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pagina 10.pdf - Genetica e Immunologia Pediatrica

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Rivista Italiana di <strong>Genetica</strong> e <strong>Immunologia</strong> <strong>Pediatrica</strong> - Italian Journal of Genetic and Pediatric Immunology<br />

Anno I numero 3 - ottobre 2009 | direttore scientifico: Carmelo Salpietro - direttore responsabile: Giuseppe Micali<br />

Febbre mediterranea familiare: peculiarità genetiche ed immunologiche<br />

Familial Mediterranean fever: genetic and immunological aspects<br />

Romina Gallizzi, Giovanna Elisa Calabrò, Maria Amorini, Silvana Briuglia, Carmelo Salpietro<br />

Dipartimento di Scienze Pediatriche, UOC <strong>Genetica</strong> e <strong>Immunologia</strong> <strong>Pediatrica</strong>, Università di Messina<br />

Abstract<br />

Familial Mediterranean Fever (FMF, OMIM *249100) is an autosomal recessive<br />

disorder characterized by recurrent attacks of fever and inflammation in the<br />

peritoneum, synovium, or pleura, accompanied by pain. Destructive<br />

oligoarthritis and potentially life-threatening secondary amyloidosis are the<br />

major long-term complications associated with the disease. The FMF presents<br />

in 90% of the cases before the age of 20 years. It is encountered more<br />

frequently in the people from the Mediterranean region (non-Ashkenazi Jews,<br />

Armenians, Turks and Arabs), which are considered as four classically<br />

affected populations. It is inherited by a gene (MEFV) located on the short arm<br />

of chromosome (16p13.3). The gene encodes a protein of 781 aminoacids and<br />

was named pyrin /marinostrin. To date, more than 40 mutations have been<br />

identified in the MEFV gene, most of which are substitutions, one is<br />

duplication, two are insertions and two are deletions. Of these mutations, five<br />

account for more than 70% of FMF cases – V726A, M694V, M694I, M680I and<br />

E148Q and have different frequencies in classically affected populations.<br />

Riassunto<br />

La Febbre Mediterranea Familiare (FMF) (OMIM *249100), chiamata anche<br />

polisierosite ricorrente benigna o polisierosite familiare parossistica, è una<br />

malattia febbrile ereditaria, a carattere autosomico-recessivo che colpisce<br />

prevalentemente le popolazioni del bacino del Mediterraneo: ebrei non<br />

ashkenazi, turchi, armeni, arabi, greci (Fig.1). Tuttavia, le innumerevoli<br />

migrazioni compiute da tali popoli nel corso dei secoli, hanno diffuso il gene<br />

responsabile di questa malattia anche in Medio Oriente, in America ed in<br />

Europa, quindi in Italia [1].<br />

Fig.1 - Area del Mediterraneo maggiormente colpita dalla FMF<br />

Il gene malattia (MEFV) è stato identificato nell’estate del 1997 [2, 3]. Esso è<br />

localizzato sul cromosoma 16 (16p13.3) e codifica per una proteina di 781<br />

aminoacidi, chiamata pirina/marenostrina che, espressa principalmente dai<br />

neutrofili, sembra giocare un ruolo nel controllo dell’infiammazione [4, 5]. Dal<br />

1997 più di 40 differenti mutazioni sono state identificate [6].<br />

La Febbre Mediterranea Familiare è caratterizzata da episodi febbrili<br />

ricorrenti, che insorgono acutamente, di breve durata, associati ad uno dei<br />

seguenti sintomi: dolori addominali spesso con versamento peritoneale,<br />

dolore toracico da pleurite, interessamento articolare, manifestazioni cutanee<br />

tipo eresipela, mialgie, pericardite, orchite acuta, afte orali, splenomegalia,<br />

meningite asettica [7]. L’amiloidosi, con conseguente insufficienza renale<br />

cronica, può essere una grave complicanza a lungo termine [8].<br />

I primi sintomi di malattia compaiono nella prima decade di vita nel 50% circa<br />

dei casi e solo il 5% dei pazienti sviluppa la malattia dopo il trentesimo anno di<br />

età. L'incidenza nel primo anno di vita è difficile da accertare, anche se non vi<br />

è alcun dubbio che i sintomi possono già iniziare a sole due settimane dalla<br />

nascita [9].<br />

Introduzione<br />

La FMF fa parte di un gruppo eterogeneo di malattie definite Malattie<br />

Autoinfiammatorie Sistemiche (MAIS). Queste sono un gruppo di affezioni di recente<br />

inquadramento caratterizzate da episodi infiammatori recidivanti, apparentemente<br />

primitivi, a carico di vari organi od apparati, in particolare articolazioni e cute [10]. La<br />

definizione di autoinfiammatorie fa riferimento allo sviluppo apparentemente<br />

spontaneo di infiammazione associata ad uno sregolamento del sistema<br />

dell’immunità innata, senza coinvolgimento dei linfociti T specifici o di (auto) anticorpi<br />

specifici. Alcune di queste malattie costituiscono un subset delle MAIS chiamate<br />

“sindromi delle febbri periodiche ereditarie” che includono la febbre mediterranea<br />

familiare (FMF), la sindrome da IperIgD (HIDS), ma anche la Muckle-Wells<br />

syndrome (MWS), l’orticaria da freddo familiare (FCU) e la tumor necrosis factor<br />

receptor-1-associated periodic syndrome (TRAPS). Alcuni autori hanno proposto di<br />

includere in questa categoria anche le meno caratterizzate sindromi febbrili quali la<br />

periodic fever aphthous stomatitis and adenitis (FPAPA) e la chronic infantile<br />

neurological cutaneous and articular syndrome (CINCA), nota anche come neonatal<br />

onset multisystem inflammatory disease (NOMID) [11].<br />

Sebbene tutte questi sindromi abbiano caratteristiche genetiche distinte e peculiari,<br />

esse hanno molte espressioni cliniche comuni e spesso difficilmente distinguibili. La<br />

maggior parte delle crisi recidivanti tipiche di queste malattie sono caratterizzate da<br />

febbre, artriti, sierositi ed interessamento cutaneo e, dal punto di vista bioumorale,<br />

da una notevole reazione della fase acuta ed una marcata neutrofilia nel sito<br />

infiammatorio. Una possibile grave evoluzione per i soggetti affetti è l’amiloidosi, con<br />

conseguente grave nefropatia [12].<br />

Queste affezioni vanno distinte sia dalle comuni infezioni delle prime vie<br />

respiratorie sia da malattie infiammatorie croniche, quali la malattia di Crohn o la<br />

malattia di Behçet, che possono esordire con la sola componente febbrile.<br />

Nell’inquadramento di tali condizioni patologiche l’analisi genetica rappresenta un<br />

importante strumento di indagine diagnostica, in quanto, le principali forme di MAIS<br />

sono dovute a mutazioni di geni malattia già identificati (Tab. I).<br />

Tab. I - Geni e prodotti genici identificati in sindromi autoinfiammtorie su base<br />

monogenica<br />

La FMF si presenta sottoforma di attacchi ricorrenti. L'attacco tipico è caratterizzato<br />

da febbre e sierosite della durata variabile di 1-4 giorni e si risolve spontaneamente.<br />

La frequenza degli attacchi può variare da uno a settimana fino a uno ogni 3-4 mesi<br />

o più. La febbre è presente nella quasi totalità degli attacchi (97%). La temperatura<br />

corporea può raggiungere valori di 38-40°C, anche se gli attacchi di media gravità<br />

sono caratterizzati da una temperatura inferiore. Nel 20-30% dei pazienti il rialzo<br />

febbrile è preceduto da brividi e la febbre generalmente dura dalle 12 alle 72 ore<br />

(Fig.2) [13]. Anche se raramente, può costituire l'unica manifestazione di FMF<br />

(soprattutto nei bambini possono aversi brevi picchi di temperatura fino a 40°C<br />

senza altri sintomi e segni, della durata di poche ore).<br />

Fig.2 - Andamento temporale della febbre nella FMF (da R. Scolozzi et al.<br />

Reumatismo, 2004; 56 (3):147-155)


In letteratura vengono descritti dei fattori scatenanti la malattia, molte dei quali<br />

ancora sconosciuti. Quelli al momento noti sono: lo stress fisico ed emotivo,<br />

l'esposizione al freddo, i pasti ricchi di grassi, le infezioni, l’uso di farmaci come il<br />

cisplatino [14] e il ciclo mestruale [15].<br />

Il vero e proprio attacco della malattia è comunque caratterizzato, oltre che dal<br />

rialzo febbrile, anche da sintomi specifici ed aspecifici. (Tab. II).<br />

Tab. II - Manifestazioni cliniche della FMF<br />

Tradizionalmente gli intervalli tra un attacco e l’altro vengono definiti “liberi”: i<br />

pazienti godono di buona salute e recuperano pienamente tutte le loro attività.<br />

Recentemente, però, sono state descritte delle manifestazioni cliniche cosiddette<br />

protratte o croniche che persistono anche durante tali intervalli [16]. Queste possono<br />

essere la conseguenza di sierositi ripetute (peritonite sclerosante, pericardite<br />

costrittiva) oppure vere e proprie manifestazioni infiammatorie croniche (artrite<br />

cronica distruttiva, fibromialgia, sterilità maschile e femminile). Alcune, infine, non<br />

sono legate al meccanismo patogenetico della FMF, ma sono effetti collaterali della<br />

terapia (diarrea cronica, alopecia, sterilità e teratogenicità da colchicina) [17]. La<br />

complicanza a lungo termine più temibile è l’ amiloidosi [18]. Essa colpisce<br />

prevalentemente i reni, manifestandosi con una proteinuria persistente o<br />

ingravescente fino alla sindrome nefrosica e all’insufficienza renale cronica, ma può<br />

interessare anche altri organi come l’intestino (diarrea e malassorbimento), la milza<br />

e il fegato (epatosplenomegalia), il cuore e le ghiandole endocrine. E’ di tipo AA,<br />

come tutte le forme reattive ad infezioni e malattie infiammatorie croniche.<br />

In rapporto alla sintomatologia clinica con cui si presenta possiamo distinguere tre<br />

fenotipi di FMF:<br />

1. FENOTIPO I: Forma tipica caratterizzata dalla triade: febbre, dolore addominale,<br />

artrite monoarticolare.<br />

2. FENOTIPO II: Caratterizzata da amiloidosi e artralgie senza attacchi di febbre,<br />

sierositi, artriti.<br />

3. FENOTIPO III: Asintomatico.<br />

Nonostante l’identificazione del gene malattia e la scoperta di oltre 40 mutazioni a<br />

suo carico, ancora oggi, non si dispone di un test accurato e sicuro per la diagnosi di<br />

FMF, che rimane esclusivamente clinica.<br />

La diagnosi clinica è facile in presenza di attacchi acuti tipici (Tab.III) che si<br />

verificano in soggetti appartenenti ai ceppi etnici notoriamente colpiti e con storia<br />

familiare positiva per FMF, e dopo avere escluso contestualmente patologie<br />

infiammatorie, infettive e neoplastiche e le altre forme di febbri periodiche.<br />

Tab. III - Caratteristiche generali degli attacchi febbrili nella FMF<br />

Nel corso degli anni diversi criteri clinici sono stati proposti per la diagnosi di<br />

malattia. Attualmente sono universalmente accettati i criteri di Tel-Hashomer [19].<br />

La diagnosi è definitiva in presenza di 2 criteri maggiori o 1 criterio maggiore e 2<br />

criteri minori; probabile in presenza di 1 criterio maggiore e 1 criterio minore.<br />

La FMF è caratterizzata da una eterogenicità clinica verosimilmente legata ad<br />

altrettanta eterogenicità genetica. Per tale motivo, nel corso degli anni, sono stati<br />

formulati diversi score diagnostici per valutare il grado di severità della malattia. Tra i<br />

più recenti vi è il Pras’ Score [20] in cui a ciascun segno clinico (età d’insorgenza,<br />

numero degli attacchi in un mese, artrite, eritema erisipela-like, amiloidosi, dosaggio<br />

colchicina) viene attribuito un valore numerico e dal totale si ottiene il grado di<br />

severità della malattia: grado lieve tra 3 e 5, intermedio tra 6 e 8, severo > 9.<br />

Un altro recente score diagnostico (Fig.3) [21] è stato formulato per valutare nei<br />

pazienti con febbre periodica il “rischio”, basso o alto, di essere affetti da FMF e<br />

quindi l’eventuale indicazione ad effettuare l’indagine genetica.<br />

Fig. 3 - Score diagnostico per FMF (www.printo.it)<br />

Secondo gli autori un punteggio > di 1.32 si associa ad un alto rischio di malattia e<br />

quindi ad una maggiore probabilità di risultare positivi all’indagine genetica.<br />

Ad oggi, non esistono test di laboratorio ed esami strumentali specifici per la<br />

diagnosi di FMF al di là del test genetico. I comuni esami ematochimici in pazienti<br />

con attacco acuto evidenziano un aumento generalizzato degli indici di flogosi (VES,<br />

Proteina C rettiva, SAA, fibrinogeno, ferritina) e leucocitosi neutrofila che vanno<br />

incontro a completa normalizzazione con la risoluzione della sintomatologia. I livelli<br />

plasmatici di Immunoglobuline possono essere al di sopra del limite superiore del<br />

range di normalità durante gli attacchi. Per completezza diagnostica i pazienti con<br />

FMF, durante gli attacchi o nel corso del follow-up, possono essere sottoposti ai<br />

seguenti esami strumentali:<br />

• RX addome in bianco (livelli idroaerei intestinali durante gli attacchi)<br />

• Ecografia dell'addome (quota di versamento libero endoaddominale durante gli<br />

attacchi)<br />

• RX torace (quota variabile di versamento pleurico, per lo più monolaterale;<br />

slargamento dell'ombra cardiaca)<br />

• RX articolazioni (quadro di artrite acuta o cronica)<br />

• Ecografia renale (reni di dimensioni globalmente aumentate per infiltrazione<br />

amiloidotica)<br />

• Elettrocardiogramma (alterazioni aspecifiche ed incostanti, segni di pericardite,<br />

alterazioni della conduzione in caso di amiloidosi cardiaca).<br />

Lo studio genetico delle mutazioni del MEFV non ha ancora raggiunto l'accuratezza<br />

diagnostica auspicabile. L'analisi delle mutazioni genetiche, pertanto, non si<br />

sostituisce alla diagnosi clinica, ma ne costituisce solo un semplice supporto. La<br />

diagnosi genetica di FMF, essendo essa autosomica recessiva, è considerata<br />

positiva quando sono presenti due mutazioni nel locus del gene MEFV, una per<br />

ciascun allele, non necessariamente identiche. Gli individui con la stessa mutazione<br />

su entrambi gli alleli si definiscono omozigoti per tale mutazione; quelli con due<br />

mutazioni differenti, eterozigoti compositi. In presenza di una mutazione o in<br />

assenza di qualsiasi mutazione, il test è considerato non contributivo per la diagnosi<br />

genetica, ma ciò non inficia la diagnosi clinica, in quanto non si può escludere la<br />

presenza di mutazioni ancora sconosciute [22]. I pazienti con sintomi suggestivi di<br />

FMF, ma senza mutazioni o con una sola mutazione, necessitano per la diagnosi di<br />

essere sottoposti a test diagnostico-terapeutico con colchicina, per un periodo di<br />

almeno sei mesi; in caso di risposta positiva al trial con colchicina, ossia remissione<br />

degli attacchi durante il trattamento e ripresa dei sintomi alla sua sospensione, la<br />

diagnosi di FMF verrà giudicata possibile.<br />

L’unica terapia efficace, attualmente disponibile, nei pazienti con FMF è, appunto,<br />

la colchicina, alcaloide neutro, liposolubile che può rivelarsi estremamente tossico in<br />

caso di sovradosaggio (livelli plasmatici > 3 ng/mL). E’ disponibile in commercio in<br />

granuli per os o in fiale per uso endovenoso (queste ultime non sono distribuite in<br />

Italia).<br />

Il trattamento viene generalmente iniziato con dosi di 1 mg/die per os tenendo<br />

conto dell’età e del peso corporeo, tale dosaggio può essere aumentato fino a 1.5-3<br />

mg/die per os fino ad ottenere una risposta significativa [23]. Dosi più elevate di 1<br />

mg/die devono essere frazionate in più somministrazioni giornaliere. In età pediatrica<br />

vengono consigliati i seguenti dosaggi: al di sotto dei 5 anni ≤ 0.5 mg/die; tra i 6 ed i<br />

10: 1 mg/die; per età superiori ai 10: 1.5 mg/die. La dose può, via via, essere<br />

aumentata di 0.25 fino ad un massimo di 2 mg [24]. Oltre ad influenzare gli attacchi,<br />

la colchicina si è dimostrata in grado anche di prevenire la deposizione della<br />

sostanza amiloide. Le prime somministrazioni possono essere gravate da effetti<br />

collaterali come sintomi dispeptici o diarrea che, in genere, migliorano nel tempo o<br />

con una dieta priva di lattosio. In generale, l’incidenza degli effetti collaterali aumenta<br />

nei pazienti anziani e in quelli con insufficienza epatica o renale. Non esistono al<br />

momento alternative terapeutiche di pari efficacia; preliminari ancora i risultati<br />

dell’impiego di farmaci biologici come l’interferone e l’anti-TNF [25].<br />

Eziopatogenesi e peculiarità immunologiche della FMF


Nel corso degli anni sono state avanzate diverse ipotesi sul meccanismo<br />

patogenetico della FMF. Matzner et al. proposero per primi la teoria dell’inibitore del<br />

C5a (C5ai). Essi ipotizzarono che ci fosse un deficit di un fattore di regolazione<br />

dell’infiammazione, ad azione inibitoria, nella fattispecie un deficit del C5ai. Secondo<br />

tale ipotesi, i pazienti con FMF presenterebbero un’incontrollata attività<br />

proinfiammatoria del C5a [26]. Altri autori hanno ipotizzato che alla base della FMF<br />

vi potesse essere un’alterazione del metabolismo delle catecolamine, data la<br />

capacità del metaraminolo, derivato catecolaminico, di provocare un attacco acuto<br />

simil-FMF nel 50% dei soggetti affetti [27]. Altri ancora, per la presenza di<br />

manifestazioni cliniche in comune con il lupus eritematoso sistemico (artriti, febbre e<br />

sierositi) hanno avanzato la possibilità di un’eziopatogenesi autoimmune. La<br />

malattia, tuttavia, non risponde agli steroidi, nè agli immunosoppressori e non è<br />

associata ad autoanticorpi.<br />

La recente identificazione del MEFV e, in parte, della funzione del suo prodotto, la<br />

pirina/marenostrina, ha fornito un contributo notevole nella comprensione della<br />

patogenesi della FMF. La pirina/marenostrina è una proteina basica, di 781<br />

aminoacidi organizzati in più domini con differenti funzioni. La funzione globale<br />

sembra essere quella di regolatore (“down-regulator”) dell’infiammazione [28]. Tale<br />

proteina è espressa nei granulociti neutrofili maturi durante la fase di attivazione ed<br />

ha il ruolo di controllare l'infiammazione fungendo da regolatore negativo<br />

dell'infiammazione. L' ipotesi più moderna è che la pirina possa funzionare da fattore<br />

trascrizionale per l'inattivatore di un fattore chemiotattico dei neutrofili, (forse proprio<br />

il C5a), fisiologicamente presente nei fluidi che bagnano le sierose. In condizioni<br />

fisiologiche, stimoli patogeni subclinici provocano sì il rilascio di tale fattore<br />

chemiotattico dei neutrofili, ma esso viene prontamente antagonizzato dal suo<br />

inattivatore per cui il processo infiammatorio non si innesca per stimoli minimi. Nei<br />

pazienti con FMF le mutazioni della pirina causerebbero un'assenza completa o una<br />

carenza di tale inattivatore prolungando di conseguenza l'emivita e l'attività del<br />

fattore chemiotattico dei neutrofili così da consentire un sufficiente afflusso di<br />

neutrofili nelle sierose e il conseguente rilascio dei loro prodotti di degranulazione fra<br />

cui un enzima che amplifica la produzione di C5a. Il risultato è una spirale di<br />

attivazione che conduce ad un'esplosione infiammatoria, l'attacco di FMF, per<br />

l'appunto, anche in presenza di stimoli minimi o inapparenti (Fig.4).<br />

Fig. 4 - Probabile meccanismo di sviluppo di attacchi infiammatori nella FMF<br />

Il prodotto del gene MEFV, la Pirina o marenostrina, attiva la biosintesi<br />

dell'inattivatore del fattore chemiotattico (C5ai)<br />

La mancata produzione dell'inattivatore causa attacchi infiammatori tipici della FMF<br />

E' ipotizzabile, tuttavia, che la pirina svolga numerose altre funzioni, ancora<br />

sconosciute, essendo dotata di due domini (uno ad alfa-elica e un B-box zinc-finger)<br />

che, notoriamente, consentono l'interazione fra macromolecole (Fig.5).<br />

Fig. 5 - Struttura della Pirina (da Jae J. Chae et al. British Journal of<br />

Haematology, 146, 467–478, 2009)<br />

Ma se vogliamo comprendere meglio la patogenesi della FMF dobbiamo partire dal<br />

suo sintomo principale: la febbre.<br />

La febbre è una risposta adattativa, sistemica ad uno stimolo infiammatorio.<br />

Durante la febbre, la temperatura corporea è regolata ad un di livello superiore e,<br />

anche se i meccanismi centrali della febbre sono in gran parte sconosciuti, molti<br />

sembrano dipendere dall’azione delle PGE2 [29]. Le sostanze che possono attivare<br />

la produzione di PGE2 e conseguenzialmente determinare l’aumento della<br />

temperatura corporea sono oggi note come "pirogeni" e sono divise in due gruppi<br />

[30]. Il primo gruppo è costituito da sostanze esogene quali componenti della parete<br />

cellulare batterica (ad esempio, LPS) e altri prodotti microbici [31], che condividono<br />

alcune piccole strutture molecolari chiamate PAMPs (pathogen-associatedmolecular-patterns).<br />

I PAMPs sono polisaccaridi essenziali e polinucleotidi che<br />

differiscono di poco da un agente patogeno all’ altro, ma non si trovano nell'ospite.<br />

Sono riconosciuti da una famiglia di recettori dell’ immunità innata nota come Toll-like<br />

receptors (TLR) (Fig.6) [32].<br />

Fig. 6 - Riconoscimento PAMPs-TLR e attivazione del Sistema Immunitario<br />

Negli ultimi anni ci si è dedicati molto anche a questi altri protagonisti dell’immunità<br />

innata e sono stati identificati diversi polimorfismi dei TLRs, soprattutto del TLR2<br />

(TLR2-R753Q), e del TLR4 (TLR4-D299G, TLR4-T399I), associati alla FMF. Studi<br />

recenti [33] indicano un’associazione, in negativo, tra il polimorfismo TLR4-D299G e<br />

la suscettibilità alla malattia, nel senso che i pazienti affetti studiati presentano una<br />

ridotta presenza di tale polimorfismo.<br />

Il secondo gruppo di pirogeni comprende le citochine pirogene, anche dette<br />

"pirogeni endogeni". Le citochine considerate come intrinsecamente pirogene sono<br />

quelle in grado di determinare in pochi minuti una rapida comparsa delle febbre [34],<br />

ossia l’IL-1β, l’IL-1α, il TNF-α, il TNF-β, l’IL-6 e il ciliary neurotrophic factor [35].<br />

Queste citochine, naturalmente, esercitano la loro azione attraverso i propri recettori<br />

specifici.<br />

La febbre è accompagnata da una reazione sistemica chiamata risposta di fase<br />

acuta, anch’essa associata all’azione di alcune citochine. In questa fase vi è un<br />

aumento di alcune proteine di fase acuta come la Proteina C-reattiva e la<br />

Sieroamiloide. Ci sono, tuttavia, anche proteine di fase acuta, come l’ albumina, la<br />

cui concentrazione diminuisce [36]. La funzione esatta della maggior parte delle<br />

proteine della fase acuta non è ancora chiara, ma si pensa che possano svolgere un<br />

ruolo emblematico nella risposta immunitaria. Gli episodi di febbre nelle sindromi<br />

autoinfiammatorie sono sempre accompagnati da una risposta marcata della fase<br />

acuta. Talvolta, anche tra un episodio febbrile e l’altro, si assiste ad un movimento<br />

degli indici di fase acuta. Questo sembra indicare che la cascata infiammatoria è<br />

attivata molto più spesso ed indipendentemente dall’attacco febbrile acuto. Anche se<br />

la maggior parte delle citochine viene prodotta direttamente in forma attiva, ci sono<br />

comunque delle eccezioni. L'eccezione più importante, correlata soprattutto alle<br />

febbri periodiche su base genetica, riguarda l’IL-1β. Essa è un mediatore chiave<br />

dell’infiammazione, con una grande varietà di azioni che comprendono l’induzione<br />

della febbre, lo stravaso di leucociti, l'espressione di molecole di adesione sulla<br />

cellule endoteliali e l'induzione del riassorbimento osseo [37].<br />

L’IL-1β viene inizialmente sintetizzata come un precursore inattivo di 31 kDa<br />

(pro-IL1β), in seguito alla interazione dei TLR con prodotti microbici come il LPS<br />

[38]. Mediante clivaggio viene trasformata nella forma attiva di 17-kDa. Questa<br />

scissione della pro-IL1β avviene ad opera della caspasi-1 (conosciuto enzima di<br />

conversione dell’IL). Anche la caspasi-1 è di per sé prodotta in forma di precursore<br />

inattivo (pro-caspasi-1), che può essere attivato dopo la stimolazione di alcune<br />

proteine NOD-LRR ed attivazione di un inflammasoma.<br />

Le proteine NOD-LRR (anche note con il nome di CATERPILLER) (Fig.7) sono un<br />

gruppo di proteine intracellulari coinvolte nella regolazione della risposta immune<br />

[39]. Presentano le seguenti caratteristiche strutturali:<br />

- due DOMINI CARDs (caspases recruitment domains) : domini effettori all’aminoterminale<br />

che mediano l’interazione con le caspasi;<br />

- un DOMINIO NBD (nucleotide-binding oligomerization domain) : dominio centrale;<br />

- DOMINI LRR (leucine rich-repeat domain) : al carbossi terminale, che<br />

determinano l’interazione con componenti microbiche (per esempio con i PAMPs) ;<br />

- DOMINIO PIRINICO: dominio effettore che media l’interazione con domini pirinici<br />

di altre proteine (interazione poteina-proteina).<br />

Sono state formulate due ipotesi funzionali delle CATERPILLER:<br />

1) Proteine importanti per la risposta cellulare a molecole derivate da patogeni<br />

(NOD1, NOD2 e CIAS1) ;<br />

2) Proteine che inibiscono la risposta infiammatoria e immunitaria adattiva.<br />

È possibile che abbiano sia effetto attivante che inibitorio a seconda dei livelli di<br />

espressione delle proteine o degli interattori, dell’espressione di altre variabili intra- o<br />

extracellulari.<br />

Una delle principali componenti del gruppo delle CATERPILLER è la Criopirina<br />

(CIAS1), associata ad altre febbri periodiche quali chronic infantile neurological,<br />

cutaneous and articular syndrome e Muckle- Wells syndrome/familial cold urticaria.<br />

La pirina condivide con la criopirina, con l’apoptosis associated speck-like protein<br />

(ASC) (ASC contiene una caspase recruitment domain-CARD) e con la Apaf1-like<br />

protein containing a pyrin domain, il dominio pirinico (PyD). Tale dominio, importante<br />

per le interazioni proteina:proteina, è strutturalmente correlato ai domini di morte,<br />

implicati, insieme ai death effector domains e al CARD, nel processo apoptotico.


Fig. 7 - Proteine NOD-LRR<br />

L’espressione della pirina è stimolata da mediatori dell’ infiammazione quali INF-α,<br />

TNF ed IL-4. La pirina endogena si trova nel citoplasma dei monociti, ove si correla<br />

ai microtubuli [40], ma si localizza soprattutto nel nucleo di granulociti, cellule<br />

dendritiche e fibroblasti sinoviali [41].<br />

Recenti evidenze sperimentali suggeriscono che la pirina, mediante interazione<br />

PyD:PyD con l’ASC [42], acquisisce un dominio CARD che le consente di reclutare<br />

le caspasi, enzimi implicati sia nel processo infiammatorio (caspasi 1) che<br />

apoptotico. Inoltre, mediante interazione CARD:CARD tra ASC e kinase containing<br />

CARD e attivazione del complesso IkappaB kinases o di un omologo, la pirina è in<br />

grado di attivare il pathway del nuclear factor kappa B (NF-κB) che ancora una volta<br />

svolge un ruolo cruciale di controllo tanto nell’infiammazione quanto nell’apoptosi.<br />

L’interazione della pirina con ASC determina l’attivazione dell’ IL-1β.<br />

A tale riguardo vengono formulate due ipotesi sul meccanismo d’azione della pirina:<br />

- la prima (Fig. 8-I), detta “ipotesi del sequestro” (sequestration hypothesis),<br />

sostiene che la pirina abbia un effetto inibitorio sulla caspasi 1, in quanto può legarsi<br />

ad ASC mediante il dominio pirinico (a), alla pro-caspasi-1 (b) attraverso un altro<br />

dominio (B30.2), impedendo loro di essere incorporati nell’inflammosoma-ciopirina.<br />

La pirina può interferire anche nel clivaggio della caspasi-1 (c) e prevenire la sua<br />

azione sull’ IL-1β [43, 44].<br />

- La seconda ipotesi (Fig. 8-II) detta “ipotesi dell’ inflammosoma-pirina” sostiene<br />

che la pirina forma un suo inflammosoma con l’ASC e altre proteine adattatrici<br />

ignote, con conseguente attivazione dell’IL-1β [45].<br />

Concludendo, dunque, nella patogenesi della FMF, così come in altre febbri<br />

periodiche, inteviene la disregolazione dell’ inflammosoma.<br />

Fig. 8 I-II - Ipotesi sui meccanismi d’ azione della pirina (da Anna Simon et al.<br />

Am J Physiol Regul Integr Comp Physiol 292: R86–R98, 2007)<br />

Peculiarità genetiche della FMF<br />

La Febbre Mediterranea Familiare (FMF), è una malattia febbrile ereditaria, a<br />

carattere autosomico-recessivo che colpisce prevalentemente le popolazioni del<br />

bacino del Mediterraneo: ebrei non ashkenazi, turchi, armeni, arabi, greci. Il gene<br />

responsabile MEFV (MEditerranean FeVer) è stato identificato da un consorzio<br />

internazionale e francese, indipendentemente ed in parallelo, nell’estate del 1997.<br />

Esso è localizzato sul cromosoma 16 (16p13.3) (Fig.9) in prossimità dei geni delle<br />

catene α dell’emoglobina e di un altro gene, a funzione sconosciuta, indicato come<br />

D16S84. Alle due estremità del gene MEFV sono posizionati, da un lato, il PKD1 e il<br />

TSC2 (Fig.10), implicati in due sindromi renali (il rene policistico e la sclerosi<br />

tuberosa), dall’altro il CREBBP, responsabile della sindrome di Rubinstein- Taybi<br />

caratterizzata da numerose malformazioni congenite e ritardo mentale [46]. Sul<br />

braccio lungo dello stesso cromosoma vi è il gene NOD2 che predispone al Morbo di<br />

Crohn [47].<br />

Fig. 9-10 - Localizzazione del gene MEFV (16p13.3)<br />

Il gene MEFV ha una lunghezza di 3505 nucleotidi di cui 2300 codificanti, riuniti in<br />

10 esoni e 781 codoni [48]. Il gene malattia codifica per una proteina di 781<br />

aminoacidi, chiamata pirina/marenostrina che è espressa principalmente dai<br />

neutrofili e sembra giocare un ruolo nel controllo dell’infiammazione [49]. Ad oggi si<br />

conoscono oltre 40 mutazioni a carico del gene MEFV, di cui le più frequenti a carico<br />

degli esoni 10, 2, 3 e 5. Mutazioni rare sono state descritte negli esoni 1, 7 e 9 (Fig.<br />

11) [50]. La maggior parte delle mutazioni note sono sostituzioni aminoacidiche, 78<br />

sono mutazioni missenso, una sola mutazione nonsense, identificata di recente, che<br />

è la Y688X [51], due sono piccole delezioni (I692del, M694del) [52], 17 sono<br />

localizzate negli introni, una è una duplicazione e 2 sono inserzioni.<br />

Fig. 11 - Spettro delle mutazioni del gene MEFV<br />

Il gene è composto da 10 esoni<br />

Circa 30 mutazioni oggi sono conosciute<br />

Con la sottolineatura sono indicate le più frequenti<br />

In grassetto sono quelle presenti negli “hot spots”<br />

In corsivo vengono indicate le delezioni e nei box le mutazioni nonsense (da<br />

Isabelle Touitou. European Journal of Human Genetics 9, 473 ± 483, 2001)<br />

Sono stati descritti due “hot spots”: l’esone 10 con almeno 15 mutazioni identificate<br />

e l’esone 2. Mentre nell’ambito dell’esone 2 le mutazioni sono più diffuse, a livello<br />

dell’esone 10 colpiscono preferenzialmente 2 codoni, il 680 [53] e il 694 [54]. Tre<br />

mutazioni sono state identificate in ciascuno di questi codoni, ed è interessante<br />

notare come l’unica mutazione nonsense conosciuta è localizzata proprio tra questi<br />

due codoni. Questa osservazione è fondamentale per capire che questa piccola<br />

regione del gene MEFV svolge un ruolo fondamentale nella patogenesi della FMF.<br />

Nell’ esone 2 due mutazioni sono state identificate nel codone 148 [55].<br />

Delle mutazioni note 5 sono quelle più frequenti in quanto si presentano nel 70%<br />

dei casi di FMF e sono le V726A, M694V, M694I, M680I e E148Q. Esse hanno una<br />

differente distribuzione nelle diverse popolazioni comunemente affette [56]. I primi<br />

studi condotti sulle mutazioni del gene MEFV si sono focalizzati soprattutto sulle<br />

popolazioni comunemente affette dalla malattia, vale a dire: gli Arabi, gli Armeni, gli<br />

Ebrei non Ashkenazi e i Turchi. La M694V è la mutazione più frequente in tutte e<br />

quattro le popolazioni, con una percentuale che va dal 20 al 65%.<br />

Studi più recenti sono stati condotti anche su altri gruppi etnici, come per esempio<br />

gli Europei. Una vasta gamma di mutazioni sono state riscontrate anche negli<br />

Italiani, soprattutto nei meridionali (Calabria e Sicilia). In Italia la FMF, seppure<br />

ritenuta malattia rara, è da considerarsi sottodiagnosticata ed oltre la M694V,<br />

sembra essere presente da noi un’elevata frequenza della mutazione E148Q (circa i<br />

18%). Tuttavia la correlazione di questa mutazione con la patogenesi della malattia<br />

sembrerebbe ancora controversa [57]. In Spagna le mutazioni più comuni sono la<br />

M694V (32%) e la E148Q (14%). I dati dei Greci sono pressoché sovrapponibili a<br />

quelli italiani. Da uno studio recente, condotto su 152 greci affetti da FMF, è emerso<br />

che la più comune mutazione presente è la M694V (38.1%), a seguire la M680I<br />

(19.7%), la V726A (12.2%), la E148Q (10.9%) e la E230K (6.1%) [58].<br />

Nel 2008 Papadopoulos et al. [59] pubblicarono una meta-analisi condotta su 14<br />

differenti popolazioni del Mediterraneo, ossia Arabi, Armeni, Cretesi, Ciproti,<br />

Francesi, Greci, Italiani, Ebrei, Giordani, Libanesi, Spagnoli, Siriani, Tunisini e<br />

Turchi. In ciascuna popolazione ricercarono le 5 più comuni mutazioni del gene<br />

MEFV vale a dire la M694V, V726A, M680I, M694I e la E148Q (Fig. 12). Da questo<br />

studio si evince come le mutazioni del gene MEFV non siano uniformemente<br />

distribuite nell’area del mediterraneo e le 4 popolazioni ritenute “classiche” sono gli<br />

Ebrei, gli Armeni, i Turchi e gli Arabi. Le mutazioni si presentano con la seguente<br />

percentuale: M694V (39.6%), V726A (13.9%), M680I (11.4%), E148Q (3.4%) e<br />

M694I (2.9%). Ci sono, inoltre, mutazioni rare che sembrano correlarsi<br />

maggiormente con alcuni gruppi etnici anziché con altri. Per esempio la T177I, la<br />

S108R e la E474K sono state identificate nei pazienti Libanesi, la I591T negli


Europei occidentali (Francesi e Spagnoli), la E225K e la R202Q sono state associate<br />

ai Greci insieme, la S702C ai Cretesi, la F479L e la E167D agli abitanti di Cipro.<br />

Fig.12 - Distribuzione delle mutazioni del gene MEFV nelle 14 popolazioni<br />

studiate (da V. P. Papadopouloset al. Annals of Human Genetics (2008) 72,<br />

752–761)<br />

La FMF è caratterizzata, come testimoniano le diverse mutazioni identificate, da<br />

una eterogenicità genetica legata ad altrettanta eterogenicità fenotipica. Nel corso<br />

degli anni diversi studi sono stati condotti proprio con l’obiettivo di identificare una<br />

correlazione genotipo-fenotipo. Ruth Gershoni-Baruch et al. in un articolo del 2002<br />

pubblicato sull’European Journal of Human Genetics [60] proposero una loro<br />

correlazione genotipo-fenotipo in rapporto alle mutazioni riscontrate in una<br />

popolazione di 220 pazienti affetti da FMF. Nel loro studio riscontrarono che la<br />

mutazione più frequente, ossia la M694V in omozigosi, si associava ad un quadro<br />

clinico più severo, con dolori articolari, ad esordio precoce, associato ad un<br />

maggiore rischio di amiloidosi renale ed ad un più alto dosaggio di colchicina per<br />

controllare gli attacchi rispetto alla forma in eterozigosi od alle forme di eterozigosi<br />

composta della M694V con le mutazioni V726A, M680I o E148Q e rispetto alle forme<br />

omozigoti delle mutazioni V726A o M680I. Un altro dato che emerge dallo studio di<br />

Ruth Gershoni-Baruch è che non sussiste alcuna differenza tra i quadri clinici legati<br />

alla forma di eterozigosi composta V726A /E148Q e la forma M694V in omozigosi,<br />

eccetto che per una maggiore ricorrenza di artriti in quest’ ultima forma.<br />

Isabelle Touitou nel suo studio, pubblicato su European Journal of Human Genetics<br />

nel 2001, ci propone un’altra correlazione genotipo-fenotipo. La mutazione più<br />

frequente rimane sempre la M694V associata, in omozigosi, ad un quadro clinico<br />

severo ad esordio più precoce, soprattutto in Arabi ed Armeni. Essa inoltre presenta<br />

in omozigosi alta penetranza (99%). Altre mutazioni associate ad una maggiore<br />

severità del quadro clinico sono le M680I e M694I in omozigosi. Mutazioni, invece,<br />

associate ad un quadro clinico “mild” ossia lieve sono la E148Q, la V726A, la K695R<br />

e la P369S. La mutazione E148Q, fra le più frequenti tra le mutazioni del gene<br />

MEFV, in omozigosi nel 55% dei casi è associata a pazienti asintomatici che non<br />

manifestano mai l’ amiloidosi. In uno studio di Nurit Zaks MD del 2003 pubblicato su<br />

Genetics [61], invece, si evince che la mutazione E148Q in omozigosi si associa ad<br />

un fenotipo severo, così come nei casi cui la mutazione si associa ad altre come la<br />

M694I e la V726A. Quest’ultima mutazione sembra associarsi all’amiloidosi. Tuttavia<br />

in eterozigosi la E148Q sembrerebbe essere una mutazione “benigna” non associata<br />

a malattia sintomatica [62].<br />

Malgrado nel corso degli anni ci sia dedicati alla correlazione genotipo-fenotipo<br />

della FMF, questa associazione non è stata del tutto identificata. E ciò sta ad<br />

indicare la presenza di diversi fattori, come per esempio il sesso del paziente, in<br />

grado di modificare le manifestazioni cliniche della malattia [63] e, verosimilmente, la<br />

presenza di altre mutazioni ancora non identificate o l’eventuale azione modificatrice<br />

di altri geni sul gene MEFV. Un locus modificatore indipendente dal gene MEFV è<br />

stato recentemente identificato ed è il locus MICA (Major Histocompatibility Complex<br />

class I chain-related gene A) [64]. L’esordio precoce della malattia legato alla<br />

mutazione M694V in omozigosi è aggravato nei pazienti MICA A9, mentre MICA A4<br />

sembra essere associato ad una forma più lieve di FMF. Ancora la suscettibilità<br />

all’amiloidosi renale sembra correlarsi a pazienti con genotipo SAA-1 alpha/alpha e<br />

di sesso maschile [65].<br />

Da quanto detto appare evidente che la correlazione genotipo-fenotipo della FMF<br />

non è ancora del tutto chiara e numerosi altri studi devono essere condotti per<br />

chiarirne le peculiarità genetiche connesse ad altrettanta variabilità fenotipica.<br />

Nostra casistica (Tab.IV)<br />

Dal luglio 2007 ad oggi presso la Sezione di Immunoinfettivologia e Reumatologia<br />

<strong>Pediatrica</strong> dell’U.O.C. di <strong>Genetica</strong> ed <strong>Immunologia</strong> <strong>Pediatrica</strong> sono afferiti 93 pazienti<br />

per Febbre Periodica. Di questi 49 presentavano uno score diagnostico, calcolato su<br />

www.printo.it, > di 1.32 e quindi indicativo di alto rischio di malattia. Per tale motivo è<br />

stata eseguita indagine genetica per la ricerca delle più frequenti mutazioni del gene<br />

MEFV. Di questi 24 sono risultati positivi all’indagine genetica per FMF. Di 5 pazienti<br />

l’indagine molecolare è ancora in corso di refertazione. In 2 pazienti è stata posta<br />

diagnosi clinica di FMF dopo risposta al trattamento con colchicina pur in assenza di<br />

mutazioni all’indagine genetica. Nel restante gruppo di pazienti è stata avviata<br />

indagine molecolare per le altre forme di febbri periodiche su base monogenica<br />

(HIDS e TRAPS). Per ciascun paziente, risultato positivo all’indagine genetica per<br />

FMF, è stato calcolato il grado di severità della malattia secondo Pras’ Score in cui<br />

ciascun segno (età d’insorgenza, numero degli attacchi in un mese, artrite, eritema<br />

erisipela-like, amiloidosi, dosaggio colchicina) ha un valore numerico e dal totale si<br />

ottiene il grado di severità della malattia: lieve tra 3 e 5, intermedio tra 6 e 8, severo<br />

≥ 9. Nel nostro gruppo di pazienti affetti una percentuale significativa si caratterizza<br />

per la presenza di singola mutazione, soprattutto la E148Q, associata ad un quadro<br />

clinico suggestivo per FMF, di grado intermedio-severo secondo Pras’ score.<br />

Naturalmente, in questi pazienti eterozigoti, la diagnosi è stata posta dopo un<br />

trattamento continuativo con colchicina per almeno 6 mesi. I pazienti, infatti, hanno<br />

presentato una remissione dei sintomi con l’avvio della terapia ed una ripresa degli<br />

stessi dopo la sospensione della colchicina. Ciò ci ha permesso di confermare la<br />

diagnosi di FMF. Solo 2 pazienti eterozigoti non hanno risposto al trattamento con<br />

colchicina.<br />

Un’altra percentuale importante è rappresentata dai pazienti omozigoti M694V, che<br />

sappiamo essere la mutazione più frequente associata ad un fenotipo più severo con<br />

maggiore rischio di amiloidosi ed ad esordio precoce. Questo dato è stato<br />

confermato anche nei nostri pazienti che presentano un Pras’ Score severo (score<br />

diagnostico ≥9).<br />

Tab. IV - Nostra casistica: 24 pz positivi all’indagine genetica e 2 con diagnosi<br />

clinica di FMF<br />

Dai nostri dati, inoltre, è emerso un caso del tutto peculiare di una febbre a<br />

trasmissione oligogenica (Fig.13), ossia, il caso di una ragazza di 21 anni con tipici<br />

sintomi di FMF ma che allo screening molecolare del gene MEFV è risultata solo<br />

portatrice della mutazione ricorrente V726A. Vista la sovrapposizione fenotipica delle<br />

febbri ricorrenti è stata effettuata anche l’analisi mutazionale del gene MVK. Il<br />

risultato ha rivelato l’alterazione di entrambi gli alleli, ciascuno dei quali porta<br />

rispettivamente le mutazioni V377I e la nuova P228L. I dati ottenuti ci hanno fatto<br />

ipotizzare una trasmissione triallelica delle sindromi associate con le febbri<br />

periodiche, sulla base dell’identificazione di 3 alleli mutati in 2 differenti geni.<br />

Fig. 13 - Nostro caso clinico di febbre a trasmissione oligogenica<br />

la nostra pz risulta essere eterozigote composta per le mutazioni V377I /P228L del<br />

gene MVK (HIDS) ed eterozigote per la mutazione V726A del gene MEFV.<br />

Conclusioni<br />

La Febbre Mediterranea Familiare (FMF) è una malattia febbrile ereditaria, a<br />

carattere autosomico-recessivo. In Italia è la più frequente tra le sindromi<br />

autoinfiammatorie con alta incidenza in Calabria e Sicilia. E’ dovuta a mutazioni del<br />

gene MEFV. Ad oggi si conoscono oltre 40 mutazioni a carico di questo gene, di cui<br />

le più frequenti a carico degli esoni 10, 2, 3 e 5. Mutazioni rare sono state descritte<br />

negli esoni 1, 7 e 9.<br />

La presenza di due mutazioni uguali, quindi di omozigosi, oppure di due diverse<br />

(eterozigote composto) si riscontra in circa il 60% dei pazienti con diagnosi clinica di<br />

FMF. Come abbiamo visto 5 sono le mutazioni più frequenti ossia la M694V, M694I,<br />

M680I, V726A e la E148Q [66].<br />

La prima, in omozigosi, si associa ad un fenotipo più severo, ad esordio precoce,<br />

con alta frequenza degli attacchi infiammatori e più alto rischio a sviluppare<br />

amiloidosi.<br />

Questa sembrerebbe essere l’unica certa correlazione genotipo-fenotipo. Essendo<br />

la FMF una malattia autosomica recessiva la diagnosi genetica è positiva se


vengono identificate due mutazioni del gene MEFV nel probando.<br />

Tuttavia in alcuni casi vengono riscontrate mutazioni in eterozigosi, ossia singola<br />

mutazione [67]. In questi casi è opportuno valutare la risposta alla terapia<br />

continuativa con colchicina per un periodo di almeno sei mesi.<br />

La remissione degli attacchi durante il trattamento con colchicina ed una ripresa dei<br />

sintomi alla sua sospensione consente di confermare la diagnosi.<br />

Verosimilmente in questi pazienti eterozigoti, in cui è possibile confermare la<br />

diagnosi in base alla risposta terapeutica, possiamo ipotizzare la presenza di altre<br />

mutazioni rare non ancora indagate o una forma di pseudodominanza. In questi casi<br />

risposte, a livello molecolare, si potrebbero ottenere con il sequenziamento completo<br />

dei 10 esoni del gene.<br />

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Trimestrale di divulgazione scientifica dell'Associazione <strong>Pediatrica</strong> di <strong>Immunologia</strong> e <strong>Genetica</strong><br />

Legge 7 marzo 2001, n. 62 - Registro della Stampa Tribunale di Messina n. 3/09 - 11 maggio 2009<br />

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Direzione-Redazione: UOC <strong>Genetica</strong> e <strong>Immunologia</strong> <strong>Pediatrica</strong> - AOU Policlicnico Messina<br />

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