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Politica senza il potere in una società conviviale - Provincia di Lucca

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Autori vari<br />

<strong>Politica</strong> <strong>senza</strong> <strong>il</strong> <strong>potere</strong><br />

<strong>in</strong> <strong>una</strong> <strong>società</strong> <strong>conviviale</strong><br />

Ripensando <strong>il</strong> vernacolare attraverso <strong>una</strong> rivisitazione del pensiero <strong>di</strong> Ivan Illich<br />

<strong>Lucca</strong>, Palazzo Ducale, 10-11 marzo 2006<br />

Hanno collaborato alla realizzazione del volume:<br />

Nicola Lazzar<strong>in</strong>i e Giovanna Morelli<br />

Si r<strong>in</strong>grazia: Mar<strong>il</strong>ù Fetonte


PREFAZIONE<br />

E’ trascorso poco più <strong>di</strong> un anno da quando la Scuola per la Pace ha realizzato <strong>il</strong> secondo <strong>in</strong>contro<br />

pubblico sem<strong>in</strong>ariale sull’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> pensiero lasciata da Ivan Illich. A <strong>di</strong>fferenza dal primo, questa volta la<br />

parte pubblica è stata preceduta da un <strong>in</strong>contro <strong>di</strong> più giorni <strong>di</strong> <strong>una</strong> trent<strong>in</strong>a <strong>di</strong> persone che nel mondo e <strong>in</strong><br />

Italia, per aspetti <strong>di</strong>versi, fanno riferimento a questo pensatore che molti, e fra questi anche alcuni avversari,<br />

hanno ritenuto <strong>il</strong> più grande del secolo XX°.<br />

Senza giungere ad assolutizzazioni <strong>in</strong>ut<strong>il</strong>i, certamente fu uno dei gran<strong>di</strong>, e fra questi certamente uno<br />

dei più “scomo<strong>di</strong>”. In un momento <strong>di</strong> scontro mon<strong>di</strong>ale fra due schieramenti, politici ma anche ideologici, <strong>il</strong><br />

marxismo e <strong>il</strong> liberismo, Illich seguì <strong>una</strong> via propria, irriverente <strong>di</strong> fronte a verità ritenute consolidate,<br />

sempre aperta alla ricerca e alla rimessa <strong>in</strong> questione, man mano che la realtà mutava, presentando nuovi<br />

aspetti e, nel suo pensiero, anche nuove “degenerazioni”, perchè sotto l’apparenza <strong>di</strong> liberare l’uomo, <strong>di</strong> fatto<br />

lo rendevano più schiavo: la tecnologia, le professioni, la tecnoscienza…<br />

La sua opera “La convivialità”, tutt’oggi la più letta e meritevole <strong>di</strong> essere letta <strong>in</strong> un momento <strong>di</strong><br />

preannunciato “<strong>di</strong>sastro ecologico” - come mi confessò <strong>in</strong> uno dei due colloqui che ebbi con lui prima e dopo<br />

la sua conferenza pubblica a <strong>Lucca</strong> - era da lui ormai considerata, al pari delle altre che lo resero famoso e gli<br />

alienarono simpatie (“Descolarizzare la <strong>società</strong>”, “Nemesi me<strong>di</strong>ca”…) come un “libello” <strong>di</strong> gioventù, che<br />

aveva contribuito ad animare dei necessari <strong>di</strong>battiti e a <strong>in</strong>trodurre ripensamenti e anche cambiamenti. Ma<br />

oggi i problemi urgenti, mi <strong>di</strong>sse, erano altri. Ad esempio <strong>il</strong> tema della decisione personale <strong>in</strong> un mondo<br />

dom<strong>in</strong>ato dalla “comunicazione” gli sembrava attuale e drammatico. Così fu deciso che questo sarebbe stato<br />

<strong>il</strong> titolo della sua conferenza e questo fu <strong>il</strong> tema che promise <strong>di</strong> analizzare con noi per tre anni. Così non fu<br />

perché la morte lo colse poco dopo, ma <strong>il</strong> seme dell’<strong>in</strong>terrogazione irriverente era gettato anche a <strong>Lucca</strong>.<br />

Germogliato, seccato? Presto per <strong>di</strong>rlo.<br />

Nel momento <strong>in</strong> cui scrivo questa presentazione sto leggendo un libro ostico <strong>di</strong> un altro grande<br />

pensatore del secolo XX°, Ilya Prigog<strong>in</strong>e, premio Nobel per la chimica ma soprattutto uno dei gran<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi<br />

delle leggi dei “sistemi caotici” cui ha dato apporti fondamentali. Nel libro, <strong>il</strong> cui titolo è “La nuova<br />

alleanza”, egli ripercorre la storia della scienza, mostrandone la ricchezza ma anche i ricorrenti dogmatismi e<br />

<strong>in</strong>siste su un aspetto: gli <strong>in</strong>terrogativi scomo<strong>di</strong>, cui la teoria dom<strong>in</strong>ante del momento non sapeva dare<br />

risposta, venivano accantonati come <strong>in</strong>essenziali o <strong>in</strong>ut<strong>il</strong>i. Ma tutti hanno dovuto essere ripresi e <strong>in</strong>tegrati <strong>in</strong><br />

<strong>una</strong> nuova teoria ogni volta che quella <strong>in</strong> vigore si veniva a trovare decisamente <strong>in</strong>sufficiente a comprendere<br />

nuovi fenomeni non più elu<strong>di</strong>b<strong>il</strong>i. Ciò che <strong>di</strong>sturba <strong>il</strong> pensiero dom<strong>in</strong>ante, ma che ha spessore, prima o poi<br />

esige risposta. Pena restare arenati e non poter procedere.<br />

Il parallelo, <strong>in</strong> un campo <strong>di</strong>verso, con le domande scomode <strong>di</strong> Illich sull’uomo e sulla civ<strong>il</strong>tà attuale,<br />

mi è sembrato <strong>in</strong>evitab<strong>il</strong>e. Oggi stiamo affrontando due crisi planetarie: la crisi della pluralità e della<br />

<strong>di</strong>versità, la crisi climatica. Su queste, l’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Illich ha ancora molte cose da <strong>di</strong>re e <strong>il</strong> suo nome ricorre<br />

con sempre maggiore frequenza nelle citazioni <strong>di</strong> pensatori che cercano uscite dal labir<strong>in</strong>to. In Francia e<br />

Messico, paese questo ove egli soggiornò a lungo, si procede con la pubblicazione della sua opera omnia, ed<br />

è con gioia che appena tre giorni or sono ho ricevuto notizia <strong>di</strong> un grande <strong>in</strong>contro mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> suoi<br />

estimatori, proprio <strong>in</strong> Messico, a Cuernavaca, dove un gruppo <strong>di</strong> giovani stu<strong>di</strong>osi si sta facendo carico <strong>di</strong><br />

rivalorizzare <strong>il</strong> suo immenso e prezioso archivio. All’attualizzazione delle sue elaborazioni anche la Scuola<br />

per la Pace ha dato con questi due sem<strong>in</strong>ari <strong>il</strong> proprio modesto contributo.<br />

Aldo Zanchetta<br />

22 giugno 2007


SALUTI INIZIALI<br />

Andrea Tagliasacchi<br />

Vorrei <strong>in</strong>iziare r<strong>in</strong>graziando Aldo Zanchetta, animatore e responsab<strong>il</strong>e <strong>di</strong> tante <strong>in</strong>iziative promosse<br />

dalla Scuola per la Pace. Siamo molto orgogliosi del fatto che questa conferenza si tenga a <strong>Lucca</strong> e sia<br />

promossa dall’Amm<strong>in</strong>istrazione Prov<strong>in</strong>ciale. Estendo <strong>il</strong> r<strong>in</strong>graziamento anche ai convenuti ed ai relatori che<br />

<strong>in</strong>terverranno al convegno.<br />

Non è <strong>il</strong> primo convegno che l’Amm<strong>in</strong>istrazione Prov<strong>in</strong>ciale organizza sulla figura ed <strong>il</strong> pensiero <strong>di</strong><br />

Ivan Illich, che fu da noi ospitato <strong>il</strong> 2 ottobre del 2002 <strong>in</strong> occasione del suo ultimo <strong>in</strong>contro pubblico. Quel<br />

giorno <strong>il</strong> f<strong>il</strong>osofo austriaco volle passeggiare per le strade della nostra città che aveva percorso <strong>di</strong> notte <strong>in</strong><br />

tempo <strong>di</strong> guerra, accompagnando un obiettore <strong>di</strong> coscienza tedesco verso la salvezza.<br />

Illich, che allora stava pensando <strong>di</strong> tornare <strong>in</strong> Toscana dove aveva stu<strong>di</strong>ato da giovane, ci aveva espresso <strong>il</strong><br />

desiderio <strong>di</strong> esplorare per lui la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> <strong>in</strong><strong>di</strong>viduare <strong>il</strong> nuovo “pensatoio”, che doveva nascere sulle<br />

coll<strong>in</strong>e lucchesi. Mi ricordo che quella sera dopo l’<strong>in</strong>contro accompagnammo Illich nel mio ufficio, dove si<br />

raccolse <strong>in</strong> concentrazione e raccoglimento. Come ben sapete Illich morì due mesi dopo a Brema, dove<br />

teneva lezioni universitarie; svanì così la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> averlo fra noi. Ma gli amici che lo avevano<br />

accompagnato <strong>in</strong> occasione della conferenza, memori del desiderio <strong>di</strong> Ivan <strong>di</strong> lavorare per la Scuola per la<br />

Pace, vollero offrire la loro collaborazione per sv<strong>il</strong>uppare i temi che avrebbe voluto trattare.<br />

Fu così che nel giugno del 2003 organizzammo un primo sem<strong>in</strong>ario pubblico dal titolo “Le paci dei popoli” e<br />

<strong>in</strong>titolammo a lui <strong>il</strong> nostro piccolo centro <strong>di</strong> documentazione <strong>in</strong>terculturale. Grazie a Sajay Samuel ed a<br />

Samar Farage <strong>il</strong> contatto tra la Scuola per la Pace e gli amici <strong>di</strong> Ivan proseguì, f<strong>in</strong>o ad arrivare al secondo<br />

sem<strong>in</strong>ario che stiamo seguendo <strong>in</strong> questi giorni.<br />

Il sem<strong>in</strong>ario <strong>di</strong> cui oggi <strong>in</strong>auguriamo la fase pubblica è <strong>in</strong>iziato con quattro giorni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un<br />

ristretto numero <strong>di</strong> vecchi e nuovi amici <strong>di</strong> Ivan: quelli del cosiddetto gruppo “Puddle” che avevano lavorato<br />

con lui negli ultimi anni, e quelli del gruppo lucchese “Granchio <strong>di</strong> Kuchenbuch”, che riunisce coloro che<br />

furono “fulm<strong>in</strong>ati” dall’<strong>in</strong>contro con Illich.<br />

L’obbiettivo <strong>di</strong> questo convegno è quello <strong>di</strong> fare <strong>il</strong> punto sul pensiero <strong>di</strong> Illich, pensiero che Ivan stava<br />

approfondendo con i suoi amici. Il titolo è quantomai significativo, soprattutto alla luce dell’attuale crisi<br />

della democrazia rappresentativa: “<strong>Politica</strong> <strong>senza</strong> <strong>il</strong> <strong>potere</strong> <strong>in</strong> <strong>una</strong> <strong>società</strong> <strong>conviviale</strong>”.<br />

Desidero fare due sottol<strong>in</strong>eature prima <strong>di</strong> dare la parola agli ospiti. Voglio <strong>in</strong>tanto sottol<strong>in</strong>eare la<br />

caratteristica <strong>di</strong> questo <strong>in</strong>contro che ha visto nei giorni precedenti un momento <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento sui temi<br />

che saranno trattati oggi e domani, ed è molto importante che qui venga pubblicamente riportato ed<br />

approfon<strong>di</strong>to <strong>il</strong> risultato <strong>di</strong> queste riflessioni. Sono <strong>in</strong>oltre dell’idea che sia determ<strong>in</strong>ante <strong>di</strong>scutere <strong>di</strong> questi<br />

temi <strong>in</strong> un momento come questo. Noi parliamo <strong>in</strong> questi giorni del rapporto tra l’uomo e la terra, e questo<br />

non è un argomento astratto e generico, perché riguarda la vita stessa degli esseri umani. Spesso <strong>il</strong> futuro è<br />

legato ad un’idea <strong>di</strong> sv<strong>il</strong>uppo che non necessariamente è s<strong>in</strong>onimo <strong>di</strong> miglioramento della qualità della vita,<br />

ma anzi, spesso rischia <strong>di</strong> essere subord<strong>in</strong>ata ad un meccanismo che non controlliamo più: quello della<br />

produttività <strong>senza</strong> freni. C’è qu<strong>in</strong><strong>di</strong> l’esigenza <strong>di</strong> capire se è possib<strong>il</strong>e ricom<strong>in</strong>ciare un rapporto nuovo tra<br />

uomo e natura, che metta al centro l’essere umano e la libertà dell’<strong>in</strong><strong>di</strong>viduo.<br />

Mi rivolgo soprattutto ai giovani presenti. Purtroppo <strong>il</strong> livello del confronto e della <strong>di</strong>scussione che ci<br />

arriva attraverso i mass me<strong>di</strong>a ed <strong>il</strong> conformismo d<strong>il</strong>agante relegano queste occasioni nell’ambito<br />

dell’eccezionalità. Oggi però abbiamo la fort<strong>una</strong> <strong>di</strong> avere qui dei pensatori che possono darci un contributo<br />

molto importante.<br />

Non so se ho capito bene <strong>il</strong> concetto <strong>di</strong> convivialità, ma mi sembra che ci sia la volontà <strong>di</strong> rimettere <strong>in</strong><br />

<strong>di</strong>scussione l’idea stessa del <strong>potere</strong>, come sostenuto da Ivan Illich. Trovo comunque questo tema molto<br />

attuale dal punto <strong>di</strong> vista dell’esigenza dell’<strong>in</strong>novazione della cultura politica.<br />

Spesso siamo avvitati <strong>in</strong> un confronto tra <strong>in</strong>novatori e conservatori <strong>in</strong> cui si mischiano i ruoli. Qu<strong>in</strong><strong>di</strong><br />

o troviamo un livello <strong>di</strong> confronto più avanzato, che è questo, o si capisce male quale può essere, anche dal


punto <strong>di</strong> vista politico, la strada da <strong>in</strong>traprendere. C’è qu<strong>in</strong><strong>di</strong> bisogno <strong>di</strong> lavorare per <strong>una</strong> nuova cultura<br />

politica, e questo non è un argomento globale, ma riguarda anche la vita sul territorio, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> anche <strong>il</strong> locale.<br />

E’ proprio sui territori che spesso noi sperimentiamo la democrazia, <strong>il</strong> rapporto con la natura,<br />

l’<strong>in</strong>dustrializzazione, ecc.<br />

Esiste <strong>in</strong>fatti un rapporto <strong>di</strong>alettico tra le risorse: c’è legame tra tutela delle risorse naturali ed<br />

<strong>in</strong>dustrializzazione, tra produzione ed ambiente. Tocchiamo quoti<strong>di</strong>anamente con mano questi temi.<br />

Non stiamo qu<strong>in</strong><strong>di</strong> <strong>di</strong>scutendo <strong>di</strong> tematiche generiche che riguardano solo <strong>il</strong> futuro del mondo, ma anche e<br />

soprattutto <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> questioni che riguardano la vita <strong>di</strong> tutti i giorni.<br />

Come possiamo portare queste tematiche e queste <strong>di</strong>scussioni all’<strong>in</strong>terno della politica? Questa è la grande<br />

sfida.<br />

Per questo voglio ancora r<strong>in</strong>graziare Rossana Sebastiani, Aldo Zanchetta e la Scuola per la Pace per<br />

aver organizzato questa <strong>in</strong>iziativa.


PRESENTAZIONE DEL CONVEGNO<br />

Aldo Zanchetta<br />

Il 2 ottobre 2002 Ivan Illich fu a <strong>Lucca</strong> per <strong>una</strong> conversazione dal titolo “La decisione personale <strong>in</strong><br />

un mondo dom<strong>in</strong>ato dalla comunicazione”. Come ormai sua prassi, aveva reso rari i suoi <strong>in</strong>terventi pubblici,<br />

e volle legare questa pre<strong>senza</strong> ad <strong>una</strong> conoscenza preventiva dell’ambiente <strong>in</strong> cui avrebbe parlato per essere<br />

sicuro che non si sarebbe rivolto ad <strong>una</strong> “platea occasionale”.<br />

Volle anche stab<strong>il</strong>ire prima e dopo l’<strong>in</strong>contro un contatto umano che lui riteneva <strong>in</strong><strong>di</strong>spensab<strong>il</strong>e per entrare <strong>in</strong><br />

s<strong>in</strong>tonia con <strong>il</strong> proprio <strong>in</strong>terlocutore, dopo<strong>di</strong>ché sod<strong>di</strong>sfatto fece la promessa <strong>di</strong> lavorare con noi per tre anni<br />

sul tema della comunicazione. La morte lo colse dopo due mesi mentre si apprestava a tornare a Firenze -<br />

città dove si era laureato ed aveva preso i voti sacerdotali nel lontano 1951 - per trascorrervi le feste <strong>di</strong><br />

Natale. La sua promessa <strong>di</strong> lavorare con noi era <strong>in</strong> parte legata al suo desiderio <strong>di</strong> venire <strong>in</strong> Toscana a<br />

trascorrere gli ultimi anni della sua vita <strong>in</strong>sieme ad un ristretto numero <strong>di</strong> amici e <strong>di</strong>scepoli.<br />

Per <strong>in</strong>ciso osservo che su molte delle sue biografie c’è scritto che Illich era venuto alla luce a Vienna<br />

nel 1926; <strong>in</strong> realtà Ivan era nato <strong>in</strong> Dalmazia, su <strong>una</strong> piccola isola - dove c’è ancora <strong>una</strong> torre fortezza della<br />

sua famiglia - vic<strong>in</strong>o a Spalato. Si trasferì poi a Vienna da bamb<strong>in</strong>o, <strong>in</strong>sieme ai genitori. Mi confidò che<br />

voleva passare gli ultimi anni della sua vita <strong>in</strong> Toscana per tornare ad assaporare <strong>il</strong> sole me<strong>di</strong>terraneo che<br />

aveva riscaldato i primi anni della sua vita.<br />

La sua morte accese per qualche giorno i riflettori dei gran<strong>di</strong> giornali sul suo pensiero. I vari<br />

necrologi lo def<strong>in</strong>irono come uno dei più gran<strong>di</strong> pensatori del XX° secolo, qualcuno si sp<strong>in</strong>se a def<strong>in</strong>irlo <strong>il</strong><br />

più grande. Ivan non era <strong>in</strong>quadrab<strong>il</strong>e né all’<strong>in</strong>terno del liberalismo né del marxismo, che erano le due gran<strong>di</strong><br />

famiglie <strong>di</strong> pensiero dom<strong>in</strong>anti all’epoca, e ciò gli valse un certo isolamento, che lui ruppe con alcuni libri<br />

“trasgressivi” su temi <strong>di</strong> fondo come la scuola, l’energia, la sanità, la tecnologia, per passare poi ad <strong>una</strong><br />

successiva fase più de<strong>di</strong>cata alla ricerca e alla elaborazione <strong>in</strong> piccoli gruppi.<br />

Negli anni ’70 ed ’80 la sua figura aveva riempito le pag<strong>in</strong>e dei giornali grazie alla sua ra<strong>di</strong>cale<br />

rimessa <strong>in</strong> <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>venute per noi assiomatiche, orig<strong>in</strong>ando vivaci polemiche. Le Monde nel<br />

1972 scrisse che Illich “era uno <strong>di</strong> quegli esseri <strong>di</strong> eccezione <strong>il</strong> cui pensiero scuote profondamente”. Molti<br />

suoi lettori, che a causa del suo lungo s<strong>il</strong>enzio pensavano fosse già morto, rimasero sorpresi dalla notizia<br />

della sua scomparsa.<br />

Ho conosciuto persone che mi hanno detto <strong>di</strong> aver provato molta irritazione durante i primi <strong>in</strong>contri<br />

con Illich, a causa <strong>di</strong> questa sua ra<strong>di</strong>calità che metteva <strong>in</strong> <strong>di</strong>scussione punti fermi del loro pensiero.<br />

Irritazione che si era poi trasformata poco a poco <strong>in</strong> <strong>una</strong> profonda gratitud<strong>in</strong>e per la liberazione che ne era<br />

derivata. Egli stesso dopo anni <strong>di</strong> forte impegno pubblico <strong>in</strong> cui scrisse <strong>il</strong> suo lavoro più noto “La<br />

convivialità”, ed altri come “Nemesi me<strong>di</strong>ca”, “Descolarizzare la <strong>società</strong>”, “Il lavoro ombra”, ecc., aveva<br />

deciso <strong>di</strong> spegnere i riflettori sulla sua figura, passando - per citare le parole dei suoi amici - dalla “fase <strong>di</strong><br />

Illich” alla “fase <strong>di</strong> Ivan”, l’amico che cont<strong>in</strong>uava la sua ricerca <strong>in</strong> piccoli cenacoli, lontano dalle polemiche e<br />

dai riflettori. Ivan <strong>in</strong>fatti aveva considerato più importante la ricerca <strong>di</strong>scipl<strong>in</strong>ata della verità <strong>in</strong> piccole<br />

comunità <strong>di</strong> amici piuttosto che <strong>il</strong> frastuono della celebrità.<br />

Nocciolo centrale della sua riflessione <strong>di</strong> allora era <strong>il</strong> predom<strong>in</strong>io assunto dagli strumenti nella vita<br />

dell’uomo, fossero questi le automob<strong>il</strong>i o le istituzioni come quella scolastica e sanitaria. Invece <strong>di</strong> essere al<br />

servizio dell’uomo, liberandone energie e tempo, questi strumenti avevano f<strong>in</strong>ito per renderlo schiavo. Con<br />

la sua critica Illich avrebbe voluto riportarli ad essere “conviviali”, ovvero al servizio dell’uomo, e non<br />

produttori <strong>di</strong> nuove schiavitù. Come le sue analisi si siano poi sv<strong>il</strong>uppate, <strong>in</strong><strong>di</strong>viduando nuove forme <strong>di</strong><br />

schiavitù ancor più evolute, ce lo <strong>di</strong>rà dopo Jean Robert.<br />

In un necrologio - non mi ricordo scritto da chi - ho letto che <strong>il</strong> pensiero <strong>di</strong> Illich era “penetrante<br />

come un raggio laser”, capace <strong>di</strong> cogliere le future ed impreviste conseguenze <strong>di</strong> scelte compiute oggi. Per<br />

questo motivo alcuni capi <strong>di</strong> governo lo convocavano <strong>in</strong> occasione <strong>di</strong> decisioni importanti: George Pompidou


talvolta lo <strong>in</strong>vitava a tenere riunioni con i suoi m<strong>in</strong>istri. Questo per sottol<strong>in</strong>eare la straord<strong>in</strong>arietà della sua<br />

figura. Il suo sguardo capace <strong>di</strong> guardare lontano nel tempo gli consentì <strong>di</strong> anticipare con chiarezza, <strong>in</strong><br />

s<strong>in</strong>tonia con altri personaggi, i gran<strong>di</strong> problemi con cui oggi ci stiamo scontrando: dalla devastazione<br />

dell’ambiente - che pure molti avevano <strong>in</strong>iziato ad <strong>in</strong>travedere - al più pericoloso, meno valutato ed<br />

irreversib<strong>il</strong>e “<strong>in</strong>qu<strong>in</strong>amento mentale”, derivante dalle nuove tecnologie elettroniche e dalle biotecnologie.<br />

L’<strong>in</strong>qu<strong>in</strong>amento mentale derivante dalle nuove tecnologie è <strong>di</strong>ventato un fenomeno così importante da far<br />

scrivere al Direttore del Centro Internazionale <strong>di</strong> Valutazione della Tecnologia che “<strong>di</strong>venta sempre più<br />

urgente che noi <strong>di</strong>ventiamo eretici rispetto alla religione della scienza e che re<strong>in</strong>ventiamo la nostra<br />

tecnologia. Se falliremo <strong>in</strong> questo ci precluderemo per sempre la riconc<strong>il</strong>iazione con la natura, perché la<br />

natura come noi la conosciamo cesserà <strong>di</strong> esistere”.<br />

Il passaggio <strong>di</strong> Illich da <strong>Lucca</strong> accese <strong>una</strong> fiammella. Ivan <strong>di</strong>ceva che l’unica cosa che possiamo fare<br />

è essere delle fiammelle accese nel buio <strong>di</strong> questo mondo, per mantenere accesa la luce. Alcune persone<br />

rimasero così colpite dal suo pensiero che <strong>in</strong>iziarono a vedersi per approfon<strong>di</strong>re le sue teorie. Sono le persone<br />

che si riuniscono nel gruppo “Il granchio <strong>di</strong> Kuchenbuch”, nome bizzarro che deriva da <strong>una</strong> citazione <strong>di</strong><br />

Illich riguardo al metodo <strong>di</strong> lavoro dello storico Kuchenbuch, <strong>il</strong> quale <strong>di</strong>ceva che per leggere <strong>il</strong> presente<br />

bisogna stare a giusta <strong>di</strong>stanza da esso, e osservarlo da un punto <strong>di</strong> vista prospettico. Bisogna fare come <strong>il</strong><br />

granchio che <strong>di</strong> fronte al pericolo arretra, mantenendo però sempre lo sguardo fisso sull’oggetto della sua<br />

paura.<br />

Un’altra fiammella, più consistente, è costituita dal gruppo “Puddle”, composto da amici e<br />

collaboratori <strong>di</strong> Ivan. Questo gruppo non solo ricorda <strong>il</strong> pensiero <strong>di</strong> Ivan, ma lavora per <strong>di</strong>panarlo e<br />

comprenderlo <strong>in</strong> maniera ancor più organica.<br />

Dall’<strong>in</strong>contro <strong>di</strong> queste due fiammelle è nato questo secondo <strong>in</strong>contro pubblico sulla figura <strong>di</strong> Ivan Illich,<br />

<strong>in</strong>contro che è stato preceduto da quattro giorni <strong>di</strong> lavoro sem<strong>in</strong>ariale, de<strong>di</strong>cati alla riflessione sui temi che<br />

sono evidenziati dai titoli delle conferenze <strong>in</strong> programma durante questi due giorni.<br />

A me piace ricordare Ivan come fecondo liberatore del pensiero da verità con<strong>di</strong>zionanti, perché<br />

<strong>di</strong>venute assiomatiche e non più sottoposte a critiche. Mi piace ricordarlo per la sua capacità <strong>di</strong> <strong>in</strong>durre a<br />

ra<strong>di</strong>cali cambiamenti personali <strong>di</strong> st<strong>il</strong>i <strong>di</strong> vita. Così al sem<strong>in</strong>ario abbiamo avuto fra noi non “<strong>in</strong>tellettuali<br />

professionalizzati”, come <strong>di</strong>rebbe l’amico <strong>di</strong> Illich Gustavo Esteva, ma ricercatori <strong>in</strong><strong>di</strong>pendenti venuti da<br />

sette paesi <strong>di</strong>versi, <strong>di</strong> varia orig<strong>in</strong>e culturale e classe sociale. Sono stati con noi un cantastorie sic<strong>il</strong>iano, un<br />

pescatore del Lago Trasimeno, un “pastore” <strong>di</strong> Corf<strong>in</strong>o, un accordatore <strong>di</strong> pianoforti, un professore <strong>di</strong><br />

sociologia dell’Università <strong>di</strong> Mosca, un ex <strong>di</strong>plomatico iraniano stu<strong>di</strong>oso dei problemi della povertà, un<br />

professore francese esperto <strong>di</strong> pensiero economico, ed altri. Dico questo per sottol<strong>in</strong>eare l’atipicità e la<br />

grande libertà <strong>in</strong>tellettuale <strong>di</strong> questa esperienza. Siamo venuti nel ricordo <strong>di</strong> Illich, perché <strong>in</strong> un’epoca <strong>di</strong><br />

profonda svolta culturale, sociale ed economica come quella che stiamo vivendo, abbiamo bisogno <strong>di</strong><br />

sperimentare scelte creative e ra<strong>di</strong>cali, abbiamo bisogno <strong>di</strong> cont<strong>in</strong>uare a confrontarci col suo pensiero, e<br />

pensiamo che questa sia un’operazione <strong>di</strong> grande significato <strong>in</strong><strong>di</strong>viduale e collettivo.<br />

Abbiamo riflettuto sull’<strong>in</strong>ganno dello sv<strong>il</strong>uppo e della globalizzazione (uno dei pall<strong>in</strong>i <strong>di</strong> Illich che<br />

aveva <strong>in</strong>travisto f<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio che lo sv<strong>il</strong>uppo sarebbe <strong>di</strong>ventato <strong>una</strong> nuova forma <strong>di</strong> colonizzazione),<br />

sull’<strong>in</strong>debita supremazia dell’economia sulla vita <strong>di</strong> ciascuno <strong>di</strong> noi, sull’<strong>in</strong>vadenza della tecnoscienza, sulle<br />

resistenze alla globalizzazione, sulla possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> alternative.<br />

Assieme abbiamo concordato che <strong>il</strong> lavoro <strong>di</strong> questi giorni non poteva e non voleva avere come<br />

obiettivo soluzioni miracolistiche da proporre per risolvere i problemi del nostro tempo, perché siamo<br />

conv<strong>in</strong>ti che ogni <strong>in</strong><strong>di</strong>viduo ed ogni comunità debbano compiere <strong>in</strong> modo autonomo le proprie scelte,<br />

tessendo <strong>una</strong> rete <strong>di</strong> relazioni <strong>di</strong> reciproco arricchimento.<br />

Non cre<strong>di</strong>amo a ness<strong>una</strong> guerra del bene contro <strong>il</strong> male, conv<strong>in</strong>ti che ogni realtà sia impastata <strong>di</strong> entrambe<br />

queste <strong>di</strong>mensioni. Non abbiamo qu<strong>in</strong><strong>di</strong> soluzioni da formulare. Non cre<strong>di</strong>amo <strong>in</strong> un altro mondo possib<strong>il</strong>e,<br />

ma <strong>in</strong> tanti altri mon<strong>di</strong> possib<strong>il</strong>i, arricchiti dalla <strong>di</strong>versità delle culture, delle economie, delle religioni, dei<br />

mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> vita; alcuni <strong>di</strong> questi mon<strong>di</strong> sono già esistenti e resistenti, malgrado la guerra portata dalla<br />

globalizzazione. Altri mon<strong>di</strong> sono <strong>in</strong>vece da ricostruire ex-novo, con pazienza, um<strong>il</strong>tà e coerenza.


Due parole sul titolo “<strong>Politica</strong> <strong>senza</strong> <strong>il</strong> <strong>potere</strong> <strong>in</strong> <strong>una</strong> <strong>società</strong> <strong>conviviale</strong>”. La storia ci <strong>in</strong>segna che le<br />

gran<strong>di</strong> ideologie, <strong>una</strong> volta al <strong>potere</strong>, hanno tra<strong>di</strong>to le speranze suscitate e le generosità consumate. Spesso la<br />

lotta per <strong>il</strong> <strong>potere</strong> è tale che la strada per raggiungerlo fa <strong>di</strong>menticare <strong>il</strong> perché della sua conquista. Basti<br />

pensare agli zapatisti del Chiapas che affermano provocatoriamente “non vogliamo <strong>il</strong> <strong>potere</strong>, perché<br />

vogliamo cambiare <strong>il</strong> mondo”, <strong>di</strong>ssacrando così uno dei miti delle lotte antisistema. Ma neppure<br />

preten<strong>di</strong>amo, come <strong>il</strong> sottotitolo potrebbe far supporre, <strong>di</strong> voler resuscitare epoche ormai tramontate, almeno<br />

per l’occidente, ovvero quelle della cultura che Illich aveva def<strong>in</strong>ito “vernacolare”, contro la quale la<br />

globalizzazione sta conducendo <strong>una</strong> guerra spietata, e che, per <strong>in</strong>ciso, a nostro giu<strong>di</strong>zio si sta concludendo<br />

verso un clamoroso <strong>in</strong>successo ed un <strong>di</strong>sastro umano e materiale.<br />

Illich non era contro la tecnologia, come qualcuno superficialmente ha pensato, ma era contro la<br />

tecnologia <strong>di</strong>sumanizzante e schiavizzante. Noi pensiamo che <strong>il</strong> nostro para<strong>di</strong>gma tecnologico debba essere<br />

ricostruito su basi nuove, conviviali. Citando le parole <strong>di</strong> uno dei partecipanti al sem<strong>in</strong>ario possiamo <strong>di</strong>re che<br />

“ripensare al vernacolare che ha preceduto la nostra modernità, è stato da noi scelto come un modo per<br />

purificare la nostra mente dagli assiomi del presente, come <strong>il</strong> granchio <strong>di</strong> Kuchenbuch suggerisce, e<br />

pre<strong>di</strong>sporci a cooperare alla costruzione <strong>di</strong> un futuro <strong>conviviale</strong>”.<br />

In questi due giorni <strong>di</strong> convegno pubblico non esprimeremo nuove verità né soluzioni miracolistiche, ma<br />

semplicemente compartiremo le riflessioni che sulla scia del pensiero <strong>di</strong> Ivan an<strong>di</strong>amo facendo.<br />

Voglio r<strong>in</strong>graziare <strong>il</strong> Presidente Tagliasacchi, la Dirigente Rossana Sebastiani e tutto <strong>il</strong> suo staff.<br />

R<strong>in</strong>grazio <strong>in</strong>oltre gli amici che hanno lavorato per preparare <strong>il</strong> sem<strong>in</strong>ario e tutti i presenti.<br />

Mi auguro che <strong>il</strong> legame <strong>di</strong> <strong>Lucca</strong> con Ivan sia mantenuto anche dai futuri amm<strong>in</strong>istratori della nostra città.


LA GLOBALIZZAZIONE:<br />

REALTA’ E MITI<br />

Rodrigo Rivas<br />

Leggendo i titoli <strong>di</strong> queste giornate, penso che si possa tranqu<strong>il</strong>lamente <strong>di</strong>re che si vola alto, ma si<br />

vola anche basso Si vola alto, perché <strong>in</strong> qualche misura ci proponiamo <strong>di</strong> raccontare alcune cose non dette, e<br />

questo è quello che farò; si vola alto perché ci prefiggiamo <strong>di</strong> <strong>in</strong><strong>di</strong>care, oltre ai problemi, anche alcuni<br />

percorsi per <strong>in</strong><strong>di</strong>viduare soluzioni. Si vola basso perché compren<strong>di</strong>amo che la realtà è ben <strong>di</strong>versa dalla<br />

teoria. Spesso quando ci si pongono alte ambizioni, le persone ci possono chiedere quali sono i titoli che ci<br />

autorizzano ad avere queste ambizioni.<br />

Ieri venendo a <strong>Lucca</strong>, sentivo alla ra<strong>di</strong>o un programma dove è stata posta a due <strong>in</strong>segnanti<br />

universitari la domanda “la globalizzazione sta correndo dei pericoli?”, facendo riferimento al caso del<br />

presunto protezionismo francese <strong>in</strong> campo energetico, alle OPA, ecc. I due docenti hanno risposto che i<br />

rischi corsi dalla globalizzazione sono causati dalla politica, che non gli permette <strong>di</strong> esprimersi secondo le<br />

sue potenzialità, prova ne è, <strong>di</strong>cevano, l’abrogazione della Direttiva Bolkeste<strong>in</strong> (Direttiva europea sulla<br />

deregolamentazione del mercato del lavoro e la privatizzazione dei servizi). In realtà questa <strong>di</strong>rettiva è <strong>una</strong><br />

delle leggi più “cavernicole” della vulgata neoliberista <strong>in</strong> tema <strong>di</strong> flessib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> lavoro. E mi sono<br />

preoccupato pensando alla platea che <strong>di</strong> solito questi professori hanno.<br />

Desidero ora citare i versi <strong>di</strong> tre cantautori italiani, perché penso che spesso l’arte, la poesia e la<br />

musica riescano a raccontare la realtà meglio della politica.<br />

I primi versi sono <strong>di</strong> Enzo Jannacci e sono tratti da “Prete Liprando e <strong>il</strong> giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Dio”.<br />

“Landolfo, cronista del M<strong>il</strong>lecento, ci ha tramandato le "Storie del Comune <strong>di</strong> M<strong>il</strong>ano" fra cui questa del<br />

giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Dio, protagonista prete Liprando. Noi abbiamo cercato <strong>di</strong> musicarla con un certo impegno, e la<br />

de<strong>di</strong>chiamo a tutti quelli - e sono tanti - che pur essendo testimoni <strong>di</strong> fatti importantissimi e determ<strong>in</strong>anti<br />

dell'avvenire della civ<strong>il</strong>tà, neanche se ne accorgono!”<br />

La seconda è <strong>di</strong> Francesco Gucc<strong>in</strong>i ed è tratta dalla canzone “Don Chisciotte”.<br />

“Mi vuoi <strong>di</strong>re, caro Sancho, che dovrei tirarmi <strong>in</strong><strong>di</strong>etro<br />

perchè <strong>il</strong> "male" ed <strong>il</strong> "<strong>potere</strong>" hanno un aspetto così tetro?<br />

Dovrei anche r<strong>in</strong>unciare ad un po' <strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità,<br />

farmi um<strong>il</strong>e e accettare che sia questa la realtà?”<br />

L’ultima, ironica, <strong>di</strong> Francesco De Gregori, è tratta dalla canzone “Buffalo B<strong>il</strong>l”<br />

“Il verde br<strong>il</strong>lante della prateria<br />

ricordava <strong>in</strong> maniera lampante l'esistenza <strong>di</strong> Dio<br />

Del Dio che progetta la frontiera<br />

e costruisce la ferrovia”.<br />

Mark Twa<strong>in</strong>, che era uno scrittore statunitense, affermava che “Una delle pr<strong>in</strong>cipali <strong>di</strong>fferenze tra un<br />

gatto e <strong>una</strong> bugia è che un gatto ha soltanto nove vite”. Quante rond<strong>in</strong>i servono per fare primavera? Secondo<br />

un vecchio tango lat<strong>in</strong>oamericano non ne basta <strong>una</strong>, perché ne servono tante. Dico questo perché <strong>il</strong> s<strong>in</strong>daco <strong>di</strong><br />

un’importante città italiana <strong>di</strong>sse anni fa che la globalizzazione è come la primavera, ugualmente <strong>in</strong>evitab<strong>il</strong>e.<br />

Ed è portatrice <strong>di</strong> enormi opportunità per tutti.<br />

Term<strong>in</strong>ata questa premessa, desidero sv<strong>il</strong>uppare <strong>il</strong> ragionamento su <strong>di</strong>eci tesi elementari sulla<br />

globalizzazione:<br />

1. A partire dagli anni ’60 gli USA hanno dovuto far fronte ad <strong>una</strong> grande concorrenza, prima europea, poi<br />

giapponese, nata dal successo della loro stessa politica rivolta a sv<strong>il</strong>uppare i mercati dei paesi <strong>di</strong>strutti dal<br />

lungo ciclo <strong>di</strong> guerre mon<strong>di</strong>ali. Questa concorrenza ha acuito le caratteristiche del ciclo economico e ha


portato alla ricomparsa delle crisi cicliche, la prima delle quali è stata quella del 1973-75.<br />

Successivamente, la crescita statunitense è stata lenta se confrontata a quella del secondo dopoguerra. La<br />

comb<strong>in</strong>azione <strong>di</strong> crisi cicliche e crescita lenta ha reso <strong>in</strong><strong>di</strong>spensab<strong>il</strong>e per gli Stati Uniti ampliare le<br />

esportazioni e gli <strong>in</strong>vestimenti verso altri paesi e regioni. Queste sono le sole ragioni del processo che<br />

solo dopo è stato denom<strong>in</strong>ato globalizzazione. Non siamo certo <strong>in</strong> pre<strong>senza</strong> <strong>di</strong> un “fenomeno naturale<br />

come la primavera <strong>in</strong> grado <strong>di</strong> offrire immani opportunità a tutti”.<br />

4. La globalizzazione trova la sua formulazione teorica nel cosiddetto “Consenso <strong>di</strong> Wash<strong>in</strong>gton”, che detta<br />

le tre parole d’ord<strong>in</strong>e da applicare universalmente: proprietà privata, stato sussi<strong>di</strong>ario, libera circolazione<br />

<strong>di</strong> merci e capitali (ma quest’ultima non si applica agli USA). Per gli Stati Uniti la comb<strong>in</strong>azione tra<br />

libero commercio all’estero, protezionismo <strong>in</strong>terno, flessib<strong>il</strong>ità del lavoro e dollaro moneta mon<strong>di</strong>ale,<br />

equivale al migliore dei mon<strong>di</strong> possib<strong>il</strong>i. Gli USA vivono così <strong>in</strong> <strong>una</strong> situazione sim<strong>il</strong>e a quella <strong>di</strong> cui<br />

aveva goduto l’Ingh<strong>il</strong>terra nell’800.<br />

5. Su questa base gli Stati Uniti hanno riconquistato <strong>il</strong> dom<strong>in</strong>io sull’economia mon<strong>di</strong>ale, prodotta dalla<br />

globalizzazione, e questo costituisce <strong>il</strong> fondamento dell’egemonia politica espressa dalla Nuova <strong>Politica</strong><br />

<strong>di</strong> Sicurezza Nazionale (2002).<br />

4. Contrariamente a quanto avviene con gli imitatori stolti, la ristrutturazione economica degli USA - lo<br />

stesso avverrà con la C<strong>in</strong>a - è realizzata con <strong>il</strong> forte appoggio dello stato. Il suo d<strong>in</strong>amismo è<br />

<strong>in</strong>timamente legato all’aumento dei profitti che, fermi dagli anni ’70, ricom<strong>in</strong>ciano ad aumentare dalla<br />

metà degli anni ‘80 ed accrescono negli anni ‘90. La crescita dei profitti attenua l’effetto delle crisi<br />

cicliche negli USA, grazie all’aumento dei profitti spe<strong>di</strong>ti <strong>in</strong> patria dalle mult<strong>in</strong>azionali.<br />

5. L’aumento dei profitti delle aziende statunitensi è favorito da quattro fattori:<br />

a. la <strong>di</strong>m<strong>in</strong>uzione degli <strong>in</strong>teressi netti da parte delle imprese che producono beni e servizi;<br />

b. la crescita esponenziale delle istituzioni f<strong>in</strong>anziarie;<br />

c. la forte <strong>di</strong>m<strong>in</strong>uzione delle tasse sui profitti;<br />

d. le mo<strong>di</strong>fiche avvenute nel processo <strong>di</strong> accumulazione del capitale (rivoluzione tecnologica).<br />

6. Lo scopo <strong>in</strong>seguito - l’aumento dei profitti - e la conseguenza che ne deriva - la guerra sociale - non<br />

possono essere proclamati pubblicamente. Qu<strong>in</strong><strong>di</strong> si trasforma l’economia <strong>in</strong> <strong>una</strong> parascienza che si<br />

<strong>in</strong>venta <strong>una</strong> realtà a suo uso e consumo. I nuovi aruspici trasformano <strong>in</strong> verità <strong>in</strong><strong>di</strong>scutib<strong>il</strong>i <strong>una</strong> serie <strong>di</strong><br />

tesi non <strong>di</strong>mostrab<strong>il</strong>i. Straparlano <strong>di</strong> “economia pura”, cercano <strong>di</strong> matematizzare la loro <strong>di</strong>scipl<strong>in</strong>a per<br />

<strong>di</strong>mostrarne l’esattezza. Ciò che conta è la loro fedeltà ai loro clienti e al <strong>potere</strong>.<br />

7. Per propiziare questa trasformazione si aggiorna un sistema <strong>di</strong> credenze che aveva già dato buoni<br />

risultati. Le credenze nel mercato, nel PIL (che aumenta con la guerra, con lo ts<strong>una</strong>mi, ecc.), nella TAV,<br />

nelle OPA, ecc., rappresentano veri e propri dogmi. Ci <strong>di</strong>cono che <strong>il</strong> mercato “sanziona” implicitamente<br />

o esplicitamente determ<strong>in</strong>ati comportamenti, proprio come facevano i vecchi <strong>in</strong>segnanti che ci<br />

bacchettavano le mani. Si espandono le parole plastiche, si assume <strong>il</strong> “pensiero unico” e si <strong>di</strong>ffonde la<br />

“s<strong>in</strong>drome TINA” (There Is Not Alternative). Questo fenomeno non si limita solo all’economia, ma<br />

contagia l’<strong>in</strong>sieme delle scienze sociali, <strong>in</strong>cidendo pesantemente sul concetto <strong>di</strong> giustizia e sui <strong>di</strong>ritti. I<br />

me<strong>di</strong>a sono i nuovi oracoli, la voce degli dei, che trasformano lo stesso concetto <strong>di</strong> verità: con la<br />

globalizzazione, la verità è ciò che tutti <strong>di</strong>cono. La stragrande maggioranza dei comunicatori segue la<br />

norma, non evangelica, “crescete e prostituitevi”.<br />

Già negli anni ’60 McLuhan aveva sentenziato: “<strong>in</strong> un suo saggio sulla poesia Eliot ha scritto che <strong>il</strong><br />

poeta si serve del significato come un ladro si serve del pezzo <strong>di</strong> carne che lancia al cane per <strong>di</strong>strarlo<br />

mentre la casa viene svaligiata. I me<strong>di</strong>a fanno lo stesso con <strong>il</strong> contenuto...pensare che i me<strong>di</strong>a<br />

trasmettono messaggi è come pensare che la funzione dei ladri sia quella <strong>di</strong> cibare i nostri cani”.<br />

Vedendo l’o<strong>di</strong>erno teatr<strong>in</strong>o della politica sul palco dei me<strong>di</strong>a, bisogna ricordare questo punto.<br />

8. L’aumento dei profitti provoca sia un’estrema concentrazione della ricchezza, sia un aumento della<br />

povertà. Il sistema organizza la scarsità che deriva dalle sue stesse regole, <strong>in</strong> un mondo che, viceversa,<br />

dalla metà dell’800, crolla sotto <strong>il</strong> peso delle sue ricchezze.


Tuttavia <strong>il</strong> problema fondamentale della politica e dell’economia è proprio quello <strong>di</strong> organizzare la<br />

scarsità.<br />

9. Per realizzare l’aumento dei profitti, servono la fame ed <strong>il</strong> debito, l’aggressione alla natura e al mondo<br />

del lavoro. Non si tratta, qu<strong>in</strong><strong>di</strong>, né <strong>di</strong> eccessi né <strong>di</strong> errori, ma <strong>di</strong> politiche volute.<br />

10. Le <strong>di</strong>mensioni della rap<strong>in</strong>a globale, la f<strong>in</strong>anziarizzazione dell’economia, <strong>il</strong> restr<strong>in</strong>gimento della<br />

democrazia <strong>in</strong> ogni dove, la r<strong>in</strong>ascita e la giustificazione della guerra, <strong>in</strong><strong>di</strong>cano anche che ci troviamo <strong>in</strong><br />

quello che Fernand Braudel ha def<strong>in</strong>ito “l’autunno del sistema”, ovvero all’<strong>in</strong>terno <strong>di</strong> un transito verso<br />

qualcos’altro le cui forme sono tutte da def<strong>in</strong>ire. La nostra crisi è doppia: ciclica e strutturale. La prima<br />

nasce da movimenti “naturali” del sistema capitalistico. La seconda mette <strong>in</strong>vece <strong>in</strong> <strong>di</strong>scussione alcuni<br />

elementi costitutivi del capitalismo. Infatti l’aggregato del monte salariale a livello complessivo, i costi<br />

ambientali e <strong>il</strong> sistema delle tasse restr<strong>in</strong>gono i profitti, mettendone <strong>in</strong> crisi l’unica sua anima. La crisi<br />

rende più necessaria che mai la politica, che <strong>in</strong>vece è sostanzialmente latitante per quanto riguarda <strong>il</strong><br />

versante riformista. L’enormità dei problemi che ci troviamo <strong>di</strong> fronte sembra a volte <strong>in</strong>superab<strong>il</strong>e.<br />

Tuttavia, anche questo va tenuto presente, la storia non è mai decisa dall’<strong>in</strong>fallib<strong>il</strong>e <strong>di</strong>stendersi dalle<br />

leggi dell’economia, ma è sempre modellata dalla reazione delle forze sociali e dalla logica del capitale.<br />

Qu<strong>in</strong><strong>di</strong> tutte le strade sono aperte, anche se non sappiamo dove portano. Come scrisse <strong>il</strong> poeta Antonio<br />

Machado ai primi del 900, “Viandante, <strong>il</strong> sentiero sono le tue orme, e niente più; viandante non c’è<br />

sentiero, <strong>il</strong> sentiero si fa nell’andare. Nell’andare si fa <strong>il</strong> sentiero, e nel volgere lo sguardo <strong>in</strong><strong>di</strong>etro, si<br />

vede <strong>il</strong> sentiero che mai si tornerà a calpestare. Viandante, non c’è sentiero. Solo scie nel mare”.<br />

Desidero ora sv<strong>il</strong>uppare ed approfon<strong>di</strong>re qualche specifica tematica. Partiamo dalla libera<br />

circolazione dei capitali e delle merci. Senza sussi<strong>di</strong>, solo nel 2004, la produzione agricola statunitense<br />

sarebbe calata del 15% e le sue esportazioni sarebbero scomparse. Gli USA sovvenzionano per <strong>il</strong> 99% <strong>il</strong><br />

valore totale della produzione <strong>di</strong> riso, danneggiando così i produttori <strong>di</strong> riso <strong>di</strong> molti paesi e coloro che lo<br />

acquistano. L’Unione Europea fa lo stesso con i succhi <strong>di</strong> frutta, con <strong>il</strong> latte, con i pomodori, ecc. Il risultato<br />

è che le sovvenzioni dell’UE corrispondono ad 1/4 del valore della merce prodotta, mentre quelle degli USA<br />

ad 1/5. Senza queste sovvenzioni ci sarebbe possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> concorrenza.<br />

Qualcuno potrebbe obbiettare che gli agricoltori ne beneficiano…è vero, ma ci sono alcuni problemi. Dal<br />

1960 <strong>il</strong> debito dei coltivatori europei raddoppia ogni 5 anni, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> vivono <strong>in</strong> pratica per pagare <strong>il</strong> debito<br />

derivante dalla meccanizzazione. Tutto questo sistema grava sui contribuenti.<br />

Capitolo mult<strong>in</strong>azionali. La FAO ha affermato che "un pugno <strong>di</strong> aziende transnazionali,<br />

verticalmente <strong>in</strong>tegrate, ha guadagnato un controllo crescente sul commercio, elaborazione e ven<strong>di</strong>ta<br />

mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> alimenti… Nel 2004 le 30 maggiori catene <strong>di</strong> supermercati accumulano circa un terzo delle<br />

ven<strong>di</strong>te <strong>di</strong> alimenti sul pianeta…”. Più <strong>in</strong> generale, negli ultimi venti anni le imprese mult<strong>in</strong>azionali<br />

alimentari che <strong>di</strong>rigono le gran<strong>di</strong> catene <strong>di</strong> supermercati nel mondo, hanno avuto <strong>una</strong> crescita del 270%.<br />

Distratti, forse non ce ne siamo accorti quando, nel 1992, <strong>il</strong> presidente degli Stati Uniti aveva pronunciato<br />

questa frase: “Il successo <strong>di</strong> Wal-Mart è <strong>il</strong> successo dell’America”. Ormai la mult<strong>in</strong>azionale della<br />

<strong>di</strong>stribuzione è <strong>di</strong>ventata la più grande impresa del mondo. E la pratica del dump<strong>in</strong>g sociale, che le è valsa<br />

<strong>una</strong> multa <strong>di</strong> 172 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> dollari per aver rifiutato la pausa pranzo ai propri lavoratori, contam<strong>in</strong>a<br />

l’economia occidentale. Nel 2001 le entrate <strong>di</strong> Wal-Mart hanno superato <strong>il</strong> PIL della maggior parte dei paesi<br />

del mondo. Per avere successo paga i lavoratori <strong>il</strong> 20-30% meno rispetto ai concorrenti del settore ed è molto<br />

più avara quando si tratta <strong>di</strong> determ<strong>in</strong>are le protezioni sociali (malattia, pensione ecc.). Come succede<br />

sovente con dei padroni liberisti, poi tocca allo stato o alla carità far fronte ai danni. Ad esempio, nel 2004 un<br />

rapporto del Congresso statunitense ha stimato che ogni <strong>di</strong>pendente <strong>di</strong> Wal-Mart costava 2.103 dollari l’anno<br />

alla collettività, sotto forma <strong>di</strong> complementi d’assistenza vari (sanità, figli, casa, ecc.). Infatti, meno del 45%<br />

dei <strong>di</strong>pendenti può pagare l’assicurazione me<strong>di</strong>ca che propone loro l’azienda; <strong>il</strong> 46% dei loro figli non ha<br />

ness<strong>una</strong> protezione sociale, oppure è coperto dal programma me<strong>di</strong>co riservato agli <strong>in</strong><strong>di</strong>genti (Me<strong>di</strong>caid).<br />

Jesse Jackson, can<strong>di</strong>dato democratico alla Casa Bianca nell’84 e nell’88, ha recentemente paragonato i<br />

reparti della mult<strong>in</strong>azionale a delle piantagioni, perché gli ricordano le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro dei campi <strong>di</strong><br />

cotone del sud.<br />

Dove <strong>in</strong>vestono le <strong>in</strong>genti somme <strong>di</strong> denaro guadagnate le mult<strong>in</strong>azionali? Le re<strong>in</strong>vestono soprattutto<br />

nel settore petrolifero, perché è quello che oggi garantisce i maggiori tassi <strong>di</strong> profitto. Ad esempio si vedrà


che i loro colossali profitti sono impegnati soprattutto <strong>in</strong> megafusioni o <strong>in</strong> programmi <strong>di</strong> riacquisto <strong>di</strong> azioni.<br />

Nel 2004 la Exxon-Mob<strong>il</strong> ha speso 9,95 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari per riacquistare le sue azioni, la Chevron-Texaco<br />

2,5 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong>. Successivamente la stessa Chevron-Texaco - 13,3 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari <strong>di</strong> profitti nel 2004 - ha<br />

acquistato per 16,4 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari l’Unocal Corp. (4 apr<strong>il</strong>e 2005), un’impresa con sede <strong>in</strong> California che<br />

possiede giacimenti <strong>in</strong> Asia (Indonesia, Tha<strong>il</strong>an<strong>di</strong>a, Birmania), battendo la concorrenza della c<strong>in</strong>ese CNOOC<br />

e dell’italiana ENI, mentre la Conoco-Ph<strong>il</strong>lips ha annunciato a marzo 2005 un <strong>in</strong>vestimento <strong>di</strong> 2 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

dollari nella Luko<strong>il</strong>, <strong>il</strong> gigante energetico russo. Questi movimenti assorbono i sol<strong>di</strong> che potrebbero essere<br />

impiegati nella ricerca <strong>di</strong> nuovi giacimenti e <strong>di</strong> nuove tecnologie <strong>di</strong> estrazione. Possiamo qu<strong>in</strong><strong>di</strong> comprendere<br />

che queste gran<strong>di</strong> mult<strong>in</strong>azionali speculano, promuovono giochi f<strong>in</strong>anziari.<br />

Questo fenomeno non accadde solo nel nord del mondo. Nel 2005 gli impren<strong>di</strong>tori messicani hanno spe<strong>di</strong>to<br />

quasi 5,2 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari all’estero per acquistare o ampliare la loro partecipazione <strong>in</strong> aziende estere. In<br />

Messico durante i c<strong>in</strong>que anni <strong>di</strong> governo del Presidente Fox, la cifra dest<strong>in</strong>ata a questi scopi ha raggiunto i<br />

16 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari.<br />

Ma le mult<strong>in</strong>azionali creano lavoro? Secondo la rivista statunitense “Fortune” - non sospettab<strong>il</strong>e <strong>di</strong><br />

estremismo - nell’anno 2004, le 500 maggiori mult<strong>in</strong>azionali creavano <strong>il</strong> 57% del PIL mon<strong>di</strong>ale ed<br />

occupavano <strong>il</strong> 3,4% dei lavoratori. Non creano qu<strong>in</strong><strong>di</strong> lavoro.<br />

Portano sol<strong>di</strong> nei paesi poveri? In America Lat<strong>in</strong>a nel 1996, 78 delle 200 maggiori aziende<br />

esportatrici appartenevano ad <strong>una</strong> mult<strong>in</strong>azionale esterna alla regione. Nel 2000, erano <strong>di</strong>ventate 98 e<br />

controllavano <strong>il</strong> 66% delle esportazioni dell’area, con un aumento <strong>di</strong> quasi <strong>il</strong> 14% annuo.<br />

Le mult<strong>in</strong>azionali pensano solo alla produzione? No, <strong>in</strong> Messico e <strong>in</strong> Argent<strong>in</strong>a arrivano a controllare<br />

rispettivamente <strong>il</strong> 76,5% ed <strong>il</strong> 54,5% degli attivi statali delle banche. In Bolivia controllano l’85% dei fon<strong>di</strong><br />

pensioni, <strong>in</strong> Perù si accontentano del 78,5%, <strong>in</strong> Argent<strong>in</strong>a arrivano al 73,6% ed <strong>in</strong> Messico al 66,6%.<br />

Questi fon<strong>di</strong> vengono portati <strong>in</strong> occidente, per questo è possib<strong>il</strong>e per noi vivere ad un tale livello <strong>di</strong> vita. Vi<br />

cito un dato: negli ultimi 20 anni l’America Lat<strong>in</strong>a ha esportato annualmente verso <strong>il</strong> nord del mondo 60<br />

m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari, cifra equivalente al Piano Marshall.<br />

Per questo si emigra. Nel febbraio 2006 <strong>il</strong> M<strong>in</strong>istero degli Interni messicano ha reso noti i dati sulla<br />

popolazione residente <strong>in</strong> Messico alla f<strong>in</strong>e del 2005. La stima che si era fatta f<strong>in</strong>o a quel momento, calcolata<br />

<strong>in</strong> base al tasso <strong>di</strong> natalità e <strong>di</strong> speranza <strong>di</strong> vita, parlava <strong>di</strong> 106,4 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> abitanti. Sono risultati, <strong>in</strong>vece,<br />

103,1 m<strong>il</strong>ioni, quasi un 3% <strong>in</strong> meno. Potrebbe essere <strong>una</strong> buona notizia, se non fosse che l’unica causa della<br />

scomparsa <strong>di</strong> oltre 3 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> persone risiede nell’<strong>in</strong>cremento dell’emigrazione per motivi puramente<br />

economico-sociali, <strong>di</strong> oltre 3,3 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> persone negli ultimi 5 anni verso gli Stati Uniti. Siamo qu<strong>in</strong><strong>di</strong> <strong>in</strong><br />

pre<strong>senza</strong> <strong>di</strong> <strong>una</strong> vera e propria “fuga <strong>di</strong> cervelli”.<br />

Sempre <strong>in</strong> Messico tra <strong>il</strong> 2000 e <strong>il</strong> 2004 i sol<strong>di</strong> spe<strong>di</strong>ti dagli emigrati hanno coperto <strong>il</strong> 101% del servizio del<br />

debito estero. Ma, se i ricchi ed i loro governi si <strong>in</strong>debitano e si arricchiscono, i <strong>di</strong>sgraziati devono pagare per<br />

tutti, anche se non ne traggono alcun beneficio. Ciò non succede perché nel Messico scarseggiano i<br />

sol<strong>di</strong>…nel novembre 2005 la rivista “Fortune” ha <strong>in</strong>fatti <strong>in</strong>formato che dei 25 <strong>in</strong><strong>di</strong>vidui più ricchi<br />

dell’America Lat<strong>in</strong>a, ben 11 sono messicani.<br />

Capitolo armi. Nel 2004 si è speso <strong>in</strong> armi 1000 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong>, e stiamo parlando <strong>di</strong> costi vivi, <strong>senza</strong><br />

considerare i morti, le pensioni per le vedove, ecc.<br />

Questi 1000 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> potrebbero risolvere i problemi legati all’alimentazione ed all’istruzione dei bamb<strong>in</strong>i<br />

dei paesi poveri.<br />

A questo punto desidero citare John Maynard Keynes, un economista liberale: “Nel secolo XIX° si<br />

sv<strong>il</strong>uppò f<strong>in</strong>o a un livello stravagante <strong>il</strong> criterio che, per brevità, possiamo chiamare del tornaconto<br />

f<strong>in</strong>anziario, come test per valutare l’opportunità <strong>di</strong> <strong>in</strong>traprendere un’<strong>in</strong>iziativa sia <strong>di</strong> natura privata che<br />

pubblica. Ogni manifestazione vitale fu trasformata <strong>in</strong> <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> paro<strong>di</strong>a dell’<strong>in</strong>cubo del contab<strong>il</strong>e. Invece<br />

<strong>di</strong> ut<strong>il</strong>izzare l’immenso <strong>in</strong>cremento delle risorse materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie, si<br />

crearono i bassifon<strong>di</strong> e si pensò che fosse giusto e ragionevole farlo perché questi, secondo <strong>il</strong> criterio<br />

dell’impresa privata, «fruttavano», mentre la città delle meraviglie sarebbe stata, si pensava, un atto <strong>di</strong><br />

follia che avrebbe, nell’imbec<strong>il</strong>le l<strong>in</strong>guaggio <strong>di</strong> st<strong>il</strong>e f<strong>in</strong>anziario, ipotecato <strong>il</strong> futuro”. Basterebbe questa<br />

citazione per capire che i nostri neoliberali vivono <strong>in</strong> un altro emisfero rispetto al pensiero economico<br />

liberale classico.


Dal nostro concetto <strong>di</strong> sv<strong>il</strong>uppo sono scomparsi i concetti <strong>di</strong> giustizia, <strong>di</strong> uguaglianza e <strong>di</strong> parità. Per i<br />

ricchi c’è la giustizia, per i poveri ci sono, quando va bene, i <strong>di</strong>ritti umani.<br />

Gli economisti solitamente non hanno mai ragione. Se li ascoltate, <strong>in</strong>iziano sempre i loro ragionamenti<br />

<strong>di</strong>cendo “è molto <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e fare previsioni…”. Il fatto è che spesso gli economisti sono consapevoli <strong>di</strong><br />

<strong>in</strong>iettare fiducia, <strong>una</strong> fiducia però <strong>senza</strong> fondamenti.<br />

Capitolo <strong>di</strong>suguaglianze. Esiste un <strong>in</strong><strong>di</strong>ce per misurarle chiamato “Coefficiente <strong>di</strong> G<strong>in</strong>i”. Va da 0 a 1.<br />

Un coefficiente <strong>di</strong> G<strong>in</strong>i con valori compresi tra 0,50 e 0,70 <strong>in</strong><strong>di</strong>ca <strong>una</strong> <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to molto<br />

<strong>in</strong>eguale. Un coefficiente <strong>di</strong> G<strong>in</strong>i con valori compresi tra 0,20 e 0,35 <strong>in</strong><strong>di</strong>ca <strong>una</strong> <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to<br />

relativamente equa. In term<strong>in</strong>i tecnici, non si è mai vista ness<strong>una</strong> <strong>società</strong> dove <strong>il</strong> coefficiente <strong>di</strong> G<strong>in</strong>i fosse<br />

uguale a 0, valore che sta ad <strong>in</strong><strong>di</strong>care che ogni famiglia riceve esattamente lo stesso ammontare <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to <strong>di</strong><br />

tutte le altre.<br />

Oggi stiamo andando verso <strong>una</strong> situazione nella quale <strong>una</strong> persona avrà quasi tutto <strong>il</strong> red<strong>di</strong>to che possiede un<br />

paese. Il Rapporto ONU sullo Sv<strong>il</strong>uppo Umano del 1999 ci <strong>in</strong>formava che i primi tre m<strong>il</strong>iardari (<strong>in</strong> dollari)<br />

nella classifica della ricchezza mon<strong>di</strong>ale, possedevano ricchezze maggiori della somma dei PIL <strong>di</strong> tutti i<br />

paesi meno sv<strong>il</strong>uppati con i loro 600 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> abitanti. Poi la situazione è peggiorata: nel Rapporto 2002,<br />

l’ONU scrive che “Il livello <strong>di</strong> <strong>di</strong>suguaglianza a livello mon<strong>di</strong>ale è grottesco”; nel 2006 racconta che sulla<br />

terra abitano 6,5 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> persone, ma solo un m<strong>il</strong>iardo <strong>di</strong> queste - <strong>il</strong> 15,4% circa della popolazione<br />

complessiva, sostanzialmente gli abitanti dei paesi ricchi - detiene l’80% della ricchezza mon<strong>di</strong>ale. Nel<br />

periodo 1950-1990, preso <strong>in</strong> esame dal rapporto ONU, <strong>il</strong> red<strong>di</strong>to dei paesi ricchi si è quasi triplicato, quello<br />

dei paesi poveri è aumentato del 25,94%. Tra i 73 paesi che <strong>di</strong>spongono <strong>di</strong> statistiche affidab<strong>il</strong>i, la<br />

<strong>di</strong>suguaglianza è aumentata <strong>in</strong> 46, si è mantenuta stab<strong>il</strong>e <strong>in</strong> 16, si è ridotta <strong>in</strong> 9.<br />

Un <strong>in</strong><strong>di</strong>ce può derivare dal confronto tra i salari settimanali dei lavoratori <strong>di</strong>pendenti e le retribuzioni dei loro<br />

Chief Executive Officers (CEOs). Tra <strong>il</strong> 1973 e <strong>il</strong> 1998 a livello mon<strong>di</strong>ale i salari dei primi risultano <strong>di</strong>m<strong>in</strong>uiti<br />

del 12% <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i reali; quelli dei secon<strong>di</strong> risultano <strong>in</strong>vece aumentati del 535% negli anni ’90. In questo<br />

modo, <strong>il</strong> rapporto tra lo stipen<strong>di</strong>o degli alti <strong>di</strong>rigenti e <strong>il</strong> salario me<strong>di</strong>o dei lavoratori <strong>di</strong>pendenti è salito da 42<br />

a 1 (1980) a 475 a 1 (1999) ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e a 531 a 1 (2000). Basta tener presente questo dato per capire la vacuità<br />

<strong>di</strong> un <strong>di</strong>battito che gira tutto attorno a gran<strong>di</strong> <strong>in</strong><strong>di</strong>catori come <strong>il</strong> PIL. Perché se <strong>il</strong> rapporto salariale tra alti<br />

<strong>di</strong>rigenti e lavoratori è <strong>di</strong> 531 a 1, e la <strong>di</strong>stanza cont<strong>in</strong>ua ad aumentare, la vera posta <strong>in</strong> palio è sul come si<br />

<strong>di</strong>stribuiranno i benefici della crescita.<br />

Piccola parentesi italiana sui red<strong>di</strong>ti. Bruno Vespa, è stato pagato dalla RAI 1.193.800 <strong>di</strong> Euro tra <strong>il</strong><br />

settembre 2004 e l’agosto 2005. Fanno esattamente 159.472, 5 euro mens<strong>il</strong>i. Il suo contratto stab<strong>il</strong>isce un<br />

compenso <strong>di</strong> 1.187.800 euro per 100 puntate <strong>di</strong> Porta a Porta. Gli altri 726.000 sono extra. Tutto questo è<br />

avvenuto <strong>in</strong> un paese nel quale i metalmeccanici hanno r<strong>in</strong>novato <strong>il</strong> loro contratto con due anni <strong>di</strong> ritardo<br />

ottenendo un aumento <strong>di</strong> soli 100 Euro.<br />

Piccola parentesi <strong>in</strong>ternazionale. Gli Stati Uniti hanno un red<strong>di</strong>to pro-capite <strong>di</strong> 32.339 dollari, contro i 267<br />

dollari dei paesi più poveri (rapporto <strong>di</strong> 600 a uno).<br />

Piccola parentesi europea. Oggi l’Occidente, che si def<strong>in</strong>isce la culla della civ<strong>il</strong>tà, <strong>di</strong>mentica che nel 1800<br />

Ingh<strong>il</strong>terra e Francia - i due paesi colonialisti per eccellenza - erano gli unici che avevano un red<strong>di</strong>to<br />

superiore a In<strong>di</strong>a e C<strong>in</strong>a.<br />

Se non siamo <strong>in</strong> grado <strong>di</strong> capire questo processo gigantesco (aumento del numero <strong>di</strong> poveri, delle<br />

<strong>di</strong>suguaglianze, ecc.), non riusciremo a capire questo mondo. Dobbiamo comprendere che la produzione non<br />

deve essere solo al servizio del profitto.<br />

La realtà è che per aumentare i profitti si è deciso <strong>di</strong> aumentare la povertà. Questa è la realtà, tutto <strong>il</strong> resto<br />

sono miti. Non è vero, ad esempio, che l’Africa è povera perché è fuori dal commercio <strong>in</strong>ternazionale.<br />

Possiamo qu<strong>in</strong><strong>di</strong> capire che tutto ciò che ci <strong>di</strong>cono i mass me<strong>di</strong>a non è vero: è falso, ad esempio, che<br />

all’aumentare del PIL <strong>di</strong>m<strong>in</strong>uisca la povertà.<br />

Il “volar alto” significa “volare basso”, perché volando basso possiamo vedere le <strong>di</strong>suguaglianze<br />

reali. Tutto <strong>il</strong> resto è poesia, e non nel senso della poesia vera, perché <strong>il</strong> poeta deve essere realistico ma non<br />

si deve far r<strong>in</strong>chiudere e limitare dalla realtà cont<strong>in</strong>gente.


RIPENSANDO IL VERNACOLARE<br />

Majid Rahnema<br />

Oggi mi è stato chiesto <strong>di</strong> parlare delle <strong>società</strong> vernacolari.<br />

Vorrei com<strong>in</strong>ciare col dare un significato al term<strong>in</strong>e, per coloro che non hanno partecipato alle <strong>di</strong>scussioni<br />

precedenti. Mi risulta che fu Ivan Illich <strong>il</strong> primo a dare all’aggettivo vernacolare <strong>il</strong> senso sociologico che<br />

oggi gli attribuiamo. La parola <strong>in</strong><strong>di</strong>ca l’<strong>in</strong>sieme delle attività autonome, <strong>in</strong><strong>di</strong>pendenti dai rapporti<br />

commerciali, con le quali la gente sod<strong>di</strong>sfa <strong>il</strong> proprio fabbisogno giornaliero. In lat<strong>in</strong>o, precisa Illich,<br />

vernaculum designava tutto quello che era allevato, tessuto, coltivato, confezionato <strong>in</strong> casa, ed era<br />

contrapposto a tutto quello che ci si procurava con lo scambio. A questo titolo possiamo affermare che la<br />

l<strong>in</strong>gua vernacolare è formata da parole e sfumature sv<strong>il</strong>uppate nel proprio territorio, da chi si esprime <strong>in</strong><br />

contrapposizione a quello che viene <strong>in</strong>trodotto dall’esterno.<br />

Questo modo <strong>di</strong> vivere, orig<strong>in</strong>ario degli spazi vernacolari, costituisce l’es<strong>senza</strong> <strong>di</strong> quello che noi<br />

chiamiamo povertà <strong>conviviale</strong>, la quale, attraverso i m<strong>il</strong>lenni, ha permesso all’immensa maggioranza degli<br />

esseri umani <strong>di</strong> esorcizzare la miseria. Al giorno d’oggi m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> esseri umani vivono ancora <strong>in</strong> comunità<br />

dove prevale la povertà <strong>conviviale</strong>, ma sono d<strong>il</strong>aniati da privazioni sempre più <strong>in</strong>tollerab<strong>il</strong>i e dalle <strong>il</strong>lusioni<br />

<strong>in</strong>trodotte dalla <strong>società</strong> <strong>di</strong> consumo che nutre <strong>in</strong> loro la speranza costante <strong>di</strong> sfuggire un giorno alla miseria e<br />

alla <strong>in</strong><strong>di</strong>genza. I più giovani tra loro, attirati dalle promesse del progresso e della modernizzazione, sembrano<br />

allontanarsi sempre più da forme <strong>di</strong> vita tra<strong>di</strong>zionali. Per loro sfort<strong>una</strong> entrano così <strong>in</strong> <strong>una</strong> transizione a<br />

questo punto <strong>in</strong>evitab<strong>il</strong>e: sospesi tra <strong>una</strong> situazione fam<strong>il</strong>iare <strong>in</strong> corso <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgregazione ed un’altra futura<br />

possib<strong>il</strong>ità che <strong>in</strong>vece promette meraviglie, essi non riescono a dare <strong>il</strong> giusto valore alla ricchezza del loro<br />

passato ed alla loro cultura.<br />

Adesso vorrei darvi qualche esempio vivente <strong>di</strong> queste <strong>società</strong> cosiddette vernacolari.<br />

Vorrei com<strong>in</strong>ciare con <strong>una</strong> canzone, <strong>una</strong> f<strong>il</strong>astrocca per bamb<strong>in</strong>i che tutti cantano, molto conosciuta e molto<br />

popolare <strong>in</strong> tutte le regioni dell’Iran: “Corro, corro f<strong>in</strong>o <strong>in</strong> cima della montagna, vedo due donne, <strong>una</strong> mi dà<br />

dell’acqua, l’altra un pezzo <strong>di</strong> pane, mangio <strong>il</strong> pane e do l’acqua alla terra, la terra mi dà dell’erba, do<br />

l’erba al capretto, <strong>il</strong> capretto mi dà <strong>il</strong> suo escremento, do l’escremento al fornaio, <strong>il</strong> fornaio mi dà del fuoco,<br />

do <strong>il</strong> fuoco al fabbro, <strong>il</strong> fabbro mi dà delle forbici, do le forbici al sarto, <strong>il</strong> sarto mi dà un ‘abâ - l’ ‘abâ è un<br />

<strong>in</strong>dumento portato dai mullah - do l’ ‘abâ al mullah, <strong>il</strong> mullah mi dà un libro, do <strong>il</strong> libro a papà, papà mi dà<br />

dei datteri, mangio un dattero, ed è amaro, ne mangio un’altro ed è dolce”.<br />

Come potete vedere, questo spiega esattamente quali sono gli <strong>in</strong>visib<strong>il</strong>i rapporti <strong>in</strong> <strong>una</strong> <strong>società</strong> vernacolare,<br />

ove tutto è collegato e proporzionato alle necessità <strong>in</strong><strong>di</strong>viduali, e ciascuno, <strong>senza</strong> fare nulla <strong>di</strong> particolare,<br />

ottiene qualcosa dalla comunità.<br />

Vorrei adesso portarvi <strong>in</strong> Bras<strong>il</strong>e con un testo scritto da Dionito de Souza del Consiglio degli<br />

In<strong>di</strong>geni <strong>di</strong> Roraima.<br />

“Presso i popoli <strong>in</strong><strong>di</strong>geni non ci sono ricchi e non ci sono neanche poveri, perché i beni sono collettivi. Nelle<br />

<strong>società</strong> dei bianchi, al contrario, i beni sono sud<strong>di</strong>visi <strong>in</strong> tal modo che per forza <strong>di</strong> cose si creano i ricchi e i<br />

poveri.<br />

Tra le popolazioni <strong>in</strong><strong>di</strong>gene l’economia <strong>di</strong> sussistenza produce quello che è necessario per vivere; nella<br />

<strong>società</strong> dei bianchi <strong>in</strong>vece non ci si accontenta <strong>di</strong> produrre quello <strong>di</strong> cui si ha bisogno ma si produce sempre<br />

<strong>di</strong> più per accumulare i beni.<br />

Tra le popolazioni <strong>in</strong><strong>di</strong>gene c’è l’abitud<strong>in</strong>e <strong>di</strong> cedere all’altro, mentre nella <strong>società</strong> dei bianchi vige la legge<br />

della concorrenza. Il ricco non sa aiutare.<br />

Nelle popolazioni <strong>in</strong><strong>di</strong>gene <strong>il</strong> tempo libero è un momento comune: si crea e si gioca <strong>in</strong>sieme. Nella <strong>società</strong><br />

dei bianchi <strong>il</strong> tempo libero viene commercializzato, per <strong>di</strong>vertirsi bisogna pagare altre persone.<br />

Tra le popolazioni <strong>in</strong><strong>di</strong>gene, <strong>il</strong> lavoro può anche essere un piacere o uno scambio, <strong>in</strong>vece nella <strong>società</strong> dei<br />

bianchi, ogni cosa è isolata, settorializzata.”


Adesso an<strong>di</strong>amo a Calcutta, <strong>in</strong> In<strong>di</strong>a, con un testo preso da un libro che molti conosceranno; è un<br />

romanzo e si <strong>in</strong>titola “La Città della Gioia”.<br />

“Un giorno che mi trovavo a Calcutta, un conduttore <strong>di</strong> risciò mi ha portato <strong>in</strong> uno dei quartieri più poveri e<br />

sovrappopolati <strong>di</strong> questa città alluc<strong>in</strong>ante ove trecentom<strong>il</strong>a <strong>senza</strong> tetto vivono <strong>in</strong> strada. Il quartiere si<br />

chiama Anand Nagar, la città della gioia. Credo sia stato lo shock più grande della mia vita perché <strong>in</strong><br />

questo <strong>in</strong>ferno ho trovato più eroismo, più amore, più con<strong>di</strong>visione, più buon umore, più gioia ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e più<br />

felicità che <strong>in</strong> molte delle nostre ricche città d’occidente.<br />

Incontro gente che non ha nulla e che <strong>in</strong>vece ha tutto. In tanta bruttezza, grigiore, fango e merda, scopro<br />

più cose belle e speranza che non <strong>in</strong> molti dei nostri para<strong>di</strong>si. Scopro soprattutto che questa città <strong>di</strong>sumana<br />

ha <strong>il</strong> magico <strong>potere</strong> <strong>di</strong> fabbricare santi”.<br />

Adesso vorrei andare <strong>in</strong> Perù con un testo derivante da uno stu<strong>di</strong>o eseguito e pubblicato da Apffel-<br />

Margl<strong>in</strong> e Pratec. Così è descritto <strong>il</strong> senso <strong>di</strong> <strong>una</strong> comunità and<strong>in</strong>a da uno dei suoi rappresentanti:<br />

“Il nostro sentimento comunitario è ra<strong>di</strong>cato nella consapevolezza che è solamente appartenendo alla<br />

comunità che possiamo essere quello che siamo, sentire quello che sentiamo, gioire <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> cui gioiamo;<br />

la solitud<strong>in</strong>e non esiste <strong>in</strong> un tale mondo, qui ci conosciamo tutti, ci accompagniamo l’uno con l’altro, ci<br />

ve<strong>di</strong>amo ogni giorno; qui la vita si svolge nella simbiosi della comunità, da questo sorge <strong>il</strong> sentimento che<br />

siamo tutti <strong>in</strong>completi, poiché sappiamo bene che la nostra esistenza è possib<strong>il</strong>e solamente all’<strong>in</strong>terno <strong>di</strong><br />

questo flusso energetico della vita che è <strong>il</strong> mondo comunitario and<strong>in</strong>o”.<br />

Ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e vorrei <strong>di</strong>re <strong>una</strong> parola sull’Egitto leggendovi <strong>una</strong> testimonianza <strong>di</strong> Madre Emmanuelle, che<br />

probab<strong>il</strong>mente conoscete già. E’ <strong>una</strong> suora francese.<br />

Lei <strong>di</strong>ce: “I poveri che ho conosciuto al Cairo si nutrono <strong>in</strong> modo certamente frugale ma sostanzioso - si<br />

riferisce all’anno 2001, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> un passato molto recente - hanno vestiti semplici ma sufficienti, possiedono<br />

<strong>una</strong> capanna dove ripararsi <strong>in</strong> famiglia. Ci vivono felici perché trovano la sorgente <strong>di</strong> appagamento nel<br />

gruppo al quale appartengono, si sentono sicuri poiché sono membri <strong>di</strong> un corpo vivente che non può<br />

<strong>di</strong>saggregarsi. E’ bello esser uniti nella vita e nella morte […] Nella bidonv<strong>il</strong>le si acquista valore attraverso<br />

la nu<strong>di</strong>tà delle cose, e nella fioritura dell’<strong>in</strong>contro. Qui <strong>il</strong> tempo non scorre nel vuoto, si carica <strong>di</strong> un peso <strong>di</strong><br />

umanità, ognuno è semplicemente se stesso, ha un rapporto fam<strong>il</strong>iare con <strong>il</strong> prossimo <strong>in</strong> quanto, nella sua<br />

nu<strong>di</strong>tà, resta uomo.<br />

Tuttavia un fenomeno mi stupisce – cont<strong>in</strong>ua Madre Emmanuelle – quando sono nella bidonv<strong>il</strong>le si <strong>di</strong>rebbe<br />

che cambio pelle, perdo ogni traccia del mio ego, non ho più l’avere ma l’essere, esisto come membro <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />

parte dell’umanità con la quale respiro, mangio e dormo, penso e parlo. Sono povera <strong>di</strong> beni e ricca <strong>di</strong><br />

vitalità con<strong>di</strong>visa e gioiosa, non vivo più al mio ritmo <strong>in</strong><strong>di</strong>viduale necessariamente limitato e stretto, ma al<br />

ritmo dell’umanità dell’uomo”.<br />

Credo che potrei andare avanti così ma penso che ognuno <strong>di</strong> voi riesca a capire ciò che succede nel<br />

mondo reale <strong>di</strong> questi quattro m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> persone che la banca chiama poveri perché hanno solo uno o due<br />

dollari al massimo al giorno.<br />

Adesso vorrei chiarire alcuni concetti che mi stanno molto a cuore, ovvero la <strong>di</strong>fferenza tra la povertà –<br />

povertà <strong>conviviale</strong> – e la miseria. Credo che la <strong>di</strong>fferenza non sia solo term<strong>in</strong>ologica, ma si riscontri nella<br />

realtà della vita quoti<strong>di</strong>ana. E’ molto importante che questo tipo <strong>di</strong> povertà, povertà <strong>conviviale</strong>, non sia<br />

confusa con la miseria, con la desolazione. Oggi questa confusione è <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> nuovo strumento per<br />

combattere la povertà <strong>conviviale</strong> me<strong>di</strong>ante la creazione <strong>di</strong> <strong>il</strong>lusioni che <strong>in</strong> realtà gettano le persone <strong>in</strong> uno<br />

stato <strong>di</strong> miseria <strong>senza</strong> precedenti.<br />

Credo sia importante vedere e soprattutto comprendere quali sono le <strong>di</strong>fferenze reali tra questo modo<br />

<strong>conviviale</strong> <strong>di</strong> vivere (che poi è stato <strong>il</strong> modo <strong>di</strong> vivere <strong>di</strong> m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> persone prima dell’avvento dell’economia<br />

<strong>di</strong> mercato e della tecnologia) e quello attuale. Ivan Illich ci <strong>il</strong>lustra i c<strong>in</strong>quecento anni <strong>di</strong> guerra contro<br />

questo modo <strong>di</strong> vivere <strong>conviviale</strong>, ci racconta come la guerra contro l’economia <strong>di</strong> sussistenza sia riuscita ad<br />

eleggere <strong>il</strong> denaro ad unico “sovrano” <strong>in</strong> contrapposizione con la tra<strong>di</strong>zionale stab<strong>il</strong>ità ed <strong>il</strong> longevo<br />

equ<strong>il</strong>ibrio che permettevano <strong>di</strong> godere <strong>di</strong> quel m<strong>in</strong>imo davvero necessario per <strong>il</strong> vivere quoti<strong>di</strong>ano. Ancora<br />

Ivan ci <strong>di</strong>ce che <strong>il</strong> mito del mercato è riuscito a conv<strong>in</strong>cere la maggior parte delle persone che <strong>il</strong> denaro<br />

poteva essere un modo migliore per assicurarsi <strong>il</strong> fabbisogno, e che <strong>il</strong> letto <strong>di</strong> povertà che fungeva da<br />

sostegno ha com<strong>in</strong>ciato ad <strong>in</strong>debolirsi sempre <strong>di</strong> più e a gettare i poveri nella miseria.


“Rubando” <strong>una</strong> parola a Sp<strong>in</strong>oza potremmo def<strong>in</strong>ire la povertà come potentia, ovvero come la fonte<br />

bas<strong>il</strong>are del <strong>potere</strong> che ciascuno ha <strong>di</strong> agire e vivere; ma questa potentia viene attaccata, viene paralizzata ed<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>e <strong>di</strong>strutta. Questa è la stessa immag<strong>in</strong>e del letto <strong>di</strong> povertà o amaca <strong>di</strong> povertà che cede. Quando si<br />

arriva a <strong>di</strong>struggere <strong>il</strong> centro della vita <strong>di</strong> ogni <strong>in</strong><strong>di</strong>viduo, e facciamo sì che gli sia impossib<strong>il</strong>e preservare <strong>il</strong><br />

suo sistema immunitario, allora le persone com<strong>in</strong>ciano semplicemente a sentire <strong>di</strong> non essere più <strong>in</strong> grado <strong>di</strong><br />

provvedere al proprio fabbisogno, come se un uomo venisse buttato <strong>in</strong> mare <strong>senza</strong> saper nuotare…ed <strong>in</strong><br />

questo caso l’unico modo per salvarlo è gettargli un salvagente.<br />

Attualmente l’imperativo dell’economia moderna è che, se vogliamo salvare questi quattro m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> persone che posseggono meno <strong>di</strong> due dollari al giorno, dobbiamo produrre <strong>di</strong> più. E’ la cosiddetta<br />

“s<strong>in</strong>drome della torta”: perché se vogliamo che tutti abbiano <strong>una</strong> fetta <strong>di</strong> torta, questa deve essere più grande,<br />

altrimenti non ne avremmo a sufficienza. In quest’ottica è qu<strong>in</strong><strong>di</strong> necessario massimizzare la produzione.<br />

In realtà l’economia si comporta come un Giano bifronte. Naturalmente è vero che l’economia<br />

mon<strong>di</strong>ale ha compiuto meravigliosi progressi <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i <strong>di</strong> pura produttività, dato che quello che viene<br />

prodotto adesso potrebbe nutrire tra i nove ed i do<strong>di</strong>ci m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> persone, <strong>il</strong> che equivale a quasi <strong>il</strong> doppio<br />

della popolazione mon<strong>di</strong>ale. Nonostante questo, si <strong>di</strong>mentica che - man mano che questa torta <strong>di</strong>venta<br />

sempre più grande per sod<strong>di</strong>sfare <strong>il</strong> fabbisogno delle persone che la vogliono mangiare - essa viene prodotta<br />

a danno dei m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> piccole torte che la gente produceva per se stessa e delle torte prodotte localmente con<br />

i mezzi che queste persone possedevano. Oggi queste persone, a causa della produzione della maxi-torta,<br />

sono private dei loro mezzi per cuc<strong>in</strong>are le loro piccole torte. Questa è la trage<strong>di</strong>a, <strong>una</strong> trage<strong>di</strong>a che oggi<br />

viene accantonata perché siamo affasc<strong>in</strong>ati dal concetto <strong>di</strong> “produrre <strong>di</strong> più”, che ormai ci sembra ormai un<br />

fatto normale.<br />

Ma gli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> questa materia sanno che, per esempio, durante gli anni ottanta, <strong>in</strong> Somalia e<br />

nell’Egitto meri<strong>di</strong>onale, m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> persone stavano veramente soffrendo e anche morendo <strong>di</strong> fame.<br />

Nonostante questo i paesi producevano cibi per gli animali domestici occidentali. L’<strong>in</strong>tero sistema è talmente<br />

perverso che non va a sod<strong>di</strong>sfare <strong>il</strong> fabbisogno della gente, <strong>di</strong> quelle persone che hanno bisogno del cibo più<br />

<strong>di</strong> chiunque altro, ma va a sod<strong>di</strong>sfare i bisogni fabbricati dalla nuova economia.<br />

So che i miei amici hanno molte altre cose da <strong>di</strong>re su questo tema, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> arrivo alla conclusione.<br />

Dal mio punto <strong>di</strong> vista le risposte al problema della cosiddetta povertà - che io def<strong>in</strong>irei piuttosto produzione<br />

<strong>di</strong> miseria e scarsità - non si trovano nel rafforzare la macch<strong>in</strong>a che ha prodotto tale desolazione, ma forse <strong>in</strong><br />

un nuovo tipo <strong>di</strong> sforzo <strong>in</strong><strong>di</strong>viduale e collettivo mirato ad aiutare tutti quanti. E <strong>di</strong>cendo “tutti quanti” <strong>in</strong>tendo<br />

ognuno <strong>di</strong> noi qui presente, che <strong>senza</strong> saperlo, <strong>di</strong>rettamente o <strong>in</strong><strong>di</strong>rettamente, partecipa alla produzione <strong>di</strong><br />

questa scarsità fabbricata. La strada per ricreare nuove, conviviali e semplici forme <strong>di</strong> vita basate su<br />

ricchezze def<strong>in</strong>ite eticamente sarà sicuramente lunga e <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e da trovare.<br />

Credo che ci saranno molte persone <strong>di</strong> buona volontà che vorranno affrontare questa sfida <strong>in</strong> un<br />

modo completamente nuovo, con altri mezzi: non attraverso i vecchi strumenti per impadronirsi del <strong>potere</strong>,<br />

non aumentando <strong>il</strong> <strong>potere</strong> con cui imporsi alle persone, non usando <strong>il</strong> <strong>potere</strong> dei mezzi <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione come<br />

armamenti e sim<strong>il</strong>i, ma cambiando i para<strong>di</strong>gmi culturali che oggi dom<strong>in</strong>ano le nostre <strong>società</strong>.<br />

L’<strong>in</strong>tervento non è stato rivisto dal relatore


LA SOCIETA’ AUTONOMA E CONVIVIALE E LA DECRESCITA<br />

Serge Latouche<br />

Ho scelto questo titolo <strong>in</strong> omaggio ad Ivan Illich, ma anche a Cornelius Castoria<strong>di</strong>s - grande<br />

pensatore greco-francese - e a Raimon Panikkar, teologo catalano <strong>in</strong><strong>di</strong>ano.<br />

In un bell’articolo uscito al momento della morte <strong>di</strong> Ivan su “Le Monde”, <strong>in</strong>titolato “Ivan Illich: la<br />

buona notizia”, Jean-Pierre Dupuis, un suo <strong>di</strong>scepolo, scriveva che c’è <strong>una</strong> buona notizia, perchè la r<strong>in</strong>uncia<br />

al nostro modello <strong>di</strong> vita non è affatto la r<strong>in</strong>uncia a qualcosa <strong>di</strong> <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>secamente buono. Dobbiamo fare come<br />

quando ci asteniamo dal mangiare <strong>una</strong> pietanza, cont<strong>in</strong>ua Dupuis, per evitare i rischi che questa potrebbe<br />

comportare. Di fatto quella pietanza è pessima, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> noi staremmo meglio se r<strong>in</strong>unciassimo a mangiarla.<br />

Dobbiamo vivere <strong>di</strong>versamente per vivere meglio.<br />

Illich non ha mai usato la parola “decrescita” <strong>in</strong> maniera esplicita, tuttavia durante un convegno dal<br />

titolo “Disfare lo sv<strong>il</strong>uppo, rifare <strong>il</strong> mondo” - tenutosi a Parigi presso la sede dell’UNESCO nel marzo 2002 -<br />

citò implicitamente questo concetto. Jean-Pierre Dupuis <strong>in</strong> un suo articolo ricordava che già negli anni ’70<br />

Illich affermava che la nostra crescita non era sostenib<strong>il</strong>e.<br />

Voglio ora parlarvi della “Parabola della lumaca” <strong>di</strong> Illich, parabola che riassume <strong>il</strong> concetto della decrescita.<br />

La lumaca costruisce la delicata architettura della sua conchiglia aggiungendo l’<strong>una</strong> dopo l’altra, spirali<br />

sempre più allargate. Poi si ferma e me<strong>di</strong>ante alcune operazione rimpicciolisce la sua conchiglia. La ragione<br />

è che un’unica spirale ancora più allargata darebbe alla conchiglia <strong>una</strong> <strong>di</strong>mensione 16 volte più grande, ma<br />

non contribuirebbe a migliorare <strong>il</strong> suo benessere. Questa grossa conchiglia sovraccaricherebbe l’animale, che<br />

sarebbe costretto ad aumentare la sua produttività solo per rime<strong>di</strong>are alle <strong>di</strong>fficoltà create dall’aumento <strong>di</strong><br />

peso, al <strong>di</strong> là dei limiti fissati dalle sue f<strong>in</strong>alità. Oltrepassato questo limite, i problemi legati alla crescita<br />

spropositata si moltiplicano secondo <strong>una</strong> progressione geometrica, mentre la capacità biologica della lumaca<br />

non può seguire <strong>una</strong> progressione geometrica. Questo “<strong>di</strong>vorzio” della lumaca dalla ragione geometrica, ci<br />

mostra la strada per pensare ad <strong>una</strong> <strong>società</strong> della decrescita serena e <strong>conviviale</strong>.<br />

Il progetto <strong>di</strong> costruzione <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>società</strong> autonoma <strong>in</strong>contra paradossalmente un largo consenso anche<br />

se i suoi fautori si schierano sotto <strong>di</strong>verse ban<strong>di</strong>ere: decrescita, antiproduttivismo, sv<strong>il</strong>uppo riqualificato,<br />

sv<strong>il</strong>uppo sostenib<strong>il</strong>e, ecc.<br />

Lo slogan antiproduttivista coniato dai ver<strong>di</strong> corrisponde esattamente a ciò che gli “obiettori della crescita”<br />

<strong>in</strong>tendono per decrescita. Di fatto l’accordo sui valori resi auspicab<strong>il</strong>i dalla necessaria rivalutazione va ben<br />

oltre i fautori della decrescita, visto che alcuni sostenitori dello sv<strong>il</strong>uppo sostenib<strong>il</strong>e o alternativo avanzano<br />

proposte sim<strong>il</strong>ari. Ad esempio le misure <strong>di</strong> autolimitazione preconizzate già nel 1975 sono le stesse <strong>di</strong> quelle<br />

<strong>di</strong> alcuni sostenitori attuali della crescita, come limitare <strong>il</strong> consumo <strong>di</strong> carne, cont<strong>in</strong>gentare <strong>il</strong> consumo <strong>di</strong><br />

petrolio, ut<strong>il</strong>izzare i fabbricati <strong>in</strong> modo più economico, produrre beni <strong>di</strong> consumo più durevoli, sopprimere<br />

l’uso delle auto private, ecc.<br />

Tutti concordano sulla necessità <strong>di</strong> <strong>una</strong> forte riduzione del fabbisogno ecologico e sottoscriverebbero<br />

volentieri quanto era scritto nel rapporto del Club <strong>di</strong> Roma del 1970, che, riecheggiando ciò che <strong>di</strong>ceva John<br />

Stuart M<strong>il</strong>l nell’800, sosteneva che tutte le attività umane che non conducono ad un consumo irragionevole<br />

<strong>di</strong> materiali <strong>in</strong>sostituib<strong>il</strong>i o che non degradano irreversib<strong>il</strong>mente l’ambiente potrebbero sv<strong>il</strong>upparsi<br />

all’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito. In particolare le attività da molti ritenute tra le più auspicab<strong>il</strong>i come educazione, arte, religione,<br />

ricerca fondamentale, sport e relazioni umane potrebbero <strong>di</strong>ventare fiorenti.<br />

An<strong>di</strong>amo oltre. Oggi chi si schiera contro la salvaguar<strong>di</strong>a del pianeta e contro la tutela ambientale?<br />

Chi preconizza la deregolamentazione climatica e la <strong>di</strong>struzione dello strato <strong>di</strong> ozono? Ci sono ad<strong>di</strong>rittura<br />

<strong>di</strong>rigenti <strong>di</strong> aziende, quadri superiori e responsab<strong>il</strong>i economici favorevoli ad un ra<strong>di</strong>cale cambiamento <strong>di</strong><br />

l<strong>in</strong>ea politica per evitare crisi ecologiche e sociali. Il problema è che Bush e Berlusconi, passando da Chirac,<br />

Blair e Pro<strong>di</strong>, pensano che la crescita sia ut<strong>il</strong>e al mondo attuale. Occorre qu<strong>in</strong><strong>di</strong> <strong>in</strong><strong>di</strong>viduare con maggiore<br />

precisione gli avversari del programma politico della decrescita, bisogna def<strong>in</strong>ire gli ostacoli che si<br />

oppongono alla sua attuazione, è necessario costruire la forma politica <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>società</strong> ecocompatib<strong>il</strong>e.<br />

Citando Len<strong>in</strong>, potremmo <strong>di</strong>re che bisogna <strong>in</strong><strong>di</strong>viduare i “nemici del popolo”. Oggi dare un volto


all’avversario è molto problematico, perché le entità economiche come le <strong>società</strong> mult<strong>in</strong>azionali che<br />

detengono <strong>il</strong> <strong>potere</strong>, sono, per loro stessa natura, anonime.<br />

La manipolazione della pubblicità è molto più <strong>in</strong>si<strong>di</strong>osa della propaganda politica. In queste<br />

con<strong>di</strong>zioni, come è possib<strong>il</strong>e affrontare politicamente “la megamacch<strong>in</strong>a”, ovvero <strong>il</strong> nemico <strong>senza</strong> volto? La<br />

risposta scontata dell’estrema s<strong>in</strong>istra è che la fonte <strong>di</strong> tutti i mali è <strong>il</strong> capitalismo, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> dobbiamo uscire da<br />

questo sistema, altrimenti non saranno possib<strong>il</strong>i miglioramenti. Ma noi non dobbiamo cadere <strong>in</strong> dogmatismi<br />

che ci impe<strong>di</strong>rebbero <strong>di</strong> vedere e valutare <strong>in</strong> maniera razionale gli ostacoli che si pongono davanti a noi. Il<br />

Wuppertal Institute <strong>di</strong> Wolfgang Sachs e <strong>il</strong> World Watch si sono adoperati a proporre “giochi” tra natura e<br />

capitalismo dove tutti v<strong>in</strong>cono (<strong>in</strong> <strong>in</strong>glese w<strong>in</strong> w<strong>in</strong> strategies). La più conosciuta <strong>di</strong> queste strategie riguarda<br />

<strong>il</strong> risparmio energetico, che prevede <strong>di</strong> <strong>di</strong>m<strong>in</strong>uire <strong>il</strong> consumo <strong>di</strong> energia del 25% <strong>senza</strong> per questo abbassare <strong>il</strong><br />

livello <strong>di</strong> vita. Tasse, norme, <strong>in</strong>centivi e sovvenzioni potrebbero rendere attrattivi i comportamenti virtuosi ed<br />

evitare <strong>in</strong>genti sperperi. Ad esempio <strong>in</strong> Germania sono stati sperimentati con esiti positivi vari sistemi <strong>di</strong><br />

valorizzazione degli immob<strong>il</strong>i, <strong>il</strong> cui valore viene calcolato non tanto con i parametri tra<strong>di</strong>zionali, quanto<br />

sull’efficacia energetica delle costruzioni. Per <strong>una</strong> vasta serie <strong>di</strong> beni - fotocopiatrici, automob<strong>il</strong>i, ecc. - <strong>il</strong><br />

noleggio potrebbe sostituirsi alla proprietà ed evitare la corsa sfrenata alla nuova produzione, agevolando<br />

così un riciclaggio permanente. Comunque nulla prova che così facendo si riuscirebbe ad evitare <strong>il</strong><br />

cosiddetto “effetto rimbalzo”, ovvero l’aumento del consumo della materia.<br />

Un capitalismo ecocompatib<strong>il</strong>e mi sembra teoricamente concepib<strong>il</strong>e, ma irrealistico sul piano pratico.<br />

Infatti esso implicherebbe <strong>una</strong> forte regolamentazione, fosse solo per imporre la riduzione del fabbisogno<br />

ecologico. Dom<strong>in</strong>ato da forti <strong>società</strong> transnazionali, <strong>il</strong> capitalismo non prenderà autonomamente la via<br />

virtuosa dell’ecocapitalismo; non r<strong>in</strong>uncerà alla rap<strong>in</strong>a <strong>in</strong> as<strong>senza</strong> <strong>di</strong> v<strong>in</strong>coli forti , perché l’ossessione della<br />

massimizzazione del profitto non è controllab<strong>il</strong>e.<br />

Se qualche istituzione avesse questo <strong>potere</strong> <strong>di</strong> regolamentazione, avrebbe un <strong>potere</strong> tout court, e potrebbe<br />

ridef<strong>in</strong>ire le regole del gioco sociale, rifondando la <strong>società</strong>. Certamente possiamo augurarci <strong>una</strong> certa<br />

limitazione del <strong>potere</strong> ad opera del <strong>potere</strong> stesso, come è accaduto nel periodo delle regolamentazioni<br />

keynesiane, for<strong>di</strong>ste e socialdemocratiche.<br />

La lotta <strong>di</strong> classe oggi sembra bloccata, <strong>il</strong> problema è che <strong>il</strong> capitale ne è uscito v<strong>in</strong>citore, arraffando tutta la<br />

posta <strong>in</strong> gioco. Abbiamo assistito impotenti e forse <strong>in</strong><strong>di</strong>fferenti agli ultimi giorni della classe operaia<br />

occidentale ed oggi stiamo assistendo alla mercificazione del mondo. Ma dobbiamo reagire, perché <strong>il</strong><br />

capitalismo generalizzato non può non <strong>di</strong>struggere <strong>il</strong> pianeta, così come <strong>di</strong>strugge la <strong>società</strong>. Questo avviene<br />

perché le basi immag<strong>in</strong>arie della <strong>società</strong> <strong>di</strong> mercato poggiano sul gigantismo, sulla dom<strong>in</strong>azione <strong>senza</strong> freni e<br />

sulla ragione geometrica.<br />

Dunque <strong>una</strong> <strong>società</strong> della decrescita non può essere concepita se non si esce dal capitalismo. La<br />

formula “uscita del capitalismo” si riferisce ad <strong>una</strong> evoluzione storica tutt’altro che semplice, perchè<br />

l’elim<strong>in</strong>azione dei capitalisti, <strong>il</strong> <strong>di</strong>vieto della proprietà privata degli strumenti <strong>di</strong> produzione, l’abolizione del<br />

rapporto salariale o del denaro, getterebbero la <strong>società</strong> nel caos ed <strong>in</strong> preda ad un terrorismo massiccio che<br />

tuttavia non basterebbe a <strong>di</strong>struggere l’immag<strong>in</strong>ario mercant<strong>il</strong>ista. Sfuggire alla crescita non significa qu<strong>in</strong><strong>di</strong><br />

r<strong>in</strong>unciare a tutte le istituzioni sociali che l’economia ha portato con sé (moneta, mercati, ecc.), ma a<br />

reimpostarli secondo un’altra logica.<br />

Che fare allora? Riforma o rivoluzione? Alcune misure semplici, ad<strong>di</strong>rittura apparentemente ovvie,<br />

possono dare avvio al circolo virtuoso della decrescita.<br />

Sarebbe sufficiente un programma riformista <strong>di</strong> transizione. Provo ad elencare alcuni punti:<br />

1. pensare ad un fabbisogno ecologico uguale o <strong>in</strong>feriore alla superficie del pianeta. Questo permetterebbe a<br />

tutti <strong>di</strong> sopravvivere, tornando ad <strong>una</strong> produzione materiale sui livelli <strong>di</strong> quella degli anni ’60-’70;<br />

2. <strong>in</strong>ternalizzare i costi del trasporto;<br />

3. trasformare i guadagni <strong>di</strong> produttività <strong>in</strong> riduzioni del tempo <strong>di</strong> lavoro e crescita dell’occupazione;<br />

4. restaurare l’agricoltura contad<strong>in</strong>a;<br />

5. stimolare la produzione <strong>di</strong> beni relazionali;<br />

6. ridurre lo spreco <strong>di</strong> energia;<br />

7. penalizzare fortemente le spese <strong>di</strong> pubblicità;<br />

8. decretare <strong>una</strong> moratoria sull’<strong>in</strong>novazione tecnologica, orientando la ricerca scientifica e tecnica <strong>in</strong><br />

funzione delle nuove aspirazioni;


Questo ultimo punto riprende quando detto da Cornelius Castoria<strong>di</strong>s, che si chiedeva come tracciare<br />

un limite. Per la prima volta <strong>in</strong>fatti - secondo Castoria<strong>di</strong>s - <strong>in</strong> <strong>una</strong> <strong>società</strong> non religiosa è stata affrontato <strong>il</strong><br />

tema del controllo dell’espansione del sapere stesso. Ma come farlo <strong>senza</strong> <strong>una</strong> <strong>di</strong>ttatura sugli spiriti liberi? E’<br />

possib<strong>il</strong>e far questo, secondo Castoria<strong>di</strong>s, seguendo alcune tappe:<br />

1. “non vogliamo - <strong>di</strong>ce Castoria<strong>di</strong>s – un’espansione <strong>il</strong>limitata ed <strong>in</strong>sensata della produzione. Vogliamo<br />

un’economia che sia un mezzo e non <strong>il</strong> f<strong>in</strong>e della vita umana”.<br />

2. “Vogliamo un’espansione libera del sapere, ma un’espansione ragionevole, non razionale”.<br />

Ho fatto anch’io un sogno, ho sognato <strong>di</strong> presentarmi alle prossime elezioni presidenziali <strong>in</strong> Francia.<br />

E presentavo un programma, sv<strong>il</strong>uppato <strong>in</strong> nove punti. Ma poi ho sognato che sarei stato assass<strong>in</strong>ato dopo<br />

<strong>una</strong> settimana…e qu<strong>in</strong><strong>di</strong> non mi presentavo…<br />

Il programma <strong>di</strong> <strong>una</strong> politica della decrescita è paradossale, perché l’attuazione <strong>di</strong> proposte realistiche e<br />

ragionevoli ha scarse probab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> avere successo e meno ancora <strong>di</strong> riuscire <strong>senza</strong> <strong>una</strong> sovversione totale<br />

che passa attraverso la realizzazione <strong>di</strong> un’utopia: la costruzione <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>società</strong> alternativa. Questo a sua volta<br />

implica <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite misure particolareggiate, ossia quello che Marx si rifiutava <strong>di</strong> fare.<br />

Pren<strong>di</strong>amo ad esempio <strong>il</strong> caso dello smantellamento delle <strong>società</strong> transnazionali giganti. Imme<strong>di</strong>atamente si<br />

pongono <strong>in</strong>f<strong>in</strong>iti <strong>in</strong>terrogativi: quali <strong>società</strong> vanno smantellate? F<strong>in</strong>o a che <strong>di</strong>mensione? La <strong>di</strong>mensione va<br />

calcolata secondo <strong>il</strong> fatturato o secondo <strong>il</strong> numero <strong>di</strong> addetti? Come assorbire i macrosistemi tecnici <strong>in</strong> unità<br />

<strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni? Dobbiamo escludere alcuni tipi <strong>di</strong> attività?<br />

Anche Illich aveva riflettuto su questo problema. Pensava che ci fossero strumenti conviviali ed altri<br />

che non lo sono e non potranno mai esserlo. Certi strumenti - <strong>di</strong>ceva Illich - sono sempre <strong>di</strong>struttivi,<br />

qualunque sia la mano che li governa, che sia la Mafia, <strong>una</strong> <strong>di</strong>tta mult<strong>in</strong>azionale, lo Stato o anche un<br />

collettivo <strong>di</strong> lavoratori. Questo vale, secondo Illich, per le reti autostradali a corsie multiple, per le m<strong>in</strong>iere o<br />

per la scuola. Lo strumento <strong>di</strong>struttivo accresce l’uniformazione, la <strong>di</strong>pendenza, lo sfruttamento e<br />

l’impotenza toglie al povero la sua parte <strong>di</strong> convivialità per rendere i ricchi ancora più ciechi.<br />

Dobbiamo essere coscienti che la decrescita è necessaria alle democrazie consumistiche, perché <strong>in</strong><br />

<strong>una</strong> prospettiva <strong>di</strong> consumo <strong>di</strong> massa, le <strong>di</strong>suguaglianze sarebbero <strong>in</strong>sopportab<strong>il</strong>i. Già lo stanno <strong>di</strong>ventando a<br />

causa della crisi dell’economia <strong>di</strong> crescita. La tendenza al livellamento delle con<strong>di</strong>zioni è <strong>il</strong> fondamento<br />

immag<strong>in</strong>ario delle <strong>società</strong> moderne.<br />

Le <strong>di</strong>suguaglianze si accettano solo provvisoriamente, perché l’accesso ai beni priv<strong>il</strong>egiati <strong>di</strong> ieri sia oggi<br />

generalizzato e perché quello che oggi è lusso domani sia accessib<strong>il</strong>e a tutti. Per questa ragione molti<br />

dubitano delle capacità delle <strong>società</strong> democratiche <strong>di</strong> prendere le misure che si pongono, vedendo come via<br />

d’uscita quella <strong>di</strong> <strong>una</strong> democrazia autoritaria (ecofascismo o ecototalitarismo).<br />

Di fronte alla prospettiva <strong>di</strong> abbandonare <strong>il</strong> livello <strong>di</strong> vita attuale, le masse del nord sarebbero pronte ad<br />

abbandonarsi ai demagoghi che promettono <strong>di</strong> preservare lo st<strong>il</strong>e <strong>di</strong> vita o<strong>di</strong>erno.<br />

Ben <strong>di</strong>versa è la scommessa della decrescita. Pensiamo che <strong>il</strong> fasc<strong>in</strong>o dell’utopia <strong>conviviale</strong><br />

coniugato con <strong>il</strong> peso dei v<strong>in</strong>coli del cambiamento, possa favorire <strong>una</strong> decolonizzazione dell’immag<strong>in</strong>ario e<br />

suscitare un numero sufficiente <strong>di</strong> comportamenti virtuosi <strong>in</strong> favore <strong>di</strong> <strong>una</strong> soluzione favorevole che<br />

possiamo chiamare “democrazia ecologica locale”. La rivitalizzazione del locale costituisce <strong>una</strong> via serena<br />

verso la decrescita. Il sogno <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ista <strong>di</strong> <strong>una</strong> umanità unificata per la gestione pacifica del pianeta sfugge<br />

così alla serie delle false buone idee veicolate dall’etnocentrismo occidentale corrente, perché la <strong>di</strong>versità<br />

delle culture costituisce la con<strong>di</strong>zione essenziale <strong>di</strong> un commercio sociale tranqu<strong>il</strong>lo.<br />

E’ probab<strong>il</strong>e che la democrazia possa funzionare solo se la polis è <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni - come <strong>Lucca</strong> - e<br />

saldamente ancorata ai propri valori. Serve <strong>una</strong> rete <strong>di</strong> piccole città, reti <strong>di</strong> nuovi municipi. Si <strong>di</strong>rà che questa<br />

è un’utopia…ma certo! Abbiamo bisogno <strong>di</strong> utopie, ma l’utopia locale è più realistica <strong>di</strong> quanto si pensi,<br />

perché è dal vissuto concreto dei cittad<strong>in</strong>i che nascono le attese e le possib<strong>il</strong>ità.<br />

In <strong>una</strong> visione pluriversalista - che ho sv<strong>il</strong>uppato dopo Panikkar - <strong>in</strong> contrasto con la visione<br />

universalistica, dovrebbero esserci reti <strong>di</strong> unità politiche all’<strong>in</strong>terno del v<strong>il</strong>laggio planetario, reti<br />

democratiche e culturali; lontano da un governo mon<strong>di</strong>ale.


L’alternativa ad un governo mon<strong>di</strong>ale sarebbe la bioregione, vale a <strong>di</strong>re le regioni naturali dove le piante, gli<br />

animali, le acque e gli uom<strong>in</strong>i, formano un <strong>in</strong>sieme unico e armonioso. Bisognerebbe giungere ad un mito<br />

che consenta la repubblica universale <strong>senza</strong> co<strong>in</strong>volgere né governi né polizia. Questo richiederebbe altri<br />

rapporti tra le bioregioni.<br />

La creazione <strong>di</strong> <strong>in</strong>iziative locali democratiche è più realistica <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> <strong>una</strong> democrazia mon<strong>di</strong>ale.<br />

Se è escluso che si possa rovesciare frontalmente la dom<strong>in</strong>azione del capitale e delle potenze economiche,<br />

rimane la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> scegliere <strong>il</strong> <strong>di</strong>ssenso, proprio come hanno fatto gli zapatisti.


AFFRONTARE CRITICAMENTE IL MONDO DELLA TECNOSCIENZA<br />

Don Ach<strong>il</strong>le Rossi<br />

Un tema così ampio e delicato richiederebbe competenze molto <strong>di</strong>verse dalle mie per essere trattato<br />

<strong>in</strong> maniera adeguata. L’unica cosa che posso fare è esporre <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> reazioni e <strong>di</strong> pensieri che richiedono<br />

un prolungamento e <strong>una</strong> correzione critica da parte dei lettori.<br />

Il mito contemporaneo - Il mondo della tecnoscienza rappresenta <strong>il</strong> mito della contemporaneità, l’orizzonte<br />

entro <strong>il</strong> quale viviamo <strong>senza</strong> però esserne riflessivamente consapevoli. Il mito, nel senso che attribuisco a<br />

questa parola, è ciò che cre<strong>di</strong>amo <strong>senza</strong> credere <strong>di</strong> crederci. La sua forza consiste esattamente nel darlo per<br />

scontato, nel non provare alc<strong>una</strong> necessità <strong>di</strong> analizzarlo o <strong>di</strong> oltrepassarlo. Ogni essere umano pensa e parla,<br />

<strong>senza</strong> esserne cosciente, all’<strong>in</strong>terno <strong>di</strong> un orizzonte <strong>in</strong> cui si collocano i suoi pensieri e le sue parole<br />

Rubo a Panikkar un esempio che mi sembra particolarmente <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ante. Immag<strong>in</strong>iamo un vicolo<br />

napoletano, con due donne affacciate alla f<strong>in</strong>estra che parlano l’<strong>una</strong> <strong>di</strong> fronte all’altra. Ogn<strong>una</strong> delle due vede<br />

<strong>il</strong> vano da cui parla l’altra, ma non vede <strong>il</strong> proprio perché sta alle sue spalle. Ecco, questa è la situazione<br />

normale del mito, che ci permette <strong>di</strong> scorgere l’orizzonte dell’altro <strong>senza</strong> essere consapevoli del proprio.<br />

Ogni cultura, come ogni persona, vive <strong>di</strong> un mito del quale non ha coscienza. Quando <strong>il</strong> mito <strong>in</strong>izia a essere<br />

conosciuto, si trasforma <strong>in</strong> <strong>una</strong> conoscenza e viene sostituito da un altro mito.<br />

La vita umana è qu<strong>in</strong><strong>di</strong> fondata su qualcosa <strong>di</strong> non conosciuto, e meno male! Perché se dovessimo conoscere<br />

tutto, cadremmo <strong>in</strong> quella mania <strong>di</strong> onnipotenza che Freud riconosce come uno dei segni del <strong>di</strong>sagio psichico<br />

e che conduce l’essere umano alla <strong>di</strong>struzione. Il mito dunque è necessario anche per <strong>il</strong> nostro equ<strong>il</strong>ibrio<br />

psicologico.<br />

Il mito della nostra modernità è <strong>il</strong> mito scientifico. Il l<strong>in</strong>guaggio è rivelativo nel sottol<strong>in</strong>eare la forza<br />

del mito contemporaneo. Pensiamo a quando chiu<strong>di</strong>amo <strong>una</strong> <strong>di</strong>scussione affermando:“ma è scientificamente<br />

provato!”, oppure “lo <strong>di</strong>ce la scienza!”. È lo stesso atteggiamento degli antichi quando si tr<strong>in</strong>ceravano <strong>di</strong>etro<br />

<strong>il</strong> detto: “Roma locuta, causa f<strong>in</strong>ita” (Roma ha parlato <strong>il</strong> caso è chiuso), oppure <strong>di</strong>etro <strong>il</strong> classico “Ipse <strong>di</strong>xit”<br />

(l’ha detto Aristotele).<br />

Ma sono gli altri a scorgere <strong>il</strong> nostro mito, non noi che ci viviamo e lo <strong>di</strong>amo per scontato (come ci<br />

<strong>in</strong>segna la parabola <strong>di</strong> Panikkar). Gli altri leggono <strong>il</strong> nostro mito e noi <strong>il</strong> loro. Noi <strong>di</strong>ciamo: “guarda gli arabi<br />

come sono violenti!”, e gli arabi <strong>di</strong>cono: “guarda gli occidentali come sono immorali!”. Un mio amico<br />

islamico nel corso <strong>di</strong> un convegno ci spiegava che <strong>il</strong> “popol<strong>in</strong>o” dei paesi arabi pensa che gli occidentali<br />

siano solo “immoralità e Coca Cola”. Questa è la forza degli stereotipi.<br />

Relativizzare <strong>il</strong> mondo tecnoscientifico - Affrontare criticamente <strong>il</strong> mondo della tecnoscienza significa vedere<br />

<strong>il</strong> limite della cosmovisione scientifica. Noi oggi siamo nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> poter ammettere che la<br />

cosmovisione scientifica è <strong>una</strong> delle chiavi per leggere <strong>il</strong> mondo, ma non è l’unica. Questo mi pare molto<br />

<strong>in</strong>teressante, perché così possiamo prendere coscienza dei nostri limiti. Il mondo tecnoscientifico non va<br />

<strong>di</strong>sprezzato né demonizzato, ma solo relativizzato, non considerato come un assoluto.<br />

La conoscenza tecnico-scientifica non rappresenta la totalità del conoscere, e meno ancora la totalità<br />

dell’umano. Qui si tratta <strong>di</strong> prendere le <strong>di</strong>stanze dallo scientismo, <strong>il</strong> quale vorrebbe che l’uomo si affidasse<br />

completamente alla scienza, l’unica a poterci fornire la chiave della realtà. La scienza, <strong>di</strong>versamente<br />

dall’antichità <strong>in</strong> cui era concepita come conoscenza salvifica, oggi equivale a conoscenza razionale e<br />

concettuale, come <strong>di</strong>mostra anche l’etimologia della parola. La ratio era <strong>in</strong>fatti la pertica con cui si<br />

prendevano le misure, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> la conoscenza razionale è la conoscenza <strong>di</strong> misurazione: ratio sive mensura, la<br />

ragione ossia la misura.<br />

Sappiamo che la capacità conoscitiva è molto più ampia della ragione e <strong>in</strong>clude <strong>una</strong> conoscenza che<br />

ha perso quota <strong>in</strong> Occidente, ovvero la conoscenza per partecipazione o conoscenza simbolica. Questa non è<br />

<strong>una</strong> forma <strong>di</strong> conoscenza m<strong>in</strong>ore, ma semplicemente quella <strong>in</strong> cui non c’è separazione tra conoscente e


conosciuto, tra soggetto e oggetto. Prima dell’avvento della scienza moderna questa forma <strong>di</strong> conoscenza era<br />

molto valorizzata e significativa. Il simbolo <strong>in</strong>fatti permette <strong>una</strong> conoscenza per partecipazione. Di questa<br />

forma <strong>di</strong> conoscenza simbolica è rimasta traccia nell’etimologia delle parole. In francese connaissance è <strong>il</strong><br />

nascere <strong>in</strong>sieme: soggetto e oggetto nascono <strong>in</strong>sieme, tra loro qu<strong>in</strong><strong>di</strong> non c’è frattura.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista religioso la conoscenza simbolica è molto importante. Le vicende e le<br />

<strong>di</strong>savventure della religiosità contemporanea <strong>di</strong>pendono dall’aver <strong>di</strong>menticato la forza conoscitiva del<br />

simbolo. In Oriente si <strong>di</strong>ce: “non puoi conoscere Dio <strong>senza</strong> <strong>di</strong>ventare Dio”. La conoscenza è qu<strong>in</strong><strong>di</strong> percorso,<br />

trasformazione, <strong>una</strong> conoscenza salvifica e non tecnico-scientifica. Bisognerebbe rivalutare la conoscenza<br />

simbolica, perché capire non significa solo, per usare l’etimologia lat<strong>in</strong>a, comprehendere, “prendere<br />

<strong>in</strong>sieme” o, come <strong>in</strong> tedesco, greifen, afferrare. Capire significa trasformarsi.<br />

Panikkar sostiene che se ci si affida esclusivamente alla conoscenza razionale, a <strong>di</strong>scapito della<br />

conoscenza simbolica, si <strong>di</strong>venta più <strong>in</strong>tolleranti. Questo avviene perché <strong>il</strong> simbolo, a <strong>di</strong>fferenza della<br />

razionalità, autorizza <strong>di</strong>verse <strong>in</strong>terpretazioni. Possiamo partecipare allo stesso simbolo e produrre<br />

<strong>in</strong>terpretazioni <strong>di</strong>fferenti: se <strong>di</strong>co Cristo, m’imbatto <strong>in</strong> tante famiglie <strong>di</strong> cristiani, se <strong>di</strong>co Dio, <strong>in</strong> forme<br />

<strong>di</strong>verse <strong>di</strong> teismo. Il simbolo permette <strong>una</strong> partecipazione e <strong>di</strong>fferenti concettualizzazioni.<br />

Anche qui nessun <strong>di</strong>sprezzo della razionalità scientifica, che è la lettura della <strong>di</strong>mensione quantitativa<br />

della realtà, ma che non rappresenta da sola né la totalità del conoscere né la totalità dell’umano. È un aspetto<br />

importante della conoscenza ma non esclusivo: <strong>il</strong> logos è più ampio della razionalità. Nell’uomo, oltre alla<br />

<strong>di</strong>mensione del logos, c’è anche <strong>il</strong> mito, che ci permette <strong>di</strong> avere <strong>una</strong> vita serena <strong>senza</strong> essere scissi né <strong>in</strong><br />

preda all’ansia <strong>di</strong> possedere. Il mito si esprime nel rito, che è l’affidarsi <strong>in</strong>nocente alla fede che ci anima. Né<br />

bisogna <strong>di</strong>menticare <strong>il</strong> corpo e tutti gli aspetti che vi sono connessi.<br />

La ch<strong>in</strong>a nich<strong>il</strong>istica - Per affrontare criticamente <strong>il</strong> mondo della tecnoscienza, è opportuno chiedersi<br />

<strong>in</strong> quale <strong>di</strong>rezione esso ci porti. La mia risposta, che potrebbe apparire drastica, è che la tecnoscienza non ci<br />

conduce da ness<strong>una</strong> parte, perché c’è <strong>una</strong> cont<strong>in</strong>ua moltiplicazione dei mezzi, ma <strong>una</strong> totale as<strong>senza</strong> <strong>di</strong> f<strong>in</strong>i.<br />

Questo processo genera un complesso tecnocratico che <strong>di</strong>venta esso stesso un f<strong>in</strong>e e riduce gli esseri umani<br />

<strong>in</strong> suo <strong>potere</strong>. Illich ha <strong>il</strong>lustrato <strong>in</strong> tutta la sua opera i connotati <strong>di</strong> questo complesso tecnocratico. Quando<br />

l’oggettivazione, <strong>in</strong>trodotta dal metodo scientifico e <strong>in</strong> sé <strong>in</strong>eccepib<strong>il</strong>e, travalica i suoi conf<strong>in</strong>i e <strong>in</strong>vade ogni<br />

aspetto del vivere umano, tutto viene oggettivato. Si scivola così <strong>in</strong>esorab<strong>il</strong>mente verso un mondo popolato<br />

<strong>di</strong> oggetti…e anche l’uomo <strong>di</strong>venta <strong>una</strong> cosa tra le altre.<br />

Talvolta penso che <strong>il</strong> nich<strong>il</strong>ismo verso cui piegano alcune correnti f<strong>il</strong>osofiche contemporanee non sia<br />

un fatto casuale. Quando mi chiedo perché la realtà perde così tanto <strong>di</strong> significato, mi viene da rispondere<br />

che questa caduta nich<strong>il</strong>ista è imputab<strong>il</strong>e ai processi economici <strong>in</strong> atto che mercificano tutti gli aspetti della<br />

vita. Intravedo <strong>una</strong> relazione molto stretta tra <strong>il</strong> nich<strong>il</strong>ismo della f<strong>il</strong>osofia e le d<strong>in</strong>amiche <strong>di</strong> questo tardo<br />

capitalismo, che ha quantificato i bisogni umani, li ha valutati secondo parametri quantitativi e li ha immessi<br />

sul mercato. Viviamo <strong>in</strong> un mondo dove tutto è mercificato: <strong>il</strong> corpo, la sessualità, <strong>il</strong> patrimonio genetico, la<br />

salute, l’istruzione, i servizi. Credo qu<strong>in</strong><strong>di</strong> che esista un rapporto molto stretto tra la <strong>di</strong>ffusione della<br />

tecnocrazia e questi esiti che soffriamo nella quoti<strong>di</strong>anità.<br />

Recuperare l’uso dei sensi - Per non dare l’impressione <strong>di</strong> essermi impegolato <strong>in</strong> questioni troppo<br />

teoriche, voglio ritornare al vivere quoti<strong>di</strong>ano e mostrare come <strong>il</strong> mondo della tecnoscienza impoverisca i<br />

nostri gesti abituali e ci espropri dell’uso dei sensi. In un bel testo <strong>di</strong> Illich scritto per i 70 anni <strong>di</strong> un amico,<br />

Ivan <strong>di</strong>ceva che noi forse siamo l’ultima generazione a cui è consentito l’uso dei sensi. Questa espressione<br />

mette <strong>il</strong> <strong>di</strong>to sulla piaga perché ci <strong>in</strong>vita a pensare quanto sia <strong>di</strong>ventata meccanica la nostra quoti<strong>di</strong>anità.<br />

Voglio mostrarlo esam<strong>in</strong>ando nel dettaglio i gesti che non possiamo fare a meno <strong>di</strong> compiere ogni giorno.<br />

Il parlare perde nella nostra vita <strong>il</strong> carattere relazionale e si riduce sempre più a uno scambio <strong>di</strong><br />

concetti. Ci man<strong>di</strong>amo e-ma<strong>il</strong>, sms, e per<strong>di</strong>amo <strong>il</strong> carattere fondamentale del parlare che è <strong>in</strong>vocazione: chi<br />

parla, parla sempre a qualcuno, ha <strong>di</strong> fronte un volto. Gli strumenti che abbiamo a <strong>di</strong>sposizione ci evitano<br />

<strong>in</strong>vece questo confronto col volto dell’altro. La mia esperienza quoti<strong>di</strong>ana m’<strong>in</strong>segna che parlare è sempre<br />

più <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e nell’epoca dei cellulari e della televisione. Nell’era dell’homo videns, come <strong>di</strong>rebbe Sartori, la<br />

parola è sempre più um<strong>il</strong>iata.


Un altro verbo che desidero analizzare è mangiare. Il mondo tecnoscientifico ha ridotto <strong>il</strong> mangiare a<br />

gesto <strong>in</strong><strong>di</strong>vidualistico per recuperare le forze, elim<strong>in</strong>ando l’aspetto comunitario e <strong>conviviale</strong>. Mangiare non è<br />

solo assumere cibo, ma nutrirsi della relazione reciproca. Questa per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> significato è cont<strong>in</strong>ua e<br />

<strong>in</strong>avvertita. Viene meno così <strong>il</strong> carattere <strong>di</strong> convivialità, tanto sottol<strong>in</strong>eato dalle culture non occidentali.<br />

Senza <strong>di</strong>re dell’um<strong>il</strong>iazione del gusto che questa forma <strong>di</strong> fast food comporta.<br />

Camm<strong>in</strong>are è un altro verbo quasi perduto. Oggi ci spostiamo ma non camm<strong>in</strong>iamo. Camm<strong>in</strong>are<br />

significa vedere e soprattutto <strong>in</strong>contrare. Quando ci si sposta non ci si accorge <strong>di</strong> cosa ci sta attorno. Da<br />

questo punto <strong>di</strong> vista dovremmo imparare dagli africani, dagli asiatici o dai lat<strong>in</strong>oamericani. Stiamo<br />

perdendo l’esperienza dell’essere <strong>in</strong> un luogo, con le piante, le case, gli animali, <strong>il</strong> paesaggio. Non sappiamo<br />

relazionarci con <strong>il</strong> territorio e <strong>in</strong> questo modo siamo meno umani. Molte periferie delle gran<strong>di</strong> città sono <strong>in</strong><br />

realtà “non luoghi”, perché non rispettano questa esigenza fondamentale degli esseri umani. Ricordo<br />

l’impressione terrib<strong>il</strong>e che mi aveva provocato <strong>una</strong> periferia romana <strong>in</strong> un giorno <strong>di</strong> festa: la solitud<strong>in</strong>e,<br />

l’anonimato e <strong>il</strong> vuoto potevi toccarli con mano. E se la frenesia dell’uomo contemporaneo <strong>di</strong>pendesse<br />

proprio dalla mancanza <strong>di</strong> luoghi?<br />

Respirare. L’unico vero ritmo che ci appartiene è quello del nostro respiro. Non a caso <strong>in</strong> Oriente<br />

tutto com<strong>in</strong>cia con l’ascolto del proprio respiro. Il mondo tecnoscientifico ci impone <strong>in</strong>vece un ritmo che non<br />

ci appartiene, che <strong>di</strong>pende dal tempo dell’orologio e non dalla durata umana. Anche qui <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio è<br />

rivelatore: quando <strong>una</strong> persona o <strong>una</strong> cosa <strong>di</strong>ventano opprimenti <strong>di</strong>ciamo che “non ci lascia respirare”.<br />

Riposare. Questo verbo è assolutamente squalificato nella civ<strong>il</strong>tà tecnologica, perché è <strong>in</strong>terpretato<br />

come tempo perso e non come recupero del proprio ritmo. Dietro questa visione, c’è la considerazione del<br />

corpo come mero strumento <strong>di</strong> produzione.<br />

Se le cose che ho detto hanno un qualche fondamento, allora dovremmo avviarci verso <strong>una</strong> grande<br />

trasformazione, che tocchi tutti gli aspetti della vita. La trasformazione <strong>di</strong> cui parlo ha <strong>una</strong> forza maggiore<br />

della rivoluzione, che poggia sulla realizzazione <strong>di</strong> un rovesciamento imme<strong>di</strong>ato, mentre la trasformazione è<br />

un processo che non term<strong>in</strong>a mai e che <strong>in</strong>teressa tutte le <strong>di</strong>mensioni della vita.<br />

Per concludere vorrei lanciare due <strong>in</strong>viti. Il primo è quello <strong>di</strong> guardare <strong>il</strong> mondo con altri occhi, che è<br />

la con<strong>di</strong>zione <strong>in</strong><strong>di</strong>spensab<strong>il</strong>e per mettere <strong>in</strong> moto la nostra capacità trasformativa. Il secondo è quello <strong>di</strong><br />

riprenderci tutto ciò che ci appartiene e che ci è stato tolto dal mondo tecnoscientifico. Solo così si apre la<br />

strada per la nascita <strong>di</strong> un nuovo mito che unisca gli esseri umani e non um<strong>il</strong>i la <strong>di</strong>versità delle culture e delle<br />

civ<strong>il</strong>tà.


L’ASTRAZIONE DEL LINGUAGGIO: PAROLE E MUSICA COME<br />

COSTRUZIONE SCIENTIFICA<br />

Mathias Rieger<br />

Prima <strong>di</strong> <strong>in</strong>iziare credo <strong>di</strong> dovermi presentare brevemente. Sono musicologo e musicista, e figlio <strong>di</strong><br />

un musicista. Oltre a svolgere la mia attività <strong>di</strong> musicologo suono anche la batteria per la danza del ventre.<br />

Oggi vi presenterò un trattato sulla <strong>di</strong>s<strong>in</strong>carnazione della parola. Il relatore precedente ve ne ha<br />

parlato. E’ la storia <strong>di</strong> come abbiamo raggiunto la nozione <strong>di</strong> un nuovo modo <strong>di</strong> parlare. Cosa vuol <strong>di</strong>re<br />

parlare e fare musica nel mondo <strong>di</strong> oggi?<br />

Ho fatto <strong>una</strong> ricerca storica su questo tema e devo ammettere che è alquanto astratta e tecnica come materia,<br />

pertanto ho scritto un trattato qu<strong>in</strong><strong>di</strong>ci mesi fa e l’ho de<strong>di</strong>cato ad <strong>una</strong> suora, si chiama Madre J. E’ <strong>una</strong> suora<br />

benedett<strong>in</strong>a, vive <strong>in</strong> America e posso affermare che è la mia più vecchia amica, nel senso che ha novantotto<br />

anni. Così ho tentato <strong>di</strong> spiegarle cosa vuol <strong>di</strong>re oggi fare musica e parlare.<br />

Nel frattempo, quattor<strong>di</strong>ci mesi fa si è verificato un cambiamento fondamentale nel mondo: non è stato<br />

economico, non era politico e neanche sociale. Questo cambiamento era la nascita della mia piccola bimba<br />

Hannah.<br />

Qu<strong>in</strong><strong>di</strong> adesso ho <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> spiegare cosa vuol <strong>di</strong>re tutta questa roba così altamente astratta<br />

come l’acustica musicale, la proporzionalità ed altro <strong>di</strong> cui parleremo, e devo spiegarlo a questa vecchia<br />

suora. E l’altra notte ho sognato che avrei dovuto anche spiegarlo alla mia bamb<strong>in</strong>a e credo che ciò sia molto,<br />

ma molto più <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e.<br />

Dunque lei mi guarda e <strong>di</strong>ce: papà, <strong>di</strong> che cosa stai parlando?<br />

Le <strong>di</strong>co: ecco veramente parlo <strong>di</strong> un nuovo modo <strong>di</strong> parlare. Come l’acustica musicale nel<br />

<strong>di</strong>ciannovesimo secolo ha cambiato la nostra nozione <strong>di</strong> parlare e fare musica.<br />

Lei mi guarda e <strong>di</strong>ce: <strong>in</strong>somma papà, so che stai facendo delle cose molto strane, per esempio critichi<br />

l’idea <strong>di</strong> trasporto, e poi mi metti nella mia carrozz<strong>in</strong>a e mi porti <strong>in</strong> giro per tutta la città, va bene, poi leggi<br />

dei libri sulla descolarizzazione <strong>di</strong> Ivan Illich. Ivan Illich è <strong>il</strong> tipo per cui non abbiamo un televisore, lo so, e<br />

poi vai all’università e <strong>in</strong>segni. Poi <strong>di</strong>scuti con <strong>il</strong> tuo amico Jean Robert sul <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> ognuno alla sua merda e<br />

poi mi metti addosso questi maledetti Pampers. Ok, mi sono abituata a tutto questo, ma poi mi trasc<strong>in</strong>i <strong>in</strong><br />

Italia, che è veramente bello come posto, e sono molto felice <strong>di</strong> esserci. Qui ti sie<strong>di</strong> <strong>in</strong> <strong>una</strong> stanza per sei<br />

giorni e <strong>di</strong>scuti <strong>di</strong> lavorare <strong>in</strong>sieme, credo, lo chiami movimento sociale, e poi parli <strong>di</strong> qualcosa che proprio<br />

non capisco: ogni giorno ti preoccupi perché io abbia cibo a sufficienza e che io cresca. Adesso, qui <strong>in</strong> Italia,<br />

ti metti a <strong>di</strong>scutere <strong>di</strong> qualcosa che non mi piace proprio, l’idea <strong>di</strong> decrescita, come faccio a decrescere. Ma<br />

cosa veramente vuoi <strong>di</strong>re con <strong>il</strong> cambiamento della nozione <strong>di</strong> parlare e fare musica oggi?<br />

Beh - le <strong>di</strong>co - sto parlando della musica e del parlare come costrutti scientifici.<br />

Allora mi guarda e <strong>di</strong>ce: ecco <strong>una</strong> <strong>di</strong> quelle cose astratte! Ma cos’è che vuoi <strong>di</strong>re precisamente, puoi<br />

spiegarmelo <strong>in</strong> <strong>una</strong> frase?<br />

S<strong>in</strong>ceramente al primo istante mi sono sentito un po’ perso, ma poi penso, forse è molto semplice:<br />

parlerò, se vogliamo proprio andare al nocciolo dell’argomento, <strong>di</strong> cosa vuol <strong>di</strong>re essere un papà oggi.<br />

Hannah mi guarda e <strong>di</strong>ce: ma cosa vuoi <strong>di</strong>re con questo essere un papà oggi. So che mamma parla <strong>di</strong> cosa<br />

vuol <strong>di</strong>re essere <strong>una</strong> mamma oggi. Ma papà, cosa ti sta succedendo?<br />

Allora rispondo: tu sai che quando parlo <strong>di</strong> essere un papà, vuol <strong>di</strong>re che sono <strong>il</strong> tuo papà come quando tu<br />

<strong>di</strong>ci che tu, Hannah, sei mia figlia, naturalmente.<br />

Ho approfon<strong>di</strong>to la storia dell’acustica <strong>in</strong> un certo senso per arrivare a comprendere come fanno certe<br />

persone a pensare <strong>di</strong> poter parlare <strong>di</strong> te <strong>senza</strong> riferirsi a me o a chiamarmi un papà <strong>senza</strong> riferirsi<br />

automaticamente a te. Questo rapporto fra noi, tu che sei la mia bamb<strong>in</strong>a ed io che sono tuo padre, questo<br />

rapporto costitutivo che fa sì che tu non possa pensare che ci sia <strong>una</strong> <strong>di</strong>fferenza fra me e te, o che noi non<br />

facciamo parte <strong>di</strong> un <strong>in</strong>sieme, è <strong>una</strong> caratteristica sim<strong>il</strong>e a quella che oggi tende a scomparire dall’idea della<br />

musica e dal parlare.


Guardando la storia mi sforzo sempre <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanziarmi dal presente. Qu<strong>in</strong><strong>di</strong> come io provo a spiegare<br />

a Hannah cosa vuol <strong>di</strong>re trovarsi nel cosiddetto mondo tecno-scientifico, così ho tentato <strong>una</strong> volta <strong>di</strong><br />

spiegarlo alla mia più vecchia amica, Madre J. L’ho fatto perché era nata prima dei tempi della tecnoscienza,<br />

prima dell’epoca del telefono, prima dei tempi dell’<strong>in</strong>qu<strong>in</strong>amento e si potrebbe aggiungere prima dei<br />

tempi dello sv<strong>il</strong>uppo.<br />

L’ho fatto perché volevo prima spogliarmi delle mie proprie certezze. Sono qui presenti dei membri del<br />

gruppo del Granchio <strong>di</strong> Kuchenbuch; dovrei <strong>in</strong>formare tutti voi che Kuchenbuch è ancora vivo, voglio <strong>di</strong>re<br />

che esiste veramente, potete contattarlo, e lo considero un mio amico; è anche un sassofonista appassionato<br />

<strong>di</strong> free jazz, se volessi descriverlo <strong>di</strong>rei <strong>di</strong> lui che è <strong>il</strong> terremoto più <strong>in</strong>cantevole che io abbia mai <strong>in</strong>contrato,<br />

ecco questo è Ludolf Kuchenbuch.<br />

Ora permettetemi <strong>di</strong> tornare a mia figlia e alla storia dell'acustica, solo per sottol<strong>in</strong>eare un punto che<br />

è stato accennato prima, <strong>il</strong> cambiamento del parlare e del fare musica nel cosiddetto mondo tecno-scientifico.<br />

Madre J. viene da Monaco, vive <strong>in</strong> un convento benedett<strong>in</strong>o nel Connecticut e, come lei ama sempre<br />

sottol<strong>in</strong>eare, è nata non solo pre-<strong>in</strong>qu<strong>in</strong>amento, ma anche pre-telecomunicazione. Ama raccontarmi come ha<br />

salutato <strong>il</strong> Kaiser da ragazza. E quando parla della Guerra Mon<strong>di</strong>ale, bisogna chiederle, quale?<br />

Una sua esperienza particolarmente <strong>in</strong><strong>di</strong>menticab<strong>il</strong>e <strong>di</strong> quell’epoca è un <strong>in</strong>fant<strong>il</strong>e orrore che provò<br />

quando sua madre le accostò <strong>il</strong> ricevitore del telefono all’orecchio per la prima volta. Sentì la voce <strong>di</strong> suo<br />

padre, che sapeva a Vienna solo <strong>il</strong> giorno prima, e adesso era apparentemente rimpicciolito e <strong>in</strong>castrato<br />

dentro <strong>una</strong> cornetta <strong>di</strong> legno. Madre J. mi ha confessato che a tal proposito da quel momento non si è mai<br />

sentita a suo agio quando sente <strong>una</strong> voce che le parla <strong>senza</strong> che l’<strong>in</strong>terlocutore sia presente. Ve l’ho detto, è<br />

come essere Hannah <strong>senza</strong> avere un padre.<br />

Adesso sto parlando con voi perché mi sto rivolgendo a voi <strong>di</strong>rettamente. Se parlo nel microfono non<br />

sto parlando con voi, ma con <strong>il</strong> microfono. Naturalmente con <strong>il</strong> passare degli anni Madre J. ha usato <strong>il</strong><br />

telefono spesso per scambiare brevi messaggi.<br />

Quasi c<strong>in</strong>quant’anni trascorsi a <strong>in</strong>tonare canti hanno trasformato Madre J. <strong>in</strong> <strong>una</strong> profonda<br />

avversatrice della telecomunicazione. Sette volte al giorno un gruppetto <strong>di</strong> suore si rad<strong>una</strong> nella cappella <strong>di</strong><br />

legno del convento per <strong>in</strong>tonare gli antichi canti gregoriani. Per Madre J. cantare e parlare sono attività<br />

costitutive dell’Io <strong>di</strong> chi parla e canta. La persona che vi parla sono io, perché sto parlando con voi. Una<br />

persona che deve sempre necessariamente essere rivolta verso un’altra persona, ecco perché siete seduti<br />

davanti a me e non <strong>di</strong>etro. Parlare è sempre parlare a qualcuno - verso qualcuno - <strong>in</strong> altre parole rivolgersi a<br />

qualcuno. Nello stesso modo <strong>in</strong>tonare canti gregoriani è analogo a parlare con un ascoltatore. Per Madre J.<br />

ascoltare è un’attività che non può essere separata dalla pre<strong>senza</strong> delle persone che cantano.<br />

La con<strong>di</strong>zione che Madre J. descrive come fondamentale nell’<strong>in</strong>tonare canti <strong>in</strong> un convento è <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e da<br />

capire per me oggi giorno.<br />

Come musicista, ut<strong>il</strong>izzatore del telefono o relatore armato <strong>di</strong> microfono, sento <strong>il</strong> fare musica ed <strong>il</strong><br />

parlare pr<strong>in</strong>cipalmente come <strong>una</strong> forma <strong>di</strong> produzione o <strong>di</strong> consumazione <strong>di</strong> suoni tecno-genici. Posso<br />

immag<strong>in</strong>are la voce <strong>di</strong> Madre J. o <strong>il</strong> suono dei miei amici musicisti solo come qualcosa che possa essere<br />

salvato, trasferito su nastro, riprodotto ed elaborato. Parlare, <strong>di</strong>sse Ivan Illich, è <strong>di</strong>ventato <strong>senza</strong> faccia e<br />

<strong>senza</strong> luogo <strong>in</strong> un’era <strong>di</strong> comunicazione, e cito le sue parole: “La parola emessa come articolazione del<br />

soma dell’oratore e conseguentemente dell’ascoltatore, è ormai comunemente identificata a un segno<br />

fonetico gestito come un messaggio. Questa <strong>di</strong>s<strong>in</strong>carnazione dell’espressione si è imposta attraverso <strong>una</strong><br />

profonda omissione del <strong>potere</strong> della voce <strong>di</strong> creare “luogo”, della sua fecon<strong>di</strong>tà “topos-generatrice”. [… ]<br />

Gli oratori - <strong>di</strong>sse Illich - possono oggi <strong>di</strong>slocare le proprie voci e renderle onnipresenti <strong>in</strong> uno spazio <strong>di</strong><br />

qualsiasi <strong>di</strong>mensione - come sto facendo io <strong>in</strong> questo momento. Ma solo la viva vox ha <strong>il</strong> <strong>potere</strong> <strong>di</strong> generare<br />

<strong>il</strong> guscio entro <strong>il</strong> quale <strong>il</strong> relatore e <strong>il</strong> pubblico sono nel luogo del loro <strong>in</strong>contro”.<br />

Questa viva vox, la viva voce che per Madre J. è la qu<strong>in</strong>tes<strong>senza</strong> del cantare, oggi è stata sommersa<br />

dalla gestione me<strong>di</strong>atica del suono. Le mie conversazioni con Madre J. sulle sue esperienze del fare musica e<br />

del parlare come <strong>in</strong>sc<strong>in</strong><strong>di</strong>b<strong>il</strong>i dal luogo e dalla persona, mi hanno <strong>di</strong>mostrato la profon<strong>di</strong>tà dell’abisso che<br />

separa i nostri due orizzonti <strong>di</strong> esperienza. Forse, un giorno, la stessa cosa accadrà fra Hannah e me. Nel<br />

contesto del coro nel convento, mi trovo estraneo come musicista moderno. D’altronde trovo <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e


spiegare la mia musica, e che cosa posso sentire quando sono <strong>in</strong> uno stu<strong>di</strong>o o sul palco come musicista, ad<br />

<strong>una</strong> donna che ha <strong>in</strong>teriorizzato c<strong>in</strong>quant’anni <strong>di</strong> canto gregoriano. Come faccio a spiegarle che ho suonato<br />

tamburi con suoni pre-registrati <strong>di</strong> sciamani nepalesi o pers<strong>in</strong>o accompagnato estratti dei rumori <strong>di</strong><br />

liposuzione durante un <strong>in</strong>tervento <strong>di</strong> chirurgia plastica americana?<br />

E come le spiego qualcosa <strong>di</strong> così quoti<strong>di</strong>ano per me come <strong>il</strong> fatto che questa musica non solo è suonata sul<br />

palco o nello stu<strong>di</strong>o, ma può anche essere ascoltata come musica preconfezionata nelle <strong>di</strong>scoteche o nei<br />

bagni degli uom<strong>in</strong>i ?<br />

Il fisiologo tedesco Hermann Von Helmholtz, un uomo che è vissuto nella metà dell’ottocento, mi ha<br />

aiutato a capire la genesi storica <strong>di</strong> questo strappo epocale. Mi ha aiutato a rispondere alla domanda sulla<br />

<strong>di</strong>fferenza fra me, mentre faccio musica, e Madre J. mentre <strong>in</strong>tona i suoi canti gregoriani. Von Helmholtz ha<br />

scritto un libro <strong>di</strong> quasi seicento pag<strong>in</strong>e sull’acustica musicale, <strong>il</strong> quale ha un ruolo centrale nella mia<br />

<strong>di</strong>scipl<strong>in</strong>a <strong>di</strong> musicologo. Ho tentato <strong>di</strong> spiegare a Madre J. questo trattato, che def<strong>in</strong>isce i fondamenti della<br />

musica per i musicologi. In realtà ha segnato la morte della comprensione del parlare, fare musica e ascoltare<br />

come attività ra<strong>di</strong>cate nel rapporto costitutivo fra oratore e ascoltatore o un musicista e <strong>il</strong> suo pubblico.<br />

Come musicologo sono allenato a pensare ciò che non vorrei mai che qualcuno pensasse <strong>di</strong> mia<br />

figlia, ovvero pensare alla musica come un oggetto <strong>in</strong><strong>di</strong>pendente.<br />

F<strong>in</strong>o all’ottocento <strong>il</strong> significato <strong>di</strong> term<strong>in</strong>i musicali elementari come tono, consonanza e u<strong>di</strong>to, era basato su<br />

due p<strong>il</strong>astri. Un p<strong>il</strong>astro era la tra<strong>di</strong>zione, quello che era stato già scritto sulla musica. E <strong>il</strong> secondo p<strong>il</strong>astro<br />

era l’esperienza sensuale: cosa le persone sentono. Von Hermholtz fu <strong>il</strong> primo a dare a quei term<strong>in</strong>i<br />

elementari un significato scientifico, o acustico.<br />

Ciò sarebbe oggi paragonab<strong>il</strong>e a qualcuno che chiami Hannah un portatore <strong>di</strong> geni. Von Hermholtz<br />

<strong>di</strong>chiarò che l’orecchio non rivela la natura <strong>di</strong> quello che sente, <strong>in</strong> altre parole <strong>di</strong>sse che tutti i musicisti<br />

avevano sbagliato tutto. Inf<strong>in</strong>e def<strong>in</strong>isce <strong>il</strong> suono - che sia musica, l<strong>in</strong>guaggio o rumore - come un oggetto<br />

scientifico <strong>in</strong><strong>di</strong>pendente dal parlatore o dallo strumento musicale. Ecco cosa ha veramente creato uno<br />

scandalo fra i musicisti riguardo alla teoria <strong>di</strong> Von Hermholtz: <strong>il</strong> suono è <strong>di</strong>ventato qualcosa che poteva<br />

essere s<strong>in</strong>tetizzato ed elaborato arbitrariamente.<br />

Immag<strong>in</strong>ate un laboratorio acustico dove l’eterogeneità fra un viol<strong>in</strong>o, <strong>una</strong> voce umana ed un motore a<br />

vapore viene ridotta a delle graduali <strong>di</strong>fferenze nelle forme <strong>di</strong> onde sonore.<br />

Von Hermholtz impiegò vari meto<strong>di</strong> per presentare ai suoi lettori la sua l<strong>in</strong>ea <strong>di</strong> pensiero acustico<br />

quale chiave per capire la musica. Musicisti, f<strong>il</strong>osofi, stu<strong>di</strong>osi musicali ed altri hanno generalmente<br />

considerato l’acustica come irr<strong>il</strong>evante nella loro arte, Von Hermholtz <strong>in</strong>vece ha <strong>in</strong>dotto i suoi lettori a<br />

pensare <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i acustici. Poco dopo la pubblicazione del suo libro, altri scienziati naturali e stu<strong>di</strong>osi<br />

musicali tentarono <strong>di</strong> rendere questa pesante impresa <strong>in</strong>tellettuale più fac<strong>il</strong>mente <strong>di</strong>gerib<strong>il</strong>e.<br />

Dieci anni dopo la prima e<strong>di</strong>zione, le def<strong>in</strong>izioni acustiche <strong>di</strong> Von Hermholtz dom<strong>in</strong>avano i <strong>di</strong>zionari<br />

<strong>di</strong> musica. La nozione musicale <strong>di</strong> ascolto viene sostituita con la def<strong>in</strong>izione fisiologica dell’orecchio come<br />

oggetto scientifico ed anche la sua controparte, <strong>il</strong> tono, non è più spiegato musicalmente ma semplicemente<br />

come vibrazione perio<strong>di</strong>ca.<br />

Questo approfon<strong>di</strong>mento del costrutto scientifico dell’orecchio e del suono che Von Hermholtz ha sv<strong>il</strong>uppato<br />

pr<strong>in</strong>cipalmente attraverso mezzi teorici, si realizza oggi nella produzione me<strong>di</strong>atica e nella ricezione sonora<br />

grazie al telefono o ad altri mezzi <strong>di</strong> trasmissione ed elaborazione delle onde sonore.<br />

Parlando dell’acustica <strong>in</strong> questo modo, tornando alla storia dell’ottocento, ho rivisto <strong>il</strong> rapporto tra me ed<br />

Hannah.<br />

Adesso non devo solo agire come musicista e musicologo sotto l’egida <strong>di</strong> costrutti tecno-scientifici,<br />

ma devo anche imparare cosa vuol <strong>di</strong>re essere <strong>il</strong> padre <strong>di</strong> Hannah oggi.<br />

L’<strong>in</strong>tervento non è stato rivisto dal relatore


STRUMENTI ADDIO!<br />

Jean Robert<br />

Nei suoi anni trascorsi a Cuernavaca Illich si de<strong>di</strong>cò a documentare la <strong>di</strong>struzione del senso<br />

vernacolare del buono e del sufficiente, attraverso <strong>una</strong> riflessione sugli strumenti. Ivan rese popolare <strong>il</strong><br />

concetto <strong>di</strong> <strong>conviviale</strong> e <strong>di</strong> vernacolare. La convivialità è <strong>in</strong>nanzitutto <strong>una</strong> caratteristica <strong>di</strong> quegli utens<strong>il</strong>i che<br />

permettono a chiunque l’uso dei propri poteri <strong>in</strong>nati; qu<strong>in</strong><strong>di</strong> l’utens<strong>il</strong>e <strong>conviviale</strong> è l’opposto degli attrezzi<br />

<strong>in</strong>dustriali.<br />

Illich esam<strong>in</strong>ò l’uso della tecnologia moderna nella scuola, nei trasporti, nella me<strong>di</strong>c<strong>in</strong>a e nell’alloggio; e<br />

<strong>di</strong>mostrò che <strong>in</strong> ciascun campo tali strumenti <strong>in</strong>frangono le ab<strong>il</strong>ità <strong>in</strong>nate delle persone <strong>di</strong> guarire, <strong>di</strong> imparare<br />

o <strong>di</strong> costruire un tetto. Le scuole, per Illich, svuotano le strade <strong>di</strong> possib<strong>il</strong>ità vernacolari <strong>di</strong> imparare,<br />

l’automob<strong>il</strong>e ed i trasporti pubblici paralizzano i pie<strong>di</strong>; i me<strong>di</strong>ci giu<strong>di</strong>cano negativamente le antiche arti della<br />

sofferenza; la pianificazione degrada l’abitazione a garage.<br />

Illich affermò che tutto questo era causato dall’istituzionalizzazione della tecnologia, <strong>una</strong> tecnologia<br />

controproduttiva, ovvero <strong>una</strong> s<strong>in</strong>ergia negativa tra un modo autonomo ed uno eteronomo <strong>di</strong> produrre. Inoltre<br />

Illich <strong>di</strong>mostrò <strong>in</strong> che modo <strong>il</strong> <strong>potere</strong> simbolico <strong>in</strong>erente all’uso istituzionale delle tecnologie conformi le<br />

nostre certezze e crei assiomi dai quali si generano teoremi sociali.<br />

In ogni caso l’<strong>in</strong>contro tra l’utente e la tecnologia adegua le percezioni alle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> un cliente o, nel<br />

caso della me<strong>di</strong>c<strong>in</strong>a, <strong>di</strong> un paziente. Illich esam<strong>in</strong>ò <strong>il</strong> rapporto paziente-me<strong>di</strong>co e cliente-professionista e si<br />

accorse che <strong>in</strong> molti casi la figura del paziente/cliente era <strong>in</strong>fluenzata <strong>in</strong> maniera così forte da mutare la<br />

percezione <strong>di</strong> se stessi. Ivan chiamò questa coniazione un’imputazione <strong>di</strong> bisogni e desideri che contribuiva a<br />

professionalizzare <strong>il</strong> cliente. Siccome le professioni usano istituzioni <strong>di</strong> servizio atte a sod<strong>di</strong>sfare i loro<br />

clienti, <strong>il</strong> professionista viene assim<strong>il</strong>ato all’operatore <strong>di</strong> un utens<strong>il</strong>e.<br />

Ad esempio quando ci si ammala c’è la conv<strong>in</strong>zione che sia necessario andare dal me<strong>di</strong>co che ut<strong>il</strong>izza gli<br />

strumenti della sua professione per aggiustare le funzioni danneggiate.<br />

Quello descritto s<strong>in</strong>o ad ora è l’Illich degli anni ’70.<br />

Negli anni ’80 Ivan fu molto critico con se stesso; era sbagliato, sosteneva, mettere sullo stesso piano<br />

martelli, scuole, ospedali ecc.- cioè strumenti materiali ed istituzioni - come aveva fatto negli anni ’70. Illich<br />

ed altri stavano varcando un limite oltre <strong>il</strong> quale non era più possib<strong>il</strong>e pensare <strong>in</strong> tali term<strong>in</strong>i. Ovvero si stava<br />

oltrepassando l’era della strumentalità dom<strong>in</strong>ante. Ivan sosteneva che “non avevo percepito questo<br />

spartiacque quando scrivevo i miei primi libri. Mi rimprovero per aver persuaso molte buone persone che mi<br />

hanno letto bene, che fosse sensato che si parlasse <strong>di</strong> un sistema scolastico come <strong>di</strong> un arnese sociale, o <strong>di</strong><br />

un establishment me<strong>di</strong>co come se fosse un utens<strong>il</strong>e”.<br />

L’assim<strong>il</strong>azione delle istituzioni agli utens<strong>il</strong>i ricorda che <strong>in</strong> quegli anni si riteneva generalmente che<br />

l’es<strong>senza</strong> <strong>di</strong> un’istituzione - come quella <strong>di</strong> un utens<strong>il</strong>e - potesse essere manifestata dall’espressione “un<br />

martello è un utens<strong>il</strong>e per <strong>in</strong>chiodare, <strong>una</strong> scuola è un <strong>di</strong>spositivo sociale per <strong>in</strong>chiodare la testa dei bamb<strong>in</strong>i”.<br />

Gli utens<strong>il</strong>i e le istituzioni sono cause strumentali per l’adempimento <strong>di</strong> scopi.<br />

Quando scriveva i suoi primi libri Illich non vedeva ancora la storicità della strumentalità ma vedeva<br />

con tutta chiarezza la <strong>di</strong>screpanza tra gli utens<strong>il</strong>i conviviali e gli strumenti <strong>in</strong>dustriali. Oltre certe soglie<br />

critiche <strong>di</strong> grandezza, <strong>di</strong> <strong>potere</strong> e <strong>di</strong> controllo amm<strong>in</strong>istrativo, gli utens<strong>il</strong>i materiali e le istituzioni <strong>di</strong> servizio<br />

come le scuole, le autostrade o gli ospedali, <strong>di</strong>ventano <strong>in</strong>evitab<strong>il</strong>mente controproduttivi. La<br />

controproduttività <strong>di</strong> un utens<strong>il</strong>e si può <strong>in</strong>terpretare come <strong>una</strong> deviazione dalla sua qualità <strong>di</strong> utens<strong>il</strong>e,<br />

cosicché la convivialità si può leggere come <strong>una</strong> <strong>di</strong>fesa degli utens<strong>il</strong>i, cioè come la richiesta <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />

strumentalità equa e <strong>conviviale</strong>. Questo conferisce autonomia agli utenti degli strumenti.<br />

Negli anni ’80 Illich <strong>in</strong>iziò a rimettere <strong>in</strong> <strong>di</strong>scussione determ<strong>in</strong>ate affermazioni contenute nei suoi<br />

libri sugli strumenti e sulle istituzioni, soprattutto riguardo al paragone utens<strong>il</strong>i-istituzioni. Cercherò <strong>di</strong><br />

riassumere come Illich visse questo cambiamento <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> vista e come poté associare tale cambiamento<br />

ad uno spartiacque storico.


Prima <strong>di</strong> questo mutamento Ivan vedeva <strong>il</strong> cliente <strong>di</strong> <strong>una</strong> istituzione <strong>di</strong> servizio come “qualcuno che stava <strong>in</strong><br />

pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> fronte alle gran<strong>di</strong> istituzioni con l’idea che almeno poteva ut<strong>il</strong>izzarle per la sod<strong>di</strong>sfazione dei suoi<br />

propri sogni o bisogni”.<br />

L’allusione alla sod<strong>di</strong>sfazione dei propri sogni e bisogni <strong>in</strong><strong>di</strong>ca chiaramente che Illich pensava che le<br />

istituzioni, proprio come gli utens<strong>il</strong>i, dovevano essere al servizio <strong>di</strong> esigenze personali. Il fatto <strong>di</strong> stare <strong>in</strong><br />

pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> fronte ad un’ istituzione è come stare fermi <strong>di</strong> fronte ad un utens<strong>il</strong>e, potendo decidere se ut<strong>il</strong>izzarlo o<br />

meno. La convivialità attribuita agli strumenti era messa <strong>in</strong> relazione alla loro grandezza, al <strong>potere</strong> che<br />

conferivano, ma anche alla <strong>di</strong>stanza e libertà <strong>di</strong> prendere o lasciare. A <strong>di</strong>fferenza delle sue opere tar<strong>di</strong>ve, i<br />

libri dell’epoca della convivialità consideravano la <strong>di</strong>stanza tra utente ed utens<strong>il</strong>e come un dato <strong>di</strong> fatto. Nelle<br />

sue ultime riflessioni Illich si rese conto che eravamo entrati <strong>in</strong> un’epoca <strong>in</strong> cui la <strong>di</strong>stanza tra l’utens<strong>il</strong>e e chi<br />

lo ut<strong>il</strong>izza non era più garantita, e qu<strong>in</strong><strong>di</strong> non c’era più la libertà <strong>di</strong> prenderlo o lasciarlo. Se questa libertà<br />

viene negata, lo strumento ci prende, ci afferra…ecco che l’utens<strong>il</strong>e si trasforma nel tentacolo <strong>di</strong> un sistema<br />

che fagocita <strong>il</strong> corpo, facendolo <strong>di</strong>ventare sottosistema.<br />

Secondo Illich qu<strong>in</strong><strong>di</strong> questa <strong>di</strong>stanza viene meno: tale cambiamento <strong>in</strong>izia negli anni ’80, quando ci<br />

si viene a trovare nell’era dei sistemi, un’era <strong>in</strong> cui non c’è più spazio tra noi e l’utens<strong>il</strong>e. Illich capì qu<strong>in</strong><strong>di</strong><br />

che la gente era assorbita da istituzioni da cui non poteva più <strong>di</strong>st<strong>in</strong>guersi. Durante tutta la storia c’erano<br />

strumenti che si potevano prendere o lasciare, ma tutto era visto come utens<strong>il</strong>e, non come parte <strong>di</strong> un corpo.<br />

La nozione <strong>di</strong> un cambiamento d’era implica che non possiamo più pensare al mondo nel quale viviamo<br />

come un gigantesco “banchetto <strong>di</strong> utens<strong>il</strong>i”. Dopo questo passaggio Ivan si rese conto che <strong>il</strong> cliente tipico<br />

non era più <strong>una</strong> persona <strong>di</strong> fronte ad un’istituzione, ma piuttosto qualcuno che era stato risucchiato da un<br />

sistema che non poteva più essere rappresentato, perché <strong>una</strong> rappresentazione implica sempre uno sguardo<br />

“dal <strong>di</strong> fuori”. Invece <strong>il</strong> mondo-sistema <strong>di</strong>venta un flusso <strong>in</strong><strong>in</strong>terrotto <strong>di</strong> stimoli sensoriali.<br />

Parole come “scelta”, “decisione” e “responsab<strong>il</strong>ità” perdono <strong>il</strong> loro senso, perché <strong>senza</strong> la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> stare<br />

“<strong>di</strong> fronte a”, <strong>senza</strong> <strong>una</strong> <strong>di</strong>stanza critica, manca anche uno sguardo politico.<br />

In un mondo del genere, privato della <strong>di</strong>stanza tra strumento ed utente, dove lo sguardo non ha più<br />

un punto <strong>di</strong> vista particolare, l’utens<strong>il</strong>e non viene più valutato secondo la sua ut<strong>il</strong>ità, ovvero la sua capacità <strong>di</strong><br />

sod<strong>di</strong>sfare i nostri bisogni. Illich attribuiva al mondo-sistema un carattere quasi dogmatico e religioso, perché<br />

<strong>in</strong> questo mondo gli scopi personali sono <strong>il</strong>lusori.<br />

Tutto quello che ebbe <strong>in</strong>izio avrà <strong>una</strong> f<strong>in</strong>e e viceversa. L’epoca che si conclude nel nostro tempo<br />

ebbe <strong>una</strong> genesi? Quando? E’ possib<strong>il</strong>e comparare <strong>il</strong> tempo dell’<strong>in</strong>izio con quello della f<strong>in</strong>e? Come possiamo<br />

chiamare tale epoca? La possiamo def<strong>in</strong>ire “era degli strumenti” o “era tecnologica”. Prima della sua morte<br />

Illich aveva sufficiente materiale per scrivere la storia dell’utens<strong>il</strong>e, la storia della <strong>di</strong>stanza tra la mano e lo<br />

strumento tecnologico. Per designare questa <strong>di</strong>stanza, Illich <strong>in</strong>trodusse <strong>il</strong> tem<strong>in</strong>e tecnico “<strong>di</strong>stalità”: c’è <strong>una</strong><br />

<strong>di</strong>stalità tra <strong>il</strong> corpo e la mano, c’è <strong>una</strong> maggiore <strong>di</strong>stalità tra corpo e utens<strong>il</strong>e. La caduta dell’idea <strong>di</strong><br />

strumento è la f<strong>in</strong>e dell’epoca della <strong>di</strong>stalità tra la mano e lo strumento. Dopo l’era della tecnologia non ci<br />

sono ancora parole adatte per descrivere la mutazione degli strumenti, che non mantengono più la <strong>di</strong>stalità<br />

col corpo dell’utente (che non è poi un vero utente, perché non può lasciarli).<br />

La tesi della storicità degli strumenti implica <strong>il</strong> fatto che ci fu un tempo nel quale non c’era ancora <strong>il</strong><br />

concetto <strong>di</strong> utens<strong>il</strong>e <strong>in</strong><strong>di</strong>pendente. Bisogna qu<strong>in</strong><strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> un tempo <strong>in</strong> cui non c’era ancora <strong>di</strong>stalità.<br />

Aristotele scrisse magnifiche pag<strong>in</strong>e sulle modalità operative dei fabbri, dei falegnami, gioiellieri, ecc., ma i<br />

suoi commenti sono ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>versi da quelli <strong>di</strong> Teof<strong>il</strong>o. Aristotele non voleva né poteva separare<br />

concettualmente <strong>il</strong> martello dalla mano del fabbro, perché entrambi erano organi. Nel 1128 <strong>il</strong> monaco<br />

Teof<strong>il</strong>o, un uomo versat<strong>il</strong>e, descrive e raffigura gli artigiani ed i loro utens<strong>il</strong>i. Gli utens<strong>il</strong>i per Teof<strong>il</strong>o si<br />

offrono, lascivamente coricati, alla prima mano che ne richiede per farne uno strumento nel senso<br />

tecnologico.<br />

Si pensò che <strong>il</strong> loro offrirsi alla prima mano non fosse cosa buona. Ad<strong>di</strong>rittura <strong>il</strong> monaco Ugo <strong>di</strong> San Vittore<br />

nel 1128 teorizzò che la parola meccanica derivasse dal greco moichos - adulterio. L’orig<strong>in</strong>alità <strong>di</strong> Illich fu<br />

quella <strong>di</strong> associare questa trasformazione con un cambio semantico, con un nuovo concetto <strong>di</strong> causalità e con<br />

alcuni nuovi concetti teologici.<br />

Cambiamento semantico. La parola greca organon fu tradotta <strong>in</strong> lat<strong>in</strong>o come <strong>in</strong>strumentum : Barbara<br />

Duden vede qui l’orig<strong>in</strong>e della cassa <strong>di</strong> utens<strong>il</strong>i concettuali della strumentalità, nella quale si trovano concetti


come <strong>di</strong>visione del lavoro, produzione, riproduzione, ecc. L’organon greco era parte <strong>di</strong> un corpo attivo, la<br />

cui attività poteva solitamente essere espressa da un gioco verbale tra presente e aoristo, activum e me<strong>di</strong>um.<br />

Invece lo <strong>in</strong>strumentum è separato dalla mano, è un mezzo che contiene <strong>una</strong> <strong>in</strong>tenzionalità.<br />

Un nuovo concetto <strong>di</strong> causalità. La separazione tra mano e strumento <strong>di</strong> lavoro, già tanto esplicita<br />

nel 1128 nei <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> Teof<strong>il</strong>o, è razionalizzata nel secolo successivo <strong>in</strong> un nuovo concetto <strong>di</strong> causalità. La<br />

l<strong>in</strong>gua greca usa la stessa parola aitía per designare <strong>una</strong> causa o <strong>una</strong> colpa.<br />

Dai tempi dei maestri <strong>di</strong> Aristotele f<strong>in</strong>o al ‘200 c’erano stati quattro concetti complementari <strong>di</strong> causalità<br />

corrispondenti alla materia, alla forma, al f<strong>in</strong>e ed alla mano <strong>di</strong> un artigiano. Ness<strong>una</strong> mano poteva essere<br />

separata da questo quadr<strong>il</strong>atero. Quando un artefatto non è più un attributo <strong>di</strong> nessun corpo, acquisisce <strong>una</strong><br />

sorta <strong>di</strong> <strong>in</strong>tenzionalità. Ecco <strong>il</strong> nuovo concetto <strong>di</strong> causalità: la qualità <strong>di</strong> un oggetto dotato <strong>di</strong> <strong>una</strong> paradossale<br />

<strong>in</strong>tenzionalità meccanica; questa nuova causalità fu chiamata causa <strong>in</strong>strumentalis. L’epoca strumentale o<br />

era tecnologica è <strong>il</strong> periodo nel quale la causa strumentale rompe lo schema quadricausale, f<strong>in</strong>o a rimanere<br />

l’unica causa dell’uomo tecnologico.<br />

Nuovi concetti teologici. Non appena venne <strong>in</strong>augurato <strong>il</strong> concetto <strong>di</strong> causa <strong>in</strong>strumentalis, i teologici<br />

del ‘200 <strong>in</strong>iziarono a parlare <strong>di</strong> un nuovo tipo <strong>di</strong> strumento chiamato sacramento, proprio <strong>in</strong> un momento <strong>in</strong><br />

cui la Chiesa concepiva la sua missione come quella <strong>di</strong> omnia bene<strong>di</strong>cere, bene<strong>di</strong>re tutto, lodare Dio per<br />

tutto. I teologi trovarono che la parola <strong>in</strong>strumentum era ut<strong>il</strong>e per nom<strong>in</strong>are sette bene<strong>di</strong>zioni tanto speciali<br />

che richiedevano <strong>una</strong> categoria separata. Istituirono qu<strong>in</strong><strong>di</strong> i sette sacramenti, come azioni che, quando si<br />

compiono, sono usati da Dio. I sacramenti sono qu<strong>in</strong><strong>di</strong> strumenti <strong>di</strong>v<strong>in</strong>i che, svolti da un essere umano, sono<br />

ripresi da Dio stesso.<br />

Concludo con <strong>una</strong> riflessione: dobbiamo pensare e cont<strong>in</strong>uare a pensare ed a sperare nella convivialità anche<br />

<strong>in</strong> un’era tecnologica come quella o<strong>di</strong>erna.<br />

L’<strong>in</strong>tervento non è stato rivisto dal relatore


L’INVADENZA PROFESSIONALE NELLA SCELTA:<br />

COME LA CONVOCAZIONE PER UNA “SCELTA INFORMATA”<br />

TRASFORMA LE PAZIENTI IN MANAGER DI SE STESSE<br />

S<strong>il</strong>ja Samerski<br />

La signora C. è seduta <strong>di</strong> fronte al consulente genetico. Tra <strong>di</strong> loro sulla tavola ci sono carte,<br />

<strong>di</strong>agrammi e grafici. Dietro <strong>di</strong> loro c’è un’ora e mezzo <strong>di</strong> sessione educativa riguardo alla <strong>di</strong>stribuzione<br />

statistica dei <strong>di</strong>fetti <strong>di</strong> nascita, all’ere<strong>di</strong>tarietà mendeliana, alle mutazioni cromosomiche e alle loro pericolose<br />

conseguenze per <strong>il</strong> futuro del bamb<strong>in</strong>o che deve nascere. La signora C. è <strong>in</strong>c<strong>in</strong>ta <strong>di</strong> quattro mesi. Per la sua<br />

età e per <strong>il</strong> fatto che ha un cug<strong>in</strong>o ritardato, <strong>il</strong> suo g<strong>in</strong>ecologo ha <strong>di</strong>agnosticato che è a rischio e le ha<br />

suggerito <strong>di</strong> sottoporsi all’amniocentesi. Ma poiché l’amniocentesi comporta nuovi rischi e può solo fornire<br />

ragioni per <strong>in</strong>terrompere la gravidanza, <strong>il</strong> me<strong>di</strong>co non vuole prescriverla. Vuole <strong>in</strong>vece che sia lei a<br />

<strong>in</strong><strong>di</strong>viduare la soluzione. Così l’ha mandata da un genetista che avrebbe dovuto renderla capace <strong>di</strong> fare <strong>una</strong><br />

scelta “<strong>in</strong>formata”. Nella cl<strong>in</strong>ica <strong>di</strong> consulenza genetica, un giovane me<strong>di</strong>co specificamente preparato <strong>in</strong><br />

genetica umana, le ha fornito gli elementi (<strong>in</strong>put) che lui considerava necessari per poter prendere <strong>una</strong><br />

decisione. Ha accertato la sua con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> rischio, ha aggiunto alcuni altri rischi <strong>di</strong> cui ella non era<br />

consapevole, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> ha elencato le opzioni - che pr<strong>in</strong>cipalmente vertevano sul fare o non fare <strong>il</strong> test - e qu<strong>in</strong><strong>di</strong><br />

ha <strong>il</strong>lustrato le possib<strong>il</strong>ità e i rischi connessi con ogni opzione. La signora C. ha scoperto che essere <strong>in</strong>c<strong>in</strong>ta<br />

significa dover prendere decisioni all’ombra del rischio: <strong>il</strong> rischio <strong>di</strong> dare la vita ad un bamb<strong>in</strong>o <strong>di</strong>sab<strong>il</strong>e, <strong>di</strong>ce<br />

<strong>il</strong> consulente, o <strong>il</strong> rischio <strong>di</strong> <strong>in</strong>terrompere la gravidanza. Se l’amniocentesi non darà <strong>il</strong> semaforo verde che lei<br />

spera, dovrà prendere <strong>in</strong> considerazione quest’ ultima ipotesi. Ma tutto questo deve essere deciso da lei e da<br />

suo marito, come chiarisce bene e ripetutamente <strong>il</strong> consulente: “dovete decidere voi, poiché noi non entriamo<br />

nel merito delle conseguenze”.<br />

In bioetica, questa nuova richiesta <strong>di</strong> <strong>una</strong> capacità “<strong>di</strong> prendere decisioni autonome” nel sistema dei servizi, è<br />

generalmente vista come un successo nella lotta per l’emancipazione. Le pazienti, si <strong>di</strong>ce, sono state<br />

f<strong>in</strong>almente liberate dai dettami degli esperti. La scelta libera e <strong>in</strong>formata della cliente viene considerata come<br />

un arg<strong>in</strong>e al controllo dello Stato e degli esperti.<br />

Durante questa chiacchierata voglio <strong>di</strong>scutere <strong>di</strong> questo mito. Voglio argomentare che la possib<strong>il</strong>ità<br />

<strong>di</strong> fare <strong>una</strong> propria scelta non dovrebbe essere scambiata per <strong>una</strong> nuova libertà, ma al contrario dovrebbe<br />

essere considerata come <strong>una</strong> crescita del <strong>potere</strong> degli esperti, cioè come un’<strong>in</strong>vasione professionale nella<br />

scelta. Nel XX° secolo la conoscenza e le competenze, per avere valore, dovevano essere acquisite sotto la<br />

supervisione tecnica <strong>di</strong> esperti e valutate secondo i loro standard scientifici. Nel XXI° secolo non solo la<br />

conoscenza e le ab<strong>il</strong>ità, ma anche la scelta viene rimodellata come un oggetto scientifico. La libertà, la scelta<br />

e l’autonomia, sono ridef<strong>in</strong>ite <strong>in</strong> modo tale che per essere esercitate appropriatamente richiedono<br />

<strong>in</strong>formazioni scientifiche e guida da parte dei servizi.<br />

Nelle <strong>società</strong> <strong>di</strong> mercato, la “scelta <strong>in</strong><strong>di</strong>viduale” è considerata l’emblema della libertà e<br />

dell’autonomia. Sia che si parli <strong>di</strong> lavoro, <strong>di</strong> vacanze, <strong>di</strong> pratiche religiose, <strong>di</strong> relazioni amorose, <strong>di</strong> st<strong>il</strong>i <strong>di</strong><br />

vita, o <strong>di</strong> trattamento me<strong>di</strong>co, coloro che sono considerati “self empowered” oggi, sono coloro che possono<br />

scegliere ciò che vogliono <strong>in</strong> ogni situazione <strong>di</strong> vita. “L’essersi liberati” dai lacci tra<strong>di</strong>zionali e poter<br />

scegliere tra un numero crescente <strong>di</strong> opzioni è considerato come un <strong>in</strong>cremento <strong>di</strong> libertà. Al massimo questa<br />

nuova “libertà” è considerata come “ambivalente” perché impone nuove “responsab<strong>il</strong>ità” all’<strong>in</strong><strong>di</strong>viduo. Di<br />

fatto, la decisione che la donna <strong>in</strong>c<strong>in</strong>ta, la signora C., deve prendere, sembra <strong>una</strong> decisione <strong>di</strong> <strong>in</strong>vestimento <strong>in</strong><br />

<strong>una</strong> speculazione <strong>di</strong> borsa: essa deve scegliere tra opzioni preselezionate e essere pronta ad accettare i rischi<br />

associati.<br />

Facendo l’esempio della consulenza genetica prenatale <strong>in</strong>tendo prendere <strong>in</strong> esame questo tipo <strong>di</strong><br />

autodeterm<strong>in</strong>azione professionalmente <strong>in</strong>segnata. La seduta con <strong>il</strong> genetista è solo uno dei vari rituali<br />

educativi che <strong>in</strong>segnano ai clienti a prendere le loro decisioni, ma è <strong>senza</strong> dubbio uno dei più lampanti: come<br />

la maggioranza delle clienti dei consulenti <strong>in</strong> genetica, la signora C. è <strong>in</strong>c<strong>in</strong>ta. La curva dei rischi e <strong>il</strong> calcolo<br />

delle probab<strong>il</strong>ità collide <strong>di</strong>rettamente con la sua delicata con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> donna che aspetta un bamb<strong>in</strong>o. Lei è<br />

preoccupata del benessere del bamb<strong>in</strong>o che deve arrivare e <strong>il</strong> genetista la <strong>in</strong>forma dei rischi e le offre


strategie per gestire <strong>il</strong> rischio. Così la sessione educativa con <strong>il</strong> genetista esemplifica come la richiesta <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />

presa <strong>di</strong> decisione autonoma re<strong>in</strong>terpreta la libertà <strong>di</strong> scelta e l’autonomia.<br />

Il fra<strong>in</strong>ten<strong>di</strong>mento dei rischi - Prima <strong>di</strong> tornare alla signora C. devo fare alcune annotazioni su uno<br />

dei concetti chiave della consulenza genetica, ovvero <strong>il</strong> rischio. Ciò che è chiamato scelta <strong>in</strong>formata <strong>di</strong> fatto è<br />

<strong>una</strong> decisone basata su calcoli statistici del rischio. Cosa significa ciò quando <strong>una</strong> donna <strong>in</strong>c<strong>in</strong>ta è messa <strong>di</strong><br />

fronte ad <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> numeri statistici che rappresentano presumib<strong>il</strong>mente la sua idea <strong>di</strong> bamb<strong>in</strong>o sano? E<br />

cosa le <strong>di</strong>cono questi numeri?<br />

Nel XIX° secolo, quando ogni cosa, dal calcio <strong>di</strong> un cavallo alla grandezza <strong>di</strong> <strong>una</strong> se<strong>di</strong>a, veniva<br />

contato e registrato statisticamente, <strong>il</strong> sociologo e statistico Adolphe Quételet osservò che le leggi statistiche<br />

che regolano la <strong>società</strong> e le masse non possono essere applicate all’<strong>in</strong><strong>di</strong>viduo: “queste leggi non hanno, <strong>in</strong><br />

virtù <strong>di</strong> come sono state formulate, niente <strong>di</strong> personale <strong>in</strong> se stesse, e per questa ragione possono essere<br />

applicate agli <strong>in</strong><strong>di</strong>vidui con alcune restrizioni. Applicarle ad un <strong>in</strong><strong>di</strong>viduo sarebbe così sbagliato come usare<br />

<strong>una</strong> tabella sulle probab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> morte per determ<strong>in</strong>are <strong>il</strong> giorno <strong>in</strong> cui <strong>una</strong> persona morirà”.<br />

Non più <strong>di</strong> cento anni dopo, tuttavia, ci siamo abituati a considerare le probab<strong>il</strong>ità come pre<strong>di</strong>zioni<br />

personali. Ogni consultazione con un dottore oggi è potenzialmente piena <strong>di</strong> rischi spaventosi. Da <strong>una</strong><br />

valanga <strong>di</strong> dati, gli statistici calcolano le probab<strong>il</strong>ità che permettono loro <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>re la frequenza con la quale<br />

<strong>una</strong> cosa può accadere nella popolazione artificiale dalla quale è stato ricavato <strong>il</strong> campione. Non appena<br />

trovano la loro strada nella pratica cl<strong>in</strong>ica, tuttavia, queste frequenze si trasformano <strong>in</strong> rischi m<strong>in</strong>acciosi. I<br />

pazienti si aspettano sempre e giustamente che <strong>il</strong> loro dottore <strong>di</strong>ca qualcosa <strong>di</strong> concreto e tangib<strong>il</strong>e su <strong>di</strong> loro.<br />

Quando <strong>il</strong> me<strong>di</strong>co attribuisce loro un rischio, essi <strong>in</strong>evitab<strong>il</strong>mente pensano che questa sia <strong>una</strong> <strong>di</strong>agnosi, <strong>una</strong><br />

personale m<strong>in</strong>accia che sovrasta <strong>il</strong> loro presente come <strong>una</strong> spada <strong>di</strong> Damocle. Ma la def<strong>in</strong>izione <strong>di</strong> rischio<br />

non si riferisce ad <strong>una</strong> persona concreta, ma ad un caso costruito; mai ad un “Io” o un “Tu” <strong>in</strong> <strong>una</strong><br />

def<strong>in</strong>izione colloquiale, ma sempre a un caso preso da <strong>una</strong> popolazione considerata statisticamente. “La<br />

caratteristica fondamentale dei dati statistici è sempre quella <strong>di</strong> perdere <strong>di</strong> vista l’uomo preso s<strong>in</strong>golarmente<br />

per considerarlo <strong>in</strong>vece <strong>una</strong> frazione della specie. E’ necessario denudarlo della sua <strong>in</strong><strong>di</strong>vidualità per<br />

arrivare all’elim<strong>in</strong>azione <strong>di</strong> ogni effetto accidentale che l’<strong>in</strong><strong>di</strong>vidualità può <strong>in</strong>trodurre nel problema”.<br />

(Poisson S.D.)<br />

Nell’epoca delle curve <strong>di</strong> popolazione, delle previsioni <strong>di</strong> pioggia, e delle rassicurazioni genetiche, la<br />

consapevolezza del significato circoscritto dei calcoli statistici si è affievolita.<br />

I me<strong>di</strong>ci associano le probab<strong>il</strong>ità statistiche <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>di</strong>agnosi a un pericolo personale, dando un’apparenza <strong>di</strong><br />

concretezza ad <strong>una</strong> frequenza astratta. Questo fra<strong>in</strong>ten<strong>di</strong>mento delle probab<strong>il</strong>ità statistiche come personali<br />

m<strong>in</strong>acce trasforma le persone sane <strong>in</strong> pazienti sofferenti <strong>di</strong> <strong>una</strong> nuova malattia iatrogena: ansia da rischio.<br />

Una volta che l’attestazione <strong>di</strong> un rischio <strong>di</strong> cancro al seno o <strong>di</strong> un attacco <strong>di</strong> cuore abbia scatenato fantasie<br />

su sofferenze e morte precoce, gli pseudo-pazienti trovano <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e recuperare la pace della loro mente.<br />

Sebbene liberi dalla malattia, essi vivono sotto l’ombra delle profezie me<strong>di</strong>che. I dottori non possono<br />

<strong>di</strong>ssipare i nuovi timori dei loro pazienti, essi possono soltanto suggerire <strong>di</strong>verse strategie per gestire <strong>il</strong><br />

rischio.<br />

Prendere me<strong>di</strong>c<strong>in</strong>e per la prof<strong>il</strong>assi, osservare prescrizioni <strong>di</strong>etetiche e <strong>di</strong> esercizi fisici, e soprattutto<br />

eseguire regolari screen<strong>in</strong>g e monitoraggi sono considerati la salvaguar<strong>di</strong>a contro <strong>il</strong> male evocato dai calcoli<br />

statistici.<br />

Il counsel<strong>in</strong>g genetico - Il counsel<strong>in</strong>g genetico è un servizio per <strong>in</strong>segnare ad <strong>una</strong> donna <strong>in</strong> attesa <strong>di</strong><br />

un figlio come fare <strong>una</strong> “scelta <strong>in</strong>formata”. La maggior parte della clientela dei consulenti <strong>in</strong> genetica è<br />

costituita da donne <strong>in</strong>c<strong>in</strong>te classificate a rischio. A mano a mano che <strong>di</strong>venta più costrittiva la rete delle<br />

tecniche <strong>di</strong> monitoraggio prenatale come gli ultrasuoni e <strong>il</strong> siero materno, esami designati ad <strong>in</strong><strong>di</strong>viduare i<br />

rischi, sempre più donne saranno etichettate “a rischio” e approderanno negli stu<strong>di</strong> dei consulenti <strong>in</strong> genetica.<br />

Qui <strong>il</strong> genetista fa alla donna <strong>una</strong> lezione sulle <strong>di</strong>verse malattie genetiche, sulle probab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> <strong>di</strong>fetti<br />

congeniti, sulla sua collocazione nel <strong>di</strong>agramma dei vari rischi e sul pronostico m<strong>in</strong>accioso che <strong>in</strong>combe sul<br />

futuro del bamb<strong>in</strong>o ancora nel grembo e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e sull’obbligo per <strong>una</strong> donna moderna <strong>di</strong> prendere <strong>una</strong><br />

decisione. Scopo dell’ora o due <strong>di</strong> corso accelerato <strong>in</strong> biostatistica e genetica non è l’ottemperanza ad <strong>una</strong><br />

prescrizione <strong>di</strong> condotta professionale, ma la prestazione <strong>di</strong> “un’assistenza <strong>in</strong><strong>di</strong>viduale per arrivare ad <strong>una</strong>


decisione”. I genetisti spronano le loro clienti a prendere la propria decisione, dopo essere stati preparati<br />

professionalmente a farlo. La decisione è un evento storico: alla donna <strong>in</strong>c<strong>in</strong>ta viene chiesto, alla luce del suo<br />

prof<strong>il</strong>o <strong>di</strong> rischio, se vuole subord<strong>in</strong>are la sua decisione al risultato <strong>di</strong> ulteriori test.<br />

La donna <strong>in</strong> gravidanza non è semplicemente assoggettata alla guida professionale, ma le si <strong>in</strong>segna<br />

a prendere la propria decisione. Questa decisione, comunque, ridef<strong>in</strong>isce ra<strong>di</strong>calmente la sua con<strong>di</strong>zione.<br />

Infatti la obbliga a gestire un prof<strong>il</strong>o <strong>di</strong> rischio per <strong>il</strong> feto e a sentirsi responsab<strong>il</strong>e delle conseguenze. Per<br />

questo mi sono de<strong>di</strong>cata ad analizzare la consulenza genetica <strong>in</strong>tesa come <strong>una</strong> lezione su come prendere <strong>una</strong><br />

decisione manageriale. Durante questo stu<strong>di</strong>o ho registrato trenta sedute <strong>di</strong> counsel<strong>in</strong>g <strong>in</strong> tre <strong>di</strong>fferenti centri<br />

<strong>di</strong> consulenza <strong>in</strong> Germania.<br />

La creazione <strong>di</strong> prof<strong>il</strong>i <strong>di</strong> rischio - Tornando alla signora C., essa durante <strong>il</strong> suo programma<br />

educativo ha imparato a scegliere tra due rischi: <strong>in</strong> caso <strong>di</strong> un risultato positivo del test, dovrà decidere se<br />

term<strong>in</strong>are o meno la gravidanza; da <strong>una</strong> parte <strong>il</strong> rischio <strong>di</strong> <strong>in</strong>durre un aborto, dall’altra parte <strong>il</strong> rischio <strong>di</strong><br />

partorire un bamb<strong>in</strong>o <strong>di</strong>sab<strong>il</strong>e e <strong>di</strong> essere “condannata” per non averlo evitato. La signora C. si ritrova <strong>in</strong> un<br />

situazione dove può scegliere soltanto <strong>il</strong> m<strong>in</strong>ore dei mali.<br />

Ogni anno migliaia e migliaia <strong>di</strong> donne <strong>in</strong>c<strong>in</strong>te sono poste <strong>di</strong> fronte a questo d<strong>il</strong>emma. Entrano nella stanza<br />

preoccupate per <strong>il</strong> benessere del nascituro, con <strong>il</strong> dubbio se effettuare o meno alcuni esami ad<strong>di</strong>zionali. Dopo<br />

la seduta sono gravate da un nuovo compito: sono state rese responsab<strong>il</strong>i della gestione del rischio del feto.<br />

In seguito analizzerò come un’ <strong>in</strong>iziativa mirata alla responsab<strong>il</strong>ità e all’autonomia porta la madre, <strong>in</strong><br />

maniera surrettizia, ad essere <strong>una</strong> sostenitrice <strong>di</strong> un miglioramento della <strong>di</strong>agnosi prenatale per le future<br />

popolazioni.<br />

L’attribuzione del rischio - “L’Informazione” è un valore vuoto, specialmente nel counsel<strong>in</strong>g<br />

genetico. Dopo la seduta, la signora C. non conosce niente <strong>di</strong> nuovo su se stessa e sul bamb<strong>in</strong>o che deve<br />

nascere. Al contrario, essa è stata <strong>in</strong>formata dei vari rischi statistici che si considerano come un’<strong>in</strong>formazione<br />

significativa per lei. Dall’esito positivo del suo test <strong>di</strong> gravidanza, <strong>il</strong> consulente deduce un “rischio base”.<br />

Dalla sua documentazione egli tira fuori un’<strong>il</strong>lustrazione che mostra un circoletto bianco con un sott<strong>il</strong>e<br />

spicchio nero dentro: “Guar<strong>di</strong> qui - <strong>di</strong>ce - ogni donna ha questo cosiddetto rischio <strong>di</strong> base, dal 3 al 5%, che<br />

<strong>il</strong> bamb<strong>in</strong>o possa avere <strong>una</strong> malattia congenita”. Qu<strong>in</strong><strong>di</strong> le elenca tutto quello che può avere <strong>il</strong> bamb<strong>in</strong>o che<br />

deve nascere: palato aperto, <strong>di</strong>fetti al cuore, ritardo mentale. Questo rischio riguarda tutte le donne <strong>in</strong><br />

gravidanza <strong>senza</strong> eccezioni, sentenzia <strong>il</strong> dottore, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> anche la signora C. Ciò <strong>in</strong>clude anche le malattie<br />

genetiche che possono <strong>in</strong>aspettatamente saltar fuori <strong>in</strong> <strong>una</strong> generazione. “Può capitare a tutte, ciò fa parte<br />

del rischio <strong>di</strong> base”, le <strong>di</strong>ce per aiutarla.<br />

I test prenatali <strong>di</strong> rout<strong>in</strong>e non possono prevedere la maggior parte delle anomalie genetiche. La<br />

s<strong>in</strong>drome <strong>di</strong> Down può essere prevista ed è per questo che <strong>il</strong> bamb<strong>in</strong>o con gli occhi a mandorla è <strong>di</strong>ventato <strong>in</strong><br />

generale l’emblema del ritardo mentale. Per cui l’educazione sugli errori citologici che portano al Trisoma<br />

21 è un capitolo <strong>in</strong>elu<strong>di</strong>b<strong>il</strong>e dell’educazione prenatale. Il genetista mostra alla signora C. <strong>una</strong> curva <strong>di</strong> rischio<br />

rapidamente crescente e le chiede l’età. Egli stab<strong>il</strong>isce che la probab<strong>il</strong>ità è 1.87. Questo numero misura la<br />

frequenza <strong>di</strong> bamb<strong>in</strong>i nati con la s<strong>in</strong>drome <strong>di</strong> Down nella schiera statistica delle donne <strong>di</strong> trentasei anni. Che<br />

cosa può significare questo per <strong>una</strong> donna <strong>in</strong> attesa del suo primo bamb<strong>in</strong>o?<br />

Come lo psicologo cognitivista Gerd Gigerenzer ha <strong>di</strong>mostrato, le probab<strong>il</strong>ità sono travisate dalla<br />

maggioranza delle persone, sia si tratti <strong>di</strong> esperti che <strong>di</strong> clienti. Una previsione del tempo del trenta per cento<br />

<strong>di</strong> possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> pioggia, per esempio, viene <strong>in</strong>terpretata <strong>in</strong> mo<strong>di</strong> fantasiosi. Ciò significa realmente che <strong>il</strong><br />

meteorologo è <strong>il</strong> creatore <strong>di</strong> un domani fittizio. Ma per <strong>il</strong> solo reale domani che esiste, <strong>il</strong> rischio è irr<strong>il</strong>evante.<br />

La signora C. tuttavia è preoccupata per <strong>il</strong> suo solo reale domani, per <strong>il</strong> suo bamb<strong>in</strong>o che sta per arrivare. I<br />

vari rischi che le sono stati delucidati non hanno aggiunto <strong>una</strong> sola virgola alla sua conoscenza <strong>di</strong> se stessa e<br />

del suo bamb<strong>in</strong>o che deve nascere. Tutto quello che <strong>il</strong> consulente poteva fare era spiegare cosa potrebbe<br />

accadere ed esprimere questo “potrebbe” <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i statistici. Ma le sue formulazioni colloquiali - “<strong>il</strong> tuo<br />

rischio” - e l’equazione tra rischio e <strong>in</strong>certezza, o ad<strong>di</strong>rittura pericolo, conferiscono un’apparenza <strong>di</strong><br />

concretezza a <strong>una</strong> frequenza astratta. Le probab<strong>il</strong>ità statistiche alla f<strong>in</strong>e si traducono <strong>in</strong> <strong>una</strong> m<strong>in</strong>accia<br />

personale, <strong>una</strong> presunta, tangib<strong>il</strong>e realtà.


Lezioni su come prendere decisioni come manager <strong>di</strong> se stessi - I clienti come “decision maker” I<br />

consulenti <strong>in</strong> genetica giustamente resp<strong>in</strong>gono l’accusa <strong>di</strong> far pressione sui loro clienti perché si sottomettano<br />

ai test. Il genetista Schmidtke chiarisce molto bene che non è possib<strong>il</strong>e per i me<strong>di</strong>ci stab<strong>il</strong>ire <strong>una</strong> prescrizione<br />

me<strong>di</strong>ca per la <strong>di</strong>agnosi prenatale: prima <strong>di</strong> tutto, perché questa non è <strong>una</strong> cura. Nell’eventualità <strong>di</strong> un risultato<br />

positivo del test, la donna dovrebbe decidere tra far nascere un bamb<strong>in</strong>o “evitab<strong>il</strong>e” e <strong>in</strong>terrompere la<br />

gravidanza; secondariamente perché essi non possono fondare <strong>il</strong> loro parere sulle probab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> rischio. I<br />

consulenti <strong>in</strong> genetica fanno velocemente marcia <strong>in</strong><strong>di</strong>etro quando i clienti chiedono loro <strong>di</strong> <strong>in</strong>terpretare i<br />

valori <strong>di</strong> rischio che gli sono stati esibiti . Nella migliore delle ipotesi gli esperti <strong>in</strong>seriscono <strong>una</strong> post<strong>il</strong>la<br />

riguardo alle statistiche <strong>in</strong> generale del tipo: “queste sono solo statistiche”. È accaduto che un consulente<br />

abbia detto esplicitamente ad <strong>una</strong> sua cliente <strong>di</strong> dare lei stessa senso ai dati numerici. Dopo averla <strong>in</strong>formata<br />

che <strong>il</strong> rischio <strong>di</strong> mettere al mondo un bamb<strong>in</strong>o affetto dalla s<strong>in</strong>drome <strong>di</strong> Down era dell’1%, <strong>di</strong>sse:“Questo è<br />

prima <strong>di</strong> tutto solo un numero. Può essere considerato sia alto che basso. Questo è un punto <strong>di</strong> vista<br />

assolutamente personale ed è giusto così. Alcuni <strong>di</strong>ranno che è fort<strong>una</strong>tamente basso, e un’altra famiglia<br />

<strong>di</strong>rà, e anche loro hanno ragione, che è più <strong>di</strong> quanto possano accettare. La cosa può essere vista <strong>in</strong> mo<strong>di</strong><br />

del tutto <strong>di</strong>versi.”<br />

La trappola della decisione - Senza <strong>una</strong> pressione <strong>di</strong>retta la signora C. è stata trasformata <strong>in</strong> <strong>una</strong><br />

“decision maker” nel sistema dei servizi prenatali. “Sia che tu lo faccia o no, ad un certo punto la decisione<br />

va presa”, come un altro consulente le aveva <strong>di</strong>chiarato seccamente. I consulenti genetici non si preoccupano<br />

<strong>di</strong> quello che le loro clienti decidono, quello che <strong>in</strong>teressa loro è che facciano <strong>una</strong> “scelta <strong>in</strong>formata”. I<br />

consulenti, qu<strong>in</strong><strong>di</strong>, offrono l’opzione non soltanto <strong>di</strong> usufruire dei test prenatali, ma anche <strong>di</strong> astenersi dal<br />

farli. Allo stesso modo <strong>in</strong> cui <strong>il</strong> consulente genetico calcola i rischi che un test può implicare, calcola anche,<br />

<strong>in</strong> anticipo, i rischi cui la stessa donna si espone se sceglie <strong>di</strong> non sottoporsi all’amniocentesi. Nel fare questo<br />

<strong>il</strong> consulente modella <strong>il</strong> futuro della donna <strong>in</strong> modo tale che ogni possib<strong>il</strong>e risultato può essere visto come<br />

<strong>una</strong> conseguenza della sua decisione. Questo imprigiona la donna <strong>in</strong> <strong>una</strong> trappola: “la trappola della<br />

decisione”. Che <strong>il</strong> risultato dell’amniocentesi sia un aborto o un bamb<strong>in</strong>o down, <strong>di</strong> colpo la donna si trova<br />

responsab<strong>il</strong>e anche <strong>di</strong> cose sulle quali non può avere alc<strong>una</strong> <strong>in</strong>fluenza. L’essere semplicemente <strong>in</strong>c<strong>in</strong>ta, fatto<br />

che non era messo <strong>in</strong> <strong>di</strong>scussione <strong>una</strong> o due generazioni fa, ora non è più possib<strong>il</strong>e. La trappola della<br />

decisione trasforma lo stato <strong>di</strong> “attesa” nella “decisione autonoma” <strong>di</strong> accettare <strong>il</strong> rischio <strong>di</strong> dare la vita ad un<br />

bamb<strong>in</strong>o <strong>di</strong>sab<strong>il</strong>e. Un altro consulente ha detto esplicitamente alla sua cliente che oggi <strong>una</strong> donna deve<br />

<strong>in</strong>colpare solo se stessa se lascerà le cose al dest<strong>in</strong>o. Se non la obbliga a fare <strong>il</strong> test, tuttavia mette ben <strong>in</strong><br />

chiaro che lei deve essere consapevole <strong>di</strong> che cosa sta facendo se sceglie <strong>di</strong> non farlo. Dopo averla <strong>in</strong>formata<br />

dei rischi correlati alla sua età, circa <strong>il</strong> far nascere un bamb<strong>in</strong>o Down, afferma con sguardo assente: “In ogni<br />

caso, lei sa, che se non vuole semplicemente <strong>in</strong>ch<strong>in</strong>arsi al fato, può non farlo”.<br />

Conclusioni - La consulenza genetica prenatale è un esempio significativo <strong>di</strong> un nuovo genere <strong>di</strong><br />

impresa educativa. Questa, <strong>in</strong> modo esplicito, fac<strong>il</strong>ita <strong>una</strong> “scelta <strong>in</strong>formata” sulla base dei rischi <strong>in</strong> un campo<br />

dove tra<strong>di</strong>zionalmente c’era posto per <strong>una</strong> buona speranza, ma non per <strong>una</strong> decisione, anche negli stati<br />

avanzati <strong>di</strong> gravidanza. Questo non solo non <strong>in</strong>crementa l’autonomia della donna, ma nemmeno l’avvic<strong>in</strong>a al<br />

suo desiderio: un bamb<strong>in</strong>o sano o per lo meno “normale”. Non <strong>di</strong> meno cambia ra<strong>di</strong>calmente ciò che<br />

significa essere madre. Ciò che è <strong>in</strong> gioco qui non è solo la salute mentale della cliente, ma anche la sua<br />

preoccupazione per <strong>il</strong> bamb<strong>in</strong>o che porta <strong>in</strong> grembo. La donna che riceve la consulenza aspetta un bamb<strong>in</strong>o,<br />

un “Tu” che sta per venire alla luce. Mano a mano che <strong>il</strong> suo ventre cresce, lentamente si rivolge allo<br />

sconosciuto che <strong>di</strong>verrà l’essere più caro. E questo particolare stato d’animo <strong>di</strong> attesa, delicato e vulnerab<strong>il</strong>e,<br />

è <strong>di</strong>ventato la porta d’accesso per la re<strong>in</strong>terpretazione scientifica <strong>di</strong> “Io” e “Tu”. Nella consulenza genetica <strong>il</strong><br />

suo desiderio <strong>di</strong> aver cura del bamb<strong>in</strong>o <strong>in</strong> arrivo viene trasformato nel dovere <strong>di</strong> soppesare rischi e benefici,<br />

<strong>di</strong> considerarlo come un prof<strong>il</strong>o <strong>di</strong> rischio calcolab<strong>il</strong>e, un membro <strong>senza</strong> volto <strong>di</strong> <strong>una</strong> popolazione statistica.<br />

L’<strong>in</strong>tervento non è stato rivisto dalla relatrice


IL BENEVOLO DISORDINE DELLA VITA<br />

Marcello Buiatti<br />

La civ<strong>il</strong>tà umana sta attraversando un momento molto critico, ed <strong>una</strong> delle criticità maggiori riguarda<br />

proprio <strong>il</strong> rapporto tra uomo e scienza. Molte persone vedono la scienza come un <strong>in</strong>sieme <strong>di</strong> regole<br />

apo<strong>di</strong>ttiche, considera gli scienziati come uom<strong>in</strong>i con capacità magiche <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>re <strong>il</strong> futuro e rifornire<br />

strumenti assolutamente sicuri per migliorare la vita delle persone.<br />

Questa tendenza deriva da <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> cont<strong>in</strong>uazione del processo evolutivo dell’homo sapiens. L’uomo ha<br />

<strong>in</strong>iziato cacciando e pescando, poi ha trovato gli ambiente adatti alla vita. Successivamente <strong>il</strong> nostro cervello<br />

ha <strong>in</strong>iziato ad immagazz<strong>in</strong>are <strong>in</strong>formazioni, ad astrarre gli <strong>in</strong>put provenienti dall’esterno per proiettarli sulla<br />

materia (questa è l’arte: chi <strong>di</strong>p<strong>in</strong>ge non <strong>di</strong>p<strong>in</strong>ge l’oggetto che vede, ma l’immag<strong>in</strong>e che ha dell’oggetto<br />

stesso). Da qui è <strong>in</strong>iziato <strong>il</strong> processo evolutivo.<br />

Qu<strong>in</strong><strong>di</strong> abbiamo <strong>in</strong>iziato a costruire l’oggetto sul progetto, abbiamo mo<strong>di</strong>ficato l’ambiente secondo <strong>il</strong><br />

progetto e le nostre esigenze, abbiamo creato oggetti frutto della nostra costruzione, abbiamo scambiato gli<br />

oggetti, poi li abbiamo venduti (nascita della moneta), ed oggi stiamo scambiando solo moneta.<br />

C’è stato qu<strong>in</strong><strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> alienazione completo, da quella che è la nostra materia viva a qualcosa che è<br />

sempre più lontano dall’uomo “materiale”.<br />

Il primo grande cambiamento è avvenuto con la nascita della <strong>società</strong> <strong>in</strong>dustriale. Non può a questo<br />

punto non venire <strong>in</strong> mente <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m “Metropolis” (1927), che altro non è che <strong>una</strong> città del 2000, orgogliosa dei<br />

suoi grattacieli e delle sue sopraelevate.<br />

Siamo stati guidati, proprio come descritto da “Metropolis”, dall’utopia meccanica, abbiamo cioè pensato <strong>di</strong><br />

esser così bravi da poter prevedere e cambiare tutto secondo i nostri f<strong>in</strong>i.<br />

In questo processo si <strong>in</strong>nesta <strong>il</strong> mutamento storico delle scienze che hanno a che fare con la vita. Noi<br />

che lavoriamo <strong>in</strong> questo campo abbiamo gran<strong>di</strong>ssime responsab<strong>il</strong>ità verso la gente, siamo responsab<strong>il</strong>i nei<br />

confronti delle persone, perché stu<strong>di</strong>amo la vita, stu<strong>di</strong>amo gli essere umani che sono vivi. Per cui i concetti<br />

che noi traiamo dai nostri stu<strong>di</strong> sulla vita e che comunichiamo, hanno a che fare con gli esseri umani, qu<strong>in</strong><strong>di</strong><br />

<strong>in</strong>fluenzano molto la concezione <strong>di</strong> noi stessi. Ma noi stessi subiamo <strong>in</strong>fluenze dall’esterno, perché <strong>una</strong><br />

concezione che <strong>di</strong>venta generale, si trasforma <strong>in</strong> immag<strong>in</strong>ario scientifico e noi ci riflettiamo <strong>in</strong> essa.<br />

Vi faccio un esempio concreto. Il “Dogma centrale della biologia molecolare” rappresenta la<br />

concezione prevalente della scienza. Il term<strong>in</strong>e dogma ci comunica già qualcosa <strong>di</strong> molto sbagliato, perché la<br />

scienza non offre verità universali, ma, <strong>in</strong> quanto ricerca, deve <strong>di</strong>scutere cont<strong>in</strong>uamente le verità, che sono<br />

sempre locali e parziali. Il term<strong>in</strong>e dogma qu<strong>in</strong><strong>di</strong> non ha niente a che fare con la scienza, ed implica <strong>una</strong><br />

impostazione rigida, molto aderente all’utopia meccanica, secondo cui si è capaci <strong>di</strong> capire tutto e qu<strong>in</strong><strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

offrire verità universali<br />

La vita è vista come un computer con un DNA, dentro <strong>il</strong> quale è contenuto <strong>il</strong> futuro. In questa concezione è<br />

implicita <strong>una</strong> grande paura del <strong>di</strong>sord<strong>in</strong>e, <strong>il</strong> terrore del cambiamento, la paura della <strong>di</strong>versità, la voglia <strong>di</strong><br />

essere tutti omogenei e migliori, <strong>una</strong> nozione quest’ultima terrib<strong>il</strong>e e profondamente sbagliata. Il concetto <strong>di</strong><br />

migliore implica che <strong>il</strong> nostro obiettivo <strong>di</strong> esseri umani è <strong>di</strong> fare un mondo composto da tutti migliori,<br />

ottimali, tutti uguali, perché se c’è un ottimo cerchiamo <strong>di</strong> uniformare tutto a quel modello. La richiesta <strong>di</strong><br />

produrre “<strong>il</strong> migliore” è quella che proviene dalla gente, perché piace molto. Mi chiedono, ad esempio, <strong>di</strong><br />

cercare <strong>il</strong> gene dell’immortalità, della fedeltà coniugale, dell’omosessualità, ecc. Noi allora ten<strong>di</strong>amo a<br />

cercare quel gene.<br />

Molti testi scolastici, giornali, televisioni, ecc. contengono questi messaggi, ma la vita non è fatta così, è<br />

molto <strong>di</strong>versa. Secondo la logica del “Central dogma” gli esseri umani sono degli oggetti che possiamo<br />

mo<strong>di</strong>ficare, sono oggetti e qu<strong>in</strong><strong>di</strong> possono essere brevettati e venduti. I componenti del DNA sono<br />

considerati come <strong>il</strong> software <strong>di</strong> un computer. E’ qu<strong>in</strong><strong>di</strong> possib<strong>il</strong>e pre<strong>di</strong>re tutto, cambiare alcune componenti<br />

<strong>senza</strong> danneggiarne altre.<br />

Le conseguenze ideologiche e f<strong>il</strong>osofiche <strong>di</strong> questa concezione sono terrib<strong>il</strong>i: gli esseri umani sono<br />

<strong>di</strong>versi fisicamente o mentalmente solo perché hanno DNA <strong>di</strong>versi, non sono <strong>in</strong>fluenzati dall’ambiente. Da


questo deriva che l’unico modo per cambiare gli uom<strong>in</strong>i è quello <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare <strong>il</strong> DNA. E ci sono due mo<strong>di</strong><br />

per mo<strong>di</strong>ficarlo: uno è quello <strong>di</strong> elim<strong>in</strong>are chi ha un DNA “sbagliato”, l’altro - più moderno e tecnologico - è<br />

quello <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare i geni contenuti nel DNA, estraendo quelli considerati “scomo<strong>di</strong>” e sostituendoli con<br />

altri.<br />

Queste concezioni non hanno niente a che fare con la scienza, vengono molto prima della biologia moderna.<br />

I sostenitori del determ<strong>in</strong>ismo e meccanicismo sostengono <strong>in</strong>oltre che le <strong>di</strong>fferenze tra le razze sono causate<br />

da <strong>di</strong>versi DNA, e questo non è vero, perché non esistono <strong>di</strong>verse razze <strong>di</strong> esseri umani dal punto <strong>di</strong> vista<br />

biologico. Già Platone nella Repubblica <strong>di</strong>ceva che per non dare alla gente troppe ambizioni ed aspettative<br />

sul futuro era consigliab<strong>il</strong>e <strong>di</strong>re loro che <strong>il</strong> figlio dell’oro è d’oro ed <strong>il</strong> figlio del bronzo è <strong>di</strong> bronzo. Questo<br />

significa che era necessario conv<strong>in</strong>cere coloro che sono <strong>di</strong> bronzo (i più poveri), che la loro situazione non<br />

poteva mai cambiare, nemmeno <strong>in</strong> futuro.<br />

La pecora Dolly è l’immag<strong>in</strong>e dell’omoge<strong>in</strong>izzazione. Vogliamo clonarci, perché siamo i migliori e<br />

vogliamo che tutto <strong>il</strong> mondo sia come noi. Dolly è <strong>il</strong> simbolo dell’utopia meccanica, ma anche della non<br />

realtà scientifica dell’utopia meccanica, perchè la clonazione è fallita dal punto <strong>di</strong> vista scientifico.<br />

Una ricerca condotta da W<strong>il</strong>muth - <strong>il</strong> “creatore” <strong>di</strong> Dolly - su tutti gli animali clonati ha <strong>di</strong>mostrato che<br />

nessuno dei pochissimi superstiti è completamente normale. Questo ha reso W<strong>il</strong>muth <strong>il</strong> più acerrimo nemico<br />

<strong>di</strong> Sever<strong>in</strong>o Ant<strong>in</strong>ori, <strong>il</strong> se<strong>di</strong>cente “clonatore” <strong>di</strong> esseri umani…forse la vita non è così meccanica come<br />

sembrava?<br />

Nascono qu<strong>in</strong><strong>di</strong> alcuni problemi teorici fondamentali dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> un biologo: noi siamo<br />

veramente determ<strong>in</strong>ati solo dal DNA? Sarebbe bene che noi fossimo tutti omogenei e predeterm<strong>in</strong>ati?<br />

Dobbiamo rispondere a queste domande ut<strong>il</strong>izzando gli strumenti che ci offre la biologia contemporanea, non<br />

quella moderna. Faccio questa <strong>di</strong>st<strong>in</strong>zione, perché la biologia risente dello spirito del tempo, e la biologia<br />

moderna risente ancora della concezione uomo-macch<strong>in</strong>a.<br />

Dai dati biologici sappiamo che nel processo evolutivo v<strong>in</strong>ce non <strong>il</strong> migliore, ma chi ha la capacità <strong>di</strong><br />

cambiare, chi è plastico, chi “se la cava”. Abbiamo <strong>in</strong>fatti scoperto che durante l’evoluzione si sono affermati<br />

meccanismi che garantiscono <strong>una</strong> certa dose <strong>di</strong> variab<strong>il</strong>ità, perché coloro che sono variab<strong>il</strong>i vivono meglio.<br />

La variab<strong>il</strong>ità potenziale scelta <strong>di</strong> momento <strong>in</strong> momento avviene grazie alla comunicazione tra le molecole.<br />

C’è da <strong>di</strong>re che le <strong>di</strong>verse classi <strong>di</strong> organismi hanno sistemi <strong>di</strong>versi per variare; nel caso dei batteri ad<br />

esempio, la vita è molto corta (circa 20 m<strong>in</strong>uti), qu<strong>in</strong><strong>di</strong> non hanno bisogno <strong>di</strong> mutare durante la vita, ma <strong>di</strong><br />

generazione <strong>in</strong> generazione, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> cambiano <strong>il</strong> loro DNA molto velocemente e si scambiano DNA anche fra<br />

specie molto lontane.<br />

Piante ed animali <strong>in</strong>vece hanno cicli ci vita molto più lunghi, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> devono essere plastici durante la loro<br />

esistenza; per questo non mutiamo rapidamente i nostri geni, eccetto quelli che producono gli anticorpi e<br />

quelli che “curano” <strong>il</strong> cervello, questo perché la capacità <strong>di</strong> plasticità del nostro cervello è maggiore rispetto<br />

a quella del DNA, che assume <strong>di</strong>verse forme. Questo è importante perché <strong>il</strong> DNA deve riconoscere le<br />

prote<strong>in</strong>e ed i segnali per complementarità <strong>di</strong> forme.<br />

I segnali che vengono dall’esterno (prote<strong>in</strong>e) attivano <strong>di</strong> volta <strong>in</strong> volta determ<strong>in</strong>ati geni, che<br />

rappresentano solo <strong>una</strong> piccola parte del DNA (l’1,4%, abbiamo 25.000 geni). Il resto del DNA - la<br />

stragrande maggioranza - è formata da DNA stesso che serve per regolare <strong>il</strong> funzionamento dei geni, per<br />

dargli plasticità: se fa caldo mi si devono avviare solo i geni che producono <strong>il</strong> sudore, perché si attiva un f<strong>in</strong>e<br />

meccanismo <strong>di</strong> passaggio <strong>di</strong> segnale da alcune prote<strong>in</strong>e che stanno <strong>in</strong>torno alle mie cellule, f<strong>in</strong>o al DNA.<br />

I geni sono “ambigui”, perché possono essere letti <strong>in</strong> modo <strong>di</strong>verso. Un s<strong>in</strong>golo gene può <strong>in</strong>fatti<br />

essere trascritto ad <strong>in</strong>iziare ed a f<strong>in</strong>ire <strong>in</strong> punti <strong>di</strong>versi, dando <strong>di</strong>versi RNA e qu<strong>in</strong><strong>di</strong> <strong>di</strong>verse prote<strong>in</strong>e. Oppure<br />

l’RNA che viene da uno stesso gene può riorganizzarsi, producendo <strong>di</strong>verse prote<strong>in</strong>e: basti pensare che un<br />

solo gene può formare 38.000 prote<strong>in</strong>e, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> svolgendo 38.000 compiti <strong>di</strong>versi, e questo avviene grazie a<br />

segnali che arrivano. Le prote<strong>in</strong>e che collegano i neuroni del cervello sono <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso tipo: abbiamo le<br />

cader<strong>in</strong>e, che per aumentare <strong>di</strong> numero mo<strong>di</strong>ficano <strong>il</strong> loro DNA, e le neurex<strong>in</strong>e (3 geni producono 2250<br />

neurex<strong>in</strong>e). Un gene qu<strong>in</strong><strong>di</strong> non è un enzima, è ambiguo, è plastico, e ci aiuta a creare “<strong>il</strong> benevolo <strong>di</strong>sord<strong>in</strong>e<br />

della vita”, ovvero la libertà che ci serve per vivere meglio <strong>in</strong> armonia. Tutti questi processi devono avvenire<br />

<strong>in</strong> modo armonico, <strong>senza</strong> rotture della rete, reti che si adattano all’ambiente, alle sensazioni, ecc. Dobbiamo<br />

essere contenti della nostra plasticità.


Noi abbiamo un serbatoio <strong>di</strong> variab<strong>il</strong>ità impressionante. Questo anche grazie al fatto che, nonostante<br />

siamo forniti solo <strong>di</strong> 25.000 geni, abbiamo nella corteccia cerebrale ben 100 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> neuroni capaci <strong>di</strong> fare<br />

un m<strong>il</strong>ione <strong>di</strong> m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> connessioni (per contare da 1 a un m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> servirebbero 32 anni!).<br />

Le s<strong>in</strong>apsi (connessioni tra neuroni) cambiano durante tutta la vita, e questo ci permette <strong>di</strong> avere pensieri<br />

completamente <strong>di</strong>versi e <strong>di</strong> conservarli nella nostra memoria. La nostra strategia <strong>di</strong> adattamento, s<strong>in</strong><br />

dall’<strong>in</strong>izio, è stata fondata proprio sui pensieri, cioè sull’elaborazione mentale, <strong>il</strong> cambiamento<br />

dell’ambiente, ecc. Questo è <strong>il</strong> contrario dell’immag<strong>in</strong>e del computer, che non è plastico.<br />

Il nostro cervello è anche vicariante. Ad esempio <strong>una</strong> persona vedente a cui facciamo sentire un<br />

suono attiva solo l’area dell’u<strong>di</strong>to, la persona non vedente <strong>in</strong>vece ut<strong>il</strong>izza anche l’area della visione, qu<strong>in</strong><strong>di</strong><br />

ha un u<strong>di</strong>to migliore. Un topol<strong>in</strong>o che viene allevato al buio f<strong>in</strong> dalla nascita <strong>di</strong>venta cieco, perché i fasci <strong>di</strong><br />

neuroni che vanno dall’occhio al cervello si atrofizzano, le s<strong>in</strong>apsi relative muoiono e nuovi fasci collegano i<br />

baffi (organi tatt<strong>il</strong>i) al cervello.<br />

Questo per <strong>di</strong>mostrare che noi abbiamo bisogno <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità, non solo fisica, ma anche culturale,<br />

perchè <strong>il</strong> contenuto <strong>di</strong> <strong>in</strong>formazione è <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itamente superiore nel cervello che nel DNA.<br />

E’ necessario a questo punto sottol<strong>in</strong>eare alcuni punti:<br />

• le <strong>di</strong>verse popolazioni umane hanno lo stesso patrimonio <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità genetiche ma <strong>di</strong>versi patrimoni<br />

culturali.<br />

• L’evoluzione culturale é un processo <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itamente più rapido ed efficiente <strong>di</strong> quello genetico. Inoltre<br />

l’evoluzione culturale può regre<strong>di</strong>re anche <strong>in</strong> forme <strong>di</strong>verse, cosa che non succede <strong>in</strong> quella genetica.<br />

• La comunicazione fra esseri umani <strong>in</strong>fluenza non solo la mente ma anche <strong>il</strong> corpo ed <strong>il</strong> cervello,<br />

determ<strong>in</strong>ando notevolmente i comportamenti e le d<strong>in</strong>amiche fisiologiche.<br />

Ultimamente ci stiamo <strong>di</strong>menticando dell’importanza della <strong>di</strong>versità culturale e non. Una delle cose<br />

più sbagliate e pericolose è <strong>il</strong> tentativo <strong>di</strong> omogeneizzazione dell’agricoltura, perché è <strong>una</strong> omogeneizzazione<br />

<strong>di</strong> esseri viventi. Più specie possono resistere al cambiamento delle stagioni, delle piogge, del clima, ecc.<br />

Anche le donne contad<strong>in</strong>e <strong>di</strong> Oaxaca, rispondendo ad un sondaggio, <strong>di</strong>ssero che volevano un mais variab<strong>il</strong>e,<br />

che riuscisse a garantire un po’ <strong>di</strong> raccolto ogni anno.<br />

Noi paesi <strong>in</strong>dustrializzati <strong>in</strong>vece, dal tempo della cosiddetta “rivoluzione verde”, abbiamo pensato<br />

all’ideotipo, <strong>il</strong> migliore, che si ottiene con fert<strong>il</strong>izzanti, pestici<strong>di</strong>, ecc. I risultati <strong>in</strong>izialmente furono anche<br />

positivi, ma fu un errore puntare ai s<strong>in</strong>goli ideotipi, che hanno <strong>di</strong>strutto molte specie locali.<br />

Grazie alla rivoluzione verde, dal 1963 al 1984 abbiamo assistito ad un aumento della produzione agricola <strong>in</strong><br />

molti paesi del sud del mondo, ma questa tendenza si è bruscamente <strong>in</strong>vertita a partire dal 1985.<br />

Contemporaneamente i pestici<strong>di</strong> ed i concimi chimici hanno provocato desertificazione, le campagne si sono<br />

spopolate, perché i contad<strong>in</strong>i non avevano i sol<strong>di</strong> per acquistare i fert<strong>il</strong>izzanti, ed <strong>il</strong> costo <strong>di</strong> produzione (a<br />

causa dei prodotti chimici ut<strong>il</strong>izzati) è aumentato.<br />

Compren<strong>di</strong>amo qu<strong>in</strong><strong>di</strong> che l’agricoltura <strong>in</strong>dustriale si avvia ad avere costi esorbitanti, e questo è <strong>di</strong>mostrato<br />

dal fatto che non esiste <strong>in</strong> Europa un’agricoltura che non sia sovvenzionata dallo stato.<br />

Prima <strong>di</strong> cont<strong>in</strong>uare desidero puntualizzare le <strong>di</strong>fferenze fra questi tre tipi <strong>di</strong> modelli agricoli:<br />

• agricoltura <strong>di</strong> sussistenza. L’agricoltore si nutre <strong>di</strong> quello che produce. In questo modello si tende a<br />

produrre ogni anno qualcosa e per questo si mantiene la bio<strong>di</strong>versità;<br />

• agricoltura <strong>in</strong>dustriale. Si produce <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e con alti costi e si compete per quantità. In questo caso<br />

si cerca la varietà ottimale;<br />

• agricoltura <strong>di</strong> qualità. Si punta alla qualità con alti prezzi. La qualità si basa anche sulla bio<strong>di</strong>versità ed i<br />

prodotti tipici.<br />

Oggi stiamo perdendo i l<strong>in</strong>guaggi e la variab<strong>il</strong>ità genetica dei semi e delle razze. Il sud del mondo ha<br />

variab<strong>il</strong>ità genetica, nel sud sono presenti i centri <strong>di</strong> orig<strong>in</strong>e <strong>di</strong> tutte le piante coltivate. Non è certo un caso se<br />

dove c’è bio<strong>di</strong>versità ci sono più l<strong>in</strong>gue, più l<strong>in</strong>guaggi. In Nord America ed <strong>in</strong> Europa non c’è praticamente<br />

più bio<strong>di</strong>versità, e contemporaneamente sta calando <strong>il</strong> numero delle l<strong>in</strong>gue parlate.


Il modello unico <strong>di</strong> economia mo<strong>di</strong>fica <strong>il</strong> clima, <strong>di</strong>strugge la variab<strong>il</strong>ità a livello <strong>di</strong> ecosistema, <strong>di</strong><br />

specie e <strong>di</strong> popolazione, consuma le risorse naturali ed umane, <strong>di</strong>strugge la <strong>di</strong>versità culturale, rende sempre<br />

più <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>i le strategie esplorative, ovvero le strategie <strong>di</strong> adattamento degli esseri viventi.<br />

Il simbolo umano <strong>di</strong> questo modello è <strong>il</strong> Prodotto Interno Lordo (PIL, la massa monetaria circolante),<br />

considerato universalmente <strong>il</strong> parametro unico <strong>di</strong> benessere. Ma questo non è vero, perché, ad esempio, <strong>il</strong><br />

PIL aumenta con le catastrofi naturali (serviranno sol<strong>di</strong> per la ricostruzione), <strong>il</strong> malfunzionamento del<br />

servizio sanitario pubblico (le persone pagheranno per farsi visitare dai privati), ecc. Inoltre <strong>il</strong> PIL non tiene<br />

conto del lavoro <strong>in</strong> famiglia, del lavoro volontario, del valore delle risorse naturali (<strong>in</strong>clusa la <strong>di</strong>versità), ecc.<br />

E allora perché <strong>il</strong> PIL è considerato ancora come <strong>il</strong> parametro pr<strong>in</strong>cipale per valutare la ricchezza <strong>di</strong> un<br />

paese? Perché noi cre<strong>di</strong>amo che <strong>il</strong> benessere sia dato <strong>di</strong>rettamente dalla moneta. Stiamo andando verso la<br />

f<strong>in</strong>anziarizzazione <strong>di</strong> tutto, le tecnologie più avanzate sono ut<strong>il</strong>izzate per produrre cose <strong>in</strong>ut<strong>il</strong>i: basti pensare<br />

che <strong>il</strong> primo prodotto delle nanotecnologie è stato un abito autosmacchiante, presentato lo scorso anno a Pitti<br />

Uomo. Sappiamo che <strong>in</strong> Italia viene considerato ricco chi compie speculazioni f<strong>in</strong>anziarie e non chi produce.<br />

Questi sono tutti esempi <strong>di</strong> alienazione degli esseri umani dalla loro natura <strong>di</strong> esseri pensanti. Gli uom<strong>in</strong>i non<br />

sono più contenti <strong>di</strong> pensare.<br />

Qu<strong>in</strong><strong>di</strong> o facciamo ripartire <strong>il</strong> mondo dalle cose reali, o rischiamo <strong>di</strong> proseguire secondo uno schema<br />

alienante che rischia <strong>di</strong> rov<strong>in</strong>are la nostra vita e quella altrui. E se pensiamo quanto fa male non pensare,<br />

capirete cosa voglio <strong>di</strong>re.


OSSERVAZIONE SUL CONTRASTO FRA NOZIONI SCIENTIFICHE E<br />

COMUNE SENTIRE<br />

Samar Farage e Sajay Samuel<br />

E’ con gioia che Sajay ed io torniamo a <strong>Lucca</strong>: sedere qui nel Palazzo Ducale, camm<strong>in</strong>are sulle<br />

mura, con<strong>di</strong>videre v<strong>in</strong>o, conversazioni e musica con gli amici che abbiamo <strong>in</strong>contrato è <strong>una</strong> bellissima<br />

sensazione. Per noi questa città è unica. Perché è soltanto a <strong>Lucca</strong>, <strong>in</strong> ogni visita, che l’arco del tempo volge<br />

all’<strong>in</strong><strong>di</strong>etro, richiamandoci e ricongiungendoci a quella bellissima sera nel cui ricordo siamo qui riuniti.<br />

Dire semplicemente grazie al Presidente Tagliasacchi per <strong>il</strong> suo cont<strong>in</strong>uo sostegno alla Scuola per la<br />

Pace e ai suoi programmi non è abbastanza. Dire semplicemente grazie a Rossana Sebastiani per i suoi sforzi<br />

ad organizzare questo ed i precedenti <strong>in</strong>contri, non è abbastanza. Dire semplicemente grazie ad Aldo<br />

Zanchetta per aver creato <strong>il</strong> Centro <strong>di</strong> documentazione <strong>in</strong>terculturale “Ivan Illich”, per la quasi eroica<br />

<strong>in</strong>sistenza nel mettere <strong>in</strong>sieme così tante persone per questa serie <strong>di</strong> sem<strong>in</strong>ari e conversazioni non è<br />

abbastanza. Il suo compito non è stato certamente fac<strong>il</strong>e. Siamo grati per tutti gli sforzi che tengono <strong>in</strong> vita<br />

<strong>una</strong> piccola fiamma <strong>in</strong> un angolo <strong>di</strong> mondo, <strong>Lucca</strong>, dove degli amici possono riunirsi per pensare <strong>di</strong> e oltre<br />

Illich.<br />

Permettetemi <strong>di</strong> elencare quattro istanze che oggi sono considerate politiche. Alcuni <strong>di</strong> voi possono<br />

considerare altri argomenti più importanti, ma nessuno negherà che queste sono politicamente fondamentali.<br />

Prendo come prima istanza <strong>il</strong> cambiamento climatico per nessun’altra ragione se non perché è un problema<br />

<strong>di</strong> vastissima portata. La seconda istanza riguarda l’energia, nel cui nome alcuni stati <strong>di</strong>chiarano guerra ad<br />

altri. Cibi geneticamente mo<strong>di</strong>ficati è la terza istanza, <strong>in</strong> modo particolare per i problemi posti dalla<br />

bio<strong>in</strong>gegneria, sia per quanto riguarda le me<strong>di</strong>c<strong>in</strong>e, che gli animali e le persone. Inf<strong>in</strong>e <strong>il</strong> rischio del<br />

terrorismo, come <strong>il</strong> più <strong>di</strong>scusso fra i problemi politici <strong>di</strong> oggi, costituisce la quarta istanza.<br />

Il cambiamento climatico non è quello che voi avvertite quando sudate <strong>in</strong> un giorno<br />

sorprendentemente caldo, sebbene <strong>in</strong> suo nome potreste smettere <strong>di</strong> usare un con<strong>di</strong>zionatore. L’energia non è<br />

quella che voi usate quando andate al mercato, anche se <strong>in</strong> suo nome potreste evitare <strong>di</strong> usare la macch<strong>in</strong>a.<br />

Potete sentirvi bene per aver aiutato a mettere al bando i cibi geneticamente mo<strong>di</strong>ficati, anche se voi non vi<br />

rendereste mai conto <strong>di</strong> queste mo<strong>di</strong>fiche mangiando la vostra pasta. Il rischio <strong>in</strong> questi casi non è qualcosa<br />

<strong>di</strong> palpab<strong>il</strong>e.<br />

Ciasc<strong>una</strong> <strong>di</strong> queste quattro istanze, dal cambiamento climatico al rischio del terrorismo, è un’idea<br />

scientifica. Io voglio pensare <strong>in</strong> modo ragionevole sulle idee scientifiche.<br />

L’argomento che <strong>di</strong>scutiamo questa matt<strong>in</strong>a è “Scienza, Etica e Vita”, cioè esplorare le relazioni, se ve ne<br />

sono, fra idee scientifiche e vita quoti<strong>di</strong>ana. Questo argomento non sarebbe <strong>in</strong>teressante se le idee<br />

scientifiche non uscissero dal laboratorio. Quando <strong>di</strong>co “idee scientifiche” non parlo <strong>di</strong> tecnologie che sono <strong>il</strong><br />

risultato della scienza. Non sto qu<strong>in</strong><strong>di</strong> parlando della prevalenza o dell’effetto <strong>di</strong> sim<strong>il</strong>i oggetti tecnoscientifici;<br />

piuttosto voglio esplorare la cosiddetta “natura” delle idee scientifiche <strong>in</strong> quanto tali.<br />

E’ ovvio che le idee scientifiche non sono più conf<strong>in</strong>ate all’ambulatorio del me<strong>di</strong>co o dello<br />

psicologo. Un’attenzione m<strong>in</strong>ima alle parole che noi usiamo dovrebbe rimuovere qualunque dubbio circa la<br />

saturazione della l<strong>in</strong>gua <strong>di</strong> ogni giorno da parte della term<strong>in</strong>ologia scientifica. Tralasciamo <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso<br />

pubblico o privato che viene usato tra amici e <strong>in</strong>namorati. Facciamo soltanto attenzione per <strong>il</strong> momento al<br />

<strong>di</strong>scorso politico. E’ evidente a ciascuno <strong>di</strong> noi, leggendo i giornali, che i term<strong>in</strong>i scientifici costruiscono la<br />

struttura del <strong>di</strong>scorso politico. Potete forse immag<strong>in</strong>are <strong>il</strong> campo della politica contemporanea <strong>senza</strong> parole<br />

come “ecologia, energia, calorie, rischio, sesso, sistema, <strong>di</strong>soccupazione” e così via? Questo uso allargato dei<br />

term<strong>in</strong>i scientifici è soltanto la manifestazione <strong>di</strong> <strong>una</strong> connessione più profonda tra scienza e politica. Sia che<br />

noi parliamo <strong>di</strong> “cambiamento climatico”, <strong>di</strong> “commercio”, oppure <strong>di</strong> “cibi geneticamente mo<strong>di</strong>ficati” o <strong>di</strong><br />

rischi della sicurezza, risulta chiaro che <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso politico verte su idee scientifiche.<br />

Così possiamo concludere che <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso politico contemporaneo è scientifico <strong>in</strong> due mo<strong>di</strong>: primo perché<br />

verte sulle idee scientifiche e secondo perché è condotto nella term<strong>in</strong>ologia della scienza.


Questo non è un fatto sorprendente: molti sanno che <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso politico è scientifico poiché riflette<br />

l’aspetto tecnoscientifico della vita moderna. Tuttavia, pochi sono <strong>di</strong>sposti a <strong>di</strong>scutere le categorie del<br />

<strong>di</strong>scorso politico contemporaneo. Sebbene molti sembr<strong>in</strong>o <strong>di</strong>sposti a <strong>di</strong>scutere, pochi sono <strong>di</strong>sposti a pensare<br />

alla natura <strong>di</strong> ciò che deve essere deciso. Mi sembra che <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> chi partecipa sia un problema<br />

secondario. Il problema primario è o dovrebbe essere: che cosa forma la materia <strong>di</strong> questi problemi politici ?<br />

Cioè, qual è la natura <strong>di</strong> idee scientifiche come “rischio”, “biosfera”, “ecosistema”, “gene”, “energia”?<br />

Vorrei esam<strong>in</strong>are la possib<strong>il</strong>ità che ci sia <strong>una</strong> frattura fondamentale che separa le idee scientifiche, o ciò che<br />

chiamerò costruzioni scientifiche, dai concetti <strong>di</strong> senso comune.<br />

Aristotele considerava l’uomo un animale politico per sua natura. Secondo Aristotele l’uomo, per <strong>il</strong><br />

fatto che parla, va oltre ciò che egli con<strong>di</strong>vide con gli altri animali. Diversamente dagli animali, i quali<br />

esprimono sensazioni <strong>di</strong> piacere o <strong>di</strong> pena, è solo l’uomo che può parlare <strong>di</strong> giustizia e <strong>in</strong>giustizia, <strong>di</strong> ciò che<br />

è buono, <strong>di</strong> ciò che è adatto. E la vita politica, per Aristotele e poi per tutta la lunga tra<strong>di</strong>zione occidentale, è<br />

quella <strong>in</strong> cui gli uom<strong>in</strong>i, vivendo <strong>in</strong> comunità, sollevano <strong>in</strong>terrogativi circa <strong>il</strong> bene comune. Pertanto la<br />

domanda più ampia da fare è se le categorie nelle quali <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso politico appare oggi, possono ospitare le<br />

gran<strong>di</strong> questioni della giustizia, del bene, <strong>di</strong> cosa sia appropriato.<br />

Considero la possib<strong>il</strong>ità che i costrutti scientifici non si affid<strong>in</strong>o a questa concezione tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong><br />

politica. Invece essi si adattano meglio alla politica, <strong>in</strong>tesa come un tipo <strong>di</strong> gestione scientifica della gente.<br />

Prima che io presenti questo argomento più vasto devo elaborare la <strong>di</strong>st<strong>in</strong>zione che suggerisco tra costrutti<br />

scientifici e concetti <strong>di</strong> senso comune. Provo a spiegare questa <strong>di</strong>st<strong>in</strong>zione con un esempio.<br />

E’ noto che, a partire da Newton, <strong>il</strong> mondo è scientificamente concepito come essenzialmente matematico.<br />

Dopotutto è stato Newton stesso che ha confessato nella prefazione alla sua opera <strong>di</strong> essere un moderno che<br />

cerca <strong>di</strong> sottomettere “fenomeni della natura alle leggi della matematica”. Ness<strong>una</strong> meraviglia che Newton<br />

desse alla sua opera <strong>il</strong> titolo “pr<strong>in</strong>cipi matematici <strong>di</strong> f<strong>il</strong>osofia naturale”. Qual è la <strong>di</strong>fferenza tra <strong>una</strong><br />

descrizione quantitativa o matematica e <strong>una</strong> comprensione qualitativa o formale del mondo? Perché Newton<br />

fa <strong>una</strong> tale <strong>di</strong>st<strong>in</strong>zione tra qualità e quantità? All’<strong>in</strong>izio è abbastanza evidente. Pochi <strong>di</strong> noi vedono “massa,<br />

spazio, energia e forza” quando guardano <strong>il</strong> mondo. Anche ora, per noi, “ghiaccio, acqua e vapore” appaiono<br />

come cose <strong>di</strong>verse, non solo come <strong>di</strong>verse manifestazioni <strong>di</strong> <strong>una</strong> comb<strong>in</strong>azione <strong>di</strong> molecole <strong>di</strong> idrogeno e<br />

ossigeno. Qual è allora la <strong>di</strong>fferenza fra ghiaccio e vapore da un lato e H2O dall’altro?<br />

“Non c’è niente nell’<strong>in</strong>telletto che non sia prima nei sensi”. Questa è <strong>una</strong> famosa massima tomista<br />

che è stata ampiamente ripetuta per descrivere la relazione tra pensiero astratto e l’attività dei sensi. S<strong>in</strong>o a<br />

Cartesio, quasi tutti quelli che ragionavano su questi argomenti, erano d’accordo sul fatto che la ragione<br />

fosse <strong>di</strong>pendente dai sensi; <strong>il</strong> concetto era legato all’oggetto. Come si spiega che per la maggior parte della<br />

storia occidentale <strong>il</strong> comprendere concettuale fosse considerato come ra<strong>di</strong>cato nei sensi? Il concetto<br />

<strong>di</strong>pendeva dall’oggetto perché <strong>il</strong> concetto non era altro che l’astrazione dall’oggetto. Per la tra<strong>di</strong>zione<br />

scolastica aristotelica <strong>il</strong> <strong>potere</strong> espressivo degli oggetti era unito al <strong>potere</strong> attivo dei sensi e dell’<strong>in</strong>telletto<br />

attraverso tre fasi <strong>di</strong> astrazione: percezione sensoriale, senso comune, percezione concettuale. Consideriamo<br />

l’azione del vedere per capire come la ragione fosse legata ai sensi. Per la tra<strong>di</strong>zione pre-cartesiana era dato<br />

per certo che tutti gli oggetti esprimessero lum<strong>in</strong>osità e colore. Secondo questa teoria, l’occhio poteva vedere<br />

<strong>il</strong> colore e la luce, l’orecchio poteva u<strong>di</strong>re i suoni, la l<strong>in</strong>gua assaporare l’amaro e <strong>il</strong> dolce. I colori non<br />

possono essere assaporati proprio come i sapori amari non possono essere u<strong>di</strong>ti. Ora nel guardare un oggetto,<br />

<strong>di</strong>ciamo <strong>una</strong> porta, è evidente che l’occhio non la tocca <strong>di</strong>rettamente. Pertanto le qualità della porta debbono<br />

essere portate all’occhio. Delle molte qualità della porta, <strong>in</strong>cludendo la misura, la forma e la sostanza, solo le<br />

forme <strong>di</strong> luce e <strong>di</strong> colore possono fisicamente <strong>in</strong>teressare l’occhio <strong>senza</strong> cambiarlo. La luce e <strong>il</strong> colore<br />

vengono propagate attraverso un mezzo trasparente come l’aria o l’acqua. La scolastica chiamava queste<br />

immag<strong>in</strong>i <strong>di</strong> luce e colore emanate da quella porta come “sue specie”. Le specie <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>erebbero e<br />

colorerebbero l’occhio nel raggiungerlo ma questo non è ancora <strong>il</strong> vedere. L’occhio non era uno schermo<br />

vuoto nel quale si proiettavano le figure. Invece era un organo animato e senziente che era co<strong>in</strong>volto<br />

nell’attività del vedere. Con qualcosa come piccole <strong>di</strong>ta, l’occhio estrarrebbe o astrarrebbe le impressioni<br />

visive dalle specie e le <strong>in</strong>vierebbe al senso comune. A <strong>di</strong>fferenza dell’occhio che era <strong>il</strong> senso esterno per la<br />

vista, <strong>il</strong> senso comune era <strong>il</strong> senso <strong>in</strong>terno. Esso poteva non soltanto catturare quegli aspetti degli oggetti non<br />

afferrati dagli altri sensi come <strong>il</strong> movimento e la forma, ma anche ricevere le specie proprie a ciascun senso.


Come sede per i <strong>di</strong>versi sensi, <strong>il</strong> senso comune potrebbe <strong>di</strong>scrim<strong>in</strong>are, giu<strong>di</strong>care e s<strong>in</strong>tetizzare le specie per<br />

astrarre <strong>una</strong> forma percettib<strong>il</strong>e.<br />

Per esempio la porta è allo stesso tempo quadrata e marrone. Noi percepiamo questa unione <strong>di</strong> due<br />

qualità, forma e colore, <strong>in</strong> un unico oggetto, la porta, a causa del senso comune che forma un’immag<strong>in</strong>e<br />

mentale della porta. L’immag<strong>in</strong>e così formata dal senso comune sta per la percezione della porta. Vedo<br />

quella porta con i miei occhi, ma percepisco quella porta come tale a causa del <strong>potere</strong> s<strong>in</strong>tetizzante del senso<br />

comune. Tuttavia <strong>il</strong> passaggio dal mondo dei sensi esterni a quelli <strong>in</strong>terni non cessa con l’immag<strong>in</strong>e sensib<strong>il</strong>e<br />

del mondo. La percezione non è la concezione e la concezione è la forma più alta <strong>di</strong> astrazione. Per la<br />

scolastica, la concezione concettuale <strong>di</strong> un oggetto richiedeva un terzo e ultimo grad<strong>in</strong>o <strong>di</strong> astrazione.<br />

Un’immag<strong>in</strong>e puramente concettuale dell’oggetto viene raggiunta soltanto quando la facoltà cogitativa, o<br />

l’<strong>in</strong>telligenza attiva <strong>di</strong> San Tommaso d’Aqu<strong>in</strong>o, astrae <strong>il</strong> concetto dalla percezione. Posso concepire l’idea <strong>di</strong><br />

porta, che è l’es<strong>senza</strong> o la natura della porta astraendo da quella porta particolare tutte le sue peculiarità <strong>di</strong><br />

forma, colore, misura, ecc. Così la massima “niente sta nell’<strong>in</strong>telletto che non sia prima nei sensi”,<br />

significava che l’uomo concepiva <strong>il</strong> mondo così come è. Un’armonia o accordo fra <strong>il</strong> mondo e la mente è<br />

mantenuto da astrazioni successivamente raff<strong>in</strong>ate, <strong>in</strong> quanto percezione e pensiero <strong>di</strong>pendono da ciò che è<br />

dato. Entrambi non possono costruire <strong>il</strong> mondo.<br />

Tuttavia le idee scientifiche moderne si basano proprio sul rovesciamento <strong>di</strong> tutto questo. Vi<br />

ricordate Newton e la sua battaglia contro le qualità? Sono qualità come luce e colore che egli vuole<br />

trasformare <strong>in</strong> quantità matematiche; mentre per la tra<strong>di</strong>zione, qualità e quantità erano due <strong>di</strong>st<strong>in</strong>te sostanze,<br />

per esempio rosso non è un numero; per Newton, verde potrebbe essere <strong>una</strong> quantità. Per la tra<strong>di</strong>zione<br />

aristotelica, <strong>di</strong>fferenti tipi <strong>di</strong> cose richiedevano <strong>di</strong>fferenti meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o. Per esempio mentre la geometria<br />

era adatta allo stu<strong>di</strong>o delle l<strong>in</strong>ee, dei cerchi e degli archi, non era adatta allo stu<strong>di</strong>o delle cose naturali che<br />

cambiano costantemente. Newton era <strong>in</strong><strong>di</strong>fferente al senso del cambiamento. Egli era così ansioso <strong>di</strong><br />

sottoporre tutta la natura alla matematica che <strong>in</strong>ventò <strong>una</strong> tecnica per descrivere <strong>il</strong> cambiamento: “<strong>il</strong> calcolo”.<br />

Cartesio voleva rimpiazzare le immag<strong>in</strong>i <strong>di</strong> colore e <strong>di</strong> luce che volano nell’aria con un modello matematico<br />

e meccanico <strong>di</strong> trasmissione <strong>di</strong> luce e colore. Egli aveva già assim<strong>il</strong>ato <strong>il</strong> modello <strong>di</strong> visione strettamente<br />

fisico e meccanico basato sulla geometria dei raggi <strong>di</strong> luce elaborato da Keplero.<br />

Keplero sosteneva che la lente dell’occhio non era sensib<strong>il</strong>e ed era <strong>in</strong>capace <strong>di</strong> astrarre le forme visuali<br />

dell’oggetto. L’occhio lavorava come <strong>una</strong> camera oscura: trasportando i raggi <strong>di</strong> luce proiettati sulla ret<strong>in</strong>a <strong>in</strong><br />

<strong>una</strong> forma rovesciata. Questo modello <strong>di</strong> vista proposto da Keplero paralizzava l’occhio sensib<strong>il</strong>e. E ciò che<br />

Keplero fece per l’occhio, Cartesio l’avrebbe fatto per gli oggetti. Dopo Cartesio, gli oggetti perderanno la<br />

loro <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seca potenzialità <strong>di</strong> essere visti, proprio come gli occhi perderanno la loro <strong>in</strong>nata capacità <strong>di</strong><br />

vedere.<br />

Cartesio <strong>in</strong>sisteva che tutta la realtà fisica era composta solo da tre tipi <strong>di</strong> elementi: terra, fuoco e<br />

aria. Per lui i gran<strong>di</strong> oggetti fisici come quella porta erano fatti <strong>di</strong> particelle <strong>di</strong> terra. Egli allora spiega la luce<br />

come un movimento meccanico <strong>di</strong> particelle. Il vedere è descritto come la pressione della materia sulla<br />

superficie dell’occhio e tutto questo è matematicamente modellato. Se la luce è <strong>una</strong> pressione meccanica,<br />

allora che cosa è <strong>il</strong> colore per Cartesio? Cartesio immag<strong>in</strong>ava che le particelle dell’etere, essendo sferiche,<br />

potessero ruotare, ed erano i <strong>di</strong>versi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> rotazione che causavano le <strong>di</strong>fferenze cromatiche. Per esempio,<br />

<strong>il</strong> rosso era causato da un roteare più veloce del blu.<br />

Permettetemi <strong>di</strong> riassumere la visione meccanicista del tempo <strong>di</strong> Cartesio. L’oggetto marrone<br />

quadrato che io vedo attraverso la stanza è la conseguenza <strong>di</strong> particelle <strong>di</strong> terra composte <strong>in</strong> <strong>una</strong> certa forma,<br />

e delle particelle <strong>di</strong> fuoco che trasmettono <strong>una</strong> pressione meccanica al mio occhio; tutto ciò fa roteare le<br />

particelle eteree che generano così <strong>il</strong> colore marrone. Senza <strong>di</strong>menticare che, sebbene io veda quell’oggetto<br />

correttamente, esso è impresso nella mia ret<strong>in</strong>a capovolto. Questa è la spiegazione meccanica e matematica<br />

della vista che si è liberata delle forme della qualità della tra<strong>di</strong>zione aristotelica.<br />

Quali conclusioni possiamo trarre da questo esempio chiaramente semplificato? Voglio condurre la<br />

vostra attenzione soltanto su un aspetto curioso delle moderne idee scientifiche. Considerate quello che<br />

Cartesio ha detto degli oggetti che noi ve<strong>di</strong>amo. Egli ha detto che non c’è bisogno <strong>di</strong> sostenere che “c’è<br />

qualcosa <strong>in</strong> quegli oggetti che è sim<strong>il</strong>e alle idee o sensazioni che noi abbiamo <strong>di</strong> essi”. Ricordate che per<br />

Cartesio le sensazioni non conducono la forma <strong>di</strong> un oggetto alla mente. E ancora, poiché le sensazioni come


la vista sono pensate come <strong>una</strong> conseguenza puramente fisica della materia <strong>in</strong> moto, la facoltà del senso<br />

comune <strong>di</strong>venta superflua. Così si apre un baratro fra la mente e <strong>il</strong> mondo; fra <strong>il</strong> concetto e l’oggetto. Di<br />

conseguenza, le percezioni del mondo <strong>di</strong>ventano rappresentazioni puramente arbitrarie <strong>di</strong> esso. Questa<br />

rottura è <strong>in</strong>sita nella natura delle moderne idee scientifiche. Se voi pensate che Cartesio sia troppo lontano<br />

nel tempo, sicuramente E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> è più attuale. E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> <strong>di</strong>ceva che “I concetti fisici sono creazioni libere<br />

della mente umana, e non sono unicamente determ<strong>in</strong>ati dal mondo esterno”. Da Cartesio ad E<strong>in</strong>ste<strong>in</strong> le idee<br />

scientifiche <strong>in</strong>troducono <strong>una</strong> frattura fra la percezione e la realtà, fra ciò che sembra reale e ciò che è reale.<br />

Le moderne idee scientifiche così riflettono un’<strong>in</strong>versione della massima <strong>di</strong> San Tommaso: “non c’è niente<br />

nei sensi che non sia prima nell’<strong>in</strong>telletto”. Permettetemi <strong>di</strong> presentare <strong>una</strong> citazione da Gal<strong>il</strong>eo: nel Dialogo<br />

dei massimi sistemi fa <strong>di</strong>re a Salvati, “non c’è limite al mio stupore quando penso che Copernico ha potuto<br />

far conquistare alla ragione <strong>il</strong> senso, al punto che sfidando <strong>il</strong> senso la ragione è <strong>di</strong>ventata signora delle loro<br />

credenze”.<br />

Per Gal<strong>il</strong>eo la vali<strong>di</strong>tà della ragione non poteva basarsi sulla vali<strong>di</strong>tà dei sensi. Al contrario: alla luce della<br />

certezza delle costruzioni matematiche, i sensi appaiono troppo deboli. Ness<strong>una</strong> meraviglia che Gal<strong>il</strong>eo<br />

potesse anche <strong>di</strong>re che qualità come <strong>il</strong> colore, <strong>il</strong> gusto e l’odore erano soltanto create dalla coscienza umana,<br />

e che solo gli aspetti misurab<strong>il</strong>i <strong>di</strong> <strong>una</strong> sostanza come la forma, la misura e <strong>il</strong> movimento fossero concepib<strong>il</strong>i.<br />

Questo è un sentimento che Cartesio confermò ra<strong>di</strong>calmente. Per lui le idee <strong>di</strong> massa e movimento<br />

erano chiare e <strong>di</strong>st<strong>in</strong>te poiché erano matematiche nell’es<strong>senza</strong>. Le descrizioni quantitative <strong>di</strong> massa e<br />

movimento non sono astrazioni dal mondo sensib<strong>il</strong>e. Invece, esse sono semplificazioni deliberatamente<br />

costruite. Nei sogni <strong>di</strong> Cartesio, Newton e la loro progenie, le costruzioni matematiche chiare e <strong>di</strong>st<strong>in</strong>te<br />

rimpiazzavano la sensib<strong>il</strong>e profusione <strong>di</strong> oggetti, qualità e forme. Ness<strong>una</strong> meraviglia che fosse Cartesio a<br />

<strong>di</strong>re “penso qu<strong>in</strong><strong>di</strong> sono”.<br />

In un mondo matematicamente ord<strong>in</strong>ato <strong>il</strong> sensib<strong>il</strong>e può essere figurato nella forma del razionale.<br />

Ricordate la frase <strong>di</strong> Newton che voleva assoggettare <strong>il</strong> mondo della natura alle leggi della matematica? La<br />

nozione <strong>di</strong> “leggi <strong>di</strong> natura” sostiene esattamente questo: la natura obbe<strong>di</strong>sce alle costruzioni matematiche.<br />

Questa allora è la ragione per cui io raccomando <strong>il</strong> term<strong>in</strong>e “costruzioni scientifiche” per parlare delle<br />

moderne idee scientifiche. Le costruzioni, sia teoretiche che pratiche, sono un artefatto. Il concetto “costrutti<br />

scientifici” ci rimanda a come <strong>il</strong> mondo che è dato e i sensi che lo percepiscono sono ri<strong>di</strong>segnati per adattarsi<br />

all’artefatto. Contrariamente i concetti sono forme nate dal senso comune, che esprime l’unione tra <strong>il</strong> mondo<br />

e i sensi.<br />

Uno storico della scienza recentemente ha coniato <strong>una</strong> frase ut<strong>il</strong>e ad afferrare la <strong>di</strong>st<strong>in</strong>zione che io<br />

suggerisco fra i concetti e i costrutti. Poiché i concetti sono <strong>il</strong> modo <strong>di</strong> conoscere le cose dall’esterno<br />

all’<strong>in</strong>terno, dal mondo alla mente; i costrutti sono <strong>il</strong> modo <strong>di</strong> conoscere dall’<strong>in</strong>terno all’esterno, dalla mente<br />

al mondo. Per la scienza moderna <strong>il</strong> dato scompare sotto <strong>il</strong> peso del costrutto; <strong>il</strong> mondo può essere<br />

immag<strong>in</strong>ato come qualcosa che può essere fatto e rifatto. La credenza che i costrutti scientifici siano<br />

essenzialmente quantitativi fu consolidata subito dopo Newton. Solo le idee presentate <strong>in</strong> forme matematiche<br />

sono considerate legittimamente scientifiche, essendo tutte le altre mere op<strong>in</strong>ioni. Il corso delle scienze<br />

naturali rimane fermo sulle sue basi matematiche e sperimentali. Ma dal Settecento le scienze umane hanno<br />

imitato le scienze naturali. La psicologia, la sociologia, l’economia e anche la politica sono considerate<br />

scienze sociali perché sono matematiche o hanno al limite trasformato la loro materia <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i<br />

matematicamente misurab<strong>il</strong>i. Le categorie attraverso le quali noi def<strong>in</strong>iamo noi stessi e la nostra esistenza<br />

comune sono costrutti arbitrari rimossi dall’esperienza del senso comune.<br />

Alcuni <strong>di</strong> voi si staranno chiedendo sottovoce “e allora?”. Bene, portiamo la nostra attenzione alla<br />

scienza politica o alla scienza della politica. La gente è <strong>il</strong> soggetto della scienza politica che può qu<strong>in</strong><strong>di</strong><br />

essere considerata come la scienza della gente, della sua volontà, dei suoi comportamenti. Scienziati politici,<br />

economisti e statistici forniscono <strong>il</strong> materiale per le politiche pubbliche - gli eserciti <strong>senza</strong> f<strong>in</strong>e delle leggi,<br />

regole e istituzioni - che provvedono ad <strong>il</strong>lustrare come la gente si deve comportare. Ma se la scienza politica<br />

è <strong>il</strong> tentativo <strong>di</strong> matematizzare la vita politica <strong>di</strong> ogni giorno, allora le politiche pubbliche sono esperimenti<br />

condotti su <strong>di</strong> essa. Le quattro istanze politiche che ho nom<strong>in</strong>ato all’<strong>in</strong>izio <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>scorso (cambiamento<br />

climatico, energia, cibi geneticamente mo<strong>di</strong>ficati e rischio del terrorismo), sono i soggetti della scienza<br />

politica. La scienza politica <strong>in</strong>cornicia le istanze che le politiche pubbliche ambientali, energetiche e agricole<br />

mettono <strong>in</strong> essere. In ciasc<strong>una</strong> <strong>di</strong> queste istanze ci sono i costrutti scientifici - rischio, energia, gene - che


creano la vera cornice <strong>di</strong> un’istanza politica. E le soluzioni politiche a questi problemi scientifici sono esse<br />

stesse tecnoscientifiche. Questo è ovvio nei trattati, accor<strong>di</strong>, leggi, regole e regolamenti, che mirano al<br />

miglioramento della salute, alla protezione della terra e a fornire sicurezza.<br />

Essi sono tutti scritti <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i scientifici e vertono su cose scientifiche. Questo qu<strong>in</strong><strong>di</strong> è ciò che si<br />

<strong>in</strong>tende per politica oggi: la gestione scientifica del mondo e dell’uomo. Alla propria base, ciascuno dei<br />

term<strong>in</strong>i chiave delle quattro istanze politiche che ho elencato sopra, è un costrutto scientifico. E’<br />

autoevidente che l’<strong>in</strong>giustizia non possa essere <strong>di</strong>battuta <strong>in</strong> simboli matematici. E’ sempre possib<strong>il</strong>e <strong>di</strong>re<br />

quando l’applicazione <strong>di</strong> <strong>una</strong> descrizione quantitativa è andata troppo oltre. Ma è impossib<strong>il</strong>e descrivere<br />

matematicamente ciò che è buono. Se <strong>di</strong>battere ciò che è buono e cattivo, adatto e non adatto, giusto e non<br />

giusto, è la vera natura dell’uomo come animale politico, allora segue che partecipare all’o<strong>di</strong>erno <strong>di</strong>scorso<br />

politico significa essere apolitici. E’ pertanto <strong>senza</strong> frutto per la gente comune come voi e me entrare nel<br />

<strong>di</strong>battito su ciò che deve essere fatto <strong>in</strong> merito al cambiamento climatico e così via. O noi ci manteniamo<br />

estranei a queste idee, o accettiamo <strong>di</strong> partecipare alla gestione scientifica del mondo e dell’uomo. Per<br />

recuperare la tra<strong>di</strong>zionale pratica della politica sembra che sia necessaria un’Áskesis epistemologica rispetto<br />

ai costrutti scientifici. Una corretta <strong>di</strong>scussione politica circa <strong>il</strong> bene comune non può essere condotta se non<br />

attraverso concetti ra<strong>di</strong>cati nell’esperienza comune <strong>di</strong> ogni giorno.<br />

Per coloro che ancora credono che la vita politica si sv<strong>il</strong>uppi <strong>in</strong>torno al <strong>di</strong>battito su cosa è <strong>il</strong> bene<br />

comune, quanto detto s<strong>in</strong>o ad ora può suonare limitativo. Ma non penso che sia motivo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione <strong>di</strong>re<br />

che non posso partecipare ad un <strong>di</strong>battito sul rischio <strong>in</strong> quanto non posso sperare <strong>di</strong> capirlo. Non penso che<br />

<strong>di</strong>ffonda pessimismo la denuncia del <strong>di</strong>scorso politico vittima della seduzione esercitata dalla gestione<br />

scientifica degli uom<strong>in</strong>i. Non credo che sia un segno <strong>di</strong> debolezza <strong>di</strong>scutere perché si r<strong>in</strong>unci ad un <strong>di</strong>scorso<br />

ed a <strong>una</strong> pratica politica, per come vengono condotti oggi.<br />

Penso che <strong>una</strong> tale r<strong>in</strong>uncia sia la precon<strong>di</strong>zione per scoprire la forma della nostra vita <strong>in</strong> comune.<br />

Sono dell’idea che r<strong>in</strong>unciare a ciò che si chiama oggi politica sia necessario per quella sobrietà gioiosa<br />

ricercata da coloro i quali hanno visto più lontano <strong>di</strong> noi.<br />

L’<strong>in</strong>tervento non è stato rivisto dai relatori


RITORNO ALL’EVIDENZA<br />

Massimo Angel<strong>in</strong>i<br />

Guardo <strong>in</strong>torno per non parlare a un u<strong>di</strong>torio <strong>in</strong><strong>di</strong>st<strong>in</strong>to.<br />

E parlo a te, non a un microfono, e parlo con la mia voce, <strong>senza</strong> l’eco degli altoparlanti: perché ci sia un io<br />

che parla con un tu.<br />

E se qualcuno non sente, vuole <strong>di</strong>re che la sala è troppo grande e <strong>in</strong>adatta a un <strong>in</strong>contro tra persone.<br />

Mi <strong>in</strong>teresso del mondo rurale, dei suoi prodotti, degli usi e degli ortaggi tra<strong>di</strong>zionali. Sono<br />

impegnato nel sostegno ai contad<strong>in</strong>i che vivono vic<strong>in</strong>o a Genova. Mi <strong>in</strong>teresso del sapere della gente<br />

comune, quello che nasce dall’esperienza. Il sapere verboso, complicato e astratto lo trovo poco <strong>in</strong>teressante.<br />

In questi due giorni <strong>di</strong> convegno ho sentito parlare <strong>di</strong> argomenti importanti, ma qualche volta ne ho<br />

sentito parlare con un l<strong>in</strong>guaggio <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e, e qualche volta mi sono chiesto se la gente che conosco e<br />

frequento riuscirebbe a capire davvero quello che è stato detto. In occasioni come questa, qualche volta sento<br />

nelle parole <strong>di</strong> chi parla <strong>il</strong> piacere della complicazione, e <strong>il</strong> sapere che nasce dalla testa, vive <strong>di</strong> pensieri <strong>senza</strong><br />

corpo, e fa sentire piccolo e <strong>in</strong>adeguato chi non ha stu<strong>di</strong>ato abbastanza e non conosce tutte le parole. E tutto<br />

questo non lo so più apprezzare, anche perché sono conv<strong>in</strong>to che la cultura e <strong>il</strong> sapere nascono prima dalle<br />

mani. Non mi fido della cultura e del sapere che non nascono dalle mani, e non mi fido <strong>di</strong> chi parla <strong>di</strong> cose<br />

che non conosce con le mani. Penso che chi non sa fare <strong>una</strong> cosa dovrebbe astenersi dal parlare <strong>di</strong> quella<br />

cosa: e penso che nel mondo delle troppe parole c’è bisogno <strong>di</strong> castità e <strong>di</strong> pudore.<br />

Eppure conosco persone che <strong>in</strong>segnano la storia del movimento operaio <strong>senza</strong> aver mai lavorato.<br />

Conosco persone che <strong>in</strong>segnano la storia dell’agricoltura, <strong>senza</strong> aver mai piantato un cavolo. Conosco<br />

persone che scrivono guide sui v<strong>in</strong>i <strong>senza</strong> aver mai fatto <strong>una</strong> vendemmia.<br />

Sono certo che l’esperienza aiuti a raccontare <strong>il</strong> mondo; e sono certo che chi passa <strong>il</strong> tempo sui libri può solo<br />

raccontare op<strong>in</strong>ioni: deboli, <strong>senza</strong> fondamento e <strong>senza</strong> passione. A volte mi <strong>di</strong>co che se potesse parlare solo<br />

chi ha l’esperienza “delle mani”, tanti convegni sarebbero risparmiati.<br />

Sull’esperienza si fonda <strong>il</strong> sapere della gente comune, <strong>il</strong> sapere che nasce da un rapporto <strong>di</strong>retto e<br />

quoti<strong>di</strong>ano con <strong>il</strong> mondo, quello che parla <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio dell’evidenza: <strong>il</strong> l<strong>in</strong>guaggio che tutte le persone<br />

possono con<strong>di</strong>videre. Questo sapere con<strong>di</strong>viso - pratico, spesso legato a un luogo e a <strong>una</strong> comunità - non<br />

genera caste, perché tutti ne possono essere titolari e portatori.<br />

Negare <strong>il</strong> sapere della gente, quello dell’esperienza - pratico, spesso legato a un luogo e a <strong>una</strong> comunità - e<br />

agire come se <strong>il</strong> solo sapere degno <strong>di</strong> essere detto, <strong>in</strong>segnato e trasmesso fosse quello dei laboratori,<br />

dell’università, delle cl<strong>in</strong>iche e degli stu<strong>di</strong> professionali, m<strong>in</strong>a le fondamenta del bene comune e attenta alla<br />

democrazia.<br />

Non può esistere democrazia <strong>in</strong> <strong>una</strong> <strong>società</strong> fondata su <strong>una</strong> professionalizzazione del sapere che<br />

sempre <strong>di</strong> più tende a <strong>in</strong>vadere ogni aspetto della vita: <strong>il</strong> <strong>di</strong>etologo per mangiare, <strong>il</strong> sessuologo per fare<br />

l’amore, <strong>il</strong> puericultore per allevare i figli e, perché no, un consulente anche per morire.<br />

L’abitud<strong>in</strong>e alla delega delle conoscenze è sempre più <strong>di</strong>ffusa, anche se riguarda saperi <strong>in</strong>nati,<br />

appresi dalla fam<strong>il</strong>iarità e dalla consuetud<strong>in</strong>e, o consegnati nello scorrere della tra<strong>di</strong>zione. L’abitud<strong>in</strong>e alla<br />

delega rende <strong>in</strong>esperti a vivere e rende bisognosi; trasforma la vita <strong>in</strong> <strong>una</strong> sequenza <strong>di</strong> procedure,<br />

nell’esecuzione <strong>di</strong> un manuale <strong>di</strong> buone pratiche. Negare l’esperienza e le conoscenze che derivano dalle<br />

mani e dai sensi, quelle comuni a tutti, è negare che tutti possono essere generatori e portatori <strong>di</strong> sapere e<br />

questo genera gerarchie <strong>di</strong> competenze e <strong>di</strong> <strong>potere</strong>, rende impossib<strong>il</strong>e la democrazia e, aggiungerei,<br />

contribuisce alla <strong>di</strong>ssociazione da se stessi e dal mondo.<br />

Nel passaggio tra <strong>il</strong> 1500 e <strong>il</strong> 1600, la scienza empirica, quella fondata sull’esperienza, è stata<br />

oscurata dalla scienza sperimentale. Questo passaggio ha segnato un cambiamento profondo nel modo <strong>di</strong><br />

apprendere <strong>il</strong> mondo. Si è def<strong>in</strong>ita la figura dello scienziato come specialista, come iperspecialista f<strong>in</strong>o a


smarrire la visione d’<strong>in</strong>sieme delle cose e <strong>il</strong> senso della s<strong>in</strong>tesi. Sono cambiati gli strumenti adatti per<br />

osservare e raccontare un mondo fatto <strong>di</strong> particelle estranee alla nostra esperienza. Se la fonte per conoscere<br />

<strong>il</strong> mondo non è più <strong>il</strong> “mesoscopio” dei miei occhi, ma <strong>il</strong> microscopio elettronico o <strong>il</strong> ra<strong>di</strong>otelescopio, cosa<br />

succede? Succede che i miei occhi non bastano più, non sono sufficienti per conoscere, e che la conoscenza è<br />

riservata a chi usa e sa <strong>in</strong>terpretare anche per me quegli strumenti.<br />

Ma <strong>il</strong> microscopio o <strong>il</strong> telescopio quale mondo ci fanno vedere? Attraverso questi strumenti, saprei<br />

riconoscere mio figlio o mio padre? Saprei riconoscermi allo specchio? Saprei <strong>in</strong>namorarmi? La scienza,<br />

attraverso l<strong>in</strong>guaggi e strumenti alla portata <strong>di</strong> pochi, oggi racconta un mondo che le persone non possono<br />

capire <strong>senza</strong> qualcuno che glielo <strong>in</strong>terpreti.<br />

Tra <strong>il</strong> 1500 e <strong>il</strong> 1600, l’accesso ufficiale alla conoscenza passa dal laboratorio per rimanerci, e si pongono<br />

due con<strong>di</strong>zioni perché un fenomeno possa essere stu<strong>di</strong>ato: che sia ripetib<strong>il</strong>e e che non subisca <strong>in</strong>fluenze<br />

esterne. E questa, se ci pensi, è <strong>una</strong> bizzarria, perché la vita muta cont<strong>in</strong>uamente e ogni cosa vive nella<br />

contam<strong>in</strong>azione e nell’<strong>in</strong>fluenza <strong>di</strong> ciò che la circonda. Eppure quella che nasce dalla ripetizione asettica è<br />

<strong>di</strong>ventata la vera conoscenza, quella scientifica: è da questa che si ricavano le leggi generali, <strong>di</strong>menticando<br />

che la vita, la nostra vita, è particolare e irripetib<strong>il</strong>e<br />

Insieme al cambio della strumentazione, la scienza sperimentale ha portato al trasferimento<br />

dell’osservazione della natura dal mondo al laboratorio e ha portato verso <strong>una</strong> professionalizzazione del<br />

sapere sempre più sp<strong>in</strong>ta ed esclusiva.<br />

Ti propongo un esempio. Tutti noi ve<strong>di</strong>amo che <strong>il</strong> sole gira <strong>in</strong>torno alla terra e percepiamo che la<br />

terra è ferma (se non te ne accorgi più, se non te lo ricor<strong>di</strong>, chie<strong>di</strong> a un bamb<strong>in</strong>o!). Ma ci hanno <strong>in</strong>segnato che<br />

è vero <strong>il</strong> contrario, che è la terra a girare <strong>in</strong>torno al sole e aggiungono che la terra gira su se stessa: ci hanno<br />

<strong>in</strong>segnato che i sensi <strong>in</strong>gannano. Eppure, <strong>in</strong> as<strong>senza</strong> <strong>di</strong> punti fissi, se si pensa alla relatività del movimento<br />

dei corpi celesti è del tutto <strong>in</strong><strong>di</strong>fferente <strong>di</strong>re che la terra gira <strong>in</strong>torno al sole o <strong>il</strong> suo contrario, oppure <strong>di</strong>re che<br />

gira su se stessa o che è immob<strong>il</strong>e. Ma, non è altrettanto <strong>in</strong><strong>di</strong>fferente <strong>di</strong>re che i nostri sensi - quelli <strong>di</strong> tutti noi<br />

- ci <strong>in</strong>gannano. E tutto questo come potrebbe non generare conseguenze per la salute mentale e per quella<br />

della democrazia?<br />

Credo che i danni derivati dall’affermazione che la terra gira <strong>in</strong>torno al sole siano superiori ai<br />

benefici che a quell’affermazione sono seguiti. Del resto, prima <strong>di</strong> Keplero e Gal<strong>il</strong>eo l’astronomia era<br />

sufficientemente raff<strong>in</strong>ata per spiegare agli uom<strong>in</strong>i tutto quello <strong>di</strong> cui avevano bisogno: le meteore, i<br />

movimenti delle stagioni e le forme apparenti della l<strong>una</strong> erano fenomeni già spiegati, non servivano altri<br />

modelli. La conoscenza del cielo co<strong>in</strong>cideva con l’esperienza <strong>di</strong> ogni persona, i nostri occhi e <strong>il</strong> nostro buon<br />

senso rendevano tutti abbastanza esperti, e tutti potevano capire. Oggi <strong>in</strong>vece <strong>il</strong> cielo è letto con gli strumenti<br />

dell’astrofisica, strumenti che sono a <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> pochi. Questi pochi comunicano ad altri pochi le loro<br />

scoperte, spesso con l<strong>in</strong>guaggi <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>i e con ipotesi che si negano a vicenda. E quello che la gente comune<br />

sa sul cielo attraverso gli occhi o per esperienza <strong>di</strong>retta non vale più nulla, è negato o è messo <strong>in</strong> ri<strong>di</strong>colo.<br />

È grave <strong>il</strong> fatto che ci abbiano <strong>in</strong>segnato a non fidarci più dei sensi, sostituendo all’evidenza teorie<br />

che contrad<strong>di</strong>cono l’esperienza comune. Qualcuno potrebbe <strong>di</strong>re che grazie all’astrofisica è stato possib<strong>il</strong>e<br />

esplorare lo spazio, contornare la terra <strong>di</strong> satelliti e teorizzare l’implosione che ha dato orig<strong>in</strong>e all’universo.<br />

S<strong>in</strong>ceramente, non credo che l’esplorazione dello spazio, la sua m<strong>il</strong>itarizzazione e la pervasività delle<br />

comunicazioni satellitari abbiano reso <strong>il</strong> mondo migliore e le persone più felici. So, però, che conoscere le<br />

stelle più lontane e non conoscere <strong>il</strong> viso del mio vic<strong>in</strong>o <strong>di</strong> casa è strano e <strong>in</strong> sé ha qualche cosa <strong>di</strong> <strong>in</strong>sano.<br />

Negare l’esperienza porta al <strong>di</strong>sorientamento e alla sfiducia negli strumenti dei quali si <strong>di</strong>spone: non è questo<br />

un seme <strong>di</strong> follia, <strong>di</strong> scissione dal mondo e da noi stessi?<br />

Ma la negazione dei fenomeni è <strong>una</strong> storia vecchia, che va oltre Gal<strong>il</strong>eo; si ripete da m<strong>il</strong>lenni che<br />

esiste un mondo <strong>di</strong>etro <strong>il</strong> mondo, ma poiché non è accessib<strong>il</strong>e a tutti serve qualcuno che ne sia me<strong>di</strong>atore o<br />

<strong>in</strong>terprete e lo spieghi a tutti. Me<strong>di</strong>ando e <strong>in</strong>terpretando <strong>il</strong> mondo-<strong>di</strong>etro-<strong>il</strong>-mondo (cioè, la “vera” realtà che<br />

non possiamo vedere e per accedere alla quale i nostri sensi non bastano) stregoni, sacerdoti, scienziati<br />

<strong>di</strong>ventano <strong>in</strong><strong>di</strong>spensab<strong>il</strong>i e sempre più potenti. Giocando con la superstizione del mondo-<strong>di</strong>etro-<strong>il</strong>-mondo e<br />

della conoscenza riservata a pochi, si mortifica <strong>il</strong> senso comune e l’evidenza dei sensi, e <strong>in</strong> questo modo si<br />

<strong>di</strong>chiara, e così si rende, la gente comune sempre <strong>di</strong> più <strong>in</strong>ab<strong>il</strong>e e impotente.


La storia della negazione dei fenomeni è profonda e viene da lontano. Su questa negazione ci hanno<br />

costruito la loro fort<strong>una</strong> sistemi <strong>di</strong> pensiero, credenze, fede, scienza e <strong>potere</strong>.<br />

Ascolta: se riesco a comunicarti che quello che ve<strong>di</strong> non è reale, ti destab<strong>il</strong>izzo; se ti conv<strong>in</strong>co che quello che<br />

ve<strong>di</strong> non è vero, ti rendo bisognoso, ma anche <strong>di</strong>pendente, oppure sud<strong>di</strong>to.<br />

Non caderci, non ca<strong>di</strong>amoci: quello che è sotto gli occhi <strong>di</strong> tutti non ha bisogno <strong>di</strong> esperti, non ha bisogno <strong>di</strong><br />

protesi dei nostri sensi.<br />

Pensaci: quando i nostri sensi non bastano più, quando la nostra capacità <strong>di</strong> capire non basta più, quando le<br />

nostre mani non servono più, cosa resta <strong>di</strong> noi, della nostra autonomia, della nostra umanità?<br />

Dico <strong>senza</strong> vergogna e <strong>senza</strong> orgoglio che da alcuni anni non leggo libri che raramente. Mi piace<br />

passare <strong>il</strong> tempo parlando con la gente, <strong>in</strong>contrandomi quoti<strong>di</strong>anamente con le persone. Ogni giorno mi<br />

<strong>in</strong>contro con persone che hanno <strong>una</strong> cultura fondata sulle mani, un sapere legato all’esperienza,<br />

cont<strong>in</strong>uamente ridef<strong>in</strong>ito, un sapere che serve a fare qualcosa, che si trasmette attraverso la pratica,<br />

l’imitazione, la ripetizione dei gesti, meno bene con le parole, raramente con i libri.<br />

Nel mondo contad<strong>in</strong>o <strong>il</strong> sapere è cumulativo, parla un l<strong>in</strong>guaggio comprensib<strong>il</strong>e nella comunità, si<br />

evolve lentamente nel tempo delle generazioni, non è fisso, si r<strong>in</strong>nova lentamente. Nel mondo contad<strong>in</strong>o<br />

l’autorevolezza non nasce dai titoli accademici, dai libri letti, dal livello <strong>di</strong> scolarizzazione raggiunto o dalla<br />

quantità <strong>di</strong> citazioni conosciute, ma dal saper far bene <strong>una</strong> cosa, <strong>in</strong> modo riconosciuto e approvato nella<br />

comunità.<br />

Io non so niente dei gran<strong>di</strong> problemi dell’universo, non conosco nulla dei gran<strong>di</strong> temi della vita, non<br />

conosco l’eternità, non so cosa sia e se voglia <strong>di</strong>re qualcosa che non capisco. So solo che possiamo<br />

riprendere gusto per l’evidenza. Un piccolo esercizio: tornare a decidere se sia la terra o <strong>il</strong> sole a girare,<br />

chiudendo i libri e guardando <strong>il</strong> cielo, per ritrovare <strong>una</strong> risposta semplice, alla portata <strong>di</strong> tutti, che non sem<strong>in</strong>i<br />

contrad<strong>di</strong>zione. Mentre le risposte complicate spesso allontanano, e <strong>di</strong> solito portano con sé l’istituzione<br />

della casta e <strong>il</strong> dom<strong>in</strong>io degli esperti.<br />

Così, <strong>di</strong> evidenza <strong>in</strong> evidenza, potremmo/possiamo arrivare a capire che tutti siamo esperti nel mestiere che<br />

si chiama “vita”, e che non abbiamo bisogno <strong>di</strong> me<strong>di</strong>atori, perché siamo sufficienti a noi stessi, con le nostre<br />

capacità, più <strong>di</strong> quanto ci sia permesso immag<strong>in</strong>are.<br />

Vorrei solo <strong>di</strong>re che servono occhi nuovi, e non <strong>di</strong> nuovi esperti, ma i nostri. E credo che possano bastare.


POLITICA SENZA IL POTERE:<br />

L’ESPERIENZA ZAPATISTA<br />

Roberto Bugliani<br />

Prima <strong>di</strong> <strong>in</strong>iziare l’<strong>in</strong>tervento desidero fare alcune considerazioni sui lavori del sem<strong>in</strong>ario<br />

residenziale e del convegno.<br />

La prima riflessione, un po’ amara, è che, ripensando ai quattro giorni del sem<strong>in</strong>ario residenziale,<br />

possiamo <strong>di</strong>re che purtroppo oggi si può parlare <strong>di</strong> resistenza e <strong>di</strong> rivoluzione solo nei conventi. Andando<br />

avanti <strong>di</strong> questo passo <strong>in</strong> un prossimo futuro ci resteranno solo le grotte…<br />

Il titolo del convegno “<strong>Politica</strong> <strong>senza</strong> <strong>il</strong> <strong>potere</strong>” può sembrare s<strong>in</strong>golare, ma se lo rovesciamo <strong>in</strong><br />

“Potere <strong>senza</strong> politica” allora non ci appare più così s<strong>in</strong>golare, perché effettivamente oggi la politica è ridotta<br />

a mera amm<strong>in</strong>istrazione dell’esistente, avendo perso ogni sua connotazione critica e progettuale. Per cui<br />

riconferire importanza alla politica significa anche opporsi a questa ra<strong>di</strong>ografia dell’esistente che è <strong>il</strong> “Potere<br />

<strong>senza</strong> politica” e accettare la sfida sottesa al titolo del convegno,ossia “<strong>Politica</strong> <strong>senza</strong> <strong>il</strong> <strong>potere</strong>”.<br />

Un’altra sollecitazione l’ho avuta dall’<strong>in</strong>tervento <strong>di</strong> Rodrigo Rivas che ha citato tre testi <strong>di</strong><br />

cantautori, e questo mi ha fatto pensare che anche le cosiddette “arti m<strong>in</strong>ori” oggi contengano <strong>una</strong> buona<br />

dose <strong>di</strong> verità politica. Perciò anch’io desidero rispondere a questa “provocazione” citando i versi <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />

canzone <strong>di</strong> Ivano Fossati “Cara democrazia”, versi che mi paiono molto significativi:<br />

Con santa pazienza<br />

Ho dovuto aspettare<br />

Con quanta buona fede<br />

Sono stato ad ascoltare<br />

Cara, cara democrazia<br />

Sono stato al tuo gioco<br />

Anche quando <strong>il</strong> gioco<br />

Si era fatto pesante<br />

Così mi sento tra<strong>di</strong>to<br />

O sono stato <strong>in</strong>gannato<br />

[…]<br />

Sono giorni duri<br />

Sono giorni bugiar<strong>di</strong><br />

Cara democrazia<br />

Ritorna a casa<br />

Che non è tar<strong>di</strong>.<br />

Inizio <strong>il</strong> mio <strong>in</strong>tervento vero e proprio, facendo un breve excursus storico su quello che è accaduto <strong>in</strong><br />

Chiapas <strong>in</strong> questi anni.<br />

Il 9 agosto 2003 <strong>il</strong> Comitato clandest<strong>in</strong>o rivoluzionario <strong>in</strong><strong>di</strong>geno dell’Esercito Zapatista <strong>di</strong> Liberazione<br />

Nazionale (EZLN), con un atto celebrato nel Municipio Autonomo <strong>di</strong> Oventic (Chiapas), davanti a più <strong>di</strong><br />

20.000 basi <strong>di</strong> appoggio zapatiste e a migliaia <strong>di</strong> rappresentanti delle <strong>società</strong> civ<strong>il</strong>i straniere ha decretato la<br />

morte dei c<strong>in</strong>que Aguascalientes, spazi politico culturali <strong>di</strong> <strong>in</strong>contro tra comunità <strong>in</strong><strong>di</strong>gene e <strong>società</strong> civ<strong>il</strong>i,<br />

istituiti l’8 agosto 1994 durante la Convenzione Nazionale Democratica.<br />

Il nome Aguascalientes deriva dallo stato messicano che porta <strong>il</strong> medesimo nome, stato <strong>in</strong> cui ebbe luogo la<br />

Convenzione delle forze rivoluzionarie messicane nella seconda metà del XX° secolo. Questo ci fa capire<br />

quanto gli zapatisti siano attenti alla loro storia e a quella della resistenza <strong>in</strong>ternazionale e lat<strong>in</strong>oamericana.<br />

Sempre quel 9 agosto, l’EZLN ha annunciato la nascita <strong>di</strong> c<strong>in</strong>que “Giunte <strong>di</strong> Buon Governo”, a cui è stato<br />

conferito <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> Caracoles. Apro <strong>una</strong> piccola parentesi: caracol <strong>in</strong> spagnolo significa chiocciola e <strong>il</strong><br />

<strong>di</strong>segno a spirale sul guscio della chiocciola è un simbolo importante per <strong>il</strong> pensiero <strong>in</strong><strong>di</strong>geno, simbolo che è


<strong>in</strong>terpretato dagli zapatisti come un mul<strong>in</strong>ello per entrare nel cuore (la conoscenza), ma anche un mul<strong>in</strong>ello<br />

per uscire dal cuore e camm<strong>in</strong>are nel mondo.<br />

Le Giunte <strong>di</strong> Buon Governo sono costruzioni politiche che amm<strong>in</strong>istrano i territori ribelli ed hanno<br />

giuris<strong>di</strong>zioni su trenta municipi autonomi. Questa trasformazione è stata molto importante dal punto <strong>di</strong> vista<br />

politico, <strong>in</strong> quanto <strong>in</strong>augura <strong>una</strong> fase fortemente <strong>in</strong>novativa della lotta <strong>in</strong><strong>di</strong>gena, lotta annunciata da <strong>di</strong>versi<br />

documenti tra cui la XIII° Stele, un vero e proprio manifesto della nuova fase zapatista. Questo documento<br />

parla dei vecchi e nuovi rapporti tra <strong>società</strong> civ<strong>il</strong>i <strong>in</strong>ternazionali e movimento zapatista. Qui parlerò <strong>di</strong> <strong>società</strong><br />

civ<strong>il</strong>e, e mi rendo conto che è <strong>una</strong> categoria non molto caratterizzata, un po’ nebulosa, che comunque<br />

contiene anche elementi <strong>in</strong>novativi. Gli zapatisti, parlando dei vecchi rapporti con le <strong>società</strong> civ<strong>il</strong>i<br />

<strong>in</strong>ternazionali, ricordano alcuni casi tra cui quello della “scarpetta rosa”, ovvero <strong>di</strong> <strong>una</strong> scarpa rosa, spaiata,<br />

che era tra gli aiuti <strong>in</strong>viati dalla cooperazione <strong>in</strong>ternazionale. La “scarpetta rosa” è <strong>di</strong>ventata <strong>il</strong> simbolo della<br />

cooperazione <strong>in</strong>ut<strong>il</strong>e, è <strong>di</strong>ventata la metafora dell’elemos<strong>in</strong>a, un’elemos<strong>in</strong>a che viene rifiutata, perché<br />

“l’appoggio che noi chie<strong>di</strong>amo - sostengono gli zapatisti - è per la costruzione <strong>di</strong> <strong>una</strong> piccola parte <strong>di</strong> questo<br />

mondo che contenga molti mon<strong>di</strong>, è dunque un appoggio politico, non un’elemos<strong>in</strong>a”.<br />

Il 9 agosto 2003, durante la cerimonia per la nascita del Caracoles, <strong>il</strong> Subdomandante Marcos,<br />

rivolgendosi alle comunità, <strong>di</strong>sse “adesso vi restituiamo l’u<strong>di</strong>to, la voce e lo sguardo. A partire da oggi tutto<br />

ciò che riguarda i municipi autonomi ribelli zapatisti verrà <strong>di</strong>scusso dalle loro autorità e dalle Giunte <strong>di</strong><br />

Buon Governo […] L’EZLN non può essere la voce <strong>di</strong> chi comanda, ovvero del Governo, a patto che chi<br />

comanda coman<strong>di</strong> obbedendo e sia un buon governo […] L’EZLN parla per quelli <strong>di</strong> sotto, per i governati,<br />

per i popoli zapatisti che sono <strong>il</strong> suo cuore e <strong>il</strong> suo sangue, <strong>il</strong> suo pensiero e la sua strada. Noi, come<br />

esercito, siamo pronti a <strong>di</strong>fenderli […] <strong>di</strong> modo che f<strong>in</strong> da adesso io non sono più <strong>il</strong> portavoce dei municipi<br />

autonomi ribelli zapatisti. Ormai essi hanno chi parla, e bene, per loro, cioè le strutture amm<strong>in</strong>istrative<br />

civ<strong>il</strong>i. Nella mia funzione <strong>di</strong> comandante m<strong>il</strong>itare delle truppe zapatiste, vi comunico che a partire da questo<br />

momento i Consigli Autonomi non potranno ricorrere ai m<strong>il</strong>iziani per le attività <strong>di</strong> governo. Perciò dovranno<br />

sforzarsi <strong>di</strong> fare, come fanno tutti i buoni governi, vale a <strong>di</strong>re ricorrere alla ragione, e non già alla forza, per<br />

comandare”. Nel suo <strong>di</strong>scorso Marcos ha voluto mettere <strong>in</strong> evidenza l’attuale separazione tra l’aspetto<br />

politico e quello m<strong>il</strong>itare della lotta zapatista, e conferire al primo un ruolo decisivo.<br />

Tra le parole ascoltate quel 9 agosto cito volentieri quelle della Comandante Ester, ricordando con<br />

ciò l’importanza della pre<strong>senza</strong> femm<strong>in</strong><strong>il</strong>e nel movimento zapatista, perché le donne zapatiste sono da<br />

sempre orgogliose <strong>di</strong> essere state protagoniste della rivoluzione del 1994, perché le donne <strong>in</strong><strong>di</strong>gene sono tre<br />

volte sfruttate <strong>in</strong> quanto <strong>in</strong><strong>di</strong>gene, povere e donne. Ecco le sue parole: “Noi <strong>in</strong><strong>di</strong>geni vogliamo riven<strong>di</strong>care <strong>il</strong><br />

nostro <strong>di</strong>ritto ad essere messicani. Non abbiamo bisogno <strong>di</strong> cambiare la nostra cultura, i nostri abiti e la<br />

nostra l<strong>in</strong>gua, <strong>il</strong> nostro modo <strong>di</strong> pregare, <strong>di</strong> lavorare e <strong>di</strong> rispettare la terra. Inoltre non smetteremo <strong>di</strong><br />

essere <strong>in</strong><strong>di</strong>geni per essere riconosciuti come messicani. Non ci possono togliere ciò che siamo, sì, siamo <strong>di</strong><br />

pelle scura, non ci possono trasformare <strong>in</strong> bianchi, perché i nostri avi hanno resistito per c<strong>in</strong>quecento anni<br />

al <strong>di</strong>sprezzo, all’um<strong>il</strong>iazione, allo sfruttamento. E noi cont<strong>in</strong>uiamo a resistere”.<br />

In questo brano c’è un elemento che vorrei sottol<strong>in</strong>eare, ovvero la tensione molto forte ad essere<br />

cittad<strong>in</strong>i messicani, uguali agli altri, ma anche <strong>di</strong>versi, perché <strong>in</strong><strong>di</strong>geni. Il <strong>di</strong>battito <strong>di</strong> questi anni<br />

sull’uguaglianza ha prodotto alcuni equivoci, tra cui quello <strong>di</strong> pensare che l’altro non esiste perché siamo<br />

tutti uguali. Gli zapatisti rifiutano questo modo <strong>di</strong> ragionare, perché <strong>di</strong>etro <strong>il</strong> concetto astratto <strong>di</strong> uguaglianza<br />

si nasconde <strong>una</strong> lunga serie <strong>di</strong> equivoci e <strong>di</strong> prevaricazioni, <strong>in</strong> Messico come altrove.<br />

Per quanto riguarda la questione dell’uguaglianza, Carlo Montemayor - stu<strong>di</strong>oso e storico messicano<br />

- ricorda che proprio quando è stata creata nel 1824 la Repubblica Messicana, i padri fondatori hanno deciso<br />

per decreto l’uguaglianza <strong>di</strong> tutti i cittad<strong>in</strong>i, e che qu<strong>in</strong><strong>di</strong> non esistessero più specificità e <strong>di</strong>fferenze. Qu<strong>in</strong><strong>di</strong><br />

gli <strong>in</strong><strong>di</strong>geni, visto che tutti erano uguali, non avevano più <strong>di</strong>ritto ad esistere <strong>in</strong> quanto tali. Scrive<br />

Montemayor: “L’eguaglianza è servita a negare l’esistenza dei popoli <strong>in</strong><strong>di</strong>geni e ha prodotto <strong>il</strong> loro<br />

<strong>di</strong>sconoscimento come soggetti <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto”. Montemayor cita poi uno scritto <strong>di</strong> Alfonso Cano del 1956 <strong>in</strong> cui<br />

si <strong>di</strong>ce: “non c’è niente <strong>di</strong> più pericoloso che considerare uguali d<strong>in</strong>anzi alla legge coloro che non lo sono<br />

per loro situazione sociale ed economica”. Non siamo tutti uguali, dunque, benché <strong>il</strong> contrario ci possa<br />

apparire come <strong>il</strong> non plus ultra della democrazia. Gli zapatisti ovviamente vogliono essere uguali <strong>di</strong> fronte<br />

alla legge, ma uguali nella <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> cultura, <strong>di</strong> costumi, <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni che costituisce la loro identità.


L’argomento dell’uguaglianza trasc<strong>in</strong>a un altro argomento giuri<strong>di</strong>co. Cito a questo proposito <strong>una</strong><br />

notizia apparsa su “Chiapas al <strong>di</strong>a”, un bollett<strong>in</strong>o <strong>di</strong> <strong>in</strong>formazione <strong>di</strong>retto da un gruppo <strong>di</strong> ricercatori del<br />

Chiapas: “Questo processo <strong>di</strong> creazione <strong>di</strong> nuove forme <strong>di</strong> governo <strong>in</strong><strong>di</strong>geno contrad<strong>di</strong>ce l’idea formalista e<br />

positivista secondo la quale solo le istituzioni politiche possono esistere e soltanto se esiste un processo<br />

giuri<strong>di</strong>co formale <strong>di</strong> creazione dell’accordo con le regole generate all’<strong>in</strong>terno del chiuso campo giuri<strong>di</strong>co.<br />

Come possiamo vedere, se <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto non ha la capacità, <strong>in</strong> un dato momento specifico, <strong>di</strong> creare le istituzioni<br />

che la <strong>società</strong> richiede, la <strong>società</strong> stessa può andare avanti nella costruzione delle sue nuove strutture<br />

politiche. Probab<strong>il</strong>mente ciò produrrà uno scontro con l’ord<strong>in</strong>e vigente. A seconda delle forze <strong>di</strong> entrambi,<br />

lo stato ed <strong>il</strong> movimento sociale che sv<strong>il</strong>uppa queste nuove istituzioni, <strong>in</strong> seguito si daranno meno le<br />

con<strong>di</strong>zioni per un suo riconoscimento giuri<strong>di</strong>co e formale”.<br />

La costituzione dei Caracoles pone sul tappeto anche un problema giuri<strong>di</strong>co formale, ossia <strong>il</strong><br />

rapporto tra <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto formale e la sovranità popolare. F<strong>in</strong>o a che livello la sovranità popolare è così popolare<br />

e sovrana da poter esprimere un cambiamento ra<strong>di</strong>cale dell’ord<strong>in</strong>e politico-istituzionale vigente? Questa<br />

domanda, naturalmente, riguarda e <strong>in</strong>sieme trascende la realtà chiapaneca per <strong>in</strong>vestire quella che oggi va<br />

sotto <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> democrazia rappresentativa e <strong>di</strong> rappresentanza politico-istituzionale.<br />

Ricordo a questo proposito <strong>il</strong> caso para<strong>di</strong>gmatico dell’Ecuador, dove nel 2005 un’<strong>in</strong>surrezione popolare ha<br />

provocato la caduta del Presidente (ex colonnello) Lucio Gutiérrez. Il protagonista dell’<strong>in</strong>surrezione è stato <strong>il</strong><br />

movimento, nato nelle gran<strong>di</strong> città, def<strong>in</strong>ito <strong>in</strong> maniera <strong>di</strong>spregiativa Forajido (fac<strong>in</strong>oroso, del<strong>in</strong>quente),<br />

mentre un ruolo marg<strong>in</strong>ale hanno avuto i movimento <strong>in</strong><strong>di</strong>geni.<br />

Il movimento Forajido ha chiesto successivamente <strong>una</strong> nuova Assemblea Costituente, ovvero <strong>una</strong><br />

rifondazione dello stato democratico e <strong>una</strong> nuova costituzione. Il Parlamento ed i partiti ecuadoriani hanno<br />

rifiutato la proposta, ed i giuristi dell’Ecuador hanno affermato che, anche se è vero che <strong>il</strong> popolo è sovrano,<br />

<strong>in</strong> un sistema <strong>di</strong> democrazia rappresentativa sono i partiti a rappresentare <strong>il</strong> popolo, qu<strong>in</strong><strong>di</strong> sono loro a<br />

decidere. Qui <strong>il</strong> cerchio si chiude, e quella che era <strong>una</strong> democrazia rappresentativa si trasforma <strong>in</strong> <strong>una</strong><br />

“<strong>di</strong>ttatura rappresentativa”.<br />

Gli zapatisti pongono qu<strong>in</strong><strong>di</strong> all’ord<strong>in</strong>e del giorno della nostra riflessione politica molti problemi, che<br />

possono apparentemente sembrare lontani, ma non è così. Il problema dell’uguaglianza e della <strong>di</strong>versità, la<br />

questione dell’autonomia, <strong>il</strong> problema dell’identità culturale e politica, ecc. sono i gran<strong>di</strong> temi che anche noi<br />

affrontiamo ogni giorno. Per questo <strong>il</strong> Chiapas non è poi così lontano, nemmeno dall’Italia.


CONVIVIALITÀ E ÁSKESIS<br />

COME ARTE DI ESISTERE<br />

Giovanna Morelli<br />

Vorrei focalizzare, <strong>in</strong> un rapido excursus, <strong>il</strong> motivo conduttore dello work <strong>in</strong> progress <strong>il</strong>lichiano; un<br />

motivo che si sv<strong>il</strong>uppa attraverso le varie categorie critiche applicate da Illich all’analisi della modernità e<br />

postmodernità, e si ra<strong>di</strong>calizza a f<strong>in</strong>e novecento. Proprio alla luce delle ultime pag<strong>in</strong>e <strong>il</strong>lichiane possiamo<br />

formulare un nuovo, ampio senso <strong>di</strong> “Convivialità” e da questo concludere alla tematica <strong>il</strong>lichiana dell’<br />

Áskesis, testimoniata dalla stessa esistenza <strong>di</strong> Ivan Illich: penso al “convivium”o giard<strong>in</strong>o f<strong>il</strong>osofico fiorito<br />

attorno a lui, per coltivare e con<strong>di</strong>videre l’esercizio dello spirito, per sperimentare un’arte <strong>di</strong> vivere e <strong>di</strong><br />

pensare la vita.<br />

La <strong>in</strong>iziale tematica della Convivialità, con la quale Ivan Illich apre gli anni 70, si salda, alla f<strong>in</strong>e del<br />

decennio, al tema del Vernacolare. Illich stu<strong>di</strong>a le <strong>società</strong> vernacolari tra<strong>di</strong>zionali, le loro crisi, le loro<br />

rigenerazioni, esemplificando <strong>una</strong> possib<strong>il</strong>e <strong>società</strong> vernacolare modernizzata: un mondo <strong>di</strong> strumenti<br />

“conviviali” a misura <strong>di</strong> uomo, dove <strong>il</strong> prodotto tecno-<strong>in</strong>dustriale sia riconvertito a favore della <strong>in</strong>iziativa<br />

autonoma, emancipata dalle tormentose fatiche <strong>di</strong> un tempo, un mondo <strong>in</strong> cui <strong>il</strong> valore d’uso torni ad avere la<br />

meglio sul valore <strong>di</strong> mercato.<br />

L’uomo vernacolare tra<strong>di</strong>zionale stu<strong>di</strong>ato da Illich è un uomo locale, ra<strong>di</strong>cato a un certo tempo e<br />

luogo della crosta terrestre. Il Genere, ovvero la complementarietà asimmetrica dei due universi masch<strong>il</strong>e e<br />

femm<strong>in</strong><strong>il</strong>e, è un importante fattore <strong>di</strong> coerenza comunitaria. Spesso Illich usa <strong>il</strong> Genere per mettere a fuoco<br />

l’<strong>in</strong>tero universo vernacolare. Il Genere - come prototipo <strong>di</strong> essere umano specifico - è <strong>in</strong>fatti l’opposto del<br />

Neutrum, l’essere umano neutro con attributi sessuali a favore del quale tante nostre battaglie si sono spese.<br />

L’universo vernacolare <strong>in</strong> quanto universo chiuso, autoreferenziale, arcaico, ha subito, dovunque, <strong>il</strong> trauma<br />

della storia. Il “fato solitario”,i “cento anni <strong>di</strong> solitud<strong>in</strong>e” f<strong>in</strong>iscono. Superato l’impatto con la storia,<br />

aprendosi fisiologicamente all’esterno apportatore <strong>di</strong> alterità, l’arte comunitaria <strong>di</strong> vivere ha maturato <strong>in</strong>e<strong>di</strong>te<br />

soluzioni e ibridazioni, ha reagito ai gran<strong>di</strong> progetti egemonici <strong>di</strong> civ<strong>il</strong>tà, ha <strong>in</strong>f<strong>il</strong>trato e reso vive per secoli<br />

tutte le griglie.<br />

A questo proposito Illich fornisce l’esempio <strong>di</strong> varie polarità relative alla l<strong>in</strong>gua 1 . Status degli utenti:<br />

classi basse/classi alte; analfabeta/acculturato. Distribuzione geografica: regionale, superregionale.<br />

Organizzazione: <strong>in</strong>formale/co<strong>di</strong>ficata. Funzione: quoti<strong>di</strong>ana/specialistica. Me<strong>di</strong>um: oralità/scrittura/stampa.<br />

Nel corso della storia nessuno <strong>di</strong> questi parametri è stato r<strong>il</strong>evante per la qualificazione vernacolare <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />

l<strong>in</strong>gua. Bensì essa sarà vernacolare (o non) a seconda della modalità <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione e <strong>di</strong> elaborazione. Una<br />

l<strong>in</strong>gua comune può <strong>in</strong>fatti imporsi <strong>in</strong> luogo o accanto agli altri i<strong>di</strong>omi, <strong>in</strong> virtù della fisiologica <strong>in</strong>terazione<br />

delle <strong>di</strong>fferenze. Come sono esistiti vernacoli popolari sono esistiti vernacoli aristocratici. L<strong>in</strong>gue elitarie,<br />

i<strong>di</strong>omi commerciali, seconde l<strong>in</strong>gue, sono sempre esistite e possono essere considerate altrettanto vernacolari<br />

<strong>di</strong> <strong>una</strong> l<strong>in</strong>gua popolare, f<strong>in</strong>ché non vengano pre-fabbricate, clonate dall’alto. E’ allora che ogni vernacolo si<br />

riduce al fantasma <strong>di</strong> se stesso. Un contenuto <strong>in</strong><strong>di</strong>geno non basta a garantire la qualità vernacolare<br />

dell’esperienza. Balì, anni 70: <strong>una</strong> ritualità musicale <strong>in</strong><strong>di</strong>gena viene fissata al registratore e così riut<strong>il</strong>izzata e<br />

<strong>di</strong>vulgata, con risultato, <strong>di</strong>ce Illich, drasticamente antivernacolare. “Non era all’opera <strong>il</strong> missionario <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />

chiesa, partito o me<strong>di</strong>a, bensì un maestro <strong>di</strong> scuola nazionalista che voleva fare delle potenzialità<br />

tra<strong>di</strong>zionali <strong>di</strong> <strong>una</strong> vallata, l’oggetto <strong>di</strong> un <strong>in</strong>segnamento pianificato […] Non solo la musica tra<strong>di</strong>zionale ma<br />

anche la cultura alternativa del riso doveva <strong>di</strong>ventare oggetto <strong>di</strong> <strong>in</strong>segnamento […] è <strong>il</strong> rappresentante della<br />

tra<strong>di</strong>zione popolare che impone le costumanze locali allo scopo <strong>di</strong> sostituire l’arte del vivere con un sistema<br />

<strong>di</strong> produzione da lui gestito ed ecologicamente adeguato”. 2 Siamo qui alla polarità appren<strong>di</strong>mento/istruzione.<br />

L’appren<strong>di</strong>mento è contestuale, è cioè un processo <strong>in</strong>tegrato alla completezza esistenziale dei protagonisti.<br />

Nelle comunità stu<strong>di</strong>ate da Illich “Un ambiente e un mondo <strong>di</strong> uom<strong>in</strong>i <strong>di</strong> complessità letteralmente <strong>in</strong><strong>di</strong>cib<strong>il</strong>e<br />

1 Lavoro Ombra, A.Mondadori 1985, pp. 56,57 e Nello specchio del passato, Red e<strong>di</strong>zioni 1988, p. 123<br />

2 Lavoro Ombra, cit. , pp. 95,96


ha plasmato genti e terra, e <strong>in</strong> ogni istante questa esistenza era contesta <strong>di</strong> questa arte <strong>di</strong> vivere.” 3<br />

L’istruzione <strong>in</strong>vece è qualcosa <strong>di</strong> sra<strong>di</strong>cato, qualcosa <strong>di</strong> non elaborato. Non elaborato dal gruppo, dal terreno<br />

comunitario, ma soprattutto non elaborato dalla vivente matrice umana che ha garantito <strong>una</strong> qualche tenuta<br />

vernacolare s<strong>in</strong>o alle soglie dei nostri giorni.<br />

Vernacolarità è questo “auto-ra<strong>di</strong>camento” alla propria matrice <strong>in</strong>teriore. L’uomo vernacolare è<br />

l’uomo psichicamente metabolico, che secerne a se stesso <strong>il</strong> suo st<strong>il</strong>e, i suoi segni e significati, i suoi<br />

strumenti. “Intransitività” dell’esistenza, “autoplasmazione <strong>in</strong>transitiva”, “l’essere dell’agente che plasma<br />

d<strong>in</strong>amicamente se stesso”. E’ <strong>il</strong> grande leitmotiv <strong>il</strong>lichiano . Lavoro <strong>in</strong> profon<strong>di</strong>tà: gestazione, <strong>in</strong>cubazione<br />

dei propri vissuti. Lentezza, pazienza, complessità <strong>di</strong> un parto, <strong>di</strong> un processo organico. Illich, nel suo libro<br />

su Ugo <strong>di</strong> San Vittore e la lettura 4 , porta l’esempio del monaco me<strong>di</strong>oevale che legge e me<strong>di</strong>ta, spesso<br />

paragonato dai contemporanei a “<strong>una</strong> mucca che rimastica <strong>il</strong> suo bolo”. San Bernardo legge parole del<br />

Cantico dei Cantici: “Assaporandone la dolcezza non smetto <strong>di</strong> masticarle, i miei organi <strong>in</strong>terni si satollano,<br />

<strong>il</strong> ventre s’imp<strong>in</strong>gua e tutte le mie ossa prorompono nella lode”.<br />

Ma la possib<strong>il</strong>ità stessa <strong>di</strong> questo auto-ra<strong>di</strong>camento viene ad essere drasticamente m<strong>in</strong>acciata quanto<br />

più “l’esterno” degli immateriali me<strong>di</strong>a globali e delle macro (o micro) istituzioni si rivela <strong>in</strong> realtà “<strong>in</strong>terno”<br />

e <strong>in</strong>vasivo. Illich <strong>in</strong>teriorizza i suoi temi e concentra la sua analisi sul livello simbolico e l<strong>in</strong>guistico, dove<br />

vivono le nostre forme mentali. “In pochi decenni <strong>il</strong> mondo si è amalgamato” - scrive Ivan Illich sul f<strong>in</strong>ire<br />

degli anni 70 - “Le reazioni degli uom<strong>in</strong>i agli eventi quoti<strong>di</strong>ani si sono standar<strong>di</strong>zzate. Le l<strong>in</strong>gue e le <strong>di</strong>v<strong>in</strong>ità<br />

possono ancora apparire <strong>di</strong>fferenti, ma ogni giorno altra gente si aggrega a quell’enorme maggioranza che<br />

marcia al ritmo della medesima megamacch<strong>in</strong>a […] Ora striduli ora soporiferi, i me<strong>di</strong>a penetrano a forza<br />

nella comune, nel v<strong>il</strong>laggio, nell’azienda, nella scuola.[…] Oggi solo chi è tagliato fuori dal mondo oppure<br />

l’anticonformista ricco e ben protetto può fare giocare i propri bamb<strong>in</strong>i <strong>in</strong> un ambiente dov’essi sentano<br />

parlare persone, anziché <strong>di</strong>vi, annunciatori o istruttori. In ogni parte del mondo si vede d<strong>il</strong>agare quella<br />

<strong>di</strong>scipl<strong>in</strong>ata acquiescenza che caratterizza lo spettatore, <strong>il</strong> paziente e <strong>il</strong> cliente […] Culture <strong>di</strong>fferenti<br />

<strong>di</strong>ventano così scialbi residui <strong>di</strong> st<strong>il</strong>i d’azione tra<strong>di</strong>zionali, relitti sbia<strong>di</strong>ti <strong>in</strong> un unico deserto <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni<br />

planetarie.” 5<br />

La densità, <strong>il</strong> calore, l’erotismo dell’appren<strong>di</strong>mento e della formazione si contrappongono alla<br />

freddezza an-erotica, alla passività dell’istruzione e dell’<strong>in</strong>formazione da cui siamo afflitti: flussi <strong>di</strong><br />

esperienze, <strong>di</strong> op<strong>in</strong>ioni, <strong>di</strong> identità prefabbricate per un consumo veloce, epidermico, automatico. Il mondo<br />

dei significati si sgancia dal proprio atto fondativo e si costituisce <strong>in</strong> <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> sistema <strong>in</strong>erziale da cui<br />

scaricare i nostri byte <strong>di</strong> scambio significante. Decentramento del soggetto, sempre meno presente a se stesso<br />

quanto più presente alla rete. Estensione contro <strong>in</strong>tensità. Da <strong>in</strong>transitivo a transitivo. Da attivo a passivo.“Io<br />

vivo” <strong>di</strong>venta “io sono vissuto”. Se abbiamo <strong>di</strong>fficoltà a concepire alternative (all’istruzione e a tutto quanto)<br />

è perché stiamo perdendo ogni giorno <strong>di</strong> più <strong>il</strong> nostro auto-ra<strong>di</strong>camento, <strong>il</strong> nostro spessore metabolico.<br />

Rammentiamo l’immag<strong>in</strong>e <strong>il</strong>lichiana delle Tre assi 6 . Dobbiamo avere chiaro quale è l’asse su cui<br />

vogliamo impegnare le nostre energie <strong>di</strong> cambiamento. La prima è l’asse tecnologica. Qui si tratta <strong>di</strong><br />

prendere posizione sulla qualità soft o hard delle tecnologie. Il loro impatto ambientale. Lo sv<strong>il</strong>uppo<br />

energeticamente e ecologicamente sostenib<strong>il</strong>e. Tecnologie alternative. Eco-progetti. La seconda è l’asse<br />

politica, concernente le opzioni destra-s<strong>in</strong>istra, socialismo-liberalismo, equità o <strong>di</strong>s-equità <strong>di</strong>stributiva,<br />

proprietà dei mezzi <strong>di</strong> produzione. La terza, quella <strong>il</strong>lichianamente decisiva, è l’asse esistenziale, homo<br />

vernacularis/homo oeconomicus, l’asse che oppone autonomia a etero-esistenza. Quella dove si gioca la<br />

domanda fondamentale. Quale uomo? Quali i bisogni fondamentali dell’uomo? Quale è “la natura dello<br />

appagamento umano”? Le scelte che possiamo operare sull’asse tecnologica e su quella politica non ci<br />

garantiscono <strong>di</strong> per sé circa la qualità esistenziale. Da questo punto <strong>di</strong> vista Illich r<strong>il</strong>eva spesso l’equivalenza<br />

<strong>di</strong> regimi socialisti e liberali. Ugualmente opzioni tecnologiche <strong>di</strong> sostenib<strong>il</strong>ità ambientale possono<br />

assecondare un’esistenza standar<strong>di</strong>zzata secondo i criteri sv<strong>il</strong>uppisti. L’<strong>in</strong>versione <strong>di</strong> tendenza non è energia<br />

pulita ma m<strong>in</strong>ore produzione <strong>di</strong> energia. L’<strong>in</strong>versione <strong>di</strong> tendenza non è l’auto stupro dell’assistenza<br />

3 Lavoro Ombra, p. 98<br />

4 La Vigna del Testo, Raffaello Cort<strong>in</strong>a 1994, pp. 52,53<br />

5 Disoccupazione creativa, Red e<strong>di</strong>zioni 1996, pp.20,21<br />

6 Lavoro Ombra, cit. , pp. 145 e sg.


professionale delegata al cliente nei programmi <strong>di</strong> self-help, ma l’emancipazione creativa dall’assistenza.<br />

Sulle assi ambientale e politica possiamo registrare molti effetti collaterali, talora devastanti, dei vari<br />

monopoli anticonviviali. Ma la ricaduta imme<strong>di</strong>ata è sull’asse esistenziale. E’ la “nemesi strutturale e<br />

endemica” che crea esseri <strong>in</strong>ab<strong>il</strong>i. Su questa asse credo si giochi la nostra politica <strong>senza</strong> <strong>il</strong> <strong>potere</strong>, o forse,<br />

detto <strong>in</strong> modo più ra<strong>di</strong>cale, la nostra politica <strong>senza</strong> politica (Illich usa, nel corso degli anni, espressioni<br />

<strong>di</strong>verse e sfumature concettuali <strong>di</strong>verse, ma tutte ugualmente mirate a sottol<strong>in</strong>eare la priorità dell’asse<br />

esistenziale. <strong>Politica</strong> della Convivialità, ecologia politica ra<strong>di</strong>cale. <strong>Politica</strong> dell’impotenza e f<strong>in</strong>e della<br />

politica…). <strong>Politica</strong> <strong>senza</strong> <strong>il</strong> <strong>potere</strong> è cercare <strong>di</strong> riappropriarci dell’arte della nostra vita, arte <strong>di</strong> vivere, <strong>di</strong><br />

godere, <strong>di</strong> soffrire, <strong>di</strong> far festa, <strong>di</strong> abitare, <strong>di</strong> tollerare <strong>il</strong> dolore, <strong>di</strong> sopportare <strong>il</strong> presente, <strong>di</strong> morire e dare un<br />

senso alla morte. Disconnetterci. R<strong>in</strong>uncia attiva al consumo e alla produzione, motivata da un <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ato<br />

edonismo, “<strong>senza</strong> ridursi a vano folklore”.<br />

A f<strong>in</strong>e anni 80 Illich ra<strong>di</strong>calizza la sua analisi, stu<strong>di</strong>ando le mo<strong>di</strong>ficazioni percettive e autocettive cui<br />

siamo sottoposti nella o<strong>di</strong>erna <strong>società</strong> dei “sistemi”: <strong>una</strong> “catastrofica rottura” nella percezione <strong>di</strong> Sé e del<br />

corpo; un nuovo orizzonte epistemologico esplosivo che caratterizza la <strong>società</strong> <strong>in</strong>dustriale pronta a<br />

trasformarsi <strong>in</strong> <strong>società</strong> cibernetica. Scrive Illich nel 1990: “Noi siamo alle soglie <strong>di</strong> <strong>una</strong> transizione ancora<br />

<strong>in</strong>avvertita […] gli esperti che ci hanno donato i nostri bisogni si affannano oggi a riconcettualizzare <strong>il</strong> loro<br />

regalo, a ridef<strong>in</strong>ire ancora <strong>una</strong> volta l’umanità. Per sopravvivere, ci assicurano, dobbiamo vederci […]<br />

come dei cyborgs […], delle unità <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itesimali <strong>di</strong> <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> sistemi <strong>in</strong>clusivi, term<strong>in</strong>anti non si sa dove<br />

[…] Se questo punto <strong>di</strong> vista si imporrà, sarà la f<strong>in</strong>e degli uom<strong>in</strong>i e delle donne […]”. Nel 1993: “Il<br />

para<strong>di</strong>gma contemporaneo è strumentale. L’occhio è addestrato a competere con <strong>il</strong> comando “ricerca” <strong>di</strong><br />

Word Perfect […] la percezione sensoriale è <strong>in</strong>tesa come <strong>il</strong> risultato <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>in</strong>terfaccia tra due sistemi, <strong>di</strong><br />

cui l’uno è un artefatto e l’altro <strong>una</strong> persona”. 7 Nelle sue più recenti analisi Illich stu<strong>di</strong>a appunto<br />

l’assottigliamento dell’esperienza del Sé, contestualmente alla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> importanza soggettiva della “carne”<br />

e <strong>di</strong> tutti i suoi sensi.<br />

Come sappiamo, per analizzare la “forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>sumanità specifica della nostra <strong>società</strong> <strong>in</strong>dustriale”,<br />

Illich <strong>in</strong>trodusse l’idea <strong>di</strong> Monopolio Ra<strong>di</strong>cale (e Controproduttività paradossa). Ciò si <strong>in</strong>staura ogni volta<br />

che un processo espropria <strong>il</strong> soggetto della funzione al cui potenziamento era dest<strong>in</strong>ato. “I monopoli ra<strong>di</strong>cali<br />

rendono la gente <strong>in</strong>capace <strong>di</strong> fare da sé”. 8 La produzione <strong>in</strong>dustriale <strong>in</strong>tensiva <strong>di</strong> merci, la tecnocrazia<br />

assistenziale, la terapizzazione dell’esistenza sono altrettanti esempi <strong>di</strong> Monopolio Ra<strong>di</strong>cale. L’essere umano<br />

<strong>in</strong> quanto paziente <strong>di</strong> <strong>una</strong> terapia cont<strong>in</strong>ua (o cliente <strong>di</strong> <strong>una</strong> prestazione <strong>in</strong><strong>in</strong>terrotta), è reso <strong>in</strong>ab<strong>il</strong>e dalla cura<br />

(o prestazione) stessa. Epoca dei servizi professionali menomanti.<br />

Ma se a metà anni 70 Illich parlava <strong>di</strong> Iatocrazia, a metà 90 siamo ormai <strong>in</strong> piena Biocrazia. Dalla<br />

gestione professionale della malattia, della sofferenza e della morte, siamo passati a <strong>una</strong> ottimizzazione<br />

sistemica dell’<strong>in</strong>tera esistenza, <strong>in</strong> nome della salute e della vita. Da “attore tragicomico” del proprio dest<strong>in</strong>o,<br />

l’uomo si è successivamente trasformato <strong>in</strong> “paziente bisognoso” e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e <strong>in</strong> “sistema cibernetico<br />

autoreferenziale”. Nel corso dell’ottocento la griglia me<strong>di</strong>co-<strong>di</strong>agnostica, con i suoi nuovi supporti tecnici,<br />

ha <strong>di</strong>sabituato <strong>il</strong> paziente al sentimento della propria corporeità, e ha <strong>di</strong>sabituato <strong>il</strong> me<strong>di</strong>co alla <strong>di</strong>agnosi<br />

mimetica. Il tardo novecento esaspera l’auto-astrazione riducendo la <strong>di</strong>agnosi “a un groviglio <strong>di</strong> curve <strong>di</strong><br />

probab<strong>il</strong>ità organizzate <strong>in</strong> un prof<strong>il</strong>o”.<br />

La riconversione statistico-cibernetica del corpo umano o <strong>il</strong> feticismo naturista-biologico, che<br />

contagia anche la nostra chiesa, <strong>di</strong>menticano entrambi che <strong>il</strong> corpo umano non è un’unità <strong>di</strong> vita o <strong>di</strong> materia<br />

<strong>in</strong>globab<strong>il</strong>e <strong>in</strong> qualche perfezionato sistema <strong>di</strong> calcolo e <strong>di</strong> gestione, ma è <strong>in</strong>nanzitutto <strong>il</strong> dom<strong>in</strong>io senziente <strong>di</strong><br />

un Sé. “Riduzione dell’essere umano a ‘<strong>una</strong> vita’ sulla quale i comitati <strong>di</strong> etica possono pronunciare<br />

sentenze”, scrive Illich nel 1995, nella postfazione a <strong>una</strong> nuova e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Nemesi me<strong>di</strong>ca.<br />

La necessità <strong>di</strong> “<strong>di</strong>sconnessione” dal sistema si ra<strong>di</strong>calizza, <strong>di</strong>ventando sempre più esplicitamente<br />

<strong>una</strong> re-<strong>in</strong>teriorizzazione del Sé. Un esercizio <strong>di</strong> riconnessione a se stessi (Áskesis). L’uomo sra<strong>di</strong>cato da se<br />

stesso ha bisogno <strong>di</strong> ritrovarsi, e <strong>di</strong> ritrovarsi secondo un’auto-percezione <strong>in</strong>tegrale. Potremmo parlare <strong>di</strong> un<br />

sesto senso, <strong>di</strong> un “senso armonico”, che ci avverte quando stiamo attentando, oltre la soglia <strong>di</strong> <strong>in</strong>columità, al<br />

7 La perte des sens , Fayard 2004, pp. 104, 105, 196, 199.<br />

8 Nemesi Me<strong>di</strong>ca, B. Mondadori 2004, p.50


Sé e ai suoi sensi, o alla loro organica <strong>in</strong>tegrazione. Io credo che possiamo raccogliere l’ultima prospettiva<br />

<strong>il</strong>lichiana ridef<strong>in</strong>endo <strong>il</strong> Conviviale come ciò che alimenta questo “senso armonico”, questa auto-percezione<br />

<strong>in</strong>tegrale.<br />

E’ qui che l’arte, <strong>il</strong> fare artistico può porsi come para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong> esperienza <strong>conviviale</strong> (non a caso<br />

“<strong>conviviale</strong>” e “vernacolare” sono costantemente associati da Illich alle parole “st<strong>il</strong>e” e “arte”). Il gesto<br />

artistico <strong>in</strong>fatti è un gesto fortemente <strong>in</strong>tegrato e <strong>in</strong>tegrante, che attiva i più ra<strong>di</strong>cali, segreti canali <strong>di</strong><br />

corrispondenza tra le varie facce dell’umano. Illich lancia un appello agli <strong>in</strong>segnanti d’arte: “L’<strong>in</strong>segnante<br />

d’arte può fare della sua aula lo spazio <strong>di</strong> libertà <strong>in</strong> cui resuscitare l’arte <strong>di</strong> vivere oppure rendersi uguale al<br />

pedagogo”. 9 Non si tratta <strong>di</strong> <strong>in</strong>segnare la fruizione e produzione dell’oggetto artistico come f<strong>in</strong>e a se stessa.<br />

Ma <strong>di</strong> att<strong>in</strong>gere alla sensib<strong>il</strong>ità artistica per ravvivare l’auto-ra<strong>di</strong>camento e quel fondamentale senso armonico<br />

da cui far nascere nuova - e <strong>in</strong>tegrale- specificità umana.<br />

Il secondo argomento che vorrei approfon<strong>di</strong>re è <strong>il</strong> problema oggi centrale del rapporto relativismouniversalismo.<br />

Credo <strong>in</strong>fatti che Illich ci abbia fornito <strong>una</strong> posizione <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>ante, che supera le<br />

semplificazioni correnti. Perché l’esempio delle élite <strong>di</strong>ssidenti possa riuscire efficace devono porsi due<br />

con<strong>di</strong>zioni, <strong>di</strong>ce Illich. Io credo che <strong>una</strong> <strong>di</strong> queste ponga <strong>il</strong> tema dell’identità (specificità), l’altra quello<br />

dell’universalità. La prima: “Le forme <strong>di</strong> vita <strong>in</strong><strong>di</strong>pendenti dalle merci devono <strong>di</strong>ffondersi secondo modelli<br />

che i dest<strong>in</strong>atari possano cercarsi da soli”. La seconda: “Il nuovo st<strong>il</strong>e <strong>di</strong> vita […] deve fare propria<br />

un’immag<strong>in</strong>e dell’essere umano stesso quale appartenente alla specie homo vernacularis e non homo<br />

<strong>in</strong>dustrialis” 10 Si tratta della scelta tra “due <strong>di</strong>verse concezioni dell’essere umano”. Quale Uomo?<br />

E’ questo un punto fondamentale. Il rigoroso pluralismo <strong>il</strong>lichiano non esclude <strong>una</strong> prospettiva<br />

universalistica. Illich ci ricorda che l’arte <strong>di</strong> vivere non è mai “genericamente umana”. Ma anche ci ricorda<br />

che “la vita autenticamente umana” non è “un concetto <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itamente elastico” 11 . L’arte <strong>di</strong> vivere è<br />

molteplice e <strong>una</strong> ed è ciò che rende la vita autenticamente umana. In questo senso particolare e universale si<br />

toccano. L’uomo planetario <strong>il</strong>lichiano è l’uomo ra<strong>di</strong>cale, sostanziale, ossatura <strong>di</strong> tutte le più <strong>di</strong>verse identità.<br />

“La più grande matrice umana che sorregge la vita <strong>di</strong> ogni s<strong>in</strong>golo uomo”. 12 Non è l’Homo aequalis,<br />

neutro, <strong>in</strong><strong>di</strong>pendente da connotazioni specifiche, <strong>in</strong>trodotto dalla coscienza post vernacolare. E’ <strong>in</strong>vece ciò<br />

che possiamo <strong>in</strong>tuire attraverso le <strong>di</strong>fferenze e solo attraverso <strong>di</strong> esse. Non possiamo esperire un sapore o un<br />

colore generico, ma attraverso l’esperienza dei m<strong>il</strong>le sapori particolari sappiamo cos’è <strong>il</strong> sapore. Così non<br />

esiste un uomo generico. Ma attraverso l’esperienza <strong>di</strong> ogni uomo specifico, <strong>di</strong> ogni st<strong>il</strong>e umano particolare,<br />

sappiamo cos’è l’Uomo, <strong>il</strong> più ra<strong>di</strong>cale dei nostri vissuti e <strong>in</strong> quanto tale anche <strong>il</strong> meno coscientizzato.<br />

Impegnarci per <strong>una</strong> <strong>di</strong>fesa delle <strong>di</strong>fferenze è al tempo stesso impegnarci per <strong>una</strong> <strong>di</strong>fesa dell’<strong>in</strong>variante<br />

antropologica che le rende possib<strong>il</strong>i: l’“autoplasmazione <strong>in</strong>transitiva”, “l’essere dell’agente che plasma<br />

d<strong>in</strong>amicamente se stesso”. La sfida f<strong>in</strong>ale della nostra Áskesis si gioca tra <strong>il</strong> Sé e la coscienza che ha <strong>di</strong> se<br />

stesso: dall’auto-ra<strong>di</strong>camento metabolico (esercizio dell’ autenticità vernacolare) all’auto-<strong>in</strong>tegrazione<br />

(esercizio della percezione armonica, arte <strong>conviviale</strong> dell’uomo polifonico) all’auto-consapevolezza<br />

antropologica (esercizio dell’universalità).<br />

Questo Universalismo Pluralista, o, se vogliamo, questa Antropologia Ra<strong>di</strong>cale, consta dunque <strong>di</strong><br />

due momenti tra loro complementari. Il primo: sensib<strong>il</strong>ità alla <strong>di</strong>fferenza. Rifiuto <strong>di</strong> ogni prospettiva che<br />

imponga un <strong>di</strong>scorso omologato, letterale e centralizzato per affrontare <strong>il</strong> composito mondo umano. Illich, <strong>in</strong><br />

Genere e sesso, si sofferma sul riduzionismo <strong>di</strong> alcune cosiddette “scienze umane”. Ciò significa: ridurre <strong>una</strong><br />

realtà complessa e stratificata a un unico livello, per esempio ridurre l’uomo al suo livello biologico. Oppure:<br />

ridurre le più <strong>di</strong>verse specificità a un unico canone storiografico. Se descrivo la cultura dell’Altro tramite le<br />

griglie concettuali della mia, cont<strong>in</strong>uo a descrivere la mia cultura, resto <strong>in</strong>terno al mio mondo. Il <strong>di</strong>scorso<br />

centralizzato è <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso del <strong>potere</strong>. Potere è anche l’universo piatto, orizzontale, totalitario della<br />

comunicazione. Potere è “lo pseudo senso comune novecentesco” con le sue “parole chiave”, i suoi<br />

“apriorismi epocali”: sessualità, lavoro, produzione, sv<strong>il</strong>uppo, assistenza…Ogni traccia dell’Altro è<br />

viceversa l’opera <strong>in</strong> cui esso vive, come dentro a un’opera d’arte vive <strong>il</strong> suo senso, <strong>in</strong>separab<strong>il</strong>e da quelle<br />

9 Lavoro Ombra , cit., p.101<br />

10 Lavoro Ombra, cit. , p. 162<br />

11 Nemesi Me<strong>di</strong>ca, cit. , p. 286<br />

12 Nemesi Me<strong>di</strong>ca, cit. , p. 168


l<strong>in</strong>ee, da quella materia, da quei colori. Non posso sostituire le mie griglie a quelle dell’Altro. Posso però<br />

piegare poeticamente le mie parole s<strong>in</strong>o a farne metafora delle sue.<br />

Il secondo: sensib<strong>il</strong>ità alla com<strong>una</strong>nza. A partire dalla esperienza artistica dell’Altro, è possib<strong>il</strong>e<br />

rifondare un <strong>di</strong>scorso comune, un <strong>di</strong>scorso Universale che non sia logos totalizzante, ma che ci salvi dalla<br />

Torre <strong>di</strong> Babele. Un meta<strong>di</strong>scorso che ampli <strong>di</strong> cont<strong>in</strong>uo la gamma delle proprie metafore, anziché servirsi <strong>di</strong><br />

pochi concetti per spiegare ogni cosa. A questo metal<strong>in</strong>guaggio spetta <strong>il</strong> compito <strong>di</strong> portare nelle <strong>di</strong>fferenze<br />

la coscienza dell’Unico Uomo Ra<strong>di</strong>cale, facendo implodere contrad<strong>di</strong>zioni e i<strong>di</strong>os<strong>in</strong>crasie, xenofobie e<br />

pregiu<strong>di</strong>zi dei l<strong>in</strong>guaggi-oggetto. Questo <strong>di</strong>scorso è <strong>in</strong> sé <strong>una</strong> terapia, <strong>una</strong> liberazione, un’auto <strong>il</strong>lum<strong>in</strong>azione<br />

che culture e <strong>in</strong><strong>di</strong>vidui dovrebbero praticare al proprio <strong>in</strong>terno per liberarsi <strong>di</strong> ogni elemento oscurantista,<br />

separatista, dogmatico che li chiude e li oppone. A <strong>una</strong> forte creatività identitaria ha <strong>in</strong>fatti spesso<br />

corrisposto, come la storia ci <strong>in</strong>segna, un <strong>di</strong>fensivo e bellicoso rifiuto del <strong>di</strong>verso. L’Universalismo Pluralista<br />

non assolutizza nessun tratto particolare, come accade <strong>in</strong>vece nei totalitarismi e secessionismi ideologici. Ma<br />

ci salva anche dalla non meno pericolosa assolutizzazione delle <strong>di</strong>fferenze. Se per<strong>di</strong>amo per strada i tratti<br />

dell’Uomo Ra<strong>di</strong>cale <strong>il</strong> nostro pluralismo <strong>di</strong>venta uno stereotipo nich<strong>il</strong>ista e impotente, che non può<br />

coerentemente <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> alcun criterio limite con cui arg<strong>in</strong>are vecchie e nuove atrocità. La lunga, <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e<br />

Armonizzazione delle Differenze, se mai sarà, non lascerà nessuno immutato. Ciascuno dovrà sacrificare<br />

qualcosa. Non si tratta <strong>di</strong> “ricercare la tolleranza me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> tutte le idee” ma <strong>di</strong> sperimentare gli opposti,<br />

acquisire uno sguardo b<strong>in</strong>oculare. Non r<strong>in</strong>chiu<strong>di</strong>amoci, ad esempio, nell’uomo storico o nell’uomo mistico,<br />

ma partiamo dall’uno per arrivare all’altro. Proviamo a <strong>in</strong>nestarci.<br />

La soglia <strong>di</strong> metamorfosi è ampia. Ampia ma non <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita. La coscienza planetaria è coscienza <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />

doppia soglia: la soglia <strong>di</strong> massima <strong>in</strong>clusione e la soglia <strong>di</strong> esclusione term<strong>in</strong>ale, oltre la quale si <strong>in</strong>travede <strong>il</strong><br />

regno del suici<strong>di</strong>o post umano. La nuova ra<strong>di</strong>cale m<strong>in</strong>accia alla m<strong>il</strong>lenaria, <strong>in</strong>conscia Autorialità umana può<br />

aiutarci ad acquisirne f<strong>in</strong>almente la coscienza. Può aiutarci nella messa a fuoco <strong>di</strong> <strong>una</strong> teoria critica<br />

dell’est<strong>in</strong>zione che coscientizzi la qualità suicida latente sotto <strong>il</strong> <strong>di</strong>s<strong>in</strong>volto appeal <strong>di</strong> molte scelte epocali.<br />

Dallo sterm<strong>in</strong>io fratricida, dove si tratta <strong>di</strong> e<strong>di</strong>ficare sé a danno dell’altro, stiamo passando allo sterm<strong>in</strong>io<br />

mutazionale: la sistematica alienazione del Sé e della identità carnale della specie. Proviamo a credere<br />

davvero, come molti oggi credono, che sia prioritario “colmare <strong>il</strong> <strong>di</strong>vario <strong>di</strong>gitale tra nord e sud del mondo”<br />

<strong>di</strong>stribuendo un computer portat<strong>il</strong>e a m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> bamb<strong>in</strong>i poveri. Proviamo a credere che videogiochi e reality<br />

show ci facciano più <strong>in</strong>telligenti, sociali e preparati alla vita. Proviamo a pensare <strong>di</strong> curarci la depressione<br />

con un pacemaker al nervo vago, o <strong>di</strong> sostituire <strong>il</strong> sangue con pellicole <strong>di</strong> nano particelle, alla voce “<strong>di</strong>ritti<br />

tecnologici”, riven<strong>di</strong>cati dalla ricerca “transumanista”. E poi proviamo a tornare alla realtà. Questo ritorno ci<br />

dà piacere? Se non ce lo dà, o l’argomento non ci tocca, forse la nostra auto-percezione è prossima<br />

all’atrofia.<br />

Il puer<strong>il</strong>ismo tecnologico, <strong>il</strong> Sé me<strong>di</strong>atico-epidermico ci <strong>in</strong>troducono <strong>in</strong> <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> post civ<strong>il</strong>tà, dove<br />

l’impronta collettiva dell’<strong>in</strong>tera civ<strong>il</strong>tà umana è saccheggiata e letteralmente rivenduta sul mercato della<br />

psiche s<strong>in</strong>tetica già <strong>in</strong> corso. A fronte <strong>di</strong> <strong>una</strong> sim<strong>il</strong>e Paro<strong>di</strong>a Universale <strong>di</strong> civ<strong>il</strong>tà possiamo superare antichi<br />

antagonismi e unirci <strong>in</strong> <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> iper civ<strong>il</strong>tà, che faccia tesoro <strong>di</strong> tutto <strong>il</strong> nostro autografo m<strong>il</strong>lenario. Primi<br />

secon<strong>di</strong> e terzi mon<strong>di</strong>, tutti i mon<strong>di</strong> possib<strong>il</strong>i dovrebbero unirsi contro l’unico mondo che vorremmo<br />

impossib<strong>il</strong>e: <strong>il</strong> mondo post umano. Ciò chiama a raccolta le nostre orig<strong>in</strong>alità, le nostre devianze m<strong>in</strong>oritarie.<br />

Il genoci<strong>di</strong>o antropologico <strong>di</strong> cui scriveva <strong>il</strong> nostro Pasol<strong>in</strong>i ha falci<strong>di</strong>ato <strong>in</strong>sieme cultura popolare e cultura<br />

colta. La l<strong>in</strong>ea <strong>di</strong> resistenza vede oggi <strong>il</strong> nuovo patto tra cultura classica e cultura etnica contro <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso<br />

dom<strong>in</strong>ante, spacciato per popolare.<br />

L’uomo Vernacolare che ci sarà dato scoprire <strong>in</strong> qualche nicchia <strong>di</strong> mondo, col suo metabolismo<br />

ancora forte, può servirci <strong>di</strong> esempio per riattivare <strong>il</strong> nostro metabolismo languente, <strong>il</strong> rapporto creativo ma<br />

armonico coi nostri limiti, col nostro corpo e <strong>il</strong> corpo vivente del mondo, la libertà e la gioia <strong>di</strong> <strong>una</strong> vita<br />

austera oltre la tirannia del superfluo post umano. A noi stessi possiamo a nostra volta recare <strong>in</strong> dono la<br />

migliore ere<strong>di</strong>tà della storia occidentale. Questa storia non è un monolite. Tra le sue pieghe esiste da sempre<br />

un “altro occidente”, un’“eresia” occidentale. Cerchiamo quanto <strong>di</strong> metabolico e <strong>conviviale</strong> hanno espresso<br />

le nostre arti e i nostri costumi comunitari. Cerchiamo l’umanesimo planetario che le nostre f<strong>il</strong>osofie e<br />

religioni hanno <strong>di</strong>st<strong>il</strong>lato dalla loro anima migliore. Non è un caso se <strong>il</strong> nomade Illich, teologo <strong>in</strong> marcia dal<br />

cattolicesimo verso lontane, profonde selve spazio-temporali, ha ra<strong>di</strong>cato <strong>il</strong> suo pensiero alla grande<br />

tra<strong>di</strong>zione classica cui è debitore delle sue metafore fondamentali: vernacolo, convivio, Áskesis.


La politica <strong>senza</strong> <strong>potere</strong> che i fratelli zapatisti hanno <strong>in</strong>iziato nel fondo della loro Selva Lacandona,<br />

facendo da battistrada a noi tutti, regalandoci se stessi come metafora vivente, noi dobbiamo giocarcela qui.<br />

Il nostro zapatismo europeo saprà riconoscere le attività, le esperienze, i mezzi ad alta <strong>in</strong>tensità psichica che<br />

possono essere per noi la vera rivoluzione, così da riattivare nuovi ra<strong>di</strong>camenti, nuova comunità, nuova etnia,<br />

nuova civ<strong>il</strong>tà.


CONCLUSIONI<br />

Sajay Samuel<br />

Non ho ness<strong>una</strong> domanda per Giovanna, ma ho piuttosto un commento: sono stato colpito dalla sua<br />

chiara e coraggiosa esposizione delle tante idee <strong>di</strong> Illich. Mentre stavo seduto su quella se<strong>di</strong>a, ascoltando la<br />

traduzione, ho vissuto momenti veramente importanti. Mi sembrava <strong>di</strong> essere al cospetto <strong>di</strong> un maestro<br />

artigiano che <strong>in</strong>treccia un vibrante e colorito tappeto mettendo <strong>in</strong>sieme le tante cose <strong>di</strong> cui abbiamo <strong>di</strong>scusso.<br />

La r<strong>in</strong>grazio.<br />

Alcune delle sue formulazioni, alcune delle sue frasi mi fanno rammentare un breve aneddoto su<br />

Illich degli anni settanta. Verso la f<strong>in</strong>e della Guerra <strong>in</strong> Vietnam egli era considerato uno dei più ra<strong>di</strong>cali<br />

pensatori e <strong>in</strong> un breve articolo apparso sui giornali, ora non saprei <strong>di</strong>re dove, fu pubblicata <strong>una</strong> sua<br />

immag<strong>in</strong>e, <strong>una</strong> caricatura <strong>di</strong> Illich vestito da mar<strong>in</strong>e, come un soldato; ma <strong>in</strong>vece <strong>di</strong> munizioni la sua c<strong>in</strong>tura<br />

portava fogli d’appunti, quegli appunti che teneva sempre <strong>in</strong> tasca. Nella <strong>di</strong>dascalia della caricatura <strong>il</strong><br />

giornalista sosteneva che questi appunti contenevano le idee che Illich scriveva nei suoi tanti libri e che<br />

usava <strong>in</strong> conversazioni, <strong>di</strong>battiti e <strong>di</strong>scussioni. I libri <strong>di</strong> Illich, cont<strong>in</strong>uava <strong>il</strong> giornalista, erano come piccole<br />

bombe che ti scoppiavano <strong>in</strong> testa, esplodendo nella mente <strong>di</strong> un attento lettore, sfidandolo a pensare e a<br />

ripensare.<br />

Dopo quattro giorni d’<strong>in</strong>tenso <strong>di</strong>alogo fra noi <strong>in</strong> privato, e adesso due giorni <strong>di</strong> <strong>di</strong>battito pubblico,<br />

immerso, come credo sia stato per tutti, <strong>in</strong> <strong>in</strong>tense conversazioni, cibo, v<strong>in</strong>o, ballo e canto, credo <strong>di</strong> sentire un<br />

piccolo movimento dentro <strong>di</strong> me, lo spiraglio <strong>di</strong> qualcosa che alcuni potrebbero chiamare speranza, <strong>una</strong><br />

speranza nata dalla <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità ad <strong>una</strong> fiduciosa collaborazione attraverso le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> età, l<strong>in</strong>gua ed<br />

esperienza, per tentare <strong>di</strong> capire ciò che comunemente viene def<strong>in</strong>ita arte <strong>di</strong> vivere e per comprendere che<br />

pensare è doloroso (è anche piacevole, naturalmente) e che ci vuole tempo per pensare attentamente. I<br />

pensieri <strong>in</strong>fatti devono bollire lentamente per quattro giorni, <strong>di</strong>eci giorni, mesi, anni e mentre bollono<br />

cambiano chi sei e come sei: compren<strong>di</strong>amo così cosa facciamo e scopriamo che questo cambiare è praticato<br />

meglio <strong>in</strong> compagnia <strong>di</strong> amici.<br />

Da ciò qu<strong>in</strong><strong>di</strong> la sensazione <strong>di</strong> avere vissuto con entusiasmo <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> bellissimo e <strong>in</strong>tenso<br />

momento che dà orig<strong>in</strong>e ad un esaurimento che non è stanchezza, ma piuttosto l’adagiarsi, <strong>il</strong> riposare dello<br />

spirito e del corpo dopo i gioiosi sforzi.<br />

Aldo Zanchetta ha promesso ad alcuni <strong>di</strong> noi <strong>una</strong> buona cena, altro cibo, altro v<strong>in</strong>o, altra<br />

conversazione e anche per questo <strong>di</strong> nuovo lo r<strong>in</strong>grazio, ma devo r<strong>in</strong>graziare anche tutti voi per aver<br />

<strong>di</strong>mostrato a Jean Robert, Matthias, Costas, Majid ed a me stesso com’è possib<strong>il</strong>e pensare ad Illich, con e<br />

dopo Illich.<br />

Grazie.<br />

L’<strong>in</strong>tervento non è stato rivisto dal relatore


CONCLUSIONI<br />

Aldo Zanchetta<br />

Vorrei <strong>in</strong>iziare con <strong>una</strong> parabola che mi ha raccontato ieri un amico, Carlo Moscard<strong>in</strong>i…e può darsi<br />

che voglia essere un’allusione al lavoro <strong>di</strong> questi giorni. E’ la storia <strong>di</strong> un m<strong>il</strong>lepie<strong>di</strong> che si ammala ai pie<strong>di</strong> e<br />

va dalla volpe per chiederle cosa deve fare. La volpe ovviamente non ha risposta al suo problema, e lo porta<br />

dal gufo saggio. Il gufo saggio, conosciuto <strong>il</strong> malanno del m<strong>il</strong>lepie<strong>di</strong>, gli <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> trasformarsi <strong>in</strong> un canar<strong>in</strong>o,<br />

così avrà solo due pie<strong>di</strong> a sarà più fac<strong>il</strong>e per lui curarsi. Il m<strong>il</strong>lepie<strong>di</strong> risponde che non è possib<strong>il</strong>e per lui<br />

trasformarsi <strong>in</strong> un canar<strong>in</strong>o, al che <strong>il</strong> gufo gli risponde che lui ha dato l’idea generale e che i dettagli non<br />

sono problemi suoi. Ecco, io non vorrei che questi nostri convegni <strong>di</strong>ano idee generali <strong>senza</strong> fornire risposte<br />

concrete a specifici problemi del nostro tempo.<br />

Mi ha fatto molto piacere che Latouche abbia citato <strong>il</strong> Chiapas, e sono contento che abbia sostenuto<br />

che <strong>il</strong> Chiapas è per lui un esempio molto importante <strong>di</strong> lotta antisistema.<br />

Concludo parafrasando <strong>il</strong> Subcomandante Marcos. Quando nel 1996 <strong>il</strong> governo messicano accettò <strong>di</strong><br />

aprire le trattative <strong>di</strong> pace con gli zapatisti, essi convocarono tutte le c<strong>in</strong>quantasei etnie <strong>in</strong><strong>di</strong>gene del Messico.<br />

Alla prima riunione uno dei rappresentanti chiese a Marcos quale fosse la l<strong>in</strong>ea politica da seguire, e lui<br />

rispose che non c’era l<strong>in</strong>ea, perché dovevano costruirla tutti <strong>in</strong>sieme. Anche <strong>il</strong> nostro convegno si conclude<br />

<strong>senza</strong> conclusione, <strong>in</strong> quanto non abbiamo né l’<strong>in</strong>tenzione né <strong>il</strong> materiale per formulare conclusioni.<br />

Per quattro giorni abbiamo lavorato durante <strong>il</strong> sem<strong>in</strong>ario residenziale <strong>in</strong> maniera <strong>in</strong>formale, e siamo arrivati<br />

alla conclusione, citando Paulo Freire, che “nessuno salva se stesso, nessuno salva nessuno, tutti ci salviamo<br />

<strong>in</strong>sieme”. Qu<strong>in</strong><strong>di</strong> non abbiamo proclami f<strong>in</strong>ali o formule da proporre ma abbiamo l’ <strong>in</strong>tenzione <strong>di</strong> cont<strong>in</strong>uare<br />

a lavorare <strong>in</strong>sieme.<br />

In parte con<strong>di</strong>vido la sollecitazione <strong>di</strong> Massimo Angel<strong>in</strong>i, perché questi sem<strong>in</strong>ari possono essere<br />

talvolta <strong>in</strong>concludenti e un po’ ripetitivi. In questo periodo sto sentendo, come Scuola per la Pace, l’esigenza<br />

<strong>di</strong> trovare nuove modalità e nuove forme <strong>di</strong> lavoro. Credo che chi verrà dopo <strong>di</strong> me alla Scuola per la Pace<br />

dovrà fare uno sforzo per trovare nuovi stimoli e nuove esperienze che super<strong>in</strong>o questa fase un po’<br />

<strong>in</strong>tellettuale del nostro lavoro.<br />

Mi è <strong>di</strong>spiaciuta l’as<strong>senza</strong> <strong>di</strong> Gustavo Esteva, che avrebbe raccontato sicuramente l’esperienza<br />

dell’Università della Terra. Esteva, che si def<strong>in</strong>isce un “<strong>in</strong>tellettuale deprofessionalizzato”, ha conosciuto<br />

molto bene Ivan Illich, e lui stesso <strong>di</strong>ce che grazie al contatto con Ivan ha lasciato la vita da guerrigliero per<br />

<strong>di</strong>ventare un f<strong>il</strong>osofo nonviolento. Anche <strong>in</strong> Italia ho conosciuto “<strong>in</strong>tellettuali deprofessionalizzati”, persone<br />

che lavorano <strong>il</strong> tempo necessario per guadagnare quel m<strong>in</strong>imo che serve per sopravvivere, <strong>in</strong>vestendo <strong>il</strong> resto<br />

nel tempo nell’azione <strong>di</strong>s<strong>in</strong>teressata.<br />

Non so se la Scuola per la Pace riuscirà mai a creare queste alternative, ma sento che esistono<br />

esigenze forti e concrete <strong>di</strong> cambiamento.<br />

Conclu<strong>di</strong>amo qu<strong>in</strong><strong>di</strong> <strong>senza</strong> conclusione. Saluto gli amici <strong>di</strong> Ivan - S<strong>il</strong>ja, Sajay, Samar, Jean ed altri -<br />

con i quali stiamo <strong>di</strong>alogando da tre anni, da quando un uomo come Ivan Illich, che camm<strong>in</strong>ava fuori dal<br />

pensiero unico, passò da <strong>Lucca</strong> ed accese <strong>una</strong> piccola candela che noi stiamo tentando <strong>di</strong> tenere accesa.<br />

Insieme agli amici <strong>di</strong> Ivan <strong>di</strong>scutiamo cercando <strong>di</strong> capire meglio <strong>il</strong> mondo e noi stessi. E penso che questa sia<br />

già un’azione positiva <strong>di</strong> trasformazione.


RELATORI<br />

Massimo Angel<strong>in</strong>i è un ruralista, impegnato nel recupero produttivo delle varietà agricole tra<strong>di</strong>zionali e<br />

nella riappropriazione <strong>di</strong> saperi, usi e titolarità delle comunità locali. Ha collaborato con Illich".<br />

Roberto Bugliani è autore <strong>di</strong> saggi, narrativa e poesia. Ha collaborato a numerose riviste, tra cui "Alfabeta"<br />

e "Allegoria". Ha tradotto testi del Subcomandante Marcos, narratori e saggisti dell'Ecuador come Alicia<br />

Yánez Cossío, René Báez, J. Gallegos Lara e <strong>il</strong> romanzo "La danza del serpente" del messicano C.<br />

Montemayor. Ha pubblicato presso Manni (Lecce) varie opere.<br />

Marcello Buiatti é Docente Ord<strong>in</strong>ario <strong>di</strong> Genetica all’Università <strong>di</strong> Firenze, Presidente della Associazione<br />

Nazionale Ambiente e Lavoro e del Centro <strong>in</strong>teruniversitario <strong>di</strong> F<strong>il</strong>osofia della Biologia "Res viva". Gli<br />

<strong>in</strong>teressi prevalenti del prof. Buiatti sono sia <strong>in</strong> ambito scientifico che <strong>in</strong> quello f<strong>il</strong>osofico. E’ autore <strong>di</strong> oltre<br />

200 pubblicazioni <strong>in</strong> gran parte su riviste <strong>in</strong>ternazionali e <strong>di</strong> sei libri fra cui "Lo stato vivente della materia",<br />

2000; “Le Biotecnologie”, 2004; “Il benevolo <strong>di</strong>sord<strong>in</strong>e della vita”, 2004; “La bio<strong>di</strong>versità”, 2007<br />

Samar Farage, libanese, <strong>in</strong>segna sociologia alla Pennsylvania State University (USA). Ha lavorato con<br />

Illich negli ultimi anni dellavita dello stu<strong>di</strong>oso.<br />

Serge Latouche, è attualmente Professore emerito presso l’Università <strong>di</strong> Parigi Sud e obiettore <strong>di</strong> coscienza.<br />

Diploma post-laurea <strong>in</strong> scienze politiche e dottore <strong>in</strong> f<strong>il</strong>osofia, è Presidente onorario della “Ligne d’horizon”<br />

(Associazione degli amici <strong>di</strong> François Partant).<br />

Ultime opere pubblicate: «L'<strong>in</strong>vention de l'économie» (2005); «Survivre au développement» (2004); «Justice<br />

sans limites. Le défi de l'éthique dans une économie mon<strong>di</strong>alisée» (2003); «Décoloniser l’imag<strong>in</strong>aire»; «La<br />

mégamach<strong>in</strong>e. Raison techno-scientifique, raison économique et mythe du progrès» (2004).<br />

«L'Occidentalisation du Monde» (2005).<br />

Giovanna Morelli, laureata <strong>in</strong> F<strong>il</strong>osofia, già critico teatrale, pubblicista, regista d’opera. Svolge ricerca<br />

comparata sull’esperienza artistica (letteratura, teatro, c<strong>in</strong>ema, arti visive). Docente <strong>di</strong> Arte Scenica<br />

all’Istituto Musicale “Boccher<strong>in</strong>i” <strong>di</strong> <strong>Lucca</strong>, ha pubblicato saggi, tenuto conferenze e master class.<br />

Rodrigo Rivas, economista <strong>di</strong> orig<strong>in</strong>e c<strong>il</strong>ena, residente <strong>in</strong> Italia dal 1974, ha lavorato presso varie<br />

organizzazioni <strong>di</strong> solidarietà <strong>in</strong>ternazionale <strong>di</strong>rigendo per alcuni anni <strong>il</strong> mens<strong>il</strong>e “ManiTese” e Ra<strong>di</strong>o<br />

Popolare. Ha tenuto corsi presso varie università italiane e lat<strong>in</strong>oamericane e collabora con varie riviste, oltre<br />

a svolgere consulenza economica a favore <strong>di</strong> organizzazioni contad<strong>in</strong>e e popolari sudamericane.<br />

Majid Rahnema, iraniano, già m<strong>in</strong>istro della cultura nel suo paese, poi rappresentante presso l’ONU e<br />

successivamente membro del Consiglio Esecutivo dell'UNESCO, da oltre 20 anni si de<strong>di</strong>ca allo stu<strong>di</strong>o dei<br />

problemi della povertà nel mondo ed al drammatico problema della sua crescente degenerazione <strong>in</strong> forme <strong>di</strong><br />

abbrutente miseria malgrado, o forse proprio a causa dei gran<strong>di</strong> progetti <strong>di</strong> lotta alla povertà costruiti su<br />

premesse irrealistiche.<br />

Don Ach<strong>il</strong>le Rossi ha compiuto stu<strong>di</strong> <strong>in</strong> f<strong>il</strong>osofia, teologia, scienze relogiose. E' attualmente Parroco a Città<br />

<strong>di</strong> Castello (PG) e <strong>di</strong>rige la sezione culturale della rivista mens<strong>il</strong>e "l'Altrapag<strong>in</strong>a".<br />

Mathias Rieger, tedesco, ha stu<strong>di</strong>ato storia dell’arte e musicologia all’Università <strong>di</strong> Brema e ha collaborato<br />

con Illich.<br />

Jean Robert, svizzero, architetto, <strong>in</strong>segna all’Università <strong>di</strong> Cuernavaca (Messico). Ha collaborato per molti<br />

anni con Illich nel famoso centro <strong>di</strong> documentazione CIDOC.<br />

S<strong>il</strong>ja Samerski, tedesca, laureata <strong>in</strong> f<strong>il</strong>osofia e biologia all’Università <strong>di</strong> Tub<strong>in</strong>gen. Ha collaborato con Ivan<br />

Illich, de<strong>di</strong>candosi ad analizzare gli effetti simbolici delle consultazioni professionali.


Sajay Samuel, <strong>in</strong><strong>di</strong>ano, ex professore universitario <strong>di</strong> “bus<strong>in</strong>ess management”, ha <strong>in</strong>tessuto un <strong>in</strong>tenso<br />

<strong>di</strong>alogo con Illich sulla <strong>di</strong>struzione delle politiche costituzionali da parte <strong>di</strong> associazioni professionali e delle<br />

burocrazie governative.<br />

Aldo Zanchetta, <strong>in</strong>gegnere chimico, già impren<strong>di</strong>tore, ha coord<strong>in</strong>ato la Scuola per la Pace dal 2001 al 2006.<br />

Attualmente si occupa del riconoscimento dei <strong>di</strong>ritti dei popoli <strong>in</strong><strong>di</strong>geni dell' Amer<strong>in</strong><strong>di</strong>a.

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