Isgrò, aforismi e intervista - Gruppo bancario Credito Valtellinese
Isgrò, aforismi e intervista - Gruppo bancario Credito Valtellinese
Isgrò, aforismi e intervista - Gruppo bancario Credito Valtellinese
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
(tranne due quadretti che avevo dipinto in Sicilia,<br />
usando malissimo i colori direttamente dal tubetto,<br />
perché evidentemente non li sapevo diluire: il risultato<br />
era una sorta di tristezza espressionista dovuta alla<br />
mia incapacità. Uno l’ho fatto vedere recentemente e<br />
nessuno mi ha mai detto che è un’infamia, ma in effetti<br />
è un’infamia!).<br />
m.m.<br />
Tutto questo è una specie di lungo apprendistato, in cui si<br />
evidenziano già della caratteristiche che saranno tue proprie,<br />
come il frequentare diversi territori linguistici, che sono poi la<br />
caratteristica della poesia visiva, cui il tuo nome è stato legato.<br />
Ma qual è stato il momento di passaggio da artista verbale ad<br />
artista visivo? Come sei approdato alla poesia visiva?<br />
Fiere del Sud, Milano,<br />
Schwarz Editore, 1956<br />
e.i.<br />
Guarda io sono approdato all’esperienza di poeta<br />
visivo perché, pur essendo un poeta lineare, verbale,<br />
abbastanza interessante anche per le avanguardie, mi<br />
dava da pensare l’atteggiamento un po’ perentorio<br />
del <strong>Gruppo</strong> ’63, nel quale contavo degli amici, ma<br />
del quale non facevo parte. Mi sembravano troppo<br />
decisamente professori: non è un mistero che<br />
Sanguineti doveva fare delle cose da museo (cosa<br />
che poi, detto fra noi, ha fatto anche Celant)! L’arte<br />
può finire al museo, ma parlando di una forma<br />
d’arte d’avanguardia mi sembrava il tradimento<br />
di quelle che erano gli statuti delle Avanguardie<br />
del Novecento. Anche se io capivo benissimo cosa<br />
voleva dire Sanguineti, non potevo logicamente<br />
19<br />
Venezia, 1964: una delle prime cancellature.<br />
Courtesy Archivio <strong>Isgrò</strong><br />
accettarlo. Quindi mi tenni sempre fuori, e cominciai<br />
a fare delle poesie visive, tipo la Volkswagen, in cui<br />
volevo misurarmi con i problemi che la mia epoca<br />
poneva, che erano principalmente il superamento<br />
del linguaggio. A quell’età si competeva sanamente,<br />
anarchicamente: non si competeva certo per il<br />
mercato, perché semplicemente non c’era, o a noi era<br />
precluso (eravamo troppo giovani oltretutto), però si<br />
competeva molto intellettualmente. Io volevo dire la<br />
mia. E per questo mi trovai a dare una definizione di<br />
arte generale del segno, cioè un’arte in cui la parola,<br />
ormai sfiancata dalla comunicazione verbale secolare, si<br />
univa all’immagine per creare nuove metafore. Quindi<br />
una comunicazione diversa da quella tradizionalmente<br />
verbale.<br />
m.m.<br />
A questo proposito, hanno avuto un qualche peso certe<br />
esperienze milanesi come il Mac pubblicava nei documenti d’arte<br />
oggi delle cose di Porta, di Pagliarani, di Monnet che ormai<br />
erano già quasi poesia visiva,o le contemporanee riviste romane