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XI Congresso della Società Italiana di Psicopatologia Psichiatria ...

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dossare” sul loro viso e che era in grado <strong>di</strong> visualizzare velocemente<br />

le rotte e tutte le informazioni correlate ai decolli e<br />

agli atterraggi. L’oggetto <strong>della</strong> percezione visiva ottenuta<br />

grazie a questo congegno venne chiamata “realtà aumentata”<br />

perché incrementa lo spazio fisico con immagini prese dalla<br />

spazio virtuale e con il mondo delle informazioni.<br />

Da allora l’espressione ha conosciuto crescente fortuna ed è<br />

entrata nel lessico scientifico corrente, come <strong>di</strong>mostrano le<br />

risultanze del voluminoso rapporto conclusivo del Committee<br />

on virtual reality, Research and development, pubblicato<br />

nel 1995 dal National research council degli Stati Uniti 4 .<br />

Benché infatti nel titolo sia ancora presente la <strong>di</strong>zione “realtà<br />

virtuale”, nel corso <strong>della</strong> trattazione essa viene poi sistematicamente<br />

sostituita con l’enunciazione alternativa “sistema <strong>di</strong><br />

ambiente virtuale”, che, insieme a “sistema teleoperatore” e<br />

“sistema <strong>di</strong> realtà aumentata”, appunto, costituisce il “sistema<br />

<strong>di</strong> ambienti sintetici”. Il pregio <strong>di</strong> questo mutamento lessicale<br />

sta nel fatto che esso consente <strong>di</strong> uscire dalle secche <strong>di</strong><br />

una contrapposizione, fallace e fonte <strong>di</strong> notevoli e frequenti<br />

frainten<strong>di</strong>menti, tra la realtà fisica o materiale e quella virtuale,<br />

per puntare invece l’attenzione su quello che è l’autentico<br />

nocciolo del mutamento <strong>di</strong> scenario veicolato dallo<br />

sviluppo delle tecnologie dell’informazione e <strong>della</strong> comunicazione:<br />

vale a <strong>di</strong>re il fatto che queste ultime ci consentono<br />

<strong>di</strong> riprogettare specifiche componenti del mondo <strong>della</strong> nostra<br />

esperienza quoti<strong>di</strong>ana in tutti i suoi multiformi aspetti,<br />

rafforzandone determinate proprietà, in modo che esse riescano<br />

a rispondere meglio alle nostre esigenze ed aspettative.<br />

Lo scopo che si intende perseguire in questo caso non è<br />

dunque quello <strong>di</strong> “riprodurre visivamente” e rappresentarsi il<br />

mondo, o <strong>di</strong> crearne uno virtuale sulla base <strong>di</strong> illusioni visive,<br />

bensì quello <strong>di</strong> agire sul mondo reale, esaltando al massimo<br />

determinate caratteristiche utili degli ambienti.<br />

Oggi l’espressione “realtà virtuale” oscilla dunque tra la “sindrome<br />

<strong>di</strong> Dorian Gray”, che ne fa la manifestazione <strong>di</strong> un gioco<br />

popolare che ci è sfuggito <strong>di</strong> mano e che è insieme il prodotto<br />

e il produttore <strong>di</strong> un malessere collettivo, e l’idea <strong>di</strong> un<br />

possibile potenziamento e miglioramento <strong>della</strong> nostra realtà<br />

quoti<strong>di</strong>ana, grazie alle opportunità offerte dallo sviluppo delle<br />

tecnologie dell’informazione e <strong>della</strong> comunicazione.<br />

L’intervento si propone <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re il senso <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>cotomia<br />

e <strong>di</strong> analizzarne le conseguenze e i possibili sbocchi.<br />

Bibliografia<br />

1 Baratta G. Fra ine<strong>di</strong>ti e rari. Verso un pensatore collettivo: Brecht<br />

a colloquio con Gramsci. Allegoria 1992;9:153-4.<br />

2 Maciocco G, Tagliagambe S. La città possibile. Bari: Dedalo<br />

1997, p. 5-7.<br />

3 Calvino I. Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio.<br />

Milano: Mondadori 2004, p. 66-7.<br />

4 Durlach NI, Navor AS, a cura <strong>di</strong>. Virtual reality, Scientific and<br />

technological challenges. Washington, DC: National Academy<br />

Press 1995.<br />

Due categorie inseparabili del sapere<br />

psichiatrico: “ideologia” e “paticità”<br />

A. Masullo<br />

Università <strong>di</strong> Napoli<br />

Il circuito desiderio-rappresentazione è il centro <strong>della</strong> comprensione<br />

moderna <strong>della</strong> soggettività. Schopenhauer, Nietz-<br />

101<br />

SIMPOSI TEMATICI<br />

sche, Freud introducono la tesi che il desiderio precede la<br />

rappresentazione, e la con<strong>di</strong>ziona al punto che nessuna conoscenza,<br />

per quanto raffinata, può depurare del tutto la seconda<br />

dal primo. Marx al desiderio sostituisce l’interesse<br />

del gruppo sociale e alla rappresentazione l’“ideologia”.<br />

I saperi psicologici e psichiatrici, non meno <strong>di</strong> quelli sociologici,<br />

hanno a che fare con l’ideologico da due lati: dal lato<br />

<strong>di</strong> ciò <strong>di</strong> cui si occupano, e dal lato del senso del proprio<br />

stesso occuparsene. In relazione a ciò, è evidente che non<br />

solo i saperi ma la stessa riflessione su <strong>di</strong> essi non è pura<br />

teoresi, bensì prassi.<br />

Se però la “soggettività” s’identificasse sic et simpliciter<br />

con l’“ideologia”, cioè con la rappresentazione e la sua contaminazione<br />

ideologica, a cui in tal caso finirebbe per ridursi<br />

il “vissuto”, la psicologia e più pericolosamente la psichiatria<br />

perderebbero ogni possibilità <strong>di</strong> connessione critica<br />

con l’originaria “fenomenalità” dell’esistere, dal momento<br />

che la stessa naturalità <strong>della</strong> vita, o meglio le supposte note<br />

pre-culturali e pre-sociali, in quanto rappresentazioni dei<br />

saperi biologici si svelano nient’altro che effetti culturali e<br />

sociali.<br />

In siffatto quadro epistemico, il desiderio resta prigioniero<br />

<strong>della</strong> rappresentazione e, in ultima analisi, <strong>della</strong> rappresentazione<br />

del sé, il quale, per il carattere ideologico <strong>di</strong> essa, è<br />

incapace <strong>di</strong> “riconoscersi” e desiderare secondo il desiderio<br />

che è, insomma <strong>di</strong> desiderarsi, <strong>di</strong> desiderare <strong>di</strong> desiderare. Il<br />

desiderio senza il sé, nella cui assenza non c’è desiderio ma<br />

semplice e cieca brama, sopravvive, non vive.<br />

Riconosciuta l’inevitabile curvatura “ideologica” all’origine<br />

<strong>della</strong> rappresentazione, si presenta la necessità, affinché psicologia<br />

e psichiatria siano possibili, <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> un <strong>di</strong>verso<br />

spazio epistemico, che permetta <strong>di</strong> tenere la “soggettività”<br />

impregiu<strong>di</strong>cata, ovvero non ineluttabilmente subalterna<br />

allo scientismo ideologico. Occorre insomma, al <strong>di</strong> là<br />

<strong>della</strong> categoria dell’“ideologia”, “pensare” un altro concetto<br />

generalissimo, un’altra categoria, con cui rappresentarsi la<br />

“soggettività” non ideologicamente, anzi secondo il principio<br />

del criticismo, logico <strong>di</strong> Kant e fenomenologico <strong>di</strong> Husserl.<br />

Dalla medesima area dei saperi <strong>della</strong> soggettività, o in senso<br />

lato psicologici, dei sec. <strong>XI</strong>X e XX, da cui è emersa la categoria<br />

dell’“ideologia”, quasi contemporaneamente emerge<br />

anche la categoria <strong>della</strong> “paticità”, il cui nome è molto meno<br />

con<strong>di</strong>viso ma il cui significato è assai variamente presente.<br />

Dilthey, Husserl, Stein, Heidegger, V. von Weizsäcker<br />

sono coloro che preparano le con<strong>di</strong>zioni culturali <strong>della</strong> sua<br />

messa a fuoco. Il sé è autocritica problematicità: non è un<br />

ente, confitto come tale a una sia pur labile identità, ma è<br />

piuttosto un “buco”, attraverso cui s’intravede per umbras il<br />

profondo ribollire del magma emozionale e perfino, talvolta,<br />

ne schizzano fuori subito spente scintille. E<strong>di</strong>th Stein lo<br />

<strong>di</strong>ce molto bene nel suo saggio sull’Empatia, quando al rappresentare,<br />

proprio degli atti teoretici, oppone il sentire. Il<br />

soggetto “nel sentire non “vive” solo oggetti, ma vive anche<br />

se stesso […] Questo io che si vive non è l’io puro perché<br />

l’io puro non ha profon<strong>di</strong>tà”. Non è forse qui significato il<br />

sé, i cui “livelli <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong>versa” “si rivelano appunto<br />

nel momento in cui i sentimenti ne sgorgano”? Rimanga all’io<br />

il regno delle rappresentazioni, <strong>di</strong> cui esso stesso, rappresentazione<br />

<strong>di</strong> “soggetto”, effetto <strong>della</strong> sociogenesi culturale,<br />

è sud<strong>di</strong>to non meno che re. Il sé, assoluto non-oggetto,<br />

puro sentire, è invece il senso vissuto <strong>di</strong> “buco” del quoti<strong>di</strong>ano<br />

sentire, non solo, ma soprattutto <strong>di</strong> “soglia” da cui

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