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Filippo La Porta Da Italo Svevo a Sandro Veronesi: la ... - WebLearn

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<strong>Filippo</strong> <strong>La</strong> <strong>Porta</strong><br />

<strong>Da</strong> <strong>Italo</strong> <strong>Svevo</strong> a <strong>Sandro</strong> <strong>Veronesi</strong>: <strong>la</strong> commedia come via italiana al tragico<br />

Premessa: ragioni di un confronto<br />

Espongo subito <strong>la</strong> tesi che tenterò di argomentare, sia pure velocemente. Ma vorrei premettere che<br />

nel<strong>la</strong> mia riflessione <strong>Italo</strong> <strong>Svevo</strong>, a differenza di altri re<strong>la</strong>tori presenti al convegno, l’ho incontrato a<br />

partire dall’oggi, e cioè riattraversando a ritroso l’intero Novecento letterario italiano cominciando<br />

dal<strong>la</strong> sua conclusione.<br />

Già dagli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, quando andavo compiendo una<br />

ricognizione critica sul<strong>la</strong> nuova narrativa italiana emersa in quel periodo 1 , mi interrogavo sui suoi<br />

modelli letterari. In partico<strong>la</strong>re notavo che i nostri giovani autori allora esordienti – i De Carlo,<br />

Tondelli, Del Giudice, Busi, Lodoli, <strong>Veronesi</strong> - fossero molto più italiani di quanto volessero<br />

apparire. E dunque recitavano l’identità cosmopolita o <strong>la</strong> radicalità o l’intensità. In cosa erano<br />

italiani? Direi in una fondamentale refrattarietà al tragico, in una certa attitudine al<strong>la</strong> maschera e al<br />

travestimento culturale, e soprattutto nel<strong>la</strong> tendenza a rappresentare i conflitti in modo ludico e<br />

teatrale(“giocandoli” più che indagandoli). I loro romanzi - anche quando esibivano una patina<br />

pensosamente esistenziale o picaresca - mi sembravano sostanzialmente delle commedie. Ora,<br />

muovendo da questa ipotesi ho provato a “col<strong>la</strong>udare” <strong>la</strong> nostra stessa tradizione letteraria<br />

novecentesca, e in essa ovviamente <strong>Svevo</strong>(d’altra parte questo convegno si intito<strong>la</strong> proprio al<strong>la</strong><br />

“legacy of <strong>Svevo</strong>”): in che senso questa tradizione era ancora operante e riconoscibile dentro <strong>la</strong><br />

nuova narrativa italiana? Non si tratta quasi mai di filiazioni dirette e, come ho detto, i nostri autori<br />

rivendicavano invece - nel pieno fervore del postmoderno - una estraneità perfino spavalda al<strong>la</strong><br />

tradizione autoctona, dichiarando ad esempio di avere soprattutto modelli extraletterari: <strong>la</strong> musica<br />

rock, il fumeto americano, il cinema di Wenders, etc.(l’unico scrittore italiano davvero presente<br />

anche come sponsor di alcune opere prime è stato <strong>Italo</strong> Calvino). <strong>La</strong> tradizione sembrava essere solo<br />

un repertorio di citazioni da manipo<strong>la</strong>re a piacimento. Eppure leggendo <strong>Sandro</strong> <strong>Veronesi</strong>, che aveva<br />

esordito proprio con un romanzo 2 -che era quasi remake del<strong>la</strong> più celebre commedia all’italiana, “Il<br />

sorpasso”, mi sono imbattuto via via in alcune tracce e coincidenze significative(ne ricordo subito<br />

solo l’ultima, e forse più esplicita nei racconti ora pubblicati - c’è un personaggio che si chiama<br />

proprio <strong>Svevo</strong> 3 ). Inoltre in <strong>Veronesi</strong> questi elementi propri del<strong>la</strong> tradizione italiana - <strong>la</strong> maschera, <strong>la</strong><br />

messinscena dell’esistenza, <strong>la</strong> coazione al<strong>la</strong> recita sociale - vengono tematizzati e non subiti<br />

passivamente, come accade invece in tanta narrativa contemporanea. Tanto da maturare l’idea di un<br />

confronto del<strong>la</strong> sua opera con <strong>la</strong> Coscienza di Zeno.<br />

Distanze incommensurabili<br />

Ovviamente <strong>Italo</strong> <strong>Svevo</strong> e <strong>Sandro</strong> <strong>Veronesi</strong> appartengono a epoche e mondi culturali tra loro<br />

incommensurabili, né mi soffermo sulle abissali differenze di formazione oltre che di qualità degli<br />

esiti letterari. Vorrei solo notare, senza indulgere a tentazioni apocalittiche, come <strong>Svevo</strong> appartiene<br />

a una civiltà in cui <strong>la</strong> letteratura occupava un posto centrale - coscienza critica di una nazione,<br />

principale strumento di dialogo con se stessi, interrogazione e utopia - e in cui un singolo romanzo<br />

1 Cfr. F.<strong>La</strong> <strong>Porta</strong>, <strong>La</strong> nuova narrativa italiana, Bol<strong>la</strong>ti Boringhieri 1995<br />

2 S.<strong>Veronesi</strong>, Per dove parte questo treno allegro, Theoria, 1988<br />

3 S.<strong>Veronesi</strong>, Baci scagliati altrove -, Fandango 2011


iusciva a essere un’opera-mondo, capace di riassumere il significato di un’epoca(una cosa oggi<br />

inimmaginabile, almeno in questa parte di mondo, dove al<strong>la</strong> letteratura viene richiesto di intrattenere<br />

e di conso<strong>la</strong>re… ). Eppure <strong>Svevo</strong> e <strong>Veronesi</strong>, da un altro punto di vista, rientrano entrambi in una<br />

italianissima e<strong>la</strong>borazione del tragico attraverso l’ironia lieve e il tono del<strong>la</strong> commedia, conservando<br />

però - del tragico - il disincanto totale e <strong>la</strong> sfiducia in ogni sintesi, una percezione acuta del nul<strong>la</strong><br />

che sottende le nostre re<strong>la</strong>zioni sociali ( a proposito di questa disposizione ricordo solo come<br />

Leopardi nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani(1824) accennasse a un<br />

nichilismo istintivo e pratico degli italiani, direi pre-filosofico: i nostri connazionali sentono più di<br />

altri popoli “<strong>la</strong> vanità reale delle cose umane e del<strong>la</strong> vita”. Il che forse, oltre a generare secondo<br />

Leopardi una immoralità diffusa spiega in parte <strong>la</strong> scarsa dimestichezza con il romanzo, genere<br />

letterario legato indissolubilmente al<strong>la</strong> ricerca stendhaliana dell’aspra verità: non abbiamo mai<br />

creduto all’esame di coscienza o al<strong>la</strong> ricerca del<strong>la</strong> verità perché sappiamo che <strong>la</strong> coscienza ci<br />

inganna e che <strong>la</strong> verità ultima è il nul<strong>la</strong>…).<br />

Il protagonista del<strong>la</strong> narrativa di <strong>Veronesi</strong><br />

Il protagonista che attraversa le opere più recenti di <strong>Veronesi</strong>(benché si presenti sul<strong>la</strong> scena in<br />

versioni lievemente diverse) - non è distante dal<strong>la</strong> fisionomia di Zeno: insidiato dal fallimento,<br />

pieno di sensi di colpa e autoindulgente, e poi sentimentale e arido, inetto e velleitario. Insomma<br />

“duel<strong>la</strong>” incessantemente con <strong>la</strong> propria maschera(Geno Pampaloni su <strong>Svevo</strong> 4 ), in modi via via<br />

comici o drammatici, entro una commedia degli equivoci inesauribile che non rinuncia però a<br />

cercare oltre <strong>la</strong> recita sociale una ulteriore verità morale. Quando comincia una indagine su chi è<br />

veramente scopre di essere il contrario di quello che credeva. In un certo senso quel protagonista,<br />

con i suoi mutamenti interni, scandisce i capitoli di una “autobiografia del<strong>la</strong> nazione” che ritroviamo<br />

nel<strong>la</strong> antropologia del<strong>la</strong> nostra letteratura novecentesca. In un confronto sistematico tra i romanzi di<br />

<strong>Veronesi</strong> e <strong>La</strong> coscienza di Zeno bisognerebbe registrare le analogie tematiche(l’ossessione del<strong>la</strong><br />

famiglia, del rapporto genitori-figli, l’interesse per il mondo degli affari, poi sia Zeno che il Gianni<br />

del<strong>la</strong> Forza del passato provano vanamente a smettere di fumare, mentre nel recente XY di<br />

<strong>Veronesi</strong> c’è una critica del<strong>la</strong> psicanalisi…), le analogie strutturali(<strong>la</strong> predilezione per il romanzo<br />

digressivo), le ricorrenze diciamo così narratologiche(in entrambi si usano codici dell’infanzia in una<br />

funzione rituale, quasi scaramantica: “nel<strong>la</strong> Coscienza di Zeno, <strong>la</strong>rgamente dominata dai meccanismi<br />

infantili è spesso in opera il tentativo di addomesticare il mondo cercando d’imbrigliarne <strong>la</strong><br />

casualità, ma anche di ingannare l’ordine morale che governa le re<strong>la</strong>zioni adulte fra gli uomini” 5 ––<br />

nel Caos calmo l’uso reiterato di elenchi), e soprattutto i loro personaggi, scettici sul<strong>la</strong> possibilità di<br />

conoscere alcunché del reale, tentano di abbandonarsi al fluire degli eventi, semplicemente<br />

assecondandone l’inclinazione e , per parafrasare C<strong>la</strong>udio Magris su <strong>Svevo</strong>, “dopo aver messo in<br />

subbuglio tutto” si riconciliano beffardamente col reale: una singo<strong>la</strong>re, quasi istintiva arte del vivere<br />

che si traduce in non-scelta, rifiuto del rischio, senilità programmata, ipocondria, sospensione<br />

indefinita… Eppure - insisto su questo punto - il tragico benché dissimu<strong>la</strong>to nel “codice” del<strong>la</strong><br />

commedia, e in parte contraddetto dal ritmo narrativo frammentato, dal susseguirsi di scene<br />

umoristiche e di siparietti movimentati, si manifesta per intero: come impossibilità di “chiudere” le<br />

contraddizioni, come scarto ineliminabile tra essere e apparire, tra finzione e realtà, come<br />

presentimento apocalittico e presagio di un male radicale, inestirpabile. E infine come<br />

consapevolezza del re<strong>la</strong>tivismo di ogni punto di vista: secondo <strong>la</strong> fulminante definizione che ne<br />

diede Karl Jaspers in un libretto del 1952 “tragico è quel conflitto in cui le forze che si combattono<br />

4 Cfr. G.Pampaloni, Il critico giornaliero, Bol<strong>la</strong>ti Boringhieri, 2001, dove si stabilisce tra l’altro,<br />

sul<strong>la</strong> scia di una intuizione montaliana, una prossimità tra <strong>la</strong> Noia di Moravia e Senilità di <strong>Svevo</strong>,<br />

ricordo come Moravia è stato per <strong>Veronesi</strong> un autore decisivo(p. 212)<br />

5 C.D’Angeli-G.Paduano, Il comico, Il Mulino,1999, p.68


hanno tutte ragione, ognuna dal suo punto di vista. <strong>La</strong> molteplicità del vero, <strong>la</strong> sua non-unità, è <strong>la</strong><br />

scoperta del<strong>la</strong> coscienza tragica” 6 Qualche anno più tardi George Steiner attribuisce una visione<br />

tragica ai soli greci, per i quali il destino ha qualcosa di irreparabile e misterioso, mentre per <strong>la</strong><br />

tradizione giudeo-cristiana (e in seguito per il marxismo) c’è sempre una ricompensa alle sofferenze,<br />

e dunque una giustizia finale 7 . <strong>La</strong> bibliografia sul tragico è sterminata e questo non è un convegno<br />

di studi filosofici, perciò atteniamoci per il momento a questa definizione sintetica di Jaspers, che<br />

mi pare almeno un buon punto di partenza.<br />

Tre romanzi di <strong>Veronesi</strong>: <strong>La</strong> forza del passato, Caos calmo, XY<br />

Prendo in esame tre romanzi di <strong>Sandro</strong> <strong>Veronesi</strong> scritti nell’ultimo decennio: <strong>La</strong> forza del passato 8 ,<br />

Caos calmo 9 e in subordine XY 10 , che rappresenta un’opera più atipica e in qualche modo<br />

spiazzante. E ora qualche paro<strong>la</strong> sulle loro rispettive trame e su alcuni personaggi che mi sembrano<br />

fondamentali per il nostro confronto.<br />

<strong>La</strong> forza del passato narra di Gianni Orzan, scrittore per ragazzi dal<strong>la</strong> vita tranquil<strong>la</strong>, che viene<br />

avvicinato da Brogliasco, misterioso tassista e amico del padre, morto da poco, del quale conosce<br />

tutti i segreti. Bogliasco a un certo punto gli dice che <strong>la</strong> gente mente sempre, anche quando riempie i<br />

oduli del censimento(lui è stato un rilevatore), e poi “i figli mentono ai genitori, i genitori ai figli, i<br />

fratelli mentono fra loro, e marito e moglie mentono fra loro…”, concludendo che il mondo è una<br />

“grande illusione” ma credere a questa illusione è questione di buon senso (una conclusione che non<br />

sarebbe spiaciuta a Zeno). In partico<strong>la</strong>re gli rive<strong>la</strong> che il padre non sarebbe stato il generale<br />

democristiano e bigotto che appariva, ma una spia russa al servizio del KGB. Niente è come sembra.<br />

<strong>Da</strong> questo momento si incrina <strong>la</strong> visione del mondo di Orzan, e tutte le sue certezze: <strong>la</strong> normalità è<br />

solo un velo che nasconde storie torbide e paradossali. Non solo <strong>la</strong> vera identità del padre ma anche i<br />

tradimenti del<strong>la</strong> moglie. Scopre di essere diverso da come credeva di essere, con un padre diverso<br />

(una spia russa ) e una moglie diversa (infedele). Ho già detto del suo proposito, analogo a quello di<br />

Zeno: si iscrive infatti a un corso per smettere di fumare, e anzi per non ricominciare, dove gli<br />

insegnano – ma inutilmente – <strong>la</strong> tecnica per resistere all’”impulso fatale”, che dura circa 20<br />

secondi…<br />

In Caos calmo Pietro Pal<strong>la</strong>dini è un quarantenne di successo, padre di una bambina di 10<br />

anni, che si ritrova improvvisamente vedovo mentre salva una donna dall’annegamento. A quel<br />

punto decide di non andare più in ufficio. Resta con <strong>la</strong> sua auto ogni giorno - per due mesi - di<br />

fronte al<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> del<strong>la</strong> figlia dalle otto alle quattro e mezza( e lì lo andranno a trovare amici,<br />

familiari e colleghi quasi in processione a rive<strong>la</strong>rgli il proprio dolore e il proprio <strong>la</strong>to oscuro). Poi si<br />

licenzierà dal <strong>la</strong>voro e soprattutto grazie al<strong>la</strong> figlia troverà un senso al<strong>la</strong> propria vita. <strong>La</strong> pagina di<br />

<strong>Veronesi</strong> è sovreccitata e spettaco<strong>la</strong>re(in ciò assomiglia al<strong>la</strong> società dell’apparenza con <strong>la</strong> quale <strong>la</strong><br />

letteratura è fisiologicamente in conflitto). Eppure ha trovato uno stile abbastanza duttile, variato,<br />

pieno di registri diversi, per poter par<strong>la</strong>re di sé, del<strong>la</strong> sua generazione, di figli e di genitori, del<strong>la</strong><br />

vita e del<strong>la</strong> morte, del <strong>la</strong>voro e dell’eros, del<strong>la</strong> deriva del nostro paese, dell’entropia affettiva e del<strong>la</strong><br />

difficoltà di fare ancora esperienza di qualcosa. Il suo patto con i lettori si origina dall’infanzia.<br />

6 K.Jaspers, Del tragico, Il Saggiatore, 1959, p. 32 – o Mi<strong>la</strong>no 1987 p.39).<br />

7 Cfr. G.Steiner, <strong>La</strong> morte del<strong>la</strong> tragedia, Garzanti 1964<br />

8 S.<strong>Veronesi</strong>, <strong>La</strong> forza del passato,Bompiani, 2000<br />

9 S.<strong>Veronesi</strong>, Caos calmo, Bompiani, 2005<br />

10 S.<strong>Veronesi</strong>, XL, Fandango, 2010


Prendiamo l’iterazione degli elenchi, che accompagnano tutta <strong>la</strong> narrazione. Elenchi delle<br />

compagnie aeree con cui il protagonista ha vo<strong>la</strong>to, delle ragazze che ha baciato, dei traslochi, delle<br />

comete, dei mostri dei film dell’orrore. A un certo punto Pietro deve evitare una imbarazzante<br />

erezione in presenza di una ragazza e allora si mette a immaginare cose disgustose, come i porri, il<br />

pus, il sudore di colleghi e anche cose pubbliche come Previti che giura fedeltà al<strong>la</strong> Costituzione, <strong>la</strong><br />

Parma<strong>la</strong>t, <strong>la</strong> benzina che aumenta Il romanzo è inoltre affol<strong>la</strong>to di digressioni: una volta stabilito il<br />

Leit-motiv (crisi del protagonista e sua possibile rigenerazione) l’estro dell’autore si esprime<br />

soprattutto nelle pause dal<strong>la</strong> narrazione principale, nelle molteplici invenzioni che ritroviamo ai<br />

margini e dentro <strong>la</strong> storia (il gioco a distanza con un bambino down attraverso il telecomando)che <strong>la</strong><br />

illuminano da un’ango<strong>la</strong>zione insolita, che per un momento ce ne distraggono. Ricordo nel<strong>la</strong><br />

Coscienza di Zeno le poesiole che lui improvvisa. Gli incontri che avvengono in quel<strong>la</strong> automobile<br />

scatenano un gioco del<strong>la</strong> verità dalle conseguenze irreparabili. Vanno a trovarlo, in una specie di<br />

rito confessionale – e come entrando e uscendo da un palcoscenico - colleghi e capi d’ufficio, il<br />

fratello, <strong>la</strong> cognata,,Nessuno di loro sa chi è: come il protagonista del<strong>la</strong> Forza del passato e come<br />

l’Edipo sofocleo, anche Pietro scopre di essere il contrario di quello che pensava di essere: crede di<br />

aver amato <strong>la</strong> moglie e non è così, crede che lei era felice, e non è così…). Il non-luogo per<br />

eccellenza, l’interno di un veicolo, mette a nudo le identità di ciascuno, e ne scopre il risvolto<br />

inconfessabile. Poi decide che è ora di smettere di giocare e di non aspettare più <strong>la</strong> pal<strong>la</strong> <strong>la</strong>nciata in<br />

aria durante l’adolescenza…E così nelle ultime pagine si rivolge idealmente a tutti i personaggi per<br />

spiegargli quello che ha capito dell’esistenza. Pietro sembra indifferente a tutto. Non gli importa<br />

del<strong>la</strong> moglie defunta, non gli importa del <strong>la</strong>voro… Però non finge più. Affronta senza veli <strong>la</strong> sua<br />

stessa “superficialità” e aridità affettiva. Non <strong>la</strong> rimuove, e anzi <strong>la</strong> ritrova eguale nel padre, anziano<br />

ormai un po’ demente. Riparte soltanto dal legame con <strong>la</strong> figlia, dagli affetti reali, e dal<br />

riconoscimento delle proprie colpe. Nei dialoghi con <strong>la</strong> figlia ha paura che lei gli chieda del<strong>la</strong> madre,<br />

che lei cioè scopra con dolore <strong>la</strong> spietata irrevocabilità delle nostre vite. ma non si può che accettare<br />

questa irreversibilità, quasi suggello ultimo del<strong>la</strong> realtà, del suo sottrarsi ad ogni controllo, mentre<br />

possiamo ridere o sorridere di ogni pretesa di immortalità(come è del<strong>la</strong> tradizione comica).<br />

L’importante è non bloccare l’esistenza dentro una forma rigida ma <strong>la</strong>sciar<strong>la</strong> – direi<br />

“svevianamente” - scorrere, e afferrarne <strong>la</strong> verità, sempre sfuggente. Assecondare, come qui si dice,<br />

l’inclinazione del mondo. Increspare il caos calmo - stagnante, mortifero - in un perturbamento che<br />

sia principio di un nuovo, vitale ordine.<br />

XY inizia con una visione horror. Borgo San Giuda, sperduto paesino innevato del Trentino,<br />

vengono ritrovati di fronte a un albero ghiacciato intriso di sangue 11 corpi straziati – “ i resti<br />

sparpagliati come giocattoli rotti” - , ciascuno dei quali morto per cause diverse. Mistero fitto.<br />

Proveranno a capirci qualcosa don Ermete, parroco del paese, e <strong>la</strong> psichiatra Giovanna (X e Y<br />

:scienza e fede), impegnati a curare gli abitanti da una “alluvione di follia”. Tornano le virtuosistiche<br />

tecniche narrative dell’autore, ad es. il montaggio alternato di dialogo e frasi prese da una rivista<br />

<strong>la</strong>sciata sul tavolino o il monologo interiore finale. Ogni cosa possiede un ritmo incalzante, e senza<br />

che si tratti di un vero noir. Stephen King(al suo meglio)ma contagiato da un raccontare spaesante<br />

al<strong>la</strong> <strong>Da</strong>vid Lynch, che procede per ossessioni, per storie che forse non sono storie. Ogni cosa sembra<br />

ribaltarsi nel contrario: san Giuda Taddeo degli Impossibili diventa Giuda Iscariota Ma come<br />

salvarsi dal male assoluto(sia esso orrore sp<strong>la</strong>tter o caos calmo o <strong>la</strong> bol<strong>la</strong> che contiene tutte le paure<br />

del mondo)? Non affidandosi solo al<strong>la</strong> ragione ma sviluppando associazioni intuitive, <strong>la</strong>sciando che<br />

l’attenzione fluttui, accettando di non capire tutto. L’“osservazione pura delle cose” diventa qui una<br />

tecnica zen che libera dall’illusione di padroneggiare ogni cosa. <strong>La</strong> dottoressa Giovanna recandosi<br />

a borgo San Giuda, il paesino del<strong>la</strong> strage, si porta con sé pochi libri, tra cui Elias Canetti(siamo in<br />

piena Mitteleuropa) e Il cambiamento catastrofico dello psicanalista inglese Wilfred Bion. . Già <strong>la</strong><br />

dottoressa aveva detto che in quel<strong>la</strong> storia “ogni tentativo di scoprire qualcosa con metodi diciamo<br />

così scientifici viene umiliato” 11 e che l’unico strumento per indagare e è “l’osservazione pura delle<br />

11 S.<strong>Veronesi</strong>, Xl, p.310


cose, come ti dicevo, <strong>la</strong> mera constatazione di quello che sono, senza <strong>la</strong> necessità di scoprirvi per<br />

forza un senso” 12 . Dunque: osservare con pazienza, allineare le cose, potremmo anche dire non<br />

“vio<strong>la</strong>rle” con una smania di comprensione. Nel romanzo un personaggio si chiama Zeno, orfano di<br />

madre(“seppellita” in un manicomio: <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia serpeggia per tutto il romanzo), cresciuto nei boschi<br />

e poi campione di salto con gli sci, è il primo a scoprire l’eccidio, a vedere i 9 corpi straziati e<br />

decapitati, l’albero ghiacciato tutto rosso all’imboccatura del bosco. Inoltre dopo rivelerà, proprio lui<br />

che è un soggetto psichicamente borderline, una qualità rara, di “comprensione epifanica per<br />

intuizione”(p.239). Ultima notazione, in margine. A proposito delle sgrammaticature di <strong>Svevo</strong>, quasi<br />

proverbiali - “equivaluta”, “avessi esistito”, “prolungazioni” - si potrebbero segna<strong>la</strong>re alcune<br />

sgrammaticature di <strong>Veronesi</strong>, peraltro virtuoso del<strong>la</strong> lingua, come ad es. “si aveva avuto l’ardire di<br />

intito<strong>la</strong>re…” e non “si era avuto l’ardire di intito<strong>la</strong>re…” 13 , o anche di contro alle ricercatezze<br />

sveviane(“per istrada”, “in Isvizzera” - i certi vezzi di <strong>Veronesi</strong> per cui dice “d’attorno” al posto di<br />

“intorno”.<br />

<strong>La</strong> coscienza di Zeno: umorismo e impossibilità del<strong>la</strong> sintesi<br />

Anche <strong>la</strong> Coscienza di Zeno, che parte dal<strong>la</strong> premessa che il mondo non sia spiegabile né<br />

davvero comprensibile, e anzi ride esattamente del<strong>la</strong> pretesa di spiegarlo, giunge a conclusioni<br />

simili. Accettare <strong>la</strong> mancanza di senso, il caso, <strong>la</strong> non coerenza delle cose, il peso enorme<br />

dell’immaginario nel<strong>la</strong> costruzione di quel<strong>la</strong> che chiamiamo realtà. Accettare il vuoto, l’incertezza.<br />

Zeno non saprà mai bene per quale ragione il padre morente gli diede uno schiaffo. Non per<br />

rassegnarsi o chiudersi in una passività impotente. Anzi, quel<strong>la</strong> nostra accettazione dell’insensatezza<br />

diventa un agire. Solo se “tolleriamo” il mistero, ci aveva suggeito <strong>Veronesi</strong>, possiamo andare oltre<br />

e infine trovare un senso. Dove? Nel fatto che comunque <strong>la</strong> lotta tra il bene e il male si svolge<br />

dentro ciascuno di noi, e che prima ancora di spiegar<strong>la</strong> dobbiamo scegliere una parte. I rapporti di<br />

Zeno con gli altri sono complessi e ambivalenti: con <strong>la</strong> moglie oscil<strong>la</strong> tra amore e indifferenza, con<br />

l’amico Guido tra affetto e sostilità. Zeno vorrebbe razionalizzare il suo comportamento ma <strong>la</strong> sua<br />

soggettività”ce<strong>la</strong>ndosi dietro l’ovvietà e le convenzioni sociali, si manifesta comicamente” 14 <strong>La</strong><br />

confessione di Zeno è sempre autoapologetica e verità e menzogna si sovrappongono, ma, come<br />

sottolinea Mario <strong>La</strong>vagetto, “senza confondersii”(L’impiegato Schmitz e altri saggi su <strong>Svevo</strong>,<br />

Einaudi 1975, p. 89). E infatti il medico che non salva Guido dopo il falso suicidio per pigrizia ed<br />

egoismo - perché non vuole riattraversare <strong>la</strong> città con <strong>la</strong> pioggia e prendere gli strumenti - è<br />

inequivocabilmente colpevole. Qui non c’è doppio fondo, né il vero si scambia con il falso. E così<br />

quando Zeno vede Guido abbracciare Ada squassata dal morbo di Basedow pensa: “Si rivelò qual<br />

era, cioè falso e simu<strong>la</strong>to”. Il carattere doppio del<strong>la</strong> realtà non ci impedisce di percepire un<br />

comportamento come inequivocabilmente falso. Ma <strong>la</strong> verità si esprime soprattutto nel<strong>la</strong> scrittura,<br />

capace di rappresentare l’ambiguità indecifrabile dell’esistenza, composta egualmente di reale e<br />

immaginario, di oggettività e soggettività. <strong>La</strong> coscienza intesa come narratore principale è continua<br />

fonte di equivoci, bugie, aggiustamenti, razionalizzazioni. Eppure <strong>la</strong> sua ma<strong>la</strong>fede viene<br />

smascherata attraverso il romanzo, attraverso quel<strong>la</strong> che una volta Guido Piovene chiamò <strong>la</strong><br />

“chiarezza radicale” di <strong>Svevo</strong>, <strong>la</strong> sua nuda disperazione aliena da ogni estetismo . Ed è certo<br />

paradossale constatare ogni volta che si viene a capo del<strong>la</strong> verità solo attraverso una finzione.<br />

Il gioco delle maschere e l’abbandono ai ritmi del mondo.<br />

12 , ivi, p.311<br />

13 ivi, p.189<br />

14 G.Guglielmi, in Il caso <strong>Svevo</strong>. Guida storia e critica a cura di E.Ghidetti, <strong>La</strong>terza 1984, p. 88.


Nelle storie che racconta <strong>Veronesi</strong> c’è sempre un momento di forte crisi, una incrinatura<br />

improvvisa, determinata da un evento, che mette a rischio le certezze del protagonista. Ma in tutti <strong>la</strong><br />

scoperta del “caos”, del<strong>la</strong> inconoscibilità e ingovernabilità del reale, approda ad una saggezza<br />

antica, che viene dal passato e che proprio nel Caos calmo si condensa nelle parole dell’Imperatore<br />

del Giappone “Che ognuno faccia quel che deve. Che <strong>la</strong> vita continui normalmente”. In Caos calmo<br />

il protagonista tornerà al<strong>la</strong> vita normale imparando ad “assecondare l’inclinazione del mondo”.<br />

Mentre in XY <strong>la</strong> giovane psichiatra, sul<strong>la</strong> scia di Wilfred Bion, apprende l’“attitudine a tollerare<br />

l’insaturo”, (il vuoto), senza preoccuparsi di capire, poiché solo così si noteranno tanti dettagli<br />

prima trascurati( “se si osserva solo ciò che si comprende finisce che si esiste solo in ciò che si<br />

comprende” 15 Anche Zeno, verosimilmente, avrebbe acconsentito a questo “stare<br />

nell’indeterminatezza senza nessun bisogno di cercare fatti e ragioni”, ad acquisire quel<strong>la</strong><br />

“attenzione fluttuante” di cui par<strong>la</strong> Freud. <strong>La</strong> vita è una ma<strong>la</strong>ttia incurabile, ma possiamo conoscer<strong>la</strong><br />

e “sopportar<strong>la</strong>”, almeno in parte, se rinunciamo a posseder<strong>la</strong>, se ci affidiamo a una passività attenta,<br />

ricettiva, e forse possiamo viver<strong>la</strong> decentemente soltanto se ci abbandoniamo ai suoi ritmi<br />

imperscrutabili. e se ne accettiamo il vuoto costitutivo. Nelle loro storie <strong>la</strong> catastrofe può<br />

all’improvviso essere vissuta come possibilità. Tutto dipende da come ce <strong>la</strong> raccontiamo, dal<strong>la</strong><br />

lingua che usiamo.<br />

Anche in <strong>Veronesi</strong> non c’è una paro<strong>la</strong> ultima. E anzi nel<strong>la</strong> sua opera troviamo o<br />

scardinamento del<strong>la</strong> “logica binaria di vero e falso” di cui par<strong>la</strong> Guido Guglielmi in riferimento a<br />

<strong>Svevo</strong> e Pirandello. In questo senso sarebbe più corretto par<strong>la</strong>re non tanto di via comica al tragico<br />

quanto di via umoristica al riconoscimento del<strong>la</strong> natura tragicomica del<strong>la</strong> realtà Come osserva<br />

Guglielmi l’umorismo, nel celebre saggio di Pirandello coincide con il “sentimento del contrario”<br />

come “sentimento del<strong>la</strong> non identità del<strong>la</strong> cosa con se stessa, del<strong>la</strong> dissonanza come fondamento<br />

del<strong>la</strong> cosa”. Dunque se il disordine appartiene alle cose stesse <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> non si pone né<br />

tragicamente né comicamente(“tragico e comico presuppongono un ordine già dato del mondo”), ma<br />

solo umoristicamente, come “strutturalmente discordante e doppia” 16 .<br />

Ma, come abbiamo visto, nel ‘900 anche <strong>la</strong> nostra narrativa di fronte al<strong>la</strong> questione del<strong>la</strong><br />

verità tende a decantare <strong>la</strong> visione tragica nel tono del<strong>la</strong> commedia, a sciogliere <strong>la</strong> cognizione del<br />

dolore in una rappresentazione re<strong>la</strong>tivistica che sfocia nell’umorismo: “<strong>la</strong> passione del<strong>la</strong> verità non<br />

si estingue, si potenzia anzi, ma assume un’altra configurazione, si fa appunto sentimento del<br />

contrario” 17 (ibidem, Guglielmi). Anche se, aggiungo, quel<strong>la</strong> passione del<strong>la</strong> verità non può non<br />

esserne destabilizzata. Questa attitudine, che prima seguendo Leopardi ho voluto definire<br />

“nichilista”, tende a generare comportamenti aberranti sul piano etico e civile(<strong>la</strong> democrazia ha<br />

disperatamente bisogno del<strong>la</strong> verità), ma forse può suggerire una modalità meno traumatica di vivere<br />

dentro <strong>la</strong> contemporaneità, una idea di salute che incorpori però <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia, <strong>la</strong> scoperta di una<br />

paro<strong>la</strong> non monologica, capace di integrare gli opposti però in un equilibrio sempre aperto, precario,<br />

che rinunci a ogni sintesi.<br />

Conclusioni provvisorie: ancora <strong>la</strong> commedia<br />

All’inizio ho accennato al<strong>la</strong> distanza incommensurabile tra <strong>Svevo</strong> e <strong>Veronesi</strong>. <strong>Da</strong> una parte<br />

infatti nell’ironia sveviana possiamo ritrovare il precipitato chimico di una serie di fattori culturali<br />

estranei all’universo postmoderno di <strong>Veronesi</strong>(ebraismo e Mitteleuropa, ambiente filosofico<br />

austriaco fine Ottocento - kantiano, anti-hegeliano - , Cultura del<strong>la</strong> Crisi, Schopenhauer e Nietzsche,<br />

15 XL, p.317<br />

16 in Manuale per generi e problemi di letteratura italiana, Bol<strong>la</strong>ti Boringhieri, vol. I, 1996, p. 562<br />

17 G. Guglielmi, op. cit., ibidem


etc., e chissà che George Steiner non possa attribuire proprio all’ebraismo, cui sarebbe estranea<br />

una concezione tragica del mondo, l’attitudine ironico-beffarda, l’esplosione del<strong>la</strong> Terra come<br />

parodia del riposo finale in Dio e del<strong>la</strong> liberazione dal dolore). <strong>Da</strong>ll’altra <strong>Svevo</strong> si allontana da noi<br />

irreparabilmente poiché nel<strong>la</strong> nostra contemporaneità allenata a un cinismo sistematico, capace di<br />

“consumare” disinvoltamente ogni cosa, dal<strong>la</strong> psicanalisi all’apocalisse, non è più riproducibile<br />

quello sguardo sulle cose, uno sguardo insieme sottile e ingenuo fino al<strong>la</strong> puerilità(come volle<br />

definirlo Aldo Pa<strong>la</strong>zzeschi 18 ), iper-analitico e sempre anche un po’ stupito. Eppure mi sembra che in<br />

entrambi sia operante, benché diversamente declinata, una specifica tradizione italiana che pur<br />

condividendo una visione tragica, consapevole del<strong>la</strong> “molteplicità del vero”(Jaspers) - e dunque: ii<br />

conflitti dell’esistenza sono irrisolvibili, <strong>la</strong> sofferenza è senza riscatto, le colpe che commettiamo<br />

sono inespiabili…- , e pur confrontandosi con il male radicale(<strong>la</strong> guerra in un caso, l’implosione<br />

del<strong>la</strong> società stessa nell’altro), tenta di addomesticare il mondo attraverso una strategia di elusione<br />

fondata sulle digressioni narrative, sull’umorismo lieve, su una parziale regressione all’infanzia, e<br />

soprattutto sull’italianissimo tono dominante del<strong>la</strong> commedia.<br />

18 Cfr. Aldo Pa<strong>la</strong>zzeschi, in G.Guglielmi, in Il caso <strong>Svevo</strong>. Guida storia e critica a cura di<br />

E.Ghidetti, <strong>La</strong>terza 1984, p. 47

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