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Isgrò, aforismi e intervista - Gruppo bancario Credito Valtellinese

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E. <strong>Isgrò</strong> (al centro) con G. Lollobrigida a Venezia<br />

durante la XXVII Mostra internazionale<br />

d’arte cinematrografica, 1966<br />

come L’Esperienza Moderna, la rivista di Novelli e di Perilli, che<br />

indagava il segno in rapporto alla scrittura, grande tema degli<br />

anni Cinquanta ?<br />

e.i.<br />

Se devo essere brutale e sincero io ho scoperto la<br />

bellezza di certe opere di Novelli molto tardi: da giovane<br />

Novelli non mi interessava, l’ho scoperto dopo, vedendo<br />

certe opere in casa di amici, specialmente dei grandi<br />

quadri con segni di matita. Li preferisco a Twombly,<br />

avrà fatto pochi pezzi, ma è più grande lui, perché<br />

effettivamente lui il problema della verbalità e della<br />

scrittura se lo pone anche come carico di memoria, e lì<br />

ci trovo una vicinanza, quanto meno di intenzioni. Però<br />

allora non le conoscevo. E il bello, e il paradosso è che<br />

molti che poi scoprirò fratelli, non mi piacevano. Avevo<br />

un pregiudizio. Ce l’avevo sul tutto il <strong>Gruppo</strong> ’63. Mi<br />

erano proprio antipatici. Per questo sognavo un’arte in<br />

grado di fare a meno di loro. Per questo mi sono tenuto<br />

distante da loro. Il fatto è che poi ho visto che con altri<br />

artisti – spesso dei poeti - avevo più punti di coincidenza.<br />

Devo dire che io quella del <strong>Gruppo</strong> ’63 non l’ho mai<br />

considerata una poesia visiva degna di questo nome:<br />

non era tale, era un’esperienza minoritaria. Con tutto il<br />

rispetto che io ho per Villa - amo molto la sua traduzione<br />

dell’Odissea e certi scritti teorici -, credo che la sua<br />

attività propriamente creativa sia minore: al massimo i<br />

20<br />

Venezia, 1965<br />

È l’anno di Jacqueline, una risposta concettualmente<br />

europea allo strapotere mediatico della Pop Art.<br />

Courtesy Archivio <strong>Isgrò</strong><br />

poeti del <strong>Gruppo</strong> ’63 arrivavano a qualche esperienza di<br />

poesia concreta.<br />

Non amavo molto, delle loro esperienze, il legame<br />

che avevano con l’informale. Erano troppo legati<br />

all’Informale. Io mi preoccupai della mia dichiarazione,<br />

allontanandomi da tutto quel mondo: così la mia<br />

posizione diventava per forza polemica. Era una<br />

posizione polemica perché volevo che il rapporto tra<br />

l’immagine e la parola non si riducesse a un magma che<br />

portasse come traccia l’espressività informale, quindi<br />

l’efficacia espansiva, ma si risolvesse in un disegno che<br />

potenziasse la comunicazione.<br />

m.m.<br />

L’aspetto della poesia visiva. Come è nata? Perché si è chiamata così?<br />

e.i.<br />

La poesia visiva si è chiamata così per un motivo molto<br />

semplice: molti di noi, i cosiddetti poeti visivi, venivano<br />

da aree letterarie, e il convergere verso esperienze di<br />

tipo visuale certamente derivava da una certa tradizione<br />

novecentesca, e tardo ottocentesca, da Mallarmè in poi.<br />

Quindi la chiamammo “poesia visiva” semplicemente per<br />

questo motivo.<br />

m.m.<br />

C’ è un coniatore di questo termine o si perde nel ricordo?

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