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Isgrò, aforismi e intervista - Gruppo bancario Credito Valtellinese

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era l’eccesso di formalismo. Quando affronto il problema<br />

della comunicazione, io affronto il problema di un’arte<br />

in grado di andare se non presso tutti, presso molti:,<br />

“quest’arte è per molti ma non per tutti” diceva Nietzsche.<br />

Io non ho mai rifiutato il discorso della comunicazione,<br />

come invece facevano altri artisti della mia generazione,<br />

apparentemente. Io cercavo la comunicazione. Questo<br />

perché ero cresciuto in terra futurista, ma in questo<br />

almeno andavo contro gli americani. E quando vennero<br />

i concettuali io fui felice, perché vedevo una conferma ai<br />

miei discorsi: loro combattevano un’altra battaglia rispetto<br />

alla comunicazione pop.<br />

Edizioni Il Formichiere, Milano, 1975<br />

m.m.<br />

Prima ci siamo chiesti, pensando al tuo lavoro, “come si è<br />

entrati nel territorio dell’arte?”; adesso ti faccio una domanda<br />

apparentemente molto simile ma con un connotato sociale<br />

diverso, derivato anche da questa tua iniziale appartenenza a<br />

un movimento riconosciuto, come quello dell’arte concettuale:<br />

“come sei entrato nel sistema dell’arte?”<br />

e.i.<br />

Sono entrato nel sistema dell’arte quando feci le tre<br />

poesie visive iniziali, nel tentativo di rinnovare la vecchia<br />

parola della poesia occidentale, entrata in crisi e in<br />

lutto a causa di una comunicazione mediatica che ora<br />

vediamo in tutta la sua virulenza (paradossalmente, è<br />

triste pensare che si comunica per sms…); poi c’era<br />

l’incipiente il lutto mediatico della televisione; poi<br />

sentivamo il sottofondo degli inglesi dappertutto e<br />

30<br />

capivamo che per un poeta che parla la lingua italiana<br />

era finita. Si diceva in fin dei conti che la parola stessa<br />

era finita..<br />

Allora io cercai di rendere più comunicazionale la poesia<br />

fondendola coi segni iconici. E tuttavia, proprio grazie<br />

alla Pop, mi accorsi che anche il segno iconico diventava<br />

ridondante, e quindi produceva poca comunicazione.<br />

Allora il mio sottrarre l’immagine alla vista - cioè in<br />

pratica il mio cancellare -, mi fece capire che non<br />

solo bisognava cancellare le immagini e le parole, ma<br />

anche il segno iconico. Quanto meno renderlo non<br />

integro in modo che tutti insieme si incastrassero come<br />

nelle giunture di un mobile, in cui un pezzo entra<br />

robustamente nell’altro. In questo modo crei dei vuoti<br />

nell’immagine e delle punte nella parola in modo che il<br />

discorso diventi organico.<br />

Ho affrontato due problemi fondamentali. Affrontando<br />

Milano, 1972. L’avventurosa vita di Emilio <strong>Isgrò</strong><br />

nelle testimonianze di uomini di stato, scrittori, artisti,<br />

parlamentari, attori, parenti, familiari, amici,<br />

anonimi cittadini, installazione presentata<br />

per la prima volta allo Studio Sant’Andrea<br />

di Milano. Courtesy Csac, Parma<br />

il problema del rapporto parola/immagine capivo<br />

perfettamente che le vecchie categorie saltavano. Era<br />

un problema specifico, non affrontavo un problema<br />

inerente di arte totale di wagneriana memoria. Mi<br />

proposi di risolvere il problema del rapporto immagine/<br />

parola. Jaqueline: la scritta è monca, l’immagine è monca.<br />

La scritta con il linguaggio della didascalia è finta,<br />

non è una vera didascalia. È perché scatti in rapporto<br />

all’immagine cancellata, che non c’è. Questa è una cosa<br />

importante, che l’avanguardia non aveva esplorato fino<br />

a quei livelli, l’avevano solo accennato. Questo fu quello<br />

che avevo impostato: la poesia come arte del segno.<br />

Per me la grande svolta fu la cancellatura. Mi consentì<br />

di dare un taglio netto con le avanguardie. Le prime<br />

cancellature sono del ’64. Mi accorsi ad un certo punto

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