attinge dal suo vasto repertorio<br />
<strong>di</strong> immagini (ricavate soprattutto dallo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> stampe nor<strong>di</strong>che) vari<br />
elementi che vanno, <strong>di</strong> volta in volta, ad arricchire le sue ambientazioni.<br />
L’antiporta dell’opera verrà esaminata per ultima, visto il riferimento<br />
iconografico importante che è emerso nel corso <strong>di</strong> questi stu<strong>di</strong>.<br />
Il primo canto, che rappresenta Bertoldo torna da re Alboino sull’asino tormentato<br />
dalle mosche, rivela nell’ambientazione tutti quegli arricchimenti<br />
paesaggistici che caratterizzano, a <strong>di</strong>fferenza delle stampe crespiane, queste<br />
illustrazioni del Mattioli. Sul margine sinistro del foglio è presente l’albero<br />
dal tronco nodoso con frasche, elemento chiave e identificatorio <strong>di</strong> molte<br />
stampe del nostro autore, la casa <strong>di</strong>etro l’albero tipicamente nor<strong>di</strong>ca, è la<br />
15 Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>), Le Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal<br />
Cinquecento al Neoclassicismo, Bologna, 1973, p 31.<br />
16 Ibidem, p. 31.
G. M. Crespi, “Bertoldo” Tav. 1, Bertoldo<br />
torna da re Alboino sull’asino tormentato dalle<br />
mosche<br />
G. M. Crespi, “Bertoldo” Tav. 2, Bertoldo<br />
risolve un quesito del re presentandosi col<br />
crivello in capo e una torta<br />
Ludovico Mattioli, “Bertoldo” C. 1, Bertoldo<br />
torna da re Alboino sull’asino tormentato dalle<br />
mosche<br />
23<br />
Ludovico Mattioli, “Bertoldo” C. 2, Bertoldo<br />
risolve un quesito del re presentandosi col crivello<br />
in capo e una torta
24<br />
stessa che Mattioli utilizzò in un altro suo <strong>di</strong>segno (Santo in Preghiera. Disegno<br />
conservato a Stuttgart, Staatsgalerie, Koenig Fachsenfeld) infine, la piccola<br />
cascata in secondo piano è uno degli elementi che il nostro autore assimilò<br />
negli anni giovanili dallo stu<strong>di</strong>o delle stampe dell’incisore parigino Nicolas<br />
Perelle.<br />
Già nel secondo canto, Bertoldo risolve un quesito del Re…, Mattioli inserisce<br />
sullo sfondo quegli elementi ‘d’Arca<strong>di</strong>a’che gli stu<strong>di</strong>osi hanno sempre<br />
posto in evidenza analizzando l’e<strong>di</strong>zione del nostro autore “I paesaggi invece<br />
vengono completamente reinventati in una semplificatissima <strong>di</strong>mensione<br />
arca<strong>di</strong>ca, quasi sempre comprensibile proprio nell’orbita delle ideazioni più<br />
tipiche del Mattioli” 17 e ancora “..le incisioni, tecnicamente assai virtuose e<br />
ben <strong>di</strong>verse dal ruvido, essenziale segno crespiano, sono evidentemente altro<br />
dalla primitiva invenzione. E’un’Arca<strong>di</strong>a elegante e coerente che accoglie i tre<br />
villani, ai quali aggiunge, senza <strong>di</strong>fferenziare cifra e importanza, giovani pastori<br />
e conta<strong>di</strong>ne vezzose, mescolati a ninfe e a personaggi biblici che incombono<br />
travestiti, le barbe da profeta, giusta la consuetu<strong>di</strong>ne del Mattioli a<br />
trasporre in incisioni <strong>di</strong>pinti <strong>di</strong> soggetto sacro. Le figure principali si appiattiscono<br />
entro un paesaggio che le avvolge e le ingloba quasi soavemente, agli<br />
scabri fondali si sostituiscono monti e cascatelle, ra<strong>di</strong>ci nodose e frondose<br />
chiome arboree e improbabili panorami con torrioni e mete egizie e capanne<br />
pittoresche.” 18 Un microuniverso naturalistico anima lo sfondo <strong>di</strong>etro le gran<strong>di</strong><br />
figure dei protagonisti del primo piano; pastori seduti all’ombra degli<br />
alberi con le loro greggi, viandanti con bastoni al seguito <strong>di</strong> muli carichi <strong>di</strong><br />
ceste, conta<strong>di</strong>ne che mungono le mucche. Questi elementi, che sottintendono<br />
lo stile paesaggistico settecentesco del nostro autore svolgono un’altra importante<br />
funzione illustrativa, ovvero, donano un senso <strong>di</strong> continuità narrativa<br />
ai singoli episo<strong>di</strong>.<br />
Nel terzo canto, Mattioli inserisce un obelisco a forma <strong>di</strong> piramide che<br />
si erge nella città rappresentata sullo sfondo; questo elemento che nulla ha a<br />
che fare con i luoghi in cui si svolge la storia <strong>di</strong> Bertoldo è lo stesso obelisco<br />
che il nostro autore inserisce in una delle stampe della serie dei Fasti <strong>di</strong> Luigi<br />
XIV del 1701.<br />
17 Ibidem, p. 30.<br />
18 Varignana F., Giuseppe Maria Crespi e il ‘Bertoldo’: forme <strong>di</strong> una lettura, in Giuseppe Maria Crespi<br />
1665-1747,catalogo mostra a cura <strong>di</strong> Emiliani A., Rave A. B, Bologna 1990, p. 111.
Ludovico Mattioli, “Bertoldo” C. 3, Bertoldo pensa <strong>di</strong> eludere con la lepre le minacce della regina<br />
G. M. Crespi, “Bertoldo” Tav. 3, Bertoldo<br />
pensa <strong>di</strong> eludere con la lepre le minacce<br />
della regina<br />
25<br />
Ludovico Mattioli, Fasti <strong>di</strong> Luigi XIV,<br />
mese <strong>di</strong> Febbraio
26<br />
G. M. Crespi, “Bertoldo” Tav. 4, Bertoldo<br />
messo nel sacco da uno sbirro della regina<br />
G. M. Crespi, “Bertoldo” Tav. 5, Bertoldo<br />
inganna lo sbirro e lo insacca<br />
Lodovico Mattioli, “Bertoldo” C. 4, Bertoldo<br />
messo nel sacco da uno sbirro della regina<br />
Lodovico Mattioli, “Bertoldo” C. 5, Bertoldo<br />
inganna lo sbirro e lo insacca
Lodovico Mattioli, “Bertoldo” C. 7 Bertol<strong>di</strong>no caricato sull’asino <strong>di</strong> traverso<br />
27
28<br />
Nel quarto e nel quinto canto (Bertoldo messo nel sacco da uno sbirro e Bertoldo<br />
inganna lo sbirro e lo insacca) il “delicato interno settecentesco a stucchi e cornici,<br />
rimpiazza il muro spoglio tracciato dallo Spagnolo nella stampa analoga,<br />
con i mattoni a vista.” 19 . In queste due stampe, Mattioli costruisce gli interni<br />
con linee lunghe e parallele; elementi che egli aveva già utilizzato per creare il<br />
rigore gli interni architettonici, nelle stampe <strong>di</strong> chiese bolognesi agli inizi del<br />
Settecento.<br />
Nel sesto canto il soggetto rappresentato è completamente mo<strong>di</strong>ficato<br />
rispetto all’originale crespiano: il Bertoldo celato nel forno, è raffigurato nell’atto<br />
in cui sta per entrare nel forno. Emiliani sottolinea l’eleganza <strong>di</strong> questa figura<br />
che non ha nulla a che vedere con il rozzo Bertoldo “Mattioli pone una<br />
figura intera <strong>di</strong> spalle, in atto <strong>di</strong> introdursi nel forno, in un vano ad arco<br />
acuto; nonostante il cappellaccio, è un personaggio elegante, con un manto<br />
fiorito che scende a drappeggiarsi intorno alle gambe: è ancora un giovin<br />
signore, senza furberie rusticane, che gioca a nascondersi nella masseria della<br />
villa.” 20<br />
Dal settimo canto ve<strong>di</strong>amo svolgersi le avventure <strong>di</strong> Bertol<strong>di</strong>no e compare<br />
la più adulta figura <strong>di</strong> Bertoldo.<br />
Le incisioni per il canto settimo presentano gli stessi elementi che abbiamo<br />
già posto in evidenza. Nell’ottavo canto, il modo <strong>di</strong> trattare le ombre<br />
delle due figure in secondo piano –ovvero linee lunghe parallele e senza incroci–<br />
è lo stesso che il nostro autore aveva utilizzato nella stampa <strong>di</strong> Donna<br />
che si specchia e bimbo, nei Primi elementi <strong>di</strong> pittura e <strong>di</strong>segno del 1728.<br />
Il nono canto, Bertol<strong>di</strong>no cova invece della chioccia, non presenta nessuna variante<br />
rispetto all’opera crespiana, ad eccezione della figura della vecchia in<br />
secondo piano che sbuca per intero, e delle frasche <strong>di</strong>etro al muro che non<br />
sono presenti nell’opera <strong>di</strong> Crespi.<br />
In tutti i canti successivi Mattioli arricchisce lo sfondo con paesaggio e<br />
figure e introduce nel primo piano alberi dal ricco fogliame; il protagonista<br />
del racconto non è più isolato nella sua emergente frontalità 21 , ma è inserito<br />
in un contesto vivace dal racconto <strong>di</strong>namico. Dal quin<strong>di</strong>cesimo canto cambia<br />
nuovamente il protagonista che vede in Cacasenno l’ultimo eroe <strong>di</strong> questa av-<br />
19 Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>), Le Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal<br />
Cinquecento al Neoclassicismo, Bologna, 1973, p. 111.<br />
20 Ibidem<br />
21 Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>), Le Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal<br />
Cinquecento al Neoclassicismo, Bologna, 1973, p. 16.
G. M. Crespi, “Cacasenno”, Tav. 4, Partenza<br />
<strong>di</strong> Cacasenno<br />
G. M. Crespi, “Cacasenno”, Tav. 6,<br />
Cacasenno mangia un vaso <strong>di</strong> colla<br />
29<br />
Lodovico Mattioli, “Bertoldo”, C. 18, Partenza<br />
<strong>di</strong> Cacasenno<br />
Lodovico Mattioli, “Bertoldo”, C. 20, Cacasenno<br />
mangia un vaso <strong>di</strong> colla
30<br />
ventura popolare. Il testo originale che chiude questo racconto venne scritto<br />
all’inizio del Seicento da Camillo Scaligero dalla Fratta, ossia il monaco<br />
olivetano Adriano Banchieri che concluse con Cacasenno, figlio del semplice<br />
Bertol<strong>di</strong>no il poema crociano.<br />
Nel <strong>di</strong>ciottesimo e nel ventesimo canto Mattioli inserisce a margine del<br />
racconto pie<strong>di</strong>stalli con colonne a fusto rispettivamente scanalato e non<br />
scanalato; anche tali elementi architettonici sono già stati utilizzati nel<br />
frontespizio dei Primi elementi <strong>di</strong> pittura e <strong>di</strong>segno del 1728.<br />
Analizziamo ora l’antiporta, che rappresenta la famiglia <strong>di</strong> Bertoldo, <strong>di</strong><br />
questa ristampa <strong>di</strong> Mattioli che non è presente nell’e<strong>di</strong>zione del 1710. Riportiamo<br />
quanto affermano i biografi principali del nostro autore “V’ha bisognato<br />
poi aggiungere <strong>di</strong> suo ritrovamento il frontespizio, che contiene la famiglia tutta <strong>di</strong><br />
Bertoldo, espressa con molta grazia, e verità” 22 e “Ritagliò pure la favola <strong>di</strong> Bertoldo in<br />
venti rami…aggiungendovi però qualche poco <strong>di</strong> paese, ed il frontespizio” 23 . Entrambi i<br />
biografi sono dunque d’accordo nell’attribuire al nostro autore l’invenzione<br />
dell’antiporta. Secondo lo stu<strong>di</strong>oso Renato Roli il <strong>di</strong>segno a sanguigna<br />
dell’antiporta, conservato all’Archiginnasio <strong>di</strong> Bologna, è “un indubbio documento<br />
<strong>di</strong> grafia crespiana” 24 ; <strong>di</strong>scorde è invece Varignana che attribuisce<br />
l’invenzione <strong>di</strong> questa stampa a Mattioli 25 . Tale <strong>di</strong>segno dal contorno continuo<br />
e regolare della sanguigna suggerisce l’idea che questo tratto pulito e<br />
sottile appartenga alla mano <strong>di</strong> un minuzioso incisore quale è Mattioli e non<br />
ad un pittore dal segno più marcato quale è Crespi. Lo stu<strong>di</strong>oso inglese John<br />
Spike, tuttavia, afferma che Crespi presenta una varietà <strong>di</strong> stili <strong>di</strong>fferenti nei<br />
<strong>di</strong>segni, nei quali spesso accanto a <strong>di</strong>segni impetuosi e d’improvvisazione 26 si<br />
trovano prove <strong>di</strong> sanguigna sorvegliata e appuntita 27 . Questa complessa attribuzione,<br />
richiederebbe stu<strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>ti sulla grafia crespiana messa a<br />
confronto con i <strong>di</strong>segni del nostro autore. Ci limiteremo, in questo stu<strong>di</strong>o, a<br />
22 Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina, Bologna 1739, p. 24; il termine “frontespizio”<br />
viene usato, oltre che per il frontespizio propriamente detto, anche per la pagina ornata che lo<br />
precede, chiamata, nella moderna terminologia bibliografica, “antiporta”.<br />
23 Crespi L., Vite de’ Pittori bolognesi non descritti nella ‘Felsina Pittrice’. Bologna 1769, p. 239.<br />
24 Roli R., Disegni <strong>di</strong> Giuseppe Maria Crespi per la serie incisoria delle ‘Storie <strong>di</strong> Bertoldo’, in Atti<br />
e memorie dell’Accademia Clementina <strong>di</strong> Bologna, XI, Bologna 1974, p. 75.<br />
25 Varignana F., Appen<strong>di</strong>ce. La fortuna e<strong>di</strong>toriale del Bertoldo crespiano, in Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>),<br />
Le Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal Cinquecento al Neoclassicismo,<br />
Bologna, 1973, p. 424.<br />
26 Spike J. T., Giuseppe Maria Crespi <strong>di</strong>segnatore, in Giuseppe Maria Crespi 1665-1747, catalogo della<br />
mostra a cura <strong>di</strong> Emiliani A., Rave A. B, Bologna 1990 p. 157.<br />
27 Ibidem.
L. Mattioli, “Bertoldo con Bertol<strong>di</strong>no e Cacasenno”, Antiporta. La scritta incisa in calce alla<br />
lastra recita: “1736. Bononiae. Delineabat et incidebat Ludovicus Mattioli Bononiensis, in<br />
Clementina Picturae, et Sculpturae Academia Professor. ann(os) agens 7(4). F.”<br />
31
32<br />
dare cre<strong>di</strong>to alle fonti principali (Crespi e Zanotti) che attribuiscono esplicitamente<br />
l’invenzione, e quin<strong>di</strong> il <strong>di</strong>segno, a Mattioli.<br />
Solo le quattro figure sono completate con leggere ombreggiature, la<br />
casa e gli elementi <strong>di</strong> ambientazione presenti nella stampa sono, nel <strong>di</strong>segno,<br />
appena accennati. Il nostro autore ha perciò arricchito la scena nell’incisione,<br />
con l’albero sullo sfondo e i dettagli della casa “nor<strong>di</strong>ca”, <strong>di</strong>rettamente sulla<br />
lastra.<br />
Una ricerca dettagliata sui possibili riferimenti iconografici del nostro<br />
incisore, ha portato ad in<strong>di</strong>viduare in una stampa <strong>di</strong> Nicolaes Berchem 28 la<br />
medesima figura della donna <strong>di</strong> spalle con la conocchia e il fuso presente<br />
nell’antiporta <strong>di</strong> Mattioli.<br />
Il nostro incisore (o Crespi?) probabilmente possedeva questa stampa,<br />
ipotesi questa avvalorata dall’Inventario dei suoi beni (documento emerso dalle<br />
nostre ricerche presso l’Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Bologna) nel quale leggiamo che<br />
egli possedeva un libro <strong>di</strong> stampe Oltremontane. Si può anche supporre che<br />
Mattioli abbia visto in casa <strong>di</strong> un amico questa incisione <strong>di</strong> Berchem e l’abbia<br />
avuta in prestito per riprodurre la figura <strong>di</strong> donna. Nicolaes Berchem era un<br />
artista molto apprezzato fra i conoscitori del Sette e dell’Ottocento 29 . A<br />
Bologna, per citare un esempio, il famoso collezionista Marcello Oretti possedeva<br />
nella sua raccolta <strong>di</strong> stampe, incisioni Oltremontane tra le quali quelle<br />
<strong>di</strong> Perelle e <strong>di</strong> Nicolaes Berchem 30 .<br />
La figura <strong>di</strong> donna con fuso nell’antiporta <strong>di</strong> Mattioli è esattamente in<br />
controparte rispetto a quella <strong>di</strong> Berchem e identica in ogni minimo dettaglio.<br />
Inoltre, nel Gabinetto delle Stampe e Disegni <strong>di</strong> Bologna abbiamo rintracciato<br />
un esemplare della stampa <strong>di</strong> Berchem e si è potuto constatare che le<br />
due figure speculari hanno la stessa <strong>di</strong>mensione. L’unica piccola variante è<br />
l’inclinazione della conocchia che nella stampa <strong>di</strong> Mattioli passa sotto il braccio<br />
sinistro della donna, ed è infilata posteriormente nella cinta del grembiule,<br />
secondo una modalità tipica delle filatrici. La tecnica incisoria dal segno<br />
fluido e intenso che Berchem utilizza per descrivere l’elegante figura <strong>di</strong> questa<br />
donna è tradotta da Mattioli con un più accurato reticolo che caratterizza<br />
tutta la stampa dell’antiporta. Tale ‘presenza’ olandese nell’opera <strong>di</strong> Mattioli<br />
28 La stampa <strong>di</strong> Nicolaes Berchem (1620-1683) che raffigura il Pastore seduto a una fontana è<br />
riprodotta in The Illustrated Bartsch, vol. 7, fig. 8 (259) p. 53.<br />
29 Catalogo della mostra su Nicolaes Berchem, a cura <strong>di</strong> Gianvittorio Dillon, Bassano del Grappa<br />
1981.<br />
30 Tali notizie sono desunte dalla lettura del manoscritto dell’Oretti conservato all’Archiginnasio<br />
<strong>di</strong> Bologna, In<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> stampe e <strong>di</strong>segni…, ms. B. 405.
L. Mattioli,<br />
particolare della<br />
donna che fila<br />
Nicolaes Berchem, “pastore seduto ad una fontana”, 1692. TIB<br />
vol. 7, fig. 8 (259) p. 53.<br />
33<br />
Nicolaes Berchem,<br />
particolare ‘specchiato’<br />
dell’originale.
34<br />
conferma ancora una volta la pre<strong>di</strong>lezione del nostro artista per le stampe <strong>di</strong><br />
artisti nor<strong>di</strong>ci.<br />
A conclusione <strong>di</strong> questo stu<strong>di</strong>o sull’e<strong>di</strong>zione del Bertoldo del 1736, segnaliamo<br />
i <strong>di</strong>segni a sanguigna nello stesso verso delle stampe <strong>di</strong> Mattioli<br />
ritrovati da Boffito 31 nel 1926 che Varignana considera come “copia assai<br />
poco curata tratta dai rami del Mattioli (a quella data già eseguiti tanto da<br />
suscitare l’intera impresa letteraria) tracciata da qualcuno della bottega e da<br />
usarsi per l’approvazione <strong>di</strong> legge (11 Julii 1733. Incidatur. D. Pius Caietanus<br />
Cadolini Vicarius Generalis S. Officii Bononiae)” 32 .<br />
Lodovico Mattioli, “Bertoldo”, C. 16, Finalino<br />
31 Boffito G., Le acqueforti del Crespi e le stampe dell’e<strong>di</strong>zione illustrata del Bertoldo, in l’Archiginnasio,<br />
XXI, Bologna 1926. p. 6.<br />
32 Varignana F., Appen<strong>di</strong>ce. La fortuna e<strong>di</strong>toriale del Bertoldo crespiano, in Emiliani A. (a cura <strong>di</strong>), Le<br />
Collezioni d’Arte della Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna. I <strong>di</strong>segni. I. Dal Cinquecento al Neoclassicismo,<br />
Bologna, 1973, p. 427.
NICOLETTA FERRIANI<br />
Gaetano Lo<strong>di</strong>: dalle decorazioni in Egitto<br />
alla cooperativa <strong>di</strong> Imola<br />
Nel 1872 il decoratore crevalcorese Gaetano Lo<strong>di</strong> si imbarcò per l’Egitto 1 , chiamato<br />
ad ornare alcuni e<strong>di</strong>fici Reali <strong>di</strong> recente costruzione. Lo stato africano, all’epoca,<br />
era governato da una stirpe <strong>di</strong> sovrani turchi, i Ke<strong>di</strong>vè, cresciuti culturalmente<br />
sul suolo europeo, precisamente a Parigi 2 ; l’amore e la passione che essi<br />
<strong>di</strong>mostrarono nei riguar<strong>di</strong> dell’Occidente fu ben riconoscibile, poiché gioirono<br />
nel circondarsi <strong>di</strong> schiere <strong>di</strong> musicisti, architetti e pittori europei 3 . Questa tendenza<br />
filo-occidentale mostrò i più alti risultati con l’incoronazione del Ke<strong>di</strong>vè Ismail 4<br />
nel 1863: fu lui a commissionare a Giuseppe Ver<strong>di</strong> l’opera, ambientata in Egitto,<br />
Aida, messa in scena nel 1871 entro il nuovissimo teatro dell’opera al Cairo;<br />
contemporaneamente cominciò il riassetto <strong>di</strong> una zona al centro della capitale,<br />
Al-Tahrir Midan, secondo l’impianto urbano delle città giar<strong>di</strong>no inglesi, con ampi<br />
viali alberati, strutturati sul modello dei boulevard parigini, dove vennero fatti<br />
costruire <strong>di</strong>versi palazzi (denominati kasr) per la corte del re 5 , che richiesero la<br />
presenza <strong>di</strong> numerose maestranze, tra cui, appunto, il Lo<strong>di</strong>.<br />
Durante il settimo decennio del XIX secolo non fu, infatti, così insolito<br />
incontrare sul suolo egiziano professionisti italiani 6 attratti dalle <strong>di</strong>verse richieste <strong>di</strong><br />
mano d’opera: l’apertura del Canale <strong>di</strong> Suez, nel 1869, portò forti profitti commerciali<br />
alla neonata nazione italiana 7 . Agli interessi economici si affiancarono<br />
1 Lettera dell’ ing. Luigi Vassalli, in data 28 luglio 1872, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori.<br />
2 http// www.cronologia.it/mondo07<br />
3 Pieri, Architetti e artigiani tra Toscana ed Egitto nella seconda metà dell’ Ottocento, in Giusti M.A.,<br />
Godoli E., (a cura <strong>di</strong>), L’orientalismo nell’architettura italiana tra Ottocento e Novecento, Siena 1999, pp.<br />
301-310<br />
4 ibid.<br />
5 Sull’ argomento si consulti: http//www.egy.com<br />
6 Si veda: Orvieto C., La presenza degli italiani in Egitto, Roma 1961; Briani V., Italiani in Egitto,<br />
Roma 1982<br />
7 Sul colonialismio italiano si consulti: Pavanati C., Colonialismo, Milano 1997, p. 54; Gabrielli C.,<br />
Colonialismo, Milano 1997; Palma S., L’Italia coloniale, Roma 1999, pp. 6-7; http//www. colonialismo<br />
italiano.it<br />
35
36<br />
quelli culturali: il grande fascino che da sempre il paese africano esercitava sulla<br />
civiltà occidentale, così che numerosi <strong>di</strong>vennero i viaggi <strong>di</strong> esplorazione geografica<br />
e <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o storico organizzati in quegli anni.<br />
Tornando a Gaetano Lo<strong>di</strong>, numerosissima è la corrispondenza e la documentazione<br />
inerente ai quasi cinque anni trascorsi al Cairo (dal 1872 al 1877) 8 , che ha<br />
permesso <strong>di</strong> ricostruire le <strong>di</strong>verse commissioni che egli eseguì. Lo<strong>di</strong> si era <strong>di</strong>stinto<br />
in patria come decoratore, avendo ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui la<br />
nomina <strong>di</strong> “Pittore della Real Casa Savoia” e <strong>di</strong> “Accademico Onorario” presso<br />
l’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti <strong>di</strong> Firenze, e ora questa nuova prova, su <strong>di</strong> un territorio<br />
straniero, ne inorgogliva l’animo e ne stimolava la volontà <strong>di</strong> sperimentazione,<br />
nonché <strong>di</strong> ulteriore appren<strong>di</strong>mento 9 .<br />
La prima opera alla quale si de<strong>di</strong>cò (e che continuò durante tutto il soggiorno,<br />
fino al 1877) fu il servizio da tavola in porcellana che il Ke<strong>di</strong>vè aveva or<strong>di</strong>nato alla<br />
<strong>di</strong>tta fiorentina Ginori 10 ; Lo<strong>di</strong> fu tra i numerosi <strong>di</strong>segnatori e modellatori 11 che<br />
stu<strong>di</strong>arono, sul suolo egizio, lo stile dell’antica civiltà faraonica, per tradurlo in<br />
modo originale sulle preziose superfici in ceramica. Con enorme passione lavorò<br />
sulle decorazioni in stile egiziano, cercando <strong>di</strong> stilizzare e sintetizzare quei tratti, dai<br />
vivaci colori, che poi <strong>di</strong>segnava entro i piccoli spazi del servizio da portata (fig. 1).<br />
Egli eseguiva i bozzetti per “saliere, zuppiere, piatti da portata…” 12 , i quali venivano<br />
presentati al Ke<strong>di</strong>vè per poi essere spe<strong>di</strong>ti in Italia, tramite il console italiano<br />
De Martini, ed essere prodotti nella fabbrica <strong>di</strong> Doccia 13 .<br />
Come è stato accennato precedentemente, anche in Egitto Lo<strong>di</strong> non abbandonò<br />
il grande amore per la decorazione parietale, visto che il Ke<strong>di</strong>vè richiese la sua<br />
presenza entro alcune residenze private. Attraverso lo stu<strong>di</strong>o della corrispondenza<br />
si è potuto rintracciare il nome <strong>di</strong> una <strong>di</strong> esse, kasrel-al-ali 14 , probabilmente la<br />
8 Sono state ritrovate quarantasette lettere scritte al Cairo. Giornale <strong>di</strong> lettere, Archivio Lo<strong>di</strong>-<br />
Vettori<br />
9 Dell’ esperienza in Egitto Lo<strong>di</strong> andò sempre fiero e ne menzionò, negli anni successivi, in<br />
numerose lettere <strong>di</strong> presentazione: Giornale <strong>di</strong> lettere 1878, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />
10 Si veda: Figurier L., Le meraviglie dell’ industria, il vetro e le porcellane, Milano 1880, p. 302; Liverani<br />
G., Il museo delle porcellane <strong>di</strong> Doccia, Firenze 1967, pp. 44-74; Ginori Lisci L., Le porcellane <strong>di</strong> Doccia,<br />
Firenze 1967, pp. 120, 136, 147; Monti R. (a cura <strong>di</strong>), La manifattura Richard-Ginori <strong>di</strong> Doccia,<br />
Firenze 1988, pp. 91-93<br />
11 Jafet Torelli, Vannini e Cesari (modellatori), Leopoldo Nincheri, Lorenzo Bacheroni, Giuseppe<br />
Bendassi (decoratori). Per la vicenda si veda: http// www. museo<strong>di</strong>doccia.it<br />
12 Lettera all’ ing. Luigi Vassalli, 7 agosto 1872, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />
13 Lettera del 19 gennaio 1873, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />
14 Appunto <strong>di</strong> pagamento <strong>di</strong> Lire 15.000 per un salone da pranzo, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori
(fig. 1) Ditta Ginori: Servizio <strong>di</strong> porcellana per il Ke<strong>di</strong>vè<br />
Ismail. c. 1872-1876. Doccia, Museo della <strong>di</strong>tta Richard-<br />
Ginori<br />
più imponente, 15 oltre alla lista dei <strong>di</strong>segni preparatori eseguiti per l’harem privato<br />
del sovrano: l’elenco comprende oltre cinquanta voci. 16 Un lavoro davvero imponente,<br />
<strong>di</strong> cui ora rimane il ricordo attraverso il recupero <strong>di</strong> sette bozzetti donati<br />
dai figli <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong> al <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Bologna nel 1933, e conservati nel deposito della<br />
locale Galleria d’Arte Moderna. 17 Di notevoli <strong>di</strong>mensioni, raggiungono infatti<br />
misure che superano i due metri <strong>di</strong> lunghezza, realizzati con la qualità e la precisione<br />
<strong>di</strong> un miniatore, rigogliosi <strong>di</strong> decorazioni secondo gli stili europei. Così amante<br />
dell’arte occidentale, il Ke<strong>di</strong>vè Ismail volle contornarsi <strong>di</strong> un tripu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> arte neo<br />
barocca, rinascimentale e floreale: eclettismo è il termine migliore per descrivere<br />
la tipologia <strong>di</strong> quei soffitti e <strong>di</strong> quelle pareti caratterizzati da una moltiplicità <strong>di</strong> stili,<br />
nessuno dei quali prevarica sugli altri, senza che si determini tra <strong>di</strong> essi una fusione<br />
in<strong>di</strong>ssolubile e una sintesi rinnovatrice, rimanendo così <strong>di</strong>stinguibili 18 .<br />
Lo<strong>di</strong> seppe recuperare la gamma <strong>di</strong> modelli pittorici impiegati nelle precedenti<br />
opere decorative, aumentandone il grado <strong>di</strong> sintesi figurativa, per creare impo-<br />
15 http// www.egy.com<br />
16 Elenco: <strong>di</strong>segni dei lavori eseguiti al Cairo, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />
17 Lettera del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Bologna al sig. Cesare Lo<strong>di</strong> Focar<strong>di</strong>, 30 luglio 1952, <strong>Crevalcore</strong>, Archivio<br />
storico.<br />
18 Sull’ argomento si veda: Crispolti A., ad vocem “Eclettismo”, in Enciclope<strong>di</strong>a universale dell’arte. vol.<br />
IV. Venezia-Roma 1963. pp. 486-498; Mazzoni L., Santin S., Tra<strong>di</strong>zioni e regionalismi: aspetti<br />
dell’eclettismo in Italia Napoli 2000, passim; Visentin C., L’equivoco dell’Eclettismo, Bologna 2003.<br />
37
38<br />
nenti spazi dove il brulichio generale <strong>di</strong> linee e colori superava la percezione dei<br />
singoli elementi. Le pareti e i soffitti furono <strong>di</strong>visi tramite impianti modulari a<br />
comparti, secondo la tipologia decorativa in uso in Italia nella prima metà del<br />
XIX secolo, 19 entro cui i motivi pittorici apposti seguirono un grado <strong>di</strong> astrazione<br />
e semplificazione che può essere ricondotto alla consuetu<strong>di</strong>ne geometrizzante<br />
della cultura araba. 20<br />
Un ampio soffitto dalla forma lobata e dalla superficie a volta cassettonata è ciò<br />
che Lo<strong>di</strong> ideò per il “Salone al piano superiore” 21 (fig. 2): è un lussureggiante<br />
intreccio <strong>di</strong> foglie e riccioli in finta pietra grigia, tra bouquet <strong>di</strong> rose, brillii d’oro e<br />
panneggi <strong>di</strong> un rosso intenso, che scoprono la ban<strong>di</strong>era turca coronata. Nella<br />
finta volta <strong>di</strong>segnata sono alcune ron<strong>di</strong>ni a dare vita alla scena, volando verso il<br />
centro della composizione, dove un rosone, ornato da leggere volute rocaille,<br />
pare sfumare nella nebbia (fig. 3).<br />
Con minuzia e rigore è stato eseguito il progetto per un “Salone al pian terreno”<br />
(fig. 4), la cui superficie è <strong>di</strong>visa da una serie si riquadri dal <strong>di</strong>verso perimetro<br />
entro cui campeggiano, alternandosi, decorazioni a grottesca con animali, dall’andamento<br />
simmetrico e figure vestite in abiti classici. Nella parte più esterna una<br />
finta cornice architettonica proietta la propria ombra fino alla zona centrale, decorata<br />
a finti cassettoni <strong>di</strong> forma circolare, con elementi allegorici e figure mostruose<br />
(curiosa è la presenza dello stemma del comune <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, paese<br />
natale <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong>) su fondali bianchi e neri, come fossero caselle <strong>di</strong> una scacchiera. Il<br />
fuoco dell’intero soffitto è un comparto <strong>di</strong> forma mistilinea entro cui si mostra<br />
un gruppo <strong>di</strong> tre figure, volanti sopra una nuvola, con panneggi leggeri alzati dal<br />
vento.<br />
La parete <strong>di</strong> una sala non identificata 22 si presenta, nel progetto <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong>, colma <strong>di</strong><br />
decorazioni (fig. 5): sul lato sinistro due finte paraste con capitello composito si<br />
mostrano ornate nella parte centrale con un tralcio <strong>di</strong> vite che si intreccia attorno<br />
ad un esile tronco; in mezzo ad esse, su <strong>di</strong> un pie<strong>di</strong>stallo <strong>di</strong>segnato, sporgente dalla<br />
superficie, poggia un vaso dal fondo nero e dalle fattezze greche, il quale proietta<br />
la propria ombra sopra gli altri elementi. La parte rimanente della parete, inter-<br />
19 Si veda: Matteucci A. M., I decoratori <strong>di</strong> formazione bolognese tra Settecento e Ottocento. Da Mauro Tesi<br />
ad Antonio Basoli, Milano 2002<br />
20 Sull’ arte islamica si veda: Atil E., (a cura <strong>di</strong>), Arte islamica e mecenatismo: tesori del Kuwait. Collezione<br />
Al-Sabah, Catalogo mostra (Firenze 1994), New York 1999; Papadopalo A., L’ Islam e l’ arte<br />
musulmana, Milano 2000<br />
21 Per questo bozzetto e per quelli <strong>di</strong> seguito esaminati, la <strong>di</strong>citura, in<strong>di</strong>cante gli ambienti (non<br />
meglio identificati) cui le decorazioni erano destinate, compare sugli stessi progetti<br />
22 Il <strong>di</strong>segno non ha <strong>di</strong>citure apposte sulla propria superficie
(fig. 2) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al Cairo. c. 1872-1876. Tempera<br />
su carta. Bologna, Galleria d’ Arte moderna<br />
(fig. 3) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al Cairo. c. 1872-1876. Tempera<br />
su carta. Bologna, Galleria d’ Arte moderna<br />
39
40<br />
(fig. 4) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al Cairo. c. 1872-1876. Tempera<br />
su carta. Bologna, Galleria d’ Arte moderna.<br />
(fig. 5) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al Cairo. c. 1872-1876. Tempera<br />
su carta. Bologna, Galleria d’ Arte moderna.
(fig. 6) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al<br />
Cairo. c. 1872-1876. Tempera su carta. Bologna, Galleria d’Arte<br />
moderna<br />
rotta dalla presenza <strong>di</strong> una porta, mostra una decorazione in stile pienamente<br />
eclettico, poiché vengono uniti a spazi con decorazioni a grottesca, riquadri dal<br />
fondo azzurro con figure femminili classicheggianti, cornici con ghirlande floreali<br />
policrome, decorazioni modulari a greca dal fine contorno dorato, o specchiature<br />
in finto marmo.<br />
Simile, nel criterio compositivo, è il progetto per un’altra parete 23 (si potrebbe<br />
ipotizzare sia una versione elaborata del precedente <strong>di</strong>segno), dove lo stile è <strong>di</strong>venuto<br />
molto più florido e arioso: la sud<strong>di</strong>visione per comparti ha lasciato il posto<br />
a ghirlande pendenti entro uno spazio unico, sorrette da un tripu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> elementi<br />
ad ornato barocco in finta pietra (fig. 6).<br />
Di particolare interesse risulta la decorazione <strong>di</strong> un soffitto 24 entro cui campeggiano<br />
finti cassettoni, <strong>di</strong> forma rettangolare e circolare, con mascheroni mostruo-<br />
23 Il <strong>di</strong>segno è denominato: Parete del soffitto B<br />
24 Il <strong>di</strong>segno è denominato: C laterale del soffitto A<br />
41
42<br />
(fig. 7) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al Cairo. c.<br />
1872-1876. Tempera su carta. Bologna, Galleria d’Arte moderna<br />
si (elemento ricorrente nelle decorazioni <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong>) (fig. 7). Al centro viene racchiuso<br />
uno spazio con un motivo molto stilizzato a corolla floreale, che presenta nella<br />
parte più esterna elementi curvi, <strong>di</strong> color blu, ed elementi angolari, <strong>di</strong> color rosso,<br />
sopra i quali campeggiano le silhouette <strong>di</strong> una mezza luna e <strong>di</strong> una stella a cinque<br />
punte; la tonalità del fondo è <strong>di</strong> un azzurro trasparente, il quale degrada verso un<br />
candore lucente. Questo motivo non ha continuità con le altre decorazioni parietali<br />
che Gaetano Lo<strong>di</strong> eseguì per il sovrano egiziano, trovando maggiore eco negli<br />
esempi eseguiti per il servizio in ceramica, dove la schematizzazione degli elementi<br />
decorativi è evidente.<br />
La capacità <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong> <strong>di</strong> saper unire tipologie decorative <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso stile, si mostra<br />
nel progetto della “parete del salone nel Salamelech”, dove tra una serie <strong>di</strong> ritratti<br />
<strong>di</strong> personaggi abbigliati secondo l’usanza araba (probabilmente si tratta <strong>di</strong> ritratti<br />
<strong>di</strong>nastici), si apre uno spazio da cui pende una finta tenda <strong>di</strong> color rosso sulla<br />
quale compare la figura <strong>di</strong> un angelo che reca in mano due corone <strong>di</strong> alloro. La<br />
commistione tra la cultura turca e quella europea è ben visibile in questo esempio<br />
e si evidenzia come il decoratore seppe dar concretezza ai desideri del suo mecenate,<br />
sia dal punto <strong>di</strong> vista iconografico che stilistico.<br />
Il settimo <strong>di</strong>segno, conservato nella galleria bolognese, è probabilmente il progetto<br />
<strong>di</strong> una porzione <strong>di</strong> soffitto (ipotesi che si basa sulla presenza <strong>di</strong> una finta cornice<br />
architettonica in rilievo posta solamente su uno dei quattro lati del <strong>di</strong>segno), <strong>di</strong><br />
forma quadrangolare, <strong>di</strong> una sala non conosciuta del palazzo reale: la decorazione<br />
ideata da Lo<strong>di</strong> è costituita da un riquadro in cui si alternano cassettoni dalle<br />
forme <strong>di</strong>verse, (motivo già proposto nel <strong>di</strong>segno “C laterale del soffitto A”, fig.<br />
7) e dalle tonalità rosse e bianche, i quali racchiudono, nella zona centrale, un<br />
motivo quadrilobato (fig. 8).
(fig. 8) G. Lo<strong>di</strong>: Bozzetto preparatorio per il palazzo del Ke<strong>di</strong>vè al Cairo. c.<br />
1872-1876. Tempera su carta. Bologna, Galleria d’Arte moderna<br />
Dopo aver attentamente scorso ed analizzato le opere egiziane del decoratore<br />
bolognese, si può notare come egli seppe rinnovare il proprio stile, abbandonando<br />
quel repertorio decorativo, fatto <strong>di</strong> revival stilistici, che rischiava <strong>di</strong> venire<br />
riproposto in modo meccanico nelle <strong>di</strong>verse commissioni; il contatto con una<br />
cultura così <strong>di</strong>fferente da quella italiana, come è quella islamica e la presenza <strong>di</strong> un<br />
mecenate aperto nell’accettare nuove soluzioni decorative furono, quasi sicuramente,<br />
le motivazioni che portarono Lo<strong>di</strong> a questa evoluzione artistica.<br />
L’attento stu<strong>di</strong>o della corrispondenza <strong>di</strong> Gaetano ha potuto evidenziare la sua<br />
presenza all’interno <strong>di</strong> un’altra residenza del Cairo: durante il 1873 egli soggiornò<br />
presso il commendatore Pietro Cicolani, per cui portò a termine importanti opere<br />
<strong>di</strong> pittura 25 , delle quali si hanno solamente riferimenti scritti ma non visivi; si<br />
trattava <strong>di</strong> quattro corridoi, un salotto ed un atrio 26 .<br />
25 Lettera in<strong>di</strong>rizzata al sig. Cicolani <strong>di</strong> Livorno, 19 gennaio 1873, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />
26 Richiesta <strong>di</strong> pagamento <strong>di</strong> Lire 34.000 al sig. Cicolani, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />
43
44<br />
L’ultimo anno in terra egiziana, il 1876 27 , fu per Lo<strong>di</strong> piuttosto duro, poiché non<br />
si vedeva recapitare, da parte del Ke<strong>di</strong>vè, i compensi dovuti e desiderava enormemente<br />
tornare dalla propria famiglia in Italia 28 : “… le commissioni erano però<br />
in altri termini, ora tutto è speculazione … ma in un modo che l’artista vero non<br />
può vivere e ti <strong>di</strong>rò francamente che non veggo l’ora <strong>di</strong> aver terminato i miei<br />
impegni per tornarmene in Italia.” 29<br />
Fortunatamente non si perse mai d’animo, anche grazie alle continue offerte <strong>di</strong><br />
lavoro che ricevette 30 , tra cui la proposta, fattagli dal sindaco <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, <strong>di</strong><br />
decorare il nuovo teatro in via <strong>di</strong> costruzione, e che Gaetano, spinto dal forte<br />
legame che sempre mantenne con il proprio luogo natio, accettò con orgoglio.<br />
Le sfide per Gaetano non si erano ancora concluse, poiché dopo aver portato a<br />
termine l’opera pittorica nella platea crevalcorese e ottenuto la cattedra <strong>di</strong> ornato<br />
presso la scuola speciale <strong>di</strong> ornato dell’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti <strong>di</strong> Bologna, accettò<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>rigere la nuova sezione artistica della Cooperativa “Ceramica <strong>di</strong> Imola” 31 ;<br />
la storia <strong>di</strong> questa società è quella <strong>di</strong> una parte dell’Italia lavoratrice che all’alba<br />
dell’unificazione sentì la necessità <strong>di</strong> dare una svolta alla propria storia.<br />
Al contrario <strong>di</strong> paesi come l’Inghilterra o la Francia, in cui si incentivava ampiamente<br />
l’impren<strong>di</strong>toria industriale, in Italia tutto era ancora <strong>di</strong>sorganizzato, e vincolato<br />
da una tra<strong>di</strong>zione quasi del tutto agricola.<br />
All’inizio fu “fabbrica <strong>di</strong> maioliche e stoviglie” coraggiosamente fondata dalla<br />
famiglia Bucci; quando Giuseppe ne assunse la <strong>di</strong>rezione (era il 1871) intuì che<br />
l’azienda necessitava <strong>di</strong> una svolta in senso cooperativo. Nel 1875 i soci firmarono<br />
il Patto <strong>di</strong> fratellanza in cui si superava l’interesse in<strong>di</strong>viduale per tendere ad un<br />
miglioramento morale e materiale.<br />
Convinti sostenitori della necessità <strong>di</strong> una legge <strong>di</strong> tutela nei riguar<strong>di</strong> del lavoro<br />
minorile, i primi soci istituirono una scuola serale <strong>di</strong> alfabetizzazione, così da<br />
educare correttamente le nuove generazioni e contemporaneamente formarle dal<br />
punto <strong>di</strong> vista lavorativo.<br />
27 Consolato d’ Italia al Cairo: certificato <strong>di</strong> nazionalità per l’ anno 1876, <strong>Crevalcore</strong>, Archivio<br />
storico<br />
28 Numerose sono le lettere inerenti i problemi <strong>di</strong> pagamento, scritte durante il 1876, Archivio<br />
Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />
29 Lettera in<strong>di</strong>rizzata al sig. Busi, 24 settembre 1876, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />
30 Gli venne commissionato il restauro <strong>di</strong> un teatro <strong>di</strong> Livorno: Lettera dell’ ottobre 1876, Archivio<br />
Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />
31 Ravanelli Guidotti C., Gaetano Lo<strong>di</strong> (1830-1886): un “ornatista” per l’arte della ceramica, in “Faenza”,<br />
n 1-6, LXVII, 1981, pp. 83-91
Nel giro <strong>di</strong> pochi anni l’associazione <strong>di</strong> Imola <strong>di</strong>venne un punto <strong>di</strong> riferimento<br />
per le nascenti cooperative italiane. A darle rinomanza nazionale avevano contribuito<br />
le <strong>di</strong>verse esposizioni a cui la società partecipò con grande successo: a Milano<br />
nel 1881, a Imola nel 1883 e a Torino nel 1884, dove i soci ricevettero<br />
<strong>di</strong>verse medaglie per meriti <strong>di</strong> produzione.<br />
La vera novità e la grande svolta fu la creazione <strong>di</strong> una sezione autonoma, quella<br />
artistica, fondata nel 1882, dotata <strong>di</strong> un proprio regolamento e avente come<br />
<strong>di</strong>rettore il professor Gaetano Lo<strong>di</strong>. Egli non percepiva alcuno stipen<strong>di</strong>o, gli<br />
spettavano solo compensi e rimborsi spese in caso <strong>di</strong> spostamenti; la sua non era<br />
un’occupazione costante, poiché già era impegnato nell’incarico all’Accademia<br />
del capoluogo. Certo gli veniva riconosciuta grande stima come artista, e la sua<br />
maniera così eclettica portò a Imola un’ondata <strong>di</strong> novità.<br />
L’incontro con la ceramica per Lo<strong>di</strong> era avvenuto in anni giovanili quando, arrivato<br />
a Bologna ventenne, frequentò i corsi <strong>di</strong> decorazione all’Accademia Pontificia<br />
e fece pratica <strong>di</strong> bottega sotto l’allora illustre professor Giuseppe Manfre<strong>di</strong>ni.<br />
In città conobbe anche Angelo Minghetti, uno dei più importanti produttori <strong>di</strong><br />
terraglie 32 bolognesi e fu con questo materiale che Gaetano realizzò i suoi primi<br />
lavori su cui appose decorazioni a motivo floreale. Lavorò sempre adottando<br />
una tecnica pittorica leggera, con ricche sfumature <strong>di</strong> colore condotte in modo<br />
abbozzato. La sua notevole capacità decorativa gli fece avere un’importante lavoro<br />
nell’ambito delle ceramiche: come si ricordava in precedenza, collaborò all’esecuzione<br />
dei bozzetti per il servizio commissionato dal Ke<strong>di</strong>vè, i quali venivano<br />
puntualmente inviati allo stabilimento Ginori nei pressi <strong>di</strong> Firenze perché fossero<br />
realizzati in porcellana.<br />
L’incontro che il decoratore ebbe con l’arte egiziana produsse uno sviluppo della<br />
sua creatività davvero esplosivo che, nell’ambito della ceramica, si nota dalla serie<br />
<strong>di</strong> opere in stile esotico realizzate a Imola tra il 1883 e 1886, anno della sua morte<br />
(fig. 9). Nell’ultimo periodo della vita si de<strong>di</strong>cò con devozione sia alla creazione <strong>di</strong><br />
piatti, coppe e tazze per la propria famiglia o come dono per gli amici, dove si<br />
nota un tratto pittorico <strong>di</strong> notevole sensibilità moderna, sia alla pratica dell’insegnamento<br />
che pare essere stata per lui una vera vocazione.<br />
Il 26 luglio del 1883 il cavalier Lo<strong>di</strong> venne nominato <strong>di</strong>rettore della sezione artistica,<br />
nonché socio onorario, atto testimoniato dal <strong>di</strong>ploma decorato a china, dallo<br />
stesso insignito, con motivi <strong>di</strong> fiori e insetti 33 . Il Regolamento della sezione, che<br />
32 Voce “ceramica” in, Enciclope<strong>di</strong>a dell’ arte, Tanga S., (a cura <strong>di</strong>), Novara 1992, p. 240: per terraglia<br />
si intende un materiale costituito da terra fine bianco-avorio coperta <strong>di</strong> vernice piombifera (sabbia<br />
silicea e ossido <strong>di</strong> piombo) trasparente.<br />
33 Diploma <strong>di</strong> nomina… 26 luglio 1883, Archivio Lo<strong>di</strong>-Vettori<br />
45
46<br />
venne definitavene redatto ed approvato alla fine dello stesso anno con vali<strong>di</strong>tà<br />
retroattiva, stabiliva l’uniformità <strong>di</strong> intenti con il resto della cooperativa pur rimanendone<br />
staccata, e concedeva molta flessibilità <strong>di</strong> movimenti al proprio <strong>di</strong>rettore<br />
(<strong>di</strong>versi punti dello Statuto furono creati su misura del Lo<strong>di</strong>, poiché non residente<br />
a Imola).<br />
I numerosi pezzi che sono conservati nel Museo della Cooperativa mostrano<br />
l’enorme versatilità e il senso totale per la decorazione che Gaetano mantenne<br />
inalterato negli anni, continuando a toccare <strong>di</strong>versi stili <strong>di</strong> ornamenti dal pompeiano<br />
al turco al persiano. Da una lettera 34 risulta evidente come molti lavori venissero<br />
svolti dai pittori della sezione artistica sulle sole in<strong>di</strong>cazioni del <strong>di</strong>rettore, quin<strong>di</strong> è<br />
risultato arduo, in alcuni casi, la <strong>di</strong>retta attribuzione <strong>di</strong> opere al Professore.<br />
“Dice bene nella sua lettera che bisogna andare avanti colla velocità dell’elettrico.<br />
Diversamente c’è il pericolo per tutti <strong>di</strong> non riuscire a nulla <strong>di</strong> buono […] la<br />
nostra fortuna e il nostro avvenire <strong>di</strong>pendono da battesimo che ci verrà dato<br />
dall’Esposizione <strong>di</strong> Torino […] un’occasione come quella che ci offre l’Esposizione<br />
<strong>di</strong> Torino, Dio sa quando ci capiterà più” 35 .Con queste parole un assistente<br />
scriveva al Lo<strong>di</strong> il 27 ottobre 1883, quando i fermenti per i preparativi erano<br />
molto evidenti. L’occasione, per la Cooperativa <strong>di</strong> Imola, fu davvero <strong>di</strong> enorme<br />
importanza per potersi far conoscere a livello internazionale. Il Lo<strong>di</strong> faceva recapitare,<br />
dal suo stu<strong>di</strong>o all’Accademia, numerosi bozzetti per opere da farsi in previsione<br />
dell’evento, tra cui il piatto <strong>di</strong> grande formato con il ritratto <strong>di</strong> Vittorio<br />
Emanuele II da offrire alla regina Margherita (fig. 10); l’opera fu notata dalla<br />
critica che si espresse in tal modo: “All’Esposizione <strong>di</strong> Torino domenica è stato<br />
acquistato dal Principe Amedeo il piatto con il ritratto <strong>di</strong> Vittorio Emanuele della<br />
fabbrica Società Ceramica <strong>di</strong> Imola, ove per la parte artistica è <strong>di</strong>rettore il prof.<br />
Cavaliere Gaetano Lo<strong>di</strong>. Ciò torna a molto onorevole decoro della fabbrica<br />
stessa e dell’egregio suo Direttore” 36 .<br />
Per le giornate torinesi fu progettato e realizzato inoltre un grande piatto da<br />
pompa con la <strong>di</strong>citura “Esposizione Generale <strong>di</strong> Torino 1884” a mo’ <strong>di</strong> cartiglio<br />
sotto lo stemma sabaudo completamente incoronato da una folta composizione<br />
floreale, volto chiaramente ad ingraziarsi i consensi della giuria.<br />
Quanto stesse a cuore al Lo<strong>di</strong> la partecipazione della Cooperativa all’Esposizione<br />
lo si nota dall’intensificarsi della corrispondenza che egli scambiò con numerosi<br />
34 La lettera è pubblicata in: Ravanelli Guidotti C., Gaetano Lo<strong>di</strong> (1830-1886): un “ornatista” per l’arte<br />
della ceramica, in “Faenza”, n 1-6, LXVII, 1981, pp. 83-91. nota 71, p. 131<br />
35 Ibid., p. 57<br />
36 Ibid., p. 68
conoscenti che risiedevano nella città piemontese e a cui egli chiedeva giu<strong>di</strong>zi e<br />
consigli. Tito Azzolini, membro del collegio giu<strong>di</strong>cante, espresse all’amico grande<br />
ammirazione per come fosse riuscito ad elevare il lavoro dei ceramisti ottenendo<br />
risultati <strong>di</strong> pregevole fattura e lo avvisava dell’assegnazione <strong>di</strong> una medaglia d’argento<br />
per i progressi fatti 37 .<br />
Le ultime composizioni mostrano sostanziali mutamenti dello stile decorativo <strong>di</strong><br />
Gaetano Lo<strong>di</strong>: le superfici sono prive <strong>di</strong> spazi vuoti, gremite <strong>di</strong> elementi, soprattutto<br />
fiori intrecciati come in giungle, realizzati con un tratto sempre più evanescente<br />
e stilizzato, erano fiori da pareti, da piatti, non elementi della natura, sintomo<br />
che il germe dello “stile floreale”, che si <strong>di</strong>ffuse a Bologna agli inizi del Novecento,<br />
in lui era già pienamente presente.<br />
Di grande interesse è stato il ritrovamento <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> appunti privati che il<br />
professor Lo<strong>di</strong> probabilmente utilizzò durante alcune lezioni teoriche presso la<br />
cooperativa imolese: cinquantasette fogli non rilegati, pieni <strong>di</strong> cancellature, annotazioni<br />
e non catalogati, sono rimasti per troppo tempo entro un raccoglitore<br />
dell’Archivio Storico del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> 38 .<br />
Il manoscritto fu un gra<strong>di</strong>to dono al paese <strong>di</strong> origine dell’artista da parte <strong>di</strong> un<br />
pronipote, il signor Luca Vettori: poche persone ne conoscevano l’esistenza o in<br />
pochi se ne ricordavano.<br />
Meticolosamente numerati, come era abitu<strong>di</strong>ne del Lo<strong>di</strong>, nella parte in alto a<br />
sinistra del foglio con l’uso <strong>di</strong> inchiostro <strong>di</strong> colore rosso, presentano altri elementi<br />
apposti con la medesima tinta, come annotazioni a lato del testo o titolazioni. La<br />
parte scritta, con inchiostro nero, lascia sulla sinistra della pagina uno spazio vuoto,<br />
che in venti fogli è riempita con <strong>di</strong>segni esplicativi dell’argomento trattato:<br />
alcuni sono realizzati con il solo uso del tratto a china, altri (conservati in sei fogli)<br />
presentano colorazioni a tempera.<br />
Questi scritti dovevano servire al Lo<strong>di</strong> come materiale <strong>di</strong>dattico, come appunti<br />
me<strong>di</strong>ante i quali mostrare alla classe <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>sti le <strong>di</strong>verse modalità sulle tecniche<br />
pittoriche <strong>di</strong> decorazione su muro.<br />
Il manoscritto è sud<strong>di</strong>viso in tre progressive lezioni che vanno dalle prime definizioni<br />
<strong>di</strong> materiali, colori e <strong>di</strong> semplici calcoli geometrici, fino all’uso delle tinte<br />
secondo <strong>di</strong>verse tecniche pittoriche (ad affresco, a calce, a colla, a matto, etc.),<br />
all’applicazione delle foglie d’oro.<br />
L’intero corpo è una testimonianza assai preziosa sulla situazione tecnico-artistica<br />
37 Ibid., p. 73<br />
38 Lo<strong>di</strong>, Lezioni teorico-pratiche <strong>di</strong> tecniche <strong>di</strong> decorazione, 1882, <strong>Crevalcore</strong>, Archivio storico<br />
47
48<br />
alla fine del XIX secolo in ambito bolognese. Le parole pronunciate dal professore<br />
non erano rivolte a un gruppo <strong>di</strong> giovani e promettenti artisti ma ad artigiani<br />
specializzati nella lavorazione della ceramica, ad imbianchini che nei momenti <strong>di</strong><br />
sosta dall’impiego (le lezioni si svolgevano <strong>di</strong> domenica) cercavano <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re<br />
la propria conoscenza pittorica, come si denota dalle parole del professore:<br />
“ … fate poco ma fate bene e non fate come certi pittorocchi che vogliono fare<br />
dell’arte che fa metà [...] lasciate fare agli artisti l’arte e le cose serie, e così vedrete<br />
che ve la caverete bene sotto ogni rapporto.” 39<br />
Si ricor<strong>di</strong> che la considerazione verso gli operai e le cooperative sociali era cambiata<br />
già dall’inizio del secolo, che il concetto <strong>di</strong> arte si era <strong>di</strong> molto <strong>di</strong>latato ed<br />
aveva cominciato ad entrare negli oggetti <strong>di</strong> uso quoti<strong>di</strong>ano; l’arte iniziava a dover<br />
<strong>di</strong>videre la propria posizione sul po<strong>di</strong>o con la presenza <strong>di</strong> manufatti seriali.<br />
Vennero stampati in quegli anni anche corsi <strong>di</strong> decorazione per corrispondenza,<br />
come “Il piccolo artista” o l’“ABC del <strong>di</strong>segno” 40 : erano costituiti da un unico<br />
foglio piegato in quattro su cui venivano raffigurati modelli <strong>di</strong> ornato da copiare,<br />
come tralci <strong>di</strong> vite, capitelli e fiori d’acanto.<br />
Furono, questi, anni <strong>di</strong> fermento e <strong>di</strong> passaggio da un uso esclusivo <strong>di</strong> tecniche e<br />
materiali artigianali ai prodotti usciti dalle industrie: <strong>di</strong>fficile infatti comprendere<br />
cosa il Lo<strong>di</strong> pre<strong>di</strong>ligesse poiché si formò in un ambiente come quello dell’Accademia<br />
bolognese non troppo incline a rapide evoluzioni, ma l’esperienza, i numerosi<br />
viaggi che effettuò durante la vita e il ritrovamento <strong>di</strong> alcuni fogli 41 mostrano<br />
che egli precorreva senza alcuna remora il proprio tempo. Come ricorda Vincenzo<br />
Gherol<strong>di</strong>, la volontà <strong>di</strong> rinnovamento e il vincolo con la tra<strong>di</strong>zione sono veri<br />
problemi nello stu<strong>di</strong>o delle tecniche, poiché i decoratori in quell’epoca si trovarono,<br />
nel giro <strong>di</strong> pochi anni, a <strong>di</strong>sposizione prodotti <strong>di</strong> poco costo che permisero<br />
realizzazioni molto rapide e facilitate, ottenendo risultati <strong>di</strong> livello <strong>di</strong>screto, cosa<br />
che fino allora avrebbe richiesto grande abilità. 42<br />
Al foglio 3 (fig. 12) Lo<strong>di</strong> fa cenno dell’uso del latte <strong>di</strong>luito in acqua da porre sul<br />
muro come rime<strong>di</strong>o per un’imprimitura troppo forte: questa modalità fa parte<br />
<strong>di</strong> usi e ricette dettati dalla tra<strong>di</strong>zione e dall’esperienza; come ricorda Gherol<strong>di</strong> il<br />
latte funge da fissativo e isolante ed evita che la pittura scrosti, molto usato era<br />
anche come lucidante per le pitture a tempera. Ecco che l’orizzonte della storia fa<br />
39 Lo<strong>di</strong>, 1882, foglio 34.<br />
40 Gherol<strong>di</strong> V., Tra<strong>di</strong>zione e innovazione. Due seminari sui comportamenti tecnici dei decoratori e decoratrici<br />
fra storia, industria e artigianato senza tempo, Mantova 1997.<br />
41 Listino prezzi della <strong>di</strong>tta <strong>di</strong> colori inglese “Reeves and sons”, <strong>Crevalcore</strong>, Archivio Storico<br />
42 Gherol<strong>di</strong> V., Tra<strong>di</strong>zione e innovazione..., cit.
(fig. 10) Piatto celebrativo con il ritratto <strong>di</strong> Vittorio Emanuele II, maiolica policroma; sul bordo del<br />
cavetto vi è la scritta in caratteri epigrafici IX GENNAIO MDCCCLXXXIV. Eseguito presso la<br />
Cooperativa Ceramica <strong>di</strong> Imola. Nel medaglione centrale è firmato Prof. Lo<strong>di</strong>. Firenze, Coll. Lo<strong>di</strong>-<br />
Focar<strong>di</strong> Abbondanti. Simile a questo doveva essere il piatto acquistato dal principe Amedeo presso<br />
l’esposizione <strong>di</strong> Torino.<br />
49<br />
(fig. 9) “Fantasia egizia”,<br />
maiolica policroma;<br />
piatto eseguito<br />
presso la Cooperativa<br />
Ceramica <strong>di</strong><br />
Imola nel 1884. Nel<br />
medaglione centrale è<br />
firmato Prof. Lo<strong>di</strong>. Firenze,<br />
Coll. Lo<strong>di</strong>-<br />
Focar<strong>di</strong>
50<br />
il proprio ritorno sopra nuove e più rapide soluzioni portate dall’evoluzione tecnica.<br />
Sulla stessa linea si mostrano gli impieghi <strong>di</strong> olio <strong>di</strong> lino cotto, al foglio 5,<br />
come isolante per l’umi<strong>di</strong>tà o quello del blan medosir (bianco medone 43 ) al foglio<br />
21.<br />
Ai propri allievi il Lo<strong>di</strong> portò un bagaglio <strong>di</strong> conoscenze e nozioni che egli aveva<br />
pienamente assimilato nei lunghi anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e soprattutto <strong>di</strong> insegnamento<br />
all’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti come or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> ornato; qui la biblioteca era molto<br />
fornita dei testi che avevano delineato i tratti principali <strong>di</strong> teoria e pratica pittorica<br />
nei secoli ed egli doveva averne un <strong>di</strong>retto e rapido accesso: si può immaginare,<br />
anzi, che alcuni fondamentali trattati si trovassero <strong>di</strong> norma posti sopra la sua<br />
scrivania. Giorgio Vasari, Andrea Pozzo e Francesco Milizia sono ben riconoscibili,<br />
negli appunti del professore, come fonti: in alcuni casi si tratta della ripresa <strong>di</strong><br />
nozioni e concetti che da sempre avevano costituito le basi della pratica artistica e<br />
che quin<strong>di</strong> erano largamente con<strong>di</strong>visi, in altri si tratta dell’influenza <strong>di</strong> nozioni ben<br />
specifiche, per le quali si ritrovano infatti frasi riprese testualmente dai trattati<br />
menzionati. Per sei fogli, poi, è ad<strong>di</strong>rittura il modo <strong>di</strong> impaginazione e <strong>di</strong> costruzione<br />
della struttura del testo ad essere ripreso: dal settimo al do<strong>di</strong>cesimo Lo<strong>di</strong><br />
parla <strong>di</strong> come preparare, dal punto <strong>di</strong> vista geometrico, le pareti e i soffitti prima<br />
<strong>di</strong> apporvi la pittura; si nota la totale ripresa del metodo dall’opera <strong>di</strong> Padre<br />
Pozzo “Perspectiva pictorum et architectorum”, con la spiegazione del modo <strong>di</strong><br />
operare svolta attraverso l’uso <strong>di</strong> un linguaggio colloquiale e la <strong>di</strong>mostrazione<br />
grafica a lato, sulla sinistra della pagina. Tutto il trattato del pittore della Chiesa <strong>di</strong><br />
S. Ignazio fu per la cultura emiliana della quadratura un testo <strong>di</strong> grande rilievo fino<br />
alla fine del Ottocento. 44<br />
; e così soprattutto dalla sezione finale dell’opera, intitolata “Breve istruzione sul<br />
<strong>di</strong>pingere a fresco”, il nostro professore riprese il modo <strong>di</strong> classificare i colori per<br />
lavorare sia a calce che ad affresco 45 .<br />
43 Bianco medone: noto anche come bianco <strong>di</strong> Spagna, è una polvere finissima <strong>di</strong> carbonato <strong>di</strong> calce<br />
venduta in pani, da ad<strong>di</strong>zionarsi a colla solubile in acqua. Si usava come legante per colori prima<br />
dell’ avvento <strong>di</strong> prodotti industriali; si veda, Gherol<strong>di</strong> V., Tra<strong>di</strong>zione e innovazione. Due seminari sui<br />
comportamenti tecnici dei decoratori e decoratrici fra storia, industria e artigianato senza tempo, Mantova<br />
1997, p. 27<br />
44 Pozzo, perspectiva pictorum et architectorum. 1° e<strong>di</strong>zione in latino, de<strong>di</strong>cata all’ Imperatore Leopoldo<br />
I, con 22° tavole incise, 2 voll., Roma 1693-1702; vi è aggiunta una Breve istruzione per <strong>di</strong>pingere a<br />
fresco, (ed. cit., Roma 1741-1758) 2 voll; altre e<strong>di</strong>zioni: Roma 1770; Roma 1717; Roma 1723;<br />
Roma 1737; Roma 1764; Roma 1798<br />
45 Lo<strong>di</strong>, 1882, foglio 22 e 23
Il linguaggio usato da Lo<strong>di</strong> è molto <strong>di</strong>retto e semplice, viene evitato l’uso <strong>di</strong><br />
articolazioni grammaticali complicate e manca in alcuni casi la punteggiatura; si<br />
può pensare che il motivo stesse nell’esigenza <strong>di</strong> rivolgersi ad un gruppo <strong>di</strong> allievi<br />
<strong>di</strong> cultura non eccellente o più verosimilmente nel fatto che il testo scritto fungeva<br />
solamente da promemoria per l’insegnante e come traccia per l’esposizione orale.<br />
Spesso il Lo<strong>di</strong> fa mostra della sua ampia conoscenza citando antichi trattati; e<br />
facendo questo gli capita anche <strong>di</strong> cadere in errore: nel foglio 35C egli parla <strong>di</strong> un<br />
famoso concetto vasariano attribuendolo a Leonardo da Vinci:<br />
“ e <strong>di</strong>ce benissimo Leonardo da Vinci che quelli che cercano <strong>di</strong> lavorare nel muro<br />
lavorino visibilmente a fresco e non ritocchino a secco, che oltre a essere cosa vilissima<br />
vi rende più corta la vita alle pitture.” 46<br />
Pare, ad ogni modo che egli volesse dare elevazione ed importanza a ciò che<br />
andava <strong>di</strong>cendo.<br />
Per quanto riguarda l’opera <strong>di</strong> Francesco Milizia il “Dizionario delle belle arti e<br />
del <strong>di</strong>segno” uscito nel 1797 si conosce già l’impatto che al suo comparire aveva<br />
avuto a Bologna. 47<br />
L’autore nelle proprie definizioni non mancava mai <strong>di</strong> fare riferimento alla natura<br />
e criticava duramente chi si limitasse alla pratica del copiare servilmente. Anche<br />
Lo<strong>di</strong> al foglio 14 delle proprie lezioni titolato “Quali sono le prime regole per<br />
<strong>di</strong>segnare la decorazione in pratica” mostra <strong>di</strong> aderire in pieno a questi principi e<br />
<strong>di</strong> aver sicuramente letto con interesse il “Dizionario”. Nei fogli 26 e 27 quando<br />
tratta <strong>di</strong> intonazioni <strong>di</strong> colori segue le parole del Milizia a proposito <strong>di</strong> armonia<br />
generale della composizione, raggiunta grazie all’impiego <strong>di</strong> tonalità dominanti.<br />
Sull’argomento delle armonie tra <strong>di</strong>verse gradazioni cromatiche che si vengono a<br />
formare nell’occhio dell’osservatore, il Lo<strong>di</strong> doveva aver letto un passo da qualche<br />
aggiornato trattato in cui si facesse riferimento ai rapporti tra l’arte e la fisiologia<br />
umana, magari un trattato <strong>di</strong> ottica; nelle lezioni si ritrovano infatti osservazioni<br />
su principi ottici che nei trattati dei secoli precedenti non venivano presi in<br />
considerazione, testimonianza <strong>di</strong> come nel giro <strong>di</strong> pochi decenni gli stu<strong>di</strong> si fossero<br />
sviluppati e <strong>di</strong> come il Lo<strong>di</strong> ne fosse a conoscenza.<br />
Un testo <strong>di</strong> fondamentale riferimento tecnico per l’analisi dei materiali durante<br />
l’Ottocento fu pubblicato a Milano nel 1833 da Lorenzo Marcucci col titolo:<br />
“Saggio analitico-chimico sopra i colori minerali e sul modo <strong>di</strong> procurarsi gli artefatti, gli smalti<br />
46 Ibid., foglio 35C<br />
47 Milizia, <strong>di</strong>zionario della belle arti del <strong>di</strong>segno, 2 voll., 1° e<strong>di</strong>z.: Bassano 1787, (ed. cit. Bologna 1822),<br />
altre e<strong>di</strong>zioni: Bassano 1797; Milano 1802; Bologna 1827<br />
51
52<br />
(fig. 11) G. Lo<strong>di</strong>: Lezione 1, foglio I, lezioni teorico-pratiche <strong>di</strong> tecniche <strong>di</strong> decorazione,<br />
1882, <strong>Crevalcore</strong> Archivio storico
(fig. 12) G. Lo<strong>di</strong>: lezione III, foglio 3: lezioni teorico-pratiche <strong>di</strong> tecniche <strong>di</strong> decorazione,<br />
1882, <strong>Crevalcore</strong> Archivio storico<br />
53
54<br />
e le vernici”. 48<br />
L’opera analizza un’ampia gamma <strong>di</strong> sostanze usate in ambito artistico svelandone<br />
composizioni chimiche e modalità per la produzione, anche attraverso l’uso <strong>di</strong><br />
tavole figurative. E’un punto fondamentale per comprendere come quelli furono<br />
anni <strong>di</strong> passaggio tra la manualità artigianale e i prodotti industriali: ad esempio<br />
dei pigmenti viene offerta la storia che essi ebbero nei secoli, i luoghi <strong>di</strong> importazione<br />
e i <strong>di</strong>fferenti usi che se ne fecero. Attraverso la lettura <strong>di</strong> queste pagine si<br />
sono potuti dare riferimenti più precisi alle lezioni del professor Lo<strong>di</strong>, anche a<br />
materiali <strong>di</strong> cui inizialmente sembrava <strong>di</strong>fficile comprendere l’origine.<br />
Attraverso questi stu<strong>di</strong> si sono potuti evidenziare aspetti fino ad oggi poco conosciuti<br />
della figura del crevalcorese Gaetano Lo<strong>di</strong>, mettendone in risalto la personalità<br />
artistica, la complessa attività decorativa, il valente insegnamento al <strong>di</strong> fuori<br />
delle ufficiali istituzioni accademiche, la varia cultura artistico-letteraria che lo rendono<br />
una figura degna <strong>di</strong> attenzione <strong>di</strong> quell’epoca <strong>di</strong> passaggio tra l’operare<br />
artistico tra<strong>di</strong>zionale e le nuove esigenze imposte dalle trasformazioni economico-sociali<br />
avvenute sullo scorcio del XIX secolo.<br />
48 Marcucci, L., Saggio analitico- chimico sopra i colori minerali e il modo <strong>di</strong> procurarsi gli artefatti, gli smalti<br />
e le vernici, Milano 1833
MASSIMO BALBONI<br />
Il territorio crevalcorese alla fine del ‘500:<br />
comunità, nobili e ban<strong>di</strong>ti.<br />
Alla fine del 1500 il controllo che lo Stato Pontificio cercava <strong>di</strong> imporre sul<br />
territorio bolognese era necessariamente limitato e circoscritto per l’inadeguatezza<br />
dei mezzi politici e militari a <strong>di</strong>sposizione e perché le autorità tendevano comunque<br />
ad esercitare un controllo parziale della vita dei sud<strong>di</strong>ti. Nelle società<br />
agrarie le comunità conta<strong>di</strong>ne, in circostanze normali, vivevano sotto un potere<br />
locale o regionale <strong>di</strong>retto e ben identificato, Signori in grado <strong>di</strong> mobilitare uomini<br />
e dare vita a sistemi <strong>di</strong> forza e protezione. Regni e Imperi erano visitatori occasionali:<br />
non avevano i mezzi per mantenere un controllo costante su tutte le popolazioni.<br />
Prima del 1800 ben pochi Stati europei erano in grado <strong>di</strong> controllare i<br />
propri confini, anche perché spesso i confini non erano ben delimitati. Nel 1600<br />
l’unico Stato in grado <strong>di</strong> mantenere un esercito nazionale permanente era l’Impero<br />
Ottomano. Un potere debole racchiudeva in se il germe del ban<strong>di</strong>tismo. I<br />
ban<strong>di</strong>ti sono, infatti, per definizione, fuori del potere costituito. In origine, bisogna<br />
ricordare, che i briganti non furono altro che membri <strong>di</strong> gruppi armati non<br />
appartenenti ad una forza regolare, che facevano del possesso delle armi uno<br />
strumento per conquistare il potere e il controllo sul territorio. Quando non esiste<br />
un potere forte in grado <strong>di</strong> mantenere l’or<strong>di</strong>ne, non serve fare appello all’or<strong>di</strong>ne<br />
pubblico, tanto più che il risultato spesso è <strong>di</strong> attirare sul posto una squadra <strong>di</strong><br />
soldati, spesso più dannosa dei ban<strong>di</strong>ti stessi. Pertanto chiunque aveva il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />
eliminare un fuorilegge, perché spesso l’autorità non era in grado <strong>di</strong> far valere le<br />
leggi nei suoi confronti. Raramente, come vedremo, il potere centrale rimase<br />
assente così a lungo da consentire ai capi ban<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> rimanere come attori principali<br />
nel territorio 1 .<br />
Gli anni ’80 del XVI secolo videro nel territorio bolognese un periodo <strong>di</strong><br />
lotte cruente tra due fazioni identificate come “guelfi” e “ghibellini”. Era la città<br />
<strong>di</strong> Bologna che alimentava queste lotte che si svolgevano soprattutto nella Bassa<br />
1 E. J. Hobsbawm, I ban<strong>di</strong>ti. Il ban<strong>di</strong>tismo sociale nell’età moderna, Torino, 2002<br />
55
56<br />
Stemma dei Pepoli<br />
pianura settentrionale e nella collina bolognese. Sono anni in cui si assiste ad una<br />
più accentuata centralità politica della città, dove si esprimono le riven<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong><br />
una nobiltà feudale agraria in crisi, in un momento <strong>di</strong> frattura sociale tra il vecchio<br />
mondo rurale e l’avvento della grande proprietà urbana.<br />
Tra XVI e XVII si assiste ad una convergenza <strong>di</strong> forti cambiamenti politici e<br />
gran<strong>di</strong> epidemie. Alle <strong>di</strong>verse élite a carattere locale si è andato via via<br />
sovrapponendo il dominio del Principe, capace <strong>di</strong> catalizzare <strong>di</strong>verse esigenze<br />
espresse dai partiti citta<strong>di</strong>ni. Si era passati, poi, dal dominio signorile a quello<br />
pontificio. Nella latitanza <strong>di</strong> potere dovuta ad antiche rivalità nobiliari, si vanno<br />
definendo nuovi meccanismi istituzionali, soprattutto le competenze senatoriali,<br />
legatizie e vescovili. Questa profondo stato <strong>di</strong> trasformazione trova un terreno <strong>di</strong><br />
scontro nelle proprietà “in<strong>di</strong>vise”, legate alla partecipanza e ai territori comuni 2 .<br />
La vasta ed attiva partecipazione dei signori feudali che, pur se non va<br />
sopravvalutata, fu sicuramente una caratteristica del ban<strong>di</strong>tismo della seconda<br />
metà del Cinquecento, era venuta meno alla fine del secolo. Riacquistate le posizioni<br />
prima perdute, in quel processo che generalmente è chiamato <strong>di</strong><br />
rifeudalizzazione e che, più recentemente, è stato definito come “processo <strong>di</strong><br />
aristocratizzazione legato ad un nuovo sviluppo della proprietà terriera” 3 , la<br />
nobiltà, come classe sociale, non aveva più motivazioni sufficienti per passare<br />
attivamente dalla parte dei ribelli e porsi alla loro guida. E’ noto che, pur se la<br />
nobiltà nel suo complesso, come classe, non aveva perso potere e prestigio, né il<br />
governo papale adottò mai una costante ed incisiva politica antisignorile, molte<br />
2 Alberta Toniolo, Territori In<strong>di</strong>visi. Una proposta <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sul ban<strong>di</strong>tismo cinquecentesco nell’area della<br />
Partecipanze modenesi e bolognesi, a cura <strong>di</strong> Euride Fregni, Terre e comunità nell’Italia Padana, Cheiron,<br />
anno VIII, n.14-15, II semestre 1990/ I semestre 1991, Brescia, pp. 175-185.<br />
3 P. Pro<strong>di</strong>, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna<br />
1982, p. 152.
Il Castello <strong>di</strong> Palata, da un volume <strong>di</strong> cabrei datato 1642 in cui sono registrati tutti i posse<strong>di</strong>menti<br />
<strong>di</strong> Odoardo Pepoli in territorio crevalcorese.Archivio storico <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>.<br />
famiglie nobili si trovarono in una situazione d’estrema <strong>di</strong>fficoltà finanziaria, mentre<br />
emersero nuove famiglie il cui successo aveva, tra le sue cause principali, la politica<br />
del nepotismo 4 .<br />
Sono anni in cui il controllo territoriale si manifesta attraverso il controllo<br />
economico delle risorse agricole, con opere <strong>di</strong> bonifica e razionalizzazione territoriale,<br />
e soprattutto con la completa riorganizzazione dell’assetto fon<strong>di</strong>ario della<br />
Bassa pianura e della collina bolognese. Nella montagna bolognese si sviluppa,<br />
infatti, un sistema agricole silvo-pastorale basato sull’in<strong>di</strong>vidualismo agrario, in cui<br />
è il ceto dei piccoli e me<strong>di</strong> proprietari ad usurpare i beni demaniali. Questo ceto<br />
sociale si sottrae al naturale indebitamento dovuto alla bassa red<strong>di</strong>tività dei fon<strong>di</strong><br />
frazionati e all’aumento delle tasse demaniali, attraverso perio<strong>di</strong>che prestazioni<br />
d’opera presso manifatture e botteghe urbane. E’ un ceto che col tempo tende<br />
poi a trasferirsi definitivamente in città, acquisendo la citta<strong>di</strong>nanza. La presenza<br />
del ceto <strong>di</strong> piccoli e me<strong>di</strong> proprietari rimane <strong>di</strong>ffusa anche nella pianura. Sono i<br />
territori in<strong>di</strong>visi <strong>di</strong> dominio nonantolano e vescovile, che subiscono la pressione<br />
<strong>di</strong> una parte dei proprietari citta<strong>di</strong>ni e comunali. Il motore della politica agraria sul<br />
territorio crevalcorese continua ad essere l’Abbazia <strong>di</strong> Nonantola, che abbandona<br />
la politica <strong>di</strong> sostegno delle comunità, attraverso la concessione in enfiteusi <strong>di</strong><br />
terreni comuni alle comunità stesse, sostituite dalle famiglie nobili bolognesi e<br />
modenesi, che avevano a <strong>di</strong>sposizione ingenti capitali da investire nelle bonifiche<br />
dei terreni.<br />
4 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.<br />
57
58<br />
Come risposta a questi movimenti si assiste all’istituzionalizzazione delle<br />
partecipanze, segnando il passaggio da un sistema socioeconomico all’altro, in<br />
un’azione propositiva e allo stesso tempo <strong>di</strong>fensiva. E’ messo in <strong>di</strong>scussione il<br />
possesso e la forma <strong>di</strong> utilizzo collettivo <strong>di</strong> aree che costituivano una sorta <strong>di</strong><br />
barriera geografica, tra territori coltivati e incolti, e tra <strong>di</strong>versi Stati, argine all’espansionismo<br />
aristocratico bolognese 5 .<br />
L’espansione dei Pepoli nel territorio crevalcorese inizia con una gran concessione<br />
fatta dall’abbazia <strong>di</strong> Nonantola nella metà del 1300, continuamente ampliata.<br />
Al 5 maggio 1505 risale il rinnovo della concessione enfiteutica ogni 29<br />
anni <strong>di</strong> 2000 biolche nel territorio del Secco fatta nel 1475. Era una grand’estensione<br />
<strong>di</strong> terra sud<strong>di</strong>visa in <strong>di</strong>verse parti separate l’una dalle altre, con <strong>di</strong>verse caratteristiche:<br />
una parte era già arabile con impiantati alberi da frutto, un’altra era<br />
boschiva, prativa e incolta. Il costo del rinnovo fu <strong>di</strong> 300 lire. La concessione fu<br />
poi confermata con una breve <strong>di</strong> papa Giulio II del 15 gennaio 1509. Del 1516<br />
è la notizia del consolidamento dei Pepoli nel territorio crevalcorese con la sud<strong>di</strong>visione<br />
dei beni fatta fra i cinque figli <strong>di</strong> Guido Pepoli: al conte Camillo furono<br />
affidate 1425 tornature con terra arabile, alberi e vite, a Galeazza, Palata e Bevilacqua;<br />
1763 terre “piscose et non piscose” a Cà dei Coppi e altre 537 tornature sparse<br />
nel crevalcorese; 673 tornature furono affidate al conte Alessandro in Valbona; al<br />
conte Filippo 4533 tornature, con abitazioni per i fattori e il mulino della Palata; a<br />
Girolamo furono affidate 1243 tornature <strong>di</strong> terra arativa con abitazioni sempre<br />
alla Palata 6 . È chiaro che l’area d’interesse dei Pepoli nel territorio crevalcorese era<br />
concentrata nella zona a nord del paese, quella non interessata dalla centuriazione<br />
romana, composta invece <strong>di</strong> piccole e me<strong>di</strong>e proprietà.<br />
Del 1518, scoppiò una lite presso la Rota <strong>di</strong> Roma tra il nuovo abate <strong>di</strong><br />
Nonantola, il car<strong>di</strong>nale Giuliano Cesarini, e i Pepoli per i posse<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> Galeazza,<br />
il cui possesso era ritenuto formalmente illegittimo. Pertanto se ne richiedeva la<br />
restituzione. I Pepoli insistevano sul fatto che le terre avute in enfiteusi erano<br />
completamente incolte, mentre quelle che avrebbero dovuto restituire erano fiorenti<br />
e rigogliose. Il nuovo abate Sertorio, considerando l’impossibilità <strong>di</strong> recuperare<br />
i titoli, ma riconoscendo che i Pepoli avevano effettivamente reso produttivi<br />
terreni incolti e paludosi attraverso ingenti opere d’irrigazione e valorizzazione,<br />
rinunciò alla lite riconoscendo la legittimità dei posse<strong>di</strong>menti ai Pepoli, rinnovan-<br />
5 Alberta Toniolo, Territori In<strong>di</strong>visi. Una proposta <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sul ban<strong>di</strong>tismo cinquecentesco nell’area della<br />
Partecipanze modenesi e bolognesi, a cura <strong>di</strong> Euride Fregni, Terre e comunità nell’Italia Padana, Cheiron,<br />
anno VIII, n.14-15, II semestre 1990/ I semestre 1991, Brescia, pp. 175-185.<br />
6 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.
do le concessioni dei territori della Galeazza e della Valbona, con un <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />
possesso quasi totale, eccetto la protezione dei boschi e delle peschiere, e il <strong>di</strong>vieto<br />
esplicito <strong>di</strong> creare fortilizi od opere <strong>di</strong> protezione. I Pepoli versarono 500 ducati<br />
d’oro, più il solito canone <strong>di</strong> 40 lire annuali. Il canone era puramente simbolico, in<br />
quanto una corba <strong>di</strong> frumento costava 4/5 lire. Retaggio degli antichi privilegi<br />
me<strong>di</strong>evali era l’obbligo <strong>di</strong> inviare all’Abbazia <strong>di</strong> Nonantola ad ogni nomina dell’abate<br />
uno sparviero e due cani bracchi. L’accordo fu imme<strong>di</strong>atamente ratificato<br />
“Motu proprio” dal papa Leone X 7 .<br />
Questa resa incon<strong>di</strong>zionata dell’Abbazia, suggellata imme<strong>di</strong>atamente da<br />
Roma, segna un momento fondamentale nella storia del territorio crevalcorese: si<br />
riconosce, infatti, ai Pepoli un <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> proprietà quasi esclusivo, se si esclude il<br />
limite della costruzione <strong>di</strong> fortilizi. Questo <strong>di</strong>vieto rimane il tentativo <strong>di</strong> evitare<br />
che queste zone <strong>di</strong>ventino feu<strong>di</strong> completamente autonomi e in<strong>di</strong>pendenti, anche<br />
dal punto <strong>di</strong> vista militare. Resistenza che durerà poco. Già nel 1532 l’abate Sartorio<br />
riconobbe ai Pepoli la facoltà <strong>di</strong> costruire fortilizi, con conferma <strong>di</strong> una breve del<br />
1538 <strong>di</strong> Paolo III. Ormai il territorio a nord <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> risulta essere interamente<br />
controllato dai Pepoli. Questi fortilizi, come vedremo, saranno poi la base<br />
operativa per i ban<strong>di</strong>ti controllati dai Pepoli. Il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> proprietà è ulteriormente<br />
ampliato per sistemare alcuni problemi <strong>di</strong> successione all’interno della famiglia<br />
dei Pepoli. Nel 1543 il rinnovo dell’enfiteusi comprendeva anche la possibilità <strong>di</strong><br />
trasferirla ai figli bastar<strong>di</strong> riconosciuti. Nel 1544 ampliarono i loro posse<strong>di</strong>menti<br />
con un altro terreno al Secco.<br />
Altre famiglie nobili agivano in questi anni nel territorio, ma in una fase<br />
d’arretramento rispetto all’espansione dei Pepoli: del 1531 è la breve <strong>di</strong> Clemente<br />
VII che conferma 700 biolche <strong>di</strong> terra al Secco agli ere<strong>di</strong> dei Bentivoglio 8 , che<br />
però già nel 1531 e nel 1544 cedettero al conte Filippo Pepoli il “Secco” e la<br />
“Giovannina”, per una valore complessivo <strong>di</strong> 13 mila lire bolognini. Erano tenute<br />
da duemila ettari, organizzate in possessioni e pezze, con case coloniche e<br />
e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> servizio. Interessante è vedere come anche la politica propria <strong>di</strong> qualche<br />
abate nonantolano che tenta <strong>di</strong> favorire qualche famigliare con nuove rilevanti<br />
concessioni è destinato a fallire: nel 1533 gli ere<strong>di</strong> Bentivoglio vendettero 763<br />
biolche del Secco al conte Giovanni Filippo Sartorio, cedute il 23 maggio 1533<br />
da Antonio Maria Sertorio abate <strong>di</strong> Nonantola in enfiteusi ventennale a Giovanni<br />
Filippo Sartorio, nobile modenese. Nel 1546 alla morte <strong>di</strong> quest’ultimo torna<br />
7 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />
8 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />
59
60<br />
tutto ai Bentivoglio e ai Bevilacqua. Verso la zona dei Ronchi operano poi<br />
in<strong>di</strong>sturbati i Caprara, mentre nella zona della Crocetta i Dell’Armi 9 .<br />
E’ soprattutto con le concessioni enfiteutiche da parte del monastero <strong>di</strong><br />
Nonantola che il patrimonio dei Pepoli <strong>di</strong>venta veramente considerevole: negli<br />
anni ‘80 <strong>di</strong>etro a corresponsioni puramente simboliche, formarono un patrimonio<br />
che raggiunse i 6 mila ettari, <strong>di</strong> campi appoderati, con una rete in crescita <strong>di</strong><br />
scoli, canali e strade. Il monastero favorisce la famiglia bolognese anche rispetto<br />
ad altri contendenti. Le concessioni del monastero si tramutarono in una giuris<strong>di</strong>zione<br />
autonoma de facto, dove i conti amministrano terre e uomini, comminano<br />
pene pecuniarie e corporali, danno rifugio a sgherri e ricercati aderenti alla parte<br />
guelfa. Le vaste possessioni <strong>di</strong> Galeazza, Palata, Valbona, Guisa e Cà de Coppi<br />
sono frutto delle opere <strong>di</strong> bonifica iniziate alla fine del XV secolo dal Conte<br />
Guido e proseguiti dai figli, nipoti e pronipoti. All’interno delle valli e delle selve<br />
i Pepoli hanno via via aperto macchie <strong>di</strong> terre emerse, inizialmente fazzoletti <strong>di</strong> 2/<br />
3 biolche destinati a lavorativo, sulle quali erano costruiti casoni <strong>di</strong> canne palustri,<br />
abitate da braccianti o affittuari. Dopo lo scavo dei “cavamenti” e “scoladuri”, le<br />
acque cedono progressivamente il posto ad ampi appezzamenti coltivati a frumento<br />
e organizzati secondo il sistema della piantata “bolognese”. Le partecipanze<br />
risentirono dell’espansione attuata dalla grande proprietà citta<strong>di</strong>na: la famiglia dei<br />
Pepoli procedendo nelle bonifiche attraverso la creazione d’infrastrutture costringe<br />
i partecipanti e il <strong>Comune</strong> a contribuire alla sua politica d’espansione con<br />
ingenti somme 10 . Nel 1550 il Conte Filippo Pepoli affermava <strong>di</strong> dover avere<br />
150 lire dal <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> per la realizzazione del Casamento. Il <strong>Comune</strong><br />
replicava <strong>di</strong> non averlo voluto, così come il canale del mulino e la sua manutenzione,<br />
lavori fatti a beneficio del Pepoli e non della comunità. Soprattutto il <strong>Comune</strong><br />
lamenta <strong>di</strong> non riuscire ad assumere uomini per i lavori comunali perché<br />
spaventati da soldati “amici e nemici”. Il 28 novembre 1550 il Ministro delle<br />
Acque <strong>di</strong> Bologna condanna il <strong>Comune</strong> al pagamento della cifra richiesta dal<br />
Pepoli 11 . Anche i partecipanti perdono via via il possesso e il controllo dei mulini<br />
comunitari, fino ad essere costretti a pagare pedaggi per il transito sulla strada<br />
fatta aprire dai Pepoli lungo la fossa Rangona.<br />
Sono le zone in cui, come abbiamo visto, la presenza <strong>di</strong> terre in<strong>di</strong>vise è più<br />
9 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />
10 Alberta Toniolo, Territori In<strong>di</strong>visi. Una proposta <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sul ban<strong>di</strong>tismo cinquecentesco nell’area della<br />
Partecipanze modenesi e bolognesi, in a cura <strong>di</strong> Euride Fregni, Terre e comunità nell’Italia Padana, Cheiron,<br />
anno VIII, n.14-15, II semestre 1990/ I semestre 1991, Brescia, pp. 175-185.<br />
11 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.
La razzia, particolare <strong>di</strong> una acquaforte <strong>di</strong> Jacques Callot appartenente alla serie Les Miseres Et<br />
Les Mal-Heures De La Guerre, Paris 1633. Nel XVI e nel XVII secolo spesso accadeva, e non solo<br />
in Italia, che grosse squadre <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>ti, costituite anche da militari sbandati, si dessero alla razzia<br />
e al saccheggio.<br />
<strong>di</strong>ffusa, e la comunità riparte perio<strong>di</strong>camente le terre comuni, composte da territori<br />
produttivi coltivati a fianco <strong>di</strong> vasti acquitrini e palu<strong>di</strong>, o le ren<strong>di</strong>te derivanti,<br />
tra gruppi specifici <strong>di</strong> famiglie. Le acquisizioni fon<strong>di</strong>arie dei Pepoli nel territorio<br />
prendevano avvio proprio dalle terre sommerse, chiamate per l’appunto “fon<strong>di</strong><br />
assenti”. Il progressivo controllo da parte dei Pepoli, attraverso il suo ramo<br />
senatorio, avviene essenzialmente attraverso investiture e locazioni enfiteutiche delle<br />
aree non <strong>di</strong>stribuite attraverso la gestione comunitaria. Nel giro <strong>di</strong> pochi decenni<br />
i Pepoli ampliarono in maniera considerevole i propri posse<strong>di</strong>menti a settentrione<br />
<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, inglobando proprietà d’antico impianto, in pratica già appoderate,<br />
attraverso una politica <strong>di</strong> totale controllo sul territorio, Stato nello Stato.<br />
Un debole tentativo <strong>di</strong> arrestare quest’espansione dei Pepoli a danno delle<br />
comunità rurali è fatta dalla Camera bolognese alla Camera Apostolica. Il contrasto<br />
tra i Pepoli e la comunità crevalcorese negli anni ’60 non verteva sull’entità del<br />
possesso, quanto piuttosto sulle forme.<br />
In questo ambiente operavano le bande <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>ti, contrapposti in guelfi e<br />
ghibellini, più compatte e agguerrite della pianura bolognese settentrionale, a ridosso<br />
dei confini con il ducato Estense. Nelle relazioni inviate a Roma, le stesse autorità<br />
citta<strong>di</strong>ne sono costrette ad ammettere che le loro giuris<strong>di</strong>zioni sono “occupate”<br />
da una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> delinquenti. Le comunità segnalano la necessità <strong>di</strong> “contrastare<br />
co’ ban<strong>di</strong>ti, assassini et ladri <strong>di</strong> campagna, che in grossissime squadre, sotto <strong>di</strong>versi capi,<br />
infestando il paese uccidendo, brugiando case e ville, taglieggiando.”. Le due armate che si<br />
muovono nel territorio crevalcorese sono capeggiate dalla famiglia dei Rascazzi,<br />
61
62<br />
che agiva in nome della fazione guelfa, appoggiata dai Pepoli e dai Dall’Armi,<br />
con base a Malacompra nel territorio centese nel Ducato Estense, e i Saccomanni,<br />
<strong>di</strong> Sant’Agostino, <strong>di</strong>retti dai Malvezzi, attraverso il Conte Pirro 12 . In particolare<br />
oltre alla presenza <strong>di</strong> proprietà sul nostro territorio dei Pepoli, bisogna segnalare<br />
che anche la famiglia Dell’Armi aveva numerosi posse<strong>di</strong>menti in zone a<strong>di</strong>acenti a<br />
quelli dei Pepoli, soprattutto nella zona della Crocetta. Del 1519 c’è una nota a<br />
favore <strong>di</strong> Francesco e Gaspare dell’Armi da parte del vice legato <strong>di</strong> Bologna che<br />
conferma i loro posse<strong>di</strong>menti. Ciò che traspare dalle fonti è che la famiglia si<br />
muove sul territorio protetta <strong>di</strong>rettamente da Bologna piuttosto che con appoggi<br />
dall’Abbazia nonantolana 13 .<br />
Che i Pepoli facessero una politica <strong>di</strong> controllo sul territorio anche confinante<br />
alla zona <strong>di</strong> Galeazza e Palata è evidente dagli interventi nella vicina Cento sulle<br />
faide citta<strong>di</strong>ne:<br />
Alli uintitre <strong>di</strong> maggio del’istesso anno (1543) un certo Giouanni della Mariona capo de’<br />
ban<strong>di</strong>ti, intrò dentro <strong>di</strong> Cento con uinticinque compagni al’improuiso, et hauendo preso li cantoni<br />
della piazza, andarono alla speciaria <strong>di</strong> Cesare Borgognoni, col quale haueuano inimicizia, et<br />
egli uedendoli uenire, usci fuori della bottega, et si pose à fugire, ma non andò molto lontano, che<br />
fu sopragiunto dalli nemici, che l’ammazzorono, et poi subito uscirono fuori dalla Terra, senza<br />
offender’alcun’altro. L’anno seguente mille cinquecento quaranta cinque (1546), fu fatta la pace<br />
tra queste due famiglie Don<strong>di</strong>ni, et Borgognoni, tra quali erano state grauissime inimicitie, et<br />
erano successi molti homici<strong>di</strong>j, et accioche longamente si douesse tra loro confessare amicitia, et uno<br />
non offendesse l’altro, il Conte Girolamo Pepoli ui s’interpose, et fece la sicurtà per l’una, et<br />
l’altra parte 14 .<br />
Negli ultimi anni del Cinquecento, come è noto, l’apporto del clero al<br />
ban<strong>di</strong>tismo fu rilevante. Numerosi autori hanno tentato <strong>di</strong> spiegare le cause del<br />
forte e <strong>di</strong>ffuso legame creatosi fra ecclesiastici e ban<strong>di</strong>ti negli ultimi anni del XVI<br />
secolo: le conclusioni non sono unanimi. Mentre alcuni hanno in<strong>di</strong>viduato nella<br />
corruzione del clero la motivazione principale che spinse un numero consistente<br />
<strong>di</strong> ecclesiastici dalla parte dei fuorusciti altri, ritenendo tale giu<strong>di</strong>zio insufficiente e,<br />
dunque, incapace <strong>di</strong> far comprendere il reale significato <strong>di</strong> questa partecipazione,<br />
affermano che tale legame vada interpretato nel quadro della “resistenza interna<br />
all’in<strong>di</strong>rizzo della Controriforma.” 15 . Le alte gerarchie ecclesiastiche ed il clero<br />
12 Alberta Toniolo, Territori In<strong>di</strong>visi. Una proposta <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sul ban<strong>di</strong>tismo cinquecentesco nell’area della<br />
Partecipanze modenesi e bolognesi, in a cura <strong>di</strong> Euride Fregni, Terre e comunità nell’Italia Padana, Cheiron,<br />
anno VIII, n.14-15, II semestre 1990/ I semestre 1991, Brescia, pp. 175-185.<br />
13 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />
14 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />
15 R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini (1585-1647), Bari 1967, pp. 71-81.
omano, la cui vita era caratterizzata da quello sfarzo e quel lusso tipici dei nobili<br />
e delle famiglie più ricche, erano completamente esterni a questa realtà. L’aiuto<br />
del clero ai ban<strong>di</strong>ti si concretizzò in varie forme: innanzi tutto, i conventi continuavano<br />
a praticare il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> asilo; inoltre gli ecclesiastici fornivano cibo e denaro<br />
ai fuorilegge. Va detto poi che i preti, come tutta la popolazione povera,<br />
finivano spesso in carcere e, oltre a commettere numerosi reati, avevano frequentemente<br />
in loro possesso armi proibite 16 . Rappresentativa <strong>di</strong> questa situazione è<br />
la banda capitanata dal Pretino Farioli, che imperversava nella zona tra il bolognese<br />
e il ferrarese:<br />
Alli cinque d’agosto un Mingone dè gigli, et uno detto il Pretino Fariolo con molti altri<br />
compagni armati intrarono la mattina in Cento, et essendo arriuati nella piazza uidero Alessandro<br />
Don<strong>di</strong>ni, et l’assaltarono, ma egli per esser solo, e <strong>di</strong>sarmato, e colto d’improuuiso, si pose<br />
à correre uerso il palazzo del gouernatore per saluarsi, et intrando dentro, e hauendo aperta la<br />
camera del carceriero, u’intrò, e subito chiuse la porta, ma alcuni <strong>di</strong> coloro corsero, et per la<br />
finestra li tirarono delle archibugiate, et egli ferito cadè in terra; il che udendo la moglie del<br />
carceriero tutta intimorita, apperse la porta per fugire, et quelli suoi nemici introrono dentro, et<br />
lo finirono d’amazzare co’i pugnali, et subito uscirono fuori dalla Terra, senza che li fosse dato<br />
fasti<strong>di</strong>o alcuno 17 .<br />
Nel 1563 un altro episo<strong>di</strong>o che si svolge a Cento e si chiude a Palata mostra<br />
chiaramente cosa avveniva normalmente in un episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>tismo dell’epoca:<br />
La moltitu<strong>di</strong>ne de’ban<strong>di</strong>ti, et l’inamicitia,ch’erano tra molti della Terra, causarono alcuni<br />
inconuenienti, poiche nel spatio <strong>di</strong> pochi giorni introrono in Cento due squadre d’huomini armati,<br />
et fecero delli homici<strong>di</strong>j; la prima fù <strong>di</strong> sedeci huomini, i quali al’improuiso uscendo fuori dalla casa<br />
<strong>di</strong> Bastiano Seghelli andarono in piazza, quiui ammazzarono uno, chiamato Chechino Marchetti<br />
Sartore; por pian piano senza <strong>di</strong>scummodarsi niente andarono alla porta della Chiusa, et<br />
uscirono fuori, senza essersi mossa persona alcuna; et questo fù alli undeci d’agosto. Alli <strong>di</strong>eci poi<br />
<strong>di</strong> settembre la mattina, ch’era finita la prima messa uscì <strong>di</strong> casa <strong>di</strong> Gio: Battista Accarisi una<br />
compagnia <strong>di</strong> <strong>di</strong>ciotto huomini armati <strong>di</strong> haste, et archibugetti da ruota con le faccie tutte tinte,<br />
e con le barbe pasticcie, et introrono in casa <strong>di</strong> Bernar<strong>di</strong>no Baruffal<strong>di</strong> notaio, e procuratore,<br />
ferinno à morte un Francesco Maria Grisenda, e poi si partirono in due parti, sette <strong>di</strong> loro<br />
andarono à pigliare la porta del molino, accio essi, e li compagni posessero uscire, et non fossero<br />
impe<strong>di</strong>ti, li altri undeci andarono per la Terra, et amazzarono un Carlo Antonio Spadaccini, et<br />
<strong>di</strong>edero delle ferite ad un nipote del Rettore della Chiesa <strong>di</strong> San Biasio, e lo lasciarono per morto,<br />
poi arriuorono al Cantone del Partio, et essendo usciti fuori <strong>di</strong> casa li Pasqualini, cominciorono à<br />
16 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.<br />
17 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />
63
64<br />
La Galeazza, da un volume <strong>di</strong> cabrei datato 1692 in cui sono registrati i posse<strong>di</strong>menti della famiglia Pepoli a<br />
Galeazza.Archivio Storico <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />
La Galeazza, la torre, gli e<strong>di</strong>fici rustici, il giar<strong>di</strong>no all’italiana; da un volume <strong>di</strong> cabrei datato 1692. Archivio<br />
storico <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>.
scaramucciare insieme, et hauendo li Pasqualini ferito uno <strong>di</strong> loro con un’archibugiata, e calcandoseli<br />
adosso arbitamente, furono causa, che coloro si leuorono <strong>di</strong> là, e portando uia il ferito,<br />
andarono alla porta del molino, et usciti fuori trouarono uicino à Reno un carro, e ue lo posero<br />
sopra, e lo fecero condur uia, e si <strong>di</strong>sse, che per strada era morto. Et perch’erano tardati<br />
alquanto, arriuorono dalla Palata molti ban<strong>di</strong>ti della parte contraria, i quali insieme con li<br />
Pasqualini, li Lamberti, et la corte se li misero <strong>di</strong>etro dandoli la caccia, et amazzarono ua’Hettore<br />
Miari capo <strong>di</strong> quella compagnia 18 .<br />
Ciò che è evidente da uno degli episo<strong>di</strong> più rilevanti del 1564 è che nel<br />
territorio compreso tra Palata, Cento, Finale e Sant’Agostino si creò un regno in<br />
pratica in<strong>di</strong>pendente, controllato dai Pepoli e, in parte, dai Bentivoglio. Il Duca <strong>di</strong><br />
Ferrara per cercare <strong>di</strong> comporre la faida tra le due parti chiede l’intervento dei<br />
Pepoli a Palata e dei Bentivoglio a Finale:<br />
Duca uoleua, che si pacificassero insieme; e dopò pochi giorni il Conte Fabio Pepoli, et<br />
Hettore Ariosti uennero alla Palata, et Cornelio Bentiuogli andò al Finale, e trattavano la pace<br />
tra quelle due famiglie de uecchi, et de Miari, et u’includeuano generalmente tutti li adherenti, et<br />
interessati cosi <strong>di</strong> Cento, come della Palata, del corpo <strong>di</strong> Reno, <strong>di</strong> santo Agostino, e tutti li altri,<br />
ch’erano fauoreuoli ad una <strong>di</strong> queste due parti, perche li Guelfi fauoriuano la parte de uecchi, et<br />
i Ghibellini la parte de’Miari; ma per allora non fù conchiusa la Pace; et la causa fù, perch’hauendo<br />
Cornelio Bentiuoglio mandati à chiamare Alberto Miari, che uenisse al Finale, per trattar seco<br />
sopra detta pace, detto Alberto fù assaltato dalla parte contraria alla Torre da cane, et li fù<br />
sparata un’archibugiata, qual non li colse, ma colse bene il suo seruitore, che li era uicino, et cadè<br />
morto 19 .<br />
È evidente che la volontà <strong>di</strong> raggiungere un accordo fu abilmente compromessa<br />
da un agguato che mirava a far saltare le trattative. Anzi la parte guelfa<br />
spinta dai Pepoli si fece più aggressiva e pronta ad una prova <strong>di</strong> forza:<br />
…Et una compagnia de ban<strong>di</strong>ti, cio è il Pretino Farioli, Mingone, et Alessandro de Gigli<br />
con li suoi compagni andarono ad una Colombara <strong>di</strong> Camillo Ferrari fatta in modo <strong>di</strong> fortezza<br />
su’l Bolognese nella uilla d’Asia, nella quale ui era un suo unico figliuolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci, ò dodeci anni,<br />
chiamato Fuluio, et hauendo detti ban<strong>di</strong>ti attaccato il fuoco alla prima porta, l’abbruggiorono,<br />
et affaticandosi per rompere un’altra porta, ch’era <strong>di</strong> ferro, quel figliuolo per sua mala sorte<br />
s’affaccio alla finestra, et uno <strong>di</strong> coloro gli tirò un’archibugiada, et l’amazzo. Et perche con lui<br />
detta colombara u’era un Giacomo delli Massari, quei ban<strong>di</strong>ti fecero tanto con le minaccie, e con<br />
buone parole, ch’egli aperse la porta <strong>di</strong> ferro, et essi intrati dentro, leuarono tredeci archibugi con<br />
molta munitione, e si partirono. Andaua talmente crescando l’audacia et l’isolenza de’ban<strong>di</strong>ti, che<br />
18 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />
19 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />
65
66<br />
non solo s’amazzauano tra <strong>di</strong> loro come nemici ma come ladri ancora andauano per le uille<br />
rubando bestie, et saccheggiando le case et amazzando chiunque se li opponeua, <strong>di</strong> modo che<br />
nessuno era sicuro dalle mani loro …. anzi si posero à far’una cosa essecranda e fù, che molestarono<br />
tutti quelli, ch’andauano in campagna per seminare, et non uoleuano, che si seminasse,<br />
hauend’essi questa pessima intentione, come <strong>di</strong>ceuano, che con questo modo uoleuano impe<strong>di</strong>re, che<br />
l’anno seguente non si raccogliesse cosa alcuna da uiuere, et cosi le genti morissero <strong>di</strong> fame 20 .<br />
Sembra ormai evidente l’intenzione <strong>di</strong> provocare una reazione, che <strong>di</strong>ventò<br />
una vera e propria prova <strong>di</strong> forza, che coinvolgeva non solo il Ducato Estense e<br />
lo Stato Pontificio, ma anche l’altra parte in causa, quella dei Ghibellini:<br />
… et perche ciò faceuano non solamente nello stato del Duca, ma anco sù’ l Bolognese, però<br />
il Duca, et il Gouernator <strong>di</strong> Bologna si accordarono insieme et mandorono li barigelli <strong>di</strong> Bologna,<br />
e Ferrara con li loro sbirri, et li caualli leggeri del Duca ad unirsi con la parte de’Miari, quali<br />
tutti insieme andarono alla Palata, et al primo arriuo amazzarono due fratelli della famiglia<br />
delli Occellatori, ciò è Luca, e Gio: Antonio, et uno de Farioli, et li altri ban<strong>di</strong>ti si ritirono<br />
dentro al palazzo della Palata, et alcuni altri fugirono, e si fecero forti nella Torre della Galeazza,<br />
quali tutti furono serrati, et asse<strong>di</strong>ati in detti luochi dalli sbirri, Miari, e caualli leggeri 21 .<br />
A questo punto vorrei ricordare come la concessione <strong>di</strong> costruire fortilizi<br />
nei territori dati in enfiteusi dall’abbazia <strong>di</strong> Nonatola aveva come scopo proprio<br />
quello <strong>di</strong> cui ci segnala il Bagni, creare uno stato autonomo per la fazione dei<br />
ban<strong>di</strong>ti guelfi. Lo scontro fu durissimo:<br />
… e acciò non li mancasse munitione da combattere, mandarono à Cento un Giulio<br />
Ferrari à pigliare molta quantità <strong>di</strong> poluere da schioppo, et mandorono à Bologna Gioseffo<br />
Ferrari detto Burattino quello che da Luca Occellatore fù ferito stando sù la finestra della<br />
prigione in Rocca, et con lui mandorono uno de’Canani del Finale ad auisare il Gouernatore, che<br />
li ban<strong>di</strong>ti erano chiusi nella Palata, e Galeazza, e però mandasse aiuto per poterli combattere, e<br />
pigliarli, ò amazzarli; onde furono comandati i soldati del Contado <strong>di</strong> Bologna, quali uennero in<br />
gran numero et circondarono quei luochi <strong>di</strong> modo che nessuno poteua ne uscirne ne entrarui. Vi<br />
sopragionse anco un Commissario del Papa con auttorità spetiale contro i ban<strong>di</strong>ti, il quale fece<br />
dar l’assalto, et alcuni ban<strong>di</strong>ti furono uccisi, et altri pigliati, et quelli ch’erano nella Palata furono<br />
condotti alla Galeazza, et iui posti prigioni, ou’erano anco Giouannino Lamberto, Angelo<br />
Pasqualini, Gio: Agostino Farioli, un uenetiano, et alcuni altri. Et hauendoui lasciato buona<br />
guar<strong>di</strong>a, il Commissario uenne à Cento, e passando per Malaffitto fece prendere Alissandro de’<br />
Gigli, e lo fece condor prigione nella Torre della Galeazza con li altri; et arriuato nella Terra,<br />
fece piglire Gio: Battista Accarisi, e due giouani <strong>di</strong> Gigli; et Giuliano de’Gigli, ch’era prigione<br />
20 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />
21 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.
qùi in Rocca, fù mandato dal Commissario à Bologna, et condotto dal barigello, e sbirri <strong>di</strong> quella<br />
Città,ma non passorono molti giorni, che fù ricondotto à Cento nel’istessa prigione <strong>di</strong> prima, e <strong>di</strong><br />
quà poi condotto à Ferrara con altri ban<strong>di</strong>ti 22 .<br />
È importante rilevare come l’intento del Governatore pontificio fosse <strong>di</strong><br />
sfruttare questo momentaneo momento <strong>di</strong> debolezza della parte guelfa per tentare,<br />
con un episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> vero terrorismo, <strong>di</strong> sra<strong>di</strong>care la base locale dei ban<strong>di</strong>ti,<br />
in<strong>di</strong>viduati nei pescatori della palude, tra l’altro un gruppo sociale ai margini della<br />
società a base agricola del periodo:<br />
Ritornato che fù il Commissario alla Palata, fece abbruggiare tutte le cappane, ò Casoni<br />
delli pescatori, ch’erano nella ualle, et fece pigliare Bartolomeo <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong> con alcuni altri, et poi ce<br />
citare tutti li capi <strong>di</strong> famiglia <strong>di</strong> quel Commune, che douessero comparire auanti <strong>di</strong> lui nel<br />
palazzo, quali furono essaminati sopra le cose de bàn<strong>di</strong>ti. Poi si partì, et fece condur molti ban<strong>di</strong>ti<br />
à Bologna, quali furono fatti morire, come meritauano. Et il Duca ne fece anc’egli condur<br />
molt’altri à Ferrara, de quali alcuni furono fatti morire, et confiscati li beni loro, et applicati alla<br />
Camera Ducale, et altri furono liberati 23 .<br />
Vittime e aggressori sono nemici tra loro: quelli che agiscono nel crevalcorese<br />
non sono ban<strong>di</strong>ti sociali ma delinquenti, che agiscono però con fortissimi legami<br />
locali nel territorio a nord del paese. Le bande <strong>di</strong> briganti non possono restare<br />
interamente fuori della società, ma intrecciano con essa una fitta rete <strong>di</strong> relazioni:<br />
mangiare, rifornirsi d’armi e munizioni, spendere il denaro frutto delle razzie. Sul<br />
territorio i ban<strong>di</strong>ti recuperano poi un altro bene prezioso per la loro sopravvivenza,<br />
le informazioni. La maggior parte dei ban<strong>di</strong>ti vive, a <strong>di</strong>fferenza degli abitanti<br />
sul territorio in cui operano, in un’economia monetaria. In realtà dal punto <strong>di</strong><br />
vista economico il ban<strong>di</strong>tismo alimenta una sfitta serie <strong>di</strong> parassiti senza avere una<br />
qualche ricaduta economica concreta. Il brigantaggio ha avuto la tendenza a <strong>di</strong>ventare<br />
endemico in epoche d’impoverimento e crisi economiche. Tutte le società<br />
conta<strong>di</strong>ne del passato erano abituate a carestie perio<strong>di</strong>che, perio<strong>di</strong> che inevitabilmente<br />
favorivano il brigantaggio 24 .<br />
Dagli avvenimenti dell’anno successivo (1564) è evidente che l’operazione<br />
militare contro i ban<strong>di</strong>ti abbia avuto un esito parziale, poiché i capi della fazione<br />
Guelfa erano rimasti illesi:<br />
Quando furono pigliati li ban<strong>di</strong>ti alla Palata, e alla Galeazza, alcuni della sua parte, cio<br />
è il Pretino Farioli, Mingnone de ‘Gilli, Pasino, et Cesare de Putti con tre altri, non si trouarono<br />
22 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />
23 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />
24 E. J. Hobsbawm, I ban<strong>di</strong>ti. Il ban<strong>di</strong>tismo sociale nell’età moderna, Torino, 2002<br />
67
68<br />
con loro, et hauend’inteso quanto era successo, stettero nascosi per un poco <strong>di</strong> tempo, ma in questo<br />
mese <strong>di</strong> marzo uscirono in campagna, et assaltando alla strada alcuni mercanti da Cento,<br />
ch’andauano al mercato <strong>di</strong> San Giouanni, li rubarono molti denari, et un Caualliero <strong>di</strong> casa<br />
Marescotti, che si trouaua à San Giouanni, hauend’inteso il fatto, congregò molti soldati <strong>di</strong><br />
quella Terra, e si pose à dar la caccia à detti ban<strong>di</strong>ti, quali essendo giunti al fiume Panara, per<br />
non restar prigioni del Caualliero, lasciarono li caualli, et alcune bagaglie, e portando seco li<br />
denari, si posero à nuoto, et passarano il fiume, et il Caualliero con la sua gente gli <strong>di</strong>ede la fuga<br />
sino alla Cà bianca, e non andò più auanti per non intrar nel Modenese; ma la parte de’Miari<br />
hauendo saputo, che costoro erano in quelle parti, si misero a seguitarli, ma non poteuano hauerli<br />
nelle mani. Et alli quatro d’aprile li soldati del battaglione <strong>di</strong> Bologna furono mandati a San<br />
Giouàni, e perchè s’hebbe saputo, che non uenissero a dan’i dello Stato del Duca <strong>di</strong> Ferrara,<br />
perchè si <strong>di</strong>ceua, ch’egli era stato citato à Roma sotto pena <strong>di</strong> scomunica per non hauer pagato il<br />
solito censo alla Chiesa, però qui in Cento si cominciorono à far le guar<strong>di</strong>e alle porte, et alla<br />
piazza; ma detti soldati al numero <strong>di</strong> trecento, andarono per gettar a terra, a spianar il palazzo<br />
della Palata, et la Torre della Galeazza, et hauendo leuato giù li coppi del tetto <strong>di</strong> detta Torre,<br />
uen’e un or<strong>di</strong>ne da Bologna, che ne li ritornassero, et si partissero, come fecero, e per questo si<br />
lasciò anco <strong>di</strong> far le guar<strong>di</strong>e in Cento 25 .<br />
Innanzitutto colpisce il numero (300) dei soldati che si mossero per <strong>di</strong>struggere<br />
il covo dei ban<strong>di</strong>ti Guelfi, alla Palata e alla Galeazza, e soprattutto che le<br />
influenze dei Pepoli a Bologna impe<strong>di</strong>rono la <strong>di</strong>struzione dei propri beni. Nel<br />
1566 si chiude anche l’epopea del Pretino Farioli: Il Duca desideroso <strong>di</strong> leuar totalmente<br />
li ban<strong>di</strong>ti, quali faceuano gran male in questi paesi, fece ogni sforzo per hauerli nelle mani, et<br />
hauendone fatto pigliar’alcuni, e particolarmente il Pretino Fariolo, ch’era capo principalissimo,<br />
et molti altri suoi compagni, li fece impiccare à Ferrara in più uolte, e poi li mandaua à Cento à<br />
squartare, et li questi erano posti in <strong>di</strong>uersi luochi fuori della Terra, et le teste loro furono poste<br />
alle porte, ma quella del Pretino Fariolo fù attaccata alli merli della Rocca 26 .<br />
Dai documenti risulta che ci fu una recrudescenza degli episo<strong>di</strong> negli anni<br />
’80 del 1500, anche con il passaggio nel nostro territorio <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>ti famosi, che<br />
operavano in più Stati:<br />
…In questo tempo (1584) erano in <strong>di</strong>uersi luochi d’Italia molti ban<strong>di</strong>ti, che tenneuano<br />
sotto sopra le Città, le Terre, e lor territorii, faccendo molti mali, et alcuni capi loro erano persone<br />
nobili, tra quali era il Conte Ottauio Auogadro nobile Bresciano, il quale alli tre<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> giugno<br />
uolend’intrare in Cento con quaranta caualli, fù impe<strong>di</strong>to dal Commissario, il qual’hauendo fatto<br />
porre in or<strong>di</strong>ne tutti li soldati ben’ armati, con molti caualli li <strong>di</strong>ede la fuga sino alla palazzina<br />
25 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />
26 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.
Felice Peretti, (1521-1590) da Grottammare (Ascoli<br />
Piceno) salì al soglio pontificio alla morte <strong>di</strong> Gregorio<br />
XIII nel 1585 col nome <strong>di</strong> Sisto V. Il suo governo si<br />
<strong>di</strong>stinse particolarmente nella repressione del ban<strong>di</strong>tismo.<br />
delli Androuan<strong>di</strong>, ma detto Conte comandò alli suoi, che non tirassero à nissuno con gli archibugi,<br />
e cosi non successe mal’alcuno. Et alli quindeci <strong>di</strong> settembre il Conte Girolamo Pepoli dopò la<br />
longa prigionia, ch’egli hebbe in Bologna per le false imputationi, che li furono date, uenne ad<br />
habitar’à Cento nella sua casa antica con la moglie e tutta la famiglia, ou’hebbe figliuli, e figliuole.<br />
Per la moltitu<strong>di</strong>ne de ban<strong>di</strong>ti, ch’erano sù’l Bolognese, et spesse uolte gli era data la fuga dalle<br />
genti del legato, si dubitaua, che non intrassero in Cento a far qualche danno, li Consoli Hortentio<br />
Accarisi, et Vincenzo Don<strong>di</strong>ni per assicurarsi da loro, fecero cauar le fosse, che circondano la<br />
terra, accio sempre fossero piene d’acqua, et impe<strong>di</strong>rono il transito; il che assicurò Cento dal’incursioni<br />
<strong>di</strong> detti ban<strong>di</strong>ti, ma poi fù causa, ch’essendosi corrotta l’aria, elesse una mortalità gran<strong>di</strong>ssima del<br />
popolo. 27<br />
I ban<strong>di</strong>ti inoltre erano soliti recarsi a raccogliere la frutta <strong>di</strong> notte, o a danneggiare<br />
i campi ed i vigneti dei propri nemici: si trattava comunque <strong>di</strong> un’abitu<strong>di</strong>ne<br />
molto <strong>di</strong>ffusa non solo fra i fuorilegge ma, più in generale, fra tutta la popolazione,<br />
come risulta da numerose testimonianze, oltre che dai ripetuti provve<strong>di</strong>menti<br />
legislativi emanati contro coloro che danneggiavano vigne, frutteti, ecc. <strong>di</strong><br />
27 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />
69
70<br />
solito,neanche i più ricchi. Le classi me<strong>di</strong>e, i piccoli proprietari erano dunque i più<br />
colpiti (forse perché era più facile rubare a costoro) sia durante i viaggi, sia nelle<br />
loro case 28 . Nelle campagne ormai i ban<strong>di</strong>ti erano arrivati al punto <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re<br />
perfino <strong>di</strong> seminare i campi. Il breve interregno tra Gregorio XIII e Sisto V aveva<br />
ispirato nei ban<strong>di</strong>ti una speranza <strong>di</strong> avere dal prossimo papa una sospensione dei<br />
ban<strong>di</strong>. Invece il nuovo papa avviò una politica molto ra<strong>di</strong>cale su tutto il territorio<br />
pontificio. Il nuovo legato bolognese inviato da Sisto V, il car<strong>di</strong>nale Salviati, con il<br />
vice legato Toschi, si mise subito a perseguitare i ban<strong>di</strong>ti, premiando chi li uccideva<br />
o li dava in mano alla giustizia 29 . Il provve<strong>di</strong>mento legislativo era molto severo<br />
e ferocemente repressivo anche nei confronti <strong>di</strong> tutti quelli che, in qualsiasi modo,<br />
avevano favorito un ban<strong>di</strong>to. La severità <strong>di</strong> tali misure mirava a rompere il forte<br />
vincolo <strong>di</strong> solidarietà che univa il ban<strong>di</strong>to al mondo rurale, alle classi più povere<br />
alle quali <strong>di</strong> solito apparteneva. Si doveva impe<strong>di</strong>re ciò che frequentemente accadeva:<br />
i lavoratori poveri, invece <strong>di</strong> perseguitare i ban<strong>di</strong>ti, “li celano, nascondono,<br />
favoriscono, sovvengono <strong>di</strong> cose necessarie al vitto, o vestito; e alle volte <strong>di</strong><br />
monitioni, o armi, e ben spesso gli fanno la spia per poter commettere qualche<br />
delitto, o per salvarli dalla Corte, o per altri loro <strong>di</strong>segni”. Per evitare ciò, nel<br />
Bando si <strong>di</strong>chiara che chiunque “darà aiuto, favore, o consiglio a detti<br />
delinquenti,<strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente, incorra ipso facto nelle medeme pene<br />
<strong>di</strong> ribellione, e lesa Maestà”. Chi aiutava i ban<strong>di</strong>ti incorreva dunque in pene severissime,<br />
ma le autorità pretendevano ancora <strong>di</strong> più. Non bastava rimanere neutrali,<br />
non favorire i ban<strong>di</strong>ti: in linea con la via energicamente sostenuta da Sisto V<br />
infatti si esigeva una collaborazione ed una partecipazione attiva <strong>di</strong> tutti i sud<strong>di</strong>ti<br />
nella repressione del ban<strong>di</strong>tismo. Ognuno doveva “farsi sbirro” e collaborare<br />
con le autorità, pena la morte. Le <strong>di</strong>sposizioni nei confronti dei parenti e <strong>di</strong> tutti<br />
quelli che hanno aiutato i fuorusciti proseguono minuziose nel provve<strong>di</strong>mento<br />
esaminato, cercando <strong>di</strong> prevedere tutti gli eventi possibili. Tra l’altro, i familiari <strong>di</strong><br />
ban<strong>di</strong>ti “fino in quarto grado, secondo il Ius Canonico, e più oltre ad arbitrio del<br />
Presidente, o Superiore” sono tenuti “alla refettione, e restitutione <strong>di</strong> tutti li danni<br />
che tali delinquenti, ancorché non fossero giu<strong>di</strong>tialmente condennati, daranno a<br />
qual si voglia loco publico, o privato con scacciamenti de lavoratori, ammazzamenti<br />
d’animali, devastationi de beni, o altra simil sorte <strong>di</strong> sceleratezza; et similmente<br />
siano tenuti al resarcimento e restitutione <strong>di</strong> tutte le spese che in qualsivoglia modo<br />
farà la Rev. Camera Apostolica per l’estirpatione, e persecutione <strong>di</strong> tali delinquen-<br />
28 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.<br />
29 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.
ti”. Rischia la morte persino chi non denuncia o informa le autorità <strong>di</strong> ogni notizia,<br />
relativa ai fuorusciti, <strong>di</strong> cui è venuto a conoscenza. Certo, nella realtà tutte<br />
queste <strong>di</strong>sposizioni non furono applicate alla lettera, anche perché il rispetto <strong>di</strong> tali<br />
norme avrebbe portato ad un vero sterminio delle popolazioni, ma deve far<br />
riflettere il rigore e la minuziosità <strong>di</strong> quanto <strong>di</strong>sposto. Sembra che le autorità<br />
volessero esercitare una più generale azione repressiva contro le popolazioni: si<br />
voleva <strong>di</strong>ffondere il terrore, colpire alcuni come “esempio” per tutto il mondo<br />
rurale che, sicuramente, era più vicino al mondo dei ban<strong>di</strong>ti che a quello delle<br />
autorità. Si volevano “educare” con mezzi terroristici tutti quelli che, più facilmente,<br />
potevano unirsi ai ban<strong>di</strong>ti, aiutarli, o comunque esprimere in qualche modo<br />
la protesta 30 . Destinatarie <strong>di</strong> questi provve<strong>di</strong>menti erano dunque -oltre ai ban<strong>di</strong>ti<br />
- le classi più povere. Sisto V si era adoperato nella persecuzione dei familiari dei<br />
ban<strong>di</strong>ti non soltanto come “misura <strong>di</strong> rappresaglia”: la famiglia era, infatti “il<br />
nucleo fondamentale dell’organizzazione interna del mondo conta<strong>di</strong>no, la base<br />
più solida e resistente della <strong>di</strong>fesa delle comunità rurali <strong>di</strong> fronte a minacce e<br />
pericoli provenienti dall’esterno e dell’aiuto reciproco nei bisogni della vita quoti<strong>di</strong>ana”<br />
31 . Questa politica non valeva solo per lo Stato Pontificio, ma anche per il<br />
Ducato Estense: sentendosi dunque ogni qual giorno molti latrocinij, e ribaldarie, il Duca fece<br />
publicare un bando alla ringhiera sotto pena della confiscatione de beni, che qual si uoglia persona<br />
non douesse dar ricapito à ban<strong>di</strong>ti, ne darli da mangiare, ne portare sue lettere à nissuno; et se<br />
alcun ban<strong>di</strong>to facesse qual si uoglia male, ò hauesse rubato bestie, ò denari, ò roba, che li parenti<br />
sino in quarto grado fossero obligati à so<strong>di</strong>sfar il danno sotto pene grauissime. E perchè fu posto<br />
in prigione un Gio: Battista Lamburghino, c’haueua pigliato una lettera dalli ban<strong>di</strong>ti, e portatala<br />
à Gioseffo Piombini, non hauendo roba, che li potesse esser confiscata, li furono dati tre tratti<br />
<strong>di</strong> corda nella piazza pubblicamente 32 .<br />
Quanto alla legislazione or<strong>di</strong>naria, per tutto il periodo <strong>di</strong> cui ci occupiamo<br />
rimase in vigore a Roma lo Statuto pubblicato nel 1580 33 : per la quasi totalità dei<br />
reati generalmente commessi dai ban<strong>di</strong>ti in esso era prevista la pena <strong>di</strong> morte. Lo<br />
Statuto prevedeva la pena <strong>di</strong> morte per impiccagione per gli autori <strong>di</strong> un latrocinium<br />
(ovvero qui per vin furatur), per gli assassini (cioè coloro che “pretio vel pecunia<br />
aliquem quomodocumque occiderit, aut occideri tentaverit, vel occi<strong>di</strong> fecerit, aut<br />
30 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.<br />
31 R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli. Le origini (1585-1647), Bari 1967, pp. 87-88.<br />
32 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />
33 Dello Statuto <strong>di</strong> Roma abbiamo consultato l’e<strong>di</strong>zione del 1611; un elenco delle <strong>di</strong>fferenti e<strong>di</strong>zioni<br />
degli Statuti è nel Catalogo della raccolta <strong>di</strong> Statuti, consuetu<strong>di</strong>ni; leggi, decreti, or<strong>di</strong>ni e privilegi dei comuni,<br />
delle associazioni e degli enti locali italiani dal Me<strong>di</strong>oevo alla fine del XVIII secolo, Roma 1943-63.<br />
71
72<br />
mandaverit”), per i fures (coloro che occulte rubano) solo in caso <strong>di</strong> reci<strong>di</strong>va e persino,<br />
in talune circostanze, per gli autori <strong>di</strong> incen<strong>di</strong>. Nello Stato della Chiesa il supplizio<br />
rimaneva dunque la forma principale per colpire chi non rispettava le “regole<br />
del gioco” e, quin<strong>di</strong>, il corpo dell’imputato era ancora il principale bersaglio<br />
della giustizia. La funzione più importante della prigione rimaneva dunque quella,<br />
tipica della società pre-capitalista, <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>re temporaneamente gli accusati, prima<br />
del processo e dell’esecuzione della pena. Accanto alle punizioni corporali nel<br />
sistema delle pene adottato nello Stato pontificio assunse un ruolo importante, a<br />
causa della sua massiccia applicazione, l’istituto del bando. “Exilium, prout est,<br />
simplex eiectio è Civitate...in absentes <strong>di</strong>citur bannum, in praesentes exilium,<br />
secundum communem usum loquen<strong>di</strong>”. Tale <strong>di</strong>ffusa applicazione, se <strong>di</strong>mostrava<br />
l’inefficienza dell’apparato repressivo, contemporaneamente<br />
alimentò il fenomeno del ban<strong>di</strong>tismo. Abbiamo già ricordato che negli ultimi<br />
decenni del Cinquecento e nei primi del Seicento furono emessi numerosi<br />
provve<strong>di</strong>menti legislativi specifici contro i ban<strong>di</strong>ti. Essi erano <strong>di</strong> due tipi: i Ban<strong>di</strong><br />
generali, che stabilivano i reati, le pene e le misure da adottare contro i fuorusciti,<br />
e i provve<strong>di</strong>menti riguardanti singoli ban<strong>di</strong>ti, nei quali si stabilivano premi per chi<br />
li avesse consegnati, vivi o morti, alle autorità.<br />
Caratteristica dell’azione del governo papale contro i ban<strong>di</strong>ti e, dunque, anche<br />
della “legislazione speciale” contro il ban<strong>di</strong>tismo, fu il tentativo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgregare<br />
le bande dal loro interno, promettendo premi ed impunità a tutti quei ban<strong>di</strong>ti che<br />
avessero consegnato, vivo o morto, un loro compagno 34 . Un esempio <strong>di</strong> questa<br />
funzione viene dall’episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Bartolomeo Dan<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong>venuto ban<strong>di</strong>to per risponder<br />
ad una faida famigliare: et haueuano saputo, ch’il capo <strong>di</strong> coloro era questo<br />
Bartolomeo Don<strong>di</strong>ni,li fece poser taglia dal Duca, e remissione de ban<strong>di</strong> a chi lo daua ò uiuo, ò<br />
morto; onde alcuni sui compagni, e tra li altri uno, che s’era imparentato seco, cominciorono à<br />
trattare <strong>di</strong> liberar lor stessi <strong>di</strong> bando, et anco <strong>di</strong> guadagnar la taglia…. 35 .<br />
Mentre, come si è detto, l’azione del governo papale volta a recidere il vincolo<br />
<strong>di</strong> solidarietà fra fuorilegge e mondo rurale non produsse gli effetti sperati<br />
nella lotta al ban<strong>di</strong>tismo, il sistema <strong>di</strong> premi ed impunità costruito per <strong>di</strong>struggere<br />
dal loro interno i gruppi <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>ti produsse risultati non irrilevanti per le autorità<br />
pontificie. Fra i ban<strong>di</strong>ti si insinuò la paura del tra<strong>di</strong>mento, che ruppe in parte<br />
quella solidarietà presente fra i fuorilegge. I risultati furono notevoli, nel breve<br />
periodo, soprattutto perché la mancanza <strong>di</strong> un programma, <strong>di</strong> una motivazione<br />
34 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.<br />
35 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.
politica o <strong>di</strong> riven<strong>di</strong>cazioni imme<strong>di</strong>ate rendeva più fragile il vincolo e, quin<strong>di</strong>, più<br />
<strong>di</strong>sgregabile il movimento. Gli effetti dell’azione repressiva non potevano però<br />
essere durevoli, in assenza <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>cali mutamenti della struttura sociale.<br />
Bisogna però ricordare che tali provve<strong>di</strong>menti legislativi prevedevano premi<br />
anche per coloro che, pur non essendo ban<strong>di</strong>ti, avessero consegnato, vivo o<br />
morto, un ban<strong>di</strong>to. Sulla base delle fonti <strong>di</strong>sponibili non sembra che tali misure<br />
abbiano prodotto risultati notevoli nella lotta al ban<strong>di</strong>tismo.<br />
Quando non esisteva un interesse imme<strong>di</strong>ato, <strong>di</strong>retto, legato alla propria vita<br />
(ovvero la possibilità <strong>di</strong> ottenere la grazia), pare che, nonostante la miseria della<br />
popolazione, nessuno si adoperasse per guadagnare le ingenti taglie sui ban<strong>di</strong>ti,<br />
anche se 200 o 300 scu<strong>di</strong> - tale era l’ammontare me<strong>di</strong>o delle taglie - avrebbero<br />
risolto molti problemi a chi aveva, a malapena, <strong>di</strong> che sopravvivere.<br />
Al momento della presentazione delle teste emergeva anche un problema<br />
più generale degli Stati dell’epoca: in una società in cui l’identificazione degli in<strong>di</strong>vidui<br />
(e quin<strong>di</strong> anche dei ban<strong>di</strong>ti) era incerta, per l’assenza <strong>di</strong> meto<strong>di</strong> univoci <strong>di</strong><br />
riconoscimento, non si poteva certo escludere il rischio <strong>di</strong> fro<strong>di</strong> nel macabro<br />
“mercato” 36 . Considerando che la maggioranza della popolazione rurale aveva<br />
almeno un parente ban<strong>di</strong>to, con il quale rimaneva legata, tali <strong>di</strong>sposizioni erano<br />
sicuramente allettanti. I premi pecuniari per la cattura dei ban<strong>di</strong>ti erano previsti<br />
anche per soldati e sbirri, pure se costoro già ricevevano una paga per il proprio<br />
mestiere: evidentemente si voleva incentivare chi non si sentiva altrimenti motivato<br />
a <strong>di</strong>fendere l’or<strong>di</strong>ne pubblico. Si deve però aggiungere che non sembra che lo<br />
Stato abbia sempre mantenuto le promesse, pagando le somme previste dalle<br />
taglie sui ban<strong>di</strong>ti.<br />
Fin qui si è detto della repressione del ban<strong>di</strong>tismo condotta all’interno della<br />
legalità: bisogna però ricordare che nel combattere i fuorilegge le autorità<br />
pontificie utilizzarono anche, e nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> maggiore espansione del fenomeno<br />
forse in modo prevalente, l’annientamento militare, <strong>di</strong> fatto, sottratto<br />
dunque a qualsiasi norma e legge. Se molti furono i ban<strong>di</strong>ti condannati a<br />
morte e giustiziati, un numero notevolmente maggiore <strong>di</strong> fuorusciti moriva<br />
nel corso degli scontri militari, le “scaramucce” con i soldati, senza neanche<br />
aver subito un processo ed una condanna.<br />
Le spe<strong>di</strong>zioni contro i ban<strong>di</strong>ti furono numerose, negli ultimi decenni<br />
del XVI secolo così come nei primi del secolo successivo: nonostante ciò,<br />
36 Irene Polverini Fosi, Il ban<strong>di</strong>tismo nello stato pontificio nella seconda metà del Cinquecento, pp.67-85, a<br />
cura <strong>di</strong> Gherardo Ortalli, Bande armate, ban<strong>di</strong>ti, ban<strong>di</strong>tismo e repressione <strong>di</strong> giustizia negli stati europei <strong>di</strong><br />
antico regime, Atti del Convegno – Venezia 3-5 novembre 1985, Roma 1986.<br />
73
74<br />
come si è detto, il contrad<strong>di</strong>ttorio processo <strong>di</strong> riorganizzazione dello Stato<br />
allora in corso non riuscì, nel periodo in esame, a rendere effettivo il controllo<br />
su tutti i territori. I verbali dei processi sono ricchi <strong>di</strong> esempi in relazione<br />
alla libertà <strong>di</strong> azione <strong>di</strong> cui godevano i ban<strong>di</strong>ti a causa della mancanza <strong>di</strong><br />
organizzazione delle forze che avrebbero dovuto combatterli 37 .<br />
Il 1585 fu l’anno dell’applicazione dei provve<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> Sisto V nel nostro<br />
territorio: il 14 agosto Milano Fanti <strong>di</strong> Sant’ Agostino, alle ore 13 fu<br />
incarcerato per possesso <strong>di</strong> armi e alle ore 19 impiccato. Il 17 Cesare<br />
Saccomanni, uno degli esponenti <strong>di</strong> una delle famiglie che coor<strong>di</strong>navano la<br />
fazione guelfa, con altri tre furono sorpresi <strong>di</strong> notte armati in Bologna. Il 29<br />
settembre furono impiccati Biagio Busi, Antonio ed Ercole da Fano, Alessandro<br />
Pasquali, Marco Antonio Mengoli da Loiano, Giovanni Maria <strong>di</strong><br />
Girolamo Arena, detto il Moretto, e <strong>di</strong> Palata, Bartolomeo e Pietro Antonio,<br />
con Giacomo <strong>di</strong> Alessandro Accarisi, fratelli, e Domenico Grazia, Giovanni<br />
Paolo Piccinini, Antonio <strong>di</strong> Domenico Albertini, <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, Giovanni<br />
Croci <strong>di</strong> Capugnano, Alberto, detto Barili dalla Corba, Domenico da Ro<strong>di</strong>ano,<br />
Marco <strong>di</strong> Cesare Berti da Sasso, Giulio Mazzoni da Sant’Antonio <strong>di</strong> Savena,<br />
Antonio Pellegrino da Selva, Paolo <strong>di</strong> Marco dallo Spedale, Antonio <strong>di</strong> Matteo<br />
Tognoli da Gaggio e Marco <strong>di</strong> Nicolò da Funo. Questa rapido riassunto<br />
degli interventi fatti nel bolognese mostra chiaramente la <strong>di</strong>visione operativa<br />
del ban<strong>di</strong>tismo: la zona collinare e quella della pianura, attorno a Palata e<br />
Sant’Agostino, con la presenza <strong>di</strong> fuoriusciti, aggregati alle bande 38 . I ban<strong>di</strong>ti<br />
dunque restavano spesso legati al proprio paese, a quella gente che si sentiva<br />
unita, da un vincolo <strong>di</strong> solidarietà, al proprio “paesano”, anche se condannato:<br />
nei piccoli centri parte del clero era interna a questo mondo. Anche nei casi in<br />
cui mancava il concreto appoggio degli ecclesiastici nei confronti dei ban<strong>di</strong>ti, tale<br />
assenza non sembra si sia mai trasformata in persecuzione nei loro confronti, in<br />
collaborazione con le autorità pontificie 39 .<br />
Nel resto dell’anno il bargello venne a <strong>Crevalcore</strong> in luglio a prendere due<br />
prigionieri, Biagio Paganello e un tal Zampado, che sembra fosse in chiesa. A<br />
settembre ritornò per Giacomo Ruberti. Nell’ottobre portò 12 sbirri. Non appena<br />
il car<strong>di</strong>nale Salviati lasciò Bologna dove aveva condannato a morte Giovanni<br />
Pepoli, il nuovo legato Enrico Gaetano, ri<strong>di</strong>ede il possesso delle terre confiscate<br />
ai figli Ugo, Giacomo e Riccardo, bastar<strong>di</strong> legittimati. Intanto i massari pagavano<br />
69 lire a Bologna per l’estirpazione dei ban<strong>di</strong>ti e la conduzione <strong>di</strong> due persone<br />
37 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.<br />
38 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />
39 P. Staccioli, Ban<strong>di</strong>ti e società. Lo Stato pontificio agli inizi del Seicento, ine<strong>di</strong>to.
a Bologna perché avevano fatto rumore nell’aia del Dell’Armi, altra famiglia della<br />
parte Guelfa.<br />
Nell’anno successivo (1586) Sigismondo Lugari o Lupari, nobile ferrarese, a<br />
capo <strong>di</strong> una banda, fu impiccato e squartato a Bologna, con Matteo Morani <strong>di</strong><br />
Samoggia e Ludovico Mantovani della Palata. Nel periodo si assiste ad un gran<br />
movimento <strong>di</strong> sbirri. Sono tradotti a Bologna Tomaso Beccantini e alcuni sbirri<br />
vanno alla Palata per pigliare Fir<strong>di</strong>no, un noto ban<strong>di</strong>to.<br />
Il 1588 fu l’anno in cui alla piaga del ban<strong>di</strong>tismo si affiancò una terribile<br />
carestia, per mancato raccolto: il frumento da 6 lire passò a 20 a corba, poi a 100.<br />
Nel 1590 erano conteggiati 10mila poveri a Bologna e 30 mila nel contado. In 96<br />
giorni solo a <strong>Crevalcore</strong> furono registrati 108 morti per le conseguenze della<br />
denutrizione 40 .<br />
I <strong>di</strong>versi rami famigliari dei Pepoli si accordarono per una spartizione <strong>di</strong><br />
terreni del valore <strong>di</strong> 60 mila scu<strong>di</strong> e il possesso <strong>di</strong> 3/4 del mulino <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>.<br />
La temporanea sconfitta politica del ceto aristocratico più aggressivo da parte <strong>di</strong><br />
Sisto V, aveva avuto come contropartita il riconoscimento e la tutela della ren<strong>di</strong>ta<br />
fon<strong>di</strong>aria citta<strong>di</strong>na sulle campagne crevalcoresi 41 .<br />
Nonostante l’impegno militare profuso, il territorio crevalcorese continuò<br />
ad essere al centro <strong>di</strong> una vivace attività ban<strong>di</strong>tesca. Tra il 1589 e il 1591 si creò<br />
un’alleanza tra Sisto V, il Granduca <strong>di</strong> Toscana e il Duca <strong>di</strong> Ferrara:<br />
A questa miseria della carestia s’aggiunse anco un <strong>di</strong>sturbo gran<strong>di</strong>ssimo, che niuno poteua<br />
andar sicuramente per i suoi uiaggi, particolarmente nella Romagna, et altri luochi circonuicini<br />
per rispetto d’una moltitu<strong>di</strong>ne de’ ban<strong>di</strong>ti, <strong>di</strong>uisi in due parti, il capo d’una era Giacomo della<br />
Serra, et il capo dell’altra Cesare Zanarese, i quali ban<strong>di</strong>ti rubauano, sualigiauano, spogliauano;<br />
et anco amazzauano li uiandanti; onde il Duca <strong>di</strong> Ferrara, Bolognesi, Romagnoli, et il gran<br />
Duca <strong>di</strong> Toscana uniti insieme, si <strong>di</strong>sposero <strong>di</strong> estirparli totalmente, et liberar li lor confini da<br />
gente così ribalda; per questo uenne a Cento il Conte Enea Montecucoli con i cauai leggieri <strong>di</strong><br />
Ferrara, et hauendo fatto porre al’or<strong>di</strong>ne tutta la nostra militia, la condusse seco nel mese <strong>di</strong><br />
giugno à dar la fuga à detti ban<strong>di</strong>ti; quali dopo molti combattimenti furono al fine <strong>di</strong>strutti; et<br />
quasi tutti restarono morti, e le teste loro furono portate nelle Città uicine, et appese alle forche<br />
con horrido spettacolo; e quelli, che restarono uiui, e furono fatti prigioni, furono poi impiccati<br />
come meritavano 42 .<br />
40 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.<br />
41 Alberta Toniolo, Territori In<strong>di</strong>visi. Una proposta <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sul ban<strong>di</strong>tismo cinquecentesco nell’area della<br />
Partecipanze modenesi e bolognesi, a cura <strong>di</strong> Euride Fregni, Terre e comunità nell’Italia Padana, Cheiron,<br />
anno VIII, n.14-15, II semestre 1990/ I semestre 1991, Brescia, pp. 175-185.<br />
42 Don Biagio Bagni, Memorie delle cose <strong>di</strong> Cento, II Tomo, 1502-1597, manoscritto, Cento.<br />
75
76<br />
Inizialmente i ghibellini si ritirarono in collina e i guelfi nelle valli ferraresi. I<br />
soldati girarono spesso a vuoto, anche perché i ban<strong>di</strong>ti erano informati e finanziati<br />
<strong>di</strong>rettamente dall’aristocrazia bolognese. Nel 1591 è segnalata la presenza, tra<br />
<strong>Crevalcore</strong> e Palata, <strong>di</strong> uno dei più famosi ban<strong>di</strong>ti dell’epoca, Alfonso Piccolomini,<br />
nobile che con la sua banda tenne in scacco lo Stato Pontificio. Nel 1591 milizie<br />
bolognesi, ferraresi, toscane e romagnole si riunirono, per sciogliere le bande<br />
riunitesi prima della morte del Piccolomini, con artiglierie e carri blindati. Il carnefice<br />
giustiziò 350 ban<strong>di</strong>ti e molte furono le teste consegnate nelle città. Il 14 febbraio<br />
furono fatti prigionieri e portati a Bologna vari ban<strong>di</strong>ti. Ancora nel 1595 si<br />
segnalano movimenti <strong>di</strong> truppe. Nel 1597 furono impiccati Lorenzo <strong>di</strong> Natale e<br />
Marco Antonio Lolli <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, razziatori, e fu trovata una testa nella valle.<br />
Sono gli ultimi episo<strong>di</strong>: ormai l’aristocrazia bolognese ha legittimato il suo <strong>di</strong>ritto<br />
<strong>di</strong> proprietà sul territorio. Il <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, probabilmente forte <strong>di</strong> una<br />
situazione politica apparentemente mutata, aveva nel 1587 intentato una causa<br />
contro i Pepoli, gli Orsi e i Malvasia, cercando <strong>di</strong> recuperare terre illegalmente<br />
possedute da loro. Solo pochi anni dopo l’Abbazia <strong>di</strong> Nonantola chiudeva ogni<br />
possibilità <strong>di</strong> ottenere giustizia confermando i <strong>di</strong>ritti dei Pepoli sui posse<strong>di</strong>menti<br />
in vertenza con la comunità 43 .<br />
Non per questo però si può affermare che il ban<strong>di</strong>tismo, nello Stato pontificio,<br />
sia scomparso alla fine del Cinquecento. Sicuramente vi fu una notevole<br />
riduzione del numero <strong>di</strong> fuorusciti operanti nel territorio dello Stato ma, nonostante<br />
tale <strong>di</strong>minuzione - le cui cause imme<strong>di</strong>ate possono essere ricercate nell’arruolamento<br />
<strong>di</strong> fuorilegge per la guerra d’Ungheria e la conquista <strong>di</strong> Ferrara, nella,<br />
seppur temporanea, efficacia degli strumenti usati nella repressione del fenomeno<br />
e nell’attenuarsi, per alcuni anni, delle carestie che avevano pesantemente colpito la<br />
popolazione negli ultimi anni del XVI secolo - il ban<strong>di</strong>tismo fu, ancora nei primi<br />
decenni del Seicento, significativamente rilevante dal punto <strong>di</strong> vista quantitativo e,<br />
quanto all’aspetto qualitativo assunse, nonostante le sue multiformi e spesso contrad<strong>di</strong>ttorie<br />
caratteristiche, i caratteri <strong>di</strong> quel fenomeno che comunemente viene<br />
definito ban<strong>di</strong>tismo sociale, soprattutto tra la Romagna e il Lazio.<br />
43 Manoscritto Meletti, Parte III, fascicolo 1, <strong>Crevalcore</strong>.
77<br />
Novecento
78<br />
Gruppo <strong>di</strong> militari con fiaschi <strong>di</strong> vino. Al centro, seduto, il crevalcorese Pecorari<br />
Antonio <strong>di</strong> Vincenzo, nato 31 maggio 1888, morto il 5 ottobre 1918 nell’ospedale da<br />
campo n°47.
MAGDA ABBATI<br />
<strong>Crevalcore</strong> al fronte<br />
Nel <strong>di</strong>battito storiografico attuale si riprende a parlare, <strong>di</strong>scutere e pensare intorno<br />
alle esperienze <strong>di</strong> guerra degli uomini al fronte durante la Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale.<br />
Forse ci si sente più liberi nell’espressione ora che da poco é iniziato il<br />
secondo millennio. Gli stu<strong>di</strong> si sono orientati anche sull’adesione o, al contrario,<br />
sulla contestazione del conflitto all’interno dell’esercito italiano, un sentire che pare<br />
sia stato assai significativo.<br />
<strong>Crevalcore</strong> ha nel proprio archivio il lavoro minuzioso e vario <strong>di</strong> uno storico<br />
locale, Lorenzo Meletti, che si é occupato <strong>di</strong> moltissimi aspetti storici della vita<br />
crevalcorese.<br />
Lorenzo Meletti, nelle proprie cronache <strong>di</strong> guerra, ha raccolto una certa<br />
quantità <strong>di</strong> lettere e cartoline che alcuni soldati al fronte spe<strong>di</strong>vano a casa o a lui<br />
personalmente. In genere si tratta <strong>di</strong> poche righe scritte nei momenti <strong>di</strong> tregua,<br />
con calligrafie incerte, spesso corrette dalla censura militare o dallo stesso Meletti<br />
in caso <strong>di</strong> comunicazioni troppo personali.<br />
La maggior parte delle lettere raccolte vengono da esponenti della cerchia<br />
<strong>di</strong> amicizie dello storico e, quin<strong>di</strong>, da un ambito <strong>di</strong> ceto me<strong>di</strong>o.<br />
Bello Maselli, figlio <strong>di</strong> Caro, ragioniere del comune, nel 1915 scrive ai compagni<br />
<strong>di</strong> lavoro, impiegati comunali:<br />
“scusate se ancora non mi sono fatto vivo ma questa nuova vita mi ha un po’ sconvolto<br />
(...). Mai, costì, mi sentii tanto italiano: mai in me come ora fu così grande il sentimento nazionale<br />
(...).Il sangue bolle: tutti i sentimenti più cari si risvegliano e, ripeto, mi sembra <strong>di</strong> essere<br />
<strong>di</strong>ventato un altro uomo” (1).<br />
La guerra è la prima grande esperienza <strong>di</strong> massa che unifica non solo sulla<br />
carta il Paese. In questa lettera piena <strong>di</strong> entusiasmo e <strong>di</strong> patriottismo, la guerra è un<br />
evento creatore <strong>di</strong> personalità (2). Nello stesso anno il tenente Guido Mattioli<br />
1 - cfr. MELETTI, op. cit., Parte IV, volume VII, fasc. I Diario fino al 31 <strong>di</strong>cembre 1915, ms 42<br />
(28), pp. 88-89.<br />
2 - E.J. LEED, Terra <strong>di</strong> nessuno, Bologna 1985, p.193.<br />
3 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 42 (28) pp. 123 e 154.<br />
79
80<br />
<strong>di</strong>chiara che l’azione bellica gli procura “energie nuove”; Fulvio Cirri <strong>di</strong>ce che ha<br />
cessato “<strong>di</strong> essere citta<strong>di</strong>no per essere solo soldato” (3).<br />
Al fronte si realizza una vera e propria “rinascita” dell’in<strong>di</strong>viduo. Nel 1914-<br />
15 nessun uomo nel fiore degli anni sapeva cosa fosse realmente la guerra (4). In<br />
Italia c’era stato il conflitto libico, ma non era stato così nuovo, così industrializzato<br />
come quello che si prospettava ora; una cartolina inviata ad Ernesto Francia,<br />
responsabile dell’ufficio anagrafe, riporta queste parole:<br />
“ho assistito ad uno spettacolo nuovo aereoplani austriaci hanno lanciato bombe su U<strong>di</strong>ne” (5).<br />
Il capitano Amedeo Pederzini, a casa in convalescenza nel 1916, riferisce a<br />
Meletti delle armi mici<strong>di</strong>ali che ha visto in azione, degli aerei carichi <strong>di</strong> esplosivo<br />
che potevano <strong>di</strong>struggere una città intera.<br />
Questa guerra ha un potenziale <strong>di</strong>struttivo senza precedenti, è troppo nuova<br />
per essere capita da chi non combatte (6). L’iniziale impressione <strong>di</strong> una guerra<br />
veloce, che si era <strong>di</strong>ffusa fra civili e militari, viene smentita dalle parole <strong>di</strong> questo<br />
ufficiale, convinto che le ostilità non finiranno almeno prima <strong>di</strong> un anno (7).<br />
Nessun tono trionfalistico nell’unica lettera del sindaco Mattioli che dal fronte<br />
riesce a raggiungere il figlio: “Caro Aldo, scrivi tu una parola al tuo babbo e gli basta, ti mando<br />
un bacione e vorrei che tu mi vedessi. Siamo in tanti papà qui ma tutti più bambini <strong>di</strong> te” (8).<br />
Sono poche righe che testimoniano una con<strong>di</strong>zione che sfugge alla propria<br />
volontà: si deve obbe<strong>di</strong>re, come bambini.<br />
Fra le altre, c’è un’unica lettera <strong>di</strong> uno “zappatore”, Giuseppe Guastaroba,<br />
che scrive al padre:<br />
“Tra il rombo, mentre scrivo, del cannone, (...) ma che volete io non penso più a nulla o avuto<br />
un piccolo buco in un braccio ma il quale non pensate a nulla che non è un gran male (...)” (9).<br />
La propaganda interventista alla vigilia del conflitto non aveva cercato <strong>di</strong><br />
attirarsi il favore delle classi rurali, probabilmente perchè queste da un conflitto<br />
potevano aspettarsi solo danni (10).<br />
La vita al fronte fa <strong>di</strong>re a Giuseppe che non pensa a nulla. Padre A. Gemelli,<br />
<strong>di</strong>rettore del laboratorio psicofisiologico del Comando Supremo, rileva che “il<br />
soldato in trincea pensa poco, perché vede assai poco; pensa sempre le stesse cose”.<br />
4 - P. FUSSELL, La Grande Guerra e la memoria moderna, Bologna 1984, p. 26.<br />
5 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 42 (28), p. 108.<br />
6 - cfr. FUSSELL, op. cit., p. 111-112.<br />
7 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 42 (28), p. 108.<br />
8 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 43 (29), p. 53.<br />
9 - cfr. ibidem, p. 58.<br />
10 - A. PAPA, Guerra e Terra 1915- 1918, in “Stu<strong>di</strong> Storici”, gennaio-marzo 1969, p. 4.
Pergamena commemorativa per la morte del sindaco Alessandro Mattioli<br />
81
82<br />
La vita militare, al <strong>di</strong> là degli attacchi e dei bombardamenti, segue schemi<br />
rigi<strong>di</strong> e, quin<strong>di</strong>, monotoni, provocando un vero torpore intellettuale (11). I combattenti<br />
che possedevano istruzione e cultura soffrivano più <strong>di</strong> altri questo stato.<br />
Guido Mattioli scrive nel giugno 1917:<br />
“attualmente le brighe svariate mi portano via molto tempo e mi rimangono appena cinque<br />
ore da dormire. Il che mi <strong>di</strong>spiace perché non posso de<strong>di</strong>carmi affatto ai miei svaghi preferiti, né<br />
colla lettura né collo scritto (...) non che ciò sia un danno, ma io ne sento un vuoto, nel contempo<br />
un bisogno <strong>di</strong> sfogo che devo pur appagare (...)” (12).<br />
Un altro ufficiale, Carlo Mattioli (non è parente <strong>di</strong> Guido) riferisce nel luglio 1916 che<br />
sta conducendo “ una vita <strong>di</strong> sacrificio” e che gli sembra d’essere “un eremita che faccia penitenza”<br />
(13).<br />
Questi uomini preferiscono l’azione all’attesa e alla noia delle trincee; chiedono<br />
scusa della ripetitività che caratterizza i loro scritti, ma è dovuta alla monotonia<br />
della loro vita.<br />
Nel 1917 comincia a sentirsi il peso <strong>di</strong> quella guerra che sembra sempre sul<br />
punto <strong>di</strong> finire e invece continua: pare comunque che la speranza <strong>di</strong> una fine a<br />
breve termine abbia rappresentato un inaspettato aiuto psicologico per i soldati<br />
(14). Ma la stanchezza si fa sentire.<br />
Alfonso Breveglieri, fante, si trova nelle retrovie ma desidera allontanarsi<br />
ancora <strong>di</strong> più dal pericolo; G. Mattioli, in trincea da più <strong>di</strong> un mese, nell’agosto<br />
1917 spera <strong>di</strong> andare in luoghi più sicuri, nonostante il sempre fiero impegno <strong>di</strong><br />
soldato, e <strong>di</strong>ce: “non l’ho mai desiderato come stavolta” e in un’altra lettera dello stesso<br />
periodo:<br />
“sono impossibilitato ad accozzare qualche idea perché le (...) occupazioni mi rubano tutto<br />
il tempo, anche quello necessario a riposare. Da qualche giorno vivo entro una cavernaccia, <strong>di</strong><br />
giorno e <strong>di</strong> notte, e tranne le passeggiate che faccio in linea non mi muovo (...). Per ora, nessun<br />
altro desiderio mi resta che avere un po’ <strong>di</strong> tregua anche internamente e intellettualmente” (15).<br />
L. Meletti trascrive anche le memorie del sergente maggiore Gaetano<br />
Pettazzoni, che scrive a proposito della ritirata <strong>di</strong> Caporetto. Le sue parole descrivono<br />
lo smarrimento, la marcia forzata sotto la pioggia, i rumori del tuono e del<br />
cannone che si confondono, i paesi in fiamme e i civili che cercano riparo: scenari<br />
11 - P. MELOGRANI, Storia politica della Grande Guerra 1915-1918, Bari 1969, pp. 80-83 ; per<br />
l’attività <strong>di</strong> padre Agostino Gemelli cfr. il saggio <strong>di</strong> V. LABITA, Un libro-simbolo: “Il nostro soldato” <strong>di</strong><br />
padre Agostino Gemelli, in “Rivista <strong>di</strong> storia contemporanea”, fasc. 3 luglio 1986, pp. 402-429.<br />
12 - cfr. MELETTI, op. cit., Parte IV, volume VII, fasc. III Diario 1917, ms 44 (30), p. 64.<br />
13 - cfr. ibidem, p. 73.<br />
14 - cfr. MELOGRANI, op. cit., p.77.<br />
15 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 44 (30), pp. 84,90 e 73.
<strong>di</strong> desolazione e dolore insieme alla ricerca <strong>di</strong> una spiegazione dell’accaduto (cfr.<br />
Appen<strong>di</strong>ce) (16).<br />
C’è anche chi è ansioso <strong>di</strong> andare al fronte. Renato Gavioli, farmacista come<br />
il padre, alla fine del 1917 ha fretta <strong>di</strong> finire il corso per ufficiali per poter andare<br />
a combattere. Nel maggio 1918, quando già si trova al fronte, scrive al padre<br />
degli scambi fra italiani e inglesi che “stanchi delle marmellate e dei dolciumi”<br />
chiedono pane ora che anche i loro rifornimenti scarseggiano (17). Per Gavioli<br />
arriva finalmente il momento della lotta in cui si lancia con entusiasmo: “questa<br />
volta gli austriaci le bussano molto forte!”, e nel novembre 1918 incontra i nemici: “sono<br />
in generale uomini anziani. Non sono sporchi ma luri<strong>di</strong> nel vero senso della parola. Hanno le<br />
facce magre e <strong>di</strong> un colore cadaverino. Le baracche loro, i ricoveri hanno un odore nauseabondo<br />
(...)” (18).<br />
E’ l’unica descrizione del nemico che si trovi in queste lettere. La guerra <strong>di</strong><br />
trincea era condotta infatti contro un avversario “invisibile”: potevano passare<br />
mesi prima <strong>di</strong> vedere da vicino gli avversari (19).<br />
La battaglia del Piave rinsalda il patriottismo dei combattenti crevalcoresi e<br />
<strong>di</strong> tutti i soldati italiani. Le operazioni militari <strong>di</strong>mostrano almeno ora l’efficienza<br />
delle truppe e del comando (20).<br />
G. Mattioli scrive: “abbiamo la piena sensazione <strong>di</strong> essere i veri <strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> quelli che<br />
non piegarono la fronte agli oppositori” e in seguito riba<strong>di</strong>sce l’idea che con questa<br />
vittoria si rinnova la grandezza dei padri e dell’Italia (21).<br />
Molti con<strong>di</strong>videvano l’opinione per cui la guerra avrebbe inserito l’Italia nel<br />
“club delle gran<strong>di</strong> potenze”; in realtà anche questa era un’illusione, soprattutto<br />
dopo la sconfitta <strong>di</strong> Caporetto. La nazione si era mostrata impreparata sia<br />
militarmente che civilmente a fronteggiare i problemi <strong>di</strong> guerra; la classe <strong>di</strong>rigente<br />
italiana trova la forza per organizzarsi solo dopo la <strong>di</strong>sfatta del ’17 (22).<br />
Nel novembre 1918 Meletti parla con Celeste Lo<strong>di</strong>, caporale, prigioniero<br />
dalla fine del 1917 e rimpatriato da pochi giorni:<br />
“sono partito per la guerra perché chiamato alle armi, senza averne ben compreso il<br />
motivo. Nato e cresciuto nella pace dei campi, non sapevo farmene capace (...). Oggi che ho<br />
16 - cfr. ibidem, pp. 118-123.<br />
17 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 45 (31), p. 63.<br />
18 - cfr. ibidem, pp. 144 e 151.<br />
19 - cfr. LEED, op. cit., p. 167.<br />
20 - cfr. MELOGRANI, op. cit., pp.544-547.<br />
21 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 45 (31), pp. 74 e 153.<br />
22 -E. RAGIONIERI, La storia politica e sociale in Storia d’Italia, vol. IV, tomo III, Torino Einau<strong>di</strong><br />
1976, pp. 2060-2063, 2007-2008 e 2041.<br />
83
84<br />
conosciuto ed esperimentata la barbarie tedesca in tutto il suo orrore, se dovesse riaccendersi la<br />
guerra partirei volontario e vorrei essere fra i primi perché quei popoli meritano <strong>di</strong> essere puniti”<br />
(23).<br />
Per la maggioranza dei combattenti, la guerra equivale ad una esperienza <strong>di</strong><br />
sacrificio, <strong>di</strong> privazione, eppure non si può ignorare l’entusiasmo per essa che<br />
trapela da questo piccolo campione <strong>di</strong> testimonianze. Un sentimento che viene<br />
con<strong>di</strong>viso da chi resta a casa, come Pietro Cirri che nel maggio 1916, malgrado<br />
abbia quattro figli al fronte e due in procinto <strong>di</strong> partire, scrive:<br />
“In questo momento <strong>di</strong> tremenda lotta fra le Nazioni, quasi mon<strong>di</strong>ale, benché sia grande<br />
il dolore <strong>di</strong> rimanere privo dei miei figli, il mio morale è alquanto forte ed elevato, e ben volentieri<br />
do i miei figli in <strong>di</strong>fesa della Patria e del Re nonché dell’intera Nazione sempre fedele ai miei<br />
principi e nessuna forza <strong>di</strong> partiti mi <strong>di</strong>stoglie dalle mie gran<strong>di</strong> idee, benché il sacrificio sia grande,<br />
ma giungerà il giorno in cui sarò orgoglioso <strong>di</strong> aver dato i miei figli alla <strong>di</strong>fesa delle patrie<br />
istituzioni. Nel raggiungere l’ora del declinare dei miei giorni sarò lieto <strong>di</strong> aver contribuito a far<br />
Grande Forte e Temuta la mia Patria. Attendo con pazienza e rassegnazione l’ora estrema del<br />
maggior cimento persuaso della Vittoria (...)” (24).<br />
E.J. Leed, analizzando le memorie <strong>di</strong> volontari e ufficiali tedeschi ed inglesi,<br />
ritiene che tale entusiasmo sia dovuto alla gioia <strong>di</strong> non sentirsi più isolati come<br />
singoli in<strong>di</strong>vidui, <strong>di</strong> partecipare ad un grande evento collettivo: in fondo, la <strong>di</strong>chiarazione<br />
<strong>di</strong> guerra costituisce “il perseguimento <strong>di</strong> uno scopo” che rende “coerente<br />
e uni<strong>di</strong>rezionale” la vita (25).<br />
G. Rochat ha giustamente osservato che l’analisi dei volumi <strong>di</strong> E.J. Leed,<br />
“Terra <strong>di</strong> nessuno”, e <strong>di</strong> P. Fussell, “La grande guerra e la memoria moderna”, ha<br />
per protagonisti giovani <strong>di</strong> buona estrazione sociale, partiti come volontari o,<br />
comunque, certi della necessità del conflitto (26). Bisogna considerare, dunque, la<br />
“parzialità” <strong>di</strong> questi contributi, che non possono descrivere, come <strong>di</strong>ce Leed, il<br />
“modo in cui la guerra mutò gli uomini che vi presero parte”, estendendo un<br />
simile giu<strong>di</strong>zio alla totalità degli uomini impegnati nel conflitto (27).<br />
Anche nel caso delle lettere dal fronte raccolte da Meletti, le riflessioni che si<br />
possono fare riguardano l’esperienza <strong>di</strong> un ristretto gruppo sociale che prova<br />
sicuramente il <strong>di</strong>sagio e la pesantezza della situazione, ma è profondamente con-<br />
23 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 45 (31), pp. 170-171.<br />
24 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 42 (28), pp. 135-136 e ms 43 (29), p. 41.<br />
25 - cfr. LEED, op. cit., pp. 68 e 75.<br />
26 - G. ROCHAT, La grande guerra negli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Fussell e Leed, in “Rivista <strong>di</strong> storia contemporanea”<br />
fasc. 2 aprile 1987, p. 295.<br />
27 - cfr. LEED, op. cit., p.6 e ROCHAT, op. cit., p. 295.
Cartolina crevalcorese commemorativa<br />
Saluti da <strong>Crevalcore</strong>: Cartolina crevalcorese del periodo <strong>di</strong> guerra<br />
85
86<br />
vinto della vali<strong>di</strong>tà del proprio contributo alla lotta, come Cinto Cirri (uno dei<br />
figli <strong>di</strong> Pietro), che nel 1916 scrive dall’Albania:<br />
“sebbene lontano dalla Patria, il morale è altissimo e sono sicuro <strong>di</strong> conservarlo fino alla<br />
fine (...)”;<br />
o come il sottotenente Gino Forni: “Anche in questo nuovo fronte internazionale<br />
mi trovo bene e conservo immutata fede nei destini della Patria, della<br />
nostra Italia che qui ha acquistato la dovuta considerazione mostrando la propria<br />
forza e la propria vigorosa vitalità” (28).<br />
La vita al fronte, il combattimento danno un senso all’esistenza <strong>di</strong> questi<br />
soldati <strong>di</strong> estrazione borghese attraverso il recupero <strong>di</strong> valori tra<strong>di</strong>zionali, primo<br />
fra gli altri il patriottismo, che li accompagneranno anche a conflitto terminato.<br />
Nonostante il fatto che la realtà abbia mostrato loro quanto, invece, il conflitto<br />
sia privo <strong>di</strong> senso e fonte <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione, il “mito” della guerra come evento<br />
rigeneratore<br />
“fu fatto proprio e utilizzato in continuazione negli anni Venti da chiunque, per qualsiasi<br />
ragione, non fosse <strong>di</strong>sposto ad accettare il fatto <strong>di</strong> essere stato strumentalizzato, sfruttato, mutilato,<br />
e sacrificato in guerra senza alcun fine nazionale o personale” (29).<br />
Una sorta <strong>di</strong> “razionalizzazione”, quin<strong>di</strong>, necessaria per affrontare le delusioni<br />
del dopoguerra, quando si apre la “questione dei reduci”. Molti fra <strong>di</strong> loro<br />
sono orgogliosi <strong>di</strong> avere fatto il proprio dovere per la patria e proprio per questo<br />
chiederanno <strong>di</strong> essere ricompensati dei sacrifici fatti.<br />
28 - cfr. MELETTI, op. cit., ms 43 (29) pp. 154 e 148.<br />
29 - cfr. LEED, op. cit., p. 193.
87<br />
Schede
88<br />
La Rotonda: Nicola Bertuzzi, Nascita della Vergine
PAOLO CASSOLI<br />
La Nascita della Vergine<br />
Pala d’altare della Rotonda<br />
Alcuni anni fa, per il volume <strong>Crevalcore</strong>: percorsi storici, redassi una scheda sui<br />
<strong>di</strong>pinti della Rotonda nella quale non ebbi la possibilità <strong>di</strong> inserire, per le limitazioni<br />
imposte al numero e al tipo delle immagini, i confronti visivi che sarebbero stati<br />
utili a dare più adeguata sostanza all’analisi <strong>di</strong> questo interessantissimo <strong>di</strong>pinto. Mi<br />
propongo ora <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>are a quella mancanza, certo che il <strong>di</strong>pinto della Nascita<br />
della Vergine potrà così essere meglio capito e apprezzato.<br />
I <strong>di</strong>pinti della Rotonda costituiscono un gruppo fortemente unitario non<br />
solo perché appartengono tutti ad un’unica mano, ma anche perché costituiscono<br />
un ciclo decorativo e iconografico pensato e progettato espressamente per quel<br />
luogo e per quegli spazi.<br />
Sono otto tele <strong>di</strong> cui una soltanto, appunto la Nascita della Vergine, <strong>di</strong> forma<br />
rettangolare, le altre sette <strong>di</strong> forma ovale e <strong>di</strong> piccola <strong>di</strong>mensione.<br />
Cinque <strong>di</strong>pinti (Oltre alla Nascita la Presentazione al tempio (o Purificazione), l’Annunciazione,<br />
l’Immacolata Concezione e l’Assunzione) rappresentano i principali momenti<br />
della liturgia mariana, gli altri tre raffigurano i Santi Martino, Francesco d’Assisi,<br />
Francesco <strong>di</strong> Paola e Luigi Gonzaga che adorano il Sacro Cuore.<br />
L’autore del ciclo è Nicola Bertuzzi, pittore nativo <strong>di</strong> Ancona (circa 1710)<br />
che, trasferitosi a Bologna in giovane età, si è formato alla scuola del Bigari dopo<br />
aver vinto, nel 1734, il primo premio nel corso <strong>di</strong> pittura dell’Accademia Clementina.<br />
Della stessa Accademia Bertuzzi, nel 1774, quasi al termine della propria feconda<br />
carriera (sarebbe morto infatti il 2 gennaio del 1777), sarà anche eletto presidente.<br />
Le notizie biografiche su <strong>di</strong> lui sono piuttosto scarse; tra queste meritano un<br />
cenno quelle che ci fornisce il Tognetti, segretario della Pontificia Accademia <strong>di</strong><br />
Belle Arti dal 1823 al 1845, forse non desunte soltanto dagli Atti dell’Accademia<br />
Clementina, ma verosimilmente anche dai ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> qualche persona dell’ambiente<br />
che poteva averlo conosciuto una cinquantina d’anni prima. Il Tognetti<br />
riferisce infatti che Bertuzzi “… fu valente figurista per feracità d’invenzione e per<br />
colorito elegante. Velocissimo nell’operare, onde moltiplicò i lavori a migliaia.<br />
Rare volte usciva dalla sua stanza, dove stava continuamente solitario dallo spuntar<br />
del giorno fino all’imbrunire affatto della sera, e questa fu forse la cagione <strong>di</strong><br />
fiera ipocondria che se gli leggeva sul volto. Era <strong>di</strong> naturale biliosissimo e mal si<br />
89
90<br />
poteva tenere da contrattempi che gli rendeano poco onore e questa fu la cagione<br />
che perdè molte amicizie che gli erano state e gli poteano essere <strong>di</strong> vantaggio. Per<br />
altro per le rare volte che trovavasi allegro, faceva e <strong>di</strong>ceva cose da far credere che<br />
fosse il più ilare uomo del mondo.” 1<br />
La “feracità <strong>di</strong> invenzione” e la velocità nell’operare <strong>di</strong>pendevano anche dal<br />
fatto che il Bertuzzi sfruttasse volentieri moduli compositivi già sperimentati declinandoli<br />
in base alle <strong>di</strong>fferenti esigenze. È ad esempio il caso dell’angelo nella<br />
parte superiore destra della Nascita della Vergine del tutto simile all’angelo della<br />
Cacciata <strong>di</strong> Adamo ed Eva dal para<strong>di</strong>so terrestre realizzato a carboncino e gessetto<br />
su carta azzurra <strong>di</strong> proprietà dell’Accademia Clementina. Il <strong>di</strong>segno è firmato<br />
“Nicola Bertuzzi Anconitano 1734 I. Classe”. Si tratta quin<strong>di</strong> del <strong>di</strong>segno che<br />
guadagnò al ventiquattrenne pittore il premio accademico. In esso il braccio destro<br />
dell’angelo non è piegato verso il petto come nella Nascita della Vergine e la<br />
mano bran<strong>di</strong>sce la torcia fiammeggiante che minaccia i due progenitori. Altra<br />
notevole <strong>di</strong>fferenza si nota nella gamba sinistra, quasi parallela al piano prospettico<br />
nel <strong>di</strong>segno della Clementina e orientato obliquamente nel <strong>di</strong>pinto. Resta il fatto<br />
che il Bertuzzi riutilizza nel <strong>di</strong>pinto della Rotonda, a ben 34 anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza,<br />
questo modello giovanile la cui origine prima, a ben vedere, potrebbe essere<br />
l’angelo dell’Immacolata che si trova nella chiesa Bolognese <strong>di</strong> S. Eugenio Papa,<br />
del suo maestro Vittorio Bigari. 2<br />
Ma esiste un altro <strong>di</strong>pinto che ha rapporti ancora più stretti con la Nascita<br />
della Vergine della Rotonda: si tratta <strong>di</strong> un quadro <strong>di</strong> identico soggetto già in collezione<br />
Molinari Pradelli, ora nelle raccolte d’arte della Fondazione Cassa <strong>di</strong> Risparmio<br />
in Bologna. Esso venne eseguito per la villa Sampiera dei marchesi Boschi a<br />
Barbiano e risale al 1764, come <strong>di</strong>mostra una ricevuta autografa pubblicata da G.<br />
Zucchini. 3<br />
Questa tela, <strong>di</strong> poco precedente il <strong>di</strong>pinto della Rotonda, ne anticipa l’invenzione<br />
compositiva nel gruppo principale dei personaggi: la servetta, la balia che<br />
tiene in braccio Maria bambina, la figura femminile adorante accanto a loro ed<br />
anche la sant’Anna giacente nel letto in secondo piano che però nella pala d’altare<br />
della Rotonda è quasi come ribaltata in controparte. L’effetto d’insieme è tuttavia<br />
1 Citato in: Guido Zucchini, Il pittore Nicola Bertuzzi detto L’Anconitano, 1710-1777, Urbino 1955,<br />
pag. 6-7.<br />
2 L’oratorio fu solennemente benedetto l’8 ottobre 1768 dal Vicario Generale dell’Abate <strong>di</strong><br />
Nonantola Baccarini, come risulta da Meletti, <strong>Crevalcore</strong>…, Parte IV, vol. II, sec. XVIII E<strong>di</strong>fici, p.<br />
181; mss 20B della Biblioteca comunale <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>. La posa della prima pietra della Rotonda<br />
risale al 4 ottobre 1764 (Meletti, ivi) Le tele del Bertuzzi debbono perciò essere datate 1767-68.<br />
3 G. Zucchini, Paesaggi e rovine nella pittura bolognese del Settecento, Bologna 1947, p. 35; si veda una<br />
scheda del <strong>di</strong>pinto in: La Raccolta Molinari Pradelli. Dipinti del Sei e Settecento, Firenze 1984, cat. della<br />
mostra Bologna, Palazzo del Podestà 26 maggio-29 agosto1984, p. 110
<strong>di</strong>versissimo, dato che il quadro della Sampiera ha uno sviluppo orizzontale e i<br />
personaggi vi sono <strong>di</strong>sposti lungo linee oblique <strong>di</strong>scendenti, mentre quello della<br />
Rotonda ha uno sviluppo verticale e la composizione un andamento piramidale<br />
o forse sarebbe meglio <strong>di</strong>re spiraliforme ascendente, ciò che meglio si attaglia alla<br />
flessuosità neomanieristica <strong>di</strong> queste aggraziate figurette.<br />
Secondo Renato Roli il quadro già in villa Sampiera è <strong>di</strong>pinto “con una verve<br />
degna <strong>di</strong> un veneziano, vicinissima ai mo<strong>di</strong> del Nogari”. 4 Il riferimento più pertinente<br />
per la “propensione veneteggiante” 5 del Bertuzzi è Vincenzo Monti, come<br />
ha <strong>di</strong>mostrato Ugo Ruggeri in un suo articolo intitolato per l’appunto Nicola<br />
Bertuzzi ‘Falso veneziano’ . 6 Occorre tener conto che il Monti si era già trasferito<br />
definitivamente a Brescia nel 1738 e che perciò la sua influenza sul Bertuzzi risale<br />
agli anni della formazione del pittore. Bertuzzi però astrae da quella magniloquenza<br />
ancora presente nel Monti alla ricerca <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>atezza e schiettezza; è così che le<br />
sue figurette in atteggiamenti umili, tratte dal quoti<strong>di</strong>ano e rese con velocità stenografica,<br />
sono parse espressione <strong>di</strong> una certa vena caricaturale del pittore, che meglio<br />
forse si vede nelle altre tele della Rotonda, poiché la pala d’altare, per la sua<br />
con<strong>di</strong>zione privilegiata, è più aderente a un ductus pittorico <strong>di</strong> impreziosito<br />
calligrafismo. In questo <strong>di</strong>pinto si avvicina alla pittura veneta più per il tentativo <strong>di</strong><br />
ottenere la morbida e polverosa levità del pastello che quella grassa succosità <strong>di</strong><br />
cui parla il Ruggeri. 7<br />
Di notevole suggestione sono alcuni riman<strong>di</strong> che riflettono la scena della<br />
Natività all’interno dell’oratorio: la predella sulla quale si trovano i personaggi in<br />
primo piano è in tutto simile alla predella reale dell’altare e lo spazio pittorico<br />
viene suggerito come spazio curvo a imitazione dell’ambiente reale.<br />
Le figure <strong>di</strong>pinte risultano così trasferite nello spazio vero come per un<br />
gioco <strong>di</strong> specchi, mentre un altro gioco <strong>di</strong> specchi, allusivamente e sottilmente<br />
ambiguo, a livello dei significati, fa sì che la Madonna, simbolo stesso della maternità,<br />
rifletta, prefigurandola, l’immagine della nascita del figlio.<br />
In questo gioco, composto <strong>di</strong> sorridente armonia, nella grazia che permea<br />
le misurate figurette e nella flessuosità neomanieristica della linea che le muove sta<br />
la poetica del Bertuzzi, pittore non <strong>di</strong> primaria grandezza, ma senz’altro uno dei<br />
più interessanti rappresentanti del rococò bolognese alla vigilia della stagione<br />
neoclassica.<br />
4 Renato Roli, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignani ai Gandolfi, Bologna 1977, p. 124<br />
5 La definizione è ancora <strong>di</strong> Renato Roli, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignani ai Gandolfi, Bologna<br />
1977, p. 125<br />
6 Ugo Ruggeri Nicola Bertuzzi ‘Falso Veneziano’, in: Musei Ferraresi, bollettino annuale n. 12,<br />
1982, pp. 115-130.<br />
7 Ugo Ruggeri, Nicola Bertuzzi ‘Falso Veneziano’, cit.<br />
91
92<br />
In alto a sinistra: Accademia Clementina,<br />
<strong>di</strong>segno a carboncino e gessetto<br />
su carta azzurra firmato “Nicola Bertuzzi<br />
Anconitano 1734 I. Classe.<br />
In alto a destra: Vittorio Bigari, Immacolata<br />
Concezione, particolare dell’angelo.<br />
Bologna, Sant’Eugenio Papa.<br />
A lato: particolare dell’angelo della pala<br />
della Rotonda<br />
La foto della pala d’altare è opera <strong>di</strong><br />
Luciano Calzolari e proviene dall’archivio<br />
dell’Accademia In<strong>di</strong>fferenti Risoluti,<br />
la cui attività <strong>di</strong> conservazione è<br />
preziosa per tutti coloro che si occupano<br />
della storia e del patrimonio artistico<br />
crevalcorese e alla quale vanno i nostri<br />
ringraziamenti.
In alto Fondazione Cassa <strong>di</strong> Risparmio in Bologna; Nicola Bertuzzi, Nascita della Vergine, 1764,<br />
proveniente da villa Sampiera.<br />
In basso: il gruppo centrale nella Nascita della Vergine della Rotonda.<br />
93
94<br />
Il passaggio dei Francesi; sullo sfondo la chiesa dei Poveri, la rocca e la Porta <strong>di</strong> Levante.<br />
Ricostruzione storica <strong>di</strong> R.Tommasini.
Correva l’anno...<br />
Cronaca <strong><strong>Crevalcore</strong>se</strong> per l’anno 1796<br />
a cura <strong>di</strong> Roberto Tommasini<br />
Fine Marzo 1796: come tutti gli anni durante la Settimana Santa, terminava la<br />
consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> far suonare la campana maggiore dopo l’una <strong>di</strong> notte. Ra<strong>di</strong><br />
rintocchi che avevano lo scopo <strong>di</strong> guidare nel buio, verso il castello, i viandanti in<br />
transito per le valli paludose.<br />
Si trattava <strong>di</strong> un’usanza antichissima che cominciava il primo novembre, nel<br />
giorno dei Santi. A suonare la campana per quel servizio e sempre pronto a segnalare<br />
ogni tipo <strong>di</strong> pericolo, era un incaricato dal <strong>Comune</strong>, che trascorreva le notti in<br />
una cella del Campanile; da tutti era chiamato il “Campanaro della Notte”.<br />
Proprio in quei giorni, il 26 Marzo, Napoleone Bonaparte, <strong>di</strong>ventato generale<br />
da poche settimane, assumeva il comando dell’armata francese in Italia. Un’armata<br />
<strong>di</strong> 38.000 uomini, inesperti, male equipaggiati, mal pagati, che fu trasformata<br />
in breve in un’irresistibile macchina da guerra in grado <strong>di</strong> travolgere ovunque le<br />
<strong>di</strong>fese Austro Piemontesi.<br />
A metà Aprile Nizza e Savoia <strong>di</strong>ventavano Francesi. A metà maggio gli<br />
Austriaci erano costretti ad abbandonare Milano.<br />
Il duca <strong>di</strong> Parma, terrorizzato, si affrettava a comprare l’armistizio per due<br />
milioni <strong>di</strong> lire, 1.700 capi <strong>di</strong> bestie da soma e da tiro, 10.000 quintali <strong>di</strong> frumento,<br />
2.000 buoi e 20 quadri <strong>di</strong> rinomati autori.<br />
Nulla <strong>di</strong> quanto avveniva <strong>di</strong> là dai propri terrapieni sembrava turbare la vita<br />
del piccolo mondo <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, con il tempo scan<strong>di</strong>to dall’alternarsi delle <strong>di</strong>verse<br />
processioni e la vita animata dalle liti sugli organisti.<br />
Così Don Gaetano Paltrinieri descriverà, anni dopo, il Paese in quegli anni:<br />
“<strong>Crevalcore</strong> era selciato in veruna contrada né aveva case imbiancate, né pulite,<br />
né adorne come ora; ma era pieno <strong>di</strong> fango e <strong>di</strong> gramigna come una campagna<br />
e forse peggio”.<br />
Il testo si basa prevalentemente sulle notizie riportate nei manoscritti :<br />
-Lorenzo Meletti<br />
-Gaetano Paltrinieri<br />
-Don Angelo Frabetti (che comprende la trascrizione completa della Storia <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> <strong>di</strong> Gaetano<br />
Atti) nelle pagine relative al 1796 e all’epoca precedente all’arrivo dei Francesi.<br />
95
96<br />
(fig. 1) Confraternita religiosa in processione: ricostruzione storica <strong>di</strong> R.Tommasini.
Erano circa tremila le persone che componevano in quei giorni la Comunità<br />
<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, retta allora dal Sig. Giuseppe Cremonini Moroni che aveva sostituito<br />
Andrea Lamberti, console eletto per il 1° semestre e che, però, era morto il 5<br />
aprile.<br />
La lite per gli organisti, Francia o Traeri, aveva creato un clima <strong>di</strong> tensione in<br />
Paese e per questo avevano abbandonato la Parrocchia uno dopo l’altro i Prevosti<br />
Don Gavioli e Don Ansaloni.<br />
Il 7 Maggio, la notizia della fuga del Duca <strong>di</strong> Modena e la presenza dei<br />
Francesi ai confini cominciarono a destare allarme.<br />
Così, mentre Ercole III lasciava Modena per Venezia e delegava il Marchese<br />
Rangoni a trattare l’armistizio con i Francesi (costato poi <strong>di</strong>eci milioni <strong>di</strong> tornesi e<br />
qualche decina dei migliori quadri del Duca), il Senato Bolognese decideva col<br />
consenso del Car<strong>di</strong>nale Legato Vincenzi Mareri <strong>di</strong> Rieti, <strong>di</strong> chiedere a Roma o<br />
istruzioni o libertà d’agire<br />
Anche il Consiglio <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, in attesa <strong>di</strong> <strong>di</strong>sposizioni, cominciava a<br />
darsi da fare e il 9 Maggio or<strong>di</strong>nava una delle poche cose in suo potere, ovvero,<br />
una solenne funzione religiosa.<br />
Le funzioni erano momenti caratterizzanti e importanti nella vita crevalcorese<br />
e per la loro riuscita lavoravano ben sette Confraternite religiose <strong>di</strong> antica istituzione.<br />
(fig.1)<br />
Don Carlo Ansaloni, un prevosto crevalcorese <strong>di</strong>ventato poi Vicario Generale<br />
<strong>di</strong> Nonantola, soleva <strong>di</strong>re che nella sola Roma aveva vedute delle processioni<br />
“più magnifiche” <strong>di</strong> quelle che si vedevano a <strong>Crevalcore</strong>.<br />
Al fine <strong>di</strong> affrontare degnamente la minaccia francese furono fatte le cose in<br />
grande e l’invito a partecipare fu esteso ai frati d’Abrenunzio e ai preti delle parrocchie<br />
vicine; la funzione si tenne il 12 Maggio, giorno in cui il Senato Bolognese<br />
inviava a Parma l’avvocato Pistorini Proconsultore e i Senatori Malvasia e Caprara<br />
per aprire un confronto con i Francesi.<br />
Nulla trapelava della consultazione ufficiale, ma il Senato Bolognese cominciava<br />
a pubblicare e<strong>di</strong>tti che proibivano al contado <strong>di</strong> suonare le campane a martello;<br />
se nel territorio fosse entrato qualche <strong>di</strong>staccamento francese, s’invitava a<br />
rispettarlo e a trattarlo amichevolmente (21 Maggio).<br />
Si proibiva, poi, a chiunque <strong>di</strong> far scommesse in relazione alle contingenze<br />
della guerra, ingiungendo <strong>di</strong> non mancare <strong>di</strong> rispetto ai governi delle potenze<br />
belligeranti ed alle loro armate ed obbligando, inoltre, ogni bottegaio a tener<br />
esposto l’or<strong>di</strong>ne nei rispettivi esercizi (23 Maggio).<br />
Un paio <strong>di</strong> settimane trascorsero senza che azioni o parole facessero chiarezza<br />
sulle intenzioni francesi. Solo il 15 Giugno giunse dal Senato <strong>di</strong> Bologna,<br />
in<strong>di</strong>rizzato al Console della Comunità, un plico <strong>di</strong> stampe, ma la consegna era <strong>di</strong><br />
aprirlo il giorno 19.<br />
97
98<br />
Se le informazioni provenienti dal Governo non chiarivano granché, notizie<br />
poco rassicuranti giungevano dalle zone occupate dai Francesi. In particolare il 17<br />
Giugno, verso l’Ave Maria, un espresso inviato da don Domenico Cremonini<br />
Moroni, prevosto a Camurana vicino a Mirandola, informava suo fratello Giuseppe,<br />
console <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, che i Francesi stavano costruendo un ponte sul<br />
Panaro e che il mattino seguente sarebbero entrati in territorio Pontificio. La voce<br />
si sparse velocemente nel Castello creando allarme, spavento ed incredulità.<br />
Il tempo delle preoccupazioni fu però breve. Infatti, la mattina seguente,<br />
verso le ore 6 (sabato 18 Giugno), entravano in Paese per la Porta <strong>di</strong> Ponente tre<br />
Ussari a cavallo, i quali, fattisi condurre alla presenza del Console, lo informarono<br />
dell’imminente arrivo <strong>di</strong> un contingente armato per il quale or<strong>di</strong>narono al primo<br />
citta<strong>di</strong>no settemila razioni <strong>di</strong> viveri.<br />
Ferrati i cavalli e date in<strong>di</strong>cazioni al maniscalco Tioli <strong>di</strong> preparare molti altri<br />
ferri per i cavalieri in arrivo, i tre proseguirono in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Bologna.<br />
Fu aperto il plico <strong>di</strong> stampe ricevuto il 15. Si trattava <strong>di</strong> avvisi da appendere<br />
alle porte del Castello. In essi s’informava la citta<strong>di</strong>nanza del passaggio delle truppe<br />
francesi per il Paese e si chiedeva “<strong>di</strong> accamparli e <strong>di</strong> non far loro alcuna<br />
resistenza, anzi accoglierli amorosamente e somministrargli alloggio e cibarie“.<br />
I tempi dell’invasione erano quin<strong>di</strong> già stati concordati fra Senato Bolognese<br />
e Comando Francese da almeno tre giorni.<br />
Altri proclami del Governo Bolognese informavano quello stesso giorno<br />
che i Francesi stavano per arrivare, avvertendo che essi «...non attentavano alla<br />
proprietà, alla religione...» e che pertanto verso i soldati francesi era necessario<br />
usare una certa deferenza. Alle 8 circa, ecco spuntare l’avanguar<strong>di</strong>a francese, seguita<br />
a breve dal grosso delle truppe: in parte fanteria, in parte cavalleria.<br />
La conquista del primo castello dello Stato Pontificio venne celebrata in<br />
modo adeguato. Gli ufficiali schierarono le truppe (circa 12.000 uomini) davanti<br />
a Porta Modena; quin<strong>di</strong>, accompagnati dal suono <strong>di</strong> tre bande musicali, entrarono<br />
trionfalmente in paese: l’arco <strong>di</strong> Porta Modena aveva sicuramente ispirato “la<br />
grandeur” dei comandanti.<br />
Tutta la fanteria passò per la via principale del castello, andandosi poi ad<br />
accampare nelle campagne circostanti, a fianco della via per Bologna, dalle fosse<br />
fino a Santa Sofia, lungo la via <strong>di</strong> Mezzo e le strade che portavano alla Guisa; la<br />
strada per Sant’Agata era completamente occupata e non era possibile transitare<br />
per il Crociale del Bisentolo.<br />
La cavalleria, invece, oltrepassò il Paese all’esterno dalla parte <strong>di</strong> Mezzogiorno.<br />
(fig.2)<br />
Le vie del paese e le campagne circostanti si colorarono delle tinte vivaci<br />
delle <strong>di</strong>vise militari. Il generale Augerau, comandante della colonna, prese alloggio<br />
in casa del Ceneri (il palazzo attualmente sede della banca Unicre<strong>di</strong>t); un altro
(fig. 2) Il passaggio della cavalleria francese a sud del Paese: ricostruzione storica <strong>di</strong><br />
R.Tommasini.<br />
generale fu ospitato dall’arciprete Don Rinaldo Tomasini; un terzo alloggiò nella<br />
casa <strong>di</strong> Camillo Orsi. Gli ufficiali si sistemarono nelle case del Castello, mentre un<br />
migliaio <strong>di</strong> uomini si accamparono sotto i portici.<br />
Imme<strong>di</strong>atamente furono poste sentinelle a guar<strong>di</strong>a del forno della Ba<strong>di</strong>a e a<br />
quello pubblico, affinché entrambi rimanessero esclusivamente a <strong>di</strong>sposizione delle<br />
truppe.<br />
Le musiche continuarono anche nelle ore successive ad echeggiare per le vie<br />
del paese; sotto le finestre della casa dove era alloggiato il generale Augerau, nella<br />
via maestra del castello, le bande militari allietavano il proprio comandate con il<br />
loro miglior repertorio.<br />
Verso mezzogiorno tutta la cavalleria si radunò in castello per prendere il fieno<br />
dai venti carri che, su or<strong>di</strong>ne della Comunità, erano stati affannosamente preparati.<br />
Anche i fanti cominciarono a far spese per il castello, pagando tutto regolarmente,<br />
e nulla fu danneggiato se non le coltivazioni presenti nei terreni dove<br />
erano sorti gli accampamenti.<br />
L’armamento dei militari era composto da semplici fucili: solo quattro cannoni<br />
furono visti mentre venivano caricati su carri al Ponte della Ca’ Rossa.<br />
La Comunità, fin dal mattino, aveva inviato un messo a Bologna per informare<br />
il Senato <strong>di</strong> quanto stava accadendo. Con una riunione d’urgenza i Senatori<br />
99
100<br />
presero i provve<strong>di</strong>menti del caso, affidando fra l’altro il controllo della nostra<br />
zona al Senatore Carlo Caprara, al quale toccò ben presto una spinosa questione.<br />
Dal grosso delle truppe provenienti da Camposanto, all’altezza dei Ronchi,<br />
si staccarono sei fanti, curiosi <strong>di</strong> visitare il Convento <strong>di</strong> Abrenunzio, del quale era<br />
allora guar<strong>di</strong>ano il padre Guarino da S. Giovanni.<br />
Dopo essersi ben rifocillati a spese dei religiosi, i bravi guerrieri, armi alla<br />
mano, chiesero denaro ai frati che, spaventati, si <strong>di</strong>edero alla fuga. Scontento <strong>di</strong><br />
andarsene a mani vuote, uno dei militari entrò allora in chiesa e, sfondato il tabernacolo,<br />
s’impadronì <strong>di</strong> due pissi<strong>di</strong> e <strong>di</strong> un ostensorio. I frati corsero allora dal<br />
Senatore Caprara, il quale non tardò ad informare a sua volta dell’accaduto il generale<br />
Augerau. Senatore e generale si recarono sul posto per le verifiche del caso cui<br />
seguirono, per or<strong>di</strong>ne del generale, ricerche negli accampamenti <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong>, dove<br />
il colpevole, trovato ancora in possesso della refurtiva, fu arrestato.<br />
Il calare del sole offriva ai <strong>Crevalcore</strong>si altre viste insolite: dalle campagne<br />
illuminate dai fuochi dei bivacchi a quaranta “carrettoni” stracolmi <strong>di</strong> farina e<br />
pagnotte che, con il vino inviato dalla Comunità e la carne <strong>di</strong> 30 buoi forniti da<br />
<strong>di</strong>versi conta<strong>di</strong>ni, dovevano costituire il vitto dei militari.<br />
Nelle stesse ore arrivava a Bologna l’avanguar<strong>di</strong>a francese il cui comandante,<br />
a nome <strong>di</strong> Napoleone Bonaparte, informava il gonfaloniere marchese Filippo<br />
Ercolani del prossimo arrivo delle truppe, richiedendo per esse i viveri necessari.<br />
L’esigenza <strong>di</strong> consolidare l’occupazione <strong>di</strong> Bologna fece mo<strong>di</strong>ficare i piani<br />
del contingente <strong>di</strong> stanza a <strong>Crevalcore</strong>, che, contrariamente a quanto annunciato,<br />
anticipò <strong>di</strong> circa do<strong>di</strong>ci ore la partenza per la città, infatti le truppe partirono<br />
verso la mezzanotte. L’or<strong>di</strong>ne fu improvviso e parte del vitto preparato venne<br />
lasciato sul posto.<br />
Passando il Ravone venne eseguita la sentenza <strong>di</strong> morte nei confronti <strong>di</strong><br />
alcuni militari francesi, fra i quali il soldato reo del furto sacrilego commesso nella<br />
Chiesa <strong>di</strong> Abrenunzio. Ai pie<strong>di</strong> del fucilato furono posti i sacri arre<strong>di</strong> da lui rubati.<br />
La colonna entrò in città per la porta S. Felice con musica militare e ban<strong>di</strong>ere<br />
spiegate.<br />
Domenica 19 Giugno <strong>Crevalcore</strong> fu presi<strong>di</strong>ata fino a sera da una cinquantina<br />
<strong>di</strong> uomini armati arrivati alla mattina con un “carrettone”.<br />
Cadeva in quello stesso giorno e senza opporre resistenza la fortezza <strong>di</strong><br />
Forte Urbano a Castelfranco che veniva rapidamente svuotata <strong>di</strong> uomini (in parte<br />
imprigionati) e <strong>di</strong> armi <strong>di</strong> ogni calibro che prendevano la via <strong>di</strong> Mantova.<br />
Poco dopo la mezzanotte Bonaparte arrivava a Bologna e dopo aver gentilmente<br />
invitato il Car<strong>di</strong>nal Legato Vicenzi a partire per Roma, dandogli tre ore<br />
<strong>di</strong> tempo, accoglieva rispettosamente il vecchio Senato nella Sala Farnese, promettendo<br />
che Bologna sarebbe <strong>di</strong>ventata Repubblica.<br />
Proseguiva lunedì 20 Giugno il passaggio per <strong>Crevalcore</strong> dei reparti france-
101<br />
si che provenivano in maggioranza dal conquistato Forte Urbano.<br />
L’assistenza ai militari era a carico della nostra Comunità. Sempre nello stesso<br />
giorno avvenne una gran requisizione <strong>di</strong> cavalli; i più belli furono scelti ed<br />
inviati a Bologna. La stima degli animali requisiti fu fatta da due professori bolognesi:<br />
le spese, in questo caso, furono a carico del Senato Bolognese.<br />
Martedì 22 Giugno, mentre anche Ferrara passava sotto controllo francese<br />
con una rapi<strong>di</strong>tà degna delle manovre del generale Bonaparte, i Commissari<br />
napoleonici presentavano ai Bolognesi il conto della pacifica invasione.<br />
I quadri migliori delle chiese Bolognesi, che già stavano prendendo la via <strong>di</strong><br />
Parigi, non erano che un piccolo anticipo delle richieste che ammontavano a circa<br />
quattro milioni <strong>di</strong> lire, due dei quali in verghe d’argento e d’oro e due in “generi”,<br />
ossia beni <strong>di</strong> varia natura. Del conto non faceva parte quanto già prelevato dalle<br />
casse pubbliche e dai Monti a titolo <strong>di</strong> conquista. Subito il Governo Bolognese si<br />
<strong>di</strong>ede da fare per reperire i fon<strong>di</strong> necessari. Argento venne chiesto alle chiese <strong>di</strong><br />
città e campagna. Con un e<strong>di</strong>tto pubblicato il 25 Giugno si invitavano i citta<strong>di</strong>ni<br />
facoltosi a consegnare oro, argento e contanti: il <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Bologna si impegnava<br />
a riconoscere questi cre<strong>di</strong>ti col frutto annuo del cinque per cento. Anche le<br />
nostre chiese vennero ovviamente coinvolte nella contribuzione e così le compagnie<br />
religiose.<br />
Quella del SS.mo inviò Gio. Filippo Golinelli a Bologna con 510 once <strong>di</strong><br />
argenteria, per la quale fu segnato un cre<strong>di</strong>to <strong>di</strong> lire 2.550, moneta plateale <strong>di</strong><br />
Bologna. Erano in gran parte gli argenti donati da Pellegrino Albertini. La Compagnia<br />
dei Battuti inviava invece il Camerlengo Roberto Lamberti e l’Assunto<br />
Stanislao Ferranti. Le sue argenterie, un intero servizio da altare, ammontavano a<br />
ben 121 libbre e mezzo. Arrivavano al peso <strong>di</strong> 122 once le argenterie inviate a<br />
Bologna dalla Compagnia del Rosario che sacrificava alla causa anche un bellissimo<br />
turibolo.<br />
Alla Compagnia dei Poveri fu segnato un cre<strong>di</strong>to <strong>di</strong> lire 766 e sol<strong>di</strong> cinque,<br />
valutando l’argento a norma <strong>di</strong> lire 5 l’oncia, come il Senato aveva stabilito. Non<br />
sfuggirono alla contribuzione le chiese delle campagne: molti oggetti furono asportati<br />
dall’oratorio dei Ronchi, fra cui 14 candelieri d’argento, mentre da Galeazza<br />
furono ceduti oggetti per un valore <strong>di</strong> 782 lire.<br />
Un buon numero <strong>di</strong> oggetti che costituivano il patrimonio storico e artistico<br />
<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> prendevano la strada <strong>di</strong> Bologna dove, in una fonderia approntata<br />
nella Canonica <strong>di</strong> San Salvatore, venivano fusi assieme a quelli degli altri paesi del<br />
bolognese e trasformati in tante verghe d’argento, necessarie a finanziare la guerra<br />
del Generale Bonaparte.<br />
Giovedì 23 Giugno Pio IV, nel tentativo <strong>di</strong> limitare i danni allo Stato della<br />
Chiesa, chiedeva una tregua ai Francesi che prontamente e generosamente accettavano<br />
in cambio <strong>di</strong> una ventina <strong>di</strong> milioni, la possibilità <strong>di</strong> scegliere nel patrimo-
102<br />
nio artistico del Vaticano cento quadri, cento busti, cento manoscritti, ospitalità<br />
garantita nei porti dello Stato Pontificio, chiusura dei porti ai nemici della Francia,<br />
ed anche Bologna (e provincia), Ferrara e la fortezza <strong>di</strong> Ancona.<br />
Il 26 Giugno tutti i Consoli e Massari del Contado vennero chiamati a prestare<br />
giuramento al nuovo Governo Democratico Repubblicano.<br />
Il 30 Giugno il Console eletto per il secondo semestre, Lorenzo Bartolucci,<br />
i Comunisti Gio Filippo Golinelli e il Capitano Giuseppe Menarini si recarono a<br />
Bologna per giurare fedeltà al Senato Bolognese, che già aveva giurato fedeltà alla<br />
Repubblica Francese. Do<strong>di</strong>ci giorni soltanto erano passati dall’arrivo dei Francesi<br />
a <strong>Crevalcore</strong>.<br />
Se il governo cambiava, restavano invece i problemi. La nuova Municipalità<br />
si trovava costretta a contrarre un mutuo per pagare le spese sostenute dal<br />
giorno dell’occupazione e per far fronte a quelle future, dal momento che il<br />
passaggio <strong>di</strong> truppe continuava. I nostri amministratori contavano sul rimborso<br />
<strong>di</strong> tali spese.<br />
Il 5 Luglio arrivava a <strong>Crevalcore</strong> il nuovo prevosto: Don Andrea Borelli.<br />
A rendere più <strong>di</strong>fficile la vita nella ex Legazione <strong>di</strong> Bologna, arrivò una<br />
grave epidemia fra il bestiame. Iniziò a <strong>di</strong>ffondersi il 12 Luglio e a <strong>Crevalcore</strong> i<br />
primi casi si manifestarono il 24. Tutte le fiere furono proibite, compresa quella<br />
crevalcorese <strong>di</strong> luglio. Successivamente furono aboliti anche tutti i mercati e alla<br />
fine le per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> bestiame ammontarono a 18.000 capi.<br />
Cominciava inoltre ad aumentare in maniera preoccupante la delinquenza:<br />
una notificazione del 15 Luglio ricompensava con cinque scu<strong>di</strong> la collaborazione<br />
utile all’arresto <strong>di</strong> malviventi.<br />
Dalla Giunta delle Contribuzioni arrivarono, il primo <strong>di</strong> Agosto, or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong><br />
pagamento per 1.500 lire da effettuarsi entro tre giorni in contanti o in metalli<br />
preziosi. I Municipalisti si <strong>di</strong>chiaravano impossibilitati a sod<strong>di</strong>sfare la richiesta a<br />
causa delle spese già sostenute a favore delle truppe <strong>di</strong> passaggio. Inoltre, la recente<br />
notizia relativa all’entrata in Italia <strong>di</strong> un nuovo contingente austriaco <strong>di</strong><br />
sessantamila uomini consigliava sicuramente <strong>di</strong> non affrettare i pagamenti agli<br />
occupanti francesi. In tutta l’Italia si riaccendevano le speranze dei partiti avversi ai<br />
Francesi: il Papa sospendeva i pagamenti concordati nell’armistizio e avviava il<br />
potenziamento dell’esercito; il Re <strong>di</strong> Napoli rafforzava i confini. In vari territori<br />
occupati dai Francesi erano scoppiati tumulti.<br />
L’impresa austriaca ebbe però vita breve. Napoleone, contando sull’effetto<br />
sorpresa e abbandonando a Mantova gli armamenti pesanti, piombò (prima che<br />
si potessero ricongiungere) sui tre corpi che formavano l’esercito nemico, sbaragliandoli<br />
uno dopo l’altro a Montechiaro, a Lonato il 3 Agosto e a Castiglione<br />
delle Stiviere due giorni dopo. Gli Austriaci si ritirarono in fretta, lasciando <strong>di</strong>etro<br />
<strong>di</strong> sé 20.000 uomini.
(fig. 3) L’albero della Libertà: ricostruzione storica <strong>di</strong> R.Tommasini.<br />
103<br />
Il Senato Bolognese decise che quello era il momento <strong>di</strong> ricostituire una<br />
propria forza armata e informò il nostro Consiglio che avrebbe dovuto fornire<br />
a tal scopo tre <strong>Crevalcore</strong>si. Non furono trovati volontari. Fra tutti i maschi dai<br />
18 ai 40 anni (ammogliati e capifamiglia esclusi) vennero così sorteggiati i citta<strong>di</strong>ni<br />
Francesco Albertini, Giovanni <strong>di</strong> Luca Paltrinieri e Vincenzo <strong>di</strong> Francesco Monari<br />
che l’11 Agosto si presentavano per l’arruolamento al convento dei Padri<br />
dell’Annunziata. Il corpo che si costituì venne chiamato “dei Riga<strong>di</strong>ni”.<br />
Le nuove idee <strong>di</strong> Libertà ed Uguaglianza, lo spirito repubblicano cominciavano<br />
a far presa fra la nostra popolazione e il 29 Agosto alcuni <strong>Crevalcore</strong>si<br />
decisero <strong>di</strong> mostrare la loro adesione al nuovo corso piantando un albero nel<br />
mezzo della Piazza in segno <strong>di</strong> Libertà ed Eguaglianza.<br />
Così Frabetti descrive quell’avvenimento: “andarono all’Oratorio <strong>di</strong> San<br />
Bernar<strong>di</strong>no vicino al Castello quasi un miglio <strong>di</strong>etro la via del Papa e presero un<br />
pioppo <strong>di</strong> quelli che stanno d’intorno e si rotolò fino entro il Castello, lo piazza-
104<br />
rono nella pubblica piazza passeggiando d’intorno ad esso schiamazzando e gridando<br />
“Viva la Repubblica, Viva la Libertà “ forzando anche altri a fare lo stesso;<br />
in<strong>di</strong> apersero un Quartiere arruolando i paesani a far la guar<strong>di</strong>a della Civica giorno<br />
e notte. Quell’albero vi restò fino alla primavera dell’anno 1797” (fig. 3).<br />
Il 5 Settembre arrivò a <strong>Crevalcore</strong> un Commissario Francese per visitare<br />
tutti i palazzi ed il convento <strong>di</strong> Abrenunzio: solo qualche tempo dopo si sarebbe<br />
capito il perché.<br />
Settembre riconfermava la superiorità dell’armata francese su quella austriaca,<br />
nuovamente sconfitta a Bassano, costretta a <strong>di</strong>vidersi e a ripiegare parte nel<br />
Tirolo, parte nel Friuli. Il Comandante austriaco, Wurnser, riuscì a stento a rifugiarsi<br />
in Mantova, subito asse<strong>di</strong>ata dai Francesi.<br />
A tutti gli insorti vennero imposte nuove contribuzioni: il Re <strong>di</strong> Napoli fu<br />
costretto a comprare la pace per otto milioni <strong>di</strong> franchi.<br />
A Bologna il 14 Settembre iniziava la rimozione degli stemmi Pontifici ed in<br />
quella stessa sera fu piantato l’albero della Libertà, al quale furono costretti <strong>di</strong><br />
guar<strong>di</strong>a nobili e cavalieri.<br />
Intanto a <strong>Crevalcore</strong>, grazie agli uffici del nuovo Prevosto, trovava soluzione<br />
in questo mese la lunga lite degli organisti che aveva spaccato in due il paese. La<br />
fazione che sosteneva il Traeri si era definita dei “Ghibellini”, quella a favore del<br />
Francia dei “Guelfi”. Una scrittura privata metteva d’accordo le Compagnie del<br />
Santissimo e del Rosario, il Prevosto e il <strong>Comune</strong>, ma ormai degli organisti non<br />
importava più niente a nessuno.<br />
Anche l’orologio doveva adeguarsi ai tempi nuovi e, a partire dalla fine <strong>di</strong><br />
Settembre, fu regolato alla «francese»: la campana continuava però a suonare<br />
l’Ave Maria, il Mezzogiorno e l’Ora <strong>di</strong> Notte o Coprifuoco.<br />
Sabato 29 Settembre, “un’ora avanti giorno”, una gran<strong>di</strong>ssima scossa <strong>di</strong><br />
terremoto venne ad accrescere le preoccupazioni.<br />
Il 6 Ottobre i Modenesi filo-francesi si ribellavano al Duca e, grazie all’appoggio<br />
<strong>di</strong> duemila militari napoleonici, sbaragliavano la debole resistenza dei<br />
soldati estensi, rimasti a presi<strong>di</strong>are il ducato dopo la fuga <strong>di</strong> Ercole III. Allora gli<br />
alberi della libertà spuntarono come funghi in tutto il Ducato <strong>di</strong> Modena, che<br />
passava sotto il controllo francese.<br />
Un<strong>di</strong>ci giorni dopo veniva costituita la Confederazione Cispadana che comprendeva<br />
le città e province <strong>di</strong> Bologna, Modena, Ferrara e Reggio Emilia, Bologna<br />
ne era capitale.<br />
Continuava il passaggio <strong>di</strong> truppe a <strong>Crevalcore</strong>: 300 guastatori provenienti<br />
da Bologna venivano alloggiati il 29 Giugno nella Chiesa <strong>di</strong> S.M. dei Poveri.<br />
Frabetti li descrive: “erano armati <strong>di</strong> ba<strong>di</strong>li, mannaie e picconi ed erano tutti della<br />
plebaglia e malviventi e bericchini bolognesi oziosi dei capelli”. Alla loro partenza<br />
fu notato che erano stati asportati dalla Chiesa una piccola statua ed altri oggetti.
105<br />
Il Senato, informato del fatto, chiedeva alla Comunità <strong>di</strong> far sapere al popolo,<br />
a tutela della tranquillità pubblica, che <strong>di</strong>sapprovava l’accaduto.<br />
Il primo Novembre, il nostro Consiglio inviava Felice Rossi e Giovanni<br />
Paolo Dossali al comizio per l’elezione <strong>di</strong> 45 can<strong>di</strong>dati al Senato Cispadano. Fra<br />
gli eletti vi fu Dossali che assunse il titolo <strong>di</strong> Senatore il 7 Novembre.<br />
Il 5 Novembre fu pubblicata una Costituzione con la quale venivano aboliti<br />
i titoli nobiliari e si or<strong>di</strong>nava la <strong>di</strong>struzione delle armi gentilizie. I vari titoli nobiliari<br />
erano sostituiti da quello <strong>di</strong> “citta<strong>di</strong>no” e tutti furono obbligati a portare la coccarda<br />
francese o nazionale <strong>di</strong> colore bianco, rosso e verde.<br />
Il 14 Novembre la Comunità, rimborsata dalla Giunta delle Contribuzioni,<br />
restituiva a Pasquale Golinelli lire 5.000 avute in prestito fin da Luglio allo scopo<br />
<strong>di</strong> sostenere le truppe <strong>di</strong> passaggio. Continuavano, invece, le richieste <strong>di</strong> contributi<br />
alle confraternite, costrette a versare somme in contanti. Così per esempio i Battuti<br />
furono “quotati” per lire 700 e per 750 la Compagnia del Rosario.<br />
L’Austria, con un esercito al comando del maresciallo Allvintzy, ritentava <strong>di</strong><br />
contrastare l’espansione francese, ma l’esito fu ancora negativo. Dopo qualche<br />
successo fu battuta il 15, il 16 e il 17 Novembre in quella battaglia <strong>di</strong> giganti che<br />
prese il nome dal villaggio <strong>di</strong> Arcole.<br />
La sera del 4 Dicembre in San Petronio a Bologna fu accettata la Costituzione.<br />
La sera stessa e nel pomeriggio del giorno seguente, furono eletti i 36 deputati<br />
che dovevano recarsi a Reggio per il congresso costitutivo della Repubblica<br />
Cispadana.<br />
Nel suddetto comizio gli elettori erano complessivamente 484. <strong>Crevalcore</strong><br />
era rappresentato da: Pigozzi Dott. Orazio <strong>di</strong> Vincenzo, Orsoni Luigi, Rossi<br />
Leopoldo, Malaguti Luca, Golinelli Gio Filippo ( il mandato è datato 31 Maggio<br />
1797).<br />
Il Congresso <strong>di</strong> Reggio proclamava il 30 <strong>di</strong>cembre la Costituzione della<br />
Repubblica Cispadana.<br />
I reggitori della nostra Comunità <strong>di</strong>ventavano Municipalisti; <strong>Crevalcore</strong> veniva<br />
incluso nel Dipartimento dell’Alta Padusa con capoluogo Cento, <strong>di</strong>venuto<br />
sede della Vice Prefettura.<br />
L’anno che aveva contato per la Parrocchia <strong>di</strong> San Silvestro 210 battezzati,<br />
56 matrimoni e166 morti si chiudeva e con esso chiudeva l’epoca delle processioni<br />
(seconde solo a quelle romane), delle Compagnie Religiose, dei privilegi del<br />
forno dell’Abbazia, del Campanaro della Notte.<br />
Niente sarebbe più stato come prima: il modo <strong>di</strong> pensare, <strong>di</strong> misurare, <strong>di</strong><br />
pesare, <strong>di</strong> segnare il tempo... il giorno seguente, infatti, sarebbe stato il 12 Nevoso,<br />
anno IV.<br />
Si ringraziano per la collaborazione Magda Abbati e Marcello Ansaloni
106<br />
Recensione<br />
Le <strong>di</strong>more dei Signori<br />
Alla fine dello scorso anno ha visto la luce un sontuoso volume scritto a due<br />
mani da Pierangelo Pancal<strong>di</strong> e Alberto Tampellini dal titolo: Le <strong>di</strong>more dei Signori.<br />
Il volume è stto curato, per le e<strong>di</strong>zioni Marefosca da Floriano Govoni.<br />
L’opera illustra ventidue ville signorili presenti nei comuni <strong>di</strong> Anzola<br />
dell’Emilia, Calderara <strong>di</strong> Reno, <strong>Crevalcore</strong>, Sala Bolognese, Sant’Agata Bolognese,<br />
San Giovanni in Persiceto, che costituiscono l’associazione “Terre d’acqua” e<br />
sono legati da vicende comuni e morfologia territoriale simile.<br />
Lo scopo <strong>di</strong>chiarato del volume non è quello <strong>di</strong> fare un censimento esaustivo<br />
delle residenze nobiliari <strong>di</strong> questo territorio, ma <strong>di</strong> fornirne un campione significativo.<br />
Tale <strong>di</strong>chiarata limitazione offre, da un lato, il vantaggio <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso ben<br />
documentato su ciascuno dei ventidue complessi architettonici, come si vede<br />
dalla bibliografia a chiusura <strong>di</strong> ogni trattazione, dall’altro la possibilità <strong>di</strong> inserire in<br />
una grafica elegante, un apparato illustrativo straor<strong>di</strong>nario per ricchezza e qualità.<br />
Le foto <strong>di</strong> Floriano Govoni e Alberto Tampellini non sono infatti soltanto<br />
un corredo del testo, maq sono eloquenti quanto gli stessi testi nel descrivere<br />
l’eleganza del vivere e l’impronta nell’organizzazione del territorio <strong>di</strong> cui la nobiltà<br />
bolognese seppe dar prova tra il XVI e il XVIII secolo, quando investì nelle<br />
campagne ingentissimi patrimoni spesso provenienti dalle attività mercantili del<br />
periodo precedente.<br />
Si tratta del processo in genere definito “rifeudalizzazione”, parallelo alla<br />
per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> competività dell’economia della penisola che si ebbe alla fine del me<strong>di</strong>oevo<br />
e che, se anche viene interpretato in maniera negativa dagli storici, ha però<br />
il merito <strong>di</strong> essere stato il più notevole fattore propulsivo <strong>di</strong> sistemazione delle<br />
campagne dopo la centuriazione romana.
107<br />
Le ville nobiliari <strong>di</strong> tale processo si può <strong>di</strong>re che rappresentarono il fulcro e<br />
il motore.<br />
Ciò che è accaduto negli ultimi cento anni è invece una storia <strong>di</strong> decadenza:<br />
i nuovi assetti agricoli e poderali provocarono una “defunzionalizzazione” delle<br />
ville signorili che in molti casi vennero riusate come magazzini e depositi <strong>di</strong> derrate<br />
agricole.<br />
Le quattro residenze nobiliari poste nel territorio <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> che gli autori<br />
prendono in considerazione, ovvero il Castello <strong>di</strong> Palata, il Castello dei Ronchi, il<br />
Castello <strong>di</strong> Galeazza e il Palazzo Bevilacqua, costituiscono, sotto questo aspetto,<br />
un campionario istruttivo. Due infatti subirono questa sorte (i Ronchi e Bevilacqua)<br />
mentre Galeazza nel 1870 fu ceduta ai Falzoni Gallerani che costruirono a ridosso<br />
degli e<strong>di</strong>fici preesistenti una sorta <strong>di</strong> quinta scenografica con molti elementi arbitrari<br />
(ciò che ne fa una sorta <strong>di</strong> castello “<strong>di</strong>sneyano”) e il castello <strong>di</strong> Palata nello<br />
stesso periodo fu ceduto dai Pepoli ai principi Torlonia che lo utilizzarono come<br />
residenza estiva.<br />
Dopo l’ultima guerra Galeazza fu utilizzata per raccogliervi sfollati con l’inevitabile<br />
conseguenza <strong>di</strong> deturpamenti e per<strong>di</strong>ta degli arre<strong>di</strong> e Palata non subì una<br />
sorte migliore: dopo la ven<strong>di</strong>ta da parte dei Torlonia tutto l’arredamento e i<br />
<strong>di</strong>pinti fu <strong>di</strong>sperso e l’e<strong>di</strong>ficio, ridotto ad un contenitore vuoto, subì <strong>di</strong>versi passaggi<br />
<strong>di</strong> mano senza che nessuno potesse trovargli una destinazione qualsiasi e si<br />
occupasse <strong>di</strong> farvi le più in<strong>di</strong>spensabili opere <strong>di</strong> manutenzione. Il risultato è sotto<br />
gli occhi <strong>di</strong> tutti: il tetto <strong>di</strong> un’intera ala è crollato e non si sa chi potrà avere la<br />
volontà e le risorse per evitare che l’intero palazzo, uno dei migliori esempi <strong>di</strong><br />
architettura villereccia del XVI secolo in Italia, crolli e si perda per sempre. Le<br />
foto del libro evitano accuratamente <strong>di</strong> mostrare lo scempio. Come i ritratti un<br />
po’ sfocati <strong>di</strong>ssimulano le rughe e i guasti del tempo <strong>di</strong> quelle donne che furono<br />
belle in gioventù, esse ci mostrano il palazzo ancora ammantato dell’aura della sua<br />
stagione più gloriosa. Con un sapiente uso degli scorci e dei punti <strong>di</strong> ripresa la<br />
mastodontica mole si staglia ancora torreggiante sull’azzurro del cielo. Per quanto<br />
tempo ancora?<br />
L’augurio è che questo bel libro, che nonostante una tiratura <strong>di</strong> 1500 copie e un<br />
prezzo <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> 45 Euro (ma dobbiamo riconoscere che ampiamente li<br />
vale) è esaurito in brevissimo tempo, tanto che da più parti se ne chiede una ristampa,<br />
non solo contribuisca alla conoscenza del nostro patrimonio e della<br />
nostra storia (obiettivo che <strong>di</strong>amo per scontato), ma ci induca a intervenire perché<br />
questo patrimonio non vada <strong>di</strong>sperso. (P. C.)
108<br />
EVENTI & FIERE<br />
Venerdì 1 Luglio<br />
Galeazza<br />
FESTA ANNUALE DEL BEATO<br />
FERDINANDO MARIA BACCILIERI<br />
a cura della Congregazione Suore Serve<br />
<strong>di</strong> Maria <strong>di</strong> Galeazza<br />
Sabato 2 Luglio<br />
<strong>Crevalcore</strong><br />
EMPORIO IN PIAZZA<br />
a cura della dell’Amministrazione<br />
Comunael, della Pro Loco e dei Commercianti<br />
<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />
Domenica 3 Luglio ore 15.30- 20.00<br />
Villa Ronchi<br />
DOLCE FAR NIENTE<br />
Pomeriggi al fresco nel parco <strong>di</strong> Villa<br />
Ronchi<br />
a cura dall’Associazione “I Sempar in<br />
Baraca” <strong>di</strong> Bolognina<br />
Venerdì 8 Luglio ore 21<br />
<strong>Crevalcore</strong> Biblioteca comunale<br />
RASSEGNA STORICA<br />
CREVALCORESE<br />
Presentazione del primo numero della<br />
rivista <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> storici<br />
dell’Istituzione Paolo Borsellino<br />
8 – 24 Luglio<br />
Bevilacqua<br />
SAGRA DEL TORTELLONE E FESTA<br />
DI S.GIACOMO<br />
a cura della Polisportiva Bevilacquese<br />
e del Gruppo Ricreatorio<br />
SERESERENE 2005<br />
PROGRAMMA ESTIVO<br />
Sabato 9 Luglio<br />
Verona - Trasferta all’Arena per<br />
LA BOHEME<br />
in collaborazione con Froggy Travel<br />
14 - 18 Luglio<br />
<strong>Crevalcore</strong><br />
FIERA DEL CARMINE<br />
a cura dell’Amministrazione Comunale<br />
e della Pro Loco <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />
15 - 31 Luglio<br />
Galeazza<br />
SAGRA DEL PESCE DI MARE<br />
a cura della Polisportiva <strong>di</strong> Galeazza<br />
Venerdì 29 Luglio<br />
Verona - Trasferta all’Arena per<br />
NABUCCO<br />
in collaborazione con Froggy Travel<br />
Giovedì 18 Agosto<br />
Verona - Trasferta all’Arena per<br />
AIDA<br />
in collaborazione con Froggy Travel<br />
Domenica 4 Settembre<br />
<strong>Crevalcore</strong><br />
FIERONE DI SETTEMBRE<br />
A cura dell’Amministrazione Comunale,<br />
della Pro Loco, delle Associazioni <strong>di</strong><br />
Volontariato del territorio e dei Commercianti<br />
<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />
9 – 18 Settembre<br />
Bevilacqua<br />
SAGRA DEI PRIMI PIATTI<br />
a cura della Polisportiva Bevilacquese,<br />
del Gruppo Ricreatorio e Bevilacqua For<br />
Fun
Sabato 10 Settembre ore 16-24<br />
<strong>Crevalcore</strong> – Parco Armando Sarti<br />
Sonica 2005 presenta<br />
SCREAMBLOODYGORE OPEN AIR<br />
a cura dell’associazione Voice of the Soul<br />
16 - 18 Settembre<br />
Villa Ronchi<br />
FIERA DI BOLOGNINA<br />
a cura dell’Associazione I Sempar in<br />
Baraca con il patrocinio del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong><br />
<strong>Crevalcore</strong><br />
16 – 18 Settembre<br />
Villa Ronchi – primo piano<br />
LA FAVOLOSA VILLA RONCHI<br />
Dal Passato al Presente<br />
esposizione <strong>di</strong> arte e artigianato artistico<br />
crevalcorese<br />
inaugurazione venerdì 16 ore 18<br />
Sabato 2 Luglio ore 21.30<br />
QUANDO SEI NATO NON PUOI PIU’<br />
NASCONDERTI <strong>di</strong> Marco Tullio<br />
Giordana<br />
Domenica 3 Luglio ore 21.30<br />
I COLORI DELL’ANIMA – MODIGLIANI<br />
<strong>di</strong> Mick Davis<br />
Martedì 5 Luglio ore 21.30<br />
LA STELLA DI LAURA <strong>di</strong> P. De Rycker<br />
e T. Rothkirch<br />
Giovedì 7 Luglio ore 21.30<br />
LA CADUTA – GLI ULTIMI GIORNI DI<br />
HITLER <strong>di</strong> Oliver Hirschbiegel<br />
Sabato 9 Luglio ore 21.30<br />
THE AVIATOR <strong>di</strong> Martin Scorsese<br />
NUOVO CINEMA ITALIA<br />
Via Mattioli, 38<br />
109<br />
Sabato 17 Settembre<br />
<strong>Crevalcore</strong><br />
EMPORIO IN PIAZZA<br />
a cura della dell’Amministrazione Comunale,<br />
della Pro Loco e dei Commercianti<br />
<strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />
23 – 25 Settembre<br />
Palata Pepoli<br />
FESTA DEL NOME DI MARIA<br />
a cura del Comitato Feste e Sagre Paesane<br />
25 Settembre<br />
Bevilacqua<br />
RADUNO DI AUTO 500 E STORICHE<br />
a cura della Polisportiva Bevilacquese e<br />
Bevilacqua For Fun<br />
Domenica 10 Luglio ore 21.30<br />
CONSTANTINE <strong>di</strong> Francis Lawrence<br />
Martedì 12 Luglio ore 21.30<br />
NEVERLAND – Un sogno per la vita <strong>di</strong><br />
Marc Forster<br />
Mercoledì 13 Luglio ore 21.30<br />
HOTEL RWANDA <strong>di</strong> Terry George<br />
Martedì 19 Luglio ore 21.30<br />
ALLA LUCE DEL SOLE <strong>di</strong> Roberto<br />
Faenza<br />
Mercoledì 20 Luglio ore 21.30<br />
STAR WARS <strong>di</strong> George Lucas<br />
Giovedì 21 Luglio ore 21.30<br />
SIDEWAYS <strong>di</strong> Alexander Payne
110<br />
Sabato 23 Luglio ore 21.30<br />
MILLION DOLLAR BABY<strong>di</strong> Clint<br />
Eastwood<br />
Domenica 24 Luglio ore 21.30<br />
LA FEBBRE <strong>di</strong> Alessandro D’Alatri<br />
Martedì 26 Luglio ore 21.30<br />
IN GOOD COMPANY <strong>di</strong> Paul Weitz<br />
Mercoledì 27 Luglio ore 21.30<br />
THE GRUDGE <strong>di</strong> Takashi Shimizu<br />
Venerdì 1 Luglio ore 21<br />
Caselle – Cortile Scuola Materna<br />
Il Cabaret <strong>di</strong> Antonio Guidetti presenta<br />
MO GUERDA TE<br />
Giovedì 14 Luglio ore 21<br />
<strong>Crevalcore</strong> - Largo Q. Gherman<strong>di</strong> presso<br />
Casa Protetta “S. Pertini”<br />
La Compagnia I Burattini <strong>di</strong> Riccardo<br />
presenta<br />
LE AVVENTURE DI SGANAPINO<br />
Giovedì 21 Luglio ore 21<br />
Bevilacqua – Campo Sportivo<br />
La Compagnia Il Pavaglione presenta<br />
IL FALSO PRINCIPE<br />
Giovedì 25 Agosto ore 20.30<br />
Caselle – Cortile Scuola Materna<br />
La Compagnia Il Pavaglione presenta<br />
FARSE DELLA TRADIZIONE<br />
Giovedì 1 Settembre ore 20.30<br />
Bevilacqua – Campo Sportivo<br />
La Compagnia Dialettale Mirabellese<br />
Giovedì 28 Luglio ore 21.30<br />
IL MERCANTE DI VENEZIA <strong>di</strong> Michael<br />
Radford<br />
Sabato 30 Luglio ore 21.30<br />
STAGE BEAUTY <strong>di</strong> Richard Eyre<br />
Domenica 31 Luglio ore 21.30<br />
L’UOMO PERFETTO <strong>di</strong> Luca Lucini<br />
La programmazione del Nuovo Cinema Italia proseguirà fino al 25 agosto nelle<br />
giornate <strong>di</strong> martedì, giovedì, sabato e domenica. Il programma, comprensivo delle<br />
novità cinematografiche estive, sarà in <strong>di</strong>stribuzione a partire dal 15 luglio.<br />
DIALETTANDO<br />
presenta<br />
CLA BRAGONA AD MIE MUIER<br />
Giovedì 8 Settembre ore 20.30<br />
Palata Pepoli – Cortile Scuola Elementare<br />
Gruppo Dialettale Bolognese presenta<br />
NUOVE STORIE DI QUATAR CIACAR<br />
IN FAMEJA<br />
Giovedì 15 Settembre ore 20.30<br />
Galeazza – Teatro Congregazione Suore<br />
Serve <strong>di</strong> Maria<br />
La Compagnia I Burattini <strong>di</strong> Menozzi<br />
presenta<br />
L’ULTIMA DISGRAZIA DI FAGIOLINO<br />
Domenica 18 Settembre ore 16.00<br />
Cortile Villa Ronchi<br />
La Compagnia I Burattini <strong>di</strong> Alessandro<br />
presenta<br />
LE AVVENTURE DI FAGIOLINO<br />
nell’ambito della Fiera <strong>di</strong> Bolognina a<br />
cura dell’Associazione I Sempar in<br />
Baraca
INFORMAZIONI<br />
EVENTI & FIERE<br />
Istituzione dei servizi culturali Paolo Borsellino<br />
Via Persicetana, 226 <strong>Crevalcore</strong> - tel. 051 6800834;<br />
cultura@comune.crevalcore.bo.it<br />
Pro Loco tel.051 988458; Ufficio Commercio tel. 051 988409<br />
c/o <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong> via Matteotti 191<br />
Per gli eventi curati dall’Associazione “ I Sempar in Baraca “ <strong>di</strong> Bolognina consultare<br />
il sito www.isemparinbaraca.it<br />
Per le trasferte all’Arena <strong>di</strong> Verona: Froggy Travel tel. 051 6800595<br />
NUOVO CINEMA ITALIA<br />
La programmazione del Nuovo Cinema Italia è a cura <strong>di</strong> Union Comunicazione,<br />
con il contributo <strong>di</strong> Coop Adriatica e del CIICAI, la collaborazione dell’Istituzione<br />
Paolo Borsellino e il patrocinio della Provincia <strong>di</strong> Bologna e della Regione Emilia<br />
Romagna<br />
Biglietteria: Interi E. 5,00 Ridotti E. 4,50 ( Agis, Soci Coop, Militari, Carta Istituzione,<br />
Carta Giovani, Tessera Pro Loco) Ridotti E. 3,50 (Bambini e Anziani)<br />
INFO: Union 0545/281860; union@unioncom.com<br />
La programmazione cinematografica è suscettibile <strong>di</strong> variazioni per cause in<strong>di</strong>pendenti<br />
dalla volontà degli organizzatori.<br />
DIALETTANDO<br />
INFO: Istituzione dei servizi culturali Paolo Borsellino<br />
Via Persicetana, 226 a <strong>Crevalcore</strong> tel. 051 68 03581<br />
prosa@comune.crevalcore.bo.it<br />
111<br />
tutte le serate <strong>di</strong> Dialettando sono ad ingresso gratuito<br />
I caso <strong>di</strong> maltempo gli spettacoli programmati a Caselle, Bevilacqua e Ronchi si terranno<br />
in locali coperti a<strong>di</strong>acenti. Per i restanti appuntamenti le nuove date verranno<br />
tempestivamente comunicate<br />
Un ringraziamento particolare a:Istituto Comprensivo <strong>di</strong> <strong>Crevalcore</strong><br />
Parrocchia <strong>di</strong> Bevilacqua, Circolo ARCI <strong>di</strong> Caselle, Congregazione Suore Serve <strong>di</strong><br />
Maria <strong>di</strong> Galeazza
112