Mitra & mandolino IMPAG. - Gaffi
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“Preferisco andare in carcere”ha gridato “ma non sono pazza”. Spiega che in fondo le converrebbe farsi passare per folle. Se la caverebbe con qualche anno a Castiglione. Parole che denotano disprezzo per la malattia mentale, ritenuta inaccettabile. Del resto la giustizia commette a volte grandi errori. Ricordo il caso di quel padre accusato di aver abusato del figlioletto. Il marchio di pedofilo gli fu impresso a fuoco. Un giorno, qualche tempo dopo, il figlio morì. Quei segni sull’ano del bambino erano stati provocati da un tumore. Nessuno aveva capito. Non interessa come andrà a finire. La legge scriverà la sentenza. Penso solo a tutte queste donne sedute davanti alla televisione. Le guardo. I loro occhi raccontano se stanno imparando a fare i conti con la follia o se hanno ancora paura. Chi non ha avuto il coraggio di farlo se ne sta ripiegato, ha pupille di ghiaccio. Pensa “io sono sano, sanissimo”. Si nasconde e si indigna, più subdolo del folle che grida al mondo di essere Napoleone Bonaparte. Mi chiedo come queste donne accoglierebbero Anna Maria Franzoni a Castiglione se un giorno per ipotesi dovesse scoprire le fattezze di chi ha ucciso il suo bambino. Se sempre per ipotesi dovesse riconoscere, nella sagoma che ha colpito decine di volte il povero Samuele, niente altro che se stessa malata. Se infine, nascosta nell’ombra a guardare l’Anna Maria sconosciuta, dovesse capire che la follia davvero si è presa gioco di lei. Gli uomini “Hei mora, dove te ne vai… ciao…”. Gli uomini di Castiglione non sono certo tutti uguali ma quelli che vedo aggrappati alle finestre con lo sguardo affamato di femmina non mi piacciono. Il sesso deve essere un gran problema dentro quelle mura, dove tutto sembra trascorrere lieve, in una quotidianità quasi familiare. Ma l’istinto, se così possiamo definirlo, non sempre viene domato dai farmaci. Una donna che gira libera nel viale, sconosciuta, accende qualche pensiero. 96
È un momento di pausa.Alcuni ciondolano senza meta anche se nel parco il freddo continua a infradiciare le ossa. Un gruppetto saltella per scaldarsi. Lasciano sbuffi di alito e di troppe sigarette fumate. È una umanità varia. Ci sono i più consapevoli e quelli che fanno fatica a comprendere dove si trovano come i malati che stanno in piedi nell’androne del reparto senza fare niente. Non parlano neppure tra di loro. Faccio due chiacchiere nell’ ufficio dello psichiatra responsabile del settore maschile. Dalla finestra un uomo con i capelli ritti continua a guardare al di là del vetro dentro la stanza. Fa finta di andar via, poi ritorna sui suoi passi e mi fissa anche se non sono del tutto convinta che mi veda. Il gioco va avanti per diversi minuti e sono inquieta. Il dottore degli uomini mi dice di non preoccuparmi. Quel paziente è un tipo piuttosto solitario. Fa lunghe passeggiate in giardino. Ogni tanto gli piace mettersi lì alla finestra e guardare dentro l’ufficio. Ci sono le scrivanie. Le segretarie. I telefoni che squillano. Lui guarda e basta. Non ha mai fatto male, almeno da quando è qui, nemmeno a una mosca. I reclusi che hanno ucciso i loro figli non sono aumentati dalla mia prima visita. C’era soltanto un papà. Non ho il permesso di parlargli. I padri uccidono meno i loro figli, mi conferma lo psichiatra, per una questione di identità. Hanno meno ruoli interiori con i quali fare i conti. Difficilmente avvertono i figli come una parte di sé e dunque come una parte da eliminare. Forse sono più semplici. O ci sono altre contorsioni dell’animo. Chi è qui ha di certo commesso delitti orrendi quando i fantasmi hanno parlato alle sue orecchie. Come Ferdinando Carretta. Lo incontro al pianterreno dell’edificio del centro di continuità riabilitativa. Scende le scale a grandi passi, salta qualche gradino, veloce. È il primo della fila. C’è stata una proiezione per il cineforum e i pazienti hanno appena terminato il dibattito.Gli chiedo:“scusi, che film avete visto?”“The beatiful mind un bel film sa, un film sulla follia” risponde con l’aria vagamente intellettuale.“Beh un tema non facile” replico imbarazzata.“Sì, l’altra volta abbiamo visto Qualcuno volò sul nido del cuculo, siamo stati noi pazienti a chiedere questi film.” 97
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Ricordo il caso di quel padre accusato di aver abusato del figlioletto. Il marchio<br />
di pedofilo gli fu impresso a fuoco. Un giorno, qualche tempo dopo, il<br />
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Nessuno aveva capito.<br />
Non interessa come andrà a finire. La legge scriverà la sentenza.<br />
Penso solo a tutte queste donne sedute davanti alla televisione. Le guardo.<br />
I loro occhi raccontano se stanno imparando a fare i conti con la follia o se<br />
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indigna, più subdolo del folle che grida al mondo di essere Napoleone Bonaparte.<br />
Mi chiedo come queste donne accoglierebbero Anna Maria Franzoni<br />
a Castiglione se un giorno per ipotesi dovesse scoprire le fattezze di chi<br />
ha ucciso il suo bambino. Se sempre per ipotesi dovesse riconoscere, nella<br />
sagoma che ha colpito decine di volte il povero Samuele, niente altro che se<br />
stessa malata. Se infine, nascosta nell’ombra a guardare l’Anna Maria sconosciuta,<br />
dovesse capire che la follia davvero si è presa gioco di lei.<br />
Gli uomini<br />
“Hei mora, dove te ne vai… ciao…”. Gli uomini di Castiglione non sono<br />
certo tutti uguali ma quelli che vedo aggrappati alle finestre con lo sguardo<br />
affamato di femmina non mi piacciono. Il sesso deve essere un gran problema<br />
dentro quelle mura, dove tutto sembra trascorrere lieve, in una quotidianità<br />
quasi familiare. Ma l’istinto, se così possiamo definirlo, non sempre<br />
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accende qualche pensiero.<br />
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