Mitra & mandolino IMPAG. - Gaffi
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poi chiusa. Ma ogni volta che una madre uccide si torna a parlare dell’ospedale psichiatrico, con una curiosità a volte sin troppo morbosa. Antonino Calogero negli anni trascorsi a Castiglione, prima da medico e poi da direttore, un periodo che equivale ormai a una vita, ha cercato di mettere in pratica quel che a noi presunti sani sembra impossibile. La malattia, il dolore, non vanno giudicati. Guai a cadere nella trappola della condanna. La sofferenza va compresa e se possibile curata. Dinanzi a quelle vite ha tentato di porsi con il massimo dell’obiettività. Ha tracciato una statistica, studiando quattordici casi, che forse fornisce qualche elemento in più di analisi su un fenomeno così drammatico. Secondo gli ultimi dati disponibili le donne che hanno ucciso i loro figli provengono in gran parte dal nord, forse perchè nel più arretrato sud la famiglia ha ancora parziali reti di protezione non strutturate. Una nonna, una zia, persino una provvidenziale vicina di casa pronta a spiare dalla finestra e a “intuire”. Insomma qualcuno disposto a soccorrere chi inizia a perdersi. Prima di essere avvinghiato dalla follia. E, in qualche caso, a salvare le vittime ignare, i bambini.Le madri che uccidono sono abbastanza giovani,hanno in media 36 anni, un titolo di studio non elevato, la licenza media, e in nove casi su quattordici rimangono sole, abbandonate dal partner che non è riuscito a sostenere psicologicamente le conseguenze dell’accaduto. Ma la famiglia di origine, il padre, la madre, quasi mai recidono il loro rapporto. Restano, nonostante tutto, accanto alle figlie che sbagliano, figlie che hanno cancellato per sempre la loro gioia di essere nonni ma non il fardello penoso di essere genitori.Spesso, se le cure lo consentono, vanno a trovarle e sono pronti ad accoglierle quando è possibile un primo ritorno a casa. Tabelle, dati. Ma Antonino Calogero non è un burocrate. Gli occhi sono di chi sa andare oltre le apparenze. Restiamo a lungo a parlare nel grande studio della direzione. Ci sono scaffali pieni di libri e un grande tavolo per gli incontri settimanali di medici e assistenti. Alle pareti, disegni incorniciati con immagini strane dai colori forti. Alcuni li hanno fatti le pazienti. Mani che si contorcono e cercano di abbracciare il vuoto, visi squassati e deformi entro tinte dense, e il rosso del 20
sangue e della paura. Eppure a Castiglione, in quel giorno di primavera il mondo sembra avere un suono e una armonia tutta diversa. Mi sorridono gli addetti alla portineria e hanno soltanto un accenno di curiosità per il mio lavoro. Gli infermieri, i pochi che incontrerò in quelle ore potendomi limitare a un saluto e ad una breve presentazione, hanno il passo leggero, niente a che vedere con i secondini. Nei corridoi è impercettibile il tintinnio dei mazzi di chiavi custoditi nelle loro tasche. Le scarpe appoggiate alle inferriate delle stanzette del piccolo edificio dove sono anche le madri assassine rischiano però di riportare alla memoria altre sbarre. Fotografie di carceri e di solitudini, celle cupe e orride mura umide. Qui tutto sembra invece, per assurdo, pacifico,pacificato, addolcito, alleviato. E la follia pare essersi compiuta e dissolta in quell’unico atto atroce che ha condotto quelle madri sino a Castiglione. Per questo in tanta pace, quelle urla strazianti che penetrano all’improvviso nella stanza dove sono a colloquio con Manuela,una delle donne che ha accettato di raccontarmi la sua storia, mi fanno rabbrividire. Arrivano da lontano, da un luogo imprecisato. Dal profondo. Un boato della terra che si spacca ed erutta viscere, sassi, radici, conati di fuoco, buie presenze e viscidi vermi. Tutto il male del mondo è in quelle grida che attraversano le pareti. Le scuotono. Vorrei coprirmi le orecchie per non sentire. Ma non posso. Trafiggono l’aria. Echi interminabili. Mi stordiscono e lacerano il mio cuore. Somigliano al grido in una tragedia greca.All’urlo di Medea. E quando infine si spengono lasciano il posto al pianto mesto di Manuela. L’appuntamento Qualche minuto prima dell’incontro con Manuela, il prof. Giuseppe Gradante, il primario del reparto nel quale sono ricoverate le madri assassine, mi aveva accolto quasi scusandosi. Un velo di preoccupazione negli occhi. “C’è qualche problema. La signora proprio questa mattina si trova in 21
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sangue e della paura. Eppure a Castiglione, in quel giorno di primavera il<br />
mondo sembra avere un suono e una armonia tutta diversa. Mi sorridono<br />
gli addetti alla portineria e hanno soltanto un accenno di curiosità per il mio<br />
lavoro. Gli infermieri, i pochi che incontrerò in quelle ore potendomi limitare<br />
a un saluto e ad una breve presentazione, hanno il passo leggero, niente<br />
a che vedere con i secondini. Nei corridoi è impercettibile il tintinnio dei<br />
mazzi di chiavi custoditi nelle loro tasche. Le scarpe appoggiate alle inferriate<br />
delle stanzette del piccolo edificio dove sono anche le madri assassine rischiano<br />
però di riportare alla memoria altre sbarre. Fotografie di carceri e di<br />
solitudini, celle cupe e orride mura umide.<br />
Qui tutto sembra invece, per assurdo, pacifico,pacificato, addolcito, alleviato.<br />
E la follia pare essersi compiuta e dissolta in quell’unico atto atroce<br />
che ha condotto quelle madri sino a Castiglione.<br />
Per questo in tanta pace, quelle urla strazianti che penetrano all’improvviso<br />
nella stanza dove sono a colloquio con Manuela,una delle donne che ha<br />
accettato di raccontarmi la sua storia, mi fanno rabbrividire.<br />
Arrivano da lontano, da un luogo imprecisato. Dal profondo. Un boato<br />
della terra che si spacca ed erutta viscere, sassi, radici, conati di fuoco, buie<br />
presenze e viscidi vermi. Tutto il male del mondo è in quelle grida che attraversano<br />
le pareti. Le scuotono. Vorrei coprirmi le orecchie per non sentire.<br />
Ma non posso. Trafiggono l’aria. Echi interminabili. Mi stordiscono e lacerano<br />
il mio cuore. Somigliano al grido in una tragedia greca.All’urlo di Medea.<br />
E quando infine si spengono lasciano il posto al pianto mesto di Manuela.<br />
L’appuntamento<br />
Qualche minuto prima dell’incontro con Manuela, il prof. Giuseppe<br />
Gradante, il primario del reparto nel quale sono ricoverate le madri assassine,<br />
mi aveva accolto quasi scusandosi. Un velo di preoccupazione negli occhi.<br />
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