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Lorenzo Natali in Europa

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In fondo la memoria agisce come una di quelle vecchie lastre fotografiche difettose: il<br />

nitrato d’argento dest<strong>in</strong>ato a captare ombre e luci, è <strong>in</strong> parte alterato, <strong>in</strong> parte è caduto.<br />

Sono le deformazioni ed i vuoti della nostra memoria.<br />

Ritratti “obiettivi” non esistono.<br />

Un <strong>in</strong>contro difficile<br />

Sono chiamato a far parte del Gab<strong>in</strong>etto del vicepresidente della Commissione<br />

<strong>Lorenzo</strong> <strong>Natali</strong> nella prima metà del 1985. Non ricordo il giorno preciso, ma ricordo<br />

quanto fossi soddisfatto di questa prospettiva. Lavorare <strong>in</strong> un Gab<strong>in</strong>etto è considerato<br />

dai funzionari della Commissione un’esperienza professionale particolarmente appassionante,<br />

oltre che – cosa non <strong>in</strong>differente – utile per la carriera. Ma soprattutto<br />

ero <strong>in</strong>timamente conv<strong>in</strong>to che avrei avuto un’eccellente riuscita nelle mie nuove funzioni.<br />

F<strong>in</strong> dalla mia entrata nei servizi della Commissione, nel 1969, ero stato <strong>in</strong>corporato<br />

nella direzione generale VIII <strong>in</strong>caricata delle relazioni con i paesi <strong>in</strong> via di sviluppo,<br />

ed avevo servito a Bruxelles ed <strong>in</strong> vari paesi africani.<br />

Ma il mio stato di grazia non durò a lungo: tre mesi dopo mi sentivo frustrato e<br />

profondamente <strong>in</strong>soddisfatto della mia situazione, al punto di chiedermi seriamente<br />

se non fosse più opportuno dare le dimissioni e rientrare nel più accogliente ambiente<br />

della mia direzione generale. Questo radicale cambiamento di disposizioni derivava<br />

dal fatto che <strong>in</strong> questo primo periodo di contatto con il vicepresidente <strong>Natali</strong>, avevo<br />

avuto a che fare con i lati meno attraenti del suo carattere.<br />

<strong>Natali</strong> era certo cortese, chiedeva più che comandare, ma era lontano, distante. In<br />

un rapporto occasionale la distanza che <strong>Natali</strong> metteva tra di sé e il suo <strong>in</strong>terlocutore,<br />

dato il suo tono sempre educato e rispettoso, non veniva percepita negativamente.<br />

Ma tale distacco <strong>in</strong> un rapporto quotidiano produce la sgradevole sensazione di<br />

essere usato.<br />

La distanza tra il tredicesimo piano del Berlaymont, quello dei commissari, ed il<br />

nostro dodicesimo <strong>in</strong> queste condizioni pareva abissale. Le richieste scendevano dal<br />

tredicesimo e con il mio collega di Gab<strong>in</strong>etto, Francisco da Camara, ci s’impegnava al<br />

massimo per soddisfarle. Si r<strong>in</strong>viava il tutto al tredicesimo, dove sembravano scomparire<br />

<strong>in</strong> una sorta di buco nero. Raramente c’erano delle reazioni, positive o negative<br />

che fossero. <strong>Natali</strong>, nei contatti diretti ci ascoltava, prendeva nota, se lo considerava<br />

opportuno discuteva ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e ci congedava. Una situazione che ci raggelava.<br />

C`era poi un altro aspetto della personalità di <strong>Natali</strong> che mi lasciava <strong>in</strong>soddisfatto.<br />

Io ero cresciuto professionalmente <strong>in</strong> una Commissione dom<strong>in</strong>ata dallo stile francese,<br />

il che significava avere <strong>in</strong>nanzi tutto il verbo elegante, essere più brillanti che profondi,<br />

più capaci di conv<strong>in</strong>cere che di capire. Come diceva malignamente Emil Cioran:<br />

“I francesi preferiscono una menzogna ben detta a una verità mal formulata”.<br />

Avevo <strong>in</strong> passato lavorato con due commissari allo Sviluppo che rappresentavano<br />

la qu<strong>in</strong>tessenza di tale stile: Claude Cheysson, una macch<strong>in</strong>a <strong>in</strong>tellettuale fatta per ag-

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