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Untitled - Provincia di Verona

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I. PIAZZA DEI SIGNORI.<br />

PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

La piazza de i Signori della sua grandezza contenta ride d’ognintorno per si belle fabriche che vi<br />

sono <strong>di</strong> palazzi, <strong>di</strong> corridori, <strong>di</strong> statue, et ornata <strong>di</strong> tre logge coperte, porge como<strong>di</strong>tà et rifugio<br />

alle persone <strong>di</strong> ricovrarsi a tetto quando piove et soffiano venti importuni…. 1<br />

Il Palazzo della <strong>Provincia</strong>, nel corso dei secoli detto anche del Podestà o del Pretorio, occupa tutta<br />

l’area settentrionale <strong>di</strong> un intero isolato nel cuore della <strong>Verona</strong> romana, delimitato dal decumano<br />

massimo, attuale corso S. Anastasia, dal secondo cardo destrato-citrato, attuale vicolo Cavalletto,<br />

dal I decumano, attuale via S. Maria Antica e dal I cardo destrato- citrato, attuale via Fogge (tav.1).<br />

All’interno del tracciato <strong>di</strong> questo isolato sta anche parte <strong>di</strong> piazza dei Signori, che sorta durante il<br />

tardo me<strong>di</strong>oevo, verso il XII sec., <strong>di</strong>venne gradualmente spazio <strong>di</strong> rappresentanza del potere civile.<br />

Attorno ad essa si raccolsero, tra Duecento e Trecento, le residenze dei Signori scaligeri (da cui il<br />

nome) cui si aggiunsero in epoca veneziana la Loggia del Consiglio e la facciata seicentesca del<br />

palazzo dei Giu<strong>di</strong>ci.<br />

La piazza e i suoi palazzi assunsero così ruolo istituzionale, atto a incutere riverenza e nel<br />

contempo ad irra<strong>di</strong>are valori e significati, luogo deputato del potere, testimone della potenza dei<br />

Signori, da vivi, ma anche da morti, dal momento che il loro cimitero, le Arche Scaligere, sta <strong>di</strong><br />

fronte alle facciate dei loro palazzi.<br />

Accanto alla palazzo della <strong>Provincia</strong>, ci sono dunque altri e<strong>di</strong>fici importanti, gravitanti attorno alla<br />

piazza, <strong>di</strong>rettamente al servizio degli Scaligeri, delle loro famiglie e delle varie magistrature, così<br />

come poi lo saranno dei rappresentanti del governo della Serenissima, i Podestà, assumendo tra<br />

Trecento e Cinquecento, sempre più le sembianze della tipica piazza protorinascimentale <strong>di</strong><br />

rappresentanza.<br />

Anche nell’Ottocento, in seguito alla caduta della Repubblica <strong>di</strong> Venezia, quando <strong>Verona</strong> passò in<br />

mano a i francesi e poi agli austriaci la piazza mantenne sempre le sue caratteristiche, così come<br />

avvenne in seguito all’unificazione italiana e al periodo fascista, pervenendo pressoché intatta fino<br />

ai giorni nostri, emblema dei fasti del passato.<br />

1 VALERINI, A., 1586, p. 63.<br />

1


PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

II. LA CONTRADA DI S. MARIA ANTICA E I DELLA SCALA.<br />

La contrada <strong>di</strong> S. Maria Antica è storicamente legata alla famiglia dei della Scala. Quest’area,<br />

anticamente chiamata guaita <strong>di</strong> S. Maria Antica, è oggi delimitata a est da corso S. Anastasia (il<br />

Cursus), a ovest da via Cairoli, che la separava dalla guaita <strong>di</strong> San Salvar, a nord dalla vicolo<br />

Cavalletto (via Communis) e a sud dal lato orientale <strong>di</strong> piazza delle Erbe. I Signori <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>,<br />

risedettero per lungo tempo in questo quartiere citta<strong>di</strong>no, che con il passare del tempo venne<br />

profondamente alterato dalla costruzione degli e<strong>di</strong>fici e dei palazzi scaligeri (tav. 1-2).<br />

Le indagini archeologiche condotte su parte del cortile del Tribunale tra il 1981 e il 1985 2 in<br />

occasione del restauro degli Uffici Giu<strong>di</strong>ziari, hanno contribuito a fornire in<strong>di</strong>cazioni certe e ad<br />

integrare e correggere le precedenti teorie, basate esclusivamente su fonti <strong>di</strong> tipo letterario. Dallo<br />

stu<strong>di</strong>o dei dati <strong>di</strong> scavo, delle fonti epigrafiche e letterarie, è emerso che la prima zona ad essere<br />

occupata dai della Scala fu proprio quella corrispondente all’o<strong>di</strong>erno cortile del Tribunale,<br />

attualmente delimitato da via Arche Scaligere ad est, da via Cairoli a ovest, da vicolo Cavalletto a<br />

nord e da via Dante a sud (tav. 3).<br />

La prima attestazione riguardante la presenza <strong>di</strong> membri della famiglia della Scala residenti in<br />

quest’area risale al 1245, anno in cui Ongarello II della Scala e i suoi fratelli Bonifacio e Aleardo<br />

vendettero per 100 lire a Bressanino dei Toli una proprietà con casa e corticella retrostante, che<br />

giaceva su piazza S. Maria Antica, da un lato confinante con la strada, da un altro con gli ere<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

Facino de Boso, da un terzo con il pellicciaio Lanfranchino e da un quarto con la casa – torre <strong>di</strong><br />

Bonaventura nipote del fu Enrico de Briccio 3 . Anche Mastino I della Scala aveva qui delle proprietà,<br />

che vennero cedute nel 1277 al fratello Alberto I della Scala.<br />

In alcuni documenti dell’ultimo quarto del XIII sec., si trovano numerosi accenni riguardanti la<br />

residenza <strong>di</strong> Alberto I della Scala (fondatore il 17 ottobre del 1277 della Signoria scaligera e signore<br />

citta<strong>di</strong>no dal 1277 al 1301), il quale ebbe il merito <strong>di</strong> dare un assetto a queste prime <strong>di</strong>more. Dagli<br />

Statuti Albertini del 1276 si apprende che la casa <strong>di</strong> Alberto era collocata “ in strada que va<strong>di</strong>t<br />

ante domum domini Alberti a flumine Athacis usque ad viam capitelli”. Dato che la “via capitelli”<br />

2 HUDSON P., 1983-84-85.<br />

3 ASVr, Esposti, perg. 354: “super plateam Sancte Marie Antique de una parte via, de altera heredes Facini<br />

de Bosio, de tercia Lanfranchinus peliparius et de quarta casaturris Bonaventure nepoitis quondam <strong>di</strong>cti<br />

domini En<strong>di</strong>ci de Briccio”<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

corrisponde all’o<strong>di</strong>erna via S. Maria Antica, essa era verosimilmente collocata lungo l’attuale via<br />

arche Scaligere. Due anni più tar<strong>di</strong> l’abitazione <strong>di</strong> Alberto I viene ancora definita domus 4 , mentre<br />

nel 1285 un’indagine riguardante la campagna data in affitto dal comune <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> agli abitanti <strong>di</strong><br />

Villafranca e Valeggio sul Mincio, si tenne “in palatio novo nobilis viri domini Alberti de la Scala.” 5<br />

Nello stesso anno, un’aggiunta agli Statuti Albertini, che permise ad Alberto <strong>di</strong> costruire un<br />

e<strong>di</strong>ficio fortificato nell’area intorno al Palazzo del vecchio Comune (e<strong>di</strong>ficato tra il 1193 e il 1194),<br />

dove tali costruzioni erano proibite 6 , suggerisce che la sua abitazione fosse stata ricostruita in<br />

forma <strong>di</strong> palazzo e presumibilmente allargata. Grazie alle <strong>di</strong>sposizioni del 1285, Alberto I, ebbe il<br />

<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> fortificare la propria abitazione e infatti, già nel 1293, abbiamo notizia dell’esistenza <strong>di</strong><br />

una torre, 7 mentre un altro documento del 1298, estratto dal Syllabus Potestatum, 8 ci informa <strong>di</strong><br />

una seconda torre verso ponte Nuovo, portandoci a pensare che il palazzo fosse dotato <strong>di</strong> due<br />

torri <strong>di</strong>fensive collocate lungo le strade pubbliche. Sappiamo anche che il palazzo, già dal 24<br />

gennaio 1924, era dotato <strong>di</strong> un pozzo e <strong>di</strong> una porta ad esso contigua. 9 Una terza fase <strong>di</strong><br />

espansione del palazzo è ascrivibile all’ultimo decennio del XIII sec. Nel 1295, infine, il carattere<br />

fortificato del palazzo venne accentuato dalla costruzione <strong>di</strong> un’altra torre “super strata qua itur<br />

ad pontem novum et est super angulo palacii <strong>di</strong>cti domini Alberti”. 10<br />

Pertanto il complesso, nel suo ultimo arrangiamento, comprendeva almeno tre torri, due lungo le<br />

strade pubbliche citate nei documenti e la terza all’interno dell’area indagata dallo scavo. (tav. 4).<br />

Dopo la morte <strong>di</strong> Alberto I, avvenuta nel 1301, le fonti scritte relative ai successivi abitanti del suo<br />

palazzo, Bartolomeo e Alboino, forniscono pochi in<strong>di</strong>zi per ipotizzare un’ulteriore estensione del<br />

complesso, che venne sicuramente riconfigurato e ampliato da Cansignorio (1364).<br />

4<br />

SANDRI, 1931, 18, n.5.<br />

5<br />

ASVr, Gazola, perg. non numerata, maggio 1285.<br />

6<br />

CAMPAGNOLA B., Liber iuris civilis urbis Verone, 1728, p. 43. Statuto Albertino, libro IV, pp. CLXVI, CLXVII,<br />

Statuto <strong>di</strong> Cangrande 1, IV, pp. CLI, CLII.<br />

7<br />

ASVr., Da Sacco, c. 15, m. 5, n. 4: “via pubblica iuxta turrim palacii nobilis viri domini Alberti della Scala.”<br />

8<br />

C. CIPOLLA, 1890, Antiche Cronache Veronesi. Syllabus Potestatum, p. 402: “1298. Et turris similiter facta<br />

per nobilem virum dominum Albertum, quae est super strata qua itur ad pontem novum et est super angulo<br />

palacii <strong>di</strong>cti Domini Alberti”<br />

9<br />

A.A.V., S. Maria in Organo. Istromenti. I. “Verone ante portam nobilis viri domini Alberti della Scala apud<br />

puteum.”<br />

10 v. nota 9.<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Si sa che i figli <strong>di</strong> Mastino I, dopo la morte del padre avvenuta nel 1277, abitarono nella residenza<br />

dello zio Alberto I, della quale erano forse comproprietari, 11 mentre quando il 3 settembre 1301<br />

Alberto morì, proclamò ere<strong>di</strong> equaliter i suoi tre figli maschi, nominando il primogenito,<br />

Bartolomeo (1301-1304), già associatogli al potere nel Capitanato 12 fin dal 1299, tutore dei fratelli<br />

minori Alboino e Cangrande.<br />

Il palazzo prese il nome dal successore della Signoria, 13 ma, dal momento che egli visse solo fino al<br />

7 marzo del 1304, il palazzo e la piazza vennero intitolati ad Alboino (1304-1311), il<br />

secondogenito. 14<br />

Verso i primi anni del XIV sec. però, sembra che avvenne una <strong>di</strong>visione delle proprietà tra i figli <strong>di</strong><br />

Alberto I 15 , e probabilmente, in questo periodo, anche Federico della Scala, figlio <strong>di</strong> Alberto<br />

Piccardo del ramo <strong>di</strong> Bocca, si staccò dai suoi parenti ed e<strong>di</strong>ficò il suo palazzo sul lato orientale <strong>di</strong><br />

vicolo Cavalletto, a lato della chiesa, ora sconsacrata, <strong>di</strong> S. Maria in Chiavica 16 . Un documento del<br />

1311 ci informa che il minore dei figli <strong>di</strong> Alberto I, Cangrande, viveva con il nipote Francesco, figlio<br />

del defunto Bartolomeo, in un nuovo palazzo 17 . E a quanto pare, lo stesso Francesco, costruì,<br />

qualche anno più tar<strong>di</strong>, una sua residenza, anch’essa nella contrada <strong>di</strong> S. Maria Antica (forse dove<br />

sorge oggi la Loggia del Consiglio) 18 , mentre Mastino II e Alberto II, figli <strong>di</strong> Alboino, anche dopo la<br />

morte del padre, continuarono a vivere nel palazzo paterno, verso il ponte Nuovo 19 .<br />

11 A.A.V., S. Eufemia mon. 2 n. 87, 1278: “in domo domini Alberti de la Scala et nepotum.”<br />

12 VERCI, Storia della Marca Trevigiana, IV, p. 140: “ et Barholomeus primogenitus penes eum Comuni set<br />

popoli veronensis Capitaneus generalis”.<br />

13 A.A.V., S. Maria in Organo, 1302: “in palatio Magnifici Domini Bartholomei della Scala”<br />

14 A.A.V., Comune, 1305: “Verone in palatio maiori domini Alboyni de la Scala Comunis et popoli Verone<br />

Dominus et Capitaneus generalis.” A.A.V., S. Zeno, 1II, f. 101 b., 1306: “in curte Nob. Et Magnifici Viri domini<br />

Albini de la Scala Verone et popoli Capitaneus Generalis” e ancora A.A.V., S. Spirito, 74 App. n. 73, 9<br />

gennaio 1310: “in cutivo palacii nobili set magnifici domini Alboini de la Scala”.<br />

15 FAINELLI V.,1917, Le con<strong>di</strong>zioni economiche dei primi Signori Scaligeri. Atti dell’Accademia <strong>di</strong> Agricoltura,<br />

Scienze , Lettere <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, serie IV, Vol. XIX, p.15 e n. 2.<br />

16 A.A.V.V., Comune, perg. 1316: “ in domo habitationis dni Friderici sita in guaita S. Marie Antique.”<br />

17 A.A.V.V., Archivio Murari. Istromenti, I, 18 ottobre 1311: “in guaita Sancte Marie Antique in palatio novo<br />

domini Canisgran<strong>di</strong>s de la Scala, in camera domini Francisci olim bone memorie domini Bartolomei de la<br />

Scala.”<br />

18 A.A.V.V., Archivio Murari. Istromenti I, 10 febbraio 1316: “ in contrada Sancte Marie Antique, in Palatio<br />

habitationis Nob. Viri Domini Francisci q. bonememorie Domini Bartholomei de la Scala.”<br />

19 A.A.V.V., Esposti, 1286, 17 novembre 1312: “in guaita S. Marie Antiquein camera inferiori habitacionis<br />

dominorum Alberti et Mastini fratrum filiorum condam bonememorie domini Albini de la Scala que est in<br />

curte nova, versus pontem novum”.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

Durante la Signoria <strong>di</strong> Cangrande, dunque, gli Scaligeri avevano quattro <strong>di</strong>more <strong>di</strong>stinte, quella <strong>di</strong><br />

Cangrande appunto, quella <strong>di</strong> Federico, <strong>di</strong> Francesco e il palazzo <strong>di</strong> Alberto I, probabilmente<br />

rimaneggiato e dotato <strong>di</strong> una nuova corte da Alboino e abitato dai figli Mastino II e Alberto II, tutte<br />

nella contrada <strong>di</strong> S. Maria Antica. In seguito, Francesco morì senza ere<strong>di</strong> nel 1325, nello stesso<br />

anno Federico della Scala, avendo tentato <strong>di</strong> impadronirsi del potere durante una grave malattia <strong>di</strong><br />

Cangrande, venne arrestato, esiliato e i suoi beni furono confiscati. 20 Cosicché, spentosi<br />

improvvisamente nel 1329 anche Cangrande, tutte le proprietà ed i palazzi siti nella contrada <strong>di</strong> S.<br />

Maria Antica, confluirono nelle mani <strong>di</strong> Alberto II e <strong>di</strong> Mastino II, successivamente <strong>di</strong> Cangrande II<br />

e poi <strong>di</strong> Cansignorio, che riorganizzò, ampliò, fortificò e unificò con passaggi aerei tutti i<br />

posse<strong>di</strong>menti dei suoi predecessori.<br />

In sintesi, lo sviluppo dei palazzi scaligeri <strong>di</strong> S. Maria Antica, ebbe come maggiori protagonisti<br />

Alberto I della Scala e successivamente Cansignorio.<br />

Prima della signoria <strong>di</strong> Alberto le fonti scritte non sembrano attestare una ra<strong>di</strong>cata presenza<br />

scaligera. Precedentemente alla cessione da parte <strong>di</strong> Mastino I ad Alberto della proprietà che fu<br />

poi il nucleo del suo palazzo sappiamo soltanto della presenza <strong>di</strong> Ongarello II che nel 1245<br />

vendette un terreno collocato nell’isolato.<br />

Mastino I poi nel 1277 cedette le sue proprietà ad Alberto, il quale, nell’arco <strong>di</strong> venticinque anni<br />

riuscì ad impadronirsi <strong>di</strong> circa un quarto dell’isolato.<br />

I dati raccolti nei recenti scavi hanno gettato nuova luce sulla natura <strong>di</strong> questa espansione, che<br />

ebbe il suo apice con l’e<strong>di</strong>ficazione del fastoso palazzo <strong>di</strong> Cansignorio, E’ necessario colmare però a<br />

colmare le lacune riguardanti da una parte le costruzioni qui eseguite tra la morte <strong>di</strong> Alberto e<br />

l’e<strong>di</strong>ficazione del palazzo <strong>di</strong> Cansignorio e dall’altra la costruzione del palazzo <strong>di</strong> Cangrande.<br />

20 RR.II.SS., Cronicon veronese, c. 644. Si veda anche SIMEONI L., Federico della Scala, conte <strong>di</strong> Valpolicella,<br />

in A.I.V. 1903-1904.<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

III. IL PALAZZO DELLA PROVINCIA IN ETA’ SCALIGERA.<br />

III.1. IL PALAZZO DI CANGRANDE I DELLA SCALA.<br />

Mentre il cortile del Tribunale, nel corso degli anni ottanta, è stato oggetto <strong>di</strong> scavi e rilievi<br />

archeologici che hanno permesso <strong>di</strong> delineare lo sviluppo delle proprietà scaligere in quell’area (in<br />

particolare il palazzo <strong>di</strong> Alberto I e quello <strong>di</strong> Cansignorio), per ricostruire le fasi evolutive del<br />

Palazzo della <strong>Provincia</strong>, data la totale assenza <strong>di</strong> elementi topografici e <strong>di</strong> documentazione<br />

archeologica, si sono utilizzate esclusivamente fonti letterarie, via via prodotte nel corso dei secoli,<br />

a partire dalla dominazione scaligera, fino al XX sec.<br />

Un documento redatto il 18 ottobre del 1311 in contrada S. Maria Antica 21 , ci da le prime notizie<br />

relative al palazzo <strong>di</strong> Cangrande. Giulio Sancassani, 22 lo stu<strong>di</strong>oso che rinvenne questa importante<br />

testimonianza, sostiene con certezza che la data 1311, potrebbe corrispondere all’anno <strong>di</strong><br />

conclusione dei lavori, che egli fa iniziare dopo il 1308, cioè quando Cangrande venne associato al<br />

potere del fratello Alboino.<br />

È sicuramente errata invece la data <strong>di</strong> fondazione proposta dagli storiografi veronesi della fine<br />

dell’Ottocento, che decisero <strong>di</strong> collocare sul palazzo una lapide, ora rimossa, che così recitava:<br />

“Mastino I della Scala eresse nel 1272 questo palazzo trasformato dalle succedute Signorie. Giotto<br />

e il veronese Altichieri qui <strong>di</strong>pinsero opere che perirono. Cangrande vi accolse Dante Alighieri che lo<br />

glorificò de<strong>di</strong>candogli la terza delle eterne sue cantiche.” L’errore <strong>di</strong> datazione in cui caddero<br />

venne chiarito nel 1924 dal Da Re, 23 il quale spiega che motivo <strong>di</strong> confusione fu l’e<strong>di</strong>ficazione <strong>di</strong> un<br />

altro e<strong>di</strong>ficio pubblico collocato esattamente dall’atro lato della piazza rispetto al palazzo della<br />

Prefettura, la Domus Nova (oggi con facciata seicentesca), e<strong>di</strong>ficata nel 1273 per volere del<br />

Podestà Andalo de Andalo in seguito alla pace con Mantova del 1272.<br />

21 ASVr, Murari della Corte, perg. 4: “In guaita S. Marie Antique, in palacio novo domini Canisgran<strong>di</strong>s de la<br />

Scala, in camara domini Francisci olim bone memorie domini Bartholomei de la Scala.”<br />

22 SANCASSANI G., 1965, I maestri muratori Bartolomeo e Nascimbene e l’e<strong>di</strong>lizia Scaligera da Alberto I a<br />

Cangrande I, in Annuario del Liceo Scipione Maffei <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> de<strong>di</strong>cato al VII centenario della nascita <strong>di</strong><br />

Dante.<br />

23 DA RE G., 1924, Quando fu eretto il Palazzo della Prefettura <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>? ,in A.A.VV., Miscellanea per le<br />

nozze Brenzoni-Giacometti, pp.17-19.<br />

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ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Non si hanno sufficienti elementi per stabilire se il se<strong>di</strong>me del palazzo fosse occupato da qualche<br />

e<strong>di</strong>ficio prima della sua costruzione. Pare comunque accertato che pre-esistesse, almeno fino ad<br />

una certa altezza, la torre d’angolo tra via Arche Scaligere e vicolo Cavalletto, il cui nucleo inferiore<br />

fino al poggiolo del secondo piano risalirebbe, secondo Antonio Avena, al XIII sec. e segnerebbe<br />

“gli inizi della <strong>di</strong>fficile ascesa scaligera”, mentre invece le gran<strong>di</strong> finestre degli altri piani e del<br />

corpo aggiunto “suscitano il ricordo del fastoso Cangrande.” 24<br />

Durante i lavori degli anni 1927-1930 si constatò che verso piazza dei Signori, allora non ancora<br />

completamente costituitasi, c’erano una serie <strong>di</strong> costruzioni. Il <strong>di</strong>rettore artistico dei lavori,<br />

Antonio Avena, così scriveva nella sua relazione: “ il palazzo <strong>di</strong> Cangrande aveva la fronte sulle<br />

Arche con un breve fianco <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci metri su piazza dei Signori. Uno stretto vicolo lo separava da<br />

una vecchia casa con una loggia terrena che assai presto <strong>di</strong>venne proprietà scaligera e fu<br />

incorporata col palazzo; e a sua volta la loggia era poi <strong>di</strong>visa per un vicolo da un’altra casa.<br />

Abbiamo ritrovato le finestre <strong>di</strong> queste due casette; guardavano sopra i vicoli, e con la piccolezza e<br />

la forma ora rettangolare ora a feritoia, ci suggeriscono ancora la visione <strong>di</strong> un borgo me<strong>di</strong>evale <strong>di</strong><br />

povere catapecchie, annidate presso le torri. E portano tracce d’incen<strong>di</strong>o.” 25 Poi continua: “quando<br />

queste casette siano state fuse col palazzo <strong>di</strong> Cangrande, non ci è risultato né dai documenti né dai<br />

lavori: probabilmente durante la stessa dominazione scaligera, come appare dalle analogie dei<br />

gran<strong>di</strong> finestroni che al secondo piano si spingono fino ad occupare anche l’area che un tempo era<br />

pubblica strada. Forse Cansignorio, l’organizzatore dei palazzi scaligeri, saldò anche questa<br />

compagine fino a corso S. Anastasia.” 26<br />

Il palazzo infatti aveva il fronte principale e l’ingresso su via Arche Scaligere e due corpi laterali o<br />

ali, si allungavano su via Cavalletto da una parte e per 12 m. sulla piazza, dall’altra. Un vicolo<br />

separava l’ala del palazzo sulla piazza da un e<strong>di</strong>ficio romanico con loggia terrena, <strong>di</strong> fronte al quale<br />

stava, separato da un vicolo, un’altra costruzione (tav. 5), che potrebbe corrispondere al palazzo <strong>di</strong><br />

Francesco della Scala, figlio <strong>di</strong> Bartolomeo Avena sostiene inoltre <strong>di</strong> aver rinvenuto alcune finestre<br />

rettangolari e a feritoia appartenenti a questi e<strong>di</strong>fici, che <strong>di</strong>ce furono inglobati in un periodo<br />

imprecisato, all’interno del palazzo, forse già da Cangrande o nel momento in cui Canignorio<br />

decise <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficare la loggia terminante su Corso S. Anastasia.<br />

24 AVENA A., 1931, p. 39.<br />

25 AVENA A., 1931, p. 141.<br />

26 Ibidem.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

Pertanto si tende a pensare che la pianta originaria fosse a ferro <strong>di</strong> cavallo, con il fronte principale<br />

rivolto su S. Maria Antica, e i due lati minori prospettanti su vicolo Cavalletto e sulla piazza, come<br />

teorizzato dall’Avena. Oltre l’ingresso, si trovava un atrio, chiamato anche “Loggia delle Colonne”,<br />

che venne alla luce dopo i lavori <strong>di</strong> restauro degli anni Trenta. Infatti, nel corso del XVIII sec., il<br />

portale del Sanmicheli <strong>di</strong>venne l’ingresso principale del palazzo, mentre il portale su via Arche<br />

Scaligere venne murato e l’atrio occupato “con vari uffici, intersecando con muri gli spazi,<br />

rompendo le stesse arcate, e persino togliendo <strong>di</strong> sotto alle spalle d’imposta le colonne e i<br />

pilastri.” 27 Antonio Avena, descrive entusiasticamente tale atrio come “ veramente ospitale per<br />

gran<strong>di</strong>osità, quanto suggestivo per intersecazioni <strong>di</strong> linee e d’ombre; ha il mistero delle cripte e il<br />

lusso coloristico dei colonnati arabi” ( tav. 7-8). Ci spiega poi che per ricomporre questo spazio “fu<br />

ribassato il livello del suolo, fu rinforzata con un sottarco la saldezza degli archi, fu rivivificata e<br />

compiuta la decorazione. Il soffitto è a travetti su mo<strong>di</strong>glioncini e mostra una decorazione<br />

cinquecentesca; ma sotto <strong>di</strong> essa spia vivacissima la decorazione trecentesca. Così sulle pareti, vi<br />

sono due strati decorativi: il più antico a libere volute con fiorami vivaci, il secondo a riquadri<br />

d’intonazione dorata. Ma il senso originario del colore <strong>di</strong> questo atrio ci è suggerito in modo<br />

particolare dal capitello me<strong>di</strong>ano che la pietra tutta decorata in bianco, rosso e verde.” 28<br />

Nonostante si avanzi sul terreno delle supposizioni, sembra che debba “appartenere alla prima<br />

redazione del palazzo <strong>di</strong> Cansignorio una grande loggia che ne decorava il cortile interno, <strong>di</strong> fronte<br />

all’antico vicolo che metteva tale cortile <strong>di</strong>rettamente in comunicazione con piazza dei Signori (ove<br />

adesso è l’androne del portone sanmicheliano). In data ancor recente infatti, all’interno degli uffici<br />

della provincia, nell’e<strong>di</strong>ficio prospiciente vicolo Cavalletto e nella sua porzione riferita al primo<br />

cortile, sono venuti alla luce, al secondo piano, nella stessa muratura che <strong>di</strong>vide il corridoio<br />

centrale dagli uffici affacciati al cortile, resti <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> archi che potrebbero appartenere ad una<br />

loggia dei tempi <strong>di</strong> Cangrande (tav. 9), murata quando poi si costruì quella <strong>di</strong> Canignorio. Tale<br />

loggia si sarebbe sviluppata su tutto il fronte del cortile interno, in posizione ovviamente più<br />

arretrata rispetto all’attuale prospetto, partendo dalla torre d’angolo e giungendo fino all’altezza<br />

del secondo cortile, laddove quest’ala del palazzo piega ad angolo retto, restringendosi<br />

notevolmente in spessore. La qualificazione dell’area annessa al palazzo verso il corso è senza<br />

alcun dubbio più tarda perché legata alla costruzione della loggia <strong>di</strong> Cansignorio, ma niente<br />

27 AVENA A., 1931, p. 51.<br />

28 Ibidem.<br />

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ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

impe<strong>di</strong>sce che qui, già ai tempi <strong>di</strong> Cangrande, potessero essere state costruite o riutilizzate, al<br />

servizio della sua reggia, casupole barchesse, portici e stalle.” 29<br />

Esisteva effettivamente su via Cavalletto una loggia dei tempi <strong>di</strong> Cangrande murata<br />

successivamente da Cansignorio? Potrebbe l’e<strong>di</strong>ficio romanico con loggia su piazza dei Signori<br />

essere stata già assorbita nel palazzo ai tempi <strong>di</strong> Cangrande andando a costituire un’altra ala con<br />

loggia frontale a quella su via Cavalletto? Purtroppo in assenza <strong>di</strong> dati topografici “le ipotesi sin qui<br />

avanzate circa la sistemazione <strong>di</strong> quest’area all’epoca <strong>di</strong> Cangrande, restano per il momento<br />

soltanto tali, almeno sino a nuovi possibili lumi archivistici, peraltro al momento rivelatisi assai<br />

scarsi..” 30<br />

III. 2. OSPITI ILLUSTRI E FESTE PRESSO LA CORTE DI CANGRANDE I DELLA SCALA.<br />

Sappiamo per certo che questo palazzo suscitava lo stupore <strong>di</strong> chi lo visitava, che si trattasse <strong>di</strong><br />

personaggi <strong>di</strong> rango ed ambasciatori, o <strong>di</strong> poeti, rifugiati politici, giullari o uomini semplici, così<br />

come fu sommamente celebrata la magnificenza e la generosità del suo proprietario, Cangrande I<br />

della Scala (tav. 10), osannato e ricordato anche da molti uomini <strong>di</strong> intelletto e <strong>di</strong> cultura, tra cui lo<br />

stesso Dante Alighieri.<br />

Quando il signore dava una festa, la maggior parte degli invitati sedeva alle mense approntate<br />

nelle logge e nei porticati a seconda del rango e, mentre egli banchettava nella sala maggiore con<br />

gli intimi e gli ospiti <strong>di</strong> riguardo, lo rallegravano giocolieri, buffoni e suonatori. Si mangiava sempre<br />

a sazietà e si beveao il leggero vino delle colline veronesi o il profumato rosso della Valpolicella,<br />

fermentato nelle cantine degli Scaligeri. Per tutti era sempre imban<strong>di</strong>ta la mensa dei Signore <strong>di</strong><br />

<strong>Verona</strong> , specialmente quando non era impegnato in imprese belliche o a caccia, o in riunioni <strong>di</strong><br />

consiglio<br />

Alcune stanze della residenza <strong>di</strong> Cangrande erano ad<strong>di</strong>rittura affrescate con simboli adeguati alle<br />

qualifiche dei singoli ospiti: i guerrieri erano alloggiati in stanze con scene <strong>di</strong> trionfi bellici, gli esuli<br />

erano confortati dal simbolo della Speranza, i poeti dalle Muse, i pre<strong>di</strong>catori dalla raffigurazione<br />

del Para<strong>di</strong>so, gli artisti e i mercanti dall’immagine <strong>di</strong> Mercurio.. Nei suoi Elogia, Paolo Giovio,<br />

29 BRUGNOLI, P., 2001, p. 42.<br />

30 Ibidem.<br />

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ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

basandosi su una relazione <strong>di</strong> Sagacio Gazata <strong>di</strong> Reggio scrive “che la corte <strong>di</strong> Cane fu liberale e<br />

illustre ricetto a tutti i forestieri uomini d’ingegno e a coloro specialmente i quali, cacciati da casa<br />

loro, erano travagliati dalla nemica fortuna: e ciò tra gli altri mette Gaza<strong>di</strong>o da Reggio, il quale si<br />

come quelli che era il suo famigliare, tanto <strong>di</strong>stintamente descrisse i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> tutta la <strong>di</strong>sciplina<br />

ospitale, le spese e gli ornamenti or<strong>di</strong>nati e <strong>di</strong>verse camere e sale, che particolarmente raccontò<br />

l’abito dei <strong>di</strong>spensatori, gli uffici <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi ministri, i titoli posti a ciascuna porta, e l’imprese<br />

dell’una e dell’altra fortuna, figurate in razzi e pitture (“titulosque singulis iuanis praescriptos et<br />

argumenta utriusque fortunae,auleis et picturis espressa”). Percioché in <strong>di</strong>verse parti del palazzo<br />

con <strong>di</strong>segual con<strong>di</strong>zione alloggiavano i forestieri secondo che venivano, talché i magnanimi e i<br />

vincitori erano assegnati a’ trionfi; i fuoriusciti alla buona speranza; gli scacciati alla sicura<br />

confidenza; i poeti all’ombre delle muse; gli artefici eccellenti a Mercurio; i pre<strong>di</strong>catori sacri al<br />

para<strong>di</strong>so terrestre.” 31 Il Marchi nel 1988 commenta così questo passo: “e dunque tra i magnalia e i<br />

beneficia, tra le magnificenze <strong>di</strong> Cangrande cantate da Dante, andrà annoverata anche la cortesia<br />

<strong>di</strong> aver pensato ad allestire stanze con iscrizioni e ornamenti (pitture o arazzi) che si adattassero<br />

alle varie con<strong>di</strong>zioni degli ospiti”. Il passo del Giovio prosegue narrando altri aspetti della vita <strong>di</strong><br />

corte presso il palazzo scaligero: “Oltre l’armonia della musica piacevole ancora giocolatori, e dolci<br />

e non goffi buffoni scambiandosi a vicenda, visitavano quegli alloggiamenti. Et egli ancor talora<br />

quei che voleva mettere alle mani, fattane una grave e piacevole scelta, soleva tenere sulla tavola,<br />

fra quali v’era spesse volte Dante fuoruscito piuttosto meraviglioso che piacevole per la libertà del<br />

suo dotto, ma troppo pungente parlare (“Danthes exul, eru<strong>di</strong>ti quidam, sed nimis aculeati sermonis<br />

libertate admirabilis potius quam jucundus”) e Uguccion della Faggiuola precipitato <strong>di</strong> si gran<br />

fortuna <strong>di</strong> principato[…]. Soleva <strong>di</strong>r Cane, che in questa vita non v’è cosa più nobile né più felice,<br />

che con animo invitto opporsi alla sua e parimenti alla altrui fortuna, e con perpetue opere <strong>di</strong><br />

cortesia e <strong>di</strong> liberalità avere acquistato fama <strong>di</strong> valore.”<br />

Il giudeo Emanuele Romano, nel suo Bisbi<strong>di</strong>s, scrive anche del palazzo <strong>di</strong> Cangrande: “Baroni e<br />

Marchesi, <strong>di</strong> tutti i paesi, gentili e cortesi, qui ved<strong>di</strong> arrivare. Quivi astrologia, con filosofia, e <strong>di</strong><br />

teologia, udrai <strong>di</strong>sputare. Quivi Tedeschi, Latini e Francesi, Fiammenghi e Ingleseschi, insieme<br />

parlare; e fanno un trombombe, che par che rimbombe, a guisa <strong>di</strong> trombe, che pian vol sonare.<br />

Chitarre e liuti, viole e flauti, voci alt’ed acute, qui so’odon cantare. Statutù ifiù, statutù ifiù, statutù<br />

31 MARCHI, G.P., 1988, p. 485.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

ifiù, tamburar, suffolare. Qui boni cantori, con intonatori, e qui trovatori, udrai concordare. Qui si<br />

ritrova, mangiatori a prova, che par cosa nova, a vederli golare”. 32<br />

Ma la cortesia <strong>di</strong> Cangrande è ricordata anche da Petarca 33 il quale ci informa che “apud Canem<br />

magnum veronensum, comune tunc afflictorum solamen et refugium…erant histriones ac<br />

nebulones omins generis” 34 , mentre il Boccaccio, che, pare, mai visitò <strong>Verona</strong> e mai conobbe<br />

personalmente il Signore Scaligero, nella settima novella della prima giornata del Decameron,<br />

parla <strong>di</strong> Cangrande come “uno de’ più notabili e de’ più magnifici signori che dallo imperatore<br />

Federico II in qua si sapesse in Italia.” 35<br />

Il Vasari racconta che anche Giotto era un frequentatore del palazzo scaligero e che “a messer<br />

Cane fece nel suo palazzo alcune pitture e particolarmente il ritratto <strong>di</strong> quel Signore.” 36<br />

Ma l’ospite più importante e più famoso del palazzo, fu senza dubbio Dante Alighieri, che<br />

soggiornò a <strong>Verona</strong> in due occasioni. Su Dante e <strong>Verona</strong> è stato scritto molto, ed è risaputo che fu<br />

Cacciaguida, bisavolo <strong>di</strong> Dante, ad annunciare al lontano nipote, nel canto XVII del Para<strong>di</strong>so, che<br />

dopo la dolorosa cacciata dalla città natale, sarebbe stato ospitato sulle rive dell’A<strong>di</strong>ge da<br />

Cangrande della Scala, <strong>di</strong> cui sarebbe <strong>di</strong>ventato amico e alleato politico.<br />

“lo tuo primo rifugio, il primo ostello / sarà la cortesia del gran Lombardo / che n’su la scala<br />

porta il santo uccello / ch'in te avrà sì benigno riguardo, che del fare e del chieder, tra voi due, fia<br />

primo quel che tra li altri è più tardo / Con lui vedrai colui che 'mpresso fue, nascendo, sì da questa<br />

stella forte, che notabili fier l'opere sue. / Non se ne son le genti ancora accorte per la novella età,<br />

ché pur nove anni son queste rote intorno <strong>di</strong> lui torte/ ma pria che 'l Guasco l'alto Arrigo inganni,<br />

parran faville de la sua virtute in non curar d'argento né d'affanni / Le sue magnificenze conosciute<br />

32 MARCHI, G.P., 1988, pp. 494-495.<br />

33 AVESANI, R., 1988, pp. 505-507. Petrarca giunse per la prima volta a <strong>Verona</strong>, la prima nel 1345 in fuga da<br />

Parma, per poi ritornarvi a più riprese. Dunque non conobbe mai <strong>di</strong> persona Cangrande I, ma i suoi<br />

successori. Il suo giu<strong>di</strong>zio, nonostante il passo riportato nel testo, non sembra essere stato dei più<br />

lusinghieri, anzi, il Petrarca mai ebbe, né sollecitò il patronato degli Scaligeri. È però accertato che<br />

frequentò spesso la loro corte e <strong>di</strong> conseguenza le loro residenze.<br />

34 PETRARCA, F., Rerum mem., II, 83-84 e III, 97.<br />

35 BERTOLINI, V., 1988, pp. 511-513. La novella racconta <strong>di</strong> un tale Bergamino che alla fine <strong>di</strong> una “notabile<br />

e meravigliosa festa” indetta a <strong>Verona</strong> da Cangrande I della Scala, non riceve alcun dono <strong>di</strong> commiato,<br />

contrariamente a quanto era sempre avvenuto in precedenza e a quanto era toccato, anche in<br />

quell’occasione agli altri convitati. Bergamino allora narra a Cangrande l’analoga sorte capitata ad un noto<br />

compositore <strong>di</strong> versi latino presso l’abate <strong>di</strong> Cluny. Lo Scaligero, “il quale intendente signore era […]<br />

ottimamente intese ciò che <strong>di</strong>r volea Bergamino” e sorridendo lo congedò donandogli vesti nuove, denari e<br />

un cavallo. Il Bocaccio commentando l’avarizia <strong>di</strong> Cangrande in questo frangente, la definisce come “nova”<br />

cioè inusitata, strana. La conclusione positiva della novella conferma ulteriormente la generosità del<br />

Signore.<br />

36 VASARI, 1568, I, p. 373.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

saranno ancora, sì che ' suoi nemici non ne potran tener le lingue mute / A lui t'aspetta e a' suoi<br />

benefici; per lui fia trasmutata molta gente, cambiando con<strong>di</strong>zion ricchi e men<strong>di</strong>ci.”<br />

La prima permanenza <strong>di</strong> Dante a <strong>Verona</strong> risale al 1304, quando la città era governata da<br />

Bartolomeo I della Scala. Egli risiedeva nel grande palazzo turrito eretto dal padre Alberto I della<br />

Scala nelle imme<strong>di</strong>ate vicinanze della chiesa <strong>di</strong> S. Maria Antica, e con lui i due fratelli Alboino e Can<br />

Francesco, detto fin da allora Cangrande per la statura, e poi per le imprese. Durante questa prima<br />

permanenza Dante pose mano e forse ultimò il Convivio (1304) e l’anno seguente preparò il De<br />

vulgari eloquentia (1305).<br />

Il secondo soggiorno durò sei anni (dal 1312 al 1318), durante i quali il legame con la città si fece<br />

sempre più stretto, anche perché il figlio Pietro viveva da qualche anno a <strong>Verona</strong>, in prossimità <strong>di</strong><br />

S. Anastasia. In questo periodo <strong>di</strong> tempo Dante vide in Cangrande l’incarnazione del proprio sogno<br />

politico <strong>di</strong> unità della penisola sotto un’unica corona, e tra i due nacque anche una sincera<br />

amicizia, che portò l’esule fiorentino a risiedere a più riprese, come amico e come consigliere, nel<br />

fastoso palazzo e a godere della proverbiale ospitalità <strong>di</strong> messer Cane <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, il “gran<br />

Lombardo” che aggiunse al simbolo della scala l’aquila imperiale.<br />

Furono quelli gli anni che videro la stesura finale della Divina Comme<strong>di</strong>a e la pubblicazione dei<br />

canti dell’Inferno e del Purgatorio. Il Para<strong>di</strong>so, completato, venne posto nelle mani <strong>di</strong> Cangrande.<br />

III. 3. LA LOGGIA DI CANSIGNORIO.<br />

Cansignorio della Scala (1359-1375) è generalmente riconosciuto come il riorganizzatore dei<br />

palazzi scaligeri. 37<br />

Questa opinione è confermata anche dal Cronicon veronese dell’anno 1364, nel quale si legge:<br />

“Dominus Cansignorius fecit fieri et ae<strong>di</strong>ficari Broilum et Revoltum et plura palatia cum cameris et<br />

37 Nel suo progetto <strong>di</strong> riconfigurazione delle <strong>di</strong>more scaligere, Cansignorio decise <strong>di</strong> collegarle le une alle<br />

altre, con un ponticello ligneo, chiamato appunto pontesèl. In questo modo si otteneva un doppio risultato:<br />

da una parte, rispondendo sicuramente ad esigenze <strong>di</strong> sicurezza, l’area in questione <strong>di</strong>ventava una sorta <strong>di</strong><br />

enorme fortezza, con le residenze collegate tra loro. Dall’altra permetteva a lui e alla sua corte <strong>di</strong> spostarsi<br />

a piacere da un palazzo all’atro senza dare nell’occhio.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

ornamentis.” 38 e dalla Cronica della città <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> dello Zagata, e<strong>di</strong>ta dal Biancolini: “L’anno 1364<br />

el prefeto misser Can Signorio fè e<strong>di</strong>ficare il Brolo e rivolti, e Palazzi e Camere e altri ornamenti<br />

come sta al presente in li soi Palazzi de Corte.”<br />

Egli infatti, oltre ad aver portato a compimento nel 1364 la costruzione del castello <strong>di</strong> San Martino<br />

in Aquàro (o Castelvecchio), si impegnò nell’e<strong>di</strong>ficazione <strong>di</strong> un’imponente complesso che chiuse il<br />

lato occidentale del palazzo <strong>di</strong> Alberto I (poi detto appunto <strong>di</strong> Cansignorio), con tre robuste torri e<br />

una loggia sopra un ampio porticato.<br />

E<strong>di</strong>ficò poi nel palazzo <strong>di</strong> Cangrande, un secondo porticato con loggia soprastante, probabilmente<br />

utilizzata per i ricevimenti ufficiali, che correva lungo tutto il fianco occidentale del brolo e che dal<br />

palazzo si estendeva fino a Corso S. Anastasia (tav. 11).<br />

Il palazzo andava ad assumere così una nuova configurazione. Ai tempi <strong>di</strong> Cangrande I, infatti, esso<br />

presentava il fronte principale e l’ingresso, con relativo atrio o “loggia delle colonne”, su via Arche<br />

Scaligere, mentre a partire dalla torre angolare, si snodava lungo parte <strong>di</strong> vicolo Cavalletto, un<br />

corpo <strong>di</strong> fabbrica, forse loggiato, <strong>di</strong> cui sono state rinvenute recentemente le arcature murate.<br />

Infine, sul lato opposto, si affacciava sulla piazza per una lunghezza <strong>di</strong> circa 12 m. una fabbrica ad<br />

ala, che in un momento indeterminato (forse già durante la signoria <strong>di</strong> Cangrande o forse durante<br />

quella <strong>di</strong> Cansignorio) andò a saldarsi con l’e<strong>di</strong>ficio con loggia terrena descritto dall’Avena.<br />

Con Cansignorio il lato sulla piazza, e solo quello, venne notevolmente prolungato con la<br />

costruzione della sopra citata loggia, detta appunto <strong>di</strong> Cansignorio, che aumentò notevolmente<br />

l’estensione perimetrale del palazzo, che ora arrivava a lambire il tracciato <strong>di</strong> Corso S. Anastasia.<br />

Il Mellini, verso la metà del Novecento descrisse la loggia in questi termini: “scatola muraria<br />

rettangolare <strong>di</strong> mattoni fugati, bucata sotto da volti, sopra da finestre ogivali; colonne, pilastri e<br />

capitelli, una modanatura che corre lungo tutto il davanzale massiccio, sono in rosso <strong>Verona</strong>. Il<br />

tetto in legno spiove sostenuto dalle estremità sagomate dei travi e sottolinea la stereometria<br />

della fabbrica che sporge dal vecchio allineamento con lo spessore del fianco e ha una veduta<br />

necessitata per angoli. A terra si apriva una piazza coperta, <strong>di</strong> sopra la sala grande sul giar<strong>di</strong>no;<br />

ton<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> cristallo piombati dovevano <strong>di</strong>aframmare la luce delle pitture. I vasi avevano la pianta<br />

totale. Una fabbrica indubbiamente <strong>di</strong> gusto assai raffinato e senza paragone.” 39 (Tav. 12-13)<br />

38 R.I.S., Cronicum veronense, VIII, c. 658.<br />

39 MELLINI G.P., 1959, p. 332.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

Interessane infine è poi la descrizioni delle con<strong>di</strong>zioni del solaio e del soffitto: “ <strong>di</strong>ligenti<br />

ricognizioni effettuate nell’attuale solaio della fabbrica hanno potato alla riscoperta del soffitto<br />

originario a capriate intatto, posante su eleganti mensole <strong>di</strong> rosso <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> a foglie d’acqua.<br />

Prima dell’attuale ripartizione, ne era stata fatta un’altra che <strong>di</strong>videva l’unica sala in due stanze. In<br />

alto all’altezza delle mensole, gira ancora tutto intorno il bordo dell’arriccio originale, listato da<br />

due strisce <strong>di</strong> cinabro e più a basso bianco, graffiato a losanghe. I un punto lungo la parete<br />

maggiore, sembra sovrapporsi intatto l’intonaco dell’affresco; in alto, dove sono tracce <strong>di</strong><br />

ri<strong>di</strong>pintura a secco, raffigurante una cornice aggettante a tre gra<strong>di</strong>; in basso, dove è stato<br />

picchiettato, conserva tracce vistose <strong>di</strong> ocra, cinabro e terra verde e sembra un fondale <strong>di</strong><br />

paesaggio. Vi si sovrappongono almeno tre strati <strong>di</strong> intonaco; il penultimo con tracce <strong>di</strong> pittura<br />

quadraturistica, risale alla fine del Seicento. Sempre nel solaio, <strong>di</strong> fronte a questo punto, intorno<br />

alle finestre, sono ben visibili tracce della antica decorazione a fresco.”<br />

III. 4. LA “SALA GRANDE”.<br />

Le prime notizie riguardanti decorazioni <strong>di</strong> pregio all’interno della Sala Grande, risalgono al 1477.<br />

Ne parla Francesco Corna, nel suo Fioretto de le antiche cronache <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>: “ Tra quei palaci<br />

(scaligeri), e circa da ogni mano,/ altre loge de grande fature;/ tra l’altre vi è una sala per certano/<br />

tutta <strong>di</strong>pinta con magne figure/ con le historie de Tito Vespasiano./ Et è si ricca d’oro e de pentire,<br />

/ con le figure tanto naturale/ che tutta Italia non ha un’altra tale”. A testimonianza dello<br />

splendore della sala e delle sue decorazioni Marin Snudo, nel 1483, nel suo Itinerario per<br />

Terraferma Veneta scrisse anche, dopo averlo visitato, del “Palazzo del Podestà con la salla pynta<br />

excellente”.<br />

Verso la metà del novecento, il Mellini, 40 storico veronese, intuì che la Loggia <strong>di</strong> Cansignorio<br />

avrebbe potuto ospitare la “Sala Grande”, già nota dagli anni Trenta con il titolo <strong>di</strong> Loggia Barbara,<br />

titolo “datole da Sandri perché su un capitello, ad evidentiam sostituito, porta accanto a quello <strong>di</strong><br />

un Venier, lo stemma <strong>di</strong> Zaccaria Barbaro.” 41<br />

40 Ibidem.<br />

41 MELLINI, G.L., 1965, p. 315.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

E sempre a Mellini si deve il collegamento tra questa Sala Grande e quella decorata dall’Altichiero,<br />

descritta a più riprese dal Vasari. Nel 1550 egli infatti scrisse che “in <strong>Verona</strong> fiorì la pittura per<br />

lungo tempo; […] come ancora possono fare chiara fede nel tempo de’ Signori della Scala, le<br />

bellissime pitture fatte da Al<strong>di</strong>ghieri da Zevio pittor molto pratico, et espe<strong>di</strong>to; <strong>di</strong> mano del quale si<br />

vede ancora la sala del Palazzo del Podestà, <strong>di</strong>pinta con fierezza gran<strong>di</strong>ssima.” 42 nelle Vite, nel<br />

1568, aggiunse poi che “fu nella medesima città <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> Al<strong>di</strong>geri da Zevio famigliarissimo dei<br />

signori della Scala, il quale <strong>di</strong>pinse, oltre a molte altre opere, la sala grande del palazzo loro, nella<br />

quale oggi abita il Podestà, facendovi la guerra <strong>di</strong> Gerusalemme, secondo che è scritta da Iosafo.<br />

Nella quale opera mostrò Al<strong>di</strong>geri grande animo e giu<strong>di</strong>zio, spartendo nelle facce <strong>di</strong> quella sala, da<br />

ogni banda, una storia con un ornamento solo, che la ricigne attorno; nel quale ornamento posa<br />

dalla parte <strong>di</strong> sopra, quasi per fine, un partimento <strong>di</strong> medaglie, nelle quali si crede che siano ritratti<br />

<strong>di</strong> naturale molti uomini segnalati <strong>di</strong> que’ tempi et in particolare molti <strong>di</strong> que’ signori della Scala,<br />

ma perché non se ne sa il vero, non <strong>di</strong>rò altro. Dirò bene che Al<strong>di</strong>geri mostrò in questa opera<br />

d’avere ingegno, giu<strong>di</strong>zio et invenzione, avendo considerato tutte le cose che si possono in una<br />

guerra d’importanza considerare. Oltre ciò il colorito si è molto ben mantenuto, e fra molti ritratti<br />

<strong>di</strong> gran<strong>di</strong> uomini e litterati, vi si riconosce quello <strong>di</strong> Messer Francesco Petrarca.” 43<br />

Il Vasari parla <strong>di</strong> numerose opere realizzate nel palazzo dall’Altichiero, sottolineando tra queste<br />

per bellezza, raffinatezza e cura dei particolari, la Guerra <strong>di</strong> Gerusalemme secondo Giuseppe<br />

Flavio, purtroppo andata perduta, forse nel corso dei successivi interventi che interessarono la<br />

loggia. 44 La sala era poi impreziosita da una cornice all’interno della quale erano inseriti una serie<br />

<strong>di</strong> medaglioni, raffiguranti uomini illustri <strong>di</strong> quei tempi e alcuni Signori scaligeri. Si decise <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>pingere La Guerra Giudaica <strong>di</strong> Giuseppe Flavio dal momento che era un’opera assai letta nel<br />

me<strong>di</strong>oevo, in latino, in volgare, in inglese, francese, italiano e tedesco, e questa popolarità<br />

<strong>di</strong>pendeva in larga parte dallo spirito cavalleresco <strong>di</strong>ffusosi in occidente con le crociate e le<br />

peregrinazioni in Terra Santa.<br />

La decorazione a cornice che correva sopra La Guerra Giudaica, cioè il patimento <strong>di</strong> medaglie,<br />

ritraeva i busti <strong>di</strong> Signori scaligeri e <strong>di</strong> personaggi illustri dell’epoca, tra cui anche Petrarca,<br />

nonostante non sia chiaro dove esattamente quest’ultimo fosse collocato. La descrizione vasariana<br />

42 MELLINI, G.L., 1965, pp. 317-318.<br />

43 VASARI, 1568, II, p.554.<br />

44 DAL POZZO, G., 1718. Il dal Pozzo, tornato a verificare la notizia vasariana, notò laconicamente nelle sue<br />

Vite, che “<strong>di</strong> queste pitture hoggi per l’alteratione delle fabbriche non se ne vede vestigio alcuno.”<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

riguardante i ritratti inseriti in medaglioni, troverebbe comunque conferma nei venti Epigrammata<br />

<strong>di</strong> Antonio da Legnago, che Rino Avesani 45 ritiene composti tra il 1375 e il 1381, relativi a 19<br />

personaggi vivi o scomparsi nella prima metà del XIV sec. e che suggeriscono <strong>di</strong> essere stati ideati<br />

per occupare degli spazi parietali.<br />

Ma decorazioni ad affresco raffiguranti busti, erano presenti anche nei sottarchi della loggia, dove<br />

sono stati rinvenuti ritratti <strong>di</strong> Cesari (tav. 13). Il Mellini li attribuisce ai pittori Altichiero e a Jacopo<br />

Avanzi e li descrive cosi: “ una elegante trama <strong>di</strong> giallo <strong>di</strong> Torri, dalle nervature intrecciate a catena<br />

<strong>di</strong>spari, rilevate allusivamente dalla luce radente, con campionature d’azzurro d’Alemagna,<br />

inquadra aral<strong>di</strong>camente negli occhi qudrilobi busti <strong>di</strong> Cesari <strong>di</strong> profilo in grisaille su fondo<br />

terrad’ombra, in alterna impaginatura. Intorno ad ogni testa ispirata a medaglie imperiali, gira per<br />

tre lati un’epigrafe che conferma la grande tra<strong>di</strong>zione calligrafica veronese.”<br />

Da sinistra a destra, l’or<strong>di</strong>ne e l’iconografia dei ritratti integri, anche solo in parte, è la seguente:<br />

secondo sottarco: 1. Adriano, 2. Antonio, 4. Sabina Augusta (tav. 14).<br />

quarto sottarco: 1. Faustina Seniore (tav. 15)., 4. Massimino.<br />

quinto sottarco: 1. Gor<strong>di</strong>ano, 4. Clo<strong>di</strong>o Balbino Augusto (tav. 16).<br />

sesto sottarco: 2. Tullio Filippo.<br />

nono sottarco: 4. Caro Invitto.<br />

I fregi della prima, terza, settima, ottava finestra e quelli della decima e un<strong>di</strong>cesima, sono molto<br />

rovinati, in gran parte rifatti a secco o a olio, mentre gli elementi epigrafici <strong>di</strong> alcuni medaglioni<br />

conservati sono stati ri<strong>di</strong>pinti con sostanze che hanno intaccato l’intonaco, sgretolandolo intorno<br />

alle teste. Tali danneggiamenti occorsero in seguito agli interventi <strong>di</strong> fine Ottocento (<strong>di</strong> cui parlerò<br />

in seguito), condotti sulla loggia <strong>di</strong> Cansignorio, nel corso dei quali il pittore Pietro Nanin completò<br />

“tutta la parte ornamentale ed omettendo qualsiasi aggiunta alle parti <strong>di</strong> figure guaste, e dove<br />

queste manchino del tutto sostituendo unicamente le tinte <strong>di</strong> fondo.” 46<br />

Mellini proseguiva poi <strong>di</strong>cendo che “questo (i medaglioni nei sottarchi) è l’esempio più antico <strong>di</strong><br />

medaglioni imperiali finora attestato nell’età <strong>di</strong> mezzo e anticipa le medaglie dei Carraresi, tenute<br />

fino ad oggi l’esempio più antico <strong>di</strong> questa forma <strong>di</strong> gusto aulico preumanistico. […] questo genere<br />

45 AVESANI, R., 1988.<br />

46 BRUGNOLI, P., 2001, p. 58.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

trova forse a <strong>Verona</strong>, ricchissima <strong>di</strong> memorie romane e dalla grande tra<strong>di</strong>zione storico. Politica,<br />

rinnovata da Can Grande col Vicariato dell’Impero, i suoi incunabuli. Gli esempi più remoti sono<br />

rappresentati infatti sempre a <strong>Verona</strong> dai sigilli <strong>di</strong> Berengario.” 47<br />

I pregevoli affreschi rinvenuti nei sottarchi, vennero staccati e restaurati nel 1967 e sono ora<br />

collocati e visitabili presso il Museo Cavalcaselle <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>. Riguardo le con<strong>di</strong>zioni in cui versavano,<br />

le tecniche utilizzate per il restauro e altri dettagli interessanti, riporto <strong>di</strong> seguito un passo <strong>di</strong> Maria<br />

Teresa Cuppini 48 : “nella documentazione presentata dal Mellini le immagini appaiono leggibili,<br />

nonostante le numerose ri<strong>di</strong>pinture (assegnate dallo stu<strong>di</strong>oso a restauri secenteschi, ma in realtà<br />

databili all’ultimo intervento sul complesso del Palazzo della <strong>Provincia</strong>, come <strong>di</strong>mostravano la<br />

grana delle malte aggiunte e la tecnica <strong>di</strong> esecuzione dei rifacimenti), i fon<strong>di</strong> rifatti in un azzurro<br />

volgare che intendeva riprodurre il blu lapislazzuli caduto, il desquamarsi e lo sfarinarsi della<br />

pellicola del colore, l’annerimento del grassaggio <strong>di</strong> tutta la superficie. I guasti manifestavano in<br />

misura imponente le conseguenze sulle pitture della esposizione all’arai, tanto più tossica da<br />

quando il cortile, sul quale guarda la loggia, è un parcheggio frequentatissimo. L’andamento delle<br />

ustioni (da cui l’eruzione dell’intonaco in bolle friabili presto tradotte in lacune della pittura) lungo<br />

la superficie curva dei sottarchi segna i punti <strong>di</strong> maggiore attacco dei gas. Il salvataggio non<br />

poteva prescindere il <strong>di</strong>stacco degli affreschi dai supporti irrime<strong>di</strong>abilmente infetti, dal trasporto su<br />

nuovi supporti e dal ricovero delle pitture in locali sani e protetti. L’operazione, che sarà<br />

completata con il recupero dei cimeli del fregio, venuto a trovarsi, in seguito alla ristrutturazione<br />

della loggia, nel sottotetto, fu laboriosa e complessa: non potendosi procedere allo grassaggio<br />

senza avere arrestato le emorragie della malta pulverulenta attraverso gli innumerevoli crateri<br />

della superficie aver fissato il colore, privo, ormai, <strong>di</strong> coesione con l’intonaco. Il grassaggio<br />

effettuato per sollevare il “tono” delle immagini era col tempo degenerato in una sorta <strong>di</strong> patina<br />

fumosa, <strong>di</strong>etro la quale i guasti, i rifacimenti e la pittura autentica assumevano un aspetto assai<br />

simile. Tanto più lodevole pertanto, il recupero critico attuato dal Mellini, il quale seppe anzitutto<br />

vedere un monumento che era sfuggito anche ai più acuti stu<strong>di</strong>osi del Trecento veronese, e che era<br />

praticamente invisibile; quin<strong>di</strong> intenderne la qualità insultata e identificarne , infine, l’autore.” E<br />

ancora: “ il <strong>di</strong>stacco egli affreschi ha portato al ritrovamento <strong>di</strong> <strong>di</strong>segni, schizzi (tav. 18-19),<br />

appunti, uno solo dei quali in relazione coi profili dei Cesari. Prima <strong>di</strong> scalfire l’arriccio, Altichiero<br />

47 MELLINI, G.L., 1965, pp. 317-318.<br />

48 CUPPINI, M.T., 1970, p. 68.<br />

17


PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

usava l’invitante superficie come un foglio bianco e vi annotava le sue invenzioni. Nelle mani<br />

dell’artista, il pennello, intinto in un colore bruno seppia, fa miracoli, ottenendo dalla <strong>di</strong>versa<br />

pressione e frequenza dei segni, effetti non inferiori a quelli delle pitture finite. Si vedano la testa<br />

del cavallo, il profilo <strong>di</strong> un imperatore della decadenza, sorta <strong>di</strong> Trimalcione incoronato, o il soldato<br />

o la donna, o la chiesa col tetto carenato. Da questi appunti si ricava che il pittore, nei <strong>di</strong>segni, è<br />

francamente realistico. Procedendo nell’esecuzione fino al compimento del suo lavoro, l’oggetto<br />

della rappresentazione. Anche in questi <strong>di</strong>segni, allorché vuole rendere un’idea compiuta della<br />

figura, Altichiero non delinea più il contorno, ma parte già con tratteggio lievissimo e vibrante. Non<br />

sarebbe necessario il tocco <strong>di</strong> rosso sulle labbra della bella testa femminile, per farne risaltare il<br />

colore: infatti l’ombra, passando per mezzo dello sfumato a una tenera luminosità, crea una<br />

suggestione <strong>di</strong> tenue policromie. “<br />

18


PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

IV. IL PALAZZO IN EPOCA VENEZIANA<br />

IV. 1. IL QUATTROCENTO.<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Caduta la Signoria scaligera nel 1387, Visconti dapprima (1387-1404) e Carraresi poi (1404-1405)<br />

presero possesso della città e utilizzarono i palazzi <strong>di</strong> piazza dei Signori per dare una <strong>di</strong>mora ai<br />

governatori e ai relativi uffici. In questi anni il palazzo non subì trasformazioni a livello strutturale.<br />

L’unica variazione sembra riguardare il nome che in età viscontea cambiò in Palazzo dei Consiglieri.<br />

Il 24 giugno 1405 i citta<strong>di</strong>ni veronesi, malcontenti sia della dominazione viscontea che <strong>di</strong> quella<br />

carrarese, inviarono una delegazione composta da quaranta prestigiosi personaggi citta<strong>di</strong>ni a<br />

Venezia, affinché consegnassero al Doge le insegne della città e giurassero fedeltà alla repubblica<br />

veneta. Il procuratore veneziano Gabriele Emo ebbe in consegna le chiavi e il sigillo della città,<br />

mentre gli stendar<strong>di</strong> del comune vennero posti in piazza San Marco dal Doge Michele Steno. A<br />

<strong>Verona</strong>, nel frattempo, il carroccio fu fatto sfilare trionfalmente per le vie della città, con issato il<br />

vessillo della repubblica veneta.<br />

<strong>Verona</strong> sanciva la propria De<strong>di</strong>tio alla Repubblica <strong>di</strong> Venezia e il 16 luglio i privilegi della città<br />

furono stabiliti da una bolla d'oro e da quel momento, fino alla fine del XVIII sec. la città venne<br />

retta da due veneti: il podestà e il capitano. Il primo, con poteri civili, si inse<strong>di</strong>ò nel nostro palazzo<br />

che da questo momento viene chiamato palazzo del Podestà o del Pretorio, mentre il capitano,<br />

con funzioni militari, si sistemò nel palazzo <strong>di</strong> Cansignorio, nel cortile del Tribunale, che prese il<br />

nome <strong>di</strong> palazzo del Capitano.<br />

Già da allora, ma probabilmente anche dai tempi della riconfigurazione dei palazzi voluta da<br />

Cansignorio, il palazzo, ora del pretorio, doveva occupare lo spazio attuale. Portale e facciata<br />

principale rivolte verso le Arche Scaligere, le due ali allungate su vicolo Cavalletto da un lato e sulla<br />

piazza dall’altro, un cortile interno con una cappella per le celebrazioni liturgiche (<strong>di</strong> cui parlerò in<br />

seguito) e, <strong>di</strong> fronte alla Loggia <strong>di</strong> Cansignorio, un viridario, probabilmente delimitato, sul lato<br />

a<strong>di</strong>acente a vicolo Cavalletto, da un muro o forse da qualche sorta <strong>di</strong> costruzione utilizzata a pro <strong>di</strong><br />

stalla o altro (tav. 6).<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Sandri 49 , osserva come il palazzo, nei primi anni della dominazione veneziana, fosse ingentilito da<br />

due logge terrene, oltre a quella “aerea” poggiante sul porticato e<strong>di</strong>ficato da Cansignorio:<br />

“dobbiamo scendere fino agli inizi del dominio veneto, per avere notizie, che sicuramente si<br />

riferiscono al Palazzo, ora al Governo, e per conoscere che aveva allora due logge, una sulla piazza<br />

e una, detta “delle colonne”, a<strong>di</strong>acente all’ingresso e vicina alle scale dell’abitazione del Podestà.<br />

Quella sulla piazza, restaurata e ampliata nel 1419 (tav. 20), essendo Rettori Niccolò Zorzi ed un<br />

Morosini, come si può vedere dai loro stemmi <strong>di</strong>pinti unitamente a quello della Città sulle travature<br />

(tav. 21), fu per questo detta lo<strong>di</strong>a nova Magnificorum Rectorum. La qualifica <strong>di</strong> nova le rimase per<br />

breve tempo, poiché intorno al 1430, forse per iniziativa del Podestà Venier, sorse un’altra loggia<br />

vicino all’ufficio delle bollette, che era al piano terreno della domus nova. Da allora, e specie nella<br />

seconda metà del Quattrocento, la loggia del palazzo viene detta solamente “dei Rettori”, o anche,<br />

per <strong>di</strong>stinguerla da quella più recente, loggia vecchia. Essa rimase aperta sino al restauro del<br />

Prefetto Smancini e nel secolo XVIII era chiamata anche loggia dei XII, perché nella vicina<br />

cancelleria solevano riunirsi i do<strong>di</strong>ci consiglieri ad utilia. Sotto <strong>di</strong> essa si leggeva un’iscrizione 50 a<br />

lettere d’oro, su pietra <strong>di</strong> paragone, in onore <strong>di</strong> Luigi Vallaresso, per l’opera generosa svolta quale<br />

Provve<strong>di</strong>tore <strong>di</strong> qua del Mincio, durante la pestilenza del 1630. La “loggia delle colonne” invece,<br />

retrostante l’ingresso <strong>di</strong> via Arche Scaligere, si conservò per poco tempo. Per ragioni <strong>di</strong> statica, le<br />

belle arcate a tutto sesto furono chiuse e le colonne murate.” 51<br />

Dal testo si deduce che, nonostante sia accertata l’esistenza della loggia dei Rettori nel corso dei<br />

primi anni della dominazione veneziana, insufficienti sono le informazioni per datarne il periodo <strong>di</strong><br />

costruzione. All’operato del Podestà Contarini, e più precisamente all’anno 1478, sono invece<br />

attribuite le due finestre gotiche con arco trilobato <strong>di</strong> chiara influenza veneziana, aperte al piano<br />

nobile, sulla facciata del palazzo verso le Arche Scaligere, conservate dai lavori <strong>di</strong> restauro del<br />

1928-1930. Tra <strong>di</strong> esse si vede tuttora lo stemma Contarini (tav. 22).<br />

49 SANDRI, 1931, p.10<br />

50 MOSCARDO L., Historia <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, Padova, 1668. Il testo dell’iscrizione, che il Moscardo erroneamente<br />

colloca nella Loggia del Consiglio, è il seguente: “Aloysio Vallaresso eq. Sen. Ampliss. / qui furente bello,<br />

grassante lue / hostem fataq. compesquit / preacunctis semper impavidus / <strong>Verona</strong>l qui funeribus<br />

labantem a<strong>di</strong>vit / proprio ut pericolo servaret / securiora aspernatus loca / egenis qui stipem sepul.<br />

quaesivit / ne famis magis stiparet magis sepulcra / prov. sal. ad plaud. ci vit ex cons. d. pp. / servatori veluti<br />

numini / lapide funerum auro beneficii / memoriam perennantes / abeunte tandem saevite anni MDCXXX”<br />

51 SANDRI G., 1931, pp. 27-28.<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Sappiamo anche che, sempre nel corso dei primi anni della dominazione veneziana, avvennero<br />

delle riguardanti la sud<strong>di</strong>visione degli spazi <strong>di</strong> competenza dei rettori e quelli <strong>di</strong> competenza del<br />

Comune. La cancelleria del Comune venne infatti trasferita al piano terra del nostro palazzo, e<br />

forse fu proprio in quella occasione che la “loggia delle colonne” venne murata. Fu aperto un<br />

grande ingresso sul lato <strong>di</strong> piazza dei Signori, mentre il portale su via Arche Scaligere perse<br />

d’importanza, per esser poi definitivamente murato verso la fine del XVIII sec., 52 ed infine<br />

riportato alle <strong>di</strong>mensioni originarie negli anni Trenta. 53<br />

Nel palazzo del Comune (oggi chiamato palazzo della Ragione, tra piazza Erbe e piazza dei Signori)<br />

si andarono invece ad inse<strong>di</strong>are i depositi del sale, gli uffici della Camera fiscale, ma anche banchi<br />

dei giu<strong>di</strong>ci, tra i quali quelli dello stesso Podestà.” 54<br />

Forse, proprio ai lavori <strong>di</strong> trasferimento della cancelleria al primo piano e ai lavori <strong>di</strong> apertura delle<br />

due finestre gotiche su S. Maria Antica, si riferiva una lettera ducale del 12 giugno 1475 inviata a<br />

<strong>Verona</strong> dal doge Pietro Mocenigo, nella quale si concedeva una spesa pari a 100 ducati<br />

provenienti dall’esazione <strong>di</strong> alcune multe (“possitis expendere ducatos centum de pecuniis<br />

multarum”) per la riparazione del palazzo pretorio (“pro reparatione palatii magnifici domini<br />

potestatis”), semi<strong>di</strong>strutto da un incen<strong>di</strong>o (“igne incensi”). 55 Purtroppo, allo stato delle conoscenze<br />

attuali, sono scarsi gli elementi che permettano <strong>di</strong> mettere in connessione <strong>di</strong>retta il testo della<br />

lettera con gli interventi condotti nel XV sec. e da noi conosciuti. Sicuramente fin dai primi anni del<br />

Quattrocento il palazzo fu oggetto <strong>di</strong> cure e dovette subire mo<strong>di</strong>fiche e cambiamenti, soprattutto,<br />

annota il Sandri, “quando prevalse la consuetu<strong>di</strong>ne da parte del Podestà, <strong>di</strong> immortalare il proprio<br />

nome adattando e decorando una delle <strong>di</strong>verse sale. Uno degli iniziatori, fu probabilmente un<br />

Contarini, Podestà nel 1478, al quale dobbiamo le due finestre gotiche verso S. Maria Antica, fra le<br />

quali ancora si conserva il suo stemma. La sala barba<strong>di</strong>ca ci viene ricordata del 1485 come<br />

prospiciente verso la piazza dei Signori. In seguito ecco la sala contarina, la <strong>di</strong>eda, la maurocena, la<br />

garzona, la saletta leona, la camera trivisana, la sala georgia, la camera braga<strong>di</strong>na, la camera<br />

52 SANDRI G., 1931, p.28.<br />

53 BRUGNOLI, P., 2001, pp.154-174.<br />

54 Sull’antico palazzo del Comune, o palazzo della Ragione, si guar<strong>di</strong> SANDRI G., 1945 e la bibliografia<br />

correlata.<br />

55 ASVr CF. reg. 4, c. 74r.<br />

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ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

donata, la camera trona. Fino a che non si dovette coprire le insegne dei precedenti Rettori per dar<br />

posto ai nuovi. Si ebbe così la sala olim <strong>di</strong>eda et nunc donata.” 56<br />

La Cappella <strong>di</strong> San Sebastiano: Di una cappella interna al Palazzo si ha notizia fin dal XV sec. 57<br />

Costruita probabilmente già in epoca scaligera, venne definitivamente eliminata alla fine del XIX<br />

sec. quando su progetto dell’architetto Giacomo Franco fu costruita una scala che porta<br />

all’appartamento del prefetto. 58<br />

Sulla sua struttura originaria il Sandri scrive: “ era situata nell’interno <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio romanico che<br />

ancora si vede a sinistra dell’ingresso dalla piazza dei Signori. Costituito a pian terreno da ampie<br />

colte sostenute da pilastri e colonne e al primo piano da più camere con piccole finestre aperte sui<br />

quattro lati, doveva essere in origine isolato. Fu congiunto al palazzo scaligero fin da quando,<br />

innalzato il secondo piano, furono aperti i gran<strong>di</strong> finestroni a tutto sesto. Gli stessi Scaligeri,<br />

incorporandolo nel loro palazzo, ne adattarono il piano terreno a cappella, poiché la chiesa <strong>di</strong> S.<br />

Maria Antica, nel cui cimitero innalzarono i loro sepolcri, non servì mai ad uso esclusivo della<br />

Corte.” 59 (tav. 23) Egli dunque ipotizza che la cappella facesse parte <strong>di</strong> quell’e<strong>di</strong>ficio, <strong>di</strong> quel<br />

fabbricato con loggia romanica terrena, <strong>di</strong> cui parla anche Avena affrontando le fasi evolutive della<br />

fronte del palazzo su piazza dei Signori.<br />

Nei documenti successivi è ricordata come cappella <strong>di</strong> San Sebastiano (o Bastianin), a cui fu<br />

intitolata nella seconda metà del Quattrocento, forse in occasione della peste che infierì su <strong>Verona</strong><br />

nel 1478, quando il culto <strong>di</strong> tale santo venne associato a quello <strong>di</strong> San Rocco (Santo protettore<br />

degli appestati), le cui reliquie erano appena sbarcate da Montpellier a Venezia. 60<br />

Dagli Atti del Consiglio <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> del 17 marzo 1488 veniamo poi a sapere che la cappella <strong>di</strong> San<br />

Sebastiano godette <strong>di</strong> indulgenze, grazie all’intercessione <strong>di</strong> Sebastiano Badoer 61 , oratore della<br />

56<br />

SANDRI, 1931, p. 30.<br />

57<br />

SANDRI, 1931, p. 10 n. 3. Due documenti ne fanno accenno. Il primo ci informa che nel 1411 si tenne una<br />

delibera del consiglio <strong>Provincia</strong>le <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> “in cappella curtivi Palacii residentie domini potestatis Verone”,<br />

il secondo è un’annotazione del Liber <strong>di</strong>erum iu<strong>di</strong>corum Communis Verone, datata 9 <strong>di</strong>cembre 1427: “in<br />

cappella ubi celebrantur <strong>di</strong>vina officia posita in palacio habitationis potestatis.”<br />

58<br />

SCOLA GAGLIARDI, R., 1989, pp. 62-64.<br />

59<br />

SANDRI, 1931, p. 29.<br />

60<br />

BRUGNOLI, 1997, p. 163.<br />

61<br />

ASVr, AACVr, Atti del Consiglio, reg. 64, cc. 185v-186r. da una delibera del 17 marzo 1488: “pro<br />

indulgentia concessa Cappelle Sancti Sebastiani site in curia magnifici domini potestatis, deliberatum fuit<br />

omnium consensu, lectis litteris magnifici et carissimi equitis domini Sebastiani Baduari degnissimi oratori<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Serenissima presso il Pontefice, mentre fino agli ultimi anni della dominazione veneziana la<br />

cappella fu ufficiata da un cappellano residente nel palazzo. 62 ,<br />

Riguardo l’arredo interno e le decorazioni il Biancolini scrive: “la cappella fu <strong>di</strong>pinta a fresco da<br />

Carlo Todesco. La pala dell’altare rappresentante la Beata Vergine Annunziata dall’angiolo sembra<br />

opera del Padovanino. Le immagini della Madonna e <strong>di</strong> alcuni Santi infine con alcuni ritratti <strong>di</strong><br />

Rettori <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, opere sono <strong>di</strong> Simon Brentana, <strong>di</strong> Andrea Voltolino e d’altri pittori.” 63 Nel corso<br />

del XVIII sec. venne anche decorata a fresco, con quadrature e figure, opere <strong>di</strong> Carlo Todesco. 64<br />

Nel 1797, durante i <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni seguiti all’occupazione francese <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, la cappella, come il resto<br />

del palazzo, venne saccheggiata. Così un anonimo contemporaneo scriveva nelle sue memorie:<br />

“Nel mezzo della piazza al luogo della Giustizia furono abbruciati tutti li quadri che esistevano in S.<br />

Bastianin ed altri luoghi, ove erano <strong>di</strong>pinti li rettori che pro tempore erano stati mandati da<br />

Venezia al Governo <strong>di</strong> questa Città; così furono strascinate le ban<strong>di</strong>ere, arme e ducati, che fu ultimo<br />

rettore Alvise Contarini, dai scrigni del palazzo alla piazza della Brà, e poi abbrucciate.” 65 Della<br />

<strong>di</strong>struzione degli arre<strong>di</strong> invece, riferirà qualche anno più tar<strong>di</strong> Saverio Dalla Rosa, nel Catastico,<br />

confermando anche la presenza <strong>di</strong> un’opera del Padovaninno: “ S. Sebastiano <strong>di</strong> Palazzo. Nella<br />

piazza dei signori ora detta Nazionale. Eccettuata la statua antica della Vergine col bambino, che è<br />

<strong>di</strong> marmo sopra un altare, non è rimasto in questa chiesa nessuna tavola, o quadro dei tanti, dai<br />

quali era tutta coperta, ed ornata, essendo stati nella seguita rivoluzione abbracciati, e <strong>di</strong>spersi<br />

tutti i retratti delli Rettori Veneti che vi erano d’intorno collocati, e la tavola stessa dell’altro altare,<br />

rappresentante la Beata Vergine Annunziata dall’angelo, essendosi non so dove, e come<br />

posteriormente perduta: del Padovanino.” 66<br />

illustrissimi nostri Domini apud summum pontificem et bulla indulgentie pre<strong>di</strong>cte: quo quidam eidem<br />

magnifico domino Sebastiano scribatur agendum sibi gratis de tali tantoque munere: et rogando<br />

magnificentiam suam ut attento quod bulla pre<strong>di</strong>cta applicut post <strong>di</strong>em festum Sancti Sebastiani et non<br />

potuti habere locum anno presenti pro indulgentia plenaria unius anni. Impetrate velit a pontefice maximo:<br />

ut ipsiam indulgentiama trasferatur in annum proxime futurum, que quidam indulgentia et plenaria pro<br />

primo anno in festo Sancti Sebastiani: ab uno vespero ad alterum et post annorum XXV et toti<strong>di</strong>em<br />

quadregenarum singulis annis in perpetuum porrigentibus manus a<strong>di</strong>untrices et oblationes convertantur in<br />

utilitatem carceratorum, ut plenus constat apostolica bulla.”<br />

62 SANDRI, 1931, p. 29.<br />

63<br />

BIANCOLINI, G.B., 1750, III, pp. 139.<br />

64<br />

SANDRI, 1931, p. 29.<br />

65<br />

LENOTTI, T., 1937, p. 77.<br />

66<br />

MARINELLI, S., RIGOLI, P., 1996, p. 333.<br />

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IV. 2. IL CINQUECENTO.<br />

PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

In seguito alla costituzione nel 1509 della lega <strong>di</strong> Cambrai (a cui aderirono, oltre al pontefice, Luigi<br />

XII <strong>di</strong> Francia, Massimiliano I del Sacro Romano Impero, Fer<strong>di</strong>nando II d'Aragona ed Alfonso I<br />

d'Este Duca <strong>di</strong> Ferrara) e alla rotta dell’esercito veneziano nella battaglia <strong>di</strong> Agnadello, <strong>Verona</strong><br />

venne occupata e ceduta all’imperatore Massimiliano I (1509-1517).<br />

Ben presto però la città, con giubilo citta<strong>di</strong>no, venne riconquistata dalla Repubblica Veneziana e si<br />

cominciò a dare nuovo impulso in particolare all’e<strong>di</strong>lizia pubblica, con il rinnovamento del fronte<br />

bastionato <strong>di</strong>fensivo e delle porte urbane (entrambe le opere affidate all’architetto Michele<br />

Sanmicheli), ma anche con il rifacimento o il consolidamento <strong>di</strong> palazzi ed e<strong>di</strong>fici già esistenti.<br />

Per quanto riguarda il palazzo del Podestà, sembra accertato, grazie al ritrovamento <strong>di</strong> uno<br />

stemma del podestà Francesco Bernardo, che la costruzione della grande loggia neoclassica<br />

contrapposta a quella <strong>di</strong> Cansignorio, risalga a questa fase, più precisamente all’anno<br />

1560 67 (tav.25).<br />

Il prospetto verso il cortile si presenta costituito da un alto basamento, nel quale sono ricavate le<br />

aperture del piano terra e <strong>di</strong> un mezzanino e sul quale poggia una loggia scan<strong>di</strong>ta da un’alternanza<br />

<strong>di</strong> gran<strong>di</strong> arcate e finestre rettangolari (1 arcata, 2 finestre rettangolari, 1 arcata, 2 finestre<br />

rettangolari e così via), scan<strong>di</strong>te e sud<strong>di</strong>vise tra loro da lesene ioniche.<br />

Il prospetto su vicolo Cavalletto fu completamente inventato verso la fine dell’Ottocento con la<br />

realizzazione <strong>di</strong> una facciata pseudo-Scaligera. Anche l’interno dell’e<strong>di</strong>ficio, più volte svuotato e<br />

tramezzato, non offre più alcun elemento originale.<br />

A lato del cortile, sul corso, la facciata ospita un bell’altare tardo-gotico: una cornice trilobata<br />

contiene un affresco raffigurante una Madonna con Bambino, che purtroppo, nonostante il<br />

recente restauro, è quasi illeggibile 68 (tav. 26).<br />

Il Mellini attribuisce l’ideazione del progetto originario al Sanmicheli e riguardo all’e<strong>di</strong>ficazione<br />

della loggia e alla nuova configurazione del cortile, scrive: “Anche questa idea sanmicheliana è<br />

molto interessante. Per intenderla bisogna avere presente la situazione urbanistica trecentesca e<br />

67 A.A.V., Archivio Notarile. Liber <strong>di</strong>erum iuri<strong>di</strong>corum etc., 20 <strong>di</strong>cembre 1485, e SIMEONI, 1909, p. 23.<br />

68 FORTI, G., 2001, pp. 21-23.<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

non mi resta che rimandare alla sua ricostruzione archeologica. Se la soluzione del problema<br />

statico della fabbrica cinquecentesca, necessariamente sviluppata longitu<strong>di</strong>nalmente e in altezza<br />

per ragioni <strong>di</strong> spazio, fu ottenuta con lo spezzarne in tre l’allineamento sul cortile, spigolo e<br />

cantone furono sistemati all’altezza dello spigolo della loggia <strong>di</strong> fronte, creando un incastro che<br />

<strong>di</strong>vide nettamente il nuovo cortile dal vecchio e una platea rigorosamente geometrica. Le vedute<br />

obbligate <strong>di</strong> questo cortile sono nella <strong>di</strong>rezione dell’asse maggiore; alcune per esempio sono<br />

concentrate lungo la deambulazione dell’arco Dolfin alla scala del Podestà. Vista da questo<br />

percorso, la faccia maggiore, inabissandosi o riemergendo dallo sperone che ne cela la giuntura,<br />

appare otticamente staccata e <strong>di</strong>lata illusionisticamente l’esiguo spazio materiale della corte.”<br />

69 Continua poi: “è poi notabile che anche l’altezza del nuovo e<strong>di</strong>ficio si coor<strong>di</strong>na a quello della<br />

loggia <strong>di</strong> fronte, pur avendo un piano più <strong>di</strong> essa e altrettanto fanno i suoi paramenti, che<br />

all’ultimo piano, riprendendo in sintassi sanmicheliana il ritmo degli opposti archi creano un<br />

bassorilievo <strong>di</strong> finestroni ciechi (quadri gemini ammezzati a centina) un sommesso accordo, dove<br />

una grafica volutamente in sé relativa, vitalizza nel rapporto uno spazio ambientale. Una soluzione<br />

scenografico, meglio, tutta urbanistica (l’interno è affatto trascurabile), analoga e <strong>di</strong>versa da<br />

quella dell’altra corte. Il Sanmicheli, anche qui come altrove, sa legare sapientemente la propria<br />

architettura con quella trecentesca, non attraverso ripristini o imitazioni, ma inserendosi con<br />

spirito moderno e qualità poetica nel tessuto vitalissimo della <strong>Verona</strong> me<strong>di</strong>oevale e umanistica.” 70<br />

Da alcuni documenti datati gennaio 1534 appren<strong>di</strong>amo poi che il Senato Veneto, su sollecitazione<br />

dei rettori veronesi, consentiva la ven<strong>di</strong>ta del fatiscente palazzo della Domus Nova Communis<br />

<strong>Verona</strong>e e deliberava che parte del ricavato fosse destinato ad “ adaptare le stantie […] delli<br />

giu<strong>di</strong>ci nella corte del Podestà ove si sono loci assai capaci <strong>di</strong> accomodar senza incomodo de essi<br />

Rettori nostri”. Venne incaricato del progetto il rinomato architetto Michele Sanmicheli. 71 E a<br />

testimonianza dell’effettiva presenza all’interno del palazzo <strong>di</strong> stantie o uffici dei Giu<strong>di</strong>ci, ci sono<br />

anche alcune iscrizioni su portali (tav. 27). Due <strong>di</strong> queste (SUPERAN. BRIXIA. IUD. RE. IUL. ROVEL.<br />

IUD. GRIFFONI. MDLXIX” e “MATTH. PRAET. III. VIC. MDLIX. IO. FRATRE. TRINCAVEL. IUD. MAL.”),<br />

datate 1559, sono oggi nella loggia <strong>di</strong> collegamento tra gli uffici della <strong>Provincia</strong> e quelli della<br />

69<br />

MELLINI, 1961, p. 32.<br />

70<br />

Ibidem.<br />

71<br />

BERTOLDI, A., 1874.<br />

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ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Prefettura, qui trasportate dalla sopracostruzione nel corso dei lavori <strong>di</strong> restauro degli anni<br />

Trenta 72 . Un’altra proviene da un portale situato all’interno della loggia cinquecentesca con<br />

l’iscrizione che così recita: “IN PATRIA CIVILI / PACIS CUPIDUS / CUM LEGE MUNICIPALI / ET PIA /<br />

IUSTITIAM ADMINISTRAVI / OPTIMATUM AC / ALIORIUM CIVIUM CONCURSU.” 73<br />

Il fatto che le prime due epigrafi siano entrambe dell’anno 1559, che la terza sia stata rinvenuta<br />

all’interno della loggia cinquecetesca, e che l’e<strong>di</strong>ficazione <strong>di</strong> quest’ultima sia datata al 1560, ha<br />

fatto ipotizzare il Mellini, che le stantie per gli uffici dei Giu<strong>di</strong>ci furono sistemate proprio all’interno<br />

della nuova “ala loggiata”.<br />

Da collegarsi all’attività degli uffici giu<strong>di</strong>ziari dovrebbe essere anche la presenza <strong>di</strong> prigioni nel<br />

palazzo, che, come in altri palazzi <strong>di</strong> piazza dei Signori, si trovavano sotto i tetti e in particolare<br />

nella parte alta del torrazzo in angolo tra via Arche Scaligere e vicolo Cavalletto. Tutte le prigioni<br />

situate nella guaita <strong>di</strong> S. Maria Antica, cioè quelle del nostro palazzo, del palazzo dell’Antico<br />

Comune ( palazzo della Ragione ) e del palazzo del Capitanio, erano tra loro collegate da passaggi<br />

aerei, soprelevati, che attraversavano anche via Dante Alighieri e via Arche Scaligere. Prima dei<br />

lavori degli anni Trenta, all’interno della torre, nel grande locale al terzo piano, erano ancora<br />

leggibili iscrizioni e graffiti dei prigionieri, completamente scomparse in seguito alla ri-<br />

tinteggiatura delle decorazioni delle pareti volta a ravvivarne i colori. A riguardo Avena, <strong>di</strong>rettore<br />

artistico del lavori condotti negli anni Trenta, scrive: “Questa decorazione a ton<strong>di</strong> è la<br />

predominante. La ritroviamo <strong>di</strong>sfrenare tutto il suo capriccio, un poco pirotecnico, anche nei due<br />

locali al terzo piano. Qualche fascia giro tutto intorno, e una reca <strong>di</strong>pinta l’iscrizione: Agostinus<br />

Centra fu pres. Chi sia stato agostino Cendrata non risulta da documenti; certo è ch’egli fu<br />

prigioniero in questa torre e molti altri vi furono prima e dopo <strong>di</strong> lui. Le pareti sono incise dei<br />

graffiti dei prigionieri che segnavano col nome spesso anche la pena. Ricorderò Berton e Barda<br />

(1500) Zuano Cedola “fu colpado de due omeni”, Jo. Jugo (1547), Ranchago (1547), Angelo<br />

Guantero (1539), Batista de Greciana (1541), Primo de Agustino (1548), “Franc. Bogara stete zorni<br />

5 in fondo de tor…Loco ala gastaldo al suo marzo desueto fu deliberato”, Zuane Batista Olegno<br />

(1541) ecc. Un grafito è un epigramma d’amore: “W. Madona Pasqua e Bartolomio Trentin suo<br />

chiarissimo amante nel cuore al sia ferto 1547.”<br />

72 AVENA A., 1931, p. 54.<br />

73 BRUGNOLI P., 2001, p. 92.<br />

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ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Durante il Cinquecento gli interventi non si limitarono a quelli sopra citati e si continuò ad adattare<br />

il palazzo in base alle esigenze dei nuovi “inquilini”. Nel 1574 il podestà Nicolò Barbarico ricavò<br />

nuovi ambienti tra i quali una stanza che venne lasciata “semplice e nuda <strong>di</strong> ogni pittura”<br />

sostenuta “da cinque travi piane traverse, da tre lacunari dritti che formano <strong>di</strong>sdotto sfon<strong>di</strong> e la<br />

sua cornice <strong>di</strong> legno d’intorno assiso”. Si tratta della Sala Pretoria, al piano nobile sopra la loggia<br />

dei Rettori, con finestre verso le Arche scaligere e una porta che conduceva sul balcone della<br />

piazza. 74<br />

Anche il podestà Lazzaro Mocenigo (1577-1579) provvide alla realizzazione <strong>di</strong> lavori all’interno del<br />

palazzo “nelle camere come nella cosina et in altri lochi” ma anche “molte altre operationi <strong>di</strong> gran<br />

necessità et anco a maggior ornamento per comodo <strong>di</strong> esso palazzo.” 75 Questi interventi vennero<br />

affidati al maestro muratore veronese Giovanni Bellè 76 , il quale “non solamente si è <strong>di</strong>mostrato<br />

prontissimo ad ogni richiesta <strong>di</strong> soa magnifica clarità, ma, affaticandosi con molta <strong>di</strong>ligenza et<br />

sollecitu<strong>di</strong>ne, ha con molto vantaggio e sparano del denaro speso in esse opere, sattisfatto<br />

completamente a quanto gli è stato imposto del prefato carissimo signor podestà.” 77 Sembra<br />

inoltre che il Bellè, in virtù dei propri servigi, fosse stato beneficiato dai rettori, a partire dal 29<br />

marzo del 1575, dell’utilizzo gratuito per ventiquattro anni <strong>di</strong> una bottega all’interno del palazzo<br />

del Podestà, sul lato rivolto verso S. Maria Antica. 78<br />

Era comunque una consuetu<strong>di</strong>ne abbastanza ra<strong>di</strong>cata quella <strong>di</strong> concedere locali del palazzo a terzi.<br />

Nel 1551, Giacomo Andrea Boni da Illasi, custode incaricato della chiusura delle porte e della<br />

pulizia del cortile ottenne infatti gratuitamente, vita natural durante, “due lochi del <strong>di</strong>tto Palazzo,<br />

che sono presso la porta piccola dell’antedetta corte”, cioè sempre sul lato <strong>di</strong> fronte al cimitero<br />

scaligero. Ma anche il famoso pittore Paolo Farinati aveva uno stu<strong>di</strong>o nel palazzo, concessogli nel<br />

1570 dal podestà Giacomo Contarini, forse, come per Bellè, in cambio <strong>di</strong> lavori qui eseguiti, e<br />

74<br />

SANDRI, G., 1931, p. 31.<br />

75<br />

ASVr., AACVr., 25.<br />

76<br />

Per informazioni sul Bellè e la sua famiglia si veda BRUGNOLI, P, 2001, p.108-109, nota n.5 e GUZZO,<br />

1998, p. 133.<br />

77<br />

ASVr., AACVr., 25.<br />

78<br />

Ibidem. La bottega gli venne concessa per do<strong>di</strong>ci anni a partire dal 29 marzo 1575 “Una bottega ritrovata<br />

già con la propria industria del predetto maestro Zuane nel detto palazzo, appresso la porta che guarda<br />

verso S. Maria Antiqua per anni dodese.” Il contratto venne poi rinnovato da Lazzaro Mocenigo per altri<br />

do<strong>di</strong>ci anni, per un totale <strong>di</strong> ventiquattro anni a partire dal 1575: “si che detto maestro Zuane possi<br />

continuare in detto go<strong>di</strong>mento per anni ventiquattro principati dal <strong>di</strong> della sopradetta concessione,<br />

affidando essa bodegheta per detto tempo a suo beneplacito et scodendo gli affitti <strong>di</strong> esso in premio et<br />

riconoscimento delle sue merce<strong>di</strong> e fatiche.”<br />

27


PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

sembra che il pittore vi si trovasse davvero bene, al punto che nei primi mesi del 1573 supplicò<br />

ad<strong>di</strong>rittura il doge Luigi Mocenigo affinché gli venisse confermata la concessione, assumendosi, in<br />

caso <strong>di</strong> morte <strong>di</strong> Giacomo Andrea Boni anche il “servizio per le porte del Palazzo e mon<strong>di</strong>cia della<br />

corte.” 79<br />

Il Sandri sottolinea che “questi lochi erano al pian terreno, tra l’ingresso ed il vicolo Cavalletto” 80 ,<br />

mentre il Garibotto, 81 agli inizi del Novecento pubblicò una serie <strong>di</strong> documenti che coprono un<br />

periodo <strong>di</strong> tempo compreso tra il 1563 e il 1582, inerenti pagamenti effettuati dai rettori a<br />

beneficio del pittore Serafino Serafini, in cambio <strong>di</strong> opere svolte dall’artista nel palazzo. 82 I<br />

79 PUPPI, 1965, p. XIII.<br />

80 SANDRI, G., 1931, p. 28. L’ingresso è riferito al piccolo portale che allora si apriva su via Arche Scaligere. Il<br />

testo del Sandri da delucidazioni anche sulla sorte toccata a questi locali nel corso del sec. XVIII: “Giovanni<br />

Battista Ferrerio Volpini, il 29 luglio 1763 li acquistò dal Magistrato Eccellentissimo de’ Signori Presidenti<br />

sopra l’esazione del denaro, e <strong>di</strong>vise il primo luogo verso l’ingresso in tre piccole botteghe con provvisionali<br />

separazioni. Solo qualche anno dopo la città chiese al Governo Veneto <strong>di</strong> chiudere l’ingresso verso S. Maria<br />

Antica e <strong>di</strong> acquistare detti locali per ampliare la cancelleria <strong>di</strong>venuta angusta; cancelleria che era al piano<br />

terreno, dove si era stabilita fin dal 1407, tra le due logge, dopochè il podestà trasferì il suo ufficio e la così<br />

detta Cancelleria Pretoria al piano superiore.”<br />

81 GARIBOTTO C., 1914, pp.184-185.<br />

82 I documenti pubblicati dal Garibotto sono riportati anche in BRUGNOLI, P., 2001, pp. 109-114. Il primo<br />

documento <strong>di</strong> cui siamo a conoscenza è una bolla <strong>di</strong> pagamento emanata dal podestà Nicola Quirino, il 15<br />

<strong>di</strong>cembre 1564: “commettemmo a voi Augustin dai Buoi vice collateral nostro che levar dobbiate una<br />

bolletta de scu<strong>di</strong> <strong>di</strong>ese mozi a maestro Seraphin per la sua mercede d’aver depento un camerino del palazzo<br />

nostro da esserli dati de denari de le condenation.” 15 novembre 1572: “Commettemmo alli<br />

settabilicollaterali della banca generale <strong>di</strong> questa città che levar debbino una bolletta a masetro Seraphin et<br />

compagni pittori de lire cento de danari veronesi applicati a la restauration de la fabbrica del palazzo nostro<br />

de li denari de la condannation fatta contro messer Francesco Confaloner.” 1 <strong>di</strong>cembre 1572 :<br />

“Commettemmo una bolletta de lire cento denari veronesi a maestro Seraphin et compagni pittori della<br />

condannation a loro applicati per il <strong>di</strong>pingere et adornare il palazzo nostro e la corte pretoria.” 4 <strong>di</strong>cembre<br />

1572: “Commettemmo una bolletta a maestro Seraphin et compagni pittori de lire cento danari veronesi per<br />

la fabbrica et ornamento del palazzo.” 14 gennaio 1573: “Commettemmo una bolletta a Seraphin pittore et<br />

compagni de lire cento veronese applicati a lori per far la fabbrica della loza del palazzo nostro della<br />

condannacion fetta contro Battista Zanella <strong>di</strong> Radon.” 27 gennaio 1573: “messer Seraphin e compagni per<br />

esser stata depenna la loggia del palazzo nostro ànno cento lire.” 10 giugno 1573: “una bolletta de lire 61<br />

de piccoli alli infrascritti per pitture fatte nel palazzo nostro come appar per polizza apposta in filo a<br />

maestro Donà <strong>di</strong> Danesi lire 31, a maestro Seraphin de Seraphini lire 14 a Zuan Zarotto lire 16.” 14 maggio<br />

1573: “per aver depento de fuora sul corso appresso la sopracitata porta e <strong>di</strong> dentro la faccia del muro<br />

verso la corte cussì da cordo con il magnifico signor Pio turco provve<strong>di</strong>tor.” 18 maggio 1573: “cometemo ai<br />

colaterali della banca che levare debbino una bolleta de ducati <strong>di</strong>ese correnti a messer Seraffini per aver<br />

<strong>di</strong>pinto un quadro <strong>di</strong> nostra donna con altre figure sopra il corso appresso la porta nova de la corte nostra,<br />

indorata l’arme sopra detta porta <strong>di</strong> dentro della corte et medesimamente le arme con il San Marcoposte<br />

sopra il Tribunale sotto la loza del Consiglio iuxta l’accordo fatto con il magnifico Pio turco. Item de lire 22<br />

de piccoli per resto et saldo della pittura fatta intorno a deta porta <strong>di</strong> dentro et <strong>di</strong> fuori della corte predetta<br />

et questo de denari de condenation.” 11 febbraio 1577: “Commettemo una bolletta a maestro Serafin de<br />

ducati 86 quale compito pagamento delle pitture fatte nelle nuove scale et in altri luoghi del palazzo.” 2<br />

28


PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

documenti parlano <strong>di</strong> pagamenti in denaro (ricavato in larga parte dalle sanzioni e dalle condanne)<br />

<strong>di</strong> decorazioni e pitture eseguite in varie parti del palazzo: in un camerino, nella loggia (anche se<br />

non si sa esattamente in quale), sopra una porta in tufo sul Corso (S.Anastasia) eseguita nel 1574<br />

dal lapicida Battista da Prato e da lui decorata sia sull’interno (indoratura dell’arma veneziana) che<br />

sull’esterno (Vergine con altri Santi), sulle scale dette nuove ed infine il solaio della cancelleria del<br />

podestà danneggiato da un incen<strong>di</strong>o avvenuto il 29 settembre del 1581. 83<br />

Per quanto riguarda l’ultimo decennio del secolo, da due documenti datati 1589 e 1601, veniamo<br />

a conoscenza <strong>di</strong> interventi condotti sotto la <strong>di</strong>rezione dell’ingegnere Francesco Malacreda. Il primo<br />

(27 ottobre 1589) è una missiva inviata dal doge Pasquale Cicogna al podestà Domenico Dolfin e al<br />

capitano Matteo Zane, 84 nella quale viene loro concesso <strong>di</strong> utilizzare i proventi delle condanne,<br />

destinandone i 5/8 alla ristrutturazione <strong>di</strong> palazzo della Ragione e <strong>di</strong> palazzo del Capitanio e i<br />

rimanenti 3/8 al palazzo del Podestà. La lettera purtroppo non specifica il tipo <strong>di</strong> interventi da<br />

effettuare né la parte del palazzo interessata, anche se comunque sembra si tratti sostanzialmente<br />

<strong>di</strong> lavori <strong>di</strong> consolidamento strutturale.<br />

Il secondo documento (30 settembre 1601) è <strong>di</strong> circa <strong>di</strong>eci anni posteriore al primo. Si tratta anche<br />

in questo caso <strong>di</strong> una lettera in<strong>di</strong>rizzato dal doge Marino Grimani al podestà Ermolao Zeno e al<br />

capitano Francesco Priuli, riguardante la concessione <strong>di</strong> una determinata somma <strong>di</strong> denaro da<br />

gennaio 1579: “Comettemo una bolletta a maestro Serafin de ducati de lire 25 de denari veronesi per<br />

pitture fatte nel palazzo nostro.” Infine, 10 luglio 1582: “Commettemo una bolletta de 18 ducati correnti<br />

quale compito pagamento delle pitture fatte nella cancelleria del podestà guastatasi per un incen<strong>di</strong>o il 29<br />

settembre.”<br />

83 BRUGNOLI, P., 2001, p.112.<br />

84 ASVr CF, reg. 12, c. 107: “Da quando ci è stato scritto con più mani <strong>di</strong> lettere vostre et de un precesso<br />

habbiamo inteso il bisogno che hanno il palazzo della raggione <strong>di</strong> quella città et quelli parimente <strong>di</strong> ambi voi<br />

rettori <strong>di</strong> esser restaurati per l’eminente rovina che loro soprasta <strong>di</strong> precipitosamente cadere, con manifesto<br />

pericolo <strong>di</strong> quelli fidelissimi sud<strong>di</strong>ti et altri che si trovassero presenti, come da deposizione de l’ingegner<br />

nostro Malacreda hora letta, si è parimenti inteso et volendo noi che opportunamente sia rime<strong>di</strong>ato a<br />

questo necessario bisogno acciochè si come al presente con me<strong>di</strong>ocre spesa così doppo caduto non sia<br />

necessitata la signoria nostra con molto maggior <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o restaurare essi palazzi. Però vi danno autorità<br />

col Senato che li danari de li cinque ottavi de le condanne che si ritrovano in quella camera <strong>di</strong> ragione nostra<br />

possiate spender nell’accomodar il palazzo de la ragione ducati dosento cinquanta et in quello <strong>di</strong> voi<br />

capitano ducati cinquecento. Per la reparatione <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> voi podestà vi <strong>di</strong>cemo col medesimo Senato<br />

mente nostra essere che debiate impiegar tanti danari de l’altri tre ottavi de le medesime condanne, la<br />

<strong>di</strong>sposition <strong>di</strong> quali in esecution <strong>di</strong> parte a noi s’aspetta che giu<strong>di</strong>carete necessari per la suddettta<br />

reparatione da esser spesa tutta questa somma <strong>di</strong> danaro con quel magior avantaggio che dovemo<br />

fermamente promettervi de la nostra <strong>di</strong>ligentia et virtù vestra.”<br />

29


PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

destinare in parte alla riparazione della sala grande del palazzo del Capitano e in parte alle stanze<br />

dei curiali e dei ministri del palazzo del Podestà. 85<br />

Il palazzo nel corso del Cinquecento fu a più riprese sottoposto a vari interventi <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa natura,<br />

mirati in particolare al consolidamento strutturale e alla mo<strong>di</strong>ficazione <strong>di</strong> alcuni spazi interni<br />

(come la Sala Pretoria), tanto che un letterato del periodo, il Pola, in un suo interessante scritto<br />

del 1616 intitolato Lo Stolone, simulò un <strong>di</strong>alogo tra un forestiero <strong>di</strong> nome Alodapo ed il veronese<br />

Stolone, il quale poneva l’accento sulle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> degrado in cui versava il palazzo prima dei<br />

ripetuti interventi cinquecenteschi dei podestà veneziani. 86<br />

Il portale del Sanmciheli: Se gli altri interventi sanmicheliani all’interno del palazzo<br />

sfortunatamente oggi non sono più ben leggibili nella loro interezza, resta invece ben conservato il<br />

bel portale affacciato su piazza dei Signori.<br />

Come già accennato nel paragrafo relativo al Quattrocento, fin dai primi decenni del XV sec., per<br />

problemi statici e per ricavare degli ambienti da destinare alla cancelleria del comune, vennero<br />

murati sia il portale su Via Arche Scaligere che la retrostante “loggia delle colonne”, mentre fu<br />

aperto un nuovo portale <strong>di</strong> ingresso al centro della facciata su piazza dei Signori.<br />

Nel corso del primo ventennio del XVI sec., durante la breve Dominazione Imperiale su <strong>Verona</strong><br />

(1509-1517), il conte Cariati, il governatore che allora reggeva la città in nome <strong>di</strong> Massimiliano I,<br />

chiamò tale pittore (filo-veneziano) Gerolamo a <strong>di</strong>pingere sopra l’ingresso del palazzo del Podestà,<br />

85 ASVr CF, reg. 12 c. 264: “poiché si come ci scrivete con lettere del 2 luglio et 7 del presente sono così<br />

urgenti li bisogni <strong>di</strong> presta reparatione del salon grande del palazzo <strong>di</strong> voi capitaio et una parte del palazzo<br />

<strong>di</strong> voi podestà con le stanze dei curiali et ministri della nostra corte, giusta la <strong>di</strong>sposizione che per<br />

informatione nostra ci avete mandata vi concedemo col Senato facoltà che satisfando cadauno per la parte<br />

che si aspetta con li danari delli tre ottavi delle condanne che avette libertà <strong>di</strong> spender nell’occorrenza del<br />

reggimento per quello che importa la metà della spesa possiate all’altra metta supplire con li denari delli<br />

cinque ottavi d’esse condanne, cioè voi podestà per ducati settecento cinquanta e voi capitano per ducati<br />

mille e <strong>di</strong>eci, solamente compiendo però con altrettanta summa <strong>di</strong> denaro all’altra mettà con li tre ottavi<br />

sopra <strong>di</strong>ti, d’esse condanne e non altamente dandone particolar conto alli provve<strong>di</strong>tori alle fortezze con gli<br />

istessi obblighi che avuto per altre fabriche spettanti all’ufficio loro.”<br />

86 POLA, F., 1615: “Dovete però sapere, che questo Palagio era già da molti anni assai deforme, et negletto,,<br />

come le cose dell’età passata; ma la magnanimità de venetiani Magistrati è sempre ita tempo per tempo<br />

riformando hora in una parte, hora ne l’altra, più nobilmente che s’è potuto, secondo i genii loro particolari<br />

et <strong>di</strong>versi; et se alcuna imperfezione v’ha, è <strong>di</strong>fetto più tosto dell’antica e<strong>di</strong>ficazione che tutta non s’è potuta<br />

mutare, et della varietà dei pensieri <strong>di</strong> chi v’ha fatto por mano, che d’altro.”<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

in sostituzione del Leone <strong>di</strong> S. Marco, l’ Aquila bicipite imperiale. L’episo<strong>di</strong>o, è narrato in una<br />

novella da Matteo Bandello: “Egli [Gerolamo] era il più faceto e il più piacevole uomo ed il miglior<br />

compagno che si possa immaginare, e troppo volentieri dava il giambo ed il pigliava. Era poi tanto<br />

affezionato ai nostri signori veneziani che tutta <strong>Verona</strong> per tali il conosceva. Ora in quei calamitosi<br />

tempi de le guerre che tanto a la città nostra nocquero e senza dolore non si possono ricordare,<br />

mentre che <strong>Verona</strong> fu in potere dei nemici <strong>di</strong> San Marco, non era possibile che maestro Girolamo<br />

tacesse, e che non <strong>di</strong>scoprisse l’affezion sua. Aveva il conte <strong>di</strong> Cariati un giorno fatto levar via San<br />

Marco, ch’era su la porta del palazzo del signor podestà,e in luogo <strong>di</strong> quello volle che vi si<br />

<strong>di</strong>pingesse l’aquila con l’insegna <strong>di</strong> casa d’Austria. Fu l’impresa data a maestro Girolamo il quale<br />

malvolentieri prese l’assunto <strong>di</strong> farlo; non<strong>di</strong>meno non essendo a quei <strong>di</strong> chi gli desse guadagno, per<br />

esser una gran parte dei citta<strong>di</strong>ni fuori, chi in esiglio e chi per non vedere tutte l’ore lo strazio che<br />

dai soldati si faceva, non avendo altro esercizio a le mani da guadagnarsi da vivere, si mise a<br />

<strong>di</strong>pingere le dette insegne. E mentre <strong>di</strong>pingeva v’era sempre gente in piazza ed alcuni si fermavano<br />

a vedere. Il buon pittore a cui troppo era <strong>di</strong>spiaciuto il levar via San Marco e gli doleva dove fare<br />

quell’arme, non si poteva contenere che non sospirasse e molte volte <strong>di</strong>scese: - Durabunt tempore<br />

curto – onde fu subito accusato al conte per un gran marchesco. Il conte dubitò che forse nella città<br />

alcun occulto trattato contra l’imperadore e che il pittore ne fosse consapevole. Il perché, fattolo a<br />

sé chiamare, <strong>di</strong>ligentemente cominciò ad esaminarlo e domandargli a che fine avesse dette quelle<br />

parole latine. Egli che non credeva esser stato sentito e vedeva che il negarle non ci aveva luogo,<br />

da subito consiglio aiutato, con un buon viso rispose: - Signore, io vi confesso aver detto le parole<br />

che mi ricercate e le <strong>di</strong>co anco <strong>di</strong> bel nuovo, che quelle insegne non dureranno. Sapete voi perché?<br />

Perché ho avuto tristi colori che a l’aria e a la pioggia non reggeranno. – Piacque mirabilmente la<br />

pronta risposta al conte, ed in effetto pensò che a cotal fine qual narrato avea, il pittore le parole<br />

puramente dette avesse, e più innanzi non investigò il fatto. Ché ancora che trattato contra gli<br />

imperiali non ci fosse, non <strong>di</strong>meno il sagace pittore <strong>di</strong>sse le parole, come gli amici affermava, con<br />

salda speranza che i veneziani dovessero ricuperar la città e far levar via l’aquila con l’insegna<br />

d’Austria, come non molto dopo fu fatto. Vi par egli che al bisogno si sapesse schermire e che<br />

molto galantemente si salvasse? Egli seppe sì ben fare e <strong>di</strong> modo governarsi che del conte <strong>di</strong>venne<br />

molto domestico e ne traeva assai profitto.” 87<br />

87 BRUGNOLI, P.,2001, p.104.<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Dopo la parentesi <strong>di</strong> dominazione austriaca, con il ritorno della Serenissima, nel 1533, il Podestà<br />

Giovanni Dolfin, chiese a Michele Sanmicheli <strong>di</strong> rivestire l’ingresso del palazzo con un portale<br />

monumentale <strong>di</strong> gusto classico (la lavorazione vera e propria è però da attribuire alla bottega del<br />

fratello del Sanmicheli, Paolo, eccellente lapicida), a mo’ <strong>di</strong> arco trionfale romano, sovrastato dalla<br />

statua del leone <strong>di</strong> S, Marco. Ed il portale, formato da un arco a tutto sesto, ornato con quattro<br />

colonne ioniche, con stemmi negli intercolonni e due bellissime vittorie alate negli angoli, riprese<br />

abbastanza chiaramente il prospetto dell’arco celebrativo della famiglia dei Gavii “salvo l’alto<br />

basamento, non potutosi qui realizzare in quanto il nuovo ingresso al palazzo podestarile doveva<br />

venire a sovrapporsi […] ad altro che in precedenza pure esisteva” 88 e in effetti la struttura risultò<br />

leggermente più tozza rispetto all’archetipo romano, oggi visibile a lato <strong>di</strong> Castelvecchio (tav. 28).<br />

Aggiunta successiva, della fine del XVIII sec., furono le due statue poste sulla sommità del portale,<br />

raffiguranti L’Arte e l’Agricoltura, fatte rimuovere dai <strong>di</strong>rettori dei lavori degli anni Trenta (tav. 29-<br />

30).<br />

Per la costruzione della porta si volle utilizzare lo stesso tipo <strong>di</strong> pietra bianca utilizzata per la<br />

Cappella Pellegrini nella chiesa <strong>di</strong> S. Bernar<strong>di</strong>no, chiamata Nembro <strong>di</strong> Selva <strong>di</strong> Sant’Ambrogio <strong>di</strong><br />

Valpolicella. Si tratta <strong>di</strong> un tipo <strong>di</strong> un tipo <strong>di</strong> pietra bianchissimo, definita dal Vasari come “la più<br />

bella sorte <strong>di</strong> pietra che dopo il marmo sia stata trovata insino a’ tempi nostri, essendo tutta solda<br />

e senza buchi o macchie che la guastino.” 89 Vennero utilizzati blocchi <strong>di</strong> notevoli <strong>di</strong>mensioni, le<br />

colonne sono tutte d’un pezzo ed il timpano con il suo fregio sono furono scolpiti in un unico<br />

blocco monolitico. Il tutto è giuntato da graffe in ferro fissate nel piombo colato, una tecnica<br />

nobile molto utilizzata in antichità, ma che ha delle controin<strong>di</strong>cazioni, dal momento che il ferro a<br />

contatto con l’umi<strong>di</strong>tà, si corrode e si rigonfia, causando danni e lesioni, occorse anche in questo<br />

caso.<br />

Ma ve<strong>di</strong>amo ora cosa pensavano <strong>di</strong> quest’opera del Sanmicheli gli esperti, le cui opinioni, spesso<br />

contrastanti tra loro, si susseguirono nel corso degli anni. Già nella seconda metà del XVI sec..<br />

Il Vasari, nella Vita <strong>di</strong> Sanmicheli, riguardo alla mancata realizzazione del basamento, scrisse: “non<br />

tacerò già che fece le bellissime porte <strong>di</strong> due palazzi: l’una fu quella de’ rettori e del capitano,<br />

88 BRUGNOLI P., 2001, p.98.<br />

89 VASARI, 1568, III, p. 194.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

l’altra fu quella del podestà, ambedue in <strong>Verona</strong> e lodatissime: se bene quest’ultima, che è d’or<strong>di</strong>ne<br />

ionico con doppie colonne e intercolonni ornatissimi, ed alcune Vittorie negli angoli, pare, per la<br />

bassezza del luogo dove è posta, alquanto nana, essendo minimamente senza pie<strong>di</strong>stallo e molto<br />

larga per la doppiezza delle colonne: ma così volle messer Giovanni Delfin, che la fe’ fare.” 90<br />

Quasi tre secoli più tar<strong>di</strong>, nel secondo decennio dell’Ottocento, Giambattista da Persico, nella sua<br />

Guida alla città e provincia, espresse un’opinione <strong>di</strong>versa: “al Vasari […] parve questa porta<br />

alquanto tozza a vedere: ciò fu per essere stata ingombra <strong>di</strong>nanzi e ai lati da ferrati cancelli, oltre il<br />

poco spazio lasciato dalle finestre del piano superiore, come vi stanno ancora. Tale però ora non<br />

appare. E a chi ben osserva si mostra anzi regolata da modanature delle antichità greche, che le<br />

più stanno senza pie<strong>di</strong>stalli. Ciò non pertanto <strong>di</strong>fformata ne venne dappie<strong>di</strong>, stante il pen<strong>di</strong>o del<br />

piano. Tra i suoi pregi architettonici si vuol notare com’abbia il Sanmicheli saputo imporre lo stesso<br />

capitello ionico sulle colonne e sui pilastri scanalati pure essi, schivando lo sconcio che ne dovea<br />

procedere nello scompartimento degli ovoli, sostituendone un mezzo retto sotto le volute, quando<br />

gli altri vi stanno roton<strong>di</strong> […]. Non altrettanto possiamo <strong>di</strong>re dell’altra che mette agli uffizi<br />

giu<strong>di</strong>ziari, non cadendo in essa siffatti obbietti. Ve<strong>di</strong> però in ambedue che simmetria d’invenzione,<br />

e che grazia <strong>di</strong> forme.” 91<br />

Il portale in questione, nel corso dei secoli, che ce lo consegnano pressoché intatto, dovette però<br />

subire sia le ingiurie del tempo, sia quelle degli uomini. In seguito alla caduta della Repubblica<br />

Veneziana nel 1797 ed in particolare in seguito agli eventi delle Pasque Veronesi (17-25 aprile<br />

1797), che videro contrapporsi il popolo veronese al nuovo dominatore francese, “un’ondata <strong>di</strong><br />

furore giacobino contro San Marco <strong>di</strong>strusse rapidamente e crudelmente quanto poteva ricordare<br />

al popolo il cessato governo: i leoni alati, gli stemmi, le iscrizioni” 92 vennero scalpellati, compresi<br />

quelli del portale del palazzo del Podestà, cui fu strappata anche l’iscrizione del fregio.<br />

Fortunatamente l’iscrizione in bronzo non venne scalpellata ma solo rimossa, lasciando al loro<br />

posto i solchi dei chio<strong>di</strong>, così che nel 1927, nel corso dei lavori preventivi ai restauri del 1928-30, fu<br />

facilmente ricomposta con nuove lettere bronzee che presero il posto <strong>di</strong> quelle antiche. In questa<br />

90 VASARI, 1568, III, p. 946.<br />

91 DA PERSICO, 1820, I, p. 234.<br />

92 MESSEDAGLIA, L., 1953, pp. 69-70.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

occasione vennero anche rimosse le due statue aggiunte verso la fine del XVIII sec. in alto ai lati<br />

del portale e venne ricollocato in situ il leone <strong>di</strong> San Marco, nuova scultura del Colbertardo. 93<br />

Infine, lavori per il recupero visivo del portale, sono stati condotti recentemente, nell’ambito <strong>di</strong><br />

una campagna, finanziata dal Ministero dei Beni Culturali, per la salvaguar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> alcuni monumenti<br />

<strong>di</strong> Sanmicheli. Il restauratore Romano Cavalletti effettuò interventi sia sul portale del palazzo dl<br />

Capitano che su quello del Podestà, mirati al consolidamento statico (con l’uso <strong>di</strong> resine), alla<br />

pulitura e alla protezione superficiale, onde evitare un ulteriore degrado. Il Brugnoli poi spiega con<br />

queste parole l’entità del restauro inerente alla porta del palazzo del Podestà: “la pulizia del<br />

paramento lapideo costituente la porta è avvenuto me<strong>di</strong>ante la rimozione dei depositi incoerenti<br />

estranei alla pietra, la pulitura della superficie con un e a pasta gelatinosa ad azione solvente e<br />

successivo lavaggio con acqua. Si è provveduto poi al fissaggio dei frammenti lapidei staccati, alla<br />

rimozione delle vecchie stuccature tra pietra e pietra e rifacimento delle stesse con resina acrilica e<br />

caricata con polvere bianco <strong>Verona</strong>, all’applicazione <strong>di</strong> resina consolidante e protettiva; e infine al<br />

ritocco delle superfici con l’eliminazione <strong>di</strong> resina eccedente per evitare spiacevoli effetti lucido. A<br />

seguito della recente pulitura – che ha reso oltremodo leggibile tutta la sottile e raffinata<br />

decorazione scultorea del portale – sono apparse anche tracce <strong>di</strong> doratura sulla chiave <strong>di</strong> volta, il<br />

che fa pensare che, oltre alla chiave, anche altri elementi del portale (come gli stemmi) fossero<br />

ricoperti <strong>di</strong> analoga foglia d’oro. La pulitura ha anche evidenziato alcune lesioni sui conci dell’arco<br />

che hanno subito un ce<strong>di</strong>mento e che ha interessato anche il bassorilievo della Vittoria nel<br />

pennacchione sinistro. Ma l’inconveniente si è assestato.” 94<br />

IV. 3. IL SEICENTO.<br />

La riconfigurazione degli spazi interni proseguì anche nel XVII sec. Sempre il Pola nello Stolone ci<br />

informa della pregiata decorazione pittorica commissionata per una stanza del palazzo, la sala<br />

pretoria.<br />

93 BRUGNOLI, P., 2001. p. 101-102 e MESSEDAGLIA, L., marzo 1928, Un portale del Sanmicheli e un oltraggio<br />

riparato, all’interno della rivista “Il Garda”.<br />

94 BRUGNOLI P., 2001, p. 104-105, n. 6.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

Sala pretoria: La sala pretoria è la sala <strong>di</strong> cui ho accennato precedentemente, in angolo tra via<br />

Arche Sacligere e piazza dei Signori. Rimodellata ma lasciata priva <strong>di</strong> decorazioni nel 1574 dal<br />

podestà Nicolò Barbarico, dallo Stolone sappiamo che venne fatta decorare nel 1614 per volere<br />

del podestà Agostino Amulio o Della Mula, durante gli ultimi mesi del suo mandato. 95<br />

Il racconto del Pola prosegue poi con un aneddoto, secondo il quale 96 i pittori veronesi Ottino,<br />

Farinati, Creara e Orbetto rifiutarono l’incarico offerto loro dal podestà Della Mula <strong>di</strong> decorare la<br />

sala pretoria a causa della ristrettezza del tempo a <strong>di</strong>sposizione e pertanto l’opera venne realizzata<br />

dal bresciano Antonio Gan<strong>di</strong>no 97 , <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> Paolo Caliari, 98<br />

Ma la pubblicazione da parte <strong>di</strong> Guzzo 99 <strong>di</strong> alcuni interessanti documenti 100 relativi la decorazione<br />

<strong>di</strong> questa sala, ha corretto la versione del Pola. Egli sostiene che è vero che i pittori veronesi<br />

rifiutarono l’incarico, ma non per penuria <strong>di</strong> tempo, quanto perché l’ideazione del programmi<br />

iconografico fu da subito affidato al bresciano Ottavio Rossi, il quale a sua volta chiese la<br />

collaborazione pittorica del suo concitta<strong>di</strong>no Antonio Gan<strong>di</strong>no.<br />

Aneddoti a parte, molto prezioso è il contributo del Pola, che descrive dettagliatamente le pitture<br />

della sala, che a quanto pare era decorata con finte architetture. L’architrave, sostenuto da<br />

quattor<strong>di</strong>ci colonne centrali <strong>di</strong> vario or<strong>di</strong>ne e da quattro colonne angolari, era <strong>di</strong>pinto con<br />

centoquattor<strong>di</strong>ci stemmi, settantadue dei quali appartenevano alle famiglie dei senatori veneziani<br />

che avevano governato <strong>Verona</strong> dal 1517 in poi, mentre gli altri quarantadue spazi erano stati<br />

lasciati liberi per accogliere gli stemmi dei futuri rettori. Negli intercolumni do<strong>di</strong>ci nicchie decorate<br />

a figure allegoriche, fiancheggiate da colonnine attiche lavorate e coronate da vittorie alate<br />

95<br />

Ibidem: “Desiderò il signor Podestà, et tentò, ch’alcuno dei nostri lo servisse dell’opra sua in questo affare,<br />

ma non trovò alcuno <strong>di</strong> loro, che osasse <strong>di</strong> fare questa fatica con quella celerità, che richiedeva l’angustia <strong>di</strong><br />

tre quattro mesi, in cui egli doveva da la Podestaria far partita.”<br />

96<br />

In POLA, F., 1615, è riportata anche un’iscrizione ora perduta, che testimoniava le decorazioni effettuate<br />

nella sala. L’epigrafe recitava cosi: “QUAM SPECTAS AULAM / AUGUSTINUS AMULIUS PRAETOR HOC<br />

PICTURAE DECORE / EXORNAVIT / VERONENSIBUS SUIS / ANNO MDCXIV / P.F. SYLVESTRO VALERIO V.A. /<br />

QUICUM ILLE / CONIUNCTISSIMUM.”<br />

97<br />

GUZZO E.M., 1991.<br />

98<br />

SANDRI, G., 1931, p. 31.<br />

99<br />

GUZZO E.M., 1991.<br />

100<br />

GUZZO, E.M., 1991, pp.49-50. Si tratta <strong>di</strong> due lettere inviate da Ottavio Rossi al podestà Agostino Della<br />

Mula. La prima testimonia la gratitu<strong>di</strong>ne per l’incarico commissionato e il desiderio <strong>di</strong> poter collaborare con<br />

il Gan<strong>di</strong>no, mentre nella seconda traspare l’amarezza del Rossi per non essere nemmeno stato menzionato<br />

nella descrizione della decorazione fornita dal Pola nello Stolone. I testi delle due lettere sono pubblicate<br />

all’interno del volume.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

sdraiate, con in mano una palma. Le <strong>di</strong>ciotto virtù che fanno un buon magistrato 101 decoravano i<br />

do<strong>di</strong>ci sfon<strong>di</strong> nel soffitto, con un’iscrizione che ne dava spiegazione: 102 “SCIN? QUAE VIRTUTES /<br />

MAXIMUM FACIANT MAGISTRATUM / LACUNAR INDICAT PICTUM / SCIN? QUOS FRUCTUS /<br />

MAXIMUS PATIAT / MAGISTRATUS / PARIETES INDICANT PICTI / SPECTATE DISCITO FRUITOR.” 103<br />

Un’epigrafe, ora scomparsa, celebrava il committente dell’opera, il podestà Della Mula e ricordava<br />

l’anno <strong>di</strong> esecuzione dei lavori, il 1614. 104<br />

Ma la sala subì ulteriori mo<strong>di</strong>fiche nel corso degli anni, tanto che, nel suo Catastico, Saverio Dalla<br />

Rosa, nei primi anni dell’Ottocento, la chiama sala delle U<strong>di</strong>enze. Le figure allegoriche sono state<br />

sostituite da pitture a fresco, “felicissime produzioni <strong>di</strong> Marco Marcola” 105 che purtroppo non<br />

potremmo mai ammirare dal momento che anche questa sala, come gran parte dei locali su piazza<br />

dei Signori, venne completamente obliterata dai ra<strong>di</strong>cali lavori ai tempi del prefetto napoleonico<br />

Antonio Smancini.<br />

Gli interventi seicenteschi non si limitarono alla decorazione della Sala Pretoria, ma andarono<br />

anche ad intaccare e a mo<strong>di</strong>ficare le strutture interne. In un relazione datata 25 settembre 1632<br />

inviata al Senato Veneto, il podestà Antonio Longo testimonia e accenna ad una serie <strong>di</strong> interventi<br />

strutturali interni al palazzo, da lui voluti e basati principalmente sulla riconfigurazione <strong>di</strong> alcuni<br />

ambienti. 106 Il fatto che egli parli <strong>di</strong> “cose stabili e permanenti” in opposizione alle “cose simili, facili<br />

per sua natura a perire e consumarsi” porta a pensare ad interventi profon<strong>di</strong>, ra<strong>di</strong>cali, non limitati<br />

101<br />

Il Pola nella descrizione della decorazione della sala pretoria enumera le 18 virtù. Sono: Consiglio,<br />

Risoluzione, Eru<strong>di</strong>zione (virtù intellettuali), Religione, Pietà, Zelo, Giustizia, Equità, Rigore, Cortesia,<br />

Liberalità (virtù morali relative agli atti), Temperanza, Fatica, Industria (virtù morali relative agli affetti),<br />

Nobiltà e Buonevento (virtù innate o <strong>di</strong> fortuna).<br />

102<br />

BRUGNOLI, P., 2001, p. 116-117.<br />

103<br />

POLA, F., 1615.<br />

104<br />

In POLA, F., 1615. L’epigrafe recitava cosi: “QUAM SPECTAS AULAM / AUGUSTINUS AMULIUS PRAETOR<br />

HOC PICTURAE DECORE / EXORNAVIT / VERONENSIBUS SUIS / ANNO MDCXIV / P.F. SYLVESTRO VALERIO<br />

V.A. / QUICUM ILLE / CONIUNCTISSIMUM.”<br />

105<br />

MARINELLI S. e RIGOLI, S., 1996. p. 36.<br />

106<br />

BRUGNOLI, P., 2001, p. 120: “et perché il palazzo del Podestà riusciva non solo incomodo ma senza<br />

alcuna apparenza <strong>di</strong> pubblico decoro, come è notorio, avendo perciò osservato certo luogo <strong>di</strong>etro il palazzo<br />

negletto e innutile, pensai al bel principio <strong>di</strong> fabricarvi appartamento […]; a questo applicai perciò l’animo et<br />

ridussi alcune stanze in tale perfettione che posso con verità <strong>di</strong>re <strong>di</strong> haver datto l’anima a quel palazzo non<br />

solo per comodo del Rettore, ma per publico servitio ancora in ogni occorrenza d’alloggi. Questa spesa si è<br />

fatta dal danaro <strong>di</strong> tre ottavi delle condanne conforme l’uso antico et in vigor della parte 1596, stimando<br />

esser molto meglio l’impiegare questo danaro in cose stabili et permanenti che servono al decoro et comodo<br />

publico, che in utensilij o altre cose simili facili per sua natura perire e consumarsi.”<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

insomma a tamponamenti d’emergenza o a decorazioni, mentre quel “per publico servitio ancora<br />

in ogni occorrenza d’alloggi” potrebbe significare la demolizione <strong>di</strong> alcuni gran<strong>di</strong> ambienti per la<br />

creazione <strong>di</strong> stanze <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni più ridotte. Purtroppo, ancora una volta, <strong>di</strong>sporre<br />

esclusivamente <strong>di</strong> fonti letterarie in assenza <strong>di</strong> documentazione topografica, rende molto <strong>di</strong>fficile<br />

capire quali furono le mo<strong>di</strong>fiche apportate e <strong>di</strong> quale entità fossero stati gli interventi effettuati. E’<br />

comunque fortemente probabile che a seguito <strong>di</strong> questi lavori, il palazzo cominciò a perdere,<br />

soprattutto all’interno, le peculiarità originali del tempo degli scaligeri, e fu forse in questa fase<br />

che andò stravolta e perduta anche la Sala Grande <strong>di</strong>pinta dall’Altichiero.<br />

IV. 4. IL SETTECENTO.<br />

I lavori eseguiti dal podestà Longo furono davvero consistenti se si pensa che le successive<br />

testimonianze relative a interventi o progetti riguardanti il palazzo, risalgono alla seconda metà<br />

del XVIII, poco prima della caduta della Serenissima.<br />

Del 18 febbraio 1771 è una relazione tecnica fornita dall’ingegnere Adriano Cristofali in seguito ad<br />

un sopralluogo eseguito sul “torrazzo” in angolo con via Arche Sacligere, al termine della quale egli<br />

esclude che le “crepadure sulle sue muraglie possino causare qualche detrimento <strong>di</strong> dannosa<br />

conseguenza.” Consigliava <strong>di</strong> evitare interventi consistenti e suggeriva l’utilizzo <strong>di</strong> alcune graffe in<br />

ferro all’altezza dei piani primo e secondo, per rinsaldare la compattezza della struttura. 107<br />

107 ASVr, Gazzola, 83. Il testo è riportato integralmente anche in BRUGNOLI, P., 2001, p. 122-123: “ in<br />

ubbi<strong>di</strong>enza de li venerati si voccali coman<strong>di</strong> dell’Illustrissimo ed Eccellentissimo Signor Aloise<br />

Mocenigo.secondo podestà e vicecapitanio, del dì 16 detto, essendomi postato io sottoscritto unitamente al<br />

capo maestro Muratore Domenico Ceroni, nel Turrione <strong>di</strong> questo Palazzo Pretorio posto sull’angolo <strong>di</strong> esso<br />

riguardante a mattina e mezzo giorno, il qual comprende parte dell’appartamento nobile <strong>di</strong> esso<br />

Eccellentissimo Podestà, ed ivi avendo esaminato se le crepadure fra le sue muraglie che detrimento <strong>di</strong><br />

dannosa conseguenza, rassegno umilmente con l’opinione anche del Capo mastro medesimo.” E ancora:<br />

“che essendo le dette crepadure assai vecchie, e il detto angolo sano e ben fondamentato per quanto<br />

rilevassi, tutto costrutto <strong>di</strong> quadrelli unitamente alli suoi latti formati <strong>di</strong> grosse e robuste muraglie, posso<br />

accertare, che presentemente le dette crepadure non devono causare maggior pregiu<strong>di</strong>zio e che solo può<br />

umiliare la mia insufficienza, per cautarsi delle remote cause, che arecer potessero il <strong>di</strong>fetto, <strong>di</strong> levare il<br />

pesnate pergolo <strong>di</strong> petra e ferri che circonda esso angolo e che lo gravitò continuamente, ed agisse come<br />

una leva carica, ed intlarare l’angolo stesso con chiavi <strong>di</strong> ferro incrociate ponendone due sul piano nobile, e<br />

due nel secondo piano; e rabboccare vallidamente le crepadure stesse. La spesa delle quali compresa la<br />

fattura <strong>di</strong> poterle in opera, puol importare fra tutte lire 360 circa. Adriano Cristofoli Pubblico Ingegnere.”<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

L’aspetto del palazzo rimase pertanto invariato (tav. 31) e solo verso la fine del Settecento, il<br />

Comune <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> chiese al Governo Veneto <strong>di</strong> poter murare l’ingresso su Via Arche Scaligere per<br />

ampliare gli uffici della cancelleria 108 (tav. 32).<br />

L’Accademia <strong>di</strong> Agricoltura: All’inizio degli anni Ottanta del Settecento, il Senato Veneto cominciò<br />

a ricevere richieste insistenti da parte dei membri della Accademia <strong>di</strong> Agricoltura <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>,<br />

affinché le pubbliche amministrazioni concedessero loro una sede propria, dove potersi riunire per<br />

<strong>di</strong>scutere, stu<strong>di</strong>are, tenere riunioni. Finalmente, con un provve<strong>di</strong>mento del 13 maggio 1781 la<br />

Serenissima provvide ad assegnare all’Accademia uno spazio all’interno del palazzo pretorio, 109<br />

nella loggia cinquecentesca contrapposta alla loggia <strong>di</strong> Cansignorio (tav. 33). A conferma <strong>di</strong> ciò,<br />

anche il Simeoni, nel 1909, affermava che nella loggia “ha sede l’Accademia <strong>di</strong> Agricoltura, Scienze,<br />

Lettere ed Arti, fondata con scopi agricoli nel 1768 dalla Repubblica […]. Le sue sale sono decorate<br />

con i ricor<strong>di</strong> e con i busti dei membri più illustri che essa ebbe nella sua lunga vita.” Continua poi :<br />

“nella sala della dunanze ci sono i busti del primo segretario Zaccaria Betti (1818), <strong>di</strong> A.M. Lorgna,<br />

l’idraulico illustre (1796), e <strong>di</strong> Bartolomeo Lorenzi (1828). Nella sala antecedente ci sono i busti del<br />

botanico Ciro Pollini (1835), del naturalista Abramo Massalongo (1861), <strong>di</strong> Carlo Montanari e <strong>di</strong><br />

Angelo Messedaglia. Nella saletta antecedente vi è una lapide posta nel 1780 al cap. V. pod.<br />

Francesco Donato che ottenne per l’Accademia l’uso delle sale, <strong>di</strong> cui è ancora in possesso. Ai piè<br />

della scala è relegata la lapide che ricorda la visita <strong>di</strong> Francesco I d’Austria (1820). Chiude il cortile<br />

verso S. Anastasia un’elegante cancellata moderna imitata da quella delle arche scaligere<br />

(1874).” 110<br />

L’Accademia mantenne la sua sede all’interno della loggia fino al 1927, quando venne<br />

definitivamente trasferita presso il Museo <strong>di</strong> Storia Naturale a Palazzo Pompei, in lunga<strong>di</strong>ge Porta<br />

Vittoria. 111<br />

108 SANDRI, G., 1931, pp. 28.<br />

109 VANZETTI, C., 1989-1990, pp. 47-48.<br />

110 SIMEONI L., 1909, pp. 23-24.<br />

111 BRUGNOLI, P., 2001, p. 122.<br />

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V. L’OTTOCENTO.<br />

PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

Dopo quattro secoli <strong>di</strong> fedele soggezione alla Serenissima, l’1 giugno 1796 le truppe napoleoniche<br />

espugnarono e occuparono la città, che si vide costretta ad accettare a malincuore dapprima la<br />

dominazione francese (fino al 1814, nonostante dal 1801, in base al trattato <strong>di</strong> Luneville, la città<br />

venne <strong>di</strong>visa tra francesi e austriaci, con i primi in destra d’A<strong>di</strong>ge ed i secon<strong>di</strong> in sinistra) e<br />

successivamente quella austriaca (dal 1814 al 1866), per poi liberarsi da qualsiasi gioco entrando a<br />

far parte del Regno d’Italia nel 1866.<br />

Nel corso dei torbi<strong>di</strong> seguiti all’occupazione delle armate francesi, in città si registrarono numerose<br />

<strong>di</strong>struzioni <strong>di</strong> monumenti, statue, epigrafi commemorative o effigi che potessero ricordare la<br />

Repubblica <strong>di</strong> Venezia. Anche il palazzo fu oggetto <strong>di</strong> devastazioni, oltre che con il sopracitato<br />

saccheggio della cappella <strong>di</strong> San Sebastiano, con l’abbattimento del leone <strong>di</strong> S. Marco sul portale<br />

del Sanmicheli, la rimozione dell’iscrizione in lettere bronzee che su <strong>di</strong> esso campeggiava e lo<br />

scalpellamento <strong>di</strong> stemmi e lapi<strong>di</strong>. Inoltre, durante le giornate <strong>di</strong> rivolta popolare del 1797,<br />

conosciute come Pasque Veronesi, i cannoneggiamenti francesi provenienti da Castel S.Pietro,<br />

<strong>di</strong>strussero parte delle merlature me<strong>di</strong>evali che ne coronavano la facciata.<br />

Alle devastazioni francesi del primo periodo seguì un intenso programma <strong>di</strong> riconfigurazione<br />

urbanistica della città, che coinvolse anche il nostro palazzo.<br />

Nel 1810 infatti, il prefetto napoleonico Antonio Smancini, seguendo come spesso accade i gusti<br />

architettonici del tempo, orientati al neoclassicismo, decise <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare ra<strong>di</strong>calmente il palazzo,<br />

che comunque doveva presentarsi allora veramente fatiscente.<br />

Al termine dei lavori l’e<strong>di</strong>ficio perse qualsiasi connessione con il passato, se si esclude il portale<br />

sanmicheliano, evidenziando invece quelle caratteristiche <strong>di</strong> simmetria e chiarezza tipiche<br />

dell’architettura neoclassica (tav. 34).<br />

I lavori più sostanziali furono quelli condotti all’interno dell’e<strong>di</strong>ficio, che venne sud<strong>di</strong>viso in tre<br />

piani. si uniformò l’altezza dei solai degli ambienti scaligeri, già in parte rimodellati dagli interventi<br />

veneti, con la conseguente obliterazione <strong>di</strong> ogni antica o più recente decorazione, sia sulle pareti<br />

che sui soffitti lignei.<br />

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ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Il risultato dei lavori sull’esterno del palazzo, fu una facciata compatta, ottenuta murando la loggia<br />

dei rettori (aperta nel corso dei primi anni della dominazione veneziana) e costituita da un alto<br />

zoccolo a bugnato nel quale si aprivano simmetricamente al portale due porte a tutto sesto e<br />

quattro finestre rettangolari. I tre piani superiori erano scan<strong>di</strong>ti da tre or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> finestre<br />

rettangolari, l’ultimo delle quali privo <strong>di</strong> contorni. La breve cornice che precedentemente<br />

sosteneva la merlatura venne mantenuta e, a rinforzo illusivo, venne <strong>di</strong>pinta una grondaia. Su<br />

tutto venne data una consistente mano <strong>di</strong> intonaco, che andò a coprire stipiti, lapi<strong>di</strong> ecc. (tav. 35).<br />

È chiaro che interventi ra<strong>di</strong>cali <strong>di</strong> questo tipo si prestano, e si prestarono anche allora, ai <strong>di</strong>battiti e<br />

alle <strong>di</strong>scussioni <strong>di</strong> carattere tecnico e artistico <strong>di</strong> estimatori e detrattori. Tra i detrattori uno dei più<br />

accaniti fu il Pinali, che all’interno <strong>di</strong> una sua memoria segreta del 1834 molto interessante dal<br />

punto <strong>di</strong> vista storico e in alcuni passi anche <strong>di</strong>vertente, scrisse: “Ma della metamorfosi e<br />

dell’imbianchimento <strong>di</strong> questo palazzo […] non hanno parte veruna i Veronesi Magistrati. Fu quella<br />

una recente impresa <strong>di</strong> un prefetto Lombardo, intollerante dell’antico e tenerissimo dell’arte <strong>di</strong><br />

Como, però Veronesi le mani mercenarie, e vili che lo secondarono. Un loggiato esisteva<br />

inferiormente dall’un dei fianchi, d’una delle lodate Porte del Sanmicheli, occupato l’altro da un<br />

Tempietto col titolo <strong>di</strong> San Sebastiano. Era il loggiato ad uso dei Citta<strong>di</strong>ni, ivi congregati pria <strong>di</strong><br />

salire al vicino Palazzo così detto del Consiglio e scorgansi serbate in esso molte e molte effigiate<br />

memorie, e molte insegne <strong>di</strong> que’ Veronesi Patrizi, che servito avevano senza lucro la Patria.<br />

Memorie d’onore v’erano ancora <strong>di</strong> queste erette ai benemeriti Veneti Governatori; ed una ne<br />

rammento a Bernardo Bembo […] Voi scorgete ora, o Signori, la ben variata decorazione <strong>di</strong> questo<br />

Palazzo, e la rimarcano gli esteri osservatori, richiamati da tutte le apparenze ad attribuire la<br />

nuova fabbrica, anziché a Residenza <strong>di</strong> Governo, alla porta <strong>di</strong> una locanda”. Prosegue poi: “Ma il<br />

colmo del ri<strong>di</strong>colo architettonico vi brilla nell’estrema sua cornice o grondaja, che non è già rilevata<br />

e sporta siccome esser deve per propria funzione quella parte <strong>di</strong> ogni or<strong>di</strong>nato e<strong>di</strong>fizio, onde<br />

allontanarne dalle esterne mura le piogge, ma vi è finta dal pennello, e verticalmente sciorinata.<br />

Economico non più veduto <strong>di</strong>visamento, e proprio solo <strong>di</strong> quel riformatore de’ Veronesi antichi<br />

e<strong>di</strong>fizi, che insaziabile dell’uso <strong>di</strong> calce e d’imbiancamenti imbrattonne villanamente una porzione<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

della colonna quadra, l’ultima cioè d’angolo del Palazzo municipale (del qual son per <strong>di</strong>rvi più<br />

estesamente) per nulla valutando i fregi in marmo maestosamente scolpiti […].” 112<br />

Fatto sta che, nonostante le invettive <strong>di</strong> chi non apprezzò il risultato del restauro, il palazzo<br />

mantenne tale aspetto anche durante la successiva dominazione austriaca 113 , con un’unica<br />

mo<strong>di</strong>fica riguardante il portale del Sanmicheli, dove il leone <strong>di</strong> San Marco il 12 aprile 1814 venne<br />

sostituito con l’aquila imperiale austriaca, scolpita da Diomiro Cignaroli, 114 Nel 1866, in seguito<br />

all’entrata del Veneto e <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> nel Regno d’Italia, essa cedette il posto allo scudo sabaudo,<br />

affiancato nel 1922 dal fascio littorio. 115<br />

Il palazzo e il Regno d’Italia: Durante la dominazione austriaca, il palazzo non fu oggetto <strong>di</strong><br />

importanti lavori <strong>di</strong> restauro. Sarà soltanto dopo l’annessione del Veneto che si porrà, nel clima<br />

fervoroso <strong>di</strong> recupero della città me<strong>di</strong>evali e rinascimentale, il problema del suo ritorno agli antichi<br />

splendori 116 . Sono questi gli anni dei due gran<strong>di</strong> architetti Giacomo Franco, sostenitore del<br />

movimento neoromanico e neogotico e Camillo Boito, patrono <strong>di</strong> tutte le iniziative che si stavano<br />

portando avanti in Italia in questo settore. Ed in effetti mai nessuna epoca fu così prolifica <strong>di</strong><br />

restauri architettonici se si pensa che non esiste chiesa o palazzo pubblico della <strong>Verona</strong> <strong>di</strong> età<br />

comunale e scaligera sui quali non si sia intervenuto. In piazza Erbe, ad esempio, si mise mano alla<br />

Domus Mercatorum, all’antico palazzo del Comune e alla fontana nota col nome <strong>di</strong> Madonna<br />

<strong>Verona</strong>, in piazza dei Signori alle <strong>di</strong>more e alle se<strong>di</strong> delle magistrature scaligere (palazzo del<br />

Capitanio e il nostro palazzo), oltre che al cimitero delle Arche Scaligere e alla chiesetta <strong>di</strong> S. Maria<br />

Antica.<br />

Risale al 1871 l’acquisto, da parte dell’amministrazione provinciale, dell’intera proprietà del<br />

complesso, mentre già nel 1874 il pianterreno dell’ala verso le Arche Scaligere, corrispondente<br />

all’antica Loggia delle Colonne e murato fin dai primi anni della dominazione veneziana, venne<br />

abbandonato dagli uffici comunali che si trasferirono nella Gran Guar<strong>di</strong>a Nuova (Palazzo Barbieri)<br />

in piazza Bra e occupati dal nuovo ente (tav. 36-37-38-39).<br />

112 PINALI G., 1834, pp.16-19.<br />

113 Il palazzo in epoca austriaca fu la sede della Imperial Regia Delegazione <strong>Provincia</strong>le.<br />

114 BRUGNOLI, P., 2001, p.130.<br />

115 LENOTTI, T., 1954, p. 15.<br />

116 BRUGNOLI, P., 2001, p.132.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

Cominciarono subito dopo una serie <strong>di</strong> lavori, inerenti <strong>di</strong>verse aree del palazzo, che potremmo per<br />

maggior chiarezza <strong>di</strong>videre in due fasi.<br />

Una prima fase, circoscritta agli anni 1876 e 1885 e ben riassunta da una monografia del prefetto<br />

Sormani-Moretti, 117 interessò la loggia <strong>di</strong> Cansignorio, dotata <strong>di</strong> una scala d’accesso al piano<br />

superiore, l’area del cortile inferiore e l’esterno dell’ala su vicolo Cavalletto<br />

Da una relazione del 31 settembre 1877 del deputato provinciale Edoardo de Betta, appren<strong>di</strong>amo<br />

che il porticato terreno a sesto acuto della loggia <strong>di</strong> Cansignorio era stato appena riaperto e si<br />

stava allora <strong>di</strong>scutendo della riapertura anche della loggia stessa (tav. 40). 118<br />

Nemmeno un mese più tar<strong>di</strong>, il 27 ottobre 1877, la Commissione Conservatrice dei Monumenti<br />

d’Arte e d’Antichità, riguardo al restauro del loggiato superiore, asseriva che “incominciati i lavori<br />

nel Palazzo prefettizio, e aperte due delle arcate, si trovarono affreschi che furono giu<strong>di</strong>cati<br />

pregevoli: per cui la commissione degli ingegneri incaricati della <strong>di</strong>rezione dei lavori, intendendo a<br />

conservarli, propone alcune mo<strong>di</strong>ficazioni al progetto primitivo, in seguito alle quali il muro, che<br />

deve chiudere l’arcata, si alzerebbe sopra una risega interna lasciando allo scoperto l’arcata<br />

stessa.” 119 Dopo un lungo <strong>di</strong>battito sulla miglior soluzione da adottare il 28 marzo 1878 si decise <strong>di</strong><br />

metter da parte le variazioni e <strong>di</strong> approvare il progetto iniziale <strong>di</strong> ripristino, con la liberazione <strong>di</strong><br />

tutte le arcate, che furono dotate <strong>di</strong> vetrate e la sud<strong>di</strong>visione dello spazio interno in ambienti<br />

destinati ad uffici. Infine il restauro dei <strong>di</strong>pinti nei sottarchi della loggia superiore venne affidato al<br />

pittore Pietro Nanin, il quale completò “tutta la parte ornamentale ed omettendo qualsiasi<br />

aggiunta alle parti <strong>di</strong> figure guaste, e dove queste manchino del tutto sostituendo unicamente le<br />

tinte <strong>di</strong> fondo.”<br />

117 SORMANI-MORETTI L., 1904, III, p. 232: “Non appena nel 1871, l’Amministrazione provinciale […]<br />

l’acquistò ed il Municipio, nel 1874, ne abbandonò il piano terreno per andare a installarsi in palazzo<br />

Barbieri: 1. Si riattò l’ala del cortile ed elevato portico in sesto acuto e superiore loggia ad arcate mettendo<br />

queste a finestra e quella <strong>di</strong>videndo in camere per uffici; 2) si alzò una conveniente cancellata <strong>di</strong> chiusura<br />

verso il corso S. Anastasia ed al prospiciente porticato con sovrapposto loggiato chiuso da invetriata, <strong>di</strong>edesi<br />

in alto il finimento d’un doppio rango <strong>di</strong> finestre arcuate con tettoia me<strong>di</strong>ana da canto alla torre d’angolo in<br />

parte rimerlata; 3) si eresse il suaccennato nuovo scalone sopra <strong>di</strong>segno dell’architetto Giacomo Franco<br />

riattando in pari tempo la corrispondente fronte verso il cortile interno a triplice or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> larghe finestre<br />

arcuate, e si adattò il piano nobile ad alloggio del regio prefetto. Più tar<strong>di</strong> provvedendo a migliori como<strong>di</strong> e<br />

più conveniente <strong>di</strong>stribuzione degli Uffici interni, venne rifatta la fronte verso vicolo Cavalletto sull’antiche<br />

rimastevi tracce poi che era sconveniente […] non solo ma statisticamente pericolosa.”<br />

118 ACP ad annum, pp. 323-328..<br />

119 ACC ad annum, p. 11.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

Sul se<strong>di</strong>me dell’antica cappella <strong>di</strong> San Sebastiano l’architetto Giovanni Franco fu incaricato <strong>di</strong><br />

costruire una nuova scala composta da sei rampe <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci gra<strong>di</strong>ni ciascuna, tuttora esistente, che<br />

porta agli appartamenti privati del prefetto. 120<br />

Contemporaneamente si intervenne sull’e<strong>di</strong>ficio romanico prospiciente il cortile interno, lato<br />

loggia <strong>di</strong> Cansignorio, con l’apertura del triplice or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> finestroni arcuati. L’interno venne<br />

anch’esso riattato in modo tale da poter ospitare gli alloggi del prefetto (tav. 41).<br />

L’ala cinquescentesca contrapposta alla loggia <strong>di</strong> Cansignorio, in questo periodo sede<br />

dell’Accademia <strong>di</strong> Agricoltura, ricevette interventi <strong>di</strong> consolidamento statico. La facciata esterna<br />

(su vicolo Cavalletto) <strong>di</strong> questa struttura risalente al XVI sec., venne invece inspiegabilmente<br />

riconfigurata in maniera pseudo-romanica, con una forzata alternanza <strong>di</strong> mattoni in cotto e tufo,<br />

tipica dell’architettura romanica veronese (tav. 42).<br />

La seconda campagna <strong>di</strong> lavori, che ebbe inizio nel 1885 e si concluse nel 1902, ebbe come<br />

obiettivo il restauro della ormai fatiscente e scrostata facciata su piazza dei Signori, snaturata dal<br />

ra<strong>di</strong>cale progetto <strong>di</strong> restauro del prefetto Smancini, che aveva nascosto, se non ad<strong>di</strong>rittura<br />

<strong>di</strong>strutto, le tracce ancora visibili del suo glorioso passato.<br />

Anche in seguito alla <strong>di</strong>ffusione delle moderne teorie in materia <strong>di</strong> restauro, volte principalmente<br />

alla veri<strong>di</strong>cità e alla conservazione del bene artistico, a partire dal 1888, prese piede un intenso<br />

<strong>di</strong>battito <strong>di</strong> carattere metodologico tra istituzioni ed esperti, che vide tra i suoi protagonisti un<br />

personaggio <strong>di</strong> spicco della cultura citta<strong>di</strong>na, come l’ingegnere Giuseppe Manganotti e il prefetto<br />

Sormani-Moretti, e <strong>di</strong> fama nazionale, come l’architetto Camillo Boito.<br />

Le fasi della <strong>di</strong>scussione possono essere così sintetizzate. Dopo un primo sopralluogo da parte<br />

dell’Ufficio Tecnico <strong>Provincia</strong>le, si decise <strong>di</strong> interpellare per un sopraluogo, dapprima l’ingegner<br />

Manganotti ( 2 giugno 1887) e successivamente l’architetto Boito (21 luglio 1887), il quale, dopo<br />

avere ottenuto la completa martellatura e liberazione della parete dallo strato <strong>di</strong> intonaco<br />

(tav.35), in data 17 maggio 1888 scrisse una relazione in cui proponeva due progetti <strong>di</strong>fferenti,<br />

uno più costoso, mirato alla valorizzazione delle fabbriche scaligere e veneziane, l’altro, più<br />

economico, classicheggiante e complementare al precedente restauro del prefetto Smancini.<br />

Questo il testo inerente il primo progetto: “Può e vuole la <strong>Provincia</strong> spendere ora per la facciata<br />

del nuovo palazzo una somma abbastanza rilevante e sottomettere a qualsiasi fasti<strong>di</strong>o alcuni dei<br />

120 SCOLA GAGLIARDI, R., 1989, pp. 62-63.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

suoi uffici e l’appartamento dell’. On. Sig. Prefetto? Vuole invece la <strong>Provincia</strong> spendere una somma<br />

piuttosto ristretta, e non sopportare né procurare nessun <strong>di</strong>sagio? Nel primo caso ecco il progetto:<br />

mantenere scrupolosamente al loro posto e riaprire, rifacendo piedritti ed archi, le aperture<br />

antiche così del piano terreno come del primo e del secondo piano giusta le leggi del buon<br />

restauro. Aprire nell’altra metà della facciata delle finsetre euritmiche nella identica forma delle<br />

antiche segnando in una dei conci <strong>di</strong> ciascuna <strong>di</strong> quelle l’anno del rifacimento.conservare sul<br />

portone del Sanmicheli le due finestre adesso esistenti per non <strong>di</strong>struggere ogni memoria della<br />

facciata moderna e per dare luce al locale sovrastante all’an<strong>di</strong>to d’ingresso, le quali due finestre<br />

non potrebbero venire abbassate per causa del timpano del cornicione della porta. Serbare i fori<br />

del terzo piano quali ora stanno, oppure trovar loro una forma, che, scostandosi meno dallo stile<br />

Scaligero, non inganni simulando una bugiarda antichità, l’occhio della persona intelligente. Rifare<br />

le merlature, deducendone il <strong>di</strong>segno dalle tracce antiche, dai merli superstiti del palazzo, da vecchi<br />

<strong>di</strong>pinti, da altri documenti.” Affrontando poi l’aspetto statico - strutturale e dell’incomodo causato<br />

dai lavori scriveva: “ così il progetto, mentre si uniformerebbe alle ragioni archeologiche,<br />

riuscirebbe nobile e regolare e degno del palazzo provinciale; né gli inconvenienti né i <strong>di</strong>sturbi, cui<br />

bisognerebbe sottostare, sarebbero tanto gravi quanto paiono a primo tratto. Non sarebbe<br />

necessario toccare né i solai né i soffitti: i davanzali delle antiche finestre stanno ancora sopra i<br />

pavimenti, e basterebbe a riparo un basso parapetto che si confondesse con il serramento<br />

dell’invetriata. Nel secondo piano, il piano principale, le antiche finestre salgono con l’arco<br />

all’altezza delle finestre moderne; nel primo piano stanno con la loro serraglia circa novanta<br />

centimetri più giù. Invece <strong>di</strong> otto finsetre per piano, ce ne sarebbero sei nel primo, cinque nel<br />

secondo, ma le finestre antiche sono molto più larghe delle finestre moderne. Nessun locale<br />

resterebbe oscuro, nessun muro maestro si dovrebbe toccare. Insomma considerando il progetto<br />

con calma, si riconosce che il primo piano terreno ed il secondo piano non iscapiterebbero affatto e<br />

il primo piano scapiterebbe <strong>di</strong> poco.” 121<br />

Il secondo progetto invece, “quello in cui la <strong>Provincia</strong> voglia cavarsela con un <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o molto<br />

misurato e senza impacci <strong>di</strong> sorta nell’interno dei locali, il progetto è più semplice anzi è per<br />

l’appunto che fu già messo innanzi sotto varie forme dall’Ufficio Tecnico <strong>Provincia</strong>le. Compiere la<br />

facciata moderna con un cornicione il quale in grazia del suo stile classico, tanto potrà esprimere<br />

121 AVENA, A., 1931, pp. 45-46.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

l’arte nostra contemporanea, quanto acconciarsi a quella <strong>di</strong> ottanta anni fa senza <strong>di</strong>s<strong>di</strong>re alla porta<br />

del Sanmicheli. Riattare le sagome delle finestre ove ne avessero bisogni e intonacare a nuovo, con<br />

una tinta bene intonata tutto quanto il muro <strong>di</strong> prospetto.” 122 Al termine dell’enunciazione delle<br />

due ipotesi <strong>di</strong> restauro concludeva <strong>di</strong>cendo: “ se terminassi qui, non mi sembrerebbe tuttavia <strong>di</strong><br />

aver adempiuto intieramente all’incarico ricevuto dalla S.V. Ill. e dall’On. Deputazione <strong>Provincia</strong>le.<br />

Io devo esprimere con maggiore precisione e risoluzione il mio parere. Ho più volte chiesto a me<br />

stesso che cosa farei e come voterei in questa faccenda, se avessi l’onore <strong>di</strong> essere deputato<br />

provinciale o membro del Consiglio. Ecco: mi appiglierei al primo <strong>di</strong> questi due ultimi progetti da<br />

me in<strong>di</strong>cati: quello del restauro scrupoloso per la parte antica e modesto per la parte nuova.” 123<br />

Dalla relazione traspare chiaramente la pre<strong>di</strong>lezione del Boito per il primo progetto, che tuttavia<br />

non fu né approvato, né tanto meno scartato, la <strong>di</strong>scussione semplicemente proseguì e l’architetto<br />

fu lasciato in <strong>di</strong>sparte. In una relazione del 23 marzo 1889 l’ingegner Manganotii proponeva un<br />

intervento praticamente identico a quello suggerito dal Boito, che però “rinunziava alla porta del<br />

Sanmicheli per l’inesorabile necessità dello spazio e per quelle stesse ragioni estetiche che avevano<br />

esercitato tanta influenza anche sul Boito.” 124 La Commissione <strong>Provincia</strong>le dei Monumenti approvò<br />

questa proposta <strong>di</strong> restauro “in stile scaligero” senza il portale del Sanmicheli, ma a causa <strong>di</strong><br />

mancanza dei fon<strong>di</strong> necessari non se ne fece nulla. Passarono altri anni, nel corso dei quali furono<br />

avanzate altre proposte, come quella dell’ingegnere veronese Arvedo Arve<strong>di</strong>, il quale nel 1894<br />

propose <strong>di</strong> mantenere il portale, risistemare i cornicioni delle finestre del terzo piano e <strong>di</strong> ridare<br />

malta e tinta. Tale progetto, approvato dal Consiglio <strong>Provincia</strong>le, venne però bocciato dal il<br />

prefetto Sormani-Moretti, allora presidente della Commissione dei Monumenti, il quale si oppose<br />

definendolo “un ripiego meschino e pitocco che si voleva far passare col nome <strong>di</strong> Boito mentre<br />

equivaleva a fraintendere Boito”, aggiungendo inoltre “che se proprio per povertà non si può<br />

spendere la non grande somma occorrente per un restauro che conferma l’antico, almeno non si<br />

voglia imitare […]: non si <strong>di</strong>struggano i merli, per buona sorte ancora visibili nelle connessure;<br />

poiché a tanto si arriverebbe colla costruzione <strong>di</strong> un nuovo cornicione. Si conservi la facciata com’è:<br />

si risparmieranno cos’ anche le spese dell’imbiancatura e delle nuove superfetazioni e si riman<strong>di</strong><br />

ogni progetto a tempi migliori; non si voglia commettere la bruttura <strong>di</strong> rifare la comunissima casa<br />

122 AVENA, A., 1931, p. 46.<br />

123 AVENA, A., 1931, p. 47.<br />

124 Ibidem.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

o meglio la locanda del Prefetto Smancini.” Così il 21 settembre del 1894 il prefetto chiese e<br />

ottenne dal Ministero della Pubblica Istruzione il decreto che vietava l’intonacatura e<br />

manomissione dei muri e la costruzione <strong>di</strong> un cornicione aggettante. 125<br />

Nel 1900 infine, l’Ufficio Tecnico <strong>Provincia</strong>le, memore del rifiuto apposto sei anni prima alla<br />

propria proposta <strong>di</strong> progetto, lo ripropose tale e quale, stanziando una somma <strong>di</strong> 50.000 lire. Si<br />

prevedeva pertanto <strong>di</strong> sistemare la facciata stuccando la muratura a cotto, lasciando in evidenza le<br />

tracce del fabbricato scaligero e concludendo tutto sotto un cornicione neoclassico fatto a<br />

imitazione <strong>di</strong> quello del Sanmicheli sul suo portale. Il 22 gennaio del 1901 la Commissione delle<br />

Belle Arti “pur notando la <strong>di</strong>sarmonica unione <strong>di</strong> un paramento a cotto con fori e sagomature<br />

classiche, e consigliando <strong>di</strong> levare lo stemma reale dal portale sanmicheliano e <strong>di</strong> non intaccare<br />

menomamente col cornicione la pretesa merlatura.” Seguì poi la conferma dell’ufficio regionale<br />

dei Monumenti e della Giunta superiore delle Belle Arti. Al termine dei lavori, che si conclusero<br />

alla fine del <strong>di</strong>cembre del 1902, la Commissione E<strong>di</strong>lizia, non a torto, giu<strong>di</strong>cava che il restauro<br />

“non sod<strong>di</strong>sfaceva né in linea storica […] né in linea estetica […]” 126 e l’arguzia veronese <strong>di</strong>ede<br />

all’e<strong>di</strong>ficio l’appellativo <strong>di</strong> “palazzo tacon.” 127 (tav. 43-44).<br />

125 BRUGNOLI, P., 2001, pp. 152-153.<br />

126 AVENA, A., 1931, p. 49.<br />

127 Tacon in <strong>di</strong>aletto veronese significa rappezzato, rammendato, tamponato provisoriamente.<br />

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VI. IL NOVECENTO.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

Fu solo con l’avvento del Regime Fascista che tornò a porsi il problema <strong>di</strong> un ra<strong>di</strong>cale assetto del<br />

palazzo. In questo periodo il preside della <strong>Provincia</strong>, Luigi Messedaglia, decise <strong>di</strong> intervenire<br />

organicamente sul palazzo in occasione del sesto centenario della morte <strong>di</strong> Cangrande della Scala (<br />

+1329), inaugurando nel 1928 i lavori <strong>di</strong> restauro che si conclusero dopo soli due anni, il 28<br />

ottobre 1930.<br />

A stu<strong>di</strong>are un nuovo progetto furono chiamati Antonio Avena, storico dell’arte e <strong>di</strong>rettore dei<br />

Museo Civico <strong>di</strong> Castelvecchio, in qualità <strong>di</strong> <strong>di</strong>rettore artistico, e Pietro Giacobbi, ingegnere<br />

dell’ufficio tecnico della <strong>Provincia</strong>.<br />

Una prima fase <strong>di</strong> interventi è da circoscrivere al 1927, anno in cui si intervenne sul portale del<br />

Sanmicheli e sull’arco detto “della tortura”.<br />

Il portale cinquecentesco del Sanmicheli, che fortunatamente non era stato obliterato dagli<br />

interventi <strong>di</strong> fine Ottocento, venne liberato dalla due goffe statue aggiunte in alto ai lati del<br />

portone sul finire del XVIII sec., fu nuovamente ornato con il leone <strong>di</strong> S. Marco, opera dello<br />

scultore Colbertardo. Venne poi ricollocata in situ l’iscrizione in lettere bronzee (M. D. IOANNE.<br />

DELPHINO. LAV. F. PRAETORE . XXX. III.) strappata durante i torbi<strong>di</strong> seguiti alle Pasque Veronesi<br />

(1797) (tav. 28).<br />

L’ “arco della Tortura”, così chiamato perché nel XVI sec. vi si appendevano la corda e gli altri<br />

strumenti <strong>di</strong> tortura, già anticamente fungeva da collegamento aereo tra il palazzo della <strong>Provincia</strong><br />

e il palazzo del Tribunale. In epoca veneziana, probabilmente nel corso del XVIII sec., su <strong>di</strong> esso<br />

venne alzato un piano abitativo e un secondo fu aggiunto dal prefetto napoleonico Smancini, nel<br />

1812 (tav. 45-46). L’abbattimento delle sopracostruzioni portò alla luce due gran<strong>di</strong> finestre<br />

scaligere del piano nobile, sopra <strong>di</strong> esse la cornice <strong>di</strong> gronda e infine la merlatura (tav. 47).<br />

I veri e propri lavori <strong>di</strong> restauro sul palazzo cominciarono l’anno seguente, il 4 marzo 1929, e<br />

partirono dalla torre angolare tra vicolo Cavalletto e via S. Maria Antica, cioè dalla parte più antica<br />

del complesso. Antonio Avena, <strong>di</strong>rettore artistico dei lavori così scriveva: “Il nucleo più antico del<br />

palazzo prospettava su vicolo Cavalletto con una fronte che, alcuni decenni fa, fu restaurata<br />

<strong>di</strong>sgraziatamente. Le tracce più belle <strong>di</strong> decorazione architettonica e figurata si sono trovate su<br />

quest’ala del fabbricato (tav. 48). Quest’ala era ed è angolata da una casa – torre tra vicolo<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

Cavalletto e via S. Maria Antica, che nella struttura del bugnato e dei muri richiama alla memoria<br />

le altre torri scaligere. Da questa torre cominciò il restauro (tav. 49). Sul prospetto <strong>di</strong> S. Maria<br />

Antica, a <strong>di</strong>eci metri dall’angolo, si vedeva e si vede, nel muro uno stacco o taglio netto da terra<br />

alla sommità. La torre era stata mozzata, ma tar<strong>di</strong>, perché nel XVIII sec. aveva ancora l’intero<br />

ultimo piano e la merlatura (tav. 31, a) e con essa fu mozzata l’antitorre, cioè il corpo laterale che<br />

si era aggiunto anticamente per costituire due locali ad ogni ripiano. Gli elementi architettonici <strong>di</strong><br />

questa torre sono stati ritrovati talvolta in superficie, talvolta in profon<strong>di</strong>tà (tav. 50-51); e le<br />

finestre celavano ancora nella decorazione negli sguanci la decorazione; le mensole del poggiolo<br />

angolare sono apparse spezzate sotto il paramento dei mattoni, anche all’ultimo piano,<br />

sussistevano tuttavia i monconi degli stipiti delle finestre e ne fu facile l’integrazione, dato il<br />

rapporto quasi costante tenuto dall’architettura scaligera. Il ripristino ci ha rivelato la storia intima<br />

<strong>di</strong> questa torre. Vi leggiamo espressi i due tempi della sua costruzione, sincroni a due tappe della<br />

famiglia scaligera: il nucleo inferiore sull’angolo sino al poggiolo del secondo piano risale al sec. XIII<br />

e segna gli inizi della <strong>di</strong>fficile ascesa scaligera; invece le gran<strong>di</strong> finestre degli altri piani e del corpo<br />

aggiunto suscitano il ricordo del fastoso Cangrande.” Parla poi anche degli spazi all’interno della<br />

torre: “La torre angolare […] ci ha serbato le sorprese più gra<strong>di</strong>te: saloni vasti e alti, con finestre<br />

varie <strong>di</strong> forma, <strong>di</strong>mensione e sito, dai soliti archetti <strong>di</strong> scarico, sguanci decorati, ora obliqui ora<br />

<strong>di</strong>ritti e spesso l’uno <strong>di</strong>ritto e l’altro obliquo, scale alla castellana. I soffitti, ancora a posto, li<br />

abbiamo trovati ormai decrepiti, purtroppo; i camini demoliti; ma sui muri sgretolati si stendeva<br />

ancora la decorazione a gran<strong>di</strong> tratti, vivace <strong>di</strong> colore, fantasiosa d’invenzione (tav. 35-37). Al<br />

primo piano sono apparse tracce della decorazione trecentesca soltanto negli sguanci delle finestre<br />

e della porta; sulle pareti nel sec. XVI sec. fu sostituita una decorazione del rinascimento che nel<br />

fregio chiudeva dentro ton<strong>di</strong> il Leone <strong>di</strong> San Marco. Al secondo piano, sulle pareti delle due stanze<br />

sono <strong>di</strong>pinti dei gran<strong>di</strong> ton<strong>di</strong>, dentro i quali giocano o stelle o cerchi variopinti (tav. 52). E questi<br />

ton<strong>di</strong> sembrano <strong>di</strong>sseminati capricciosamente, e nella sala maggiore sono legati da un fastoso<br />

fregio e da un grazioso motivo geometrico. Questa decorazione a ton<strong>di</strong> è predominante. La<br />

ritroviamo <strong>di</strong>sfrenare tutto il suo capriccio, un poco pirotecnico, anche nei due locali al terzo piano<br />

(tav. 53). qualche fascia gira tutto intorno, e una reca <strong>di</strong>pinta l’iscrizione: AGOSTINUS CENDRA FU<br />

PRES. Chi sia stato Agostino Cedrata non risulta dai documenti; certo è che egli fu prigioniero in<br />

questa porre e molti altri vi furono prima e dopo <strong>di</strong> lui. Le pareti sono incise da grafiti <strong>di</strong> prigionieri<br />

che segnavano col nome spesso anche la pena.”<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Si proseguì poi su quella che originariamente era la fronte del palazzo, su via S. Maria Antica (tav.<br />

54-55). Avena così documentava ciò che c’era prima dei lavori e ciò che i lavori andarono a<br />

mo<strong>di</strong>ficare: “all’inizio del sec. XIV Cangrande costruì sulla piazzetta della chiesa la fronte del suo<br />

nuovo palazzo, appoggiandosi alla torre ampliata e sovralzata. L’e<strong>di</strong>ficio doveva essere a due piani<br />

, luminoso e sicuro come il dominio <strong>di</strong> quel principe dantesco. Ma l’abiezione in cui poi cadde, non<br />

suscitava più l’immagine delle “magnificenze” scaligere; il portone era stato murato e ferito da una<br />

vasta finestra rettangolare (tav. 56), la merlatura demolita forse per agevolare lo spiovere delle<br />

acque; erano state inserite piccole finestre dentro le originali arcuate, qualcuna azzoppandola,<br />

qualche altra chiudendola, e in compenso a pianterreno e al terzo piano si erano aperte le teorie<br />

delle finestre per dar luce ai locali ricavati negli spazi degli altri. N’era uscito un e<strong>di</strong>ficio sor<strong>di</strong>do e<br />

piatto che, piegando con la sua linea <strong>di</strong> gronda sopra l’arcone della tortura, chiudeva dentro un<br />

giro grigio <strong>di</strong> case la filigrana delle Arche (tav. 57).” Riguardo l’opera <strong>di</strong> ripristino: “ il restauro ha<br />

ridato al palazzo la sua pristina e agile pittoricità; la riapertura del portone ha restituito la giusta<br />

orientazione, la chiusura delle finestre al pianterreno e al terzo piano ha ricostituito la forte massa<br />

alla base e al fastigio. Due sole finestre arciacute sono state lasciate sotto la cornice <strong>di</strong> gronda<br />

perché, pur essendo posteriori, sono l’in<strong>di</strong>ce, elegante per giunta, della prima trasformazione<br />

dell’e<strong>di</strong>ficio. Al primo piano sono state conservate le due finestre gotico-veneziane inserite dal<br />

podestà Contarini nel 1478 (tav. 22). Testimoniano un’epoca <strong>di</strong> serenità nella nostra storia, ed<br />

essendo centrali, svariano la serie delle finestre e l’arricchiscono <strong>di</strong> una nota fastosa. Della<br />

merlatura furono trovati i tronconi e riscontrate le misure degli scomparti. La facciata ora ha una<br />

mole trecentesca ferrigna, saldamente angolata dalla torre, poderosa per vastità, ariosa <strong>di</strong> finestre<br />

che la incidono come una pagina musicale, asimmetriche, <strong>di</strong> varia proporzione (tav. 58)”<br />

La fase successiva dei lavori interessò la facciata prospiciente piazza dei Signori, anch’essa più<br />

volte rimaneggiata, per non <strong>di</strong>re snaturata, nel corso della lunga storia del palazzo. Ho già detto<br />

che inizialmente, durante la Signoria <strong>di</strong> Cangrande, l’ingresso era situato <strong>di</strong> fronte alle Arche<br />

scaligere, mentre sulla piazza si snodava un corpo <strong>di</strong> fabbrica lungo 12 m. (tav. 5), che in un<br />

momento imprecisato, quasi certamente in età scaligera, venne prolungato andando ad inglobare<br />

anche un fabbricato con loggiato terreno, dal quale era separato da uno stretto vicolo. Nel corso<br />

della dominazione veneziana, fu aperto un grande portale, che <strong>di</strong>venne l’ingresso principale del<br />

palazzo. Nel 1416 la facciata fu poi impreziosita con una loggia terrena che dalla piazza svolta su<br />

via S. Maria Antica, mentre sull’altro lato, per amor <strong>di</strong> simmetria, si crearono tre altri archi cechi.<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Nel 1553 il Sanmciheli venne incaricato <strong>di</strong> monumentalizzare l’ingresso con un portale <strong>di</strong> stile<br />

neoclassico, simile per struttura agli archi trionfali romani. Seguì poi nel corso <strong>di</strong> Sei e Settecento,<br />

un periodo <strong>di</strong> incuria o <strong>di</strong> interventi spora<strong>di</strong>ci (tav. 31, a,b), <strong>di</strong> emergenza, soprattutto all’interno<br />

del palazzo più, fino ad arrivare alla caduta della Serenissima e ai lavori condotti dal prefetto<br />

napoleonico Smancini nel 1810 (tav. 34). Tali lavori andarono a mutare profondamente la<br />

precedente fisionomia della facciata, che acquisì un aspetto neoclassico, con la chiusura della<br />

loggia terrena e delle tre arcate cieche speculari (al cui posto vennero aperte due finestre e una<br />

porta, a sinistra e a destra del portale) e la creazione artificiosa e simmetrica <strong>di</strong> tre or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong><br />

finestre, otto per piano. Il tutto ricoperto da un fitto strato <strong>di</strong> intonaco. Infine, i lavori condotti tra<br />

1885 e 1902 ebbero come risultato lo scrostamento dell’intonaco al fine <strong>di</strong> reperire qualche<br />

traccia della facciata me<strong>di</strong>evale (si vedevano ora i profili delle tre arcate della loggia e delle altre<br />

tre arcate cieche), e la creazione <strong>di</strong> un cornicione con grondaia, incomprensibilmente omesso dai<br />

precedenti lavori (tav. 43).<br />

Data la complessità degli interventi effettuati nel corso dei secoli, i responsabili dei lavori, al fine <strong>di</strong><br />

condurre un restauro il più possibile verosimile e storicamente atten<strong>di</strong>bile, dovettero de<strong>di</strong>carsi al<br />

reperimento <strong>di</strong> fonti storiche scritte, ma anche <strong>di</strong> documenti visivi delle varie epoche, che<br />

permettessero una verosimile riconfigurazione storica del palazzo. Molto utili in questo caso<br />

furono alcuni <strong>di</strong>pinti, in particolare Cinquecenteschi, e alcune stampe, con soggetto il palazzo.<br />

Il primo a raffigurare tale soggetto fu Nicolò Golfino (1476-1555), il quale, incaricato <strong>di</strong><br />

rappresentare il martirio <strong>di</strong> S. Agata, immaginò che la Santa attraversasse nuda la piazza dei<br />

Signori per essere poi condotta nel palazzo de Comune (tav. 59). Nel <strong>di</strong>pinto si vede da un lato la<br />

Loggia del Consiglio, da poco e<strong>di</strong>ficata (fine del Quattrocento), dall’altro il palazzo del Capitanio,<br />

ora del Tribunale, e sullo sfondo il palazzo del Podestà, che fin da allora aveva subito alcune<br />

mo<strong>di</strong>fiche. Ancora privo del portale del Sanmicheli, si nota che le tre arcate cieche erano già<br />

scomparse ed al loro posto c’erano due finestrine rettangolari, forse destinate ad illuminare la<br />

Cappella interna <strong>di</strong> S. Sebastiano, mentre la loggia terrena risultava essere riparata da una<br />

balaustra. Nonostante manchi una qualsiasi in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> un terzo piano e tutta la composizione<br />

appaia eseguita con una certa libertà pittorica, tale documento fu molto prezioso e permise <strong>di</strong><br />

ipotizzare quale fosse la fisionomia del palazzo al termine del primo secolo <strong>di</strong> dominazione<br />

veneziana. La facciata è raffigurata quasi identica in un'altra interessante opera del Giolfino, da<br />

poco emersa dal mercato antiquario lon<strong>di</strong>nese, il sacrificio <strong>di</strong> Muzio Scevola (tav. 60), A <strong>di</strong>fferenza<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

del martirio <strong>di</strong> S. Agata, qui viene omessa la merlatura mentre l’arco “della tortura” è dotato <strong>di</strong><br />

una balaustra, che effettivamente doveva avere.<br />

Dopo il Giolfino nessuna altro pittore ha riprodotto il palazzo del Podestà così compiutamente. Nel<br />

1543 Francesco Torbido, nel ritratto del conte Giusti, riprodusse tutta la fronte del palazzo dl<br />

Capitano e l’arcone e l’angolo del palazzo del Podestà, con un’arcata della loggia terrena ed il<br />

poggiolo del primo piano (tav. 61). L’anno successivo, il 1544, Antonio Ba<strong>di</strong>le, <strong>di</strong>pingendo per la<br />

chiesetta <strong>di</strong> S. Spirito una Vergine in trono con i S.S. Pietro e Andrea (tav. 62), usò lo stesso scorcio,<br />

ma fortunatamente l’angolo del palazzo è riprodotto fino ai merli. Sante Creara, verso la fine del<br />

XVI sec. nella Consegna delle chiavi <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> a G. Emo, ora conservato presso la Loggia del<br />

Consiglio, <strong>di</strong>pinse lo stesso angolo con gli stessi elementi, ovviamente con qualche piccola<br />

variazione. La stessa veduta, seppur senza alcuna precisione o in<strong>di</strong>zio utile dal punto <strong>di</strong> vista<br />

architettonico, venne ripresa verso la metà del Cinquecento anche da Paolo Caliari, detto il<br />

Veronese, in una teletta intitolata Ester condotta ad Assuero (tav. 63). Due piccole stampe della<br />

seconda metà del XVIII sec., già viste precedentemente, riproducono tutta la piazza, compreso,<br />

sullo sfondo, il palazzo del Podestà. In queste, al pianterreno, alla sinistra del portale del<br />

Sanmicheli, si nota una porticina, probabilmente appartenente alla cappella <strong>di</strong> San Sebastiano,<br />

mentre a destra è ancora aperto il loggiato terreno, sopra al quale corrono due poggioli, l’uno con<br />

tre finestre arcuate, l’altro con una sola finestra e una porticina quadrangolare. Interessante<br />

notare inoltre che dal poggiolo superiore, una breve rampa <strong>di</strong> scale saliva verso l’arcone “della<br />

tortura” che appare rialzato da una sopracostruzione e comunica, con il palazzo del Capitano.<br />

Analizzando le incisioni l’Avena aggiunge inoltre che “molte finestre sono aperte nel muro<br />

capricciosamente, senza simmetria. Numerose sono le alterazioni nei tre piani e non le credo<br />

dovute al capriccio dell’incisore perché nella riproduzione degli altri prospetti egli è abbastanza<br />

preciso. Il palazzo era dunque ridotto ad avere una caotica <strong>di</strong>stribuzione degli elementi<br />

architettonici.” 128<br />

In realtà, il restauro novecentesco della facciata, nonostante le in<strong>di</strong>cazioni iconografiche, fu<br />

abbastanza arbitrario. Più che mai qui, ma anche in altre parti del palazzo, si optò infatti per un<br />

rifacimento “in stile” con i criteri che pochi anni prima erano stati adottati dallo stesso Avena<br />

anche per la ricostruzione <strong>di</strong> Castelvecchio. Così Alberto Grimol<strong>di</strong> ne scriveva: “Le fotografie<br />

128 AVENA, A., 1931, p. 43.<br />

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ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

precedenti l’intervento e la relazione dell’ingegner Giacobbi, il progettista dei veri e propri lavori<br />

e<strong>di</strong>li, chiariscono meglio in cosa consista l’originalità <strong>di</strong> Antonio Avena. Il palazzo viene sventrato ,<br />

secondo una prassi perfezionata ed estesa nel secondo dopoguerra, i solai lignei vengono sostituiti<br />

con una or<strong>di</strong>tura metallica ancorata a grossi pilastri in muratura <strong>di</strong>sposti lungo i muri perimetrali e<br />

i muri <strong>di</strong> spina conservati, e su questi, come nell’e<strong>di</strong>lizia residenziale del tardo Ottocento, viene<br />

montata un’or<strong>di</strong>tura lignea, decorata e ricoperta dai resti degli antichi solai. Degli intonaci<br />

sopravvivono i soli lacerti con affreschi me<strong>di</strong>oevali e, in misura minore, cinquecenteschi. L’impiego<br />

<strong>di</strong> pezzi estirpati, o semplicemente acquisiti in altri luoghi <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, la vera da pozzo <strong>di</strong> palazzo<br />

Paletta, lo stemma scaligero offerto dai Giusti, confermano che è stato perseguito un effetto<br />

meramente scenografico, che si è voluto ricomporre in unità ciò che nel secolo precedente si<br />

sarebbe accettato, obtorto collo, come frammentario. Allora però i lacerti sarebbero stati<br />

ricomposti on e<strong>di</strong>ficio, con grande, anche se <strong>di</strong>scutibile rigore tecnico costruttivo e non<br />

semplicemente appoggiati ad una <strong>di</strong>versa costruzione.” 129<br />

Come si evince dal testo, i commenti dei contemporanei sul risultato del restauro, non furono<br />

sempre lusinghieri. Per questo Avena, una volta terminati i lavori, per documentare il proprio<br />

operato e motivare le scelte fatte scriveva: “Occorreva togliere alla fronte i piazza dei Signori<br />

l’aspetto piagato; perciò primamente furono rimesse in funzione le architetture originali venute in<br />

luce, cioè le arcate della loggia veneta con la loro massa d’ombra, le balconate del primo e del<br />

secondo piano, le arcate cieche a sinistra; poi fu segnata la linea <strong>di</strong> gronda a limite delle case<br />

aggiunte e sopra si fece correre la merlatura ricostruendola sul modello <strong>di</strong> quella esistente nel<br />

fabbricato contiguo; infine, per corrispondere alle necessità degli e<strong>di</strong>fici, furono integrate le<br />

architetture originali con nuovi elementi architettonici esprimendoli col minimo rilievo, ma con<br />

sincerità inequivocabile (tav. 64). La conservazione in loco delle lapi<strong>di</strong> scalpellate testimonia lo<br />

scrupoloso rispetto osservato per ogni vestigio, e poiché <strong>di</strong>fficilmente gli occhi arrivano a leggere le<br />

scalpellature, riferirò che la più piccola e alta ricorda DELPHINUS DELPHINO PRAETOR M.D.XLIII; la<br />

maggiore e più in basso reca la data M.D.L. la struttura della fronte è salda, massiccia e la corona<br />

dei merli […] si propaga oltre i limiti della piazza sino alle case più lontane (tav. 65) . Il lungo<br />

poggiolo scaligero del piano nobile, dalla ringhiera agile ed elegante, è la nota me<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> gran<br />

voce che corre sino all’angolo, sino alla loggia; sotto <strong>di</strong> esso tre finestre, anch’esse scaligere,<br />

129 VECCHIATO, M.S., 2001, p. 187.<br />

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ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

vengono attraversate dal bianco poggiolo cinquecentesco, elemento <strong>di</strong> grazia in tanta austerità<br />

(tav. 66) ; a piano terra la loggia aperta è un magnifico dono fatto ai citta<strong>di</strong>ni […] . A riscontro <strong>di</strong><br />

questa loggia, le tre arcate venete sono state messe in pristino come le avevano costruite i Veneti,<br />

per solo scopo <strong>di</strong> equilibrio architettonico; in mezzo, sul portale sanmicheliano che la Repubblica<br />

Veneta eresse nel 1553, il Leone <strong>di</strong> San Marco, opera <strong>di</strong> Vittorio <strong>di</strong> Colbertaldo, è tornato con la<br />

prepotenza degna della Serenissima in una città <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni imperialiste. Ardua prova era quella <strong>di</strong><br />

fondere insieme queste reliquie <strong>di</strong> varie opere e permettere inoltre che la pienezza della vita<br />

ritornasse nel palazzo sede del governo; ma forse alla piazza che è detta dei Signori è stato<br />

restituito il crisma della signoria; signoria d’arte e d’ospitalità.” 130<br />

In particolare, riguardo la restituzione della loggia veneta proseguiva <strong>di</strong>cendo che “l’opera<br />

d’indagine rivelò quanto erta stata spietata la deturpazione (tav. 67); ma fu anche feconda <strong>di</strong><br />

buoni risultati, perché ha restituito il soffitto a travature mirabilmente conservato con gli stemmi<br />

veneto dei rettori Zorzi e Morosini nel 1419 e ha <strong>di</strong>mostrato intera l’architettura e persino gli spunti<br />

della decorazione pittorica […] (tav. 20). Una lapi<strong>di</strong>no ricorda il costume veneto delle denunce<br />

segrete; tre altre epigrafi commemorano il plebiscito veronese del 1866, quello nazionale fascista<br />

del 1929 e l’inaugurazione del ripristino del palazzo. Quest’ultima è stata dettata dl prof. Fajani e<br />

<strong>di</strong>ce: DOMICIULIUM VERONENSE IMPERII / AEDES OLIM SCALIGERAE / QUAS FAMA DANTIS<br />

HOSPITIS CIRCUMVOLAT / ANNO DOM. MCMXXX / VIII AB ITALIA PER FASCES RENOVATA /<br />

VICTORIO EMMANUELE III REGE / BENITO MUSSOLINI DUCE / ALOYSIO MESSEDAGLIA PROV.<br />

PRAESIDE / VETUSTI AEDIFICI RESTITUTORE.”<br />

Gli interventi coinvolsero anche l’interno del palazzo. Si intervenne sull’atrio <strong>di</strong> Cangrande I o<br />

“delle colonne”, anche questa volta ampiamente documentato dall’Avena, che scrive: “il palazzo<br />

<strong>di</strong> Cangrande I aveva la fronte su S. Maria Antica; ma a poco a poco la vita dell’e<strong>di</strong>ficio fu orientata<br />

su piazza dei Signori e, murato il portone nel sec. XVIII (tav. 68), si occupò il piano terreno con vari<br />

uffici, intersecando con muri gli spazi (tav. 69), rompendo le stesse arcate, e persino togliendo <strong>di</strong><br />

sotto alle spalle d’imposta le colonne ed i pilastri. Qualche traccia <strong>di</strong> ghiere e <strong>di</strong> soffitti faceva<br />

intravedere l’antica struttura; ma quando furono abbattute le pareti <strong>di</strong>visorie, si rivelò<br />

impressionate lo sfacelo strutturale dell’e<strong>di</strong>ficio. Lo si è ricomposto con ogni amore. Fu ribassato il<br />

livello del suolo (tav. 70), fu rinforzata con un sottarco la saldezza degli archi, fu rivivificata e<br />

130 AVENA, A. 1931, pp. 49-50.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

compiuta la decorazione. Il soffitto è a travetti su mo<strong>di</strong>glioncini e mostra una decorazione<br />

cinquecentesca; ma sotto <strong>di</strong> essa spia vivissima la decorazione trecentesca. Così sulle pareti vi sono<br />

due strati decorativi: il più antico a libere volute con fiorami vivaci, il secondo a riquadri<br />

d’intonazione dorata. Ma il senso originario del colore <strong>di</strong> questo atrio ci è suggerito in modo<br />

particolare dal capitello me<strong>di</strong>ano che la pietra tutta decorata in bianco, rosso e verde (tav. 8) […] .<br />

quell’atrio, nei documenti, si suole chiamare con il nome pittoresco <strong>di</strong> “loggia delle colonne” […]<br />

veramente ospitale per gran<strong>di</strong>osità, quanto suggestivo per intersecazioni <strong>di</strong> linee e d’ombre; ha il<br />

mistero delle cripte e il lusso coloristico dei colonnati arabi (tav. 71). Molto opportunamente in<br />

questo atrio una sola parola è stata scritta ed è dantesca: il ricordo dell’ospitalità scaligera<br />

consacrata nella terza cantica della Divina Comme<strong>di</strong>a (tav. 72). Lo scavo ri<strong>di</strong>ede alla luce anche<br />

due memorie romane, quasi a esprimere il fondamento della nostra civiltà; una lapide con<br />

l’epigrafe, mutila: V M I / I A P • F / SORO / N / N P /. Gli scaligeri la <strong>di</strong>stesero a terra a sostenere il<br />

peso dell’arcata me<strong>di</strong>ana. Nello sterro fu trovato anche un fascio littorio che venne infisso nel<br />

muro, e un rocco <strong>di</strong> colonna. Nel porticato vicino, accanto alla finestra della torre, la munificenza<br />

del Co. Giovanni Giusti ha permesso che fosse posto lo stemma scaligero ch’egli conservava nel suo<br />

giar<strong>di</strong>no.<br />

Dalla documentazione dei lavori eseguiti non risulta che si interenne strutturalmente né nell’atrio<br />

cinquecentesco sottostante il portale del Sanmicheli (tav. 73), né nel loggiato romanico<br />

retrostante “ dalle volte a crociera con conci ben congegnati, secondo la bella tecnica del murari<br />

del XII sec. […] con le arcate basse e potenti che sono cieche, perché una grossa rifoderatura <strong>di</strong><br />

muro fatta sull’esterno aveva servito agli Scaligeri a rialzare la fabbrica sino al livello del palazzo<br />

delle Arche.” 131 Avena ipotizza che questa loggia terrena romanica possa corrispondere a quella<br />

della casa con loggiato inglobata dal palazzo in una data imprecisata e sostiene che, insieme alla<br />

torre su vicolo Cavalletto, sia la parte più antica del complesso. 132<br />

Per quanto riguarda i porticati sul cortile inferiore interno egli spiega: “il cortile del palazzo <strong>di</strong><br />

Cangrande aveva le colonne dentro le fosse e le arcate apparivano tozze per il sopralzo del terreno.<br />

La facciata interna aveva subito un’architettura pseudoromanica (tav. 74-75) <strong>di</strong> cui rimangono<br />

saggi pietosi in altri e<strong>di</strong>fici me<strong>di</strong>evali veronesi. Al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> questo paramento architettonico si<br />

sono scoperti i contorni delle finestre e balconate scaligere. Verso il cortile, il palazzo non aveva<br />

131 AVENA, A., 1931, p. 53.<br />

132 Ibidem.<br />

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RELAZIONE STORICA<br />

originariamente il porticato; ma i due or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> loggiati che adesso si vedono, dovettero esservi<br />

aggiunti abbastanza presto, specialmente quello terreno che pare quattrocentesco (tav. 76). Così<br />

<strong>di</strong>casi del porticato che, fiancheggiando l’ala del palazzo, si appoggia alla Loggia Barbaro.<br />

Raggiungendo il livello originario del terreno, le arcate hanno riavuto la loro proporzione <strong>di</strong> linee e<br />

tutto il cortile ha guadagnato un aspetto <strong>di</strong> armonia e <strong>di</strong> decoro. La scoperta della canna del<br />

vecchio pozzo sull’angolo della Loggia Barbaro spinse a ricercare nella città una <strong>di</strong> quelle viere che<br />

i nostri padri mettevano nelle case o nelle piazze con tanto senso <strong>di</strong> bellezza; e nella casa<br />

dell’Istituto Don Mazza in Stradone Duomo n. 6, una se ne trovò con lo stemma Dandolo che fu<br />

ceduta e posta in opera (tav. 77). La scalinata che vi conduce ha risolto elegantemente il problema<br />

del <strong>di</strong>slivello tra i cortili (tav. 78). La loggia aperta del primo piano sostituisce vantaggiosamente la<br />

precedente che si sfasciava. Su <strong>di</strong> esse guardano porte e finestre, scaligere e classiche (tav. 79-80-<br />

81). Le scaligere sono state accuratamente ricomposte; le classiche vi sono state portate dalla<br />

sopracostruzione del secondo piano. Negli archi recano scolpiti i nomi <strong>di</strong> Giu<strong>di</strong>ci, sotto gli auspici<br />

dei quali furono costruite (tav. 21). L’una <strong>di</strong>ce: SUPERAN BRIXIA IUD REG / IUL ROVEL IUD<br />

GRIFFONIS / MDLXIX/, l’altra: MATTH FORCAT III VIC MDLXIX / IO FRAN TRINCAVEL IUD MAL /.<br />

Qualche residuo d’affresco religioso, qualche stipite o ghiera d’arco spezzato, lo stemma Tron<br />

mutilato sono le reliquie emerse e gelosamente salvate.” 133<br />

Per quanto riguarda infine gli altri ambienti, sale e stanze leggiamo: “ le altre stanze non rivelarono<br />

notevoli tracce <strong>di</strong> decorazione, perché troppo insistette su quei poveri muri l’oltraggio dei<br />

manomissori. Ma la sala, ora addetta all’Archivio <strong>di</strong> Prefettura al primo piano, oltre a un buon<br />

soffitto cinquecentesco, mostra tutto intorno i resti <strong>di</strong> una triplice decorazione; la più antica a<br />

gran<strong>di</strong> fasce e <strong>di</strong>schi, analoga a quella già ritrovata nella torre, la seconda quattrocentesca <strong>di</strong> cui<br />

rimangono tra le due finestre gotico-veneziane alcuni elementi intorno agli stemmi. La terza,<br />

cinquecentesca a figure, è <strong>di</strong> tipo Farinatesco. La sala d’angolo al primo piano, tra piazza dei<br />

Signori e l’arcone, ha rivelato nei muri fra le balconate due finestrucole cieche a forma <strong>di</strong> feritoia,<br />

sormontate da un archetto trilobato; nello spessore del muro il vano si allarga, abbastanza<br />

profondamente, ma è cieco. Non si sa a quale uso servissero. Qualche altro elemento interessante<br />

affiorò anche nelle altre stanze del primo piano e precisamente negli uffici del R. Prefetto:<br />

nell’anticamera una Madonnina cinquecentesca; poi in questo e negli altri locali: finestre e porte<br />

133 AVENA, A., 1931, pp. 53-54.<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

scaligere, rozze o rifinite, a feritoia o riquadrate, perfino una bella finestrina romanica a tutto sesto<br />

nel locale che sovrasta la loggetta, pur romanica, del pianterreno. Una bella porta centinata del<br />

rinascimento, trovata scomposta nella cantina, fu riusata a sfondo del corridoio. Al secondo piano<br />

nel salone centrale <strong>di</strong> rappresentanza l’on. Bruno Bresciani ha donato un elegante camino del<br />

rinascimento con gli stemmi <strong>di</strong> Serego e Alighieri. È il gioiello del salone. Al terzo piano, una fascia<br />

decorativa in un ufficio prospiciente il cortile in<strong>di</strong>ca l’altezza a cui dovevano giungere i saloni del<br />

secondo piano, quando il palazzo serviva da residenza principesca e non a sede <strong>di</strong> uffici. Finalmente<br />

nel sottotetto un frammento decorativo a volute floreali, trecentesco, segna l’altezza dell’e<strong>di</strong>ficio<br />

verso la piazza dei Signori.” Infine Avena aggiungeva: “ Gli altri elementi decorativi che hanno<br />

ridato decoro alla scala (tav. 82), alle sale, sia <strong>di</strong> rappresentanza sia <strong>di</strong> ufficio (tav. 83) sono delle<br />

intonazioni, alle quali ho anche cercato <strong>di</strong> accordare con speciali progetti pavimenti, soffitti, mobili,<br />

lampadari, coprira<strong>di</strong>atori ecc. forse non c’è un’invincibile inimicizia neanche tra le necessità<br />

moderne e la bellezza antica! Ma nell’appartamento prefettizio, ricavato in un lato del palazzo<br />

dove non era apparsa la più lieve reliquia <strong>di</strong> antico, era opportuna che una sana modernità<br />

imprimesse il suo segno. Perciò la decorazione e l’ammobigliamento <strong>di</strong> questo appartamento<br />

furono esclusivamente <strong>di</strong> stile moderno (tav. 84).”<br />

Si può anche annotare che, tra i decoratori <strong>di</strong> sale e corridoi del palazzo, non mancarono nomi <strong>di</strong><br />

artisti veronesi <strong>di</strong> valore. Fu lo stesso Antonio Avena a sceglierli e a sollecitare, in due documenti<br />

datati 30 giugno e 10 luglio 1930, il pagamento dovuto ad ogni singolo artista 134 Queste bolle,<br />

oltre a darci un’idea del compenso pattuito, ci permettono <strong>di</strong> identificare il nome dell’artista e la<br />

parte del palazzo da lui decorata. In data 30 giugno 1930 leggiamo quin<strong>di</strong> che: “al pittore Albino<br />

Siviero L. 3.300 per la decorazione del soffitto in legno e delle pareti a fresco nel locale a destra<br />

dell’anticamera destinata a gabinetto <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong> sua ecc. il prefetto; al pittore Alfredo Ambrosi L.<br />

3.000 per il lavoro <strong>di</strong> decorazione del soffitto in legno e delle pareti a fresco per l’ufficio del capo <strong>di</strong><br />

gabinetto; al pittore Angelo Zamboni L. 6.100 per il completamento del porticato nell’angolo <strong>di</strong><br />

piazza Signori con via Arche; al pittore Vittorio Bagattini L. 3450 per il lavoro <strong>di</strong> decorazione del<br />

nuovo loggiato al primo piano degli uffici <strong>di</strong> Prefettura; al pittore Bruno Mastacchi L. 4.000 per il<br />

lavoro <strong>di</strong> decorazione dei soffitti in legno e pareti al terzo piano dei quattro uffici <strong>di</strong> piazza dei<br />

Signori e del corridoio centrale; al pittore Ferruccio Bragantini L. 5.200 per i soffitti in legno e le<br />

134 ASAPVr, 1926-1930, cat. X, spec. 6<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

pareti dell’atrio <strong>di</strong> via Arche e del salone al secondo piano; al pittore Guido Farina L. 3.500 per la<br />

decorazione del soffitto in legno e delle pareti a fresco del corridoio degli uffici <strong>di</strong> Prefettura al<br />

primo piano; al pittore Paolo Richelli L. 3174 per decorazione pareti e soffitti in legno uffici terzo<br />

piano.” In data 30 luglio 1930: “ al pittore Giuseppe Zancolli la decorazione del soffitto in legno a<br />

tempera e delle pareti a fresco del salone al primo piano in angolo verso il Tribunale, L. 3.670; al<br />

pittore Benvenuto rocca la decorazione del soffitto e delle pareti della locale torre e dell’antitorre<br />

al terzo piano, L. 3900; al pittore Gianni Casarini per la decorazione del soffitto in legno e pareti a<br />

fresco del porticato sul cortile parallelo a piazza dei Signori L. 2.250; al marmista Enrico Bragantini<br />

per la provvista delle colonne e dei pilastri completi occorsi nel porticato e nell’atrio del pian<br />

terreno e nel nuovo loggiato ed inoltre per le riparazioni e completamenti del colonnato su piazza<br />

dei Signori e per lo zoccolo occorso al muro <strong>di</strong> cinta delle Arche, L. 19.800.” 135<br />

Ritengo poi interessante riportare alcuni passi della relazione “tecnica” relativa ai lavori sul<br />

palazzo, stesa dall’ingegnere Giacobbi. “SOTTOMURAZIONI. Si doveva ridare saldezza ad un<br />

assieme <strong>di</strong> murature che ormai non davano certezza <strong>di</strong> stabilità; si avevano locali <strong>di</strong>stribuiti in<br />

modo caotico, con solai siti a quote <strong>di</strong>verse nello stesso piano del fabbricato, e portati da travature<br />

<strong>di</strong> legno, delle quali molte spezzate e da tempo puntellate (tav. 85-86); le aperture <strong>di</strong> porte e <strong>di</strong><br />

finestre erano solo ricche <strong>di</strong> crepe e <strong>di</strong> gravi <strong>di</strong>stacchi <strong>di</strong> murature. Una perizia <strong>di</strong> spesa avrebbe<br />

dovuto considerare tutto questo lavoro incerto e vasto, ma tutte le incognite vennero risolte nei<br />

quin<strong>di</strong>ci mesi <strong>di</strong> durata del lavoro. Le prime cure si rivolsero alla torre, struttura alta, dominante<br />

sull’angolo <strong>di</strong> vicolo Cavalletto con S. Maria Antica. Questa torre aveva troppe crepe in ogni piano;<br />

al terzo piano era poi in sfacelo. Ovunque tagli per camini, tagli per fori <strong>di</strong> nuove porte e <strong>di</strong> nuove<br />

finestre. Nell’assieme, non v’era nessuna certezza sulla bontà delle fondazioni e si temeva che<br />

fossero insufficienti. Infatti le fondazioni non c’erano che in forma troppo ridotta, sia in altezza che<br />

in ampiezza. Solo v’era ben consolidato, con grossi blocchi <strong>di</strong> pietra, lo spigolo della torre all’angolo<br />

<strong>di</strong> vicolo Cavalletto. Tutti gli altri muri maestri della torre e del fabbricato della Signoria, non<br />

posavano che su <strong>di</strong> un mal sicuro piano <strong>di</strong> terriccio. Questo terreno, che in origine, avrebbe<br />

permesso <strong>di</strong> appoggiarvi solo una costruzione <strong>di</strong> ben limitata elevazioni, ora, invaso dalle acque<br />

superficiali e da acque <strong>di</strong> fogna stagnanti tutto all’intorno, non aveva ormai nessuna consistenza.<br />

135 VECCHIATO, M.S, 2001, p. 188.<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Un sicuro piano <strong>di</strong> posa del fabbricato, si trovò ad una quota <strong>di</strong> ben metri 5.50 sotto il piano<br />

stradale <strong>di</strong> via S. Maria Antica, e ciò riferendoci all’asse della soglia del cancello <strong>di</strong> ingresso al<br />

fabbricato su detta via. A quella profon<strong>di</strong>tà un alto strato <strong>di</strong> ghiaie frammiste a grossi ciottoli,<br />

stava <strong>di</strong>steso e lo si trovò presente in ogni sottomurazione. Il torrione, che doveva raggiungere a<br />

lavoro finito i trentun metri <strong>di</strong> altezza sulla quota stradale, richiese una solida base <strong>di</strong> appoggio che<br />

partì sul piano <strong>di</strong> ghiaia con una larghezza <strong>di</strong> tre metri e che si elevò a riseghe. Fu questa una<br />

costruzione che richiesta tanta attenzione e fu lavoro lungo e <strong>di</strong>fficile e rischioso, perché il<br />

sottomurare questi muri vecchi, sebbene <strong>di</strong> forte spessore, era cosa pericolosa data la loro ruina.<br />

Fu necessario ricorrere a puntellature numerosissime ed a sbadacchiature solide.<br />

Ai piani inferiori vennero completamente chiusi tutti i fori <strong>di</strong> finestre e <strong>di</strong> porte, ricorrendo alla<br />

costruzione <strong>di</strong> grossi muri <strong>di</strong> mattoni con ottima malta cementizia. La torre fu alleggerita in alto,<br />

con la demolizione del tetto e <strong>di</strong> quelle parti <strong>di</strong> muro più pericolante per le lesioni ben manifeste.<br />

[…] Ogni precauzione possibile fu attuata con volontà <strong>di</strong> completa responsabilità. Perciò il tozzo<br />

torrione fu coronato da solide ed alte impalcature, che dovevano impe<strong>di</strong>re la caduta in strada e<br />

sulle arche anche dei più minuti pezzi <strong>di</strong> muratura. […] sui muri perimetrali della Torre e sui muri<br />

maestri del Palazzo Scaligero, le sottomurazioni vennero lentamente eseguite e risultarono<br />

compiute dopo cinque mesi <strong>di</strong> lavoro. Venne fatto largo impiego dell’ottimo cemento granito <strong>di</strong><br />

Tregnago. IL CONSOLIDAMENTO DELLE MURATURE MAESTRE. Compiuto il lavoro sotterraneo, si<br />

pensò al consolidamento delle murature maestre: così si principiava il ripristino artistico del<br />

Palazzo Scaligero in accordo col Prof. Avena. Collegate con cura amorevole ed attenta le tracce<br />

sicure della vecchia architettura; completate le tracce dei fori <strong>di</strong> finestra sulle facciate che nei<br />

tentativi precedenti <strong>di</strong> ripristino si erano fortunatamente salvate da una irreparabile <strong>di</strong>struzione, il<br />

ripristino ha potuto ridare organico nei suoi piani l’originario Palazzo Scaligero. Fu particolare cura<br />

della Direzione dei Lavori quello <strong>di</strong> renderlo il più possibile adatto ad uffici della R. Prefettura e <strong>di</strong><br />

ridare sale ospitali in questo Palazzo. Con viva attenzione vennero consolidate le murature<br />

maestre: le aperture originali si riaprirono; quelle false, che in tempi recenti si erano aperte, con<br />

tanto danno per una buona soli<strong>di</strong>tà delle murature, si richiusero. Grossi blocchi <strong>di</strong> solida muratura<br />

nuova, collegati da alte piattabande in cemento armato, correnti senza interruzione ai vari piani e<br />

su tutte le murature maestre, formarono la struttura portane del fabbricato, che cos’ oggi risulta<br />

come scomposto coi suoi muri in tanti riquadri, in<strong>di</strong>viduabili nelle grosse linee dei piani <strong>di</strong><br />

ricorrenza dei solai e dalla pilastrate portanti le pesanti travi dei ferro delle impalcature nuove. Ne<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

è così risultata una vera costruzione moderna asismica. Mentre tanto lavoro <strong>di</strong> consolidamento<br />

veniva eseguito, il fabbricato continuava ad ospitare la quasi totalità degli uffici <strong>di</strong> Prefettura<br />

poiché solo una piccola parte ebbe a peregrinare, e per breve tempo, in altro luogo. Certo devesi<br />

riconoscere che l’occupazione continuata del fabbricato fu causa <strong>di</strong> qualche lentezza nel rapido<br />

sviluppo dei lavori <strong>di</strong> ripristino, poiché non si poteva trascurare la vita <strong>di</strong> coloro che occupavano il<br />

fabbricato o vi accedevano ogni giorno. Gli uffici, in corso <strong>di</strong> lavoro, ebbero a passare in più riprese<br />

da un lato all’altro del fabbricato, con dura e lodevole prova <strong>di</strong> adattamento degli stessi impiegati<br />

<strong>di</strong> Prefettura. […] I SOLAI VECCHI E NUOVI. Tutti i solai si dovettero demolire, e quelli artistici<br />

vennero amorevolmente raccolti e ricomposti in luogo. Le travi in posto erano in pessime con<strong>di</strong>zioni<br />

<strong>di</strong> resistenza. Dovevano e avrebbero potuto servire per carichi tanto minori <strong>di</strong> quelli a cui sarebbero<br />

stati assoggettai. I carichi eccessivi a cui erano state sottoposte, le avevano o spezzate o rese<br />

inservibili. Si trovò, demolendo i solai, che in più locali due o tre pavimenti stavano sovrapposti<br />

l’uno all’altro come se nessun danno alla stabilità <strong>di</strong> essi avrebbe prodotto il lasciare il pavimento<br />

vecchio sotto a quello nuovo (tav. 87). Fu questo certo uno stratagemma economico <strong>di</strong> incosciente<br />

<strong>di</strong>rettore d’arte. E dove non si trovarono più pavimenti a ridosso, fu trovato che al forte ce<strong>di</strong>mento<br />

dei solai., per la troppa freccia delle travi maestre, si era ottenuta la livellazione dei pavimenti con<br />

riporti <strong>di</strong> grossi strati <strong>di</strong> pesanti calcinacci. Spessori <strong>di</strong> oltre venti centimetri <strong>di</strong> calcinacci vennero<br />

tolti nei solai dei vari piani, ed un migliaio <strong>di</strong> grossi carretti carichi <strong>di</strong> tanta abbondanza vennero<br />

scaricati in A<strong>di</strong>ge. I solai vennero ricostruiti. Vennero impiegati come travature maestre, alte travi<br />

in ferro <strong>di</strong> profilo Differdfangen e su <strong>di</strong> esse si posarono travetti <strong>di</strong> legno ben rifilati, onde formarvi<br />

la travatura minore. Si ricostruirono così i solai in legno, che i nostri artisti veronesi poi decorarono.<br />

Ora si hanno dei solai che possono resistere anche ad eccezionali affollamenti che possibili<br />

avvenimenti politici potrebbero causare in Palazzi chiamati ad uso tanto importante. Ora non si sa<br />

più ricordare la lunga serie <strong>di</strong> stanzuccie che ai vari piani si succedevano buie e senza <strong>di</strong>simpegno.<br />

Oggi ogni pavimento ha ripreso la quota che aveva avuto in origine, poiché i mozziconi delle<br />

mensole in vivo delle travature <strong>di</strong> un tempo e le pitture salvate a tratti e riscattate dagli spessi<br />

intonaci recenti, ci hanno dato quelle quote senza dubbi e con logica conferma.” 136<br />

136 GIACOBBI, P., 1931, pp. 60-64.<br />

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PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

Questo restauro tanto <strong>di</strong>scusso, l’ultimo nella lunga storia del palazzo, chiudeva definitivamente<br />

un’epoca, quella dei restauratori alla Viollet-le-Duc, alla Boito o alla Feltrami, un’epoca nel corso<br />

della quale amministratori e operatori culturali delle città d’Europa furono pervasi dall’idea <strong>di</strong><br />

ridare ai vari centri storici un volto me<strong>di</strong>evaleggiante. L’ultimo <strong>di</strong> questi cultori <strong>di</strong> un passato ormai<br />

remotissimo, nel clima dei vari modernismi, razionalisti e fascisti, fu appunto Antonio Avena,<br />

fedele ad una cultura che era stata la sua e che si andava velocemente appannando per il<br />

sopraggiungere <strong>di</strong> nuove tendenze, fra cui quelle legate ai movimenti avanguar<strong>di</strong>sti e futuristi.<br />

“Anche ai merli irti e sgraziati del palazzo scaligero <strong>di</strong> piazza Dante ci si abituerà, non temete.<br />

Adesso, è vero, sembrano ritagliati nel cartone da un’innocente mano infantile, ma con il tempo.<br />

Gli “esperti” che hanno pensato e <strong>di</strong>retto il così detto ripristino non possono essere tanto innocenti<br />

con tutti i peccatacci che hanno sulla coscienza. La costumanza è caduta in <strong>di</strong>suso e adesso dal<br />

cervello degli archeologi e dei sovrintendenti scaligeri non esce più nulla bell’e fatto, neppure una<br />

facciata del Trecento.” 137<br />

137 VECCHIATO, M., 2001, p. 163.<br />

60


INDICE DELLE ABBREVIZIONI.<br />

PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

ACC. Atti della Commissione Conservatrice dei monumenti e oggetti d’arte e d’antichità “Foglio<br />

perio<strong>di</strong>co della Prefettura <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>” dal 1877 al 1885.<br />

ACP. Atti del Consiglio <strong>Provincia</strong>le <strong>di</strong> <strong>Verona</strong> dal 1867 alla soppressione fascista del Consiglio.<br />

ASAPVr. Archivio Storico dell’Amministrazione <strong>Provincia</strong>le <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, aa. 1926-1930, cat. X, spec.<br />

6.<br />

ASVr. Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> <strong>Verona</strong><br />

AACVr. Antico Archivio del Comune <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>.<br />

BIBLIOGRAFIA.<br />

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<strong>Provincia</strong> <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, <strong>Verona</strong>, 1931, pp. 35-57.<br />

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497-504.<br />

61


PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

ALL'OTTENIMENTO DEL CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI<br />

RELAZIONE STORICA<br />

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MELLINI, G.L., Altichiero e Jacopo Avanzi, Milano, 1965.<br />

PINALI G., Osservazioni economico-artistiche sopra fabbriche, strade, riduzioni, <strong>di</strong>struzioni <strong>di</strong><br />

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Memoria Segreta, <strong>Verona</strong>, 1834.<br />

62


POLA, F., Lo Stolone, <strong>Verona</strong>, 1615.<br />

PALAZZO SCALIGERO – INTERVENTI VARI FINALIZZATI AL RESTAURO, ALLA MANUTENZIONE STRAORDINARIA E<br />

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VECCHIATO M.S., Le fabbriche del dominio scaligero e le loro trasformazioni novecentesche, in<br />

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ZALIN, G., Storia <strong>di</strong> <strong>Verona</strong>, caratteri, aspetti, momenti, Vicenza, 2002.<br />

63

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