Mitra & mandolino IMPAG. - Gaffi

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30.05.2013 Views

che le sembrava fosse prima dietro il bancone a maneggiare le stoffe le si parò davanti .“Bambina, come ti chiami? Dov’è la tua mamma? Ti sei persa... Stai tranquilla vedrai che andrà tutto bene...” Ci furono altre voci di grandi e una sirena che suonava proprio sulla sua testa. Sì, ne era sicura. La sirena si muoveva con lei rannicchiata sul sedile di una macchina che non aveva mai visto prima dall’interno. E il signore che la guidava aveva un berretto e parlava alla radio con un altro signore e facevano finta di non essere preoccupati. La radio faceva tanto rumore, gracchiava ed emetteva curiosi suoni metallici, e le orecchie le facevano male. Maria Grazia non capì mai se quel pomeriggio si era persa tra la folla perchè era troppo discola o se la mano candida della bella signora non l’aveva trattenuta. Allontanandola da sé. Il dottore Il dottor Esti ha la faccia larga, gli occhi grandissimi anche quando porta gli occhiali e il sorriso, anche quello, è ampio e cordiale. Non ha ancora cinquanta anni, parla veloce, inflessione forte del nord, di Brescia, e l’aria di uno che va dritto al problema. Niente orpelli da cattedratico. Dice di essere cattolico e questa sua fede coltiva anche nella terapia. Usa metafore quando parla con le sue pazienti. È a Castiglione da qualche anno. È lo psichiatra di Manuela, Simona, Marta, Alice... tanti nomi per le donne che ha avuto in cura. Molte hanno ucciso i loro figli. Stiamo seduti su una panchina nel parco dell’ospedale psichiatrico sotto il sole che filtra caldissimo tra le foglie degli alberi a mezzogiorno. Belle panchine di ciliegio come in un giardino delle favole. Mi racconta delle sue lontane origini contadine e delle passeggiate nella Val Camonica. Conosce le stagioni e i colori dei boschi. La potenza e l’incredibile fragilità che si nasconde nella natura. “Il vento può piegare un salice ma non una quercia. Eppure il salice, così esile, riesce a recuperare in qualche modo un equilibrio. La quercia squassata dal vento e dalla pioggia a 40

volte viene giù. Per questo chi è come una quercia ha timore delle intemperie. Ecco alcune donne sono così anche nella terapia. Sembrano forti e dure. Non vogliono guardarsi dentro per paura di spezzarsi…” Mi parla di depressione,di psicosi.Categorie scientifiche.Anche lui sa benissimo che la storia di ogni donna che uccide è un evento a sé. Ogni volta, un’altra volta anche se tutto sembra uguale,come il rigido protocollo che segna l’ingresso nella casa delle madri che hanno ucciso. “Di solito mi arriva una chiamata dalla portineria. Dottore c’è un nuovo arrivo. C’è solo il tempo di percorrere il vialetto che dal padiglione delle donne conduce all’ingresso per essere invaso da una serie di interrogativi, timori, curiosità. Chi sarà, da dove viene, come si è comportata durante il viaggio? Sarà tranquilla?” “Davanti alla portineria” racconta il dottor Esti “sempre la stessa ombra cupa e fredda del cellulare. Gli agenti penitenziari in divisa, la consegna dei documenti e delle cartelle sanitarie redatte da chi ha prestato i primi soccorsi. E l’ordine del caposcorta ‘falla scendere’.” Il dottore che cura le donne le ha sempre viste così. Impaurite, disorientate, salgono faticosamente una rampa di scalini verso la direzione, uno zainetto in spalla con le poche cose della loro vita. Restano in silenzio ad attendere la registrazione dei documenti. E solo quando vedono avvicinarsi gli infermieri con i camici bianchi trovano la forza di chiedere: “ma qui non ci sono le guardie. Ma dove mi avete portata? Questo non è un carcere?”Paura e sollievo, quando vedono la piscina azzurra circondata da pini e i campi da tennis.“Ma chi usa queste cose?” chiedono. “Sono per voi” è la risposta degli infermieri che hanno nella voce una punta di orgoglio. E ancora una domanda:“ma qui non ci sono celle?”“No, qui ci sono stanze. Alcune hanno il bagno, altre no.Vede c’è un tavolino e l’armadietto.” L’arrivo di una donna nella casa non è quasi mai un segreto né può passare inosservato in un ambiente così piccolo. La comunità delle madri che hanno vissuto lo stesso orrore è pronta ad accoglierla. 41

che le sembrava fosse prima dietro il bancone a maneggiare le stoffe le si parò<br />

davanti .“Bambina, come ti chiami? Dov’è la tua mamma? Ti sei persa... Stai<br />

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Ci furono altre voci di grandi e una sirena che suonava proprio sulla sua testa.<br />

Sì, ne era sicura. La sirena si muoveva con lei rannicchiata sul sedile di una<br />

macchina che non aveva mai visto prima dall’interno. E il signore che la guidava<br />

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di non essere preoccupati. La radio faceva tanto rumore, gracchiava ed emetteva<br />

curiosi suoni metallici, e le orecchie le facevano male.<br />

Maria Grazia non capì mai se quel pomeriggio si era persa tra la folla perchè<br />

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Il dottore<br />

Il dottor Esti ha la faccia larga, gli occhi grandissimi anche quando porta<br />

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anni, parla veloce, inflessione forte del nord, di Brescia, e l’aria di<br />

uno che va dritto al problema. Niente orpelli da cattedratico. Dice di essere<br />

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Manuela, Simona, Marta, Alice... tanti nomi per le donne che ha avuto in<br />

cura. Molte hanno ucciso i loro figli. Stiamo seduti su una panchina nel parco<br />

dell’ospedale psichiatrico sotto il sole che filtra caldissimo tra le foglie degli<br />

alberi a mezzogiorno. Belle panchine di ciliegio come in un giardino delle<br />

favole. Mi racconta delle sue lontane origini contadine e delle passeggiate<br />

nella Val Camonica. Conosce le stagioni e i colori dei boschi. La potenza e<br />

l’incredibile fragilità che si nasconde nella natura. “Il vento può piegare un<br />

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