IL DIBATTITO - LietoColle
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ANTONIO PORTA IN BOTTEGA<br />
UN RICORDO<br />
Milano, ottobre 1988, Casa Zoiosa, Corso di Porta Nuova 34.<br />
È lì che ho conosciuto Antonio Porta, ad un corso di poesia – e non di scrittura poetica – al quale<br />
partecipavano circa 15 persone di età differente, di professioni lontane le une dalle altre. Alcuni<br />
nomi: l'allora diciottenne e geniale poeta Giuseppe Genna, l'amico sottile e acuto ora in Danimarca,<br />
Sergio Rodà e la signora simpatica e già ben inserita nel “girone” dei poeti di Milano, Maria Pia<br />
Quintavalla.<br />
Il corso si svolgeva in una sorta di luogo magico, strano, indefinibile, incistato tra una sorta di<br />
originale atelier e una bottega rinascimentale, dove coppi di camino, tegole progettate artisticamente<br />
e scampoli di stoffe rigate e spesse, si aggrovigliavano alla vista su lunghi tavoli da lavoro, dove<br />
forbici e matite da disegno si rubavano la scena e più precisamente la nostra scena: a quell'ora,<br />
infatti, solo noi eravamo gli abitatori poetici di quello strano e sospeso luogo. Una parete poi, fatta<br />
di tubi sui quali venivano stese le stoffe più lunghe, perimetrava il nostro spazio possibile, dove una<br />
scrivania, con delle sedie ben allineate in fila, faceva diventare il posto una classe di attenti<br />
“vendicatori” della parola. L'incontro settimanale durava circa due ore. Lì noi eravamo scoperti.<br />
Ognuno di noi sapeva bene che prima o poi Antonio Porta avrebbe letto qualcosa di nostro, qualche<br />
nostro inizio, balbettio, orrore poetico. Ma Porta solo alla fine del corso ci avrebbe chiesto di<br />
lasciargli una e dico una sola poesia, degna almeno di essere letta da qualcuno. E così abbiamo<br />
fatto. Abbiamo ascoltato, abbiamo capito e non capito quel suo discreto e quasi restio modo di<br />
parlare della poesia con la P maiuscola, propenso invece a parlarci della vita di tutti i giorni, quella<br />
dove la poesia poteva sorgere: farsi vedere. Infatti ci raccontava di tutto e questo suo modo di<br />
comunicarci il sapere e l'esperienza poetica, spesso, ci innervosiva alquanto, perché in qualche<br />
modo aveva disilluso le nostre aspettative di corsisti ingenui e desiderosi di farci leggere dal poeta<br />
famoso. Attendevamo ingenuamente da lui delle risposte ai nostri dubbi, alle nostre ambizioni non<br />
ancora radicate in qualcosa di speciale e di unico, come poteva essere, appunto la poesia.<br />
Aspettavamo forse quella parola capace di consacrarci una volta per tutte. Invece niente di tutto ciò.<br />
Antonio Porta ci parlava sì, a volte, di D'Annunzio, di Dino Campana, ma il più delle volte era<br />
d'altro che ci parlava, che ci raccontava con la calma di chi sapeva come sarebbe andata a finire.<br />
Ma soprattutto era della realtà che ci informava: quel reale chiamato quotidianità: vita di tutti i<br />
giorni. E solo da quel punto particolare d'osservazione, sembrava che Antonio Porta, era in grado di<br />
parlare di poesia come necessità. Di come la lingua e il linguaggio fossero gli unici strumenti<br />
possibili per la comunicazione tra gli uomini e di quanto i poeti fossero debitori nei loro confronti.<br />
E inoltre di quanto la lingua e i linguaggi, che stavano nascendoci attorno – i primi immigrati –<br />
potessero e dovessero modificare, nel tempo, il nostro idioma, il nostro modo di parlare. E qui<br />
entrava in scena la poesia. Da questo particolare angolo d'incidenza tra la vita e la parola ,Porta ci<br />
rendeva chiaro come la poesia dovesse saper e poter registrare tutto ciò, a discapito della bella<br />
forma, dell'estetizzazione del senso, del logorroico e invasivo predominio di un'impudicizia<br />
egolatrica e confessionale dell'Io. Ebbene si usciva da quel magazzino/bottega pieni e confusi,<br />
carichi e arrabbiati.<br />
“Il poeta conserva dentro di sé la sua bottega d'artista, dove lavorare la poesia, dove fa<br />
la poesia [...]”(1)<br />
Le due facce della stessa medaglia – l'essere poeti e il diventarlo – lottavano in quel perimetro<br />
affollato di parole ancora prive di responsabilità, ancora lontane da quella progettualità che Porta<br />
auspicava per ognuno. Di quelle sere d'inverno mi ricordo l'intensità di una comunicazione capace<br />
di giungere lenta nella distanza e certa nel suo obiettivo.<br />
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