Isgrò, aforismi e intervista - Gruppo bancario Credito Valtellinese
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linguaggio. Quando non incide più sul linguaggio, -<br />
perché oggi, parliamoci chiaro, assistiamo a un’arte<br />
puramente mimetica, siamo tornando alla mimesis -, non<br />
è più interessante: al contrario, io vengo da una scuola,<br />
che credo bisognerebbe ristudiare, dove è il modo che<br />
conta, non la cosa. La cosa viene dopo.<br />
Non credo nella fiducia assoluta che le avanguardie<br />
hanno nel mutamento, come non credevo, come<br />
nessuno crederebbe oggi, per fare un traslato politico,<br />
in un comunismo o socialismo assoluto, che cambia il<br />
mondo, ma certamente il bisogno di novità è un bisogno<br />
fisiologico, non è un bisogno ideologico, e semmai il<br />
limite delle avanguardie di allora è stato quello di averlo<br />
fatto diventare un fenomeno ideologico. Il decennio di<br />
mutamento non finisce con la fine delle avanguardie, è<br />
connaturato all’uomo, come il bisogno di giustizia non<br />
finisce col crollo delle utopie comuniste o socialiste.<br />
m.m.<br />
Non c’è una contraddizione con la frase che hai appena detto,<br />
per cui ciò che importa in arte “non è il cosa, ma è il modo”,<br />
cioè il come si affrontano i problemi?<br />
e.i.<br />
Sono le teorie dei formalisti che possono tornare<br />
utili ancora oggi, mentre il “come” si riduce allo<br />
straniamento duchampiano, che alla fine è ben poca<br />
cosa. Al contrario di quanto avevano fatto allora, adesso<br />
prima di decontestualizzare bisogna contestualizzare, è il<br />
contesto dell’ arte che manca, cioè il contesto culturale.<br />
Perché il contesto dell’arte oggi è puramente finanziario.<br />
m.m.<br />
Questo era appunto quello a cui volevo arrivare. Questa<br />
affermazione, non corretta da ulteriori affermazioni, quelle che<br />
stai facendo tu adesso, potrebbe portare effettivamente all’aspetto<br />
tautologico dell’arte concettuale.<br />
e.i.<br />
No. Tu hai ragione nel pormi questo dubbio. Io ho<br />
cercato di evitare sia il rischio della tautologia, sia il<br />
rischio di un impegno che fosse pura sudditanza verso<br />
ideologie di tipo politico o mercatista, come si dice con<br />
un neologismo.<br />
m.m.<br />
Come si fa a fare questo? Se da una parte c’è una specie<br />
di tautologia, un punto d’arrivo per molti (non è soltanto<br />
Kosuth, ma Sol Lewitt ecc…), far sì che la parola rimanga<br />
44<br />
nella sua assoluta immunità, e nella sua assolutezza,quasi<br />
un Minimalismo della parola, mentre dall’altra rimane il<br />
mondo, la “cosa”, come si fa a non essere presi dalle regole<br />
del linguaggio, oppure a non essere catturati totalmente<br />
dall’osservazione della realtà? È una questione di equilibrio,<br />
ovviamente.<br />
e.i.<br />
Hai detto bene. È una questione di equilibrio, di<br />
sistema nervoso dell’artista, anche di intelligenza degli<br />
interlocutori, e di contesto sociale. Il gioco dell’arte<br />
è sempre un gioco di intelligenze. Quando io ero<br />
più giovane me la prendevo coi critici, come tutti gli<br />
artisti della mia generazione. Poi sono stato il primo<br />
a capire che la critica è importante. Me la prendevo<br />
per il mercato, per una questione di stile, perché la<br />
nostra era una posizione ideologica. Ma me la prendevo<br />
relativamente perché avevo avuto mercanti come<br />
Palazzoli, mercante a tutti gli effetti, era un capitalista<br />
all’antica molto amante degli artisti e dell’arte, me<br />
le faceva sparare grosse e si divertiva. L’ho capito poi<br />
retrospettivamente. Non era un benefattore, ma era un<br />
borghese intelligente, aperto.<br />
È una questione di grande equilibrio. Io ho dovuto<br />
sempre mantenermi con equilibrio. Pensa a come ho<br />
gestito la mia cancellatura. L’aspetto prevalente era<br />
quello della distruzione, anche se fin dall’inizio c’era<br />
la compresenza della ricostruzione del linguaggio.<br />
Però io l’ho gestita per quarant’anni facendo credere<br />
praticamente che l’opera che compivo sulla Treccani<br />
o sulla Divina Commedia era un’opera di devozione<br />
quasi mariana rispetto al linguaggio. Ma un conto è<br />
un’ambiguità che si mantiene all’interno dello stesso<br />
linguaggio e che si legge poi nel contesto sociale, un<br />
conto è sorridere e non dire niente.<br />
m.m.<br />
Dunque si potrebbe dire che è la capacità intuitiva, e non solo<br />
questa, che hai avuto nella cancellatura per com-prendere, per<br />
prendere dentro e trattenere a lungo la tua azione linguistica,<br />
la tua poetica. Hai scelto un luogo ambiguo, con un’ambiguità<br />
linguisticamente duratura.<br />
e.i.<br />
Un luogo ambiguo che oggettivamente si presenta ad<br />
un lettore. Ma non è un’ambiguità di tipo sociologico, è<br />
un’ambiguità di tipo estetico. Quindi agisco all’interno<br />
del linguaggio, ma sapendo che dietro al linguaggio<br />
c’è il mondo. Agire sul mondo direttamente, come