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Introduzione alla fisiologia - Medicina e Chirurgia

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<strong>Introduzione</strong> <strong>alla</strong> <strong>fisiologia</strong><br />

Lezione 1 - prof. Perciavalle<br />

Il professore: “a me viene chiesto di insegnarvi come funziona un uomo”, quali sono i meccanismi<br />

che permettono a un uomo in condizioni di normalità di funzionare, vedremo quali sono i principi<br />

fisici e chimici che permettono a un organismo complesso di esistere.<br />

Cosa si intende per <strong>fisiologia</strong>?<br />

La parola deriva dal greco phusis che letteralmente significa natura e quindi il termine fisiologo<br />

dovrebbe indicare lo “studioso della natura”. Il termine fisiologo è stato coniato da Aristotele per<br />

riferirsi a un gruppo di filosofi vissuti 300 anni prima di lui, Talete, Anassimandro e Anassimene.<br />

Questi filosofi furono i primi che cercarono di spiegare i fenomeni naturali non associandoli a<br />

divinità, ma provando a spiegare i fenomeni naturali con la natura stessa e non con un intervento<br />

soprannaturale.<br />

In contrapposizione ai filosofi che ricorrevano alle divinità per spiegare i fenomeni naturali, cioè<br />

quelli che Aristotele chiamava oi teologoi, questi filosofi che spiegavano la natura con la natura<br />

stessa furono chiamati oi fisiologoi.<br />

Da quel momento il termine venne utilizzato per indicare quello che ai giorni nostri chiameremmo<br />

un “naturalista”, tuttavia il termine indica ancora ai nostri tempi chi si occupa di fenomeni vitali,<br />

pensiamo ad es. che in inglese la parola “medico” viene tradotta con physician.<br />

Uno di questi oi fisiologoi prearistotelici era Democrito, secondo il quale “le cause sono inerenti<br />

alle cose” (determinismo), cioè ogni fenomeno è il risultato di qualcosa che lo ha provocato<br />

tuttavia, nel verificarsi, diventa a sua volta causa di qualcos’altro.<br />

Questo criterio deterministico fu introdotto da Democrito e ancora oggi di fatto è quello che<br />

differenzia le scienze sperimentali dalle altre.<br />

Il metodo sperimentale venne messo a punto in parte da Galileo e in parte da Cartesio, tra la fine del<br />

‘500 e l’inizio del ‘600.<br />

Una determinata affermazione non appartiene <strong>alla</strong> categoria della scienza ma a quella della opinione<br />

quando non esiste la possibilità di dimostrare che quanto viene detto sia vero o falso, cioè quando<br />

l’affermazione non è suscettibile di verifica o di falsifica sperimentale.<br />

Nella scienza comunque esistono anche verità provvisorie, in attesa che qualcuno, migliorando le<br />

tecniche, migliorando gli approcci, dimostri che è falso o almeno incompleto.<br />

Questo semestre verrà dedicato <strong>alla</strong> comprensione dei principi chimici e fisici che stanno <strong>alla</strong> base<br />

del funzionamento di un organismo complesso.<br />

# Per dare un’idea della complessità<br />

Ciascuno di noi possiede grossomodo tra 80 e 90 grammi di sangue per kilo di peso corporeo (più 80<br />

nelle donne, più 90 nei maschi), per un totale di circa 5 kili di sangue.<br />

La metà di questa quantità è costituita da acqua, l’altra metà e quindi 2,5 kili, è costituita da cellule.<br />

La maggior parte di queste cellule, il 99.99% appartengono a un tipo cellulare inconfondile chiamato<br />

globulo rosso (priva nucleo e d<strong>alla</strong> tipica forma a lente biconcava).<br />

Il globulo rosso ha un diametro maggiore di circa 7.5 e ne sono presenti 5000 miliardi per litro.<br />

Se immaginassimo di metterle uno dopo l’altro i globuli rossi di un singolo individuo, sono così<br />

numerosi che coprono la metà della distanza tra la terra e la luna!<br />

1


Per capire come funziona un organismo complesso è bene iniziare dall’organismo più semplice,<br />

cioè d<strong>alla</strong> cellula, cioè ad es. un organismo unicellulare.<br />

La membrana crea il confine tra il self e il non-self e la regola principale prevede che l’organismo<br />

potrà sopravvivere a patto che riceva dall’esterno tutto ciò che gli serve ed elimini all’esterno tutto<br />

ciò che non gli serve.<br />

La sopravvivenza di questo individuo è legata a uno scambio tra mondo interno e mondo esterno.<br />

Tra gli elementi che servono <strong>alla</strong> cellula possiamo annoverare al primo posto l’ossigeno e gli altri<br />

nutrienti come glucosio, amminoacidi, acidi grassi, sali minerali, vitamine. Queste sostanze<br />

vengono metabolizzate e attraverso questi processi metabolici si producono prodotti di rifiuto: ad<br />

es. dall’utilizzazione dell’ossigeno si produce una sostanza tossica, l’anidride carbonica,<br />

dall’utilizzazione delle proteine si formano sostanze tossiche a base di ammoniaca.<br />

E’ semplice sapere di cosa si ha bisogno: la cellula ha bisogno di tutto ciò che nella cellula si<br />

consuma, viene meno, mentre non ha bisogno di ciò che nella cellula si accumula, cioè va in<br />

eccesso. Quando viene mantenuto questo equilibrio, evitando che venga meno ciò che è utile e si<br />

accumuli ciò che è inutile, la cellula si trova in condizioni ottimali.<br />

Oltre a questi aspetti molecolari vi sono poi degli aspetti non molecolari, il più importante dei quali<br />

è legato <strong>alla</strong> temperatura: La temperatura della cellula non può salire e scendere oltre certi valori,<br />

poiché tutte le cinetiche enzimatiche e tutte le reazioni verrebbero alterate.<br />

Insieme <strong>alla</strong> temperatura è importante mantenere costante il pH cellulare, perché si sa che<br />

cambiando il pH cambia ad es. anche il comportamento degli amminoacidi (sostanze anfotere).<br />

Il contenuto di acqua è un altro aspetto fondamentale, cioè il rapporto solvente-soluto all’interno<br />

della cellula è molto importante, per cui la concentrazione, l’osmolarità.<br />

· Se si riesce a garantire che sia gli aspetti fisici che gli aspetti chimici non vengono modificati, la<br />

cellula si trova in una condizione ottimale per la sua esistenza.<br />

Nella filogenesi l’unico modo che è stato trovato dagli organismi unicellulari per realizzare questo<br />

obiettivo è vivere in un ambiente fatto di acqua (non a caso il mare è stato il primo ambiente in<br />

cui la vita è nata).<br />

Il motivo è dato dal fatto che: 1. Tutte le cellule viventi sono fatte principalmente da acqua.<br />

2. Soprattutto si sfrutta in questo modo un fenomeno formidabile dell’acqua: l’acqua è un solvente<br />

eccezionale per moltissime sostanze. Le sostanze si sciolgono in acqua e così facendo diffondono:<br />

per il principio di diffusione dei soluti infatti a un certo punto tutti i punti della soluzione hanno la<br />

stessa concentrazione, per cui non è tanto la cellula che va a cercare le sostanze bensì sono le<br />

sostanze che sciogliendosi in acqua diffondono fino a raggiungere la membrana cellulare.<br />

A questo punto devono soltanto attraversare la membrana cellulare, però a una condizione, cioè che<br />

vi sia all’esterno una concentrazione maggiore di quella all’interno: in questo modo per un banale<br />

gradiente di concentrazione la sostanza entra nella cellula.<br />

3. L’acqua ha un elevato coefficiente termico. E’ molto difficile scaldare e raffreddare l’acqua,<br />

per cui una cellula che vive in acqua vive a temperature abbastanza costanti nel tempo.<br />

Il problema sorge nel momento in cui le cellule “decidono” di vivere associate in un organismo<br />

pluricellulare, dove il vantaggio notevole per la cellula consiste nella possibilità di specializzarsi<br />

mentre il vantaggio complessivo per l’organismo è dato d<strong>alla</strong> somma di tutti questi piccoli vantaggi<br />

di specializzazione.<br />

Problema: come fa a sopravvivere un organismo complesso e soprattutto come fa a sopravvivere<br />

fuori dall’acqua, perdendo così tutti i vantaggi visti in precedenza?<br />

Questo è il problema che si è dovuto affrontare nella filogenesi quando si è passati da organismi<br />

unicellulari a organismi pluricellulari.<br />

Gli organismi complessi sono circoscritti, sono isolati da una “barriera” non permeabile che separa<br />

l’ambiente esterno da quello interno. La pelle umana non è permeabile all’acqua.<br />

Quindi come fanno gli organismi complessi e le loro cellule a ricevere ciò che a loro serve e ad<br />

2


eliminare ciò che a loro non serve? Gli organismi complessi ricorrono a un espediente abbastanza<br />

logico dal punto di vista organizzativo: le cellule non vivono a contato le une con le altre, cioè il<br />

contatto è più virtuale che non reale; in realtà infatti le cellule vivono immerse in un liquido, che si<br />

trova tra cellula e cellula, il quale ricalca in un certo senso l’ambiente acquoso, il “mare”<br />

primordiale.<br />

# In un individuo di 70 Kg ci sono circa 45 litri di acqua dei quali circa 30 litri sono compresi<br />

all’interno delle cellule (l’acqua che forma il citoplasma) ma gli altri 15 litri si trovano attorno alle cellule,<br />

cioè costituiscono un compartimento extracellulare.<br />

§ Secondo un’ipotesi che risale <strong>alla</strong> fine dell’ ‘800 a un grande fisiologo francese (Paul Bernard), il<br />

quale sostenne che all’interno degli organismi complessi si è ricreato in piccolo quello che<br />

succedeva nell’ambiente acquoso primordiale.<br />

Si capisce però che 15 litri sono una quantità molto limitata rispetto al “mare” per cui nell’arco di<br />

pochi secondi le caratteristiche chimico-fisiche di questo ambiente extracellulare si potrebbe<br />

alterare al punto tale che la sopravvivenza delle cellule diventerebbe impossibile.<br />

A questo proposito Paul Bernard sostenne che la sopravvivenza di un organismo complesso dipende<br />

da un fattore, cioè che questi 15 litri di acqua, questo “ambiente interno” come lui lo chiamava,<br />

mantenga inalterato i suoi caratteri chimici e fisici (temperatura, osmolarità, concentrazione dei<br />

soluti).<br />

In che modo le caratteristiche di questi 15 litri di acqua si mantengono inalterati sia dal punto di<br />

vista chimico che dal punto di vista fisico?<br />

Devono esistere dei meccanismi che mettano in relazione questo ambiente interno con il mondo<br />

esterno. Gli organismi complessi si devono dotare quindi di veri e propri “sistemi di<br />

comunicazione” che permettano al mondo interno di venire a contatto con il mondo esterno.<br />

Gli organismi complessi possiedono grossomodo 3 di questi sistemi:<br />

1. Il primo sistema consente l’entrata e l’uscita dall’interno del nostro organismo delle molecole<br />

volatili ed è quello che viene definito apparato respiratorio.<br />

L’apparato respiratorio costituisce la porta attraverso la quale i gas possono entrare e uscire.<br />

Naturalmente entrano i gas che all’esterno hanno una concentrazione maggiore rispetto all’interno e<br />

viceversa. L’O2 all’interno viene consumato per cui entra, la CO2 viene prodotta all’interno ed è<br />

destinata a uscire. L’aria possiede anche altri gas, come l’azoto, ma dal momento che l’azoto non si<br />

consuma e non si produce, non subisce significativi spostamenti ai due lati del sistema.<br />

Qualsiasi gas, in quanto tale, può sfruttare questo sistema di comunicazione.<br />

2. – 3. Gli altri due sistemi sono rappresentati da apparati un po’ più specializzati che servono per<br />

tutte le molecole che non sono volatili. Questi due apparati sono unidirezionali (one way), cioè<br />

uno serve solo in l’entrata, l’altro serve solo in uscita.<br />

L’apparato che serve solo per l’ingresso è quello che viene chiamato apparato digerente, quello che<br />

solo per l’uscita è il rene o emuntorio renale.<br />

Per mezzo di questi due apparati si riesce a far entrare nel corpo e a far uscire dal corpo tutte le<br />

molecole non volatili.<br />

· Qualunque organismo complesso per funzionare deve essere costituito da un insieme di cellule<br />

isolate rispetto all’esterno, che vivono immerse in un ambiente interno liquido e deve essere in<br />

grado di comunicare con l’ambiente esterno attraverso tre aperture che sono l’apparato respiratorio<br />

per l’entrata e l’uscita di gas e altri due apparati unidirezionali che sono l’apparato digerente e il<br />

rene che consentono rispettivamente l’entrata e l’uscita delle molecole non volatili.<br />

Questi sono i requisiti minimi, però non sufficienti!!<br />

3


Questi requisiti non sono sufficienti perché si viene a determinare un problema di equilibrio:<br />

immaginiamo una cellula A che si trovi più vicina all’apparato respiratorio rispetto a una cellula B<br />

che si trova più lontano: in teoria la cellula A avrebbe più facilità a ricevere O2 e ad eliminare CO2,<br />

rispetto <strong>alla</strong> cellula B che in queste condizioni di disuguaglianza non riuscirebbe a sopravvivere.<br />

Bisogna trovare quindi un sistema che annulli questo problema, in cui la distanza non deve avere<br />

importanza: l’unica soluzione che si è trovata e che funziona in tutti gli organismi è rappresentata da<br />

un’idea normale dal punto di vista funzionale: questi 15 litri che rappresentano l’ambiente acquoso<br />

interno dove vivono le cellule non sono immobili, ma in continuo movimento!<br />

In questo modo non ha importanza che la cellula sia vicina o lontana e ad ognuna di esse è garantito<br />

di poter ricevere quello che gli serve e di liberarsi di ciò che non gli serve.<br />

4. Il quarto sistema, che non serve per comunicare con il mondo esterno, ma serve per creare questo<br />

equilibrio, questa uniformità nelle probabilità di nutrizione è l’apparato cardiocircolatorio.<br />

L’apparato cardiocircolatorio ha lo scopo di evitare che l’immobilizzazione dei liquidi metta alcune<br />

cellule nell’impossibilità di rifornirsi: prova di questo ne è il fatto che si muore quasi subito se si<br />

arresta l’apparato cardiocircolatorio, cioè l’arresto cardiaco non è compatibile con la vita se dura<br />

più di 5-6 minuti.<br />

Anche se dopo si rimette in moto il sistema, trascorsi questi 5-6 minuti sono già morti i neuroni per<br />

cui l’individuo non è più un uomo ma un donatore di organi.<br />

In definitiva per fare un organismo complesso sono necessari 4 apparati: tre di questi servono<br />

per gli scambi tra ambiente interno e ambiente esterno (apparato respiratorio, apparato<br />

digerente ed emuntorio renale), il quarto apparato (apparato cardiocircolatorio) non ha scopo<br />

di comunicazione ma serve per mantenere in movimento il liquido che costituisce l’ambiente<br />

interno.<br />

La domanda è: Un organismo così costituito riesce a sopravvivere o non è ancora idoneo?<br />

In teoria un organismo con queste caratteristiche potrebbe sopravvivere, in pratica questo non<br />

accade e il motivo è semplice: tornando al discorso che si tratta di un organismo che vive fuori<br />

dall’acqua, l’organismo deve essere anche in grado di procurarsi ciò che a lui serve.<br />

E’ chiaro che un organismo che vive fuori da un ambiente acquoso, se deve sopravvivere ha<br />

bisogno di trasformarsi da organismo passivo, immobile, in un organismo attivo: questo presuppone<br />

naturalmente la creazione di un nuovo apparato, molto complicato e che rappresenta il vero salto di<br />

qualità evolutivo: il sistema nervoso.<br />

Il sistema nervoso trasforma gli organismi da passivi in organismi attivi e in grado di interagire con<br />

l’ambiente che li circonda, per cui la comparsa del sistema nervoso ha creato una serie di<br />

potenzialità senza le quali naturalmente un organismo complesso non avrebbe nessuna possibilità di<br />

sopravvivenza.<br />

Un sistema nervoso, di qualunque tipo e complessità, deve essere in grado di garantire 3 cose:<br />

- ricevere informazioni*<br />

- elaborare le informazioni<br />

- sulla base di questo elaborazione l’azione<br />

*non si intende soltanto le informazioni ricevute dall’ambiente esterno, infatti vi sono informazioni<br />

altrettanto importanti che provengono dall’interno del nostro corpo: un esempio di queste<br />

informazioni è rappresentato d<strong>alla</strong> quantità di glucosio nei liquidi.<br />

La diminuzione del glucosio viene avvertita come sensazione di fame e questo obbliga a introdurre<br />

cibo e così facendo viene fatta risalire la concentrazione di glucosio.<br />

4


§ Provate a pensare a un verbo che esprima un’azione qualsiasi.<br />

Provate a immaginare adesso di realizzare questa azione senza usare muscoli: vi accorgerete così a<br />

cosa servono i muscoli striati. I muscoli striati sono lo strumento che permette al cervello di<br />

trasformare il pensiero in azione, senza i muscoli striati un organismo complesso non è in grado di<br />

interagire in nessun modo con il mondo che lo circonda.<br />

Nella filogenesi dunque insieme al sistema nervoso è comparso il sistema muscolare e osteoarticolare,<br />

senza il quale il sistema nervoso riceve le informazioni, le elabora ma non riesce a<br />

tradurle in azione.<br />

Questo crea un problema ulteriore: il fatto che il sistema nervoso crei azione complica la situazione,<br />

perché fa passare le cellule da un fabbisogno minimo a un fabbisogno che può aumentare da 40 a 50<br />

volte, cioè bisogna adattare il metabolismo delle cellule alle decisioni del sistema nervoso.<br />

Per risolvere il problema dell’adattamento metabolico delle cellule all’esigenza del sistema nervoso<br />

centrale bisogna creare un apparato con il compito di modificare i livelli di attività.<br />

Questo compito viene realizzato attraverso degli strumenti noti abitualmente con il termine ormoni<br />

e lo strumento in questione è il sistema endocrino, il quale dipende comunque dal sistema nervoso<br />

ma permette di adattare il corpo alle decisioni del sistema nervoso.<br />

Riassumendo per fare un uomo sono necessari l’apparato respiratorio, l’apparato digerente,<br />

l’emuntorio renale, l’apparato cardiocircolatorio, il sistema nervoso con “parenti e amici” cioè ossa,<br />

muscoli, articolazioni, tendini e il sistema endocrino.<br />

La prima parte costituita da apparato respiratorio, digerente, reni e apparato cardiocircolatorio<br />

permettono all’individuo di avere semplicemente una vita vegetativa.<br />

La seconda parte costituitala sistema nervoso con parenti e amici e il sistema endocrino permettono<br />

invece all’individuo di avere una vita di relazione, cioè di interagire con l’ambiente che lo circonda.<br />

Un organismo con questi apparati è in grado di sopravvivere però con alcuni problemi: cioè le<br />

cellule negli organismi complessi hanno come comune denominatore il fatto che producono<br />

energia. L’energia necessaria per la loro sopravvivenza viene prodotta principalmente (in molti casi<br />

esclusivamente), all’interno dei mitocondri utilizzando dei processi ossidativi.<br />

I processi ossidativi sono quei processi in cui si produce l’energia mentre si consuma ossigeno: una<br />

parte di questa energia diventa utilizzabile sottoforma di ATP, la maggior parte (l’80%) di questa<br />

energia rimane inutilizzata e viene dispersa nell’ambiente sottoforma di calore.<br />

Il calore del nostro corpo deriva dal fatto che la maggior parte dell’energia che viene prodotta a<br />

livello cellulare rimane inutilizzata.<br />

Quando vi sono processi ossidativi, cioè quando si utilizza l’ O2 inesorabilmente si producono<br />

sostanze tossiche dell’ossigeno che vengono abitualmente chiamate ROS (specie reattive<br />

dell’ossigeno) o radicali liberi (Condorelli non sarebbe d’accordo).<br />

I radicali liberi danneggiano le componenti della cellula e prima o poi questo danneggiamento<br />

ucciderà la cellula. Quindi in tutti gli organismi pluricellulari che usano prevalentemente i<br />

meccanismi ossidativi, quest’ultimi sono associati costantemente <strong>alla</strong> produzione di ROS che<br />

inesorabilmente determinano un danno della cellula che li sta producendo.<br />

E’ una classica dimostrazione della differenza tra entropia ed entalpia, cioè il secondo principio<br />

della termodinamica.<br />

Il II principio della termodinamica si può riassumere con “chi mangia fa molliche”<br />

Quando la cellula viene danneggiata e muore si procede <strong>alla</strong> sua sostituzione, per cui il<br />

rinnovamento cellulare è una caratteristica costante.<br />

5


I globuli rossi vengono rinnovati ogni 4 mesi.<br />

Le cellule della pelle ogni 3 settimane.<br />

Le cellule della mucosa gastrica ogni 8 ore (in quel caso anche l’HCl è responsabile)<br />

Il problema deriva dal fatto che esistono delle cellule che non possono riprodursi, ad es. quelle del<br />

sistema nervoso. Il sistema nervoso infatti deve rimanere immutato nel tempo per immagazzinare le<br />

informazioni man mano che queste vengono acquisite.<br />

Di fatto se venissero cambiate ogni 3 mesi, ogni 6 mesi queste cellule verrebbe azzerata (in termini<br />

di ricordi e capacità) la propria vita e si dovrebbe ripartire da quel momento.<br />

Ne deriva che con il passare del tempo, prima o poi le cellule del sistema nervoso vengono<br />

inesorabilmente danneggiate e iniziano a morire con tutti i problemi legati inesorabilmente <strong>alla</strong><br />

vecchiaia.<br />

La vecchiaia è una terribile malattia di cui tutti speriamo di ammalarci (Plinio il Vecchio)<br />

Qualsiasi sistema vivente è un sistema a termine.<br />

Come si fa quindi a risolvere il problema della morte?<br />

In natura è stato creato un modo per sopperire a questo problema, cioè quello di trasferire i propri<br />

geni a un nuovo organismo, il quale trasferirà a sua volta i geni a un altro individuo.<br />

La riproduzione è la migliore soluzione che si è trovata in cui non sopravvive il singolo individuo,<br />

ma sopravvivono i suoi caratteri.<br />

Altre strade come la clonazione si sono rivelate un fallimento perché le cellule degli animali clonati<br />

sono già vecchie, con i processi di invecchiamento già avviati.<br />

Agli apparati che sono stati ricordati bisogna aggiungere un nuovo apparato che ciascuno di noi<br />

deve possedere e cioè l’apparato riproduttivo, lo strumento che consente a ciascuno di noi di<br />

trasferire in un nuovo individuo il 50% dei suoi geni, in modo tale da garantire in questo modo la<br />

sopravvivenza dei propri geni nei discendenti.<br />

Ciascuno di noi possiede geni che hanno centinaia di migliaia di anni.<br />

Questi geni sono stati pazientemente trasferiti da una generazione all’altra (la media di<br />

trasferimento generazionale è di 25 anni) per riuscire a garantire questa continuità.<br />

Il vantaggio della riproduzione sessuata, che senza dubbio è più complicata di quella asessuata<br />

perché per generare un individuo ne servono due, consiste nel fatto che mentre l’individuo che si<br />

genera nella riproduzione asessuata è la copia di quello da cui deriva, nella riproduzione sessuata il<br />

nuovo individuo è sempre diverso dal precedente, perché miscela di due genotipi.<br />

Questo garantisce la possibilità di adattamento in seguito al rimescolamento genetico.<br />

In questo semestre vengono definite le leggi di chimica e di fisica che sono <strong>alla</strong> base del<br />

funzionamento degli organismi viventi a livello della singola cellula.<br />

Nel II semestre si inizierà a parlare di apparati, a partire d<strong>alla</strong> vita vegetativa, quindi gli apparati<br />

cardiocircolatorio, digerente, respiratorio e il rene.<br />

L’anno prossimo si passerà d<strong>alla</strong> vita vegetativa <strong>alla</strong> vita di relazione, quindi il sistema nervoso e<br />

l’endocrino.<br />

6


Biofisica della circolazione<br />

Lezione 2 - prof. Perciavalle<br />

Oggi iniziamo a parlare di biofisica della circolazione cercando di individuare alcuni concetti<br />

chiave che vi dovranno essere di aiuto quando faremo le parti più strettamente fisiologiche.<br />

La circolazione è una definizione che si riferisce all’apparato circolatorio, formato dall’interazione<br />

di tre componenti:<br />

un liquido, definito sangue, che si muove<br />

all’interno di un sistema chiuso di tubi, i vasi sanguigni<br />

spinto da una pompa detta cuore.<br />

Noi dovremo capire quali sono le leggi di fisica, in termini di applicazione biofisica, che regolano il<br />

movimento del sangue all’interno di questo sistema. Il sangue è un fluido, quindi quello che<br />

affermeremo per il sangue ha validità generale per qualunque fluido che si muove all’interno di un<br />

sistema (quindi vale per l’urina che si muove nelle vie urinarie o per l’aria che si muove nelle vie<br />

aeree). Qualunque fluido che si muove all’interno di un sistema di condotti obbedisce a delle leggi.<br />

Quando noi parliamo di cuore, è noto che esso può essere diviso in 2 metà, che d<strong>alla</strong> vita fetale in<br />

poi non comunicano tra loro. Vi è una metà dx e una metà sx ed ognuna di esse, in posizione<br />

ortostatica è formata da una parte superiore chiamata atrio e una parte inferiore detta ventricolo.<br />

Tutto ciò che il cuore riceve arriva sempre negli atri, invece tutto ciò che il cuore manda esce<br />

sempre dai ventricoli.<br />

Gli atri rappresentano quindi la sezione di entrata del sistema cuore, i ventricoli rappresentano la<br />

sezione di uscita.<br />

In <strong>fisiologia</strong> e poi in clinica le due metà del cuore vengono considerate come entità separate (infatti<br />

in futuro si parlerà di malattie del cuore di dx o malattie del cuore di sx), e lo possiamo anche<br />

rappresentare graficamente (disegnare): infatti considerando il cuore dx avremo un atrio dx<br />

superiormente ed un ventricolo dx inferiormente. Tutto ciò che arriva all’atrio dx giunge attraverso<br />

le vene cave mentre tutto ciò che esce dal ventricolo dx utilizza l’arteria polmonare e ovviamente<br />

uno schema simile può essere costruito per il cuore sx.<br />

Ovviamente il termine arteria polmonare ci fa comprendere che essa si porta al polmone: nel<br />

polmone vi sono dei capillari, poi si formano delle vene dette vene polmonari che riportano il<br />

sangue al cuore, <strong>alla</strong> metà sx del cuore, precisamente all’atrio sx. Anche qui vi è un’arteria detta<br />

arteria aorta che esce dal ventricolo sx per fornire una serie di vasi che anch’essi daranno origine a<br />

capillari per cui il circuito riprende.<br />

Ciò che si evince da questo schema è che il sistema circolatorio, d<strong>alla</strong> nascita in poi, è un sistema<br />

chiuso di vasi in cui il sangue si muove passando prima nel cuore dx e subito dopo nel cuore sx: in<br />

termine tecnico si dice che cuore dx e cuore sx sono montati in serie, per cui un globulo rosso è<br />

costretto, data l’organizzazione, prima nella parte dx e poi in quella sx del cuore.<br />

In definitiva, come l’anatomia ci insegna, tutto ciò che interessa di questo discorso è rappresentato<br />

dai due sistemi capillari del circolo polmonare e del circolo sistemico, perché questa i capillari<br />

sono l’unica parte del sistema in cui le pareti sono permeabili e consentono lo scambio fra interno<br />

ed esterno dei vasi.<br />

Nei capillari polmonari ad esempio penetra ossigeno e fuoriesce l’anidride carbonica mentre nei<br />

capillari del circolo sistemico succede esattamente il contrario: fuoriesce ossigeno verso le cellule<br />

ed entra anidride carbonica sottratta ai tessuti.<br />

Il sistema quindi può essere analizzato secondo due criteri: anatomico o funzionale.<br />

7


Da un punto di vista anatomico, tracciando una linea orizzontale, si può dividere la circolazione<br />

in due metà: quello che sta sopra si chiama piccolo circolo o circolo polmonare, quello che sta<br />

sotto si chiama grande circolo o circolo sistemico.<br />

La circolazione polmonare nasce dal ventricolo dx e include arterie polmonari, capillari polmonari,<br />

vene polmonari e finisce a livello dell’atrio sx. La grande circolazione parte dal ventricolo sx e<br />

include l’aorta, tutti i rami che nascono dall’aorta, i capillari e le vene che confluiscono nelle vene<br />

cave superiore e inferiore che sboccano nell’atrio dx con il ripetersi del ciclo.<br />

Se invece si traccia una linea verticale che passa per i capillari, possiamo considerare il sistema da<br />

un punto di vista fisiologico e possiamo analizzare una differenza funzionale: nella parte sinistra<br />

avremo un sangue ricco di ossigeno e povero di anidride carbonica: questo sangue giunge al cuore<br />

sx mediante le vene polmonari, il cuore sx lo metterà nella aorta che provvederà a far arrivare<br />

questo sangue ricco di ossigeno ai tessuti.<br />

A livello tissutale l’ossigeno viene ceduto alle cellule e il sangue acquista l’anidride carbonica,<br />

cambiando naturalmente le pressioni parziali di O2e di CO2: il sangue venoso è povero di ossigeno e<br />

ricco di anidride carbonica e attraverso le vene cave tornerà al cuore dx e da esso si dipartirà<br />

nuovamente l’arteria polmonare che porterà tale sangue ai polmoni con l’obiettivo di eliminare la<br />

CO2 e acquistare l’ossigeno.<br />

In termine tecnico sangue ricco di O2 significa che la pressione parziale di O2 è nell’ordine dei 100<br />

mmHg, povero di CO2 significa che la pressione parziale di CO2 si arresta al di sotto dei 40 mmHg:<br />

questo sangue povero di CO2 e ricco di O2 si chiama arterioso, dal colore rosso vivo.<br />

Invece il sangue dal colore rosso scuro, povero di ossigeno, prende il nome di sangue venoso e ha<br />

una PO2 intorno ai 40 mmHg, mentre la pressione parziale di CO2 è intorno ai 46 mmHg.<br />

· L’aggettivo venoso e l’aggettivo arterioso non derivano dal fatto che il sangue si trova in<br />

un’arteria o in un vena (infatti ad esempio il sangue arterioso si trova anche nelle vene polmonari),<br />

non è quello il problema: l’aggettivo venoso e l’aggettivo arterioso derivano solo dalle pressioni<br />

parziali di O2 e di CO2.<br />

E così, inoltre, una vena non è un vaso che contiene sangue venoso oppure una arteria non è un vaso<br />

che contiene sangue arterioso, il concetto di vena e di arteria deriva solo da un’altra considerazione,<br />

cioè la direzione del flusso sanguigno: centripeta nelle vene, centrifuga nelle arterie.<br />

Qualsiasi vaso porti via sangue dal cuore è un’arteria, qualunque vaso porti sangue verso il cuore è<br />

una vena, indipendentemente che al suo interno si trovi sangue venoso o sangue arterioso.<br />

§ È dunque solo la direzione centripeta o centrifuga che ci permette la distinzione tra vene ed<br />

arterie. In realtà i termini vena ed arteria risalgono ad osservazioni effettuate dai primi anatomici nel<br />

1500, Vesalio e Fabrizio D’Acquapendente ad esempio, i quali durante le dissezioni dei vasi si<br />

accorsero che tagliando una vena essa era piena di sangue, se invece tagliavano un’arteria era<br />

sempre vuota: la parola arteria significa proprio “priva di contenuto”, dunque era facile all’epoca<br />

distinguere in un cadavere una vena da un’arteria poiché se vi era sangue era vena, se non vi era<br />

sangue era arteria. (in seguito vedremo anche il perché, in particolare è un problema di pressione).<br />

Vediamo quali sono le leggi che regolano il movimento di un fluido all’interno di un sistema chiuso<br />

qual è la circolazione umana.<br />

Durante la vita fetale vi sono delle modificazioni.<br />

La prima di tali modificazioni ovviamente riguarda il fatto che il piccolo circolo non esiste, infatti<br />

durante la vita fetale il bambino non respira quindi non c’è motivo di mandare sangue al polmone:<br />

durante la vita fetale al polmone giunge circa l’1% del sangue rispetto a quello che giunge<br />

nell’adulto, questa piccola quota di sangue serve solo per nutrire il polmone ed evitare che esso<br />

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vada incontro ad atresia.<br />

Quindi nel feto l’ossigenazione non deriva d<strong>alla</strong> circolazione polmonare ma dal fatto che vi è<br />

qualcosa in più, la circolazione placentare, infatti nel feto la circolazione dell’addome dispone di un<br />

vaso aggiuntivo: dall’aorta addominale nascono dei vasi diretti <strong>alla</strong> placenta, le arterie ombelicali<br />

che portano sangue venoso <strong>alla</strong> placenta e a livello della quale viene addizionato d<strong>alla</strong> madre di<br />

ossigeno e privato dell’ anidride carbonica, attraverso le vene ombelicali, reflue d<strong>alla</strong> placenta,<br />

questo sangue, divenuto sangue arterioso, torna verso l’addome e diventa un ramo della vena porta,<br />

attraverso il fegato questo sangue arterioso raggiunge la vena sovraepatica e da lì va a finire <strong>alla</strong><br />

vena cava inferiore e quindi finalmente arriva dell’ossigeno in circolo nel feto.<br />

Quindi la circolazione sanguina pre e post natale sono molto differenti: il momento del parto per il<br />

bambino è drammatico perché il distacco della placenta non permette più di ricavare ossigeno d<strong>alla</strong><br />

madre, quindi appena la placenta si stacca il bambino ha un guaio poiché non riceve più ossigeno e<br />

quindi ha 6-7 minuti per mettere in funzione il polmone. Se entro quei 6-7 minuti il polmone<br />

funziona, arriva l’ossigeno e il cervello è salvo; se entro quei 6-7 minuti non arriva ossigeno dal<br />

polmone, i danni cerebrali diventano permanenti e si parla di paralisi cerebrale infantile che il<br />

nascituro porta con sé per tutta la vita sotto forma di spasticità o altre forme cliniche che sono<br />

irreversibili.<br />

Noi per adesso ci limiteremo ad analizzare l’adulto e quindi:<br />

una pompa, il cuore<br />

un liquido, il sangue<br />

Anche se si parla di liquido, il sangue in realtà è un tessuto, costituito da cellule immerse, anziché in<br />

un tessuto vischioso, nel plasma che è formato per il 99% da acqua e che quindi sono abbastanza<br />

libere di muoversi le une rispetto alle altre.<br />

Si può calcolare che in un uomo adulto, se si prende un litro di sangue, poco meno della metà,<br />

quindi il 45% è formato da cellule, il resto cioè la parte acquosa detta plasma rappresenta il 55%:<br />

questo rapporto 45/55 viene definito ematocrito e risulta essere abbastanza costante nel tempo.<br />

* Il 45% di cellule nei maschi, nelle donne si arriva a stento al 40% quindi solitamente la donna<br />

possiede un ematocrito inferiore almeno del 5-6% rispetto ad un uomo di pari età, e questa<br />

differenza rimarrà per tutta la vita della donna d<strong>alla</strong> pubertà <strong>alla</strong> menopausa: le differenze tra<br />

maschi e femmine non vi sono o prima della pubertà o dopo la menopausa e questo dipende dagli<br />

ormoni sessuali.<br />

Per quanto riguarda la componente cellulare si ricordi che il 99% di tali cellule sono gli eritrociti,<br />

globuli rossi, che servono al trasporto dell’ossigeno nel sangue mediante l’emoglobina.<br />

Il restante 1% è costituito dalle altre cellule del sangue e cioè i leucociti (globuli bianchi) e le<br />

piastrine.<br />

La maggior parte del sangue è formato dagli eritrociti, inconfondibili perché non hanno il nucleo.<br />

L’altra parte , il 55%, è la parte liquida, cioè il plasma che rappresenta la parte privata di cellule.<br />

Quindi 45/55 per l’uomo, e 40/60 per la donna sono dei valori di ematocrito abbastanza normali.<br />

Se si considera 1 litro si sangue e di questo se ne prende un milionesimo di litro, quindi 1 l (o 1<br />

mm³) un uomo possiede 5 milioni di globuli rossi, una donna circa 4,5 milioni e tra l’altro i globuli<br />

rossi nei maschi sono un po’ più grandi quindi contengono una quantità maggiore di emoglobina<br />

rispetto ai globuli rossi delle donne.<br />

# In un individuo di sesso maschile vi è una maggiore concentrazione di Hb, 160-170 gr per litro,<br />

mentre in una donna circa 120-130 gr per litro.<br />

Inoltre una donna possiede meno litri di sangue, a parità di peso corporeo, rispetto ad un uomo:<br />

un maschio ha 80-85 ml di sangue per kg di peso corporeo, una femmina ne possiede circa 70-75 ml<br />

per kg di peso corporeo.<br />

Quindi le donne, tra la pubertà e la menopausa, hanno una significativa inferiorità sia in termini di<br />

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quantità di sangue sia in termini di cellule che costituiscono il sangue e quindi anche di quantità di<br />

emoglobina Hb per il trasporto dell’O2.<br />

C’è un motivo di base: una donna, fra la pubertà e la menopausa, è formata per il 25% da grassi,<br />

quindi il peso di una ragazza normopeso di 1,60 m e di 50 kg, è dato per il 25% da grassi; un<br />

maschio normopeso di 1,70 m che pesa 65 kg non supera mai il 12% di grassi: la differenza è che la<br />

parte non occupata da grasso nel maschio è formata da tessuto muscolare.<br />

Quindi più tessuto muscolare meno tessuto adiposo nell’uomo, mentre nella donna più tessuto<br />

adiposo ovviamente a spese del tessuto muscolare.<br />

Questa differenza presuppone dei vantaggi ma anche degli svantaggi, ad esempio nelle donne, il<br />

fatto che il pannicolo adiposo sia più sviluppato che nei maschi, assicura una migliore protezione<br />

nei confronti della termodispersione, cioè per intenderci quando una ragazza va in acqua perde<br />

calore in quantità inferiore rispetto ad un maschio.<br />

Inoltre è opportuno ricordare che i grassi hanno un peso specifico inferiore a quello del tessuto<br />

muscolare: 1 litro di tessuto muscolare pesa 1 kg, mentre 1 litro di tessuto adiposo pesa 700 gr,<br />

quindi una ragazza ha un rapporto volume/peso più favorevole rispetto ad un maschio.<br />

§ Questo rappresenta ad esempio un vantaggio nel nuoto perché una ragazza galleggia più<br />

facilmente e disperde il calore meno velocemente: questo ci spiega ad esempio perché nelle gare di<br />

nuoto di lunga durata vincono sempre le donne, non c’è partita.<br />

Ogni 2-3 anni viene tenuta una gara di nuoto che consiste nella traversata dello stretto di Bering,<br />

che separa l’Alaska d<strong>alla</strong> Siberia, ebbene non solo hanno vinto solo donne, ma nessun maschio ha<br />

mai finito la gara! Poiché ovviamente la termodispersione è tale che i maschi non riescono a finire<br />

la gara.<br />

Una ragazza ha una capacità di trasportare l’ossigeno nel sangue del 20% inferiore rispetto a quella<br />

di un ragazzo perché come visto ha meno sangue, meno globuli rossi, meno Hb.<br />

§ Questa osservazione aveva portato <strong>alla</strong> conclusione che una donna è meno adatta a compiere<br />

prestazioni che richiedono ossigeno, cioè lavoro aerobico e quindi con questa strana idea<br />

(è esattamente al contrario poi vedremo) fino agli anni 80 alle olimpiadi alle donne venivano<br />

proibite certe gare di lunga durata come la maratona. Solo a partire dagli anni 80 le donne sono state<br />

ammesse a tali gare e considerando i tempi registrati è possibile affermare che nel corso degli anni<br />

si avrà parità di prestazioni.<br />

La vera differenza non è nel lavoro aerobico ma nel lavoro anaerobico, nella forza esplosiva:<br />

lì non c’è partita tra maschi e femmine. Ad esempio ci saranno 4 donne al mondo che corrono i 100<br />

m in meno di 11 secondi, invece ci sarà qualche milione di uomini che corre i 100 m in meno di 11<br />

secondi, addirittura c’è chi li corre in meno di 10 s.<br />

( Il record mondiale di sollevamento pesi femminile è di 130 Kg, mentre il record mondiale di<br />

sollevamento pesi maschile è di 247 Kg, il che significa che lui solleva lei mentre solleva i pesi<br />

L’obiettivo di oggi è fornire le linee guida delle leggi che regolano la circolazione.<br />

I primi studi a cui faremo riferimento risalgono <strong>alla</strong> fine del 400’ , quando Leonardo da Vinci iniziò<br />

a studiare le leggi che regolano il movimento dei fluidi, il primo vero grande fisico dell’idraulica fu<br />

dunque Leonardo.<br />

Leonardo era interessato all’idraulica per motivi tutt’altro che nobili perché in quell’epoca Firenze<br />

era in guerra con Pisa e Leonardo studiava per cercare di deviare il fiume Arno e non far arrivare<br />

acqua a Pisa, dunque i primi studi avevano come obiettivo quello di creare un disagio. Però, nel fare<br />

questo, scoprì un fenomeno che è la prima legge che verrà analizzata e prende il nome di legge di<br />

Leonardo, la quale stabilisce questo: se si ha un circuito chiuso, cioè in cui il liquido non può ne<br />

entrare ne uscire ed è costretto a muoversi all’interno di esso, se ci si mette in un punto qualunque e<br />

si va a vedere quanto liquido passa in un minuto, per esempio 5 litri in un minuto, in quello stesso<br />

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istante in qualunque altro punto del circuito passeranno 5 litri al minuto, cioè in un sistema chiuso la<br />

portata, o flusso, è uguale in tutti i punti del circuito (legge dell’equivalenza delle portate o legge di<br />

Leonardo).<br />

Questa è la prima grande osservazione da cui partì lo studio della moderna idrodinamica.<br />

La legge dell’equivalenza delle portate fu un fenomeno interessante, Leonardo infatti aveva notato<br />

un fenomeno noto : se in un punto del circuito si <strong>alla</strong>rga il tubo, facendolo diventare più grande, la<br />

velocità del flusso rallenta; se il tubo si restringe, la velocità del flusso aumenta, ma la quantità di<br />

flusso cioè il numero di litri che in un minuto attraversa la sezione è costante. Per cui se la sezione è<br />

più piccola affinché passino sempre 5 litri/minuto il flusso deve essere più veloce, se invece la<br />

sezione è più grande deve essere più lento; quindi cambia la velocità e non la portata (o fluido) che<br />

è costante e naturalmente la velocità del flusso è inversamente proporzionale <strong>alla</strong> sezione.<br />

Dunque tutte le volte che la sezione si <strong>alla</strong>rga il flusso rallenta e tutte le volte che la sezione<br />

diminuisce il flusso accelera ma quanto fluido passa nella sezione, nell’unità di tempo, è costante,<br />

non cambia. Questo è il contributo di Leonardo, che però non conosceva una cosa…<br />

La svolta avviene circa 100 anni dopo, nel 600’ in Svizzera, dove si verificò un fenomeno curioso:<br />

all’interno della stessa famiglia nacquero una serie di matematici e fisici, la stessa famiglia per 200<br />

anni ha fornito fisici e matematici <strong>alla</strong> scienza, la famiglia Bernoulli.<br />

Tra i tanti Bernoulli vi fu Joan, il quale si occupava di dinamica dei fluidi però indirettamente,<br />

poiché egli in realtà si occupava di un altro concetto: fu il primo a studiare il concetto di energia.<br />

Egli affermava che se qualcosa si muove è perché possiede una energia cinetica che permette,<br />

appunto, a questa particella di potersi muovere, e quindi egli si pone la seguente domanda:<br />

se si cambia la sezione del condotto e la particella rallenta significa che è cambiata la sua energia<br />

cinetica, se rallenta vuol dire che ha una minore energia cinetica o se accelera vuol dire che ha una<br />

maggiore energia cinetica. Quindi Bernoulli si chiede: quando la particella rallenta e ha meno<br />

energia cinetica, l’energia in meno dove è andata a finire? E quando accelera e quindi ha una<br />

maggiore quantità di energia cinetica, l’energia in più da dove l’ha presa?<br />

Questa è la domanda che si pose Bernoulli, per Leonardo era ancora troppo presto perché non aveva<br />

il concetto di energia.<br />

Quindi Bernoulli introduce un altro concetto: l’energia cinetica è solo una parte dell’energia che la<br />

particella possiede, infatti la particella possiede una quantità di energia X totale, una parte della<br />

quale in un certo momento si manifesta come velocità, il resto rimane energia potenziale.<br />

Quindi se si ha un valore 100 di energia, con un condotto di un certo diametro, il 5% sarà energia<br />

cinetica mentre il 95% rimane energia potenziale; se il condotto si restringe aumenterà la velocità<br />

cioè l’energia cinetica ma al tempo stesso diminuisce l’energia potenziale, ad esempio avremo 15<br />

con 85: ne deriva che l’energia totale non cambia, quindi Bernoulli introduce il principio di<br />

conservazione dell’energia secondo il quale l’energia totale del sistema è sempre uguale e quello<br />

che cambia è come tale energia si manifesta.<br />

Inoltre Bernoulli dà una definizione molto interessante di energia potenziale perché egli dice: se si<br />

prende un condotto e all’interno di questo condotto si muove una particella con una certa velocità,<br />

ovviamente è facile sapere qual è l’energia cinetica della particella poiché basta conoscere la<br />

velocità e la massa (1/2 mv²) , ma l’energia potenziale come si calcola?<br />

Egli afferma che l’energia potenziale è quella che si manifesta come pressione, forza esercitata<br />

perpendicolarmente contro la parete del condotto.<br />

Quindi in realtà un fluido esercita 2 vettori: un vettore perpendicolare contro la parete che<br />

rappresenta l’energia potenziale, l’altro è lo spostamento in avanti e coincide con l’energia cinetica.<br />

E come fa Bernoulli a provare quello che dice? Egli fece degli esperimenti molto ingegnosi e<br />

abbastanza convincenti: prese un tubo di vetro in cui faceva muovere un liquido e mise<br />

perpendicolare un secondo tubo di vetro per cui il liquido movendosi nel tubo saliva anche in quello<br />

perpendicolare raggiungendo un certo livello. Questo livello (mmHg) è la pressione del liquido<br />

contro la parete del vaso e cioè l’energia potenziale. Se però il tubo anziché farlo perpendicolare lo<br />

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faceva orientato ad L contro la direzione del flusso, il liquido andava un po’ più in alto. Allora egli<br />

cosa diceva: questa è l’energia potenziale, mentre la differenza tra questa e questo è il vettore di<br />

spinta cioè l’energia cinetica e quindi con questi due semplici tubi (quello inserito<br />

perpendicolarmente e quello ad L con direzione opposta al flusso, questa tecnica ricordate si chiama<br />

piezometria in fisica), con questa banale sperimentazione dimostrò che esiste una quota cinetica ed<br />

una quota potenziale.<br />

Se lui <strong>alla</strong>rgava il condotto vedeva che l’altezza di una colonna diminuiva mentre nel tubo ad L la<br />

quota cinetica diventava più alta però il livello finale era sempre lo stesso, l’energia totale era<br />

sempre la stessa.<br />

Quindi introduce un concetto: quando un fluido si muove nei condotti e si applica una variazione di<br />

raggio del condotto, il fluido subisce una modifica nella sua velocità cioè cambia il modo in cui<br />

l’energia si manifesta, tutte le volte che il raggio diminuisce aumenta l’energia cinetica a spese però<br />

dell’energia potenziale e viceversa tutte le volte che il raggio aumenta si ha un rallentamento del<br />

flusso cioè diminuisce l’energia cinetica ma ovviamente aumenta l’energia potenziale.<br />

* Questa in medicina è una legge fondamentale, perché spiega l’insorgenza di alcune patologie a<br />

carico dell’apparato circolatorio. Per esempio, immaginate un’arteria in cui scorre del sangue che<br />

avrà una certa energia cinetica, non più del 5% , e una certa energia potenziale.<br />

Provate ad immaginare cosa accade se per un motivo qualunque la parete di questa arteria si<br />

indebolisce: se la parete si indebolisce, la pressione inizia a dilatare l’arteria, ma se l’arteria si dilata<br />

diminuisce l’energia cinetica e aumenta ancora di più l’energia potenziale: quindi la parete già non<br />

resisteva <strong>alla</strong> pressione iniziale e se aumenta l’energia potenziale essa si dilata ancora di più, se si<br />

dilata ancora di più rallenta maggiormente il flusso e aumenta l’energia potenziale che farà a sua<br />

volta dilatare maggiormente l’arteria, si mette in moto un meccanismo perverso autosostentativo<br />

che non si può bloccare e inesorabilmente porterà l’arteria a scoppiare (aneurisma), non c’è niente<br />

da fare è solo questione di tempo.<br />

Se tutto questo anziché in un’arteria avviene in una vena cambia solo il nome, anziché chiamarsi<br />

aneurisma si chiama varice.<br />

Sono patologie le varici nelle vene e gli aneurismi nelle arterie che vengono definite dagli<br />

Americani “one way” cioè a senso unico perché possono solo peggiorare ma non possono tornare<br />

indietro, se la parete si è dilatata come si torna a stringere? Se il medico è bravo può bloccarle ma<br />

certo non si torna indietro.<br />

E’ qui che la legge di Bernoulli manifesta tutta la sua gravità, quando una parete inizia a cedere e si<br />

crea questa spirale (che nelle vene diventerà varice e nelle arterie diventerà aneurisma) e anche gli<br />

stessi vasi prima o dopo cederanno.<br />

!! I maschi si ammalano di più di arterie e le donne si ammalano di più di vene per un motivo legato<br />

al collagene, i maschi e le femmine hanno un diverso connettivo e quindi un diverso collagene.<br />

Nelle arterie questo meccanismo è micidiale perché la rottura di un’arteria può causare emorragia<br />

interna e in pochi secondo il paziente è nei guai, mentre nelle vene è un processo molto più lento<br />

perché le pressioni sono minori, infatti nelle vene il rischio maggiore è che il sangue rallenta<br />

talmente tanto che inizia a coagulare e ad un certo punto si ha la formazione di un trombo che<br />

occlude il vaso (tromboflebite).<br />

E’ importante quindi che sia chiaro il “salto” fra Leonardo e Bernoulli: il salto è legato<br />

all’introduzione del concetto di energia.<br />

In realtà Bernoulli barava <strong>alla</strong> grande perché per farsi quadrare i conti introduce un concetto fasullo<br />

e cioè tutta la sua legge quindi il principio di conservazione dell’energia funziona perfettamente se<br />

si parte da un presupposto che non esiste, cioè che i liquidi siano ideali, cioè privi di attrito interno.<br />

Ma capite bene che in natura non esistono fluidi ideali, i liquidi sono reali in cui vi è attrito interno e<br />

cioè le molecole si urtano fra loro creando dispersione di energia.<br />

Quindi in condizioni reali non esiste una energia che gradualmente non va diminuendo, man mano<br />

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che l’attrito interno agisce, man mano che le molecole si urtano le une con le altre ovviamente<br />

l’energia del sistema va a diminuire.<br />

!! D’altra parte, il fatto stesso che esista il cuore è la prova che non esiste la conservazione<br />

dell’energia nei liquidi reali, perché voi capite che se l’energia venisse conservata sarebbe<br />

necessaria una sola sistole all’inizio e il sangue scorrerebbe per sempre.<br />

Il fatto che bisogna intervenire almeno 70 volte al minuto aggiungendo nuova energia attraverso un<br />

lavoro muscolare, significa che si devo rimpiazzare l’energia che è venuta meno a causa delle forze<br />

d’attrito.<br />

Quindi, il vero problema, dopo Bernoulli, fu di non studiare più i liquidi ideali che non esistono ma<br />

la necessità di cominciare a studiare liquidi reali, cioè dotati di attrito interno.<br />

E non fu facile, furono necessari altri 150 anni, bisogna arrivare agli inizi dell’800’ quando<br />

separatamente un francese e un tedesco cominciarono ad analizzare questi problemi.<br />

Poiseulle in Francia e in Germania Hagen, furono i primi a studiare sistematicamente i liquidi reali,<br />

lavorando ognuno all’insaputa dell’altro, partirono da punti diversi e arrivarono alle medesime<br />

conclusioni.<br />

Essi introducono un concetto: se si ha un fluido che si muove all’interno di un condotto, questo<br />

fluido ha bisogno di una spinta, ha bisogno di energia che è possibile chiamare pressione, la quale<br />

serve per vincere una resistenza dovuta alle forze di attrito interne del sistema.<br />

Viene per la prima volta introdotto il concetto di resistenza che si oppone al flusso, quindi il flusso<br />

cresce se cresce la pressione che lo spinge, il flusso decresce se cresce la resistenza che si oppone<br />

<strong>alla</strong> spinta pressoria. Quindi per la prima volta il movimento di un fluido all’interno di un condotto<br />

viene ad essere considerato tenendo conto dell’attrito interno, che quindi il sistema è reale e dotato<br />

di resistenza che si oppone al movimento del fluido.<br />

Hagen si concentrò principalmente sul concetto di pressione e Poiseulle su quello di resistenza.<br />

Cosa vide Hagen? Hagen osservò una cosa molto interessante e cioè che il flusso non è<br />

proporzionale <strong>alla</strong> pressione assoluta ma è proporzionale <strong>alla</strong> differenza di pressione che vi è agli<br />

estremi del condotto. Quindi introduce il concetto di gradiente di pressione, cioè non conta la<br />

pressione assoluta ma conta la (p ovvero la differenza di pressione tra l’inizio e la fine.<br />

§ Vi faccio un esempio: se ho un vaso e in un certo punto ho una pressione di 100 e in un altro una<br />

pressione di 99, il gradiente reale è 1 mmHg; se consideriamo un altro vaso dove in un punto c’è<br />

una pressione di 5 e in un altro una pressione di 3, si ha un gradiente di 2 mmHg che è il doppio<br />

del gradiente precedente: le pressioni assolute sono molto più basse ma ciò che conta non è la<br />

pressione assoluta ma la differenza di pressione agli estremi del condotto.<br />

Per la prima volta viene presa in considerazione il concetto di gradiente di pressione cioè di<br />

differenza di pressione.<br />

Il flusso cresce se cresce il gradiente pressorio, il flusso decresce se decresce se decresce il<br />

gradiente pressorio, il flusso non esiste se non c’è una differenza di pressione.<br />

F = p<br />

R<br />

Quindi per la prima volta viene analizzata cosa realmente serva per creare una spinta e Hagen per<br />

primo dimostra che non conta il valore assoluto di pressione ma quello che conta è soltanto la<br />

differenza tra il valore all’inizio del condotto e il valore <strong>alla</strong> fine del condotto.<br />

Se questa differenza cresce, quindi se la p cresce, cresce anche il flusso: il flusso è direttamente<br />

proporzionale al gradiente pressorio.<br />

Il grande contributo di Hagen è quello di aver introdotto il concetto di gradiente pressorio,<br />

per chi si occuperà di circolatorio, farà il cardiologo e si occuperà di emodinamica vedrà qual è<br />

l’importanza della misurazione del gradiente.<br />

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Ricapitoliamo:<br />

1. Leonardo: introduce il concetto di equivalenza delle portate. In un sistema chiuso dove il<br />

liquido non può né entrare né uscire, né essere aggiunto né essere tolto, il flusso è uguale in tutti i<br />

punti del sistema. Questo naturalmente vale anche per l’uomo, quindi se si considera l’aorta e in<br />

certo momento da essa passano 6 litri/min , in qualunque altro punto in quel momento passeranno 6<br />

litri/min (dalle vene cave passeranno 6 litri/min, dai capillari polmonari passeranno 6 litri/min).<br />

Naturalmente il fatto che il flusso sia costante non vuol dire che sia costante la velocità e cioè se io<br />

<strong>alla</strong>rgo o restringo il condotto, il sangue che scorre rallenta o accelera però attenzione: l’obiettivo<br />

finale è mantenere costante la portata e quindi se il condotto si <strong>alla</strong>rga io rallento per mantenere<br />

costante il flusso di 6 litri/min, se il condotto si restringe io accelero per avere sempre 6 litri/min. Il<br />

flusso si mantiene costante, ciò che cambia è la velocità: al diminuire del raggio aumenta la<br />

velocità, all’aumentare del raggio diminuisce la velocità.<br />

2. Bernoulli introduce il concetto di energia. Egli chiarisce che un rallentamento o una<br />

accelerazione vogliono dire che vi è una quota di energia in più o in meno, ma da dove proviene<br />

l’energia in più e dove va a finire l’energia in meno. E introduce il concetto di energia totale: in<br />

realtà l’energia è sempre uguale, varia la forma con cui essa si manifesta. Il fluido che si muove nel<br />

condotto possiede una quota di energia cinetica, minore, il resto rimane sottoforma di energia<br />

potenziale. Quindi siccome rimane sottoforma di energia potenziale, si manifesta<br />

perpendicolarmente contro la parete del vaso, per cui si capisce che se si rallenta sempre di più il<br />

flusso del sangue, quando si ferma esso avrà solo energia potenziale, che si esercita<br />

perpendicolarmente come pressione idrostatica.<br />

*Naturalmente questa osservazione ha delle implicazioni mediche importanti, se aumenta l’energia<br />

cinetica diminuisce l’energia potenziale e ciò si verifica quando il vaso si restringe.<br />

Se invece il vaso si dilata si verifica il contrario: diminuisce l’energia cinetica e aumenta nettamente<br />

l’energia potenziale. Nel momento in cui la parete del vaso si indebolisce per un motivo qualunque,<br />

perché ad es. le pareti delle vene e delle arterie non sono ferro o plastica ma tessuti vivi che per<br />

rimanere tali possiedono una loro circolazione, i vasa vasorum: se si rompono i vasa vasorum<br />

s’indebolisce l’intero sistema parete-vaso.<br />

Una patologia dei vasa vasorum diventa una tragedia per l’aorta, per le vene cave, una tragedia della<br />

safena, perché naturalmente facendo venire meno fibroblasti e collagene si indebolisce la resistenza<br />

di parete e la pressione idrostatica prima o poi causerà aneurisma o varice.<br />

Quindi tutte le malattie dei piccoli vasi, vasa vasorum, ad esempio nel diabete, diventano patologie<br />

a carico dei grandi vasi, ad es. con rottura dell’aorta.<br />

Quindi la microangiopatia diabetica diventa macroangiopatia a carico principalmente dell’aorta, dei<br />

vasi retinici e così via. Il diabete è al primo posto in Italia e su 60milioni di abitanti, il 5% della<br />

popolazione è diabetica: ci sono 3 milioni di diabetici dei quali la metà non è a conoscenza di essere<br />

diabetico. In questi individui la microangiopatia agisce e porta inesorabilmente ad una serie di<br />

conseguenze: il diabetico è 10 volte di più a rischio di ictus cerebrale, 10 volte più a rischio di<br />

infarto del miocardio, il diabete è la prima causa di cecità perché si rompono i vasi retinici, è la<br />

prima causa di amputazione ad esempio delle gambe, dei piedi a causa dei danni agli arti inferiori. *<br />

Questo ci fa capire come si creano delle situazioni in cui questi fenomeni fisici diventano<br />

inarrestabili: nelle donne ad esempio la facilità con cui insorgono le varici a carico degli arti<br />

inferiori, ad esempio della safena, deriva dal fatto che nelle donne il collagene è meno efficiente<br />

rispetto a quello degli uomini e quindi la stessa pressione che nel maschio è bilanciata da una parete<br />

vasale più robusta , nelle donne è invece molto meno resistente. In un maschio le uniche varici<br />

frequenti sono quelli che interessano il plesso venoso pampiniforme del testicolo, il cosiddetto<br />

varicocele, cioè le varici delle vene del testicolo.<br />

* La sifilide è una malattia dei piccoli vasi ma i sifilidici morivano per rottura dell’aorta<br />

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Lezione 3 - prof. Perciavalle<br />

L’ultima volta, descrivendo la dinamica dei fluidi, eravamo arrivati ad introdurre Hagen e<br />

Poieseuille e cioè un liquido reale che nel muoversi incontra una resistenza.<br />

Finora si è parlato di legge dell’equivalenza delle portate di Leonardo e soprattutto del teorema di<br />

Bernoulli, le quali affermavano che in un liquido ideale l’energia era costante e cambiava solo il<br />

modo con cui si manifestava. Ma in natura non ci sono liquidi ideali, ci sono liquidi reali e gas reali,<br />

con le molecole che si urtano le une contro le altre e quindi con attriti interni che progressivamente<br />

nel tempo disperdono l’energia che la molecola possiede.<br />

Se non fosse così basterebbe una sistole nella vita intrauterina per garantire una circolazione<br />

sanguigna perenne, ma non è così infatti se il cuore si ferma in pochi minuti andiamo incontro a<br />

decesso proprio perché si ferma la circolazione del sangue.<br />

Hagen e Poiseuille introducono una relazione a tre, fra:<br />

- il liquido che si muove, cioè il flusso<br />

- il gradiente pressorio necessario affinché il liquido possa muoversi<br />

- la resistenza, cioè l’attrito interno del sistema<br />

Hagen si è occupato principalmente di analizzare il problema del gradiente pressorio. Fu il primo a<br />

capire che ciò che conta non è la pressione assoluta ma solo la differenza di pressione che c’è agli<br />

estremi del condotto: quindi ciò che spinge il sangue è solo la p tra punto di partenza e punto di<br />

arrivo.<br />

Poiseuille fu il primo a capire cosa è la resistenza, in particolare lui usava tubi di vetro in cui faceva<br />

scorrere acqua arrivando a capire che la resistenza varia al variare di tre fattori:<br />

- lunghezza del condotto<br />

- raggio del condotto<br />

- viscosità del liquido che scorre nel condotto.<br />

Di questi fattori due dipendono dal condotto (lunghezza, raggio), la terza dipende dal liquido in<br />

movimento e cioè la sua viscosità.<br />

Se prendete due siringhe uguali e con una aspirate acqua e con l’altra aspirate olio, incontrate una<br />

resistenza differente: è chiaro che il fattore variabile non è la siringa ma la viscosità del liquido<br />

che cerchiamo di aspirare. Quindi il terzo parametro è la viscosità del liquido all’interno del<br />

condotto.<br />

R = 8 l <br />

r 4<br />

Poiseuille osservò che un fattore molto importante per la resistenza è il raggio, anzi la quarta<br />

potenza del raggio, infatti nella formula che egli introduce si deduce che la resistenza è<br />

inversamente proporzionale <strong>alla</strong> quarta potenza del raggio.<br />

Questo significa che se si considera un vaso di 2 cm e riduco il raggio del vaso da 2 a 1 cm (la<br />

metà), la resistenza aumenta di 16 volte!<br />

Cioè bastano minime variazioni di raggio per creare enormi variazioni di resistenza: in pratica per<br />

raddoppiare o dimezzare la resistenza basta cambiare il raggio di 1/16. Quindi se il raggio di un<br />

vaso passa da 15 a 16 mm la resistenza si dimezza, invece se il raggio passa da 16 a 15 mm,<br />

diminuisce di 1/16, la resistenza raddoppia.<br />

15


Quindi con minime variazioni di raggio si ottengono enormi variazioni della resistenza.<br />

E di contro se si ottengono enormi variazioni di resistenza, si ottengono di conseguenza variazioni<br />

degli altri 2 parametri.<br />

F = p<br />

R<br />

Se si mantiene costante la pressione varierà il flusso.<br />

Se si mantiene costante il flusso varierà la pressione.<br />

Quindi possiamo riscrivere la formula: F = p r 4<br />

8 l <br />

cioè sostituendo ad R il suo significato, e quindi il flusso F è direttamente proporzionale al<br />

gradiente pressorio moltiplicato r 4 e inversamente proporzionale <strong>alla</strong> viscosità e <strong>alla</strong> lunghezza<br />

del condotto. Cioè se si vuole aumentare il flusso si deve aumentare il gradiente pressorio oppure<br />

aumentare il raggio (vasodilatazione) oppure si deve diminuire la viscosità del liquido o il tragitto<br />

che il liquido deve percorrere (lunghezza vaso).<br />

Facciamo un esempio. Consideriamo la circolazione sanguigna del nostro corpo: tale circuito è<br />

chiuso. Ricordando la Legge di Leonardo, F è sempre costante quindi misurando quanto sangue<br />

passa nell’unità di tempo nel piccolo circolo o nel grande circolo sarà sempre uguale, circa 5<br />

litri/minuto. Se invece si misurano le pressioni, si osserva che all’inizio della circolazione generale<br />

vi è una pressione di 90 mmHg mentre <strong>alla</strong> fine è 0 mmHg: quindi la p è 90 mmHg.<br />

Se invece effetto la misurazione nella circolazione polmonare, osservo che la p è 15 mmHg.<br />

Allora ragioniamo: il gradiente di pressione (p) nel piccolo circolo è 7 volte minore rispetto al<br />

gradiente pressorio del grande circolo, infatti abbiamo 15 e 90 mmHg, eppure il flusso è uguale<br />

perché passano sempre 5 litri/minuto.<br />

La domanda da porsi è: perché per far muovere 5 litri/minuto di sangue, nel piccolo circolo è<br />

sufficiente un gradiente pressorio di 15 mmHg mentre nel grande circolo è necessario un gradiente<br />

7 volte maggiore? Perché evidentemente la resistenza è diversa, la resistenza che si incontra nel<br />

piccolo circolo è 7 volte minore rispetto <strong>alla</strong> resistenza che si incontra nel grande circolo.<br />

Ricordiamo la formula della resistenza R = 8 l <br />

r 4<br />

Cosa può variare nel piccolo circolo da determinare una R 7 volte inferiore?<br />

I parametri che si considerano per la resistenza sono lunghezza, viscosità e raggio, però<br />

chiaramente non può variare il raggio poiché non è pensabile ipotizzare che il raggio dei vasi del<br />

polmone (sommati quindi la sezione totale) sia maggiore del raggio dei vasi della circolazione<br />

generale che interessa tutto il corpo umano.<br />

Non può essere nemmeno la viscosità perché il sangue che circola è sempre lo stesso.<br />

Evidentemente è la lunghezza dei vasi. Cioè il tragitto cuore-polmoni e ritorno è mediamente 7<br />

volte inferiore rispetto al tragitto cuore-piedi e ritorno.<br />

E quindi essendo più piccola l (lunghezza vasi) sarà minore la resistenza complessiva, e quindi<br />

essendo 7 volte minore la resistenza complessiva per avere lo stesso flusso di 5 litri/minuto dovrà<br />

essere 7 volte inferiore anche la p.<br />

Infatti F = p . Se si riduce il denominatore deve ridursi anche il numeratore per ottenere lo stesso<br />

R risultato.<br />

16


Questa è la dimostrazione concreta che i parametri resistenziali sono questi tre: lunghezza, raggio e<br />

viscosità. D’altra parte capite bene anche un’altra cosa: la lunghezza di un vaso non si può<br />

modificare da un momento all’altro (mica posso allungare o accorciare l’aorta), né d’altra parte è<br />

facile modificare da un momento all’altro la viscosità del sangue, in pratica l’unico parametro che<br />

può variare da un momento all’altro è il raggio dei vasi, vi è la muscolatura liscia della parete<br />

soprattutto nei vasi di piccolo e medio calibro, che svolge proprio tale funzione e quindi serve a<br />

creare vasodilatazione o vasocostrizione.<br />

Inoltre tale modifica è anche conveniente, poiché con minime variazioni del raggio, con il minimo<br />

lavoro muscolare, si ottengono notevoli variazioni della resistenza perché R = 8l e quindi 1/16<br />

di raggio in più o in meno raddoppia o dimezza il fattore resistenziale r 4<br />

Quindi nella dinamica della circolazione in realtà l’unico parametro resistenziale che possiamo<br />

sfruttare per modificare da un momento all’altro i parametri emodinamici è il calibro dei vasi,<br />

soprattutto i vasi di piccolo e medio calibro che essendo i più numerosi sono quelli che è possibile<br />

sfruttare di più.<br />

Infatti i vasi in cui prevale la muscolatura liscia sono soprattutto le arteriole e le vene.<br />

Le grandi arterie e le grandi vene hanno una componente muscolare insignificante, a favore<br />

soprattutto del collagene che conferisce solidità. Quindi agendo sui piccoli e medi vasi che sono<br />

molto numerosi è possibile modificare la resistenza con poco lavoro, cioè con piccole variazioni di<br />

raggio.<br />

Quindi considerando la nostra formula F = p possiamo riscriverla in p = F R :<br />

R<br />

Questo significa che in un paziente con la pressione bassa, se si vuole provocare un aumento della<br />

pressione, o si provoca un aumento del flusso F oppure un aumento della resistenza R.<br />

Se ho un paziente che manifesta ipertensione ( pressione troppo elevata) si agisce facendo<br />

diminuire il flusso F oppure provocando una riduzione della resistenza R.<br />

Per provocare una diminuzione del flusso agisco sulla pompa cuore facendo pompare meno volte il<br />

cuore al minuto (invece di 5 litri/min, gli faccio pompare 4 litri/min ad esempio).<br />

Per causare una diminuzione della resistenza R agisco sui vasi provocando una vasodilatazione<br />

(ricordiamo che basta un aumento del raggio di 1/16 per avere un dimezzamento della resistenza).<br />

Questa è una formula molto importante, è necessario comprenderla appieno perché davanti ad un<br />

paziente ci fa capire come bisogna agire.<br />

I tre parametri resistenziali (viscosità, lunghezza e raggio) rappresentano tutto quello che avete a<br />

disposizione per poter “giocare” con il paziente.<br />

Ripetiamo ancora una volta: la legge di Hagen-Poiseuille stabilisce come si comporta un fluido<br />

reale, dotato di attrito interno, durante il movimento all’interno di un circuito chiuso.<br />

La formula F = p / R ci dice che questo fluido, per muoversi, ha bisogno di un gradiente pressorio<br />

(cioè energia) perché deve vincere una resistenza. Se la p è 0 il flusso è 0 ovvero se non c’è un<br />

gradiente pressorio non vi è movimento del fluido (questo vale per tutto non solo per il sangue).<br />

§ Se la vostra collega vuole far entrare aria nei polmoni: l’aria è un fluido, quindi vuole un flusso di<br />

aria dall’esterno all’interno e affinché vi sia un flusso ci vuole un gradiente pressorio.<br />

L’aria esterna ha una pressione di 760 mmHg, quindi all’interno deve essere minimo 759 mmHg<br />

per riuscire ad avere un gradiente pressorio che assicuri il flusso.<br />

Ma come si fa a far diminuire la pressione all’interno? Si sfrutta la legge di Boyle PV= k, la quale<br />

afferma appunto che pressione e volume sono inversamente proporzionali e quindi ogni volta che<br />

un gas viene espanso la sua pressione diminuisce, infatti ispirando aumenta il volume e diminuisce<br />

17


la pressione scendendo ad un valore inferiore rispetto <strong>alla</strong> pressione esterna: si crea un gradiente<br />

pressorio p che assicura l’ingresso dell’aria.<br />

!! Qual è l’errore che si commette? Si afferma: il volume della gabbia toracica aumenta perché è<br />

entrata l’aria. SBAGLIATO. È la dilatazione del torace (aumento volume) che permette<br />

l’ingresso dell’aria e non l’aria che provoca dilatazione.<br />

Come accade quando si vuole aspirare con una siringa.<br />

Quindi qualunque sia il fluido, liquido o gas, per muoversi necessita di una differenza di pressione,<br />

se essa è 0, non c’è flusso: né di sangue, né di urina, né di aria. Su questo non si scappa: se non c’è<br />

gradiente non c’è energia necessaria per vincere la resistenza, e per resistenza intendiamo sia la<br />

resistenza geometrica dovuta al raggio e <strong>alla</strong> lunghezza del condotto sia quella del fluido data d<strong>alla</strong><br />

sua viscosità.<br />

In realtà Hagen e Poiseuille hanno barato. Per farsi quadrare i calcoli hanno semplificato la<br />

situazione più del lecito, in quanto studiavano tubi di vetro in cui si muoveva acqua e invece:<br />

1- I vasi sanguigni non sono tubi rigidi come quelli di vetro. Sono condotti distensibili, dotati di una<br />

certa compliance e inoltre addirittura una parte di questa distensibilità è di natura elastica.<br />

Si capisce infatti che se si ha un tubo rigido e si aumenta la pressione l’unica cosa che può fare il<br />

liquido è procedere in avanti, ma se si un tubo distensibile e si aumenta la pressione non è detto che<br />

tale aumento provochi l’avanzamento del liquido: può accadere anche che ceda la parete del tubo<br />

ma il liquido non va in avanti. Dunque la distensibilità della parete è una variabile in più da<br />

considerare.<br />

E i vasi umani, i vasi reali, i vasi sanguigni sono distensibili .<br />

Le arterie sono distensibili, anche se non moltissimo, le vene invece sono molto distensibili.<br />

* In generale inoltre i vasi del piccolo circolo, a parità di calibro, sono più distensibili rispetto a<br />

quelli del grande circolo.<br />

Quindi dobbiamo capire in che modo tale caratteristica influenza la dinamica della circolazione,<br />

considerando che inoltre una quota di essa è di tipo elastico: quindi si capisce che una cosa è una<br />

parete che può cedere in seguito ad aumento di pressione e una cosa è una parete elastica che cede<br />

se la pressione aumenta ma che ritorna allo stato iniziale se la pressione diminuisce. Si tratta quindi<br />

di una variabile importante.<br />

2- Le proprietà dell’acqua sono molto diverse rispetto al sangue. L’acqua è un liquido newtoniano<br />

cioè un liquido formato solo da particelle di solvente, all’acqua potete aggiungere dei soluti, se i<br />

soluti si sciolgono perfettamente l’acqua rimane un liquido newtoniano.<br />

Ma se voi nell’acqua aggiungete dell’olio, come noto insolubile in acqua, come si comporta un<br />

liquido che contiene sia particelle in soluzione che particelle in sospensione?<br />

Esso non è più un liquido newtoniano e il sangue è un liquido non newtoniano, infatti in esso vi<br />

sono cellule, lipide, proteine…etc.<br />

La domanda che dobbiamo porci è la seguente: il comportamento nei vasi di un liquido non<br />

newtoniano come modifica la legge di Hagen e Poiseuille?<br />

3- Hagen e Poiseuille nei loro esperimenti facevano scorrere i liquidi lentamente.<br />

Ma cosa c’entra la velocità? In fisica si è studiato che quando un fluido supera una certa velocità<br />

detta critica, si raggiunge un numero detto di Reynolds e il fluido non si muove più in lamine<br />

ordinate ovvero con il cosiddetto flusso laminare, ma cominciano a crearsi delle turbolenze<br />

(nelle quali le particelle si urtano le une con le altre in maniera esponenziale) che causano un<br />

notevole aumento dell’attrito interno. Allora come cambia la legge di Hagen e Poiseuille quando il<br />

fluido si muove di moto turbolento? Esiste un moto turbolento in condizioni fisiologiche nei vasi<br />

umani?<br />

18


Dunque l’operazione che dobbiamo svolgere adesso è quella di adattare la legge di Hagen e<br />

Poiseuille a queste nuove condizioni reali e cioè:<br />

1- il sangue non è un liquido newtoniano.<br />

2- non è detto che il sangue si muova sempre di moto laminare.<br />

3- le pareti dei condotti in ci scorre il sangue non sono rigide.<br />

E quindi cosa cambia?<br />

Allora, ricordiamo che quando si parla di moto laminare si intende un particolare modo del fluido di<br />

scorrere, cioè il liquido si dispone in lamine e di tali lamine quella più vicina <strong>alla</strong> parete è ferma<br />

(perché fa attrito con la parete) e man mano che ci si sposta verso il centro le lamine si muovono di<br />

più: si creano una serie di cilindri coassiali in cui il cilindro centrale è quello più veloce e via via<br />

che si va verso la periferia i cilindri periferici sono sempre più lenti e quello a contatto con la parete<br />

è fermo.<br />

§ Se vi mettete in riva a un fiume, buttate in acqua un pezzettino di legno e considerate la velocità,<br />

osserverete che se si butta al centro si muove di velocità massimale, se si butta vicino <strong>alla</strong> riva si<br />

muove sempre più lentamente.<br />

Newton si occupò dello studio di tale moto e si accorse che se vi sono due lamine che scorrono<br />

l’una sull’altra, nell’interfaccia tra una lamina e l’altra si crea attrito: allora se ci sono tante lamine<br />

fra loro si creano degli attriti e la somma di tutti gli attriti andrà a costituire la viscosità del liquido.<br />

La viscosità quindi è la somma di tutti gli attriti che si hanno nei punti in cui una lamina entra in<br />

interface di solito con due lamine adiacenti (una per ogni lato).<br />

!! Mi raccomando è importante non confondere la densità con la viscosità: sono due grandezze<br />

diverse, la densità è il rapporto massa/volume mentre la viscosità interessa un fenomeno dinamico<br />

legato all’attrito di un fluido in movimento.<br />

Se si prende l’acqua e la si fa muovere in un condotto, e si va a misurare il suo attrito essa avrà una<br />

certa viscosità: se si fa scorrere l’acqua in vasi di calibro differente ad esempio arteria, arteriola,<br />

capillare la viscosità dell’acqua non cambia ma ciò che conta è solo la velocità poiché al di sotto<br />

della velocità critica fornita dal numero di Reynolds abbiamo un moto laminare e al di sopra invece<br />

abbiamo un moto turbolento. È anche facile aumentare la velocità di un fluido (come visto con la<br />

legge di Bernoulli), basta restringere il calibro del vaso.<br />

E’ chiaro però che nel tratto in cui il fluido è più veloce si ha il rischio di superare il numero di<br />

Reynolds ottenendo un moto turbolento.<br />

Esiste un metodo per comprendere se un liquido passa da moto laminare a moto turbolento: il moto<br />

laminare non fa rumore invece il moto turbolento è legato <strong>alla</strong> produzione di suoni, di rumore.<br />

È un fenomeno che sfruttiamo anche noi essere umani: la voce umana è dovuta non solo alle<br />

vibrazioni delle corde vocali ma anche a fenomeni di turbolenza, cioè il fatto che l’aria passa<br />

attraverso dei restringimenti dove accelera e muovendosi di moto turbolento emette suoni, quindi la<br />

voce umana è prodotta da un insieme di frequenze prodotte per vibrazione ma anche di frequenze<br />

generate per turbolenza. L’interazione di queste frequenze produce il timbro della voce.<br />

*Ricordate il metodo utilizzato per la pressione arteriosa: si applica nel terzo distale del braccio un<br />

bracciale, detto di Riva-Rocci, insieme ad un fonendoscopio. Se si applica il fonendoscopio senza<br />

gonfiare il bracciale non sento niente perché il moto è laminare, appena si gonfia il bracciale e<br />

quindi il vaso si restringe, se il vaso si restringe il sangue accelera e nel momento in cui passa<br />

produce un suono, il cosiddetto suono di Korotkoff, che è la prova che in quel momento il flusso<br />

non è laminare ma è turbolento.<br />

Man mano che sgonfio il bracciale l’arteria si dilata e non sento più niente, vuol dire che il flusso è<br />

tornato da turbolento a laminare.<br />

!! In realtà anche il flusso laminare produce rumore ma è talmente lieve che è molto difficile da<br />

ascoltare, in particolare l’unico moto laminare che si riesce ad ascoltare è quello dei vasi sanguigni<br />

19


della pelle del padiglione auricolare, con un accorgimento: si applica una sorta di coppa (ad es. una<br />

conchiglia) che funziona da cassa di risonanza per non fa disperdere le frequenze del moto laminare<br />

e siccome l’orecchio interno è posto in vicinanza del padiglione auricolare, tali frequenze vengono<br />

captate ed udite ( il famoso mare che si sente con la conchiglia non è altro che il rumore di fondo<br />

del moto laminare dei vasi del padiglione auricolare).<br />

Quindi considerando l’acqua quando il moto è laminare essa è dotata di una certa viscosità, quando<br />

aumenta la velocità oltre il valore critico si raggiunge il moto turbolento e la viscosità aumenta<br />

notevolmente. Ovviamente se vi è un aumento della viscosità, vi sarà un aumento della resistenza e<br />

aumentando la resistenza il flusso diminuisce.<br />

A complicare le cose vi è un altro aspetto: il sangue non è un liquido newtoniano. Infatti se<br />

consideriamo acqua o soluzione fisiologica la viscosità è uguale nei piccoli, medi e grandi vasi.<br />

Invece nei vasi sanguigni cosa osserviamo? La viscosità del sangue è molto elevata nei grandi vasi<br />

mentre nei piccoli vasi è bassa: il sangue, anzi la viscosità del sangue risente del calibro del vaso<br />

e quindi sarà molto alta nei grandi vasi e molto bassa, addirittura inferiore a quella della<br />

soluzione fisiologica, nei piccoli vasi.<br />

Tale fenomeno fu osservato per la prima volta da due studiosi svedesi (Fareaust e Linguist) e venne<br />

definito effetto sigma. Tale fenomeno ha delle implicazioni interessanti in <strong>fisiologia</strong> umana ma è<br />

stato molto difficile riuscire a spiegarlo. Dunque l’effetto sigma afferma che la viscosità del sangue<br />

non è costante ma cambia in base al calibro del vaso.<br />

L’unica spiegazione possibile è la seguente: consideriamo un vaso di 30 micron di diametro, in esso<br />

si disporranno 3 globuli rossi poiché ognuno ha circa 8 micron di diametro; ricordiamo che la<br />

viscosità è la somma degli attriti che si instaurano fra le lamine quindi dove si hanno più lamine, vi<br />

sono più attriti e quindi più viscosità. Tuttavia se vi sono i globuli rossi, quindi vi sono delle cellule,<br />

lo spazio per le lamine è molto limitato e vi saranno meno lamine a contatto e meno attrito, cioè<br />

meno viscosità.<br />

Tale fenomeno avviene maggiormente nei piccoli vasi poiché in essi il poco spazio disponibile<br />

viene occupato dalle cellule del sangue a sfavore delle lamine e quindi meno lamine, meno attriti e<br />

meno viscosità; invece nel vaso di grande calibro nonostante la presenza delle cellule sanguigne, le<br />

lamine hanno maggior spazio a disposizione e quindi vi saranno più attriti e una maggiore viscosità.<br />

Paradossalmente il sangue ha questo comportamento: nei grandi vasi a causa del fenomeno<br />

dell’accumulo assiale la viscosità è elevata, addirittura superiore rispetto a quella della soluzione<br />

fisiologica, nei piccoli vasi invece la viscosità del sangue è minore e risulta essere vantaggiosa,<br />

perché i piccoli vasi sono numericamente superiori rispetto ai grandi vasi, per cui il 90% del sangue<br />

in proporzione è contenuto in vasi piccoli.<br />

Se si fermasse la circolazione e si va a vedere come è distribuito il sangue, soltanto il 10% è<br />

contenuto in vasi che superano il millimetro, il 90% del sangue è contenuto in capillari, venule,<br />

arteriole, cioè in piccolissimi vasi dove è favorevole l’effetto sigma.<br />

Quindi tale fenomeno globalmente è favorevole perché la maggior parte del sangue (90%) è<br />

contenuto nei piccoli vasi e in essi il sangue ha una viscosità bassa, addirittura inferiore rispetto<br />

quella della soluzione fisiologica (se così non fosse la resistenza sarebbe più alta e il cuore deve fare<br />

più fatica per avere lo stesso flusso).<br />

* Tale fenomeno diviene interessante nei soggetti anemici, l’anemia è caratterizzata da una<br />

diminuzione degli eritrociti, e quindi avendo un numero minore di globuli rossi si perdono i<br />

vantaggi dell’effetto . In un soggetto anemico la viscosità assume andamento simile a quello della<br />

soluzione fisiologica, con il risultato che la viscosità migliora nei grandi vasi, che sono pochi, ma<br />

peggiora nei piccoli vasi che sono molti di più. Quindi la viscosità globale tende ad aumentare e si<br />

verifica un fenomeno paradossale: se osservate il cuore di un soggetto anemico si evidenzia una<br />

maggiore consistenza, un maggiore spessore delle pareti poiché il cuore fa più fatica nel<br />

pompare sangue perché è aumentata la resistenza (a causa dell’aumento globale della viscosità).<br />

Le cardiopatie nelle anemie sono una regola se non intervenite e la situazione diventa difficile da<br />

capire senza avere compreso l’effetto .<br />

20


Quindi la vera differenza che vi è tra un liquido newtoniano come acqua, soluzione fisiologica<br />

e un liquido non newtoniano come il sangue è l’effetto che provoca una differenza della<br />

viscosità del sangue nei grandi, piccoli e medi vasi: tale viscosità cambia al variare del raggio con<br />

valori molto alti nei grandi vasi e valori molto bassi ( al di sotto di quelli della soluzione fisiologica)<br />

nei piccoli vasi.<br />

Se diminuisce la resistenza per avere lo stesso flusso ci vuole meno pressione e quindi il cuore deve<br />

faticare di meno; se aumenta la resistenza per avere lo stesso flusso è necessaria una maggiore<br />

pressione e quindi il cuore deve faticare di più. Perché ricordate che F = p .<br />

R<br />

Quindi l’effetto è un fenomeno interessante dal punto di vista clinico perché spiega<br />

l’eziopatogenesi di problemi cardiaci in soggetti anemici (anemia mediterranea e talassemia sono<br />

molto diffusi nelle nostre zone), poiché il cuore deve affrontare resistenze maggiori legate a un<br />

valore maggiore di viscosità del sangue.<br />

L’aspetto fondamentale però è la vera differenza tra un vaso sanguigno e un tubo di vetro.<br />

Nel vaso sanguigno vi è una importante caratteristica: la cedevolezza della parete. I vasi umani non<br />

sono vasi rigidi ma distensibili e una parte di tale distensibilità è di natura elastica.<br />

Come varia la legge di Hagen e Poiseuille se il liquido non si muove in condotti rigidi ma in vasi<br />

dotati di distensibilità, e per giunta anche di natura elastica?<br />

L’elasticità è definita come deformabilità reversibile. Queste proprietà furono studiate da un fisico<br />

inglese, Hook, il quale formulò una importante legge, che in latino recita ut tensio sic vis.<br />

La legge di Hook afferma quindi che più forte è la tensione applicata ad un corpo elastico e<br />

maggiore sarà l’energia che il corpo restituisce quando la tensione viene sottratta.<br />

Vi è una proporzionalità diretta tra forza applicata e tensione elastica restituita: al crescere della<br />

forza applicata crescerà anche la tensione elastica restituita.<br />

Durante la fase in cui viene applicata la pressione, il vaso accumula energia potenziale elastica, non<br />

appena finisce la pressione applicata esso restituisce tale forma di energia elastica accumulata<br />

sottoforma di ritorno elastico.<br />

La parete dei vasi sanguigni è un insieme di corpi elastici e di corpi anelastici: tralasciamo per<br />

ora la componente anelastica rappresentata da muscolatura liscia e soprattutto le fibre collagene,<br />

la componente elastica è rappresentata invece dalle fibre elastiche. Quindi è possibile affermare che<br />

nella tonaca media della parete vasale si riscontra la presenza sia di una componente rigida,<br />

anelastica, sia una componente elastica rappresentata dall’elastina contenuta nelle membrane<br />

elastiche.<br />

Come si comporta un vaso sanguigno in generale? Consideriamo l’aorta, dove vi è una pressione<br />

sanguigna media di 100 mmHg, se si provoca un aumento di pressione si osserva che essa si<br />

distende e più aumenta la pressione più essa si distende. Se si osserva in che modo avviene la<br />

distensione, ci si accorge di un comportamento abbastanza caratteristico che risulta chiaro<br />

considerando un grafico pressione-diametro vaso: ci aspettiamo che mano che aumenta la pressione<br />

sanguigna il diametro dovrebbe aumentare perché la parete del vaso cede ed effettivamente si<br />

comporta così: il vaso si lascia distendere fino ad una pressione di 300 mmHg, però dopo tale<br />

valore non si distende più. I vasi quindi hanno a un duplice comportamento, infatti fino a 300<br />

mmHg sono distensibili, dopo tale valore diventano indistensibili, si comportano come se fossero<br />

rigidi.<br />

Fate caso al valore di 300 mmHg: in realtà un di pressione così elevato nel corpo umano non si<br />

raggiunge mai! I valori più alti rilevati sono al massimo 230-240 mmHg. Quindi questo valore non<br />

è per niente fisiologico e verificabile in vivo.<br />

Il range fisiologico invece data l’elasticità della parete vasale, ci permette di affermare che se la<br />

pressione aumenta il vaso si distende, allo stesso modo se la pressione diminuisce il vaso ritorna a<br />

ridurre il suo raggio.<br />

Questo significa che fino a una certa pressione è più importante il ruolo delle fibre elastiche, oltre<br />

una certa pressione è più importante il ruolo delle fibre collagene che bloccano la distensione del<br />

21


vaso. Il sistema pertanto è costruito in modo tale che all’inizio vengono messe in tensione solo le<br />

fibre elastiche e il vaso si lascia distendere, oltre un certo punto vengono messe in tensione le fibre<br />

collagene e il vaso non si lascia distendere più, si crea quindi un confine tra comportamento di<br />

distensibilità reversibile, cioè elastico e comportamento anelastico.<br />

!! Questo significa che se si forzasse la pressione provocando la dilatazione del vaso in un momento<br />

in cui la distensibilità non è più elastica il vaso si dilata ma non torna più indietro e quindi si<br />

verifica l’inizio di una varice nel caso di una vena oppure di un aneurisma nel caso di un’arteria.<br />

È l’elasticità che ci salva dall’aneurisma e d<strong>alla</strong> varice infatti fino a che la pressione aumenta il vaso<br />

si distende però grazie <strong>alla</strong> componente elastica appena la pressione diminuisce il vaso si restringe.<br />

I guai si hanno quando la pressione aumenta, il vaso si distende ma quando la pressione diminuisce<br />

il vaso non ritorna <strong>alla</strong> dimensione iniziale.<br />

· Tale processo come viene regolato dal punto di vista biofisico? Esso è regolato da una legge (una<br />

delle principali cause di morte all’esame) formulata da un personaggio storico molto interessante: il<br />

barone de Laplace (un sughero, cioè uno di quei personaggi che stanno sempre a g<strong>alla</strong>).<br />

Cosa notò Laplace? Egli fu incuriosito da un fenomeno riguardante le bolle di sapone. Vide che<br />

all’inizio ci sono molte piccole bolle, ma dopo un determinato intervallo di tempo le bolle sono<br />

diventate numericamente inferiori ma decisamente più grandi nelle dimensioni.<br />

Quindi osserva che non è mai la bolla grande che si svuota nella bolla piccola ma è sempre la bolla<br />

piccola che si svuota nella bolla grande. Egli capì tale fenomeno dopo aver letto gli esperimenti di<br />

Poiseuille che affermava che esiste un flusso se vi è un gradiente di pressione. E quindi capisce che<br />

la bolla piccola si svuota nella bolla grande perché tra esse si crea una differenza di pressione, in<br />

particolare nella bolla piccola vi è, dunque, una pressione maggiore rispetto la bolla grande.<br />

Laplace formulò una legge che si può applicare a diverse componenti del corpo umano, purché<br />

abbiano una forma sferica, ( la vescica, l’utero durante il travaglio di parto, gli alveoli polmonari):<br />

la pressione endocavitaria è direttamente proporzionale <strong>alla</strong> tensione che la parete sviluppa<br />

Ricordiamo che nel caso di una sfera vi è una pressione interna che tende a dilatarla e una tensione<br />

sviluppata d<strong>alla</strong> parete che si oppone <strong>alla</strong> dilatazione: quando pressione e tensione della parete si<br />

equivalgono la struttura è in equilibrio cioè non aumenta ne diminuisce di diametro.<br />

La pressione è direttamente proporzionale <strong>alla</strong> tensione ed è inversamente proporzionale al<br />

raggio.<br />

P = 2 t (il numero 2 è dovuto al fatto che poi in realtà le sfere hanno un doppio raggio di<br />

r curvatura)<br />

Quindi se consideriamo due bolle dello stesso sapone (e che avranno quindi la stessa tensione),<br />

siccome la pressione è inversamente proporzionale al raggio, basta avere due bolle comunicanti tra<br />

loro e in quella con raggio minore si avrà una pressione maggiore rispetto all’altra: in questo modo<br />

si crea il gradiente pressorio che provoca il flusso di aria da pressione maggiore a pressione minore<br />

e quindi lo svuotamento della bolla piccola in quella grande.<br />

Questa legge vale per tutto il corpo umano: ad es. una donna sta partorendo, ma l’utero non produce<br />

abbastanza forza per espellere il bambino. Il ginecologo decide, allora, di compiere un’operazione:<br />

dilata la cervice uterina e con un bisturi effettua un piccolo taglio, un buco sulla membrana<br />

amniotica e fuoriesce il liquido amniotico ( tale processo è detto amniocentesi). Perché il<br />

ginecologo effettua tale operazione? Perché ovviamente se esce liquido amniotico, il volume<br />

dell’utero diminuisce, se diminuisce il volume diminuirà anche il raggio, se diminuisce il raggio:<br />

la stessa tensione prodotta dall’utero produce però una pressione maggiore e quindi il bambino può<br />

iniziare ad uscire d<strong>alla</strong> madre. La rottura delle acque è il momento che porta all’avvio del travaglio<br />

del parto, proprio per la legge di Laplace.<br />

22


Oppure ancora uno dei grandi vantaggi di essere maschio è dato dal fatto che urina in piedi: man<br />

mano che l’urina esce, per la legge di Laplace il raggio diminuisce e la pressione aumenta (in questo<br />

modo si riesce a non urinare sulle scarpe).<br />

Cosa non si deve verificare nel polmone? Nel polmone si potrebbero avere due alveoli collegati da<br />

un bronchiolo in comune e durate la inspirazione essi aumentano di volume mentre durante la<br />

espirazione essi diminuiscono di volume. Si può verificare facilmente che in un determinato<br />

momento il raggio di uno è inferiore al raggio di un altro alveolo, se consideriamo infatti che siamo<br />

dotati di 100 milioni di alveoli per ciascun polmone e che la probabilità che siano sempre tutti delle<br />

stesse dimensioni è praticamente irrisoria.<br />

Qual è il rischio che si ha appena un alveolo diventa più piccolo rispetto ad un altro? Che in quello<br />

più piccolo la pressione dell’aria è maggiore e quindi si crea un gradiente pressorio che provoca lo<br />

svuotamento dell’aria dell’alveolo minore nell’alveolo maggiore. Questo significa che dopo alcuni<br />

minuti anziché avere 100 milioni di alveoli per ogni polmone ne avremo solamente 1!<br />

E questo perché si creerebbe un meccanismo perverso per cui si svuota il piccolo nel grande, il<br />

grande diviene ancora più grande e quindi un altro alveolo più piccolo si svuoterà nel grande e così<br />

via. Tale meccanismo è abbastanza grave, infatti non deve diminuire il numero degli alveoli perché<br />

ciò che conta non il volume degli alveoli ma la superficie di scambio aria-sangue e per avere<br />

abbastanza superficie per lo scambio aria-sangue sono necessari almeno 30-40 milioni di alveoli, al<br />

di sotto di questo numero non c’è abbastanza superficie e si muore.<br />

Allora come viene impedito tale meccanismo? Certamente non posso impedire che durante la<br />

respirazione vi siano alveoli con dimensioni diverse, è impossibile considerando che abbiamo 100<br />

milioni di alveoli per polmone.<br />

Se la pressione è direttamente proporzionale <strong>alla</strong> tensione superficiale e inversamente proporzionale<br />

al raggio, appena si diminuisce il raggio di un alveolo, esso avrà una pressione maggiore e quindi si<br />

crea il gradiente pressorio che provoca lo svuotamento dell’alveolo: tale fenomeno prende il nome<br />

di atelettasia polmonare.<br />

È necessario impedire <strong>alla</strong> pressione di modificarsi: c’è un solo modo. Se il raggio diminuisce ma si<br />

fa diminuire contemporaneamente la tensione, siccome P = 2 t ,<br />

r<br />

la pressione resta invariata, infatti diminuendo denominatore e numeratore il risultato è sempre<br />

quello. Allo stesso modo se aumenta il raggio ma aumenta anche la tensione, la pressione rimane<br />

costante.<br />

Il polmone quindi si è dotato di uno specifico meccanismo: tutte le volte che il raggio cambia,<br />

cambia anche la tensione superficiale, cioè il polmone sfrutta un meccanismo che è in grado di<br />

modificare la tensione superficiale degli alveoli.<br />

Dentro gli alveoli vi è uno strato di acqua dello spessore di pochi micron dotato di una tensione<br />

superficiale, la quale di solito è costante, nel polmone invece non è costante perché vi sono cellule<br />

specializzate, gli pneumociti di II tipo, i quali producono una particolare sostanza lipidica<br />

(palmitato di fosfatidil colina) detta anche surfactant o tensioattivo polmonare che viene applicato<br />

sullo strato acquoso degli alveoli. Quando l’alveolo si <strong>alla</strong>rga (inspirazione) queste molecole si<br />

disperdono e la tensione superficiale aumenta. Quando l’alveolo si restringe (espirazione) queste<br />

molecole si avvicinano e la tensione superficiale diminuisce. Ciò significa che se si inspira aumenta<br />

il raggio ma aumenta anche la tensione, e se si espira diminuisce il raggio ma diminuisce anche la<br />

tensione: quindi la pressione non cambia e non si crea gradiente, svuotamento e atelettasia.<br />

* Se il polmone non avesse il meccanismo del surfattante, la legge di Laplace ci condannerebbe a<br />

morte dopo pochi minuti: è quello che può accadere ai bambini prematuri; il bambino che nasce di<br />

28 settimane (7 mesi) è a rischio poiché può presentarsi l’eventualità che gli pneumociti di II tipo<br />

non siano ancora maturi per produrre il surfattante, il soggetto appena nato va incontro a rapida<br />

atelettasia polmonare e quindi morte dopo pochi minuti.<br />

23


Tale patologia legata <strong>alla</strong> ritardata maturazione degli pneumociti di II tipo si chiama in pediatria<br />

malattia delle membrane ialine ed è la principale causa di morte dei bambini prematuri. Di solito<br />

tali cellule maturano intorno <strong>alla</strong> 30-31 settimana, quindi è opportuno tenere in considerazione tale<br />

importante implicazione della legge di Laplace.<br />

* La legge di Laplace è una legge chiave ed è anche <strong>alla</strong> base dell’ictus cerebrale, dell’infarto del<br />

miocardio e di un’altra serie di problemi.<br />

Il surfattante è una sostanza tensioattiva, ovvero una sostanza dotata di un polo idrofilo e un polo<br />

idrofobo che ha la capacità di ridurre la tensione superficiale.<br />

* Nel corpo umano vengono sfruttati molto i tensioattivi, pensiamo ad es. ai Sali biliari importanti<br />

per la digestione dei lipidi oppure ancora nelle capsule articolari e nelle pleure.<br />

Dopo questa importante parentesi, poniamoci questa domanda: qual è il legame, il rapporto tra le<br />

legge di Laplace e la circolazione sanguigna?<br />

Si è visto che i vasi sanguigni sono distensibili e fino ad una pressione di 300 mmHg se si aumenta<br />

la pressione il vaso si distende, se si diminuisce la pressione il vaso ritorna ad assumere il raggio<br />

iniziale. Si ricordi inoltre che i vasi sanguigni non sono plastica o vetro ma sono tessuti viventi e<br />

quindi tale comportamento è presente se il vaso è in condizioni normali; a questo proposito la parete<br />

del vaso deve essere nutrita e mantenuta efficiente da una circolazione specifica per tale funzione, i<br />

vasa vasorum.<br />

* Una patologia a carico dei vasa vasorum si traduce in una perdita della proprietà elastiche e<br />

meccaniche della parete che si traduce in un aneurisma o in una varice. Ricordiamo che la<br />

principale malattia dei vasa vasorum è il diabete, in cui la sofferenza dei piccoli vasi danneggia<br />

l’aorta, la safena, le vene cave, le arterie cerebrali (rischio di ictus), le arterie coronarie (rischio di<br />

infarto del miocardio); è una microangiopatia che causa una macroangiopatia.<br />

Perché la legge di Laplace è importante nella circolazione del sangue e nei vasi sanguigni?<br />

Intanto è opportuno effettuare una modifica nella formula perché i vasi, a differenza delle sfere<br />

(quindi a differenza degli alveoli), hanno un solo raggio di curvatura e quindi P = t (non più 2t)<br />

r<br />

Se si osserva l’anatomia dei vasi, si scopre un fenomeno interessante: i vasi, ad esempio le arterie,<br />

hanno una parete notevole: se infatti osservate un’arteria andando a vedere come essa è costituita, vi<br />

accorgete che in essa il diametro del lume più meno equivalente allo spessore della parete vasale,<br />

quindi la parete risulta essere notevolmente spessa.<br />

Le vene, invece, hanno una parete molto più sottile, in particolare se osservate una vena vi<br />

accorgete subito che lo spessore della parete è molto inferiore rispetto quello della parete arteriosa.<br />

D’altra parte in un’arteria la pressione sanguigna è dell’ordine di 90-100 mmHg mentre in una vena<br />

è intorno ai 15-20 mmHg, per cui dovendo resistere a pressioni più basse ovviamente è sufficiente<br />

una parete meno sviluppata.<br />

Se consideriamo i capillari, i capillari non hanno parete: la parete dei capillari è una cellula sola,<br />

una singola cellula endoteliale avvolta su se stessa che forma la parete del capillare.<br />

Quindi mentre in vasi arteriosi e venosi, oltre all’endotelio che riveste internamente il vaso, sono<br />

presenti altri dispositivi di fibre elastiche, muscolari e collagene organizzate in tonache, nei<br />

capillari c’è solo l’endotelio.<br />

Quindi se si prende un capillare la sua parete è formata d<strong>alla</strong> cellula endoteliale.<br />

Eppure i capillari resistono tranquillamente a pressioni di 60-70 mmHg, mentre una vena come la<br />

safena cede a 15-20 mmHg, infatti l’insorgenza di varici a carico delle vene degli arti inferiori si<br />

verifica già a 15-20 mmHg.<br />

24


La domanda da porsi è: come mai un vaso come il capillare, il quale ha una parete molto esile<br />

costituita da una sola cellula endoteliale, riesce a resistere a pressioni di 60-70 mmHg senza<br />

problemi, mentre una vena che ha una parete sicuramente più sviluppata già cede a 15-20 mmHg?<br />

La risposta a questo paradosso è la legge di Laplace.<br />

Infatti ponetevi questa domanda: per resistere ad una certa pressione quanta tensione deve produrre<br />

la parete?<br />

La risposta è: dipende dal raggio, infatti se P = t si ha anche t = P r ,<br />

r<br />

quindi minore è il raggio più piccola deve essere la tensione che la parete deve produrre per<br />

resistere a quella pressione. Quindi il capillare che ha un calibro molto piccolo, equivalente a<br />

quello di un eritrocita 7-8 micron, non riscontra normalmente grossi problemi.<br />

Invece la vena safena, che ha un calibro di almeno 10 4 micron, deve produrre una tensione molto<br />

superiore a quella del capillare (almeno 1000 volte superiore) per resistere <strong>alla</strong> pressione.<br />

Dunque il vaso di raggio maggiore deve produrre una tensione superficiale maggiore che bilanci la<br />

pressione.<br />

Spesso accade che, nonostante vi sia una parete più sviluppata, tale parete venosa non riesce a<br />

produrre una tensione almeno 1000 volte maggiore rispetto quella del capillare e quindi la vena<br />

inizia a cedere e a causa del meccanismo di Bernoulli si instaurano le varici.<br />

Un altro esempio. Immaginate un’arteria nella quale scorre del sangue. Ad un certo punto tale<br />

arteria si biforca in due rami, una quota di sangue andrà in un ramo, l’altra quota nell’altro. Dove va<br />

più sangue? Dove c’è meno resistenza ( infatti il flusso sarà maggiore dove la resistenza è minore,<br />

ricordate F = p) .<br />

R<br />

Considerate che ad un certo punto si verifichi un abbassamento di pressione.<br />

Se si abbassa la pressione i vasi si restringono, perché avendo pareti elastiche se la pressione<br />

aumenta il vaso si dilata ma se la pressione diminuisce il vaso si restringe (Hook). Immaginate che<br />

un vaso si riduca di più rispetto l’altro: questo è un guaio serio, perché quando la pressione tornerà a<br />

livelli normali ovviamente il sangue non andrà nel vaso più piccolo perché nel vaso più piccolo vi è<br />

resistenza maggiore ( R = 8 l ) e come visto il sangue segue la via a minore resistenza,<br />

r 4<br />

quindi andrà nel vaso a calibro maggiore: questo significa che il vaso a calibro minore non verrà più<br />

perfuso. Questo fenomeno non è facile da sbloccare, perché per poterlo dilatare (cioè vincere la<br />

tensione della parete che provoca il restringimento) essendo molto piccolo il raggio ci vorrebbero<br />

pressioni molto elevate che normalmente non si registrano nei vasi.<br />

* E’ la stessa cosa che accade quando si gonfia un palloncino: la fatica maggiore si fa all’inizio,<br />

proprio perché è piccolo il raggio (vedi legge di Laplace).<br />

Allora cosa accade? Immaginiamo un vaso cerebrale che si biforca: quindi abbiamo 2 vasi, vi è<br />

abbassamento di pressione, i vasi si restringono, in seguito la pressione torna a valori normali e i<br />

vasi grazie <strong>alla</strong> componente elastica si <strong>alla</strong>rgano: un vaso però si dilata di meno rispetto l’altro e il<br />

paziente è nei guai. Il vaso più piccolo infatti funzionalmente non riceverà più abbastanza sangue:<br />

quello è un ictus, in clinica tale condizione è definita chiusura critica perché il vaso, pur essendo<br />

anatomicamente pervio, funzionalmente offre una tale resistenza che il sangue non lo irrora.<br />

Inoltre, spesso si commette un errore sul piano terapeutico: se al soggetto si fornisce un farmaco<br />

vasodilatatore la situazione paradossalmente peggiora: il vasodilatatore agisce in maniera migliore<br />

sul vaso sano e quindi provoca una diminuzione della R nei vasi sani mentre lascia inalterata la<br />

resistenza sul vaso chiuso con la conseguenza che aumenta il furto di sangue dal vaso<br />

funzionalmente chiuso.<br />

25


!! La legge di Laplace fornisce una spiegazione per una serie di ictus, in cui all’autopsia non si<br />

trova un coagulo che ostruisce il vaso. Nel 50% dei casi non c’è nulla che ostruisce il vaso dal<br />

punto di vista fisico, un’ostruzione anatomicamente riscontrabile: il vaso appare pervio eppure il<br />

tessuto a valle è morto poiché non ha ricevuto sangue, e perché non ha ricevuto sangue? Perché era<br />

talmente alta la resistenza che il sangue ha preferito una via alternativa a minore resistenza e per<br />

riaprire quel vaso, essendo piccolo il raggio, ci sarebbe voluta una pressione così alta che non si<br />

raggiunge mai nel corpo umano. Da quel momento in poi il vaso è chiuso per sempre: pur essendo<br />

anatomicamente pervio, è funzionalmente chiuso.<br />

Quindi attenzione, nella diminuzione del diametro dei vasi vi è un valore critico al di sotto del quale<br />

il vaso si restringe ma non torna più ad aprirsi; paradossalmente e contrariamente a quello che pensa<br />

la gente per l’ictus cerebrale non sono pericolose le crisi ipertensive ma bensì gli abbassamenti di<br />

pressione, perché nel momento in cui c’è un ritorno elastico, se si è ristretto sotto un valore critico il<br />

vaso non ritorna a dilatarsi perché per la legge di Laplace se il raggio diventa molto piccolo, la<br />

pressione necessaria per dilatarlo dovrebbe essere talmente elevata che magari nel corpo umano non<br />

si raggiunge mai.<br />

Riassumiamo: il fatto che le pareti vasali siano distensibili, e soprattutto che tale distensibilità fino a<br />

300 mmHg sia di tipo elastico, permette ogni volta che si verifica un aumento di pressione la<br />

distensione del vaso e appena la pressione torna a diminuire il vaso assumerà il calibro iniziale.<br />

Questo meccanismo dal punto di vista pratico è abbastanza comodo, perché normalizza la pressione<br />

arteriosa: se si verifica un abbassamento di pressione, il ritorno elastico dei vasi riduce il calibro,<br />

riducendo il calibro aumenta la resistenza e aumentando la resistenza la pressione non diminuisce<br />

eccessivamente (perché deve garantire il flusso F = p) , e quindi in questo modo evito gli sbalzi<br />

pressori. R<br />

Però si deve comprendere la conseguenza di un vaso elastico: tale conseguenza è la legge di<br />

Laplace. La legge di Laplace ci dice che se il vaso è troppo piccolo, cioè il raggio è diminuito<br />

troppo, la pressione che ci vuole per ridilatarlo è talmente elevata che magari nel corpo umano non<br />

si raggiungerà mai, con il risultato che se diminuisce il raggio sotto un certo valore quel vaso<br />

diviene funzionalmente chiuso, perché offre una tale resistenza che il sangue segue un’altra strada e<br />

non c’è modo di riaprirlo, perché per ridilatarlo io dovrei provocare un aumento di pressione molto<br />

elevato in grado di vincere il piccolo raggio, ma tale pressione nel corpo umano non si raggiunge<br />

mai: in definitiva si ha la perdita di un vaso.<br />

Quindi attenzione: infarti del miocardio o ictus cerebrali in cui all’autopsia il vaso è pervio spesso si<br />

possono spiegare con questo fenomeno della chiusura critica, cioè mediante la legge di Laplace.<br />

Si è verificato ad un certo punto una caduta di pressione, questa caduta di pressione ha causato un<br />

restringimento del vaso perché il ritorno elastico ovviamente fa restringere il vaso, se questo<br />

restringimento è eccessivo siamo nei guai perché il raggio diventa troppo piccolo, Hagen e<br />

Poiseuille ti dicono che se il raggio è piccolo la R è grande, se la R è grande il sangue non irrora<br />

quel vaso che quindi non verrà più perfuso.<br />

Non c’è niente da fare. Tale fenomeno è difficile da curare.<br />

*Dunque una cosa sono gli ictus o infarti dovuti ad ostruzione del vaso in seguito <strong>alla</strong> formazione di<br />

coaguli, dove si interviene per angioplastica (procedura angiografica per eliminare le aree di stenosi<br />

dei vasi sanguigni) con una ottima percentuale di buon esito dell’intervento. Ma quando non c’è una<br />

componente che ostruisce il lume vasale come interveniamo? L’azione terapeutica si complica,<br />

infatti fino a che si deve intervenire su vasi di grande e medio calibro si può operare mediante<br />

angioplastica meccanica con palloncino (introduzione di un catetere a palloncino che gonfiato<br />

provoca dilatazione del vaso); ma se il vaso interessato è un vaso di piccolo calibro, inferiore del<br />

mm, come interveniamo?<br />

26


Quindi ricapitolando, per capire la dinamica della circolazione bisogna conoscere quattro leggi,<br />

nell’ordine storico:<br />

1. Leonardo: in un circuito chiuso il flusso è costante. Il flusso ma non la velocità, se il raggio<br />

diminuisce la velocità aumenta, se il raggio aumenta la velocità diminuisce ma il flusso è costante.<br />

2. Bernoulli: variazioni di velocità del fluido corrispondono a variazioni di energia cinetica. E<br />

quindi la domanda è: ma questa energia cinetica aggiunta o sottratta da dove deriva e dove va a<br />

finire? Quindi introduzione del concetto di energia totale, in parte cinetica e in parte potenziale.<br />

Un aumento della velocità corrisponde dal punto di vista energetico ad un aumento dell’energia<br />

cinetica e ad una diminuzione dell’energia potenziale; quando invece è diminuita la velocità<br />

significa che è diminuita l’energia cinetica, a favore dell’energia potenziale ma l’energia<br />

complessiva tende a mantenersi costante, in liquidi ideali.<br />

3. Hagen-Poiseuille: attenzione in natura non esistono liquidi ideali, ci sono liquidi ideali dotati<br />

di attrito interno e quindi si introduce il concetto di resistenza basata su viscosità, lunghezza e<br />

raggio, con un rapporto quantitativo ben preciso: F = p R = 8 l .<br />

R r 4<br />

Tale legge ha due importanti conseguenze:<br />

a) il flusso esiste se c’è un gradiente pressorio, a p 0 corrisponde flusso nullo;<br />

b) non basta che ci sia un gradiente pressorio, ma esso deve essere sufficiente a vincere la<br />

resistenza, perché se io non riesco a vincere la resistenza non ho flusso e quindi il flusso cresce se<br />

cresce il gradiente o se decresce la resistenza (il flusso è direttamente proporzionale al gradiente e<br />

inversamente proporzionale <strong>alla</strong> resistenza).<br />

4. Laplace: il comportamento della parete, essendo parzialmente elastica, almeno fino a 300<br />

mmHg, crea delle conseguenze legate al fatto che se cambia il raggio cambia anche la pressione<br />

necessaria per le variazioni del raggio stesso, e questo può causare la chiusura critica.<br />

L’esempio che si è visto è un esempio drammatico che si verifica nel 50% degli ictus con quella che<br />

si chiama “chiusura critica” dei vasi, ed è un problema perché una volta che il raggio è troppo<br />

piccolo è necessaria una pressione estremamente elevata per ridilatare il vaso, ovvero ci vorrebbero<br />

pressioni che di fatto non si raggiungono mai.<br />

Consideriamo un ultimo concetto, il quale è un’altra delle cause di morte all’esame.<br />

La circolazione umana trasporta il sangue verso la testa e verso i piedi. In posizione clinostatica<br />

(sdraiati) il cuore è <strong>alla</strong> stessa altezza della testa e dei piedi, invece in posizione ortostatica la testa è<br />

al di sopra del cuore mentre i piedi al di sotto.<br />

Quindi viene spontaneo affermare (ERRONEAMENTE) che la perfusione cerebrale è più<br />

difficoltosa in posizione ortostatica perché la testa è al di sopra del cuore e quindi il sangue percorre<br />

in salita, mentre ovviamente verso le strutture sottocardiache (dal cuore in giù) la perfusione è<br />

favorita dal gradiente gravitazionale.<br />

E quindi per esempio se si effettua la misurazione della pressione sanguigna dell’aorta in un<br />

soggetto in posizione ortostatica, essa è di 100 mmHg; nello stesso istante se si va verso la testa si<br />

osservano valori pressori di 95, 90, 85 perché la pressione andando verso l’alto tende a diminuire e<br />

ovviamente se io mi sposto verso il basso ovviamente registro pressioni di 110,120,130 mmHg e<br />

quindi qual è l’errore che si commette? Si afferma che la forza di gravità, in posizione ortostatica,<br />

ostacola la perfusione sanguigna del cervello e facilita la perfusione delle strutture sottocardiache:<br />

!! è una stupidaggine perché ovviamente se in posizione ortostatica la forza di gravità sottrae<br />

pressione all’arteria, sottrae pressione anche <strong>alla</strong> vena e quindi il gradiente non cambia.<br />

Se il gradiente è 100 con 0, nella parte al di sopra sarà 90 nell’arteria ma -10 nella vena<br />

corrispondente: il gradiente pressorio è lo stesso, quello che conta non è il valore assoluto della<br />

27


pressione ma ciò che conta è la p.<br />

E’ possibile fare la medesima considerazione per gli arti inferiori, nei piedi se all’inizio la pressione<br />

è 100 con 0, al livello inferiore è diventata 120 nell’arteria ma 20 nella vena, quindi il gradiente<br />

pressorio non cambia.<br />

Quindi il flusso del sangue nel corpo umano, nel passare da clinostatismo ad ortostatismo non<br />

subisce nessuna variazione perché non si modificano i gradienti cioè le differenze di pressione<br />

ma le pressioni assolute (diminuiscono nei vasi sopracardiaci e aumentano in quelli sottocardiaci)<br />

e ciò non ha effetto sul flusso.<br />

Nei corpi venosi del cervello la pressione diventa così bassa che può arrivare anche a -15 mmHg e<br />

quindi addirittura è necessario ancorare la parete del seno venoso al tessuto cavitario perché la<br />

pressione all’interno è diventata sub atmosferica.<br />

Ma a parte questo aspetto pittoresco, siccome al diminuire della pressione della vena corrisponde la<br />

diminuzione della pressione nell’arteria, il gradiente pressorio non cambia e quindi non cambia il<br />

flusso.<br />

Dunque il primo studente che afferma che di salita viene male, di discesa è favorita..si trova<br />

assicutato!<br />

L’influenza della gravità non è sul flusso ma sulla pressione, cioè ad es. nella vena safena<br />

quando si sta in piedi si hanno 20 mmHg di pressione in più rispetto <strong>alla</strong> posizione clinostatica cioè<br />

la parete viene dilatata con 20 mmHg di pressione in più, e questo mette a dura prova la resistenza<br />

di parete della vena, causando spesso l’insorgenza di varici.<br />

Ricordiamo che per questo motivo nelle vene degli arti inferiori ci sono le valvole a nido di rondine,<br />

proprio per evitare il reflusso del sangue.<br />

* In semeiotica c’è una prova, detta di Frenderburg(?) per verificare se le valvole funzionano:<br />

se con le dita si schiaccia una vena, la vena si deve gonfiare e rimanere gonfia; cioè il sangue arriva,<br />

non può passare perché la vena viene schiacciata, ma non può tornare indietro.<br />

Se la vena non si gonfia vuol dire che il sangue arriva, non può passare, però non funzionano le<br />

valvole e quindi il sangue torna giù.<br />

Con questa semplice prova è possibile valutare l’efficienza delle vene degli arti inferiori in termini<br />

valvolari.<br />

Sul flusso non c’è gioco: in tutti i circuiti chiusi il fattore gravità non ha influenza sul flusso, il<br />

sangue scorre nei vasi perché c’è un gradiente pressori e quindi si può stare in posizione<br />

clinostatica, ortostatica, o anche se si è astronauti in assenza di gravità: è il gradiente pressorio che<br />

assicura la perfusione sanguigna e non il fattore gravità.<br />

28


Lezione 4 - prof. Perciavalle<br />

Potenziale d’azione, cellule eccitabili e non eccitabili<br />

1. Se si considera una qualunque cellula del nostro corpo, ad es. un cheratinocita, e si posizionano<br />

un elettrodo dentro e un elettrodo fuori e si osserva cosa accade chiudendo il circuito, ci si accorge<br />

che fra l’interno e l’esterno di questa cellula esiste una differenza di potenziale il quale fa sì che<br />

l’interno della cellula sia elettricamente negativo rispetto all’esterno.<br />

Elettricamente negativo significa che all’interno della cellula le cariche di segno negativo sono<br />

maggiori delle cariche di segno positivo, poiché se vi fosse lo stesso numero di ioni positivi e di<br />

ioni negativi la cellula sarebbe elettricamente neutra.<br />

Il fatto che ai due lati della membrana c’è una negatività interna di diversi millivolt (mV) dimostra<br />

il fatto che all’interno della cellula gli anioni, cioè le particelle di segno - , sono maggiori dei<br />

cationi, cioè delle particelle di segno + .<br />

Se si va a ripetere questo stesso esperimento con altri tipi cellulari ci si accorge che tutte le cellule<br />

viventi sono elettricamente negative rispetto all’esterno.<br />

L’unica differenza che c’è tra una cellula della pelle, una cellula del sangue o un neurone sta nel<br />

valore di questa negatività: in alcune cellule la negatività è modesta, intorno a -20, -30 mV, in altre<br />

cellule come ad es. le cellule muscolari striate è più importante, intorno ai -90 mV rispetto<br />

all’esterno.<br />

In generale tutti gli organismi viventi, di qualsiasi tipo, sono elettricamente negativi, cioè al<br />

loro interno esiste una disuguaglianza tra anioni e cationi, a favore degli anioni.<br />

*Le eccezioni in natura sono scarse, esistono pochissime cellule viventi (e non dell’uomo) che sono<br />

elettricamente positive, ma sono delle cellule particolari, ad es. quelle del pesce elettrico chiamato<br />

torpedo.<br />

2. Se si considera una cellula qualunque, ad es. un cheratinocita, e si va a misurare qual è la<br />

differenza di potenziale è possibile costruire un grafico in cui si indica il voltaggio in mV, ad es. -60<br />

mV : si osserva che al trascorrere del tempo non accade nulla e la differenza di potenziale rimane<br />

tale. A questo punto è possibile fare un esperimento: si cerca di perturbare l’ambiente della cellula<br />

per vedere cosa succede, cioè si sottopone la cellula a sollecitazioni meccaniche, la si fa attraversare<br />

da campi elettrici, da campi magnetici, per capire che rapporto esiste tra le perturbazioni applicate<br />

<strong>alla</strong> cellula e questa elettronegatività.<br />

Ci si accorge che se la perturbazione (meccanica o termica, qualunque sia la sua natura) non<br />

danneggia la cellula, non si osservano variazioni significative della negatività, cioè questa<br />

negatività rimane inalterata nonostante i tentativi che vengono fatti per cercare di perturbare il<br />

sistema. Soltanto la morte della cellula porta <strong>alla</strong> scomparsa della negatività.<br />

Il segno di morte in una cellula è rappresentato d<strong>alla</strong> scomparsa dell’elettronegatività.<br />

Questo aspetto è stato visto sicuramente nei telefilm americani, quando il paziente muore si<br />

appiattisce l’elettrocardiogramma, cioè non ci sono più variazioni di potenziale significative.<br />

La presenza di elettronegatività è espressione di vita cellulare.<br />

Domanda: tutte le cellule si comportano in questo modo?<br />

Invece di prendere un cheratinocita, si può considerare un globulo rosso, nel quale si ottengono gli<br />

stessi risultati anche se la differenza di potenziale è comunque inferiore (intorno ai -40 mV).<br />

Lo stesso vale per molti altri tipi cellulare, fino a quando non consideriamo una cellula nervosa o<br />

una cellula muscolare oppure una cellula in grado di secernere.<br />

29


Le cellule nervose, cioè i neuroni, le cellule muscolari (non ha importanza se lisce, striate o<br />

miocardiche) e le cellule secernenti (esocrine o endocrine) si comportano in un modo diverso.<br />

Se si inserisce un elettrodo dentro un neurone si può verificare che anche questo all’interno è<br />

negativo, con la differenza che è più elettronegativo, intorno ai -70 mV.<br />

In questo caso però, se si applica una perturbazione, si osserva un fenomeno particolare: applicando<br />

una stimolazione la negatività della cellula rapidamente scompare, la cellula diventa positiva,<br />

intorno a +20 mV, resta positiva per circa 1 millesimo di secondo e poi altrettanto rapidamente<br />

ritorna negativa.<br />

Di solito la cellula impiega un ms a passare da negativa a positiva e un altro ms per ritornare<br />

da positiva a negativa, cioè tra andata e ritorno (tranne in un caso) si impiegano 2-3 millesimi di<br />

secondo. Vi sono cellule che passano quindi da -80 a + 20, per cui la variazione di potenziale è di<br />

un decimo di volt.<br />

Ricapitolando Tutte le cellule sono negative, ma non tutte hanno questa curiosa modalità di<br />

rispondere agli stimoli applicati.<br />

Questo modo di reagire alle perturbazioni, questa proprietà prende il nome di eccitabilità.<br />

In definitiva le cellule viventi sono tutte negative ma non sono tutte eccitabili, soltanto tre<br />

categorie di cellule viventi in tutti gli organismi sono eccitabili: i neuroni, le cellule muscolari<br />

(liscie, striate e cardiache) e le cellule secernenti.<br />

Le cellule del corpo umano si dividono quindi nelle varie categorie, eccitabili e non eccitabili:<br />

le cellule non eccitabili sono quelle che rimangono negative per tutta la vita, non diventano mai<br />

positive (quando muoiono scompare la negatività), le cellule eccitabili invece hanno la straordinaria<br />

proprietà di reagire alle perturbazioni con una inversione di polarità della durata di 2-3 ms (questo<br />

significa che in un secondo questo processo si può ripetere anche 300 volte).<br />

Qual è l’importanza biologica di questa proprietà?<br />

Come visto questa proprietà è posseduta da 3 categorie di cellule.<br />

Se si considera una cellula secernente e si sfrutta questa sua capacità, si osserva che appena la<br />

cellula secernente passa da cellula negativa a cellula positiva, inizia a secernere.<br />

La cellula muscolare quando diventa positiva si contrae.<br />

La cellula nervosa quando diventa positiva consente la trasmissione dell’impulso nervoso.<br />

Dunque per queste categorie di cellule questo evento significa passare da una condizione di riposo a<br />

una condizione di attività: il segnale che fa passare queste cellule da una condizione di riposo a<br />

una condizione di attività è un segnale di natura elettrica.<br />

Quando le cellule sono elettricamente negative sono a riposo, se invece diventano positive le cellule<br />

passano a una condizione di attività, tanto che in <strong>fisiologia</strong> questo evento si chiama potenziale<br />

d’azione, proprio perché indica l’evento che stabilisce che la cellula deve cominciare a entrare in<br />

azione.<br />

Ricapitoliamo<br />

- Tutte le cellule viventi sono negative ma non tutte sono eccitabili.<br />

Questo significa che fino a quando una cellula è viva e sana, deve essere elettricamente negativa<br />

rispetto all’esterno. L’unica differenza tra una cellula e l’altra riguarda solo di quanto è negativa, in<br />

alcuni casi infatti si tratta di piccole elettronegatività, in altri casi ad es. nei muscoli striati si arriva a<br />

-90 mV, in ogni caso il segno – è una costante.<br />

Alcune categorie di cellule, se vengono perturbate, reagiscono con una inversione di polarità,<br />

ovvero da cellule negative diventano positive (in fisica questo fenomeno da negativo a positivo<br />

prende il nome di depolarizzazione) e poi altrettanto rapidamente ritornano <strong>alla</strong> negatività iniziale<br />

(in fisica questo fenomeno si chiama ripolarizzazione). Questo fa in modo che la cellula passi da<br />

una condizione di riposo a una condizione di attività.<br />

30


* Questa proprietà permette ad es. di distinguere le cellule del sistema nervoso: molto spesso infatti<br />

cellule gliali e neuroni si assomigliano, quindi non è tanto la morfologia che ci può permettere di<br />

distinguere queste cellule; il principio da seguire infatti è un altro: se è un neurone è eccitabile, se<br />

non è un neurone, cioè se è una cellula gliale, non è eccitabile.<br />

* Il termine glia in tedesco significa “colla” e se ci facciamo caso è la stessa radice della parola<br />

inglese glue; infatti gli antichi anatomici tedeschi erano convinti che queste cellule servissero per<br />

mantenere adesi i neuroni.<br />

· Possiamo considerare quanto visto finora come un’opportuna premessa, adesso è il caso di fornire<br />

importanti spiegazioni, ad es. perché le cellule sono elettricamente negative?<br />

Cos’è che obbliga tutte le cellule viventi di tutti i tipi ad essere elettricamente negative?<br />

Questo è un problema che non è stato semplice risolvere, però andando per ordine: il fatto che le<br />

cellule funzionassero su base elettrica fu intuito <strong>alla</strong> fine del ‘700 da un medico italiano, Luigi<br />

Galvani, il quale condusse importanti esperimenti sulle rane.<br />

Galvani osservò che dopo aver sezionato la rana a metà, prendendo solo la parte inferiore con i<br />

nervi diretti ai muscoli delle gambe, se lui collegava questo nervo a una bottiglia di Leida (che fu il<br />

primo generatore di scariche elettriche nella storia della fisica) i muscoli delle gambe della rana si<br />

contraevano. Galvani quindi fu il primo a intuire che la contrazione dei muscoli dipende da<br />

fenomeni di natura elettrica, cioè fu il primo a intuire che queste cellule si contraevano su base<br />

elettrica.<br />

Tuttavia furono necessari più di 100 anni affinché qualcuno avesse una vaga idea di come poteva<br />

avvenire tutto questo: un fisiologo tedesco di nome Bernstein condusse delle interessanti ricerche<br />

sulla composizione dei liquidi corporei descrivendo un fenomeno interessante: considerando i<br />

liquidi che si trovano attorno alle cellule, cioè i cosiddetti liquidi extracellulari e la loro<br />

composizione ionica, Bernstein notò che fuori dalle cellule lo ione positivo era rappresentato nella<br />

stragrande maggioranza dallo ione Na+, mentre lo ione negativo era rappresentato nella stragrande<br />

maggioranza dallo ione Cl¯.<br />

Na+ e Cl¯ sono i due tipici ioni che si trovano fuori dalle cellule, cioè negli ambienti<br />

extracellulari.<br />

Se si prendeva invece il citoplasma delle cellule, per cui un ambiente intracellulare, trovò che Na+ e<br />

Cl¯ sono quasi inesistenti: all’interno delle cellule lo ione positivo tipico è lo ione K+, così come lo<br />

ione negativo delle cellule viventi è rappresentato da una trilogia di ioni negativi molto particolare.<br />

· Il primo di questi ioni negativi è rappresentato dal fosfato (che si libera ad esempio dall’ATP), il<br />

quale però in seguito diffonde anche all’esterno della cellula, per cui dopo un certo tempo<br />

ritroviamo la stessa concentrazione sia dentro che fuori: questo significa che il fosfato non può<br />

essere il responsabile della negatività intracellulare.<br />

· Il secondo ione negativo è invece uno ione che si forma in tutte le cellule viventi attraverso un<br />

meccanismo particolare: le cellule producono CO2, la CO2 si lega all’H2O, si forma H2CO3 il quale<br />

si dissocia con la formazione di HCO3¯. Tuttavia anche lo ione bicarbonato poi diffonde all’esterno,<br />

per cui neppure lo ione bicarbonato può essere il responsabile della negatività intracellulare.<br />

Allora qual è lo ione negativo tipico degli ambienti intracellulari?<br />

Lo ione negativo tipico degli ambienti intracellulari è rappresentato dalle proteine della<br />

cellula.<br />

Le proteine sono per definizione molecole anfotere, cioè possono comportarsi come acidi o come<br />

basi a seconda del pH dell’ambiente in cui si trovano. Se l’ambiente è acido, cioè è ricco di ioni H+,<br />

il sistema tende a legare ioni H+, se invece l’ambiente è basico, cioè povero di ioni H+, il sistema<br />

tende a perdere lo ione H+ e quindi la molecola si comporta da anione.<br />

Il sistema in pratica funziona da tampone: in un ambiente basico la proteina cede ioni H+<br />

dall’estremità carbossi-terminale, in un ambiente acido lega gli ioni H+ al gruppo aminoterminale.<br />

31


Il pH delle cellule viventi è di 7,4: poiché il pH è basico ovviamente tutte le proteine di tutte le<br />

cellule si comporteranno da anioni, cioè si comportano da ioni negativi.<br />

Pertanto le proteine che si trovano all’interno delle cellule (sia le proteine strutturali, sia gli enzimi)<br />

si comportano come un enorme quantità di ioni negativi.<br />

Gli anioni proteici sono responsabili della negatività intracellulare.<br />

Da queste osservazioni Bernstein formulò una teoria per spiegare perché le cellule non possono che<br />

essere negative. Vediamo in cosa consiste questa teoria.<br />

Inizialmente per comodità lasciamo perdere il sodio e il cloro extracellulari, consideriamo soltanto<br />

potassio e anioni proteici.<br />

Immaginate una cellula qualunque in cui vi sono 10 potassio e 10 anioni proteici: questa cellula sul<br />

piano elettrico è neutra. Allora Bernstein si chiese cosa sarebbe successo lasciando la cellula a se<br />

stessa, senza intervenire: il potassio è un piccolo ione che attraversa facilmente le membrane<br />

cellulari, invece nessuna proteina in condizioni fisiologiche è in grado di attraversare le membrane<br />

cellulari (l’unico modo sarebbe per endocitosi, cioè per mezzo di un trasporto attivo).<br />

I pori della membrana cellulare sono in grado di far passare piccoli ioni ma non certamente le<br />

macromolecole proteiche.<br />

Ricordiamo a questo punto che il potassio ha una notevole differenza di concentrazione tra l’interno<br />

e l’esterno, per cui diffonde dall’interno verso l’esterno secondo gradiente di concentrazione.<br />

Il risultato è che quando esce il primo potassio la cellula non è più elettricamente neutra ma assume<br />

carica negativa: questo determina un fenomeno che fino a questo momento non era evidente.<br />

La legge di Coulomb afferma che cariche di segno opposto si attraggono, per cui dal momento che<br />

il potassio è di segno + , mentre l’interno inizia a diventare di segno - , il potassio adesso non è più<br />

sottoposto solo <strong>alla</strong> forza del gradiente di concentrazione, ma compare una seconda forza di natura<br />

elettrica che lo trattiene all’interno della cellula.<br />

Immaginiamo che il secondo potassio esca (8 dentro, 2 fuori): l’interno della cellula diventa ancora<br />

più negativo per cui la forza che trattiene il potassio aumenta, inoltre la forza del gradiente dovuta<br />

<strong>alla</strong> differenza di concentrazione si è ridotta.<br />

Si arriverà a un momento (ad esempio 7 dentro, 3 fuori) in cui il potassio non si muove più,<br />

ha raggiunto una condizione di equilibrio perché la forza che lo spinge ad uscire è bilanciata d<strong>alla</strong><br />

forza che lo trattiene al suo interno.<br />

Quando queste due forze si equivalgono vi sarà sempre comunque una maggiore concentrazione di<br />

potassio dentro e meno fuori: nell’uomo il rapporto interno/esterno è di 40 a 1, cioè per ogni 40 ioni<br />

potassio all’interno ce n’è 1 fuori.<br />

* Si capisce quindi che per trattenere all’interno della cellula questa concentrazione è necessaria una<br />

bella negatività, ci vogliono -60, -70 mV altrimenti il potassio continuerebbe ad uscire.<br />

In poche parole a un certo punto si raggiunge un valore di negatività che impedisce al potassio di<br />

uscire e che si chiama potenziale di equilibrio per il potassio.<br />

Potenziale di equilibrio significa che quel valore è sufficiente per mantenere stazionaria la<br />

situazione: il potassio sarà sempre di più all’interno della cellula e meno fuori, ma non uscirà,<br />

nonostante la presenza di una differenza di concentrazione, perché trattenuto d<strong>alla</strong> forte<br />

elettronegatività intracellulare.<br />

Ci sono però delle possibili quantificazioni: uno scienziato di nome Nernst ha stabilito una legge<br />

che permette di sapere quanto deve essere la negatività, conoscendo la concentrazione dello ione<br />

all’interno e all’esterno, per impedire allo ione di spostarsi.<br />

Per il potassio questo valore di negatività è tra – 60 e – 70 a seconda della differenza di<br />

concentrazione (questo valore può cambiare cellula per cellula).<br />

32


Bernstein concluse quindi che tutte le cellule sono negative in seguito a un fenomeno obbligatorio:<br />

le cellule possiedono uno ione di segno + che può uscire e uno ione che di segno – che non può<br />

uscire.<br />

L’unico ione che le cellule possono perdere è quello di segno positivo ed è evidente che<br />

perdendo ioni di segno + le cellule diventeranno elettricamente negative.<br />

La risposta potrebbe essere presentata con una domanda: come fanno le cellule a non essere<br />

negative se l’unico ione che possono perdere è quello di segno positivo?<br />

L’ipotesi di Bernstein si fonda quindi su questa osservazione: le cellule al loro interno possiedono<br />

come ione positivo il potassio, come ione negativo le proteine (quest’ultime quasi assenti<br />

all’esterno). Di questi due ioni solo quello di segno positivo è diffusibile attraverso le membrane<br />

cellulari. La cellula quindi inizia a perdere ioni di segno +, diventa sempre più negativa e questa<br />

elettroonegatività a un certo punto impedirà al potassio di uscire.<br />

Il potassio sarà quindi in perfetto equilibrio tra un gradiente elettrico che lo trattiene e un gradiente<br />

elettrico che lo spinge fuori.<br />

Non solo conclude Bernstein le cellule sono negative, ma lo saranno per tutta la vita!<br />

Dov’è che però Bernstein imbrogliava?<br />

Bernstein barava facendo finta di non ricordarsi cosa che fuori dalle cellule vi sono Na+ e Cl¯.<br />

(il rapporto tra Na+ fuori e Na+ dentro è di 40 a 1 e lo stesso vale per il Cl¯).<br />

Poiché il cloro è di segno – e anche l’interno della cellula è di segno – , per cui nonostante il<br />

gradiente di concentrazione il cloro è respinto da un ambiente che ha lo stesso segno.<br />

!! Il sodio invece viene spinto all’interno della cellula per due motivi: il gradiente chimico<br />

(ricordiamo che ce n’è molto fuori e poco dentro) e dal gradiente elettrico.<br />

Si capisce quindi che se il potassio che esce fosse sostituito dal sodio che entra, la cellula non<br />

sarebbe mai negativa.<br />

Di fronte a questo problema Bernstein concluse che il Na+ non entra nella cellula perché le<br />

membrane cellulari non fanno passare il Na+.<br />

Secondo Bernstein quindi le membrane cellulari fanno uscire il K+ , ma non fanno entrare il Na+<br />

(tra l’altro ricordiamo che il Na+ e il K+ hanno quasi lo stesso diametro).<br />

Tuttavia fu facile dimostrare che qualunque membrana cellulare, di qualunque tipo, fa passare con<br />

estrema facilità il Na+.<br />

Quindi la domanda è: com’è possibile che la cellula rimanga negativa nonostante vi sia fuori il Na+<br />

il quale è sottoposto a due forze che lo spingono a entrare e in più anche la membrana lo lascia<br />

passare? Quindi non si riusciva a spiegare perché sebbene il Na+ sia in grado di entrare la cellula<br />

rimane negativa.<br />

· Quando iniziarono ad essere prodotti i primi isotopi radioattivi del sodio, si vide che<br />

continuamente la radioattività passava dentro e fuori la cellula.<br />

Quindi l’ipotesi di Bernstein fu modificata: le cellule non sono negative perché il Na+ non entra,<br />

bensì sono negative perché il Na+ entra ma appena entrato viene nuovamente riportato fuori<br />

d<strong>alla</strong> cellula.<br />

Le cellule quindi non sono negative passivamente: al contrario le cellule rimangono negative<br />

attivamente perché devono prendere Na+ che entra spontaneamente, seguendo un gradiente<br />

elettrochimico, e lo devono portare fuori d<strong>alla</strong> cellula contro gradiente elettrico e contro gradiente<br />

chimico. Questo trasporto costa energia, consuma ATP: ci vuole una molecola di ATP per ogni 3<br />

Na+ che vengono presi dentro e portati fuori.<br />

Pertanto l’elettronegatività delle cellule non è gratis ma è il risultato di un continuo lavoro che le<br />

membrane fanno e che consiste nel prendere il Na+ che entra spontaneamente e buttare fuori<br />

attivamente con dispendio di energia esattamente la stessa quantità di Na+ che entra.<br />

33


§ Il professore: “la vostra collega ha un fabbisogno energetico di circa 1300-1400 Kcal al giorno, il<br />

90% di questa energia viene utilizzata solo per pompare il sodio all’esterno della cellula, per far<br />

rimanere negative le cellule. Per fare tutto il resto, cioè per camminare, studiare, ecc, le basta il 10%<br />

del dispendio energetico”.<br />

La negatività cellulare è un equilibrio dinamico che rappresenta il principale costo energetico per la<br />

cellula. Il nostro obiettivo comunque è capire in cosa si differenziano le cellule eccitabili.<br />

· Iniziamo però dalle cellule non eccitabili. Se consideriamo una porzione di membrana di una<br />

cellula non eccitabile si osservano due caratteristiche fondamentali per l’elettronegatività:<br />

- Il primo aspetto è rappresentato dai pori che permettono allo ione K+ di uscire e allo ione Na+ di<br />

entrare (ricordiamo che le pareti di questi canali sono formati da 5 a 6 proteine).<br />

# In un micron² di membrana di una cellula non eccitabile di questi pori ne sono presenti<br />

mediamente 50 e da ognuno di questi buchi in un millesimo di secondo passano qualcosa come 50<br />

milioni di ioni sodio per ogni poro, per cui provate a immaginare la quantità di sodio che entra e la<br />

spesa energetica visto che per ogni 3 ioni sodio riportati all’esterno ci vuole una molecola di ATP.<br />

- Nella stessa porzione di membrana sono presenti i trasportatori, carrier (proteine integrali di<br />

membrana) che devono prendere il sodio dentro e portarlo fuori e sono chiamati pompe per il sodio.<br />

Questi carrier di solito sono talmente numerosi che sono sufficienti a trasportare fuori tutto il Na+<br />

che entra da 50 canali, ma anche da 70 canali. Quindi potremmo dire che c’è un margine di<br />

sicurezza: anche se i canali fossero un po’ di più il sistema funzionerebbe.<br />

Dunque in condizioni fisiologiche le pompe, in una cellula non eccitabile, sono più che sufficienti<br />

per prendere il Na+ che entra e riportarlo fuori.<br />

Il problema quindi non sta tanto nella quantità delle pompe quanto piuttosto nella capacità<br />

metabolica di produrre l’ATP necessario per far funzionare le pompe e se il sistema funziona<br />

l’elettronegatività della cellula non viene perturbata.<br />

· Per quanto riguarda le cellule eccitabili, ad es. se si prende un micron² di membrana di un neurone,<br />

il primo aspetto importante è che anche nel neurone i carrier sono più o meno gli stessi, cioè più o<br />

meno sono sufficienti per 70 canali. La differenza quindi non riguarda la quantità di trasportatori.<br />

Se invece si prendono in considerazione i canali, cioè i pori, nella membrana di una cellula<br />

eccitabile il numero di pori presenti è almeno 10 volte superiore, cioè una membrana di una<br />

cellula eccitabile possiede per ogni micron² da 500 a 2000 canali mentre le pompe sono sempre<br />

sufficienti solo per 70 canali! In ogni caso il neurone fino a quando non viene stimolato è negativo.<br />

Dunque la domanda è: come fa a rimanere negativa una cellula che ha 500 pori per l’entrata del<br />

sodio ma solo pompe sufficienti per 70 canali per buttarlo fuori?<br />

L’unica spiegazione possibile che è stata trovata per questa apparente contraddizione numerica è la<br />

seguente: è vero che ci sono 500 pori però a riposo di questi ne sono aperti solo 50.<br />

Gli altri 450 pori sono presenti ma rimangono chiusi.<br />

La negatività quindi viene garantita dal fatto che il sodio entra solo attraverso 50 canali e le pompe<br />

presenti sono così sufficienti. La differenza importante però riguarda il fatto che in questo caso vi<br />

sono altri 450 canali momentaneamente chiusi, ma che si possono in opportune condizioni aprire.<br />

Nel caso dei canali normalmente chiusi, le proteine che formano le pareti hanno una forma ben<br />

precisa: la proteina sporge nel lume e lo occlude, cioè assume una determinata configurazione<br />

allosterica (off) in modo tale che lo ione non riesce a passare. Queste proteine possono ovviamente<br />

cambiare la loro conformazione allosterica (on) e determinare l’apertura del canale.<br />

Dunque le proteine che formano i canali sono di due tipi: circa 50 (il 10%) sono sempre aperti, gli<br />

altri 450 sono formati da proteine canale che esistono in due conformazioni allosteriche (on e off).<br />

Normalmente sono in conformazione off per cui il canale non è precorribile da parte dello ione.<br />

Cosa fa cambiare la conformazione da off a on al canale e viceversa?<br />

Esistono solo due modi fisiologici (+ uno non molto fisiologico), per aprire un canale.<br />

34


* Il metodo non molto fisiologico è legato all’edema cellulare: se una cellula rigonfia si ha il rischio<br />

che le proteine che formano la parete, anche se rimangono off, si allontanano e gli ioni riescono a<br />

passare. Questo meccanismo è una conseguenza patologica che si verifica ad es. in un edema<br />

cerebrale.<br />

I metodi fisiologici per aprire un canale sono due (dove aprire significa far cambiare la<br />

conformazione allosterica delle proteine canale da off a on).<br />

La regola vuole che quasi tutti i canali siano in grado di sfruttare entrambi i meccanismi.<br />

1. Il primo di questi meccanismi consiste nel fatto che ci sono delle sostanze chimiche che<br />

legandosi <strong>alla</strong> proteina fanno cambiare la conformazione allosterica del canale.<br />

Quando avviene il legame tra la proteina e la sostanza chimica cambia istantaneamente (in pochi<br />

nano secondi) la conformazione del canale. Il canale passa d<strong>alla</strong> conformazione off a on e quando la<br />

sostanza chimica si stacca d<strong>alla</strong> proteina la conformazione della proteina da on torna ad essere off.<br />

Queste molecole che portano all’apertura dei canali possono provenire dall’esterno della cellula<br />

(con il sangue ad es. neurotrasmettitori, ormoni) oppure possono essere prodotte all’interno della<br />

stessa cellula, in quest’ultimo caso vengono indicate con il nome di secondo messaggero.<br />

2. Il secondo metodo per l’apertura dei canali non necessita di sostanze chimiche. Questo metodo<br />

fisiologico si basa sul fatto che le proteine canale sono proteine e come tali possiedono delle<br />

cariche elettriche. La presenza di queste proteine dotate di cariche elettriche fa in modo che se<br />

artificialmente si riduce la negatività della cellula (ad es. da -60 a -50), questa minore negatività da<br />

sola è sufficiente per determinare l’apertura dei canali.<br />

E’ sufficiente depolarizzare la cellula, cioè ridurre la negatività, che una certa quantità di<br />

canali spontaneamente cambia configurazione allosterica da off a on, cioè da chiusi diventano<br />

aperti. E’ chiaro che la quantità di canali che si apre dipende d<strong>alla</strong> riduzione della negatività, cioè<br />

se si passa da -60 a -50 se ne apre una certa quantità, se invece si riduce da -60 a -40 se ne apre una<br />

quantità superiore.<br />

Si dice in termine tecnico che questi canali sono voltaggio-dipendenti, cioè la loro condizione di<br />

aperti o chiusi dipende dal potenziale, cioè più la cellula è negativa più è elevato il numero di canali<br />

chiusi, più la cellula perde negatività maggiore è il numero di canali aperti. Quando il potenziale<br />

della cellula è esattamente 0, tutti i canali sono aperti.<br />

· L’elettronegatività dipende quindi dal modello di Bernstein, cioè dal fatto che gli ioni intracellulari<br />

sono diversi dagli ioni extracellulari: negli ambienti intracellulari lo ione positivo è il potassio, lo<br />

ione negativo è rappresentato dagli anioni proteici, mentre fuori dalle cellule sodio e cloro.<br />

* Per sapere ad es. quanta acqua è contenuta nelle cellule si potrebbe prendere del K+ radioattivo, il<br />

quale andrà a finire dentro le cellule: non bisogna far altro che attendere un po’ e andare a misurare<br />

la concentrazione del K+, cioè qual è il rapporto tra ioni radioattivi rispetto al solvente.<br />

Conoscendo la concentrazione del soluto è facile arrivare al volume del solvente.<br />

Seguendo lo stesso principio, se anziché potassio radioattivo si usa il Na+ radioattivo, è possibile<br />

misurare il volume dei liquidi extracellulari.<br />

In alcuni casi si può utilizzare un isotopo dell’acqua (cioè con l’aggiunto di tritio, isotopo<br />

dell’idrogeno) si possono ricavare i volumi complessivi dei liquidi nel corpo.<br />

Riepilogando bisogna ricordare una trilogia di concetti importanti:<br />

1. L’ ipotesi di Bernstein, dice che dentro le cellule vi sono K+ e anioni proteici e solo il potassio è<br />

diffusibile, quindi perdendo cationi la cellula è ovviamente costretta a diventare elettricamente<br />

negativa. L’ipotesi di Bernstein spiega quindi la nascita della negatività.<br />

Il fatto che la cellula rimanga negativa richiede di eliminare il Na+ il quale entra sia per gradiente<br />

elettrico che per gradiente di concentrazione. Per rimanere negativa nel tempo la cellula deve<br />

35


neutralizzare l’entrata del sodio attraverso le pompe per il sodio, le quali trasportano 3 ioni sodio<br />

con il costo di 1 ATP.<br />

# Ricordiamo che la membrana di una cellula non eccitabile contiene circa 50 canali per ² e<br />

attraverso un canale spontaneamente entrano 50 milioni di ioni sodio al millesimo di secondo,<br />

quindi la quantità di ioni sodio che entra è notevole e la quantità di ATP necessario per farlo uscire<br />

è altrettanto notevole. Se si considera invece la membrana di una cellula eccitabile la differenza<br />

più importante riguarda il fatto che i canali sono molto più numerosi, almeno 10 volte più numerosi,<br />

cioè almeno 500 canali per ²: in questo caso la negatività della cellula si giustifica con il fatto che<br />

di tutti questi canali, soltanto 50 circa sono sempre aperti.<br />

Gli altri canali si aprono come visto o in risposta a sostanze chimiche che si legano <strong>alla</strong> proteina<br />

canale oppure variando il potenziale.<br />

Immaginiamo di stimolare una cellula eccitabile, ad es. un neurone: si fanno legare ad esso delle<br />

sostanze chimiche in piccola quantità che determinano l’apertura per esempio di 10 canali. Se prima<br />

la cellula possedeva 50 canali aperti, il legame delle sostanze porta la cellula ad avere 60 canali<br />

aperti. L’effetto di questa situazione non è determinante perché come visto le pompe per il sodio<br />

sono sufficienti per 70 canali aperti, quindi la cellula rimane negativa.<br />

A questo punto viene fornita una maggiore quantità di queste sostanze chimiche: la situazione<br />

cambia quando vengono aperti 71 canali. Infatti le pompe sono in grado di portare fuori una<br />

quantità di sodio pari a quella che entra da 70 canali e dunque una certa quota di Na+ resta dentro la<br />

cellula. Con la permanenza del Na+ all’interno, la cellula si depolarizza.<br />

Man mano che il sodio resta dentro e la cellula si depolarizza si apriranno gli altri canali facendo<br />

depolarizzare ulteriormente la cellula, in pratica si mette in moto un meccanismo che porterà<br />

inesorabilmente la cellula a diventare elettricamente positiva: questo fenomeno prende il nome di<br />

ciclo di Hodgkin dal nome dello studioso che negli anni ’50 lo descrisse per primo.<br />

Questo fenomeno autosostentativo è inarrestabile.<br />

Si capisce che il comportamento delle cellule eccitabili è interessante: se si produce uno stimolo di<br />

piccola intensità per cui non si aprono più di 70 canali, o meglio se non arriva ad aprire il 71˚<br />

canale, non succederà nulla, cioè lo stimolo in questione non è in grado di far scattare il fenomeno.<br />

Se invece si apre il 71˚ canale, cioè il valore critico, il fenomeno non si può più fermare, cioè si<br />

mette in moto un fenomeno autosostentativo che porta inesorabilmente <strong>alla</strong> genesi del potenziale<br />

d’azione. Il sistema obbedisce quindi <strong>alla</strong> legge del tutto o del nulla.<br />

Il punto critico è determinato in definitiva dall’intensità dello stimolo applicato: se lo stimolo non è<br />

sufficientemente intenso da aprire il 71˚ canale non succede nulla, invece se si apre il 71˚ canale il<br />

fenomeno diventa autosostentativo: è importante capire che non c’è differenza se il valore critico di<br />

70 canali si supera di uno o di cinquanta!<br />

Il valore critico è rappresentato dall’apertura 71˚ canale: al di sotto nulla, al di sopra tutto.<br />

Il termine che si utilizza per indicare l’apertura del 71˚ canale è la soglia.<br />

*In latino limen significa “confine” per cui gli stimoli si distinguono in subliminali e sopraliminali<br />

a seconda che siano in grado di superare la soglia.<br />

36


Lezione 5 - prof.ssa Serapide<br />

La corteccia frontale comanda i muscoli del nostro corpo tramite il midollo spinale.<br />

I segnali arrivano d<strong>alla</strong> corteccia al midollo spinale e da questo ai muscoli per mezzo dei potenziali<br />

d’azione che viaggiano lungo gli assoni, quindi lungo i fasci di fibre che non sono altro che<br />

l’insieme degli assoni delle cellule sulle quali questi potenziali si sono generati. Il potenziale<br />

d’azione viene condotto, si propaga lungo le fibre.<br />

Cosa succede quando l’assone di questo neurone arriva <strong>alla</strong> sua terminazione?<br />

In corrispondenza della sua terminazione l’assone può trovare o un altro neurone oppure può<br />

trovare un muscolo (ad es. se si tratta di un assone il cui corpo cellulare si trova nel midollo spinale,<br />

incontra un muscolo). Queste cellule che innervano espressamente i muscoli e si trovano localizzati<br />

nel midollo spinale prendono il nome di motoneuroni, proprio perché sono dei neuroni che<br />

determinano contrazione dei muscoli e quindi movimento. Queste cellule sono localizzate nella<br />

parte anteriore del midollo spinale.<br />

Il midollo spinale è costituito da sostanza bianca all’esterno e sostanza grigia all’interno. Questa<br />

diversa colorazione indica una diversa composizione: la sostanza bianca è tale perché costituita da<br />

assoni, quindi da fibre la maggior parte delle quali sono rivestite da mielina, una guaina che serve<br />

ad accelerare molto la conduzione di potenziali d’azione lungo le fibre; la parte centrale invece, che<br />

presenta una forma di H, è tale perché lì si trovano corpi cellulari privi di mielina.<br />

* La mielina a livello di un neurone si trova solo sull’assone, quindi sia il soma che i dendriti ne<br />

sono privi.<br />

La sostanza grigia a forma di H presenta quindi due formazioni che prendono il nome di corna, due<br />

anteriori e due posteriori, mentre per i quadrupedi si parla di ventrale e dorsale. In alcuni casi<br />

comunque i termini ventrale e dorsale vengono applicati anche in testi di <strong>fisiologia</strong> umana anche se<br />

andrebbero utilizzati anteriore e posteriore per riferirsi <strong>alla</strong> posizione eretta.<br />

Nel corno ventrale della sostanza grigia si trovano i corpi cellulari dei motoneuroni i cui assoni<br />

vanno a innervare i muscoli scheletrici, formando sinapsi con questi muscoli.<br />

In particolare nelle corna ventrali vi sono due popolazioni di motoneuroni.<br />

Una popolazione molto grande è formata dagli -motoneuroni, frammisti ai quali vi sono dei<br />

motoneuroni più piccoli che prendono il nome di -motoneuroni.<br />

· I motoneuroni sono quelli che effettivamente determinano il movimento perché vanno a<br />

innervare i muscoli volontari: al muscolo arriva l’assone di questa cellula, quindi una fibra che<br />

prende il nome di fibra .<br />

I muscoli scheletrici volontari sono innervati dagli -motoneuroni del midollo spinale tramite<br />

fibre .<br />

· I motoneuroni con le loro piccole fibre vanno a innervare dei recettori che si trovano<br />

all’interno del muscolo.<br />

37


Le sinapsi<br />

Le sinapsi sono quindi delle zone in cui due strutture eccitabili vengono a contatto tra di loro.<br />

Nelle sinapsi l’elemento pre-sinaptico è sempre un assone (non potrebbe essere altrimenti) piuttosto<br />

è l’elemento post-sinaptico che varia.<br />

In particolare si parla di sinapsi periferica quando questa sinapsi avviene tra una fibra e un<br />

muscolo scheletrico che si trova in periferia. Questa sinapsi viene chiamata anche placca<br />

neuromuscolare, proprio perché è costituita da un elemento nervoso, la fibra e da un altro<br />

elemento che è la fibra muscolare scheletrica.<br />

Si parla di sinapsi centrale quando avviene tra due neuroni.<br />

Nel caso della sinapsi periferica l’elemento post-sinaptico è una fibra muscolare, nel caso della<br />

sinapsi centrale la fibra incontra un altro neurone costituito da soma, dendriti e dall’assone.<br />

La fibra pre-sinaptica può prendere contatto con i dendriti di questo secondo neurone formando una<br />

sinapsi asso-dendritica, oppure con il soma formando una sinapsi asso-somatica, oppure può<br />

prendere rapporto anche con l’assone di questo secondo neurone formando una sinapsi assoassonica.<br />

Quindi per quanto riguarda la sinapsi periferica si distingue soltanto un tipo di struttura, la placca<br />

neuromuscolare, mentre per la sinapsi centrale si distinguono tre tipi di sinapsi dal punto di vista<br />

morfologico (asso-dendritica, asso-somatica e asso-assonica).<br />

Sinapsi chimiche<br />

Le sinapsi sono delle regioni specializzate, cioè non tutti i punti di contatto possono diventare<br />

sinapsi ed è una zona di contiguità tra due elementi, cioè una zona in cui gli elementi sono separati<br />

da uno spazio molto ristretto, lo spazio sinaptico o (?) sinaptico, che si misura addirittura con una<br />

unità di misura più piccola del nano metro, nell’ordine degli angstrom.<br />

I due elementi di una sinapsi quindi anche se molto vicini, non sono fusi, non c’è un rapporto di<br />

continuità bensì di contiguità, di estrema vicinanza.<br />

Questo tipo di sinapsi in cui gli elementi sono separati dallo spazio sinaptico sono le cosiddette<br />

sinapsi chimiche cioè quelle sinapsi che lavorano servendosi di una sostanza chimica che prende il<br />

nome di mediatore chimico o neurotrasmettitore, in quanto si tratta di una sostanza che media il<br />

passaggio del potenziale d’azione d<strong>alla</strong> fibra pre-sinaptica all’elemento post-sinaptico.<br />

Lo spazio sinaptico quindi non viene saltato e ciò rappresenta già una stranezza: quando si<br />

studierà la conduzione del potenziale d’azione lungo le fibre, si vedrà infatti che questa conduzione<br />

è di tipo saltatorio, cioè il potenziale salta lungo la fibra, in particolare salta dei tratti che sono più<br />

ampi dello spazio sinaptico, tuttavia non riesce a saltare questo piccolissimo intervallo che c’è tra<br />

un elemento e l’altro. Perché?<br />

Il motivo è dovuto non tanto al fatto che è incapace di saltare questo preciso spazio, piuttosto al<br />

fatto che il potenziale deve passare da un elemento con determinate caratteristiche a un altro con<br />

caratteristiche diverse, pur essendo entrambi delle strutture eccitabili.<br />

Nel passare da un elemento all’altro cambia la funzionalità, il modo di comportarsi di questo<br />

elemento, ad esempio cambia la soglia, quindi il potenziale non può passare direttamente<br />

saltando, anche se lo spazio è molto piccolo.<br />

38


Sinapsi elettriche<br />

Accanto alle sinapsi chimiche vi sono le sinapsi elettriche, cioè delle sinapsi in cui effettivamente i<br />

due elementi che formano la sinapsi si fondono tra di loro e in alcuni punto dove vengono a contatto<br />

si creano dei canali attraverso i quali passano ioni e altri soluti. Questi canali rappresentano quindi<br />

non solo un modo per far comunicare le cellule dal punto di vista metabolico, ma anche per<br />

trasferire ioni, cioè cariche elettriche, segnali elettrici da un elemento all’altro.<br />

Le zone in cui gli elementi vengono a contatto tra di loro sono chiamate gap junctions, cioè delle<br />

giunzioni molto strette formate da un canale che si viene a costituire tra un elemento e l’altro:<br />

questo canale prende il nome di connessone, il quale è formato a sua volta da connessine.<br />

La metà del canale si trova su una membrana, l’altra metà di trova sul canale di fronte, per cui<br />

quando i due elementi vengono a contatto questo canale si completa e attraverso di esso avviene il<br />

passaggio di segnali elettrici, c’è una comunicazione elettrica, da cui il nome di sinapsi elettriche.<br />

! Queste sinapsi dapprima erano considerate più involute rispetto a quelle chimiche, cioè le sinapsi<br />

chimiche erano considerate sinapsi più specializzate, l’evoluzione di quelle precedenti.<br />

Le sinapsi elettriche sono state adesso rivalutate poiché è stato visto che in diversi nuclei del<br />

nostro sistema nervoso si ritrovano queste sinapsi elettriche, le quali fanno in modo che questi<br />

neuroni possano inviare segnali tutti insieme, pressoché contemporaneamente.<br />

Le sincronizzazione dell’attività dei neuroni che è stata ritrovata a livello di diversi nuclei<br />

(talamici, bulbari) avviene proprio tramite le sinapsi elettriche, che sono molto rapide,<br />

permettono una propagazione molto più rapida dell’impulso.<br />

Grazie alle sinapsi elettriche viene modulata molto rapidamente l’attività di un nucleo e senza<br />

sprecare troppa energia, perché si ha il passaggio diretto di potenziale d’azione.<br />

* Addirittura attraverso queste gap junctions vengono mandati dei segnali in grado di regolare<br />

l’apoptosi, la morte programmata della cellula. L’apoptosi è regolata da molti segnali chimici che<br />

probabilmente derivano dalle cellule vicine a quella che deve andare in apoptosi, segnali che si<br />

propagano sfruttando proprio queste sinapsi elettriche.<br />

Le sinapsi elettriche si ritrovano anche nel cuore: il cuore è un organo con tutte le caratteristiche<br />

dei muscoli scheletrici , però dal punto di vista funzionale si comporta come un muscolo liscio!<br />

Mentre nei muscoli scheletrici le fibre muscolari sono entità singole, separate morfologicamente e<br />

funzionalmente tra di loro (tanto che per contrarsi devono essere attivate ad una ad una), nel cuore<br />

invece queste fibre presentano delle gap junctions, quindi in alcune parti della loro membrana sono<br />

connesse in maniera elettrica. Questo significa che le fibre cardiache non devono essere attivate ad<br />

una ad una come quelle del muscolo scheletrico, ma basta che il potenziale d’azione nasca in un<br />

punto, che subito l’impulso attraverso queste zone “a bassa resistenza” si propaga rapidamente e<br />

invade tutto il cuore.<br />

Il cuore quindi dal punto di vista funzionale è un sincizio, cioè si comporta come se fosse un’unica<br />

cellula: funzionalmente non c’è una separazione tra le varie fibre, ma queste sono elettricamente<br />

accoppiate tra di loro, unite tra di loro e questo favorisce la propagazione del potenziale d’azione<br />

una volta che questo nasce in un determinato punto.<br />

§ C’è una differenza tra stimolo e impulso: lo stimolo è quello che si applica ( può essere tattile,<br />

termico, dolorifico); l’impulso è sinonimo di potenziale d’azione, ovvero è la conseguenza dello<br />

stimolo.<br />

Per mezzo delle sinapsi elettriche è sufficiente applicare uno stimolo per cui l’impulso si propaga a<br />

tutta la struttura, senza mediazione chimica, sfruttando soltanto dei canali attraverso i quali possono<br />

passare facilmente gli ioni, e siccome gli ioni sono cariche elettriche il cui spostamento crea delle<br />

correnti elettriche, il segnala si propaga.<br />

39


§ Le sinapsi elettriche dunque sono state molto rivalutate negli ultimi tempi; tutti i testi di <strong>fisiologia</strong><br />

di questi ultimi anni parlano delle varie connessine che sono state individuate, alcune delle quali<br />

sono specifiche ad esempio per i neuroni, altre per le cellule gliali e così via.<br />

Dal punto di vista funzionale, quali vantaggi e quali svantaggi hanno le sinapsi chimiche e le sinapsi<br />

elettriche?<br />

Il fatto che coesistono vuol dire che per alcuni aspetti sono più indicate le sinapsi elettriche, per alti<br />

le sinapsi chimiche, quindi potremmo dire che ogni categoria, ogni tipo di sinapsi ha pro e contro.<br />

· Il vantaggio delle sinapsi elettriche è intanto la rapidità con cui trasmettono il segnale: le sinapsi<br />

elettriche sono molto più veloci delle sinapsi chimiche poiché il segnale passa direttamente da un<br />

elemento all’altro, invece a livello delle sinapsi chimiche, dovendo far intervenire la sostanza<br />

chimica, occorre del tempo, almeno 0,5 millesimi di secondo per ogni sinapsi.<br />

Considerando che vi sono molte vie in cui sono intercalate diverse sinapsi, questo tempo può<br />

allungarsi ed inoltre 0,5 ms è il tempo minimo, dal momento che alcune sinapsi possono richiedere<br />

più tempo.<br />

Questo tempo dunque, moltiplicato per tutte le sinapsi intercalate, può dare una notevole latenza,<br />

dove per latenza si intende il tempo che intercorre tra quando si applica lo stimolo e quando si ha<br />

l’effetto.<br />

Le sinapsi elettriche inoltre sono vantaggiose dal punto di vista economico, poiché il sistema<br />

consuma meno energia. Nelle sinapsi chimiche invece il soma deve produrre il neurotrasmettitore, il<br />

quale deve migrare lungo l’assone e deve essere rilasciato con dispendio di energia.<br />

Le sinapsi elettriche funzionano sempre, basta che vi sia un segnale e purché i canali siano aperti.<br />

Le sinapsi chimiche invece, dipendendo da una quantità reale di mediatore, possono andare incontro<br />

a fenomeni di fatica (dove per fatica non si intende comunque quella che noi comunemente<br />

definiamo stanchezza). La sinapsi “si affatica” quando viene stimolata ripetutamente e per molto<br />

tempo fino a quando si esaurisce il mediatore. Bisogna attendere in questi casi che il neurone<br />

ricostituisca una giusta quantità di mediatore e la sinapsi riprenda a funzionare.<br />

Ma qual è il vantaggio della sinapsi chimica?<br />

La sinapsi elettrica fa passare tutti i segnali che arrivano, purché non vi siano problemi che<br />

chiudano le connessine.<br />

* Nel cuore ad es. queste comunicazioni tra le varie cellule si chiudono nei casi di ipossia, cioè<br />

quando si riduce la pressione parziale di O2 e la chiusura di queste connessioni tra una fibrocellula e<br />

l’altra può essere causa di infarto cardiaco, poiché estromette d<strong>alla</strong> conduzione queste fibre che non<br />

sono più comunicanti tra di loro.<br />

In ogni caso il segnale che passa attraverso le sinapsi elettriche non subisce nessun<br />

rimaneggiamento, viene trasferito alle cellule così come è stato prodotto.<br />

Nelle sinapsi chimiche invece si ha una integrazione del segnale: alcuni segnali vengono<br />

cancellati, altri particolarmente importanti vengono amplificati.<br />

Dunque il segnale che nasce in un neurone, a livello delle sinapsi chimiche viene rimaneggiato,<br />

arricchito di altre informazioni, mentre le informazioni inutili vengono eliminate.<br />

Questa modulazione è molto importante per la vita di relazione ed è una caratteristica propria delle<br />

sinapsi chimiche, non certo delle sinapsi elettriche.<br />

Per cui è vero che le sinapsi chimiche presentano alcuni svantaggi, cioè sono più lente e più<br />

dispendiose, però funzionalmente sono capaci di integrare il segnale, cosa che non avviene a<br />

livello di una sinapsi elettrica.<br />

Le sinapsi chimiche sono anche più vulnerabili di quelle elettriche.<br />

Per le sinapsi elettriche vi possono essere delle cause che chiudano queste connessioni e<br />

impediscono il passaggio di questi segnali.<br />

A livello di una sinapsi chimica, le cause che possono compromettere il funzionamento sono<br />

40


molteplici. Come visto può accadere che vi sia una scarsa quantità di mediatore o addirittura che il<br />

mediatore si esaurisca, per cui una prima causa si verifica a livello presinaptico.<br />

Può accadere anche che il mediatore sia presente, venga prodotto regolarmente, condotto<br />

regolarmente <strong>alla</strong> fine dell’assone, ma vi siano dei problemi per il suo rilascio, cioè il mediatore non<br />

viene rilasciato.<br />

Il mediatore chimico per funzionare, una volta che viene rilasciato nel piccolo spazio sinaptico, non<br />

deve disperdersi: la caratteristica di un mediatore chimico è che quando viene rilasciato<br />

dall’assone, d<strong>alla</strong> terminazione presinaptica, viene subito legato dall’elemento post-sinaptico<br />

tramite recettori.<br />

I recettori che legano i mediatori sono delle strutture di natura proteica con una conformazione tale<br />

da adattarsi a quella del mediatore (come la chiave nella serratura).<br />

Anche i recettori per i neurotrasmettitori sono in numero finito, quindi una causa di<br />

malfunzionamento della sinapsi chimica può essere la riduzione del numero di questi recettori.<br />

Si può verificare inoltre che questi recettori, anziché legarsi al mediatore, vengono legati da<br />

analoghi, da sostanze agoniste, cioè che hanno la stessa struttura del mediatore, per cui si legano al<br />

recettore, ma non essendo mediatori non favoriscono anzi bloccano la trasmissione dell’impulso<br />

nell’elemento post-sinaptico.<br />

Le diverse cause di cattivo funzionamento ci fanno capire che le sinapsi chimiche sono molto più<br />

vulnerabili delle sinapsi elettriche.<br />

· Le sinapsi che prendiamo in considerazione sono sinapsi localizzate, ma bisogna ricordare che<br />

molte sinapsi sono al contrario sinapsi diffuse, cioè sono disposte in maniera più diffusa su<br />

un’ampia superficie.<br />

Le sinapsi localizzate sono tipiche del sistema nervoso centrale.<br />

Le sinapsi diffuse sono tipiche del sistema nervoso vegetativo.<br />

In particolare le sinapsi diffuse sono tipiche dell’ortosimpatico, quindi sono le tipiche sinapsi<br />

noradrenergiche, cioè quelle che utilizzano come mediatore la noradrenalina.<br />

Quando la fibra viene a contatto con un muscolo, si sfiocca in diversi rami perdendo la guaina<br />

mielinica e ciascun ramo va a formare una sinapsi ben localizzata con una fibra muscolare.<br />

! L’insieme delle fibre muscolari che sono innervate da un solo motoneurone prende il nome<br />

di unità motrice o unità motoria.<br />

Dal momento che ogni muscolo (anche quelli piccoli) è costituito da molte fibre, generalmente sono<br />

necessari più motoneuroni per innervarlo tutto, pertanto in un muscolo ci sono più unità motorie,<br />

cioè le fibre muscolari fanno capo a neuroni diversi.<br />

Se proviamo a ingrandire questa sinapsi si vede che la fibra nervosa, quindi l’elemento presinaptico,<br />

si presenta slargato e prende il nome di bottone sinaptico.<br />

Il bottone sinaptico contiene al suo interno la sostanza chimica, il mediatore, il quale non è mai<br />

libero ma è avvolto in membrane con la formazione di vescicole.<br />

A livello del soma viene sintetizzato il mediatore, il quale arriva <strong>alla</strong> terminazione per flusso<br />

assonico. Lo spazio interno alle cellule e agli assoni è occupato da un citoscheletro costituito da<br />

molti filamenti sottili, organizzati in modo da formare un reticolo a maglie molto strette, per cui la<br />

cellula mantiene la sua forma.<br />

Questi filamenti attraversano anche l’assone e su di essi si legano le sostanze prodotte dal soma che<br />

migrano fino <strong>alla</strong> terminazione: questo è quello che viene definito flusso assonico.<br />

* Questo sistema è molto utile per studiare la vera neuroanatomia. Una volta per verificare le<br />

connessioni tra una struttura e un’altra si usavano delle tecniche un po’ grossolane, in particolare si<br />

distruggeva una struttura, ad es. il soma, e poi si andava a seguire la cosiddetta degenerazione (?),<br />

poiché se viene distrutto il soma gli assoni degenerano.<br />

A questo punto si passava allo studio istologico della struttura che si voleva studiare e al posto delle<br />

41


cellule si trovavano degli spazi vuoti lasciati dai corpi cellulari. In generale quindi si trattava di un<br />

sistema molto grossolano.<br />

Con le nuove tecniche invece si è in grado di conoscere la connessione di un solo neurone, cioè la<br />

destinazione dell’assone di un singolo neurone o comunque la proiezione di un ristretto gruppo di<br />

neuroni. Si può sapere così se ad es. all’interno di un nucleo esiste una organizzazione topografica.<br />

Questi studi possono essere condotti sfruttando proprio il flusso assonico, poiché vi sono delle<br />

sostanze che prendono il nome di traccianti neuronali, (molti dei quali sono fluorescenti), i quali<br />

possono essere iniettati in quantità piccolissima in un nucleo, entrano all’interno dei corpi cellulari e<br />

vengono trasportati per flusso assonico nella zona in cui questo neurone proietta, per essere poi<br />

rivelati con il microscopio a fluorescenza. In questo caso si tratta di traccianti anterogradi, che<br />

vanno verso la terminazione.<br />

Infatti esistono anche dei traccianti retrogradi, i quali seguono il percorso contrario, cioè possono<br />

essere iniettati ad esempio a livello della terminazione, vengono assorbiti dalle terminazioni e<br />

sempre per flusso assonico si portano verso il soma.<br />

Quindi proprio sfruttando questo processo fisiologico che la cellula utilizza per trasferire metaboliti,<br />

neurotrasmettitori, si possono anche fare trasferire sostanze esogene dall’esterno per compiere studi<br />

di microanatomia.<br />

Molti neurotrasmettitori sono amminoacidi, possono essere anche piccoli peptidi, comunque sono<br />

sostanze che devono essere sintetizzate: la cellula quindi sintetizza continuamente queste sostanze,<br />

le conduce <strong>alla</strong> terminazione e le conserva in vescicole avvolte da membrana.<br />

Al microscopio elettronico dunque la terminazione presinaptica si riconosce subito proprio perché<br />

contiene le vescicole con all’interno i mediatori.<br />

La membrana post-sinaptica generalmente si invagina diverse volte quindi aumenta la superficie a<br />

contatto, inoltre si arricchisce di recettori che hanno la capacità di legare questo mediatore.<br />

Le due componenti della sinapsi chimica sono quindi specializzate: la componente presinaptica<br />

contiene il mediatore all’interno delle vescicole, la componente postsinaptica possiede i recettori<br />

che possono legare soltanto quello specifico mediatore.<br />

Da questo ne deriva un’altra differenza tra sinapsi chimica e sinapsi elettrica:<br />

la sinapsi chimica è unidirezionale, cioè la propagazione dell’impulso avviene obbligatoriamente<br />

dall’elemento presinaptico all’elemento postsinaptico, proprio perché per far progredire questo<br />

segnale si deve avere il rilascio del mediatore che si trova a livello presinaptico e il legame di<br />

questo mediatore con i recettori che si trovano a livello postsinaptico.<br />

Nel caso delle sinapsi elettriche invece il passaggio del segnale può avvenire sia in una direzione<br />

che nell’altra, per cui le sinapsi elettriche generalmente sono bidirezionali.<br />

Nel caso di sinapsi localizzate, tipiche del sistema nervoso centrale, ogni filamento nervoso prende<br />

rapporto sinaptico con una sola fibra muscolare.<br />

Il sistema nervoso vegetativo invece, in particolare a livello del sistema ortosimpatico, si ritrovano<br />

invece delle sinapsi diffuse. La fibra che appartiene all’ortosimpatico, quando arriva a livello di una<br />

parete costituita da una muscolatura liscia (un viscere, una ghiandola), si ramifica diverse volte,<br />

proprio come la fibra del motoneurone, tuttavia la sinapsi non è costituita soltanto da un punto<br />

preciso, cioè non è localizzata, ma il mediatore viene rilasciato lungo tutta la terminazione, da cui<br />

deriva la denominazione di sinapsi diffuse.<br />

Queste terminazioni si definiscono a corona di rosario, proprio perché vi sono diverse zone dove<br />

viene rilasciato il mediatore, per cui l’azione del mediatore non è localizzata solo in un punto, ma è<br />

diffusa a tutta la zona dove si estende la terminazione.<br />

Queste sinapsi vengono anche chiamate sinapsi noradrenergiche perché il sistema simpatico<br />

utilizza come mediatore la noradrenalina.<br />

! Questo non avviene in tutto il sistema ortosimpatico, perché bisogna ricordare che il sistema<br />

vegetativo (SNP) è costituito diversamente dal sistema nervoso centrale. *<br />

42


Una di queste differenze è la seguente: il SNC va a innervare la muscolatura scheletrica, volontaria<br />

e l’assone della cellula localizzata nel midollo spinale va a innervare direttamente il muscolo; se<br />

invece consideriamo il muscolo liscio, controllato dal sistema vegetativo, sia per la componente<br />

para- che orto- simpatica, pur avendo il soma nel midollo spinale (generalmente nella regione<br />

intermedia), l’assone non si porta direttamente al muscolo liscio ma si interrompe, prende contatto<br />

con un altro neurone ed è questo secondo neurone che si porta la muscolo liscio.<br />

Quindi la differenza tra SNC e SNP riguarda il fatto che il centrale innerva direttamente i muscoli<br />

scheletrici, in quello periferico invece si hanno due neuroni in serie.<br />

Il secondo di questi neuroni si trova in un raggruppamento che prende il nome di ganglio, per cui la<br />

fibra che origina all’interno del midollo spinale prende il nome di fibra pregangliare, mentre quella<br />

che si origina dai neuroni che si trovano all’interno del ganglio è chiamata fibra postgangliare.<br />

* Le sinapsi noradrenergiche diffuse sono quelle delle fibre postgangliari, dal momento che la<br />

sinapsi che avviene a livello del ganglio, sia che si tratti di sistema parasimpatico che di sistema<br />

ortosimpatico, utilizza come mediatore l’acetilcolina ed è una sinapsi localizzata perché riguarda<br />

direttamente il neurone gangliare.<br />

Le sinapsi delle fibre pregangliari sono sinapsi colinergiche localizzate.<br />

· Le sinapsi diffuse sono tipiche del sistema nervoso vegetativo, in particolare dell’ortosimpatico,<br />

però attenzione perché si tratta delle sinapsi stabilite d<strong>alla</strong> fibra postgangliare sul muscolo liscio o<br />

sulla ghiandola. La prima sinapsi infatti, quella stabilita d<strong>alla</strong> fibra pregangliare, è una sinapsi<br />

colinergica ed è localizzata, come quelle del sistema nervoso centrale.<br />

Anche le sinapsi che si stabiliscono tra il SNC e il muscolo sono sinapsi colinergiche, cioè<br />

utilizzano l’acetilcolina.<br />

Nel sistema vegetativo in genere si hanno quindi due neuroni in serie.<br />

Se si parla di ortosimpatico la prima sinapsi, cioè quella delle fibra pregangliare, è una sinapsi<br />

colienrgica, la seconda è invece noradrenergica.<br />

Nel sistema parasimpatico invece entrambe le sinapsi sono colinergiche, cioè sia la sinapsi della<br />

fibra pregangliare che quella della fibra postgangliare contengono acetilcolina (l’acetilcolina si<br />

ritrova anche nella sinapsi tra la fibra e la muscolatura scheletrica).<br />

L’acetilcolina è uno dei mediatori più diffusi insieme al glutammato.<br />

· Quando l’acetilcolina viene rilasciata a livello della placca neuromuscolare è attivatoria, cioè il<br />

suo rilascio determina la contrazione del muscolo.<br />

· L’acetilcolina rilasciata a livello del neurone gangliare è attivatoria, cioè attiva il neurone<br />

gangliare e fa procedere la trasmissione dell’impulso.<br />

· Quando invece l’acetilcolina, nel caso del parasimpatico, viene rilasciata a livello della sinapsi<br />

delle fibre postgangliari è inibitoria.<br />

Quando il muscolo liscio riceve acetilcolina da parte del parasimpatico in genere diminuisce la<br />

sua contrazione.<br />

!! Il cuore da questo punto di vista si comporta come un muscolo liscio ed è innervato<br />

dall’ortosimpatico e dal parasimpatico. L’ortosimpatico accelera la frequenza cardiaca, il<br />

parasimpatico rallenta la frequenza cardiaca.<br />

L’ortosimpatico è il sistema che entra in funzione nei casi di stress, quando tutti i parametri cardiaci<br />

sono aumentati perché questo sistema rilascia noradrenalina che attiva la contrazione, per cui il<br />

muscolo cardiaco si contrae più volte nell’unità di tempo.<br />

Il parasimpatico entra in azione invece in condizioni normali, quando il cuore ha un’attività più<br />

bassa, proprio perché il parasimpatico tende a inibire, a reprimere tramite rilascio di acetilcolina.<br />

43


Com’è possibile che una stessa sostanza, cioè l’acetilcolina, possa avere effetti diversi a livello del<br />

muscolo scheletrico e del muscolo liscio (cuore compreso)?<br />

La risposta è che evidentemente sono diversi i recettori a cui si lega.<br />

Ne deriva che la risposta dell’elemento postsinaptico non dipende dal mediatore che viene<br />

rilasciato, ma dipende dal legame tra il mediatore e il recettore.<br />

Prova di questo ne è il fatto che una stessa sostanza può avere azioni diverse legandosi a mediatori<br />

diversi, cioè può essere attivatoria in un distretto e inibitoria in un altro.<br />

Sia l’intensità che il tipo di risposta dipendono in definitiva dal recettore cui si lega il<br />

mediatore e dal numero di recettori legati: se infatti il mediatore non si lega a un numero<br />

sufficiente di recettori non si ha effetto a livello postsinaptico.<br />

La chiave di lettura di una sinapsi è quindi il recettore, non tanto il mediatore.<br />

* Esiste anche il sistema enterico, cioè un terzo sistema nervoso a esclusivo servizio del sistema<br />

gastrointestinale.<br />

44


Lezione 6 - prof. Perciavalle<br />

Il passaggio di una cellula eccitabile da negativa a positiva significa passaggio da una condizione di<br />

riposo a una condizione di attività. Se è una cellula contrattile diventare positiva significa iniziare a<br />

contrarsi, tornare negativa significa rilasciarsi.<br />

La caratteristica delle cellule eccitabili risiede nella membrana cellulare, che possiede molti più<br />

canali ionici delle cellule non eccitabili. Di solito una cellula non eccitabile (cheratinocita, globulo<br />

rosso) possiede circa 50 canali per ² che fanno entrare Na+.<br />

Attraverso questi canali entra il Na+ e nella stessa zona di membrana si trovano le pompe, cioè le<br />

proteine carrier con azione di antiporto nei confronti degli ioni Na+ che portano il sodio all’esterno<br />

contro gradiente elettrico (il sodio positivo non uscirebbe mai da un ambiente negativo come la<br />

cellula) e contro gradiente chimico (fuori c’è molto sodio, dentro ce n’è poco).<br />

Il costo di queste pompe è di 1 ATP ogni 3 Na+ trasportati. Se le pompe sono sufficienti la cellula<br />

riesce comunque a prendere tutto il sodio che entra e portarlo fuori. Il risultato del processo è che la<br />

cellula rimane negativa.<br />

Nelle cellule eccitabili invece come visto i canali sono molto più numerosi, da 10 a 50 volte di più,<br />

ovvero ci sono cellule con 500 canali per ², ma vi sono anche membrane con 3000-4000 canali per<br />

². Tuttavia il numero delle pompe presenti in questa porzione di membrana è uguale a quello delle<br />

cellule non eccitabili, cioè riescono a fronteggiare 60-70 canali non di più.<br />

Quindi è vero che una cellula eccitabile possiede molti più canali rispetto a una cellula non<br />

eccitabile, però se la cellula rimane negativa vuol dire evidentemente che tutto il sodio che entra è<br />

stato portato fuori: questo significa che non è possibile che tutti e 500 i canali sono aperti, dal<br />

momento che le pompe sono sufficienti per una settantina di canali.<br />

Ne deriva che in una cellula eccitabile la maggior parte dei canali è presente ma non utilizzabile da<br />

parte degli ioni Na+ , per cui anche in queste cellule i canali aperti sono circa 50, le pompe sono<br />

sufficienti e dunque anche la cellula eccitabile riesce a rimanere negativa.<br />

In ogni caso, considerato che le pompe sono sufficienti per 70 canali, l’apertura del 71˚ canale<br />

significa che uno ione Na+ che entra non viene portato fuori: col passare del tempo questo<br />

accumularsi del sodio depolarizza la membrana, cioè progressivamente la negatività di membrana<br />

diminuisce.<br />

Questa depolarizzazione è importante perché i canali chiusi sono voltaggio-dipendenti, cioè si<br />

possono aprire semplicemente riducendo la negatività di membrana.<br />

In breve tutti e 500 i canali vengono e la cellula viene invasa da ioni Na+. Il sodio, essendo<br />

positivo, continua a entrare fino a quando l’interno della cellula non diventa positivo, proprio<br />

perché soltanto un ambiente intracellulare positivo può impedire al sodio di entrare.<br />

Una volta che la cellula è diventata positiva cosa succede?<br />

Quando la cellula diventa positiva si verificano due eventi principali:<br />

- La maggior parte dei canali (circa 450) si chiudono e quindi il Na+ non può più entrare, o meglio<br />

la permeabilità della membrana al Na+ ritorna ad essere bassa.<br />

* Bisogna ricordare comunque che lo ione di segno positivo normalmente presente nella cellula è lo<br />

ione K+ . Lo ione K+ è presente all’interno della cellula in una concentrazione di 150-160<br />

milliequivalenti, all’esterno invece 3-4 milliequivalenti.<br />

In condizioni normali il potassio rimane dentro la cellula perché questa è elettricamente negativa.<br />

Quando la cellula diventa positiva è chiaro che il potassio, non essendo più trattenuto, inizia a<br />

passare d<strong>alla</strong> zona a maggiore concentrazione <strong>alla</strong> zona a minore concentrazione, cioè esce.<br />

E’ chiaro che la cellula, perdendo ioni K+ positivi, da positiva ritorna inesorabilmente ad<br />

essere negativa.<br />

45


Se immaginiamo di disegnare un potenziale d’azione, a partire da – 70 mV, la fase di ascesa, cioè la<br />

depolarizzazione è dovuta all’entrata passiva di ioni Na+ invece la ripolarizzazione è dovuta<br />

<strong>alla</strong> fuoriuscita passiva di ioni K+ .<br />

* Il grafico ha una caratteristica forma a punta, tanto che gli americani lo chiamano spike<br />

Non bisogna dimenticare infatti che sia l’entrata di Na+ che l’uscita di K+ sono passivi, cioè<br />

avvengono esclusivamente sfruttando i gradienti presenti.<br />

- Il Na+ entra perché è positivo e l’interno della cellula è negativo e perché fuori ce n’è molto e<br />

dentro ce n’è poco.<br />

- Il K+ uscirà invece perché è positivo e anche l’interno diventa positivo e perché dentro ce n’è<br />

molto e fuori ce n’è poco.<br />

Quando però <strong>alla</strong> fine il potenziale torna ad essere negativo, la cellula non è in condizioni normali<br />

dal momento che dentro la cellula è rimasto Na+ , fuori d<strong>alla</strong> cellula è rimasto K+ .<br />

Per cui se dal punto di vista elettrico tutto è tornato normale, ma in termini di distribuzione ionica ai<br />

due lati della membrana la situazione non è ancora tornata <strong>alla</strong> normalità.<br />

Tuttavia quando viene ripristinata la negatività di membrana le pompe ritornano in funzione:<br />

ricordiamo che le pompe per il sodio sono in realtà pompe a scambio ionico, in particolare per<br />

ogni 3 ioni Na+ portati fuori vengono portati dentro 2 ioni K+ e uno ione H+ .<br />

Con questo sistema la distribuzione ionica ai due lati della membrana torna <strong>alla</strong> normalità, poiché le<br />

pompe buttano fuori il sodio che è entrato e riportano dentro il potassio che è uscito.<br />

* Per compiere questa operazione, cioè per riequilibrare il sistema, la cellula impiega 30-40<br />

millesimi di secondo (mentre ricordiamo che il potenziale d’azione dura 2-3 millesimi di secondo).<br />

E’ evidente che riportare il Na+ all’esterno della cellula costa energia, ma è necessario affinché la<br />

cellula possa essere nuovamente eccitata e pronta per un altro potenziale d’azione.<br />

Un altro concetto importante è che uno stimolo applicato in pieno potenziale d’azione non ha<br />

praticamente alcun effetto, in particolare si dice che durante il potenziale d’azione la cellula è<br />

refrattaria agli stimoli. Il concetto di refrattarietà si identifica proprio con la non-risposta agli<br />

stimoli applicati.<br />

Il vecchio professore di <strong>fisiologia</strong> di Perciavalle diceva che il potenziale d’azione assomiglia agli<br />

scarichi dei gabinetti, perché primo ha una soglia, cioè o parte o non parte; secondo, una volta che<br />

parte non si può arrestare e terzo, una volta che parte è inutile continuare a tirare lo scarico perché<br />

non può fare più di quello che già sta facendo.<br />

Tutte le cellule sono negative ma non tutte le cellule sono eccitabili.<br />

Per essere eccitabili le cellule devono possedere delle caratteristiche, in particolare nella membrana<br />

devono essere presenti molti canali normalmente chiusi ma apribili: questi canali si possono aprire o<br />

semplicemente depolarizzando la cellula o con l’intervento di sostanze chimiche che si legano alle<br />

proteine canale, le quali modificano la propria conformazione allosterica facendo aprire il canale.<br />

In questo modo si viene a determinare una situazione in cui il sodio entra nella cellula.<br />

La cellula in condizioni normali in cui sono aperti 50-60 canali per ² è in grado di portare fuori il<br />

sodio che entra: se questi canali iniziano ad aumentare a un certo punto le pompe non riescono più a<br />

fronteggiare la situazione.<br />

Dentro la cellula vengono attivati dei meccanismi calcio-dipendenti che hanno come effetto il<br />

passaggio della cellula da una condizione di riposo a una condizione di attività.<br />

Ricordiamo che la contrazione muscolare dipende dal calcio che esce dalle vescicole del sistema<br />

reticolo endoplasmatico, la secrezione dipende da calcio e anche le sinapsi, il collegamento tra<br />

neuroni funziona perché entra calcio nel terminale e determina la fuoriuscita del neurotrasmettitore.<br />

46


Tutti gli effetti che contraddistinguono il passaggio di una cellula eccitabile da una condizione di<br />

riposo a una condizione di attività dipendono da due eventi:<br />

- Il primo di questi eventi è che la cellula da negativa diventa positiva<br />

- Il secondo è la liberazione dentro il citoplasma della cellula di ioni<br />

E’ l’aumento di concentrazione di ioni Ca ² + nel citosol il vero evento attivatore dei processi<br />

cellulari (contrazione, secrezione, rilascio dei neurotrasmettitori).<br />

* Durante un intervento al cuore il cardiochirurgo non può certamente lavorare con il cuore in<br />

attività per cui è necessario fermare il cuore ma senza uccidere le cellule e questo risultato viene<br />

ottenuto togliendo il calcio dalle cellule cardiache (somministrazione di calcio antagonisti).<br />

Si verifica così un fenomeno particolare: le cellule da negative diventano positive, ma a questo<br />

punto non essendoci il Ca² + non può essere avviato il processo contrattile, cioè si disaccoppia il<br />

processo elettrico dal processo meccanico e il cuore non si contrae.<br />

Quando l’operazione è terminata si fa una iniezione si gluconato di calcio nelle coronarie, il calcio<br />

diffonde all’interno dei citoplasmi cellulari e gradualmente ricompaiono i fenomeni meccanici,<br />

per cui al fenomeno elettrico sarà associato il fenomeno meccanico.<br />

* I calcio antagonisti servono anche ad abbassare la pressione. Un paziente che soffre di alta<br />

pressione ha una vasocostrizione arteriosa eccessiva: poiché la vasocostrizione è dovuta a muscoli<br />

lisci e anche il muscolo liscio ha bisogno di calcio per contrarsi, la somministrazione di calcioantagonisti<br />

consentono l’abbassamento della pressione.<br />

Cosa accade quando si genera il potenziale d’azione?<br />

Consideriamo ad es. una cellula muscolare, la cui lunghezza corrisponde a quelle delle fibre.<br />

Se la cellula viene stimolata in un punto, in quel punto la cellula diventa positiva. Gli eventi che<br />

seguono sono determinati d<strong>alla</strong> legge di Coulomb: non appena questo punto diventa positivo gli<br />

ioni negativi delle zone vicine cominciano ad essere attirati verso il punto con cariche di segno<br />

opposto, si crea un flusso di cariche intracitoplasmatiche dal punto vicino a potenziale<br />

negativo verso il punto a potenziale positivo. In questo modo il punto vicino perde ioni negativi e<br />

così facendo si depolarizza. Se il punto vicino si depolarizza si aprono canali per il sodio, scatta un<br />

nuovo potenziale d’azione e lo stesso meccanismo si verifica nei punti successivi.<br />

E’ evidente che in una cellula eccitabile basta che il potenziale d’azione si verifichi in un punto<br />

qualunque della cellula che inesorabilmente, punto dopo punto, invaderà tutta la cellula.<br />

!! Attenzione è sbagliato dire che il potenziale si sposta da un punto all’altro, piuttosto si crea un<br />

nuovo potenziale nel punto immediatamente vicino.<br />

Quindi guardando la cellula dall’esterno sembra che il potenziale si propaghi, in realtà è un<br />

apparente propagazione, si tratta nuovo potenziale che insorge nel punto vicino.<br />

Il potenziale d’azione, una volta generato, invade tutta la cellula, qualunque sia la sua dimensione,<br />

qualunque sia la sua grandezza, non esiste punto della cellula che possa sfuggire a questo processo.<br />

La velocità di propagazione si può anche calcolare e nei mammiferi è grossomodo nell’ordine<br />

di 0,5 m/s.<br />

* In alcune cellule come quelle del nodo atrio-ventricolare o nodo di Tawara la propagazione è di 2<br />

cm al minuto!<br />

Si capisce comunque che queste velocità non sono sufficienti, per cui in natura sono state inventate<br />

delle soluzioni per velocizzare questi fenomeni e renderli più efficienti.<br />

In un primo momento durante la filogenesi si cercò di sfruttare una legge fisica, la legge di Ohm, la<br />

quale afferma che la resistenza elettrica di un conduttore dipende dal diametro del conduttore, per<br />

cui inizialmente si era cercato di velocizzare il processo realizzando neuroni con un diametro<br />

superiore, ma non è stata una scelta che ha avuto molto successo.<br />

Si è trovata quindi una soluzione di gran lunga più efficace che ha portato ad un aumento<br />

dell’ordine di 200 volte della velocità di propagazione!<br />

Questa strategia prevede la presenza di cellule gliali che coprono gli assoni: gli strati lipidici delle<br />

47


membrane di queste cellule formano la guaina mielinica e avvolgendosi intimamente intorno agli<br />

assoni, funzionano da tappo, chiudono i canali di membrana. Questo comporta che il Na + non può<br />

più entrare e il K + ovviamente non può usare questi canali per uscire.<br />

Se il sodio non può entrare e il potassio non può uscire non può avvenire il potenziale d’azione, dal<br />

momento che il potenziale d’azione non è altro che l’ingresso di sodio seguito d<strong>alla</strong> fuoriuscita di<br />

potassio. Questo significa che l’unica porzione dell’assone dove non è presente la guaina mielinica<br />

si trova nel punto in cui finisce una cellula di rivestimento e ne inizia un’altra, ovvero i cosiddetti<br />

nodi di Ranvier. In questo modo la propagazione non avviene punto dopo punto ma salta da un<br />

nodo di Ranvier all’altro: la velocità aumenta in maniera notevole, grossomodo 7 m/s per di<br />

diametro dell’assone, ma poiché vi sono anche assoni di 20 di diametro, si raggiungono velocità<br />

di 140 m/s.<br />

La comparsa della guaina mielinica rappresenta quindi il vero salto di qualità che è avvenuto<br />

durante la filogenesi, cioè trasformare una propagazione punto dopo punto in una<br />

propagazione saltatoria, cioè in una propagazione in cui l’eccitazione salta interi tratti ricoperti<br />

d<strong>alla</strong> guaina mielinica e si può realizzare soltanto in corrispondenza dei nodi di Ranvier<br />

(tipicamente ne sono presenti 2 per ogni mm).<br />

* La guaina mielinica è costituita come visto da cellule gliali (cellule di Schwann nel SNP e<br />

oligodendrociti nel SNC) per cui è necessario un sistema di nutrizione costituito da vasi sanguigni<br />

(vasa nervorum). Nei diabetici ad es. le guaine mieliniche vengono interessate e si hanno così le<br />

neuropatie che interessano le fibre nervose, dovute proprio <strong>alla</strong> demielinizzazione.<br />

DIFFERENZA TRA OLIGODENDROCITI E CELLULE DI SCHWANN<br />

C’è una differenza importante tra cellule di Scwhann e oligodendrociti.<br />

Gli oligodendrociti sono delle cellule particolari costituite da un corpo cellulare dal quale emettono<br />

una estensione che si sfiocca in diversi prolungamenti, circa 40, ciascuno dei quali va ad avvolgere<br />

un assone diverso.<br />

Uno stesso oligodendrocita partecipa <strong>alla</strong> formazione della guaina mielinica di 30-40 assoni<br />

differenti, tutti vicini tra loro.<br />

Nel caso delle cellule di Schwann invece una cellula si avvolge intorno a un assone, cioè la cellula<br />

di Scwhann partecipa <strong>alla</strong> formazione della guaina mielinica di un tratto di un solo assone.<br />

* Questo significa che uccidendo una cellula di Schwann si creano problemi a un assone, se invece<br />

muore un oligodendrocita si creano problemi a 40 assoni!<br />

Pertanto nelle malattie del SNP la morte di una cellula di Schwann mette in crisi un piccolo tratto di<br />

un assone, cioè gli assoni vicini non ne risentono.<br />

Quando muore la cellula di Schwann questa viene rapidamente fagocitata dai macrofagi, i quali in<br />

breve tempo (circa 12 ore) ripuliscono il tratto di assone che ha perso il rivestimento mielinico.<br />

A questo punto in prossimità del tratto di assone che ha perso il rivestimento vi sono piccole cellule<br />

staminali della famiglia delle cellule di Schwann, le quali iniziano a differenziarsi e vanno a<br />

prendere il posto delle cellule mancanti, così che dopo qualche settimana tutto torna <strong>alla</strong> normalità.<br />

La demielinizzazione del sistema nervoso periferico è di solito guaribile spontaneamente con<br />

una buona restitutio ad integrum.<br />

!! E’ particolarmente importante la rimozione da parte dei macrofagi dei frammenti delle cellule,<br />

poiché questi contengono una proteina che prende il nome di proteina Nogo, così chiamata proprio<br />

perché impedisce alle cellule staminali di differenziarsi.<br />

* Un tipico caso di demielinizzazione molto frequente riguarda il VII nervo cranico, è di causa<br />

virale e prende il nome di paralisi a frigore. Il virus mette fuori uso le guaine mieliniche con la<br />

conseguente paralisi del nervo faciale. Non è molto grave poiché nel giro di qualche settimana il<br />

sistema recupera abbastanza brillantemente.<br />

Esistono comunque versioni più gravi di questa malattia dovute al virus dell’influenza.<br />

48


Il virus dell’influenza in una certa percentuale di persone uccide in una volta le cellule di Schwann<br />

di tutti i nervi di tutto il corpo con gravissimi problemi ad es. respiratori, provocando quella che<br />

viene chiamata polinevrite acuta o malattia di Guillain-Barré.<br />

Anche in questo caso i pazienti guariscono spontaneamente ma è necessario un lavoro medico di<br />

carattere riabilitativo con fisioterapia per evitare che i muscoli si atrofizzino.<br />

Quando però anziché essere provocata da un virus, la demielinizzazione è dovuta a sostanze<br />

tossiche, tali sostanze oltre ad uccidere le cellule di Schwann uccidono anche le cellule staminali.<br />

Se invece nel SNC (ad es. nel lemnisco mediale, nella via piramidale) si uccide un oligodendrocita,<br />

40 assoni contemporaneamente perdono la guaina mielinica.<br />

Questo si verifica purtroppo in una grave malattia del SNC che prende il nome di sclerosi multipla<br />

in cui si vedono proprio le zone di sostanza bianca che hanno perso la guaina mielinica e danno<br />

anche un altro nome <strong>alla</strong> malattia, cioè sclerosi a placche.<br />

La complicazione nel caso della morte di un oligodendrocita riguarda il fatto che i macrofagi non<br />

riescono ad eliminare tutti i frammenti, per cui rimane la proteina Nogo e non può avvenire la<br />

rigenerazione.<br />

La vera grande differenza tra mielina centrale e mielina periferica è che la demielinizzazione<br />

periferica è sempre guaribile mentre la demielinizzazione centrale non è mai guaribile a causa<br />

di una imperfetta rimozione dei frammenti degli oligodendrociti per cui rimane la proteina Nogo e<br />

non vi può essere l’attivazione delle cellule staminali che in teoria potrebbero perfettamente<br />

rinnovare la mielina.<br />

* Di questi tempi si sta cercando di intervenire somministrando ad es. anticorpi anti-nogo.<br />

Se si producono anticorpi anti-nogo e si iniettano localmente si neutralizza l’effetto della proteina<br />

Nogo e così facendo le cellule staminali possono differenziarsi e il processo riparativo potrebbe<br />

mettersi in moto. Il problema riguarda la necessità di far agire gli anticorpi soltanto dove si<br />

desidera, altrimenti disattivando la proteina Nogo anche nei distretti sani determinando una<br />

proliferazione incontrollata della guaina mielinica.<br />

! L’eccezione è rappresentata dal nervo ottico ( II nervo cranico): il nervo ottico è un nervo<br />

periferico tuttavia la guaina mielinica non è costituita dalle cellule di Schwann ma dagli<br />

oligodendrociti. Il nervo ottico è quindi l’unico nervo periferico che se viene tagliato non<br />

rigenera.<br />

Il n. ottico a questo proposito si ammala delle stesse patologie che riguardano il SNC, non a caso ad<br />

esempio la nevrite ottica retrobulbare è uno dei segni precoci di sclerosi multipla.<br />

· La guaina mielinica possiede altre importanti caratteristiche.<br />

Se si recide un nervo periferico, oltre <strong>alla</strong> conseguente paralisi dei muscoli innervati e perdita della<br />

sensibilità, nel punto in cui è stato applicato il taglio si osserva che l’assone degenera<br />

completamente, ma solo dal taglio a valle. Trascorse 24 ore la parte del nervo che degenera viene<br />

fagocitata e rimane il “tunnel” vuoto delle cellule di Schwann.<br />

Il tratto di assone che è rimasto intatto inizia a crescere e si fa strada nel tunnel delle cellule di<br />

Schwann e con una velocità di circa 1 mm al giorno ricresce e va a ripristinare la funzionalità del<br />

collegamento.<br />

Se viene garantita l’integrità del tunnel le cellule di Schwann guidano la rigenerazione<br />

dell’assone.<br />

Oltre all’integrità del tunnel delle cellule di Schwann un altro fattore limitante per la rigenerazione<br />

delle fibre nervose è dato d<strong>alla</strong> distanza, infatti quando viene reciso un nervo i due segmenti<br />

tendono ad allontanarsi: se questa distanza supera i 5 mm la fibra non può più rigenerare.<br />

* La bravura del chirurgo consiste nel mettere il più vicino possibile il tratto a monte con il tratto<br />

valle, compiendo quella operazione che in termine chirurgico si chiama neuroraffia (o sutura<br />

nervosa). La neuroraffia è l’unica condizione che può garantire una buona guarigione.<br />

49


§ Il primo a studiare il fenomeno di degenerazione in seguito a taglio fu uno studioso inglese di<br />

nome Waller, tanto che il fenomeno viene definito degenerazione walleriana.<br />

In definitiva la guaina mielinica ha il compito di velocizzare la propagazione ma serve anche<br />

ai processi riparativi dell’assone.<br />

§ Spesso nei tempi passati si verificavano paralisi ostetriche durante il parto ad es. con lo strappo<br />

traumatico del plesso brachiale in neonati che venivano prelevati per l’arto superiore, con un<br />

distacco superiore ai 5 mm critici dei due segmenti nervosi.<br />

L’utilizzo del forcipe portava inoltre a casi di paralisi del faciale.<br />

Il parto cesareo ha risolto questi problemi.<br />

Curiosità Nella storia della medicina il parto cesareo è stato il frutto di una delle tante fantasticherie<br />

di Galeno (Vanna Marchi dell’epoca). Tra le fantasie di Galeno, costata la vita a molte donne, c’era<br />

quella che l’utero cicatrizzava senza bisogno di essere cucito; quando si praticava dunque un<br />

cesareo, si ricuciva dopo la pelle dell’addome senza occuparsi dell’utero, come conseguenza le<br />

donne morivano. Questa situazione andò avanti per ben 2000 anni!<br />

Il primo cesareo fatto con la sutura venne realizzato a Padova nella seconda metà dell’800 e da<br />

allora divenne prassi.<br />

Le cellule autoeccitabili<br />

Come visto nelle cellule eccitabili quando la quantità di sodio che entra passivamente supera la<br />

quantità che le pompe sono in grado di buttare fuori (di solito le pompe sono sufficienti fino a 70<br />

canali per ² ) scatta il potenziale d’azione con le modalità che sono state esaminate.<br />

Vi sono però delle cellule in cui le pompe sono sempre sufficienti per 70 canali, però i canali<br />

sempre aperti nella membrana sono 71, 72 ! Queste cellule non riescono a rimanere negative perché<br />

è solo questione di tempo che il sodio si accumuli dentro la cellula e scatti il potenziale d’azione.<br />

Alla fine del potenziale d’azione la cellula ritorna per un istante negativa ma siccome i canali<br />

sempre aperti superano la capacità delle pompe, la cellula lasciata a se stessa non riesce a restare<br />

negativa e dopo un po’ scatta un nuovo potenziale d’azione.<br />

Queste cellule producono il potenziale spontaneamente senza bisogno di essere eccitate: si<br />

tratta delle cosiddette cellule pacemaker, ovvero cellule che non possono rimanere negative<br />

perché già in condizione di riposo la quantità di sodio che entra è superiore a quella che le pompe<br />

riescono a buttare fuori.<br />

Le cellule pacemaker quindi sono cellule autoeccitabili, che non hanno bisogno di essere<br />

eccitate dall’esterno.<br />

E’ chiaro che se i canali aperti sono 71 e le pompe sono sufficienti per 70 canali, l’accumulo del<br />

sodio sarà lento e quindi prima che scatti il potenziale d’azione ci vorrà un po’ di tempo.<br />

Se invece i canali aperti sono 80 e le pompe sono sufficienti sempre per 70 il sodio si accumula 10<br />

volte più velocemente e si arriva 10 volte prima al potenziale.<br />

Il concetto di fondo è che il numero di eccitazioni prodotte da queste cellule nell’unità di tempo<br />

dipende da questa discrepanza tra entrata passiva e uscita attiva di ioni Na + .<br />

In ogni caso le cellule autoeccitabili possono essere stimolate dall’esterno, cioè sono anche<br />

eccitabili, se vengono stimolate dall’esterno si comportano come una normale cellula eccitabile ma<br />

è importante capire che anche se non vengono stimolate queste cellule producono lo stesso il<br />

potenziale d’azione.<br />

E’ questa la differenza tra le cellule del cuore e le cellule muscolari striate.<br />

Nel cuore vi sono delle zone, il cosiddetto miocardio specifico, dove le cellule lasciate a se stesse<br />

periodicamente generano il potenziale d’azione (120 volte al minuto in alcune zone, 60 volte al<br />

minuto in altre zone, 10 volte al minuto in altre zone a seconda come visto del rapporto tra sodio<br />

che entra e sodio che esce).<br />

I muscoli striati invece se non vengono stimolati dall’esterno non si eccitano.<br />

50


* Se si danneggiano i neuroni che innervano i muscoli striati, pur essendo sani i muscoli<br />

degenerano. E’ quello che accadeva un tempo in una malattia nota come poliomielite.<br />

La poliomielite è caratterizzata dal fatto che non colpisce i muscoli, bensì colpisce i neuroni che<br />

comandano i muscoli, ma dal momento che i muscoli non sono più in grado di contrarsi muoiono<br />

per atrofia da disuso.<br />

Quasi tutte le cellule muscolari lisce sono dotate di autoeccitabilità, cioè lasciate a se stesse si<br />

contraggono spontaneamente, ad es. le cellule dell’intestino, le cellule degli ovidutti.<br />

Le uniche cellule muscolari lisce che non sono dotate di questa proprietà sono soltanto quelle<br />

della tunica muscolare dei vasi sanguigni.<br />

Nel cuore alcune cellule hanno questa proprietà (miocardio specifico), altre ne sono prive<br />

(miocardio comune).<br />

Nella lezione precedente vediamo cosa accade quando il potenziale d’azione arriva all’estremità<br />

dell’assone: la sinapsi.<br />

51


Lezione 7 - prof.ssa Serapide<br />

Si è visto nelle lezione precedente che la gran parte delle sinapsi sono localizzate ma vi possono<br />

essere anche delle sinapsi diffuse che liberano il mediatore non solo a livello del bottone sinaptico,<br />

ma lungo tutta la parte terminale dell’assone.<br />

Le sinapsi diffuse sono quelle del sistema vegetativo, in particolare le sinapsi noradrenergiche<br />

dell’ortosimpatico.<br />

Queste sinapsi rilasciano il mediatore in un’ampia zona, per cui un elevato numero di cellule entra<br />

contemporaneamente in contatto con il mediatore.<br />

Sono state anche esaminate le caratteristiche delle sinapsi elettriche, le quali sono state rivalutate<br />

negli ultimi anni poiché prima si pensava fossero presenti solo nel cuore.<br />

· Il vantaggio delle sinapsi elettriche è la velocità, il difetto consiste nel fatto che il segnale non può<br />

essere integrato (amplificato o ridotto), cioè non può essere modificato.<br />

· I vantaggi delle sinapsi chimiche consistono nella possibilità di integrazione perché quando<br />

convergono diversi segnali con mediatori diversi, alcuni attivatori, altri inibitori, cioè alcuni che<br />

amplificano il segnale, altri che lo riducono, il punto in cui si ha questa convergenza è sede di<br />

integrazione.<br />

Il segnale quindi viene modificato, può essere anche cancellato perché questo tipo di sinapsi può<br />

essere anche di tipo inibitorio, cioè possono rilasciare un mediatore che inibisce la membrana postsinaptica.<br />

A livello di fenomeno elettrico in una membrana inibita si registra la iperpolarizzazione, cioè<br />

un aumento della differenza di potenziale.<br />

L’iperpolarizzazione è un evento elettrico che si traduce in una inibizione.<br />

L’iperpolarizzazione è un momento in cui la membrana si allontana dal valore soglia, aumenta la<br />

differenza di potenziale che c’è tra l’interno e l’esterno.<br />

Per essere precisi la membrana ha a riposo un potenziale di – 70 mV: se questo potenziale viene<br />

aumentato a – 90 mV , la membrana deve raggiungere una soglia più lontana che raggiunge più<br />

difficilmente.<br />

Quando si dice che una membrana è inibita significa quindi che sono necessari degli stimoli più<br />

frequenti o più forti per far abbassare la soglia, dal momento che la iperpolarizzazione è un aumento<br />

di negatività delle cariche elettriche che ci sono all’interno.<br />

Questa iperpolarizzazione è attuata dai cosiddetti mediatori inibitori, i quali quando arrivano a<br />

legarsi a recettori di membrana post-sinaptici aprono dei canali esclusivi.<br />

· Il classico mediatore inibitore è il GABA (acido -amminobutirrico), molto rappresentato a livello<br />

del SNC, in particolare a livello del cervelletto. Invece a livello del midollo spinale il mediatore<br />

inibitorio più diffuso è la glicina, un amminoacido.<br />

Questi mediatori per iperpolarizzare la membrana, cioè per aumentare la negatività, o fanno<br />

entrare ioni Cl¯, cioè cariche negative e in questo modo all’interno aumenta la negatività oppure<br />

fanno uscire ioni K + , poiché uscendo queste cariche positive si lasciano scoperte altre cariche<br />

negative che si trovano sulle macromolecole proteiche e quindi anche in questo caso aumenta la<br />

negatività e la membrana viene iperpolarizzata.<br />

Questi fenomeni avvengono a livello di una sinapsi chimica, non possono avvenire a livello di una<br />

sinapsi elettrica.<br />

Le sinapsi chimiche sono invece depolarizzanti quando il mediatore che viene rilasciato riduce la<br />

differenza di potenziale, ad es. da – 70 la porta a – 60, per cui avvicina la membrana al valore soglia<br />

che può essere raggiunto più facilmente: questo viene attuato facendo entrare ioni Na + , cioè<br />

aprendo i canali per il sodio.<br />

52


Si parla di depolarizzazione fino a quando non viene raggiunta la soglia, per cui fino a quel<br />

momento la depolarizzazione resta un fenomeno locale.<br />

Quando una depolarizzazione di una certa entità fa raggiungere la soglia, nasce il potenziale<br />

d’azione che non è più locale, ma è un fenomeno propagato.<br />

Diversi tipi di inibizione<br />

Ci sono dei segnali che in un determinato momento disturbano la conduzione degli impulsi e per<br />

escludere questi segnali si usano proprio le sinapsi inibitorie. La sinapsi inibitoria può avere anche<br />

l’effetto opposto, cioè mettere in evidenza un segnale, quindi privilegiare un’informazione che sta<br />

passando attraverso un’altra fila di cellule: questa è la cosiddetta inibizione laterale.<br />

! L’inibizione laterale è un tipo di inibizione molto frequente ad es. a livello del cervelletto, per cui<br />

vi sono file di cellule che vengono attivate e file di cellule ai lati che vengono inibite.<br />

Di conseguenza se vengono inibiti i segnali laterali non si fa altro che aumentare, far emergere il<br />

segnale che sta passando in quel momento nella fila di cellule attivate.<br />

L’inibizione laterale serve non tanto per bloccare alcune informazioni ma piuttosto a mettere<br />

in rilievo le altre.<br />

Esiste poi un altro tipo di inibizione che prende il nome di inibizione presinaptica.<br />

Infatti le sinapsi inibitorie che sono state esaminate finora consistono in una inibizione postsinaptica.<br />

Possiamo distinguere quindi l’inibizione post-sinaptica, l’inibizione pre-sinaptica, inoltre bisogna<br />

considerare l’inibizione laterale.<br />

Inibizione post-sinaptica<br />

L’inibizione post-sinaptica è quella che si registra quando a livello della sinapsi viene rilasciato un<br />

mediatore inibitorio (GABA, glicina).<br />

L’inibizione post-sinaptica è così definita perché il mediatore, legandosi ai recettori post-sinaptici<br />

della membrana, iperpolarizza la cellula aprendo i canali per il cloro o per il potassio.<br />

Si registra quindi, a livello della cellula i cui recettori si sono legati con il GABA, un fenomeno<br />

inibitorio che va sotto il nome di potenziale post-sinaptico inibitorio (IPSP), che si traduce in un<br />

aumento della differenza di potenziale, cioè in una iperpolarizzazione. Il potenziale post-sinaptico<br />

inibitorio è un potenziale locale.<br />

Il potenziale d’azione invece è preceduto da una depolarizzazione che si verifica a livello di una<br />

sinapsi attivatoria, dove si libera ad es. glutammato, per cui si registra una diminuzione di<br />

potenziale e si ha il potenziale locale chiamato potenziale post-sinaptico eccitatorio (EPSP).<br />

* Il glutammato è uno dei mediatori attivatori più diffusi.<br />

Il potenziale post-sinaptico inibitorio (IPSP) si traduce in una iperpolarizzazione.<br />

Il potenziale post-sinaptico eccitatorio (EPSP) si traduce in una depolarizzazione.<br />

L’iperpolarizzazione e soprattutto depolarizzazione sono comunque dei termini generici, non sono<br />

altro che dei fenomeni locali, cioè modificazioni nella differenza di potenziale che si verificano nel<br />

punto in cui si applica lo stimolo. Questa modificazione di potenziale, se è di tipo inibitorio, non fa<br />

altro che allontanare sempre di più la membrana d<strong>alla</strong> soglia, se è invece una modificazione è di<br />

tipo eccitatorio avvicina la membrana <strong>alla</strong> soglia.<br />

53


Il termine depolarizzazione quindi è un termine generico che indica una diminuzione della<br />

differenza di potenziale tra l’interno e l’esterno della cellula. Se invece si chiama questa<br />

depolarizzazione con il nome proprio di EPSP sappiamo di trovarci a livello di una sinapsi centrale.<br />

L’EPSP è la depolarizzazione che si verifica a livello di una sinapsi centrale ovviamente<br />

eccitatoria.<br />

Se infatti ci si trova a livello di una placca neuromuscolare, che è una sinapsi periferica sempre<br />

attivatoria, il potenziale locale non viene chiamato potenziale post-sinaptico eccitatorio bensì<br />

potenziale di placca e questo già ci permette di capire che ci si trova a livello di una sinapsi<br />

periferica.<br />

Inibizione presinaptica<br />

L’inibizione presinaptica prevede una base morfologica che è data d<strong>alla</strong> sinapsi asso-assonica.<br />

Mentre l’inibizione post-sinaptica è data da una sinapsi asso-somatica o asso-dendritica, per avere<br />

l’inibizione presinaptica occorre una sinapsi asso-assonica.<br />

Gli elementi che entrano in gioco in questo tipo di sinapsi sono almeno 3: un neurone A, un neurone<br />

B e un neurone C.<br />

Il neurone B è un neurone attivatorio per cui tra B e C c’è una sinapsi attivatoria e si registra a<br />

livello di C un potenziale post-sinaptico eccitatorio.<br />

Tra B e C c’è quindi una comune sinapsi chimica attivatoria.<br />

Il neurone A realizza una sinapsi asso-assonica sul neurone B, cioè il suo assone termina sulla<br />

terminazione assonica dell’altro elemento.<br />

Il sistema è formato quindi da sinapsi tutte attivatorie.<br />

Se però un istante prima di stimolare C, viene stimolato B, che è sempre attivatorio, non si registra<br />

più questa attivazione: dal momento che non vi è più l’attivazione che si registra attivando solo la<br />

sinapsi tra B e C si parla di inibizione, ma è importante capire che nonostante si parli di inibizione<br />

non si registra nessun effetto inibitorio, nessun IPSP e non c’è neppure il rilascio di mediatore<br />

inibitorio dal momento che le due sinapsi sono attivatorie.<br />

Da cosa deriva quindi questa cancellazione di fenomeno elettrico?<br />

Quando la sinapsi tra A e B arriva <strong>alla</strong> fine della terminazione ed è attivatoria, si ha una<br />

54


modificazione del potenziale di membrana dell’assone di B: in condizione di riposo i punti della<br />

membrana di B sono tutti a – 70 mV, se però si genera una depolarizzazione a livello della<br />

terminazione dell’assone di B mediante la sinapsi asso-assonica, il potenziale in questo punto<br />

diventa<br />

ad es. – 60, quindi si riduce la differenza di potenziale.<br />

Prima di andare avanti ricordiamo che il mediatore che viene rilasciato a livello di una sinapsi<br />

dipende da due cose:<br />

1. Da quanto calcio entra nella terminazione pre-sinaptica (il Ca²<br />

e verso la fine della terminazione, più mediatore viene liberato e<br />

diatore che viene rilasciato è la differenza di<br />

otenziale che c’è a cavallo della membrana.<br />

+ entra dal liquido extracellulare<br />

ogni volta che il potenziale d’azione arriva a livello terminale) perché più ioni Ca² + entrano, più<br />

vescicole vengono convogliat<br />

quindi più forte è lo stimolo.<br />

2. Un altro modo per regolare la quantità di me<br />

p<br />

In condizioni normali quando il potenziale d’azione arriva <strong>alla</strong> terminazione di B si ha una<br />

differenza di potenziale di – 70 mV che corrisponde<br />

a una quantità di mediatore rilasciato<br />

sufficiente a depolarizzare la membrana di C.<br />

Se però con la sinapsi asso-assonica viene depolarizzato il punto terminale dell’assone di B, quando<br />

il potenziale d’azione arriva a questo livello la sua ampiezza si riduce e siccome la quantità di<br />

mediatore liberato è anche direttamente proporzionale all’ampiezza del potenziale d’azione, si<br />

riduce la quantità di mediatore rilasciato<br />

e questa quantità può non essere sufficiente a depolarizzare<br />

la membrana postsinaptica di C.<br />

In definitiva non si registra più questo EPSP.<br />

L’inibizione presinaptica è quindi una inibizione particolare ed è stata chiamata inibizione perché<br />

i<br />

primi studiosi che la studiarono videro<br />

che veniva cancellato il fenomeno eccitatorio che si<br />

registrava stimolando una sinapsi.<br />

E’ stato verificato poi che non si tratta di una vera e propria inibizione sia perché non si<br />

registra né un potenziale<br />

post-sinaptico inibitorio (IPSP), né tantomeno viene rilasciato<br />

mediatore inibitorio.<br />

In realtà d<strong>alla</strong> combinazione temporale di due sinapsi attivatorie, cioè se si fa arrivare lo stimolo di<br />

A su B un istante prima di quello che arriva da B su C, il potenziale d’azione che arriva da B a C<br />

trova la membrana a un livello più basso e quindi il potenziale d’azione riduce la sua ampiezza in<br />

quel punto e viene propagato <strong>alla</strong> terminazione<br />

con un’ampiezza ridotta, di conseguenza viene<br />

rilasciata una quantità minore di mediatore.<br />

L’inibizione presinaptica è molto presente nel midollo spinale e su di essa si basa la<br />

modulazione del dolore, perché le fibre dolorifiche hanno una velocità di conduzione più lenta<br />

rispetto ad altre fibre sensitive, ad es. le fibre tattili. Quindi se c’è una stimolazione dolorifica<br />

ovviamente anche le stimolazioni tattili del punto leso vengono attivate e allora dal momento che le<br />

stimolazioni tattili sono più rapide, il segnale arriva poco prima che arrivi quello dolorifico:<br />

la riduzione di mediatore che ne segue modula il dolore, quindi rende la sensazione dolorifica meno<br />

intensa. A livello del midollo spinale dove arrivano le fibre dolorifiche l’inibizione presinaptica<br />

che<br />

avviene tra fibre dolorifiche<br />

e fibre tattili è uno dei tanti sistemi utilizzati per modulare la<br />

sensazione dolorifica.<br />

* Ne è prova il fatto che istintivamente quando si sente dolore si tende a stringere la parte<br />

interessata, proprio perché la stimolazione<br />

tattile che arriva prima di quella dolorifica riduce la<br />

sensazione dolorifica stessa.<br />

L’inibizione presinaptica, a differenza degli altri due tipi di inibizione non è un modo per<br />

sopprimere totalmente (inibizione postsinaptica) o per mettere in evidenza (inibizione laterale)<br />

un<br />

segnale,<br />

ma serve per modulare, nel senso di ridurre, l’intensità di una stimolazione.<br />

55


Inibizione laterale<br />

L’inibizione<br />

laterale verrà ripresa studiando il cervelletto poiché avviene ad opera di interneuroni.<br />

· Gli svantaggi delle sinapsi chimiche consistono nel fatto che sono molto più vulnerabili delle<br />

sinapsi elettriche per diversi motivi:<br />

- La possibilità di andare incontro a un esaurimento del recettore.<br />

- Dal versante presinaptico vi può essere un esaurimento del mediatore, per cui bisogna attendere<br />

che il corpo cellulare produca altro neurotrasmettitore.<br />

A questo proposito a livello delle sinapsi chimiche è presente un sistema che permette di riciclare<br />

non solo il mediatore che non è stato utilizzato, ma addirittura le vescicole.<br />

A livello presinaptico si possono ritrovare infatti dei recettori che servono per il reuptake,<br />

per<br />

recuperare dallo spazio sinaptico il mediatore liberato in eccesso il quale viene di nuovo<br />

immagazzinato nelle vescicole e riutilizzato.<br />

Bisogna però stare attenti a non pensare, per la presenza di questi recettori, che la sinapsi chimica è<br />

bidirezionale: il senso con cui viene trasmesso il segnale è dato dai recettori<br />

post-sinaptici poiché<br />

solo questi quando si legano al mediatore aprono dei canali ionici.<br />

La sinapsi chimica è unidirezionale, invece le sinapsi elettriche sono bidirezionali.<br />

- Un altro aspetto in grado di danneggiare la sinapsi chimica è legato alle tossine che agiscono<br />

a<br />

livello dei recettori, possono occupare i recettori. Il legame mediatore-recettore è un legame<br />

competitivo, quindi se c’è una sostanza in grado di legarsi<br />

a questo recettore e soprattutto se è in<br />

eccesso, si lega al recettore al posto del mediatore.<br />

Questa sostanza prende il nome di agonista, quindi è una sostanza che simula il mediatore ma una<br />

56


volta che si lega al recettore non ha la capacità di aprire i canali ionici, per cui non favorisce la<br />

trasmissione del segnale.<br />

* Tuttavia sulla <strong>fisiologia</strong> di questi recettori ha giocato molto la farmacologia: molti farmaci che<br />

hanno la stessa funzione del mediatore e sono agonisti del mediatore, riescono anche ad aumentare<br />

l’azione del mediatore stesso e amplificare<br />

lo stimolo.<br />

Una sostanza che invece blocca il recettore e determina degli effetti farmacologicamente opposti,<br />

prende il nome di antagonista.<br />

§ Questo è il caso del curaro. Il curaro è un veleno che in quantità adeguate va a bloccare i recettori<br />

nicotinici che si trovano a livello della placca neuromuscolare sul versante postsinaptico, cioè sulla<br />

membrana muscolare. L’azione del curaro, che provoca<br />

morte per asfissia, blocco respiratorio,<br />

incuriosì i ricercatori e fu così che venne scoperta la placca neuromuscolare e la competizione che<br />

si<br />

ha tra agonisti e antagonisti a livello dei recettori.<br />

Il curaro è una sostanza che blocca i recettori nicotinici dell’acetilcolina, per cui quando viene<br />

rilasciata l’acetilcolina d<strong>alla</strong> terminazione presinaptica, questa non trova più recettori a cui legarsi,<br />

+<br />

non si formano più complessi acetilcolina-recettore, non si aprono<br />

i canali per il Na , non nasce il<br />

potenziale d’azione sul muscolo e questo non si contrae: se si tratta di muscoli respiratori questi<br />

restano paralizzati, bloccati e il soggetto muore per asfissia.<br />

Il curaro è dunque una sostanza che compete con l’acetilcolina a livello dei recettori nicotinici.<br />

Il curaro viene anche impiegato<br />

in piccole dosi nelle miscele anestetiche, poiché in piccole dosi lega<br />

soltanto alcuni e dunque la forza sviluppata nei muscoli è minore, cioè il soggetto durante gli<br />

interventi è più rilassato.<br />

* Una delle terapie dell’ipertensione è basata proprio sull’utilizzo di farmaci, di sostanze che vanno<br />

a bloccare i recettori, come nel caso dei -bloccanti, cioè sostanze che hanno la stessa struttura della<br />

noradrenalina rilasciata dal sistema ortosimpatico e dunque si vanno a legare ai recettori , cioè i<br />

recettori noradrenergici,<br />

a livello cardiaco e a livello vasale. Il dosaggio farmacologico ovviamente<br />

deve<br />

essere tale che questo farmaco prevalga sulla noradrenalina e vada a bloccare più recettori<br />

della noradrenalina.<br />

In una terminazione presinaptica, quando non arriva il potenziale, cioè in una condizione di riposo,<br />

le vescicole sono tenute unite da proteine che prendono il nome di sinaptine.<br />

Le sinaptine tengono “ferme” le vescicole poiché le ancorano al citoscheletro: in questo modo le<br />

vescicole restano ancorate a livello presinaptico e non si disperdono.<br />

In ogni caso nel momento in cui la vescicola deve liberare il mediatore, la vescicola deve essere<br />

sganciata dal citoscheletro e convogliata verso la membrana presinaptica, le membrane si fondono e<br />

il mediatore viene riversato per esocitosi nello spazio sinaptico. La sinaptina quindi deve sganciare<br />

la vescicola dal citoscheletro<br />

e quest’azione avviene con il contributo degli ioni calcio.<br />

Quando il potenziale d’azione a livello presinaptico determina l’ingresso massivo<br />

di ioni Ca² + dal<br />

liquido extracellulare.<br />

Il calcio che aumenta a livello della terminazione presinaptica fa diverse cose:<br />

- Il calcio innanzitutto attiva delle chinasi per cui le sinaptine vengono fosforilate, cambiano<br />

conformazione e fanno staccare la vescicola dal citoscheletro.<br />

- Lo stesso calcio attiva altre proteine che indirizzano le vescicole verso il punto della membrana<br />

dove si possono ancorare:<br />

questo ancoraggio è determinato da altre proteine, dopodichè si ha<br />

l’apertura in questo punto specifico della membrana e l’esocitosi del mediatore che è sempre<br />

favorita dal calcio.<br />

Il calcio quindi è fondamentale per la liberazione del mediatore e la trasmissione del segnale<br />

per cui<br />

anche alterazioni della calcemia, cioè della concentrazione di calcio libero<br />

nel sangue e nei liquidi<br />

circolanti<br />

può determinare alterazioni a livello delle sinapsi e se si tratta di una placca<br />

neuromuscolare può provocare alterazioni della contrazione muscolare.<br />

57


A livello postsinaptico le modificazioni possono interessare<br />

il recettore:<br />

- i recettori possono modificare la propria conformazione. Dal momento che i recettori sono delle<br />

proteine, se c’è un’alterazione genica che riguarda quella proteina, basta una piccola modificazione<br />

affinché il recettore non leghi più<br />

il neurotrasmettitore.<br />

- i recettori a livello postsinaptico possono traslocare all’interno del citoplasma della cellula. Il<br />

recettore infatti per legare il mediatore deve avere una porzione esposta<br />

all’esterno in assenza della<br />

quale non si lega al mediatore.<br />

I punti di vulnerabilità delle sinapsi chimiche sono quindi<br />

diversi.<br />

Tra<br />

gli altri svantaggi bisogna ricordare il ritardo, in particolare per ogni sinapsi circa 0,5 millesimo<br />

di<br />

secondo di ritardo, in ogni caso la possibilità di avere una integrazione è <strong>alla</strong> base non solo della<br />

vita vegetativa ma soprattutto della vita di relazione.<br />

Differenze tra sinapsi centrale e sinapsi periferica<br />

Una caratteristica che contraddistingue la sinapsi periferica (placca neuromuscolare), dalle sinapsi<br />

centrali è rappresentata dal fatto che la sinapsi periferica è sempre e comunque attivatoria e quindi<br />

non c’è inibizione a livello del muscolo, della placca neuromuscolare.<br />

Questo vuol dire che se il muscolo si contrae,<br />

questo accade perché a livello della placca<br />

neuromuscolare è stata rilasciata acetilcolina a sufficienza, si è legata ai recettori nicotinici e questi<br />

recettori hanno aperto i canali voltaggio-dipendenti per il sodio che hanno depolarizzato la fibra<br />

muscolare e il muscolo si è contratto.<br />

Se il muscolo non si contrae non accade perché a livello della placca è stato rilasciato un mediatore<br />

inibitorio, ma si rilascia o perché non è stato rilasciato una sufficiente quantità di acetilcolina<br />

oppure perché il motoneurone che innerva il muscolo è stato inibito.<br />

In quest’ultimo caso dall’ integrazione che si ha sul motoneurone, cioè d<strong>alla</strong> somma algebrica tra<br />

segnali positivi e segnali negativi, prevalgono i segnali negativi per cui il motoneurone<br />

viene<br />

iperpolarizzato,<br />

non nasce nessun potenziale d’azione che si possa propagare e di conseguenza il<br />

muscolo non si contrae.<br />

La sinapsi periferica è quindi l’unica sinapsi chimica soltanto attivatoria.<br />

Spesso, su<br />

una membrana, il raggiungimento della soglia per far nascere il potenziale d’azione si<br />

può avere non soltanto con un singolo stimolo sufficientemente forte ma si può avere anche con<br />

molti stimoli leggeri, stimoli subliminali, i quali però devono essere sommati o nello spazio o nel<br />

tempo.<br />

- Nello spazio significa che si può raggiungere la soglia in un punto della membrana se tutto intorno<br />

a questo punto convergono tante sinapsi, le quali vengono attivate contemporaneamente in maniera<br />

subliminale.<br />

- Un altro modo per raggiungere la soglia è la sommazione nel tempo: questo si verifica quando la<br />

sinapsi è una sola, cioè se in uno stesso punto si fanno arrivare stimoli uno dopo l’altro <strong>alla</strong> giusta<br />

frequenza (in modo che la depolarizzazione data dal primo stimolo si possa sommare al secondo e<br />

al terzo) si raggiunge la soglia.<br />

Si può intuire così che a livello della placca neuromuscolare si può avere solo la sommazione<br />

temporale, perché ricordiamo che la placca neuromuscolare è formata da una sola sinapsi, ovvero<br />

la fibra si sfiocca e ogni ramo va a formare una sinapsi con una fibra muscolare, per cui si<br />

possono<br />

far arrivare il potenziale d’azione o segnali subliminali solo lungo questa fibra.<br />

A livello delle sinapsi centrali invece si possono avere entrambi i tipi di sommazione perché su<br />

una parte della membrana di un neurone o su un dendrite convergono molte sinapsi.<br />

58


Un’altra differenza è data dal fatto che la placca neuromuscolare è l’unica sinapsi dove un<br />

solo potenziale<br />

d’azione è in grado di dare una contrazione muscolare.<br />

Quindi il potenziale d’azione che si propaga lungo la fibra è sufficiente a far liberare una quantità<br />

di acetilcolina tale da far nascere un<br />

potenziale sulla fibra muscolare e determinare la contrazione.<br />

Si ha quindi il caso di una sinapsi 1:1, cioè un potenziale sulla fibra una contrazione nel<br />

muscolo.<br />

In una sinapsi centrale invece, dove vi sono miliardi di bottoni sinaptici, un solo potenziale d’azione<br />

non è assolutamente sufficiente.<br />

In definitiva la sinapsi periferica è una sinapsi molto potente, molto forte,<br />

proprio perché un<br />

potenziale d’azione determina una singola contrazione muscolare che prende il nome scossa<br />

semplice. Se poi si opera una sommazione temporale<br />

a livello di questa sinapsi, si può trasformare<br />

la scossa semplice in tetano muscolare.<br />

Il tetano è un tipo di contrazione prolungata, sostenuta nel tempo.<br />

I nostri muscoli scheletrici subiscono tutti contrazioni tetaniche, solo il cuore non va incontro a<br />

tetano,<br />

ma a una scossa semplice (la sistole).<br />

Il motivo è questo: la durata di un potenziale d’azione tipico a livello di una qualunque fibra<br />

muscolare<br />

è di 1-2 millesimi di secondo con un’ampiezza generalmente di 90-100 mV (cioè passa<br />

da<br />

– 60 a + 30 massimo, quello che viene chiamato spike) …to be continued<br />

59


Lezione<br />

8 - prof.ssa Serapide<br />

Il tetano muscolare<br />

L’ultima volta è stato visto com’è regolato il rilascio del mediatore e cosa accade a livello postsinaptico.<br />

Il tetano muscolare è una conseguenza della sommazione, un altro evento che avviene a livello<br />

delle sinapsi centrali.<br />

Gli eventi che avvengono a livello delle sinapsi centrali sono l’inibizione, che non è presente<br />

a<br />

livello della sinapsi periferica e la sommazione, che può essere di tipo spaziale e temporale.<br />

A livello della sinapsi periferica (placca neuromuscolare) si ha solo sommazione temporale perché<br />

è<br />

unica, cioè un’unica fibra nervosa stabilisce una sinapsi<br />

con una fibra muscolare.<br />

La sommazione temporale e spaziale può avvenire invece quando ci sono più sinapsi, più fibre<br />

nervose che convergono in un singolo spazio. Su ciascuna di queste fibre, considerate<br />

singolarmente, può avvenire la sommazione temporale, ma se più fibre convergono su un punto<br />

vicino si può avere anche la sommazione spaziale.<br />

! Il tetano muscolare è proprio una conseguenza della sommazione che avviene a livello delle<br />

sinapsi.<br />

Si è parlato di sommazione a proposito degli eventi elettrici che avvengono a livello delle sinapsi.<br />

Se un impulso che arriva a livello della sinapsi è sufficientemente intenso, dà subito un potenziale<br />

d’azione che si propaga: questo è quello che avviene sempre a livello della sinapsi periferica, dove<br />

quindi si ha 1 potenziale<br />

1 contrazione.<br />

A livello delle sinapsi centrali un potenziale d’azione esercita sul neurone (su cui ci sono le sinapsi)<br />

una leggerissima variazione del potenziale di membrana.<br />

Per sinapsi centrali si intende un neurone con il suo soma e con i suoi dendriti sui quali convergono<br />

tantissime sinapsi.<br />

§ Quindi a livello delle sinapsi centrali “un solo potenziale d’azione su una superficie così vasta è<br />

come una goccia nell’oceano” (Serapide).<br />

Questo significa che per avere un potenziale d’azione su questo neurone occorre la sommazione di<br />

tutti gli eventi elettrici che sopraggiungono insieme, quindi se i potenziali che arrivano sul neurone<br />

sono eccitatori (quelli che abbiamo chiamato potenziali post-sinaptici eccitatori – EPSP ), tutti<br />

questi piccoli potenziali (gli EPSP) sono soggetti a sommazione.<br />

Pertanto un singolo stimolo determina una leggera depolarizzazione (per fare un esempio porta la<br />

membrana da – 70 a – 69 mV) che siccome avviene a livello della membrana postsinaptica prende il<br />

nome di potenziale postsinaptico eccitatorio.<br />

Un altro stimolo che è possibile sommare nello spazio e nel tempo, che converge quindi nello stesso<br />

punto, porta la membrana da – 69 a – 67 mV: in poche parole la depolarizzazione aumenta di<br />

ampiezza fino ad arrivare a una soglia, cioè se d<strong>alla</strong> sommazione di questi impulsi si raggiunge<br />

la<br />

soglia, allora nasce il potenziale<br />

d’azione .<br />

A livello di una sinapsi centrale quindi un singolo potenziale d’azione che arriva su una fibra<br />

non produce assolutamente nulla: per fare in modo che il neurone che ha ricevuto questa<br />

sinapsi possa dare a sua volta una risposta occorre la sommazione di diversi potenziali<br />

postsinaptici eccitatori.<br />

· E’ importante puntualizzare che gli eventi elettrici sommabili sono soltanto le depolarizzazioni e le<br />

iperpolarizzazioni, quindi sono sommabili i potenziali postsinaptici eccitatori e i potenziali<br />

postsinaptici inibitori, cioè i potenziali locali.<br />

I potenziali d’azione non sono sommabili perché comportano l’inversione della polarità a cui<br />

segue un periodo di refrattarietà assoluta. Quando invece si depolarizza la membrana non si fa altro<br />

che far entrare una piccola quantità di ioni Na + ma ce ne sono altri fuori che possono<br />

entrare in<br />

60


seguito a un nuovo stimolo (cioè non si ha ancora l’inversione della polarità).<br />

Quando invece lo stimolo è capace di far entrare tanto sodio da portare la membrana a soglia, tutto<br />

il sodio è entrato dentro e quindi non si può più stimolare questa membrana fino a quando le pompe<br />

+ +<br />

non abbiano ripristinato la situazione ionica portando fuori il Na e dentro il K .<br />

In<br />

definitiva parlando di eventi elettrici sono sommabili soltanto i potenziali locali, siano essi<br />

eccitatori o inibitori. I potenziali eccitatori possono essere sommati anche con i potenziali inibitori,<br />

cioè viene fatta una sorta di somma<br />

algebrica dei potenziali che prende il nome di integrazione.<br />

I potenziali d’azione non sono assolutamente sommabili.<br />

A questi fenomeni elettrici, cioè ai potenziali d’azione, seguono gli eventi meccanici, ad es. la<br />

contrazione di un muscolo.<br />

Gli eventi meccanici sono sommabili nei muscoli scheletrici! e quindi se il muscolo riceve un<br />

solo potenziale d’azione si contrae una sola volta e si rilascia determinando<br />

quella che viene<br />

chiamata<br />

scossa semplice.<br />

Se invece si stimola il muscolo con una frequenza più alta, cioè nell’unità di tempo si fanno arrivare<br />

più potenziali d’azione, accade che il muscolo, anziché contrarsi e rilasciarsi, resta contratto.<br />

Questa contrazione<br />

prolungata prende il nome di tetano muscolare.<br />

Il tetano muscolare si verifica in tutti i muscoli scheletrici ed è anzi <strong>alla</strong> base della nostra vita di<br />

relazione: tutte le contrazioni dei muscoli scheletrici sono normalmente<br />

di tipo tetanico (tonico,<br />

continuo).<br />

* Per fare degli esempi se si sta un piedi è per via delle contrazioni toniche dei muscoli delle gambe,<br />

la testa sta in posizione per una contrazione tonica dei muscoli del collo, i nostri arti non sono<br />

flaccidi perché i muscoli hanno sempre questa leggera contrazione.<br />

Queste contrazioni tetaniche sono possibili perché a livello di tutti i muscoli scheletrici<br />

l’evento meccanico, cioè la singola contrazione, dura molto più del potenziale d’azione:<br />

per avere una scossa si manda al muscolo un potenziale d’azione<br />

che dura 2 millesimi di secondo,<br />

ma esso determina una contrazione (scossa semplice) che dura almeno 10 millesimi di secondo!<br />

Questo significa che quando la scossa sta per iniziare il potenziale è già finito, per cui se arriva un<br />

altro potenziale d’azione che determina una nuova contrazione, questa si somma <strong>alla</strong> precedente e<br />

così via, in modo tale che il muscolo possa rimanere contratto.<br />

La massima forza che un muscolo può sviluppare si ha proprio durante<br />

il tetano.<br />

Questo accade perchè nel muscolo, oltre <strong>alla</strong> parte contrattile, c’è molta componente inerziale, la<br />

quale deve essere anch’essa messa in funzione: con la prima scossa molta dell’energia che viene<br />

fornita al muscolo viene utilizzata per mettere in funzione<br />

la componente inerziale, dopodichè viene<br />

messa in tensione la componente attiva e inizia a svilupparsi la forza.<br />

Se il muscolo viene mantenuto<br />

contratto, <strong>alla</strong> seconda scossa la componente inerziale è già in<br />

tensione, quindi tutta l’energia che viene fornita al muscolo con la seconda scossa serve a mettere in<br />

tensione la componente attiva, la parte contrattile.<br />

Il<br />

tetano muscolare in definitiva è un modo per consentire al muscolo di sviluppare la<br />

massima tensione.<br />

Con la singola contrazione il muscolo non riesce a sviluppare tutta la forza che sarebbe in grado di<br />

sviluppare, soltanto con il tetano riesce a raggiungere questo stadio.<br />

Il cuore invece è un muscolo che non entra in tetano!<br />

Questo accade perché nel cuore è più lungo il potenziale d’azione.<br />

La contrazione del cuore dura quanto quella del muscolo soleo, cioè dei muscoli della gamba, per<br />

cui dura più di 200 millesimi di secondo: tuttavia il soleo entra in tetano perché<br />

per contrarsi ha<br />

bisogno di un potenziale d’azione di pochi millesimi di secondo, il cuore invece si contrae quando<br />

nasce nel pacemaker un potenziale d’azione che dura quanto dura la scossa (cioè la contrazione).<br />

Si tratta infatti di un potenziale d’azione particolare, con una forma a plateaux , cioè un potenziale<br />

61


in cui scattano dei meccanismi ionici che allungano il periodo refrattario.<br />

Nel cuore accade quindi che quando finisce il potenziale d’azione, cioè dopo circa 200 millesimi di<br />

secondo<br />

(perché ricordiamo dura quanto la contrazione) e dunque è possibile far nascere un nuovo<br />

potenziale d’azione, anche la contrazione è finita: la conseguenza è che il cuore non entrerà<br />

mai<br />

in tetano e la spiegazione risiede proprio nella durata del potenziale d’azione.<br />

Per comprendere questi concetti bisogna imparare a distinguere la sommazione degli eventi<br />

elettrici, che a vvengono a livello delle sinapsi e interessano soltanto i potenziali locali d<strong>alla</strong><br />

sommazione<br />

degli eventi meccanici, che avvengono a livello degli organi effettori, cioè i muscoli.<br />

La sommazione degli eventi meccanici ha come conseguenza nei muscoli scheletrici<br />

il tetano<br />

muscolare.<br />

§ E’ su questi<br />

concetti che si basa l’esame scritto, i quiz sono fatti su questi concetti<br />

Recettori<br />

A livello delle sinapsi il recettore postsinaptico<br />

è l’elemento che decide cosa deve avvenire a livello<br />

postsinaptico, poiché non basta avere la liberazione del mediatore e il legame del mediatore con il<br />

recettore, ma la risposta che si ha nell’elemento postsinaptico dipende dal tipo di recettore e da<br />

quanti recettori si legano al mediatore.<br />

La risposta dipende dal tipo di recettore perché uno stesso mediatore chimico<br />

può determinare una<br />

risposta eccitatoria, quindi un potenziale postsinaptico eccitatorio, oppure se cambia il recettore una<br />

risposta postsinaptica inibitoria. Dal momento che si tratta dello stesso mediatore, se cambia la<br />

risposta che si ottiene a livello postsinaptico, la spiegazione è nel recettore.<br />

L’intensità della risposta dipende dal numero di recettori legati al mediatore.<br />

Per cui la risposta può essere modulata in due modi: si diminuisce la risposta riducendo il numero<br />

di<br />

recettori che si legano al mediatore o aumentando il numero di recettori che si legano al mediatore.<br />

* Questo principio viene molto utilizzato in farmacologia, poiché se vengono iniettati degli<br />

antagonisti, questi antagonizzano il mediatore legandosi e bloccando alcuni recettori; in questo<br />

modo la sinapsi rilascia sempre la stessa quantità di mediatore (è difficile dosare la quantità di<br />

mediatore rilasciata da una sinapsi: si può fare con l’intensità di stimolazione in laboratorio<br />

ma in<br />

natura questa quantità non è controllabile) ma si riduce il numero di complessi mediatore-recettore<br />

e<br />

quindi si riduce l’intensità della risposta a valle. Questo obiettivo si può ottenere con l’utilizzo di<br />

antagonisti che bloccano il recettore e fanno in modo che non tutto il mediatore si leghi.<br />

Al contrario se si vuole aumentare la risposta si iniettano delle sostanze che hanno le stesse<br />

caratteristiche del mediatore: ad es. poniamo il caso che arrivino 100 molecole di mediatore che<br />

si<br />

legano<br />

a 100 recettori con la formazione di 100 complessi mediatore-recettore i quali determinano<br />

una certa risposta; se poi si inietta una sostanza con le stesse funzioni del mediatore, anziché avere<br />

100 complessi mediatore-recettore se ne formano 200 e quindi la risposta viene amplificata.<br />

I recettori postsinaptici.<br />

*E’ bene precisare perché ricordiamo vi sono anche dei recettori a livello<br />

presinaptico: i recettori<br />

presinaptici sono importanti<br />

per recuperare il mediatore e riciclarlo.<br />

I recettori postsinaptici sono di due categorie:<br />

- ionotropi<br />

- metabotropi (metabotropici)<br />

62


Sulla membrana postsinaptica ci sono delle proteine che formano dei canali ionici attraverso cui<br />

passano gli ioni, ma possono passare tutte le sostanze idrosolubili. Proprio a livello postsinaptico la<br />

conseguenza che si ha ogni volta che viene rilasciato un mediatore e si lega al recettore è quella di<br />

aumentare la conduttanza ad alcuni ioni che sono implicati nei processi elettrici: al sodio perché<br />

l’ingresso di Na sso di cloro perché l’ingresso di Cl¯<br />

gono proprio attraverso<br />

le<br />

gare il mediatore.<br />

i tratta di un meccanismo molto semplice e soprattutto molto rapido, poiché è sufficiente che arrivi<br />

+ determina la depolarizzazione oppure l’ingre<br />

determina la iperpolarizzazione (così come la fuoriuscita di K + ).<br />

A livello postsinaptico si verificano degli spostamenti ionici, i quali avven<br />

queste proteine canale che prendono il nome di canali ionici.<br />

Il recettore ionotropo è una proteina che fa parte di questo stesso canale ionico, cioè una del<br />

proteine del canale ionico che ha la proprietà di le<br />

S<br />

il mediatore, si lega al recettore ionotropo, cioè la parte del canale che fa anche da recettore e il<br />

canale si apre così che si ha lo spostamento di ioni.<br />

Il recettore metabotropico invece è un recettore che legandosi al mediatore porta anch’esso<br />

all’apertura dei canali ionici, ma con un tempo più lungo perché il recettore in questo caso<br />

non fa parte del canale ionico. Tra i recettori e i canali vi è una certa distanza che<br />

viene colmata<br />

da reazioni metaboliche che avvengono quando il mediatore si lega al recettore (a questo è dovuto il<br />

termine metabotropico). L’attivazione del recettore determina l’attivazione di quelle molecole<br />

che prendono il nome di secondi messaggeri le quali poi attivano il canale.<br />

I secondi messaggeri sono moltissimi, tra di essi ricordiamo l’cAMP, lo ione Ca²<br />

(GDP).<br />

lla<br />

enzima che porta <strong>alla</strong> formazione dell’cAMP.<br />

a<br />

al momento che devono avvenire diversi passaggi tra l’attivazione del recettore e l’apertura del<br />

+ , lo ione Mg² + , la<br />

stessa molecola dell’ATP. Questi secondi messaggeri si formano quindi da alcune reazioni<br />

metaboliche in cui è interessata frequentemente una proteina chiamata proteina G.<br />

La proteina G è una proteina formata da tre subunità , e e si trova attaccata <strong>alla</strong> membrana, in<br />

questo caso al recettore al quale si deve legare il mediatore. Di queste tre subunità e sono quelle<br />

che tengono ancorate la proteina G al recettore, ma la parte attiva è la subunità .<br />

La subunità ha la capacità di legare il guanidin trifosfato (GTP) o il guanidin difosfato<br />

La prima tappa che si ha quando il mediatore si lega al recettore metabotropico è l’attivazione de<br />

proteina G: la subunità lega il GTP e attiva un enzima chiamato adenilato ciclasi (anche se non è<br />

sempre questo). L’adenilato ciclasi è un<br />

L’cAMP attiva degli altri enzimi, in particolare delle chinasi che attaccano un gruppo fosfato al<br />

canale, cioè vanno a fosforilare una proteina del canale: questa fosforilazione determina l’apertur<br />

del canale stesso e lo scambio di ioni.<br />

D<br />

canale, il meccanismo di azione dei recettori metabotropico è più lento rispetto a quello dei<br />

recettori ionotropi però è più duraturo nel tempo.<br />

Ci sono dei mediatori che hanno sempre e solo dei recettori metabotropici e uno di questi è la<br />

dopamina. Si conoscono almeno 5 famiglie di recettori per la dopamina, diversi in quanto a<br />

struttura ma che agiscono tutti con meccanismo metabotropico, cioè tramite dei secondi messaggeri.<br />

Ci sono poi dei mediatori che agiscono sui due tipi di recettori, quindi si possono legare sia al<br />

recettore ionotropo che metabotropo: uno di questi è l’acetilcolina.<br />

Il recettore che si trova sulla fibra muscolare scheletrica è un recettore nicotinico di tipo ionotropo.<br />

Questo significa che ogni volta che l’acetilcolina viene rilasciata d<strong>alla</strong> fibra si lega sul recettore<br />

postsinaptico ionotropo (che costituisce una parte della proteina canale) e la proteina canale si apre<br />

e fa entrare gli ioni sodio.<br />

Vi sono poi altre fibre che utilizzano l’acetilcolina, ad esempio le fibre vagali parasimpatiche che<br />

arrivano a livello cardiaco o a livello intestinale. L’aceticolina è sempre la stessa!<br />

ma in questi<br />

distretti<br />

si trovano invece recettori metabotropici.<br />

Questi recettori cui si lega l’acetilcolina rilasciata dal sistema nervoso vegetativo ad esempio,<br />

non<br />

sono recettori nicotinici ma vengono chiamati recettori<br />

muscarinici.<br />

63


I recettori muscarinici sono diversi dai recettori nicotinici e agiscono con meccanismo<br />

metabotropico, cioè un meccanismo più lento.<br />

La differenza tra recettori nicotinici e muscarinici consiste nel fatto che i recettori nicotinici sono<br />

ionotropi, i recettori muscarinici<br />

sono metabotropi ma la differenza è anche nella risposta:<br />

ad es. quando l’acetilcolina si lega a un recettore nicotinico come quello della fibra muscolare attiva<br />

la contrazione, quando invece viene rilasciata dal parasimpatico e si lega a un recettore muscarinico<br />

inibisce la contrazione .<br />

* L’effetto dell’acetilcolina sul recettore muscarinico non si ha soltanto a livello gastroenterico<br />

ma<br />

anche nell’occhio. L’atropina viene utilizzata per mantenere dilatata la pupilla: il muscolo<br />

costrittore della pupilla (che chiude la pupilla sotto l’azione della luce) è costituito da muscolatura<br />

liscia e viene innervato dal sistema parasimpatico per cui è ricco di recettori muscarinici.<br />

Quando l’acetilcolina si lega a questo recettore rallenta l’azione del muscolo poiché ha un’azione<br />

inibitoria ma ridurre l’azione di questo muscolo significa chiudere la pupilla. Quando<br />

invece il<br />

muscolo si contrae la pupilla si dilata. Bisogna quindi impedire che l’acetilcolina si vada a legare<br />

a<br />

questi recettori e faccia avvenire la contrazione del muscolo. Si può bloccare l’azione con un<br />

antagonista che è l’atropina, la<br />

quale è specifica per i recettori muscarinici.<br />

* L’utilizzo di atropina può provocare però tachicardia proprio in seguito <strong>alla</strong> sua azione sulla<br />

muscolatura del cuore che pur essendo un muscolo scheletrico<br />

è innervato dal parasimpatico ed è<br />

ricco di recettori muscarinici.<br />

Se invece si vuole bloccare la contrazione di un muscolo scheletrico la somministrazione di atropina<br />

è inutile perché cambia il recettore, bisogna usare il curaro.<br />

* L’anestesista che<br />

durante un intervento deve rilasciare la muscolatura scheletrica, aggiunge un po’<br />

di curaro nella miscela anestetica, proprio perché deve antagonizzare l’acetilcolina a livello<br />

della<br />

muscolatura scheletrica. L’acetilcolina infatti sul cuore rallenta la frequenza e la forza con cui il<br />

cuore<br />

si contrae.<br />

I recettori nicotinici per l’acetilcolina della muscolatura scheletrica sono ionotropi.<br />

I recettori muscarinici per l’acetilcolina rilasciata dal parasimpatico sono metabotropici.<br />

Il legame dell’acetilcolina<br />

con un recettore ionotropo (recettori ionotropo) porta a una attivazione,<br />

<strong>alla</strong><br />

nascita di un potenziale d’azione e quindi <strong>alla</strong> contrazione del muscolo.<br />

Il legame dell’acetilcolina con un recettore metabotropo (recettori muscarinici) inibisce la<br />

contrazione.<br />

Altri mediatori che utilizzano tutti e due i recettori sono il GABA e la glicina.<br />

Il GABA è il mediatore inibitorio più diffuso a livello del cervelletto, invece il mediatore<br />

inibitorio più diffuso<br />

nel midollo spinale è la glicina.<br />

Del GABA si conoscono due tipi di recettori che prendono il nome di recettori GABA A e GABA B .<br />

Il recettore GABA A è un recettore ionotropo, il recettore GABA B è un recettore<br />

metabotropico.<br />

Quando il GABA si<br />

lega ai recettori GABA-A apre i canali del cloro, per cui si ha con azione rapida<br />

trasferimento di ioni cloro dall’interstizio al citoplasma; quando invece il GABA trova un recettore<br />

GABA<br />

B (recettore metabotropico) l’azione è più lenta e si aprono i canali per il potassio, quindi<br />

fuoriuscita di K + .<br />

! Il risultato è quindi lo stesso, cioè una iperpolarizzazione, ma il meccanismo è diverso.<br />

· I canali ionici di cui si è discusso sono definiti a porta chimica, cioè si aprono per l’arrivo di una<br />

sostanza chimica che può essere il neurotrasmettitore (nel caso del recettore ionotropo), il secondo<br />

messaggero (nel caso del recettore metabotropico). Il termine a porta viene utilizzato per rendere<br />

l’idea di un passaggio che non è perennemente aperto; è vero che sulle membrane dei neuroni e<br />

delle fibre muscolari vi sono dei canali sempre aperti, ma sono pochissimi.<br />

64


Come visto nelle lezioni precedenti (di Perciavalle) anche in condizioni di riposo le pompe sodio-<br />

potassio devono agire per mantenere la differenza di potenziale:<br />

l’attività di queste pompe è resa<br />

necessaria proprio d<strong>alla</strong> presenza di questi canali che non sono a porta, cioè sono sempre aperti.<br />

In ogni caso la maggior parte dei canali sono a porta, cioè si aprono solo se vi sono determinate<br />

condizioni, come ad es. la presenza di una sostanza chimica.<br />

· Vi sono poi altri canali definiti a porta meccanica perché si aprono in seguito a una deformazione<br />

meccanica. Le proteine che formano questi canali sono legate alle fibre del citoscheletro; queste<br />

fibre sono ancorate al canale e <strong>alla</strong> membrana cellulare: se le fibre sono allentate il canale risulta<br />

chiuso, se invece queste fibre vengono tirati il canale risulta aperto.<br />

Questo meccanismo si ritrova meno frequentemente ma è utile da ricordare in previsione della<br />

<strong>fisiologia</strong>2 dove si studierà un tipo di recettori non sinaptici,<br />

e precisamente recettori muscolari<br />

(trasduttori) che prendono il nome di fusi neuromuscolari.<br />

Questi canali a porta meccanica sono abbondantemente rappresentati nella fibra afferente che forma<br />

la terminazione anulo-spirale intorno alle fibre del fuso.<br />

Quando il muscolo e quindi il fuso vengono stirati, il citoscheletro<br />

si deforma e tale deformazione<br />

fa aprire i canali, con conseguenti ingresso di sodio e generazione del segnale.<br />

I canali a porta meccanica si trovano proprio nel contesto dei meccanocettori, cioè quel tipo di<br />

recettori che si attivano in seguito a una deformazione.<br />

· Un altro meccanismo da ricordare è quello dei canali a porta elettrica o voltaggio-dipendente.<br />

In molte membrane eccitabili come visto vi sono dei<br />

canali sempre aperti, ma questi sono<br />

pochissimi. Se ricordiamo il potenziale d’azione nasce invece quando si raggiunge una soglia che si<br />

aggira intorno a – 55 mV, – 50 mV: quando infatti il valore del potenziale viene portato da – 70 a –<br />

55 si aprono proprio i canali voltaggio-dipendenti.<br />

La soglia è quindi importante perché a quel valore si aprono tutti<br />

i canali voltaggio-dipendenti del<br />

sodio e il Na<br />

Bisogna sempre ricordare che i canali sono di natura proteica e le proteine sono costituite da<br />

mminoacidi. Alcuni di questi amminoacidi sono polari e quindi se si cambia la polarità tra interno<br />

d esterno, anche l’orientamento degli amminoacidi varia ed è questo evento che fa aprire i canali.<br />

+ entra massivamente nel citoplasma.<br />

Spostare il potenziale significa quindi aumentare di molto il numero dei canali pervi per un<br />

determinato ione e favorire la nascita del potenziale d’azione.<br />

*<br />

a<br />

e<br />

Malattie correlate ai mediatori<br />

La dopamina è un mediatore chimico molto diffuso nel SNC e come per altri neurotrasmettitori la<br />

sua importanza si comprende in patologia, in particolare per la dopamina nei malati di Parkinson.<br />

· Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegerativa che colpisce i soggetti dopo i 50 anni ed è<br />

caratterizzata da una scarsa produzione di dopamina a livello della sostanza nigra del mesencefalo<br />

(così chiamata perché normalmente le cellule sono ricche di granuli nerastri contenenti dopamina).<br />

Una scarsa produzione di dopamina dovuta<br />

<strong>alla</strong> degenerazione dei neuroni che la producono<br />

determina il Parkinson; questi pazienti presentano un tipico tremore a riposo, rigidità.<br />

La dopamina quindi è importante per il giusto controllo dei movimenti e va a incidere anche sugli<br />

stati emozionali, la mimica facciale.<br />

Per quanto riguarda il Parkinson una cura che si adotta è la somministrazione di dopamina, ma il<br />

problema sta nel fatto che non tutta la dopamina che viene somministrata dall’esterno riesce a<br />

raggiungere i nuclei o gangli della base. Per raggiungere questa sede la dopamina esogena deve<br />

superare la barriera che separa i neuroni dal sangue, cioè la barriera ematoencefalica, la quale si<br />

lascia attraversare facilmente<br />

nel neonato, nell’adulto invece costituisce una barriera vera e propria.<br />

La barriera ematoencefalica crea diversi problemi dal punto di vista terapeutico perché non tutti i<br />

65


farmaci riescono a superarla e quindi molte delle malattie che colpiscono il sistema nervoso non<br />

possono essere aggredite.<br />

Per fortuna dopo diversi studi si è scoperto che un precursore della dopamina, la L-dopa , riesce a<br />

superare la barriera ematoencefalica. Questa terapia però funziona per alcuni anni e diventa<br />

inutile<br />

nel momento in cui la cellula è totalmente degenerata, poiché non bisogna dimenticare che la<br />

L-dopa a livello dei gangli della base, deve essere convertita in dopamina.<br />

Il sistema delle cellule<br />

deve<br />

essere quindi ancora ricco di enzimi in grado di convertire la L-dopa in dopamina.<br />

Dal momento che questo farmaco ha una buona efficienza per un arco di tempo limitato (7-8 anni),<br />

si cerca di iniziare la terapia contro il Parkinson il più tardi possibile.<br />

· Un’altra malattia correlata ai mediatori chimici è la miastenia gravis.<br />

Il termine miastenia è dovuto al fatto che si manifesta proprio con una debolezza muscolare, quindi<br />

con una mancanza di forza sviluppata dai muscoli. Questa malattia ha un decorso<br />

inesorabile, senza<br />

speranza di guarigione. In ogni caso il decorso è variabile e dipende dai tipi di muscoli che vengono<br />

colpiti in primis: se vengono subito interessati i muscoli respiratori il decorso si riduce, se invece i<br />

muscoli respiratori vengono colpiti <strong>alla</strong> fine le speranze di vita si allungano.<br />

La miastenia gravis è dovuta ad una scarsa produzione di<br />

acetilcolina, è una malattia che<br />

colpisce il rilascio di acetilcolina a livello della placca neuromuscolare.<br />

L’acetilcolina viene liberata in scarse quantità a livello della placca neuromuscolare per cui si<br />

riduce la capacità del muscolo di contrarsi correttamente.<br />

Un tempo si credeva che la miastenia gravis fosse dovuta a una carenza di sintesi di acetilcolina,<br />

per<br />

cui sarebbe bastato fornire precursori, aiutare in qualche maniera questa sintesi; è stato accertato<br />

oggi che si tratta di una malattia autoimmune. Nel sistema immunitario si vengono a formare<br />

degli anticorpi contro il self, in questo caso anticorpi anti-acetilcolina, per cui l’acetilcolina<br />

rilasciata viene bloccata dagli anticorpi e non si può legare al recettore postsinaptico per far<br />

contrarre i muscoli. Se si formano pochi anticorpi, come accade all’inizio di questa malattia,<br />

vengono bloccate poche molecole di acetilcolina ma viene garantita una certa attività muscolare,<br />

anche<br />

se più lenta e leggera. Con il progredire della malattia il numero degli anticorpi formati<br />

aumenta, fino ad arrivare a bloccare completamente l’acetilcolina, in sedi diverse, fino a quando<br />

arriva a bloccare i muscoli respiratori per cui si muore per asfissia.<br />

· Il morbo di Alzheimer è un’altra malattia neurodegenerativa, proprio come il Parkinson, con la<br />

differenza che il Parkinson è dovuto <strong>alla</strong> degenerazione dei neuroni dopaminergici della sostanza<br />

nigra che producono dopamina, la malattia di Alzheimer è dovuta <strong>alla</strong> degenerazione di neuroni<br />

colinergici, che producono acetilcolina, sempre a livello di un complesso di nuclei che si trovano<br />

<strong>alla</strong><br />

base del cranio e prendono il nome di nuclei o gangli della base, dei quali fa parte anche la<br />

sostanza nigra implicata nel Parkinson. I nuclei della<br />

base contengono neuroni che producono<br />

mediatori diversi e sono molto suscettibili <strong>alla</strong> degenerazione,<br />

soprattutto nell’età senile.<br />

neuroni<br />

dopaminergici morbo di Parkinson<br />

neuroni colinergici morbo di Alzheimer<br />

Queste patologie sono dovute <strong>alla</strong> carenza di mediatori, ma vi sono anche problemi dovuti a un<br />

eccesso di mediatori nel vallo sinaptico.<br />

La presenza di recettori<br />

presinaptici che recuperano il mediatore serve per diversi scopi:<br />

questi recettori riportano il mediatore nella fibra presinaptica togliendolo dallo spazio presinaptico<br />

perché se il mediatore si accumula nello spazio sinaptico diventa tossico per il neurone<br />

postsinaptico.<br />

Esiste un fenomeno che porta a morte i neuroni e prende il nome di eccito-tossicità dovuto<br />

proprio all’azione tossica che il mediatore<br />

stesso se in eccesso esercita sui neuroni.<br />

66


Se questo fenomeno ad esempio si verifica a livello del motoneurone spinale, si ha la paralisi<br />

muscolare, poiché morendo il neurone muore tutto<br />

il sistema periferico motorio e i muscoli pur<br />

essendo integri non si contraggono più.<br />

A questo proposito nel vallo sinaptico vi sono sempre enzimi che degradano il mediatore,<br />

ad<br />

esempio le monoaminossidasi , in sigla MAO.<br />

Questi enzimi degradano i mediatori chimici, come ad es. le catecolammine (dopamina,<br />

noradrenalina, adrenalina). Anche l’acetilcolina viene degradata da un enzima chiamato<br />

colinesterasi che la scinde in acido acetico e colina.<br />

L’elemento che viene ripreso dal terminale presinaptico<br />

è la colina, ovvero la specie chimica che<br />

scarseggia, dal momento che invece l’acido acetico si riforma dall’acetil-coenzima A presente in<br />

abbondanza nel metabolismo. Non sempre quindi tutti gli elementi che derivano d<strong>alla</strong><br />

degradazione del mediatore vengono recuperati.<br />

* Anche su questi aspetti di reuptake lavora la farmacologia, perché se in una patologia si rende<br />

necessario far agire il mediatore per più tempo, si somministrano dei farmaci che contrastano<br />

l’azione degli enzimi a livello del vallo sinaptico.<br />

** Per fare un esempio, nella miastenia gravis, quando si credeva che fosse dovuta a una carenza<br />

di<br />

acetilcolina, i primi farmacologi hanno cercato di utilizzare dei farmaci anti-colinesterasi, cioè<br />

dei<br />

farmaci che bloccavano l’enzima che degrada il mediatore.<br />

Anche gli enzimi che si trovano nel vallo sinaptico rappresentano un bersaglio nella strategia<br />

terapeutica, perché se si accelera l’azione di questi enzimi aumenta<br />

la degradazione (questa<br />

operazione comunque è difficile), oppure al contrario se si vuole prolungare l’azione del mediatore<br />

è più facile contrastare l’enzima che lo degrada: di conseguenza il mediatore viene degradato più<br />

lentamente e ha<br />

più tempo per agire a livello postsinaptico.<br />

In alternativa si possono somministrare dei farmaci che hanno la stessa morfologia e la stessa<br />

funzione del mediatore, per cui si formano più complessi mediatore-recettore e l’effetto viene<br />

amplificato.<br />

67


Lezione 9 - prof.ssa Serapide<br />

Morfologia del muscolo<br />

I muscoli, sia lisci che striati, sono degli effettori e in quanto tali sono strutture che ricevono una<br />

innervazione efferente. Il muscolo scheletrico riceve una innervazione efferente dal sistema nervoso<br />

centrale,<br />

nello specifico la fibra .<br />

Il muscolo liscio è sempre un effettore ma riceve l’innervazione dal sistema nervoso periferico,<br />

parasimpatico od ortosimpatico.<br />

· Il muscolo liscio è meno organizzato di quello scheletrico e si divide in due grosse categorie,<br />

unitario e multiunitario.<br />

Il muscolo liscio unitario si comporta come il cuore,<br />

pertanto è costituito da tante fibrocellule e<br />

inoltre all’interno di questo muscolo si trova spesso un pacemaker, come accade a livello della<br />

muscolatura intestinale. E’ presente quindi un avviatore che fa generare l’impulso e questo si<br />

propaga a tutte le fibre,<br />

proprio come nel cuore.<br />

Questo tipo di muscolatura liscia unitaria è la più rappresentata nel nostro organismo<br />

e si<br />

ritrova prevalentemente a livello degli organi cavi come la parete intestinale, la parete<br />

uterina, la vescica.<br />

Anche la muscolatura liscia che si trova intorno alle arteriole è di tipo unitario, invece la<br />

muscolatura liscia che si trova<br />

nei grossi vasi come le grosse vene e le grosse arterie è di tipo<br />

multiunitario,<br />

in quanto si comporta come il muscolo scheletrico, cioè vi sono diverse fibre ognuna<br />

delle quali forma un’unità. Quindi per avere la contrazione delle singole fibrocellule, queste devono<br />

essere stimolate una per una.<br />

· Anche per il muscolo scheletrico, come accade in altri casi in cui si vuole comprendere il<br />

funzionamento di un organo, di una struttura molto complessa, si va a cercare l’unità funzionale,<br />

cioè la più piccola parte di quella struttura o di quell’organo che funzione come l’organo in toto.<br />

Per quanto riguarda il muscolo scheletrico è possibile notare che il muscolo è costituito da tanti<br />

fasci muscolari ogni fascio muscolare è costituito da tante fibre muscolari ogni fibra<br />

muscolare è costituita da diverse subunità che prendono il nome di miofibrille.<br />

Già a livello di fibra (e a maggior ragione di miofibrilla) è possibile notare la tipica striatura da cui<br />

deriva il termine muscolo striato. La striatura quindi non è evidente soltanto a livello microscopico,<br />

ma la ritroviamo già a livello di fibra e miofibrilla, dove si possono osservare delle zone chiare<br />

alternate a delle zone più scure.<br />

Questo muscolo è definito striato perché per tutta la lunghezza della fibra o della miofibrilla, si<br />

trovano alternate<br />

delle zone chiare e delle zone scure: questo banding è costituito d<strong>alla</strong> banda I e<br />

d<strong>alla</strong> banda A.<br />

La banda I è la banda chiara e la I sta per isotropa, invece la banda A è la banda scura e la A sta per<br />

anisotropa.<br />

La banda I è costituita da un solo tipo di filamenti, per cui quando viene colpita d<strong>alla</strong> luce<br />

polarizzata la deviazione della luce è omogenea, cioè la banda chiara fa deviare la luce in una sola<br />

direzione con una sola componente.<br />

Se invece si fa passare la luce polarizzata attraverso la banda A scura, dove vi sono due tipi di<br />

filamenti con due caratteristiche diverse, la luce viene deviata in maniera disomogenea per cui è<br />

stata chiamata anisotropa.<br />

La banda A e la banda I si alternano regolarmente per tutta la lunghezza della fibra,<br />

in<br />

particolare sono disposte in serie e secondo l’asse maggiore della fibra.<br />

Ciascuna di queste bande presenta un centro:<br />

La banda I presenta al centro una linea più scura che prende il nome di linea Z.<br />

68


La banda A presenta al centro una zona più slargata (non una linea) che chiamiamo quindi<br />

banda H, la quale presenta a sua volta all’interno una linea che prende il nome di linea M.<br />

La linea Z rappresenta<br />

il centro della banda I, la banda H rappresenta il centro della banda A .<br />

E’ importante puntualizzare questi limiti perché l’unità funzionale del muscolo scheletrico, che<br />

prende il nome di sarcomero, è quella parte di fibra muscolare compresa tra due linee Z<br />

consecutive.<br />

La zona di fibra compresa tra due linee Z prende il nome di sarcomero e rappresenta l’unità<br />

funzionale del muscolo scheletrico. I muscoli lisci non hanno questo tipo di organizzazione.<br />

Il sarcomero è l’unità<br />

funzionale del muscolo cardiaco, del muscolo scheletrico, ma non dei<br />

muscoli lisci.<br />

Dal momento<br />

che è la parte compresa tra due linee Z, il sarcomero è costituito da due mezze bande<br />

I e da una banda A.<br />

!! Attenzione: non è la stessa cosa dire “una banda I e una banda A” perché i confini risulterebbero<br />

spostati.<br />

Se si va ad osservare ancora più a livello microscopico si vede che d<strong>alla</strong> linea Z partono dei<br />

filamenti sottili che si portano verso il centro del sarcomero senza mai toccarsi. Questi filamenti<br />

sono costituiti da una proteina contrattile che prende il nome di actina.<br />

Questi due filamenti non arrivano a toccarsi ed è proprio lo spazio che resta tra questi filamenti che<br />

forma la banda H, cioè il centro della banda A.<br />

Al centro del sarcomero si ritrovano invece dei filamenti più spessi costituiti da una proteina<br />

contrattile che<br />

prende il nome di miosina. I filamenti di miosina sono frammisti a quelli di actina.<br />

La zona anisotropa (banda A) è quella in cui sono presenti entrambi i tipi di filamenti di<br />

actina e miosina, la zona isotropa invece (banda I) è invece quella in cui vi sono solo i filamenti<br />

di<br />

actina.<br />

L’actina e la miosina sono proteine contrattili ma non sono le uniche proteine che ritroviamo nel<br />

sarcomero. Il sarcomero contiene anche delle proteine strutturali e delle proteine regolatrici.<br />

· Le proteine strutturali sono diverse, tra cui la titina e la nebulina.<br />

- La titina è costituita da un filamento che in condizioni di riposo è ripiegato e serve per ancorare il<br />

filamento di miosina <strong>alla</strong> linea Z; la titina inoltre regola anche lo spostamento delle linee Z.<br />

- La nebulina invece mantiene in situ il filamento più leggero.<br />

Nel muscolo è molto importante la distrofina,<br />

una proteina che ancora i filamenti al citoscheletro.<br />

* Il gene che codifica per la distrofina può subire delle alterazioni, per cui l’impalcatura non è<br />

mantenuta adeguatamente al citoscheletro e ciò determina la distrofia muscolare, una malattia<br />

genetica invalidante a decorso inesorabile.<br />

Se si va ad osservare l’organizzazione dei filamenti sottili, è possibile notare che il filamento di<br />

actina è costituito da monomeri in forma globulare di G actina.<br />

Diversi monomeri di G actina polimerizzano per formare il filamento di F actina.<br />

Il filamento sottile è costituito in realtà da un doppio filamento di F actina che si organizza a<br />

formare il filamento leggero che parte dalle linee Z.<br />

Dalle linee Z, che rappresentano i lati del sarcomero, prendono origine quindi sia i filamenti leggeri<br />

di<br />

un sarcomero, sia i filamenti leggeri del sarcomero adiacente.<br />

L’actina<br />

presenta dunque una forma filamentosa ed è costituito da un doppio filamento di<br />

F actina.<br />

69


· Sul filamento leggero si dispongono le proteine regolatrici, che<br />

sono la troponina e la<br />

tropomiosina.<br />

La tropomiosina è un filamento che si interpone tra i due filamenti di actina e ogni 7 monomeri di<br />

actina, sulla tropomiosina si trova una molecola<br />

di troponina.<br />

Il filamento di tropomiosina è interrotto a distanze regolari d<strong>alla</strong> troponina.<br />

La troponina ha tre siti di legame, uno dei quali serve per legare l’actina, uno la tropomiosina<br />

mentre<br />

il sito C è disponibile per il calcio.<br />

In definitiva il sarcomero non è formato solo da actina e miosina che sono le proteine<br />

contrattili, ma sono presenti anche le proteine strutturali e proteine regolatrici.<br />

La miosina è anch’essa formata d<strong>alla</strong> polimerizzazione di molecole semplici, ognuna delle quali è<br />

formata da una parte lineare, rettilinea con una doppia testa, cioè presenta la forma di una “mazza<br />

da golf con due teste”. Tutte le parti rettilinee si organizzano in modo da formare la porzione lineare<br />

del filamento pesante.<br />

Le<br />

teste sporgono dal filamento in maniera tridimensionale, per cui considerando il sarcomero<br />

secondo<br />

le tre dimensioni, ogni filamento pesante presenta diverse teste che sporgono su tutti i piani<br />

ed<br />

è circondato da filamento di actina.<br />

La contrazione muscolare<br />

E’ importante innanzitutto capire perché il muscolo a volte è contratto, a volte rilasciato.<br />

Il segnale che porta il muscolo a contrarsi è dato d<strong>alla</strong> nascita<br />

del potenziale d’azione sulla<br />

membrana della fibra muscolare.<br />

Se ricordiamo la membrana che riveste la fibra muscolare a intervalli regolari presenta una<br />

invaginazione verso l’interno che costituisce il tubulo a T.<br />

Il tubulo a T è a contatto con le cisterne del reticolo sarcoplasmatico all’interno del quale è<br />

segregato molto calcio, ovvero contiene depositi di Ca²<br />

arriva il potenziale d’azione sulla membrana muscolare e<br />

e dal reticolo sarcoplasmatico gli ioni Ca² .<br />

lo può legare è la<br />

e regolatorie perché il legame<br />

na e miosina,<br />

na.<br />

erposto il<br />

a.<br />

ntatto tra<br />

llenta<br />

+ .<br />

Il calcio viene liberato dai depositi quando<br />

per rendere immediato l’arrivo di calcio, il potenziale d’azione non resta lontano dal reticolo<br />

sarcoplasmatico, ma percorrendo anche il tubulo a T il potenziale d’azione arriva anche in<br />

vicinanza del reticolo sarcoplasmatico.<br />

+<br />

In questo modo vengono liberati immediatament<br />

In questo modo il Ca² + entra nel citoplasma dove si trova a contatto con il sarcomero: l’unica parte<br />

del sarcomero che riconosce il Ca² + , che ha molta affinità per il calcio e<br />

troponina C, cioè il sito libero della troponina.<br />

Quando la troponina si lega al calcio si spostano tutte le protein<br />

della troponina con il Ca² + allenta la posizione della tropomiosina.<br />

Quando viene allentata la tropomiosina non resta più interposta tra i filamenti di acti<br />

ma scivola all’interno quindi lascia libere le molecole di G actina.<br />

Su queste molecole di G actina vi sono dei siti ai quali si può legare la miosina. Per la contrazione<br />

muscolare infatti è importante il legame tra le teste della miosina e i siti dell’acti<br />

In assenza di calcio questo legame non avviene perché tra i filamenti di actina è int<br />

filamento di tropomiosina e in questo modo la testa di miosina non riesce a legare i siti dell’actin<br />

Se non avviene il legame tra actina e miosina non può avvenire la contrazione.<br />

Come visto però la tropomiosina è mantenuta in questa posizione d<strong>alla</strong> troponina.<br />

La troponina fissandosi all’actina e <strong>alla</strong> tropomiosina li mantiene uniti impedendo il co<br />

actina e miosina. Quando comunque il sito libero della troponina si lega al Ca² + la troponina a<br />

il legame con la tropomiosina, la tropomiosina scivola verso l’interno e lascia scoperto il sito di<br />

legame sul quale può “incastrarsi” la testa della miosina e far avvenire la contrazione.<br />

70


La contrazione del muscolo scheletrico è un fenomeno calcio-dipendente e dura finchè è<br />

presente calcio all’interno della fibra muscolare: il muscolo può essere efficiente<br />

ma se manca il<br />

calcio la contrazione non avviene in quanto il calcio è l’elemento che rimuove l’inibizione.<br />

Riassumendo possiamo dire che la troponina e la tropomiosina sono delle proteine<br />

regolatorie e in<br />

particolare la troponina è la proteina che inibisce, blocca la contrazione.<br />

La rimozione di questa proteina da parte del calcio fa avvenire la contrazione, impedisce <strong>alla</strong><br />

tropomiosina di interporsi tra le due proteine contrattili nel sito di aggancio.<br />

La singola contrazione (scossa) dei muscoli lenti (muscoli posturali in genere) dura 200-300<br />

millesimi di secondo, invece nei muscoli rapidi la scossa dura 10 millesimi di secondo.<br />

Nel cuore la scossa dura 250 millesimi<br />

di secondo, quanto in un comune muscolo posturale.<br />

La particolarità del cuore non consiste quindi nella durata della scossa, che è la stessa di un muscolo<br />

posturale, bensì la particolarità sta nell’allungamento del potenziale d’azione in modo da renderlo<br />

uguale nel tempo <strong>alla</strong> scossa!<br />

Nel cuore il potenziale<br />

d’azione viene allungato in modo da farlo durare quanto dura la scossa, cioè<br />

la sistole. Questo allungamento avviene a carico di una precisa componente del potenziale d’azione,<br />

cioè il periodo refrattario assoluto, cioè quel periodo durante il quale qualunque altra stimolazione<br />

non dà risposta.<br />

Nel cuore il periodo refrattario assoluto viene allungato mantenendo all’interno della fibra il<br />

calcio! L’ingresso di calcio all’interno della fibra cardiaca avviene non solo dai depositi del reticolo<br />

sarcoplasmatico, come nel muscolo scheletrico, ma il calcio entra anche dal liquido extracellulare,<br />

per<br />

cui essendo maggiore la concentrazione di calcio all’interno della fibra, la contrazione dura più<br />

a lungo e anche il periodo refrattario.<br />

* Nei casi di ipocalcemia o ipercalcemia si ha la compromissione della contrazione muscolare.<br />

La contrazione muscolare è un processo attivo che comporta la spesa di energia.<br />

La spesa di energia<br />

non si ha nella formazione dei legami perché appena arriva il potenziale<br />

d’azione aumenta la concentrazione intracellulare di calcio, si rimuove l’inibizione e la testa della<br />

miosina si incastra sul filamento di actina e avviene la contrazione<br />

con un meccanismo di<br />

scivolamento.<br />

! La spesa energetica si ha invece per rompere questi legami, cioè per staccare l’actina d<strong>alla</strong><br />

miosina e rendere il sito disponibile per un nuovo attacco.<br />

* Una prova di questo aspetto è data d<strong>alla</strong> rigidità cadaverica,<br />

il cosiddetto rigor mortis: la rigidità<br />

che interviene subito dopo la morte si ha perché i muscoli che in quel momento erano contratti, con<br />

le teste di miosina inserite tra i filamenti di actina, rimangono tali perché non essendoci più processi<br />

vitali non c’è ATP disponibile per rompere questi legami.<br />

La successiva regressione di questa rigidità<br />

dopo 12, 36, 48 ore non è dovuta certamente a una<br />

tardiva<br />

liberazione di ATP bensì al fatto che le proteine si denaturano e quindi si distaccano.<br />

Il<br />

rigor mortis è la prova che la parte attiva della contrazione è la rottura dei legami tra actina<br />

e miosina e non la loro formazione !<br />

71


Lezione 10 - prof.ssa Serapide<br />

La contrazione<br />

nel muscolo scheletrico<br />

L’unità funzionale del muscolo è il sarcomero, cioè la parte di fibra compresa tra due linee Z<br />

consecutive.<br />

Il sarcomero è costituita da molte proteine, alcune delle quali contrattili (actina, miosina), proteine<br />

regolatorie (troponina e tropomiosina) e proteine strutturali (titina, distrofina).<br />

L’actina rappresenta il filamento sottile che si ancora alle linee Z e si porta verso il centro del<br />

sarcomero. La miosina occupa la parte centrale ma i filamenti non arrivano<br />

fino <strong>alla</strong> linea Z ma<br />

sono comunque ancorati <strong>alla</strong> linea Z d<strong>alla</strong> titina.<br />

La singola molecola di miosina ha la forma di una “mazza da golf” con la porzione rettilinea<br />

disposta al centro del sarcomero e le teste orientate verso le linee Z.<br />

Le proteine regolatrici sono la tropomiosina e la troponina.<br />

La tropomiosina copre normalmente i legami dell’actina per la miosina ed è tenuta in questa<br />

posizione d<strong>alla</strong> troponina. In condizioni di riposo, quando il muscolo è rilasciato, non c’è<br />

interazione tra l’actina e la miosina poiché in assenza di calcio la troponina inibisce la contrazione.<br />

L’ingresso di calcio nel sarcoplasma determina la contrazione in quanto rimuove questa inibizione:<br />

il Ca²<br />

e<br />

a posizione viene<br />

si<br />

la<br />

posizione perde affinità<br />

cio non ricomincia, si sposta di nuovo l’inibizione, la miosina si<br />

comero, perché le teste<br />

le<br />

i avvicinano le linee Z.<br />

n sarcomero contratto si riconosce da un sarcomero rilasciato proprio per la distanza delle<br />

+ si lega <strong>alla</strong> troponina e questo legame fa spostare la tropomiosina per cui scopre i siti di<br />

legame per la miosina.<br />

La testa della miosina è tenuta normalmente, in condizioni di muscolo rilasciato, perpendicolar<br />

all’actina, cioè forma con il resto della molecola un angolo di circa 90˚: quest<br />

mantenuta a spese di energia e sono attaccate <strong>alla</strong> miosina ADP e Pi.<br />

Quando la testa di miosina si trova in questa posizione e lega ADP e Pi ha un’alta affinità per<br />

l’actina ma non può legarsi per via dell’inibizione delle proteine regolatrici.<br />

Non appena il calcio si lega <strong>alla</strong> troponina, sposta la tropomiosina e scopre il legame, per cui<br />

la miosina interagisce con l’actina e subisce subito un cambiamento conformazionale, cioè<br />

inclina di circa 45-50 gradi. Questa è una posizione favorevole dal punto di vista energetico, è<br />

posizione preferenziale della molecola di miosina e quando assume questa<br />

sia per l’ADP che per il fosfato che si staccano l’uno dopo l’altro (non contemporaneamente).<br />

Una volta che si sono staccati la miosina acquista affinità per l’ATP e una volta che l’ATP si è<br />

legato <strong>alla</strong> miosina perde affinità per l’actina e quindi il legame si rompe.<br />

Quando il legame con l’actina si rompe la miosina acquista nuovamente la posizione verticale<br />

finché di nuovo il ciclo del cal<br />

ancora <strong>alla</strong> sovrastante actina, si piega e mentre si piega la miosina trascina il filamento<br />

leggero: questo meccanismo avviene in maniera speculare sui due lati del sar<br />

sono rivolte verso le linee Z.<br />

Quando la miosina acquista la posizione verticale si determina lo scivolamento del filamento sotti<br />

su quello pesante, quindi si accorcia il sarcomero e s<br />

U<br />

linee Z, o meglio ancora per l’ampiezza della banda H che si trova al centro della banda scura<br />

(banda A). Tutto questo avviene finché c’è calcio.<br />

Come visto una caratteristica della fibra muscolare scheletrica è la presenza nel sarcolemma,<br />

cioè<br />

nella membrana plasmatica, di invaginazioni a intervalli regolari.<br />

Queste invaginazioni formano i tubuli a T e sono disposti in corrispondenza delle linee Z.<br />

Il tubulo a T è la continuazione del sarcolemma e si approfonda nel sarcomero.<br />

Nei punti in cui la membrana si introflette vi sono delle zone particolari di sarcolemma che sono<br />

capaci di rilevare variazioni di potenziale.<br />

Il tubulo T contiene liquido extracellulare, quindi in condizioni di riposo è polarizzato come<br />

72


l’esterno della fibra, cioè positivo perché pieno di Na + . Dunque tra l’interno del tubulo e l’interno<br />

della fibra c’è una differenza di potenziale: alcuni p<br />

delimita il tubulo, sono capaci di rilevare queste variazioni di potenziale per cui sono chiamati<br />

sensori di voltaggio. Questi punti prendono contatto con la membrana delle cisterne del reticolo<br />

sarcoplasmatico dove viene accumulato il calcio.<br />

Come il tubulo contiene delle zone specifiche dal punto di vista funzionale, allo stesso<br />

cisterne contengono zone funzionalmente specializzate, in particolare si tratta di canali ionici per il<br />

Ca² + . Il tubulo a T viene a contatto con le cisterne del reticolo sarcoplasmatico in punti ben prec<br />

in particolare i sensori di voltaggio del tubulo sono collegati con i canali del Ca² + .<br />

Quando arriva il potenziale d’azione d<strong>alla</strong> fibra viene rilasciata a<br />

ai recettori nicotinici, viene depolarizzata la fibra muscolare, nasce il potenziale d’azione sulla<br />

membrana muscolare e la polarità viene invertita anche all’interno del tubulo, determinando una<br />

variazione di voltaggio che viene percepita dai sensori del t<br />

I sensori attivati a loro volta attivano i canali per il calcio, per cui ioni Ca² + escono dal reticolo<br />

sarcoplasmatico, diffondono nel citoplasma della fibra e vanno a interagire con il sarcomero, si<br />

legano <strong>alla</strong> proteina regolatrice e rimuovono l’inibizione.<br />

Questo meccanismo<br />

finisce il voltaggio torna ai valori di riposo, i sensori del tubulo non sono più attivati, i canal<br />

calcio vengono chiusi e si ha un richiamo di ioni Ca² + unti del sarcolemma, cioè della membrana che<br />

modo le<br />

isi,<br />

cetilcolina, l’acetilcolina si lega<br />

ubulo.<br />

continua finché dura il potenziale d’azione. Quando il potenziale d’azione<br />

i per il<br />

all’interno delle cisterne per cui la<br />

contrazione cessa.<br />

Come visto nella lezione precedente la contrazione è attiva, cioè comporta spesa di energia<br />

sottoforma di ATP. Quando la miosina si lega all’ATP fa avvenire la contrazione, perché legandosi<br />

all’ATP la miosina perde affinità per l’actina e i legami si rompono.<br />

Se non c’è ATP disponibile i legami tra actina e miosina persistono e questo fenomeno è <strong>alla</strong> base<br />

del cosiddetto rigor mortis, cioè della rigidità che si registra nel cadavere, a dimostrare che la spesa<br />

di<br />

energia che si ha durante la contrazione serve a rompere i legami e non per formarli.<br />

per rompere i legami tra actina e miosina è indispensabile l’ATP (cioè<br />

spesa di energia)<br />

per formare i legami è indispensabile il calcio<br />

Questo è quanto avviene a livello del muscolo scheletrico.<br />

La contrazione nel muscolo cardiaco<br />

Se consideriamo il muscolo cardiaco la situazione è un po’ diversa.<br />

Anche nella fibrocellula cardiaca sono presenti il reticolo sarcoplasmatico e la triade ma la<br />

situazione ionica è diversa perché i canali per il calcio si ritrovano sulla membrana della<br />

fibrocellula e non a livello del tubulo.<br />

Nella fibrocellula muscolare cardiaca le scorte di calcio sono molto più elevate che nel<br />

muscolo scheletrico e questo comporta un meccanismo leggermente diverso da quanto visto finora:<br />

l’arrivo del potenziale d’azione apre i canali per il calcio che si trovano lungo il sarcolemma<br />

per cui<br />

ioni Ca²<br />

trazione muscolare perché<br />

uttavia questo calcio extracellulare è importante perché appena entra nel citoplasma determina il<br />

del calcio depositato all’interno della fibra.<br />

+ entrano dal liquido extracellulare nel citoplasma della fibra.<br />

!! Questo calcio non sarebbe assolutamente sufficiente per la con<br />

rappresenta al massimo il 10% di tutto il calcio che serve <strong>alla</strong> contrazione del cuore.<br />

T<br />

rilascio del calcio che è segregato nel reticolo sarcoplasmatico.<br />

Il calcio esterno è necessario per indurre il rilascio<br />

Riepilogando arriva il potenziale si aprono i canali del sarcolemma il Ca² + entra e induce il<br />

rilascio del Ca² + che si trova depositato nel reticolo.<br />

73


Il calcio depositato nel reticolo sarcoplasmatico rappresenta il 90-95% del calcio che serve per<br />

la contrazione del cuore.<br />

DIFFERENZA<br />

Mentre nel muscolo scheletrico il rilascio del calcio dalle cisterne avviene direttamente<br />

all’arrivo del potenziale d’azione, nel muscolo cardiaco il rilascio del calcio<br />

dalle cisterne è<br />

secondario<br />

all’ingresso del calcio dal liquido extracellulare.<br />

Questo significa che se si riduce la quantità di Ca²<br />

ardiaca insufficiente.<br />

+ all’esterno si ha un minore rilascio di Ca² + a<br />

livello dei depositi e si può avere una contrazione c<br />

Anche nel muscolo cardiaco il calcio va a interagire con le proteine e determina la contrazione per<br />

scivolamento così come nel muscolo scheletrico.<br />

Tuttavia il calcio,<br />

una volta che è finito il potenziale d’azione, in parte rientra nelle cisterne con un<br />

meccanismo attivo che comporta spesa di ATP, ma in parte deve ritornare all’esterno nel liquido<br />

extracellulare, perché altrimenti nel ciclo successivo se non si ha calcio all’esterno non si può avere<br />

la contrazione.<br />

Per riportare all’esterno il Ca² ,<br />

o Ca² fuoriesce nel liquido extracellulare e uno ione positivo Na entra nella<br />

lare<br />

sodio però non può rimanere all’interno della cellula ed ecco che allora un’ulteriore spesa<br />

porta<br />

+ che è entrato bisogna operare uno scambio con lo ione Na +<br />

+ +<br />

cioè uno ione positiv<br />

fibrocellula. *Ricordiamo che il Na + è lo ione positivo più rappresentato nel liquido extracellu<br />

ed entra facilmente all’interno di una cellula perché spinto dal gradiente di concentrazione e dal<br />

gradiente elettrico.<br />

Il<br />

energetica è importante per far lavorare la pompa sodio-potassio ATP-dipendente, la quale ri<br />

fuori il Na + e lo scambia con il K + .<br />

* A livello cardiaco quindi la situazione<br />

è diversa e questa differenza è molto sfruttata d<strong>alla</strong><br />

farmacologia: dal momento che la contrazione muscolare<br />

dipende dal calcio è chiaro che se il cuore<br />

è insufficiente, se si vuole migliorare la forza di contrazione, bisogna mettere a disposizione<br />

dell’apparato contrattile più calcio.<br />

Le strategie che vengono utilizzate sono diverse:<br />

- Si fa entrare più calcio dall’esterno tenendo aperti per più tempo i canali<br />

del calcio: in questo<br />

modo entra più calcio nel citoplasma, più calcio viene liberato dalle cisterne e la contrazione è più<br />

forte perché una maggiore inibizione viene rimossa e si formano più legami tra actina e miosina.<br />

Questa è l’azione delle catecolammine (adrenalina, noradrenalina).<br />

Il sistema ortosimpatico in genere quindi potenzia l’attività cardiaca, aumenta la forza<br />

di<br />

contrazione oltre che la frequenza, la velocità di conduzione, l’eccitabilità.<br />

L’aumento della forza muscolare è dovuto proprio al fatto che le catecolammine mettono a<br />

disposizione dell’apparato contrattile più calcio lasciando i canali aperti per più tempo.<br />

- Un’altra strategia per aumentare la quantità citoplasmatica di calcio è impedire che esca, cioè<br />

bloccare l’esclusione del calcio, far in modo che<br />

una maggiore quantità di calcio resti all’interno<br />

della cellula per più tempo. Questa è l’azione di un farmaco, la digitale o digossina, un veleno<br />

metabolico tutto sommato che però si usa molto nei casi di insufficienza cardiaca, quando il cuore<br />

non sviluppa una giusta forza di contrazione.<br />

* Per veleno metabolico si intende una sostanza (tetradotossina) che impedisce la scissione di ATP,<br />

cioè la liberazione di energia, interferiscono con le ATPasi. I veleni metabolici sono indispensabili<br />

quando si vuole dimostrare che un processo avviene attivamente, cioè con scissione di ATP.<br />

La digitale non agisce come le catecolammine sull’ingresso, ma impedisce<br />

la fuoriuscita di calcio<br />

che così resta accumulato di più nel citoplasma. In questo caso la digitale interferisce con la pompa<br />

sodio-potassio, cioè fa in modo che il sodio resti all’interno della cellula per un tempo più lungo:<br />

se non è presente Na<br />

Se si rallenta l’esclusione di Na perché la pompa sodio-potassio è più lenta, si rallenta anche la<br />

+ all’esterno, non può essere scambiato con il Ca² + .<br />

+<br />

74


fuoriuscita di Ca² + e il calcio rimane per più tempo all’interno della fibrocellula muscolare.<br />

La digitale è quindi un veleno metabolico, ma somministrato a dosi adeguate va ad agire a livello<br />

cardiaco<br />

su questo meccanismo con il risultato di potenziare l’attività del cuore, aumentare la forza<br />

di contrazione e migliorare<br />

le prestazioni cardiache.<br />

DIFFERENZA<br />

La singola fibra muscolare cardiaca può graduare quindi la sua forza di contrazione sotto l’influenza<br />

del sistema endocrino o dal sistema nervoso vegetativo mentre nel muscolo scheletrico la<br />

contrazione è del tipo tutto o nulla, cioè non si può modulare.<br />

In definitiva la forza sviluppata dipende sempre dal numero di legami che si formano tra<br />

actina e miosina con la differenza che a livello cardiaco<br />

si può potenziare questa forza,<br />

aumentare il numero di legami variando la concentrazione di calcio disponibile invece a livello<br />

del muscolo scheletrico<br />

questo non è possibile.<br />

La<br />

forza di contrazione viene modulata a livello della fibra striata cardiaca ma non della fibra striata<br />

scheletrica.<br />

Specializzazione<br />

delle fibre muscolari<br />

La forza di contrazione dipende quindi dai legami che si formano tra actina e miosina ed esiste un<br />

diagramma che prende il nome di curva tensione-lunghezza.<br />

Questo diagramma dimostra come varia la forza sviluppata in un muscolo scheletrico (che non è<br />

quindi soggetto <strong>alla</strong> modulazione ormonale o del sistema ortosimpatico) a seconda della lunghezza.<br />

Questo diagramma è stato sviluppato attaccando al muscolo scheletrico pesi di varia entità che<br />

determinavano diverse entità di stiramento, di lunghezza del muscolo.<br />

E’ stato visto che per ogni muscolo esiste una lunghezza l0 che rappresenta la lunghezza<br />

ottimale <strong>alla</strong> quale si ha il massimo sviluppo di tensione.<br />

Ogni muscolo quindi può essere stirato e determinare gradi diversi di forza, di tensione: la tensione<br />

massima viene sviluppata a una sola lunghezza. Per ogni muscolo esiste una lunghezza ottimale <strong>alla</strong><br />

quale si ha il massimo grado di tensione sviluppata: lunghezze inferiori o superiori a quella ottimale<br />

determinano una tensione minore.<br />

* Ad es. lunghezze troppo superiori <strong>alla</strong> lunghezza ottimale determinano una situazione del<br />

sarcomero in cui le linee Z sono troppo distanziate per cui non c’è molta sovrapposizione tra actina<br />

e miosina, invece una lunghezza inferiore <strong>alla</strong> lunghezza ottimale corrisponde a un sarcomero<br />

troppo accorciato (addirittura i filamenti tendono a piegarsi) e anche in questo caso le probabilità di<br />

legame sono minori.<br />

· Questo diagramma ci dà anche un’altra informazione: il muscolo non è costituito solo da parte<br />

contrattile, ma è costituito anche da una componente inerziale<br />

(parte collagene, parte elastica)<br />

che deve essere messa in tensione prima di poter arrivare allo sviluppo di forza e una volta che<br />

viene stirata anche questa componente sviluppa una forza.<br />

Pertanto quando ci si trova <strong>alla</strong> lunghezza ottimale è stata messa in tensione tutta la parte contrattile<br />

e quindi la tensione che viene sviluppata è data d<strong>alla</strong> parte contrattile della fibra; a questa si<br />

aggiunge poi la tensione sviluppata d<strong>alla</strong> componente inerziale: si arriva così al massimo della<br />

forza.<br />

In questo caso la forza totale è data d<strong>alla</strong> forza attiva dovuta <strong>alla</strong> messa in tensione degli<br />

elementi contrattili e d<strong>alla</strong> forza<br />

passiva dovuta <strong>alla</strong> messa in tensione degli elementi inerziali.<br />

Per quanto riguarda la forza questo è uno dei tanti parametri che portano <strong>alla</strong> classificazione delle<br />

fibre muscolari scheletriche.<br />

75


Ci sono almeno 3 categorie di fibre muscolari:<br />

- fibre lente o rosse<br />

- fibre rapide o bianche<br />

- fibre intermedie<br />

· Le fibre rosse sono tali perché molto vascolarizzate, quindi hanno un apporto continuo di ossigeno,<br />

di glucosio per cui immagazzinano molto glucosio sottoforma di glicogeno e soprattutto il continuo<br />

apporto di ossigeno permette a queste fibre di avere un metabolismo aerobico.<br />

Il rifornimento di ossigeno rende queste fibre lente perché resistono per molto tempo <strong>alla</strong> fatica,<br />

cioè continuano a sviluppare forza per diverso tempo prima di affaticarsi, cioè prima di ridurre la<br />

forza che sviluppano.<br />

· Le fibre rapide al contrario sono fibre pallide, cioè sono fibre poco irrorate. In quanto tali sono<br />

fibre che ricevono poco glucosio, cioè possono immagazzinare poco glicogeno che esauriscono<br />

subito e avendo uno scarso rifornimento di ossigeno devono avere un metabolismo anaerobico che<br />

comporta liberazione di acido lattico. L’insieme di questi elementi non permette a queste fibre di<br />

resistere per molto tempo quindi dopo pochi minuti vanno già incontro <strong>alla</strong> fatica.<br />

E’ chiaro che le fibre che resistono di più sviluppano un grado di forza maggiore.<br />

Questa distinzione delle fibre è anche importante perché un muscolo è costituito da fibre diverse,<br />

quindi all’interno di uno stesso muscolo si possono avere fibre lente, fibre rapide, fibre intermedie.<br />

E’ importante però ricordare un aspetto: fibre dello stesso tipo ricevono lo stesso tipo di<br />

innervazione. Ad esempio la fibra , quando arriva a livello di un muscolo scheletrico, perde la<br />

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guaina mielinica e si ramifica e ogni ramuscolo va a formare una sinapsi, cioè una placca<br />

neuromuscolare, con una fibra muscolare: i rami di un’unica fibra si distribuiscono a fibre<br />

muscolari di uno stesso tipo.<br />

Una fibra innerva soltanto fibre lente, un’altra fibra innerva solo fibre rapide: il risultato è che<br />

un solo motoneurone non può innervare fibre diverse.<br />

L’insieme costituito da motoneurone , fibra e fibre muscolari innervate prende il nome di<br />

unità motoria.<br />

L’insieme delle fibre muscolari innervate dallo stesso motoneurone prende il nome di unità motoria.<br />

L’unità motoria è costituita da un motoneurone , da una fibra e da un numero variabile di fibre<br />

muscolari, tutte dello stesso tipo.<br />

Se le fibre muscolari sono poche l’unità motoria si dice piccola, se invece comprende centinaia di<br />

fibre muscolari l’unità motoria si dice grande. La differenza non consiste soltanto nella dimensione:<br />

le unità motorie piccole sono costituite in genere da fibre lente oppure ancora le unità motorie<br />

piccole sono <strong>alla</strong> base di movimenti specializzati.<br />

I muscoli delle dita ad esempio, che compiono dei movimenti estremamente specializzati, i muscoli<br />

della fonazione, presentano delle unità motorie piccole; questo significa che un motoneurone<br />

controlla poche fibre e quindi il controllo è molto più preciso, molto più selettivo.<br />

L’unità motoria è importante perché se un muscolo scheletrico deve aumentare la forza sviluppata,<br />

dal momento che non può aumentarla in base <strong>alla</strong> modulazione ormonale o nervosa come fa il<br />

cuore, il muscolo scheletrico o aumenta la lunghezza del sarcomero e quindi cerca di raggiungere la<br />

lunghezza ottimale oppure se ha già raggiunto la lunghezza ottimale, per aumentare ulteriormente la<br />

forza sviluppata deve reclutare più unità motorie, cioè deve far in modo che vengano attivati più<br />

motoneuroni che innervano lo stesso muscolo, più unità motorie, in modo che si possa sommare la<br />

forza sviluppata dalle varie fibre.<br />

Un altro modo per aumentare la forza è quello di far entrare il muscolo in contrazione tetanica:<br />

la singola scossa, la singola contrazione non determina un notevole sviluppo di forza, ma se si<br />

mantengono queste fibre in uno stato continuo di contrazione, in uno stato tetanico, la forza<br />

sviluppata aumenta.<br />

Riepilogando<br />

In un muscolo scheletrico la forza sviluppata è maggiore durante la contrazione tetanica che<br />

durante la singola scossa, è maggiore quando si raggiunge la lunghezza ottimale e può<br />

aumentare reclutando più unità motorie.<br />

Nel caso dei muscoli scheletrici non intervengono i meccanismi nervosi e umorali che invece<br />

regolano la contrazione cardiaca.<br />

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Altri tipi di contrazione<br />

Per quanto riguarda la contrazione del muscolo, oltre <strong>alla</strong> scossa singola e <strong>alla</strong> contrazione tetanica,<br />

bisogna ricordare che esistono altri tipi di contrazione, in particolare la contrazione isometrica e<br />

contrazione isotonica.<br />

- Si parla di contrazione isometrica quando il muscolo si contrae senza variare la sua lunghezza ed<br />

è il caso di un muscolo fissato ai due estremi.<br />

La contrazione isometrica è molto importante per esempio a livello cardiaco quando sia le valvole<br />

atrioventricolari che le valvole semilunari sono chiuse per cui il ventricolo pieno di sangue (liquido<br />

incomprimibile) si deve contrarre senza poter modificare la sua lunghezza, proprio perché è<br />

costituita da fibre bloccate ai due capi dalle valvole chiuse e non può comprimere il liquido che<br />

contiene nel suo interno.<br />

Questo tipo di contrazione prende quindi il nome di contrazione isometrica: il risultato è lo sviluppo<br />

di forza, di tensione che a livello cardiaco si traduce in un aumento di pressione intraventricolare.<br />

Questa forza infatti va ad agire su una superficie, il sangue ( p = F/S) per cui la contrazione<br />

isometrica nel ventricolo determina un aumento pressorio indispensabile per inviare il sangue<br />

a livello arterioso.<br />

- Quando invece uno dei due capi della fibra è libero, come accade ad esempio quando si aprono le<br />

valvole semilunari, questa fibra può ridurre la sua lunghezza, si può accorciare.<br />

Questo tipo di contrazione prende il nome di contrazione isotonica perché in questo caso varia la<br />

lunghezza (il muscolo si accorcia) ma la forza sviluppata non varia più.<br />

La contrazione isotonica è importante dappertutto ma il riscontro pratico si ha a livello cardiaco:<br />

a livello del ventricolo la contrazione isometrica serve per far raggiungere al ventricolo una<br />

pressione superiore a quella dell’arteria, in modo da far passare il sangue per gradiente di<br />

pressione.<br />

Il ventricolo sinistro deve fare passare il sangue nell’aorta dove la pressione è di 80 mmHg e quindi<br />

per far spostare il sangue dal ventricolo all’aorta è necessario che il ventricolo raggiunga una<br />

pressione di almeno 81 mmHg, cioè di almeno 1 mmHg superiore a quella dell’aorta!<br />

Questo obiettivo viene raggiunto con la contrazione isometrica, cioè la contrazione si manifesta<br />

come aumento di pressione: una volta che la pressione ha superato il valore da raggiungere non<br />

aumenta più quindi la contrazione diventa isotonica, in quanto la tensione, la forza si mantiene<br />

costante e il parametro che varia è la lunghezza, quindi la fibra si accorcia.<br />

La forza muscolare aumenta nella contrazione isometrica, la contrazione isotonica è invece<br />

una contrazione con uno sviluppo costante di tensione.<br />

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PROGRAMMA DEL CORSO<br />

Biofisica<br />

- Trasporti di acqua e soluti attraverso le membrane biologiche. I compartimenti idrici<br />

- Elettro<strong>fisiologia</strong> generale: le basi ioniche dei potenziali di membrana<br />

- L’eccitabilità cellulare: dal potenziale di riposo al potenziale d’azione<br />

- Le interazioni tra le cellule eccitabili<br />

- Cellule recettoriali e trasduzione di varie forme di energie<br />

- Biofisica della contrazione muscolare<br />

- Modalità della contrazione muscolare<br />

- Elettromiografìa<br />

- Biofisica della dinamica dei fluidi<br />

I capitoli da studiare (biofisica) dal baldisserra sono: dal 1 al 11. 20 e 21. 44. 51. 57<br />

Dario Cav<strong>alla</strong>ro e Salvo Bellinvia

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