Relazione Globalizzazione.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...
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Introduzione<br />
La <strong>Globalizzazione</strong><br />
Tema <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento culturale<br />
per l’a.s. 2001/2002<br />
a cura della<br />
Prof.ssa Licia Fierro<br />
con la collaborazione <strong>di</strong><br />
(in or<strong>di</strong>ne alfabetico)<br />
Prof.ssa Angela Del Prete<br />
Prof.ssa Silvia Gori<br />
e con la collaborazione tecnica <strong>di</strong><br />
Fabiana Laggetto<br />
<strong>Globalizzazione</strong> è parola relativamente nuova, ma è già <strong>di</strong>ventata d’uso comune anche<br />
se la maggior parte <strong>di</strong> noi ne intende il significato solo in termini generali. È pur vero<br />
che molti economisti e sociologi ci forniscono già stu<strong>di</strong> sull’argomento ai quali possiamo<br />
attingere, e tuttavia sentiamo l’insufficienza delle nostre conoscenze non appena ci<br />
poniamo il problema nell’ambito della <strong>di</strong>dattica delle varie <strong>di</strong>scipline. E infatti il<br />
fenomeno globalizzazione esige un’analisi delle sue ra<strong>di</strong>ci, ma anche uno stu<strong>di</strong>o dei suoi<br />
effetti in ambito culturale e sociale. L’economia, la finanza, il commercio,<br />
l’informazione non si concepiscono più a livello “locale” ma a livello planetario.<br />
Apparentemente questo processo <strong>di</strong> unificazione delle varie branche dell’economia<br />
dovrebbe comportare benessere e miglioramento della con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> tutta<br />
l’umanità. La maggiore estensione del processo <strong>di</strong> unificazione avrebbe in tal senso un<br />
effetto aggregante. In realtà quanto più si estende il mondo “globalizzato”, tanto più<br />
resta emarginato il mondo “non globalizzato”. L’idea del “tutto omogeneo”, ha prodotto<br />
anche la nuova utopia <strong>di</strong> alcuni intellettuali che promettono nelle loro costruzioni<br />
teoriche la realizzazione del sogno comunitario. Quello che, però, ve<strong>di</strong>amo con i nostri<br />
occhi è che le popolazioni escluse dal mondo globalizzato dei ricchi cercano <strong>di</strong> dare un<br />
senso alla loro separazione e ad<strong>di</strong>rittura la <strong>di</strong>fendono sul piano culturale accentuandone<br />
i caratteri particolari in modo intransigente come avviene nelle varie forme <strong>di</strong><br />
fondamentalismo. Questa separazione è dunque economica, culturale e sociale? Nel<br />
mondo pianificato e globalizzato <strong>di</strong>ventano dunque più nette le <strong>di</strong>fferenze e ancor più<br />
pericolose che nel passato? L’altra domanda riguarda i cambiamenti istituzionali e
giuri<strong>di</strong>ci: in un quadro <strong>di</strong> globalizzazione dell’economia, della finanza, dell’informazione<br />
quali forme <strong>di</strong> costituzione e <strong>di</strong> autogoverno si daranno le comunità nazionali? Se i<br />
<strong>di</strong>scorsi su questa materia si presentano necessariamente complessi ed esigono perciò<br />
una visione d’insieme, ciò non toglie che si debba poi scendere nel concreto delle<br />
situazioni particolari e perciò ci si debba interrogare sulle scelte dell’Italia ed<br />
eventualmente sul suo ”destino”. Abbiamo l’ambizione <strong>di</strong> fornire agli studenti<br />
l’occasione <strong>di</strong> riflettere attraverso il contributo <strong>di</strong> esperti dell’economia e del <strong>di</strong>ritto.<br />
Abbiamo progettato e realizzato lezioni-<strong>di</strong>battito in quattro momenti così articolati: nel<br />
mese <strong>di</strong> gennaio in data 17 il professor Vincenzo Visco or<strong>di</strong>nario nell’Università <strong>di</strong> Roma<br />
“La Sapienza” e già ministro del Tesoro nella passata legislatura ha approfon<strong>di</strong>to il tema<br />
della globalizzazione nei suoi aspetti economico-finanziari.<br />
Nella terza settimana <strong>di</strong> febbraio il professor Pietro Rescigno, maestro in<strong>di</strong>scusso della<br />
civilistica italiana dell’ultimo cinquantennio, ha tenuto una lezione sul tema<br />
globalizzazione in relazione ai problemi giuri<strong>di</strong>ci ad essa connessi.<br />
Il giorno 4 marzo il dottor Vittorio Agnoletto, leader del movimento no-global ha<br />
proposto una relazione sugli aspetti politico-sociali della globalizzazione.<br />
Il 10 aprile, il dottor Pier Luigi Ciocca, vice<strong>di</strong>rettore generale della Banca d’Italia, ha<br />
unificato nella sua relazione gli aspetti economici e quelli storico-istituzionali in una<br />
prospettiva <strong>di</strong> lungo periodo.<br />
Gli alunni del liceo sono stati coinvolti in riflessioni autonome sulle varie conferenze e le<br />
migliori trovano spazio in questa pubblicazione.<br />
PARTE PRIMA<br />
Le riflessioni degli stu<strong>di</strong>osi<br />
Vincenzo Visco<br />
GLI ASPETTI ECONOMICO FINANZIARI<br />
Conferenza del 17 gennaio 2002<br />
Il professor Visco si è subito de<strong>di</strong>cato alla carriera universitaria, dopo essersi laureato<br />
con il professor Cesare Cosciani, che è stato il suo maestro. Il nostro ospite ha speso la<br />
sua vita nello stu<strong>di</strong>o, nella ricerca e, nel suo campo <strong>di</strong> indagine, ha apportato contributi<br />
fondamentali che certo solo gli addetti ai lavori possono comprendere nella loro<br />
profon<strong>di</strong>tà. Vorrei ricordare un contributo fra tutti importante negli ultimi tempi<br />
nell’ambito delle scelte della politica economica nel nostro paese e cioè i suoi stu<strong>di</strong> e le<br />
sue soluzioni al problema della tassazione. Egli è professore or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> Scienza delle
Finanze nella facoltà <strong>di</strong> Giurisprudenza dell’università “La Sapienza” <strong>di</strong> Roma. L’altra<br />
faccia <strong>di</strong> Giano è il Visco politico, il Visco che ha saputo trasferire i frutti dei suoi stu<strong>di</strong><br />
nell’azione politica concreta, il che non è da tutti. Ministro per breve tempo nel governo<br />
Ciampi, poi fortunatamente per noi molto più a lungo nei governi Pro<strong>di</strong> e D’Alema,<br />
quin<strong>di</strong> ministro del Tesoro nel governo Amato. Si deve proprio all’azione politica <strong>di</strong> Visco<br />
il fatto che l’Italia abbia nel ’97 ridotto drasticamente il suo deficit, ovvero<br />
l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni al <strong>di</strong> sotto del 3% del PIL, cioè del<br />
Prodotto Interno Lordo, per rispettare i parametri <strong>di</strong> Mastricht con<strong>di</strong>zione inelu<strong>di</strong>bile per<br />
l’ammissione dell’Italia all’Euro. Chi più <strong>di</strong> lui potrà ragguagliarci sugli aspetti<br />
economico-finanziari della globalizzazione?<br />
Che cosa significa “globalizzazione”? Che cosa è questo fenomeno <strong>di</strong> cui si parla tanto?<br />
In realtà il termine “globalizzazione” non in<strong>di</strong>ca altro che un processo <strong>di</strong> integrazione e<br />
compenetrazione delle economie <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi paesi che prima erano separate. Quin<strong>di</strong> è<br />
qualcosa che ha a che vedere con gli scambi commerciali, con i trasporti, con gli<br />
investimenti, con la creazione <strong>di</strong> imprese che partono da un paese e vanno ad investire<br />
in un altro, con le tecnologie che rendono tutto questo possibile, che si <strong>di</strong>ffondono e si<br />
integrano. E’, dunque, in qualche modo un processo <strong>di</strong> unificazione <strong>di</strong> pezzi del mondo.<br />
Se la si vede in questo modo, può darsi che i sospetti pregiu<strong>di</strong>ziali rispetto a questo<br />
fenomeno possono attenuarsi. Perché si tratta, in sostanza, <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> crescita.<br />
Del resto, non si tratta <strong>di</strong> un fenomeno nuovo. Si <strong>di</strong>scute sulle date della sua origine.<br />
Alcuni fanno riferimento a Marco Polo, che in effetti era a modo suo un globalizzatore in<br />
quanto cercava <strong>di</strong> estendere rapporti commerciali tra Venezia e l’Asia: non è che gli<br />
piaceva solo viaggiare! Poi si è parlato <strong>di</strong> Cristoforo Colombo e della scoperta delle<br />
Americhe. In verità quelli furono i prodromi <strong>di</strong> un cambiamento storico epocale, che<br />
avvenne parecchio tempo dopo. Inoltre, dal punto <strong>di</strong> vista che ci interessa, questi sono<br />
episo<strong>di</strong> troppo circoscritti per essere considerati l’inizio <strong>di</strong> questo fenomeno: in quelle<br />
epoche, gli scambi commerciali riguardavano le spezie, la seta, i metalli preziosi e<br />
poche altre merci, perciò la convergenza dei prezzi - che è ciò che la globalizzazione<br />
determina – non assumeva una rilevanza economica determinante.<br />
Il punto che bisogna aver chiaro per comprenderela natura dei processi <strong>di</strong><br />
globalizzazione, è che l'integrazione commerciale consiste nel fatto che beni che si<br />
producono a basso prezzo in un posto vengano spostati in un altro dove sono venduti a<br />
prezzi molto più alti. La <strong>di</strong>fferenza copre i costi <strong>di</strong> trasporto e consente profitti per gli<br />
operatori: questa è la molla che fa scattare i meccanismi dell’integrazione economica e<br />
commerciale.<br />
Perciò possiamo <strong>di</strong>re che la globalizzazione vera, quella che noi conosciamo è un<br />
fenomeno strettamente collegato allo sviluppo del capitalismo, la cui origine si può<br />
datare intorno alla metà dell'ottocento ed essenzialmente dopo la fine delle guerre<br />
napoleoniche. In quella fase assistiamo infatti alla prima affermazione del capitalismo<br />
moderno, mentre viene smantellato il sistema mercantilistico con tutti i meccanismi<br />
protettivi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa nazionale e sub-nazionale creati nel passato: è l’avvio dell’economia<br />
moderna.<br />
Questa prima fase dura circa un secolo e arriva fino alla prima guerra mon<strong>di</strong>ale del 1915,<br />
ed è probabilmente la fase <strong>di</strong> globalizzazione più intensa e rilevante quantitativamente
e qualitativamente: cambia effettivamente il mondo grazie agli scambi commerciali,<br />
l'integrazione economica, la progressiva riduzione dei costi <strong>di</strong> trasporto, le scoperte<br />
scientifiche e l’innovazione tecnologica e, soprattutto (la cosa può sembrare<br />
sorprendente) l'integrazione dei mercati finanziari che allora era ancora maggiore <strong>di</strong><br />
quella che abbiamo raggiunto oggi. Dopo <strong>di</strong> allora, assistiamo ad una fase, quella<br />
compresa tra le due guerre mon<strong>di</strong>ali e che arriva fino agli anni cinquanta, che si può<br />
definire <strong>di</strong> reazione e <strong>di</strong> arretramento: una fase protezionistica, autarchica,<br />
caratterizzata da precise scelte e ideologie nazionalistiche, che chiude i Paesi e le<br />
rispettive economie facendole ripiegare su se stesse. Poi, negli anni cinquanta, comincia<br />
una nuova fase <strong>di</strong> integrazione che esplode in modo evidente negli anni ottanta e<br />
soprattutto novanta del secolo scorso.<br />
Bisogna tenere presente che questi processi spesso, anzi sistematicamente, si<br />
sovrappongono e si collegano ad ondate <strong>di</strong> innovazioni tecnologiche. Non è, dunque,<br />
casuale che l'informatica e la telematica siano <strong>di</strong>ventate le nuove icone materiali<br />
dell’era contemporanea e che molte tecnologie innovative siano state il tramite<br />
dell'accelerazione del processo <strong>di</strong> integrazione economica, negli ultimi tempi. L'essenza<br />
del processo è, tuttavia, quella collegata allo scambio e alla localizzazione al <strong>di</strong> là dei<br />
confini nazionali <strong>di</strong> uomini e capitali.<br />
Ciò che probabilmente interessa <strong>di</strong> più è, in ogni modo, comprendere quali siano gli<br />
effetti della globalizzazione.<br />
Partiamo dalla forza lavoro. Ricor<strong>di</strong>amo che cosa accadde a partire dalla metà<br />
dell'ottocento con i massicci spostamenti <strong>di</strong> popolazione da tutta l'Europa verso gli Stati<br />
Uniti: non c’erano solo italiani, c'erano i norvegesi, gli svedesi, gli irlandesi, i quali, in<br />
massa, andavano a colonizzare, a lavorare nel “Nuovo Mondo”. Essi non andavano a<br />
svolgere ruoli <strong>di</strong> comando: andavano a fare i lavori che erano <strong>di</strong>sponibili. Da che cosa<br />
era mossa, quella gente? Non certo da desideri o velleità <strong>di</strong> prevaricazione o <strong>di</strong><br />
conquista. Erano mossi, piuttosto, dalla fame: andavano a lavorare dove si poteva<br />
guadagnare e costruirsi un futuro. Costoro, pur essendo inconsapevoli del processo <strong>di</strong><br />
globalizzazione <strong>di</strong> cui erano protagonisti, erano ad esso molto favorevoli per l’occasione<br />
<strong>di</strong> vita che veniva loro offerta: spostarsi da un posto dove vivevano miseramente <strong>di</strong><br />
stenti ad un posto dove lavoravano e costruivano il proprio futuro, era un fatto<br />
sicuramente positivo, anche se comportava la necessità <strong>di</strong> affrontare il trauma dello<br />
sra<strong>di</strong>camento dalle culture d’origine e dell’inserimento in contesti ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>versi<br />
in cui era giocoforza adattarsi. Di ciò, soprattutto la prima generazione <strong>di</strong> immigrati,<br />
soffrì sicuramente molto. Per le generazioni successive, le cose sono state <strong>di</strong>verse, e i<br />
milioni <strong>di</strong> meri<strong>di</strong>onali italiani che hanno contribuito allo sviluppo dell'America del sud e<br />
del nord, adesso sono alla terza e quarta generazione: si sono integrati e molti hanno<br />
fatto fortuna.<br />
Da questa vicenda si possono trarre alcune considerazioni abbastanza semplici: se c'è<br />
libertà <strong>di</strong> movimento dei capitali, lo smantellamento delle barriere doganali, e quin<strong>di</strong> la<br />
libertà <strong>di</strong> commerciare e <strong>di</strong> muoversi, accade che dai Paesi dove c'è eccesso <strong>di</strong><br />
manodopera, una parte <strong>di</strong> questa vada dove c'è carenza dì manodopera. A questo punto<br />
accadono un paio <strong>di</strong> fenomeni, uno nel luogo <strong>di</strong> partenza e l'altro nel luogo <strong>di</strong> arrivo. Nel<br />
luogo <strong>di</strong> partenza vi è meno eccesso <strong>di</strong> manodopera: è come se venisse tolto un tappo<br />
lasciando defluire un po' d'acqua e riducendo così, la pressione sul mercato del lavoro.<br />
La minore offerta <strong>di</strong> lavoro, con ogni probabilità (almeno questo è ciò che <strong>di</strong>cono le<br />
statistiche), spinge il salario <strong>di</strong> quelli che restano verso la crescita. In questo caso la
globalizzazione sicuramente riduce le <strong>di</strong>suguaglianze nel Paese <strong>di</strong> provenienza della<br />
manodopera. Nel paese d'arrivo succede il contrario. I lavoratori in arrivo si<br />
accontentano dei bassi salari, aumentano la quantità <strong>di</strong> lavoro offerta, e ciò agisce da<br />
calmiere sui salari: quin<strong>di</strong> è possibile, anche se non è sempre accaduto, che nel paese<br />
ricevente la globalizzazione non riduca le <strong>di</strong>suguaglianze ma le accentui.<br />
Questo può aiutare a capire anche i fenomeni <strong>di</strong> immigrazione che oggi riguardano i<br />
paesi europei, anche se ci sono alcune <strong>di</strong>fferenze importanti.<br />
Al <strong>di</strong> là della religione e del colore della pelle, quando in America arrivarono i primi<br />
emigranti italiani, sembravano incivili, arretrati, suscitavano <strong>di</strong>ffidenza e subivano<br />
<strong>di</strong>scriminazioni: non erano accolti con entusiasmo dalle popolazioni locali. Oggi in<br />
Europa accade la stessa cosa: ed è possibile che, attraverso i meccanismi <strong>di</strong> mercato,<br />
l’arrivo <strong>di</strong> masse <strong>di</strong> immigrazione abbia l'effetto <strong>di</strong> tener bassi i salari dei nostri paesi.<br />
Ciò crea sicuramente dei problemi. Ma, i paesi nei quali i flussi migratori si riversano<br />
possono utilizzare nuova manodopera e ciò favorisce il loro sviluppo. Al tempo stesso<br />
l’emigrazione, sia <strong>di</strong>rettamente (grazie alla riduzione della popolazione eccedente), sia<br />
in<strong>di</strong>rettamente attraverso le rimesse degli emigrati, facilita lo sviluppo dei paesi<br />
d’origine.<br />
Questo meccanismo ha operato in modo evidente negli ultimi anni. Per esempio negli<br />
ultimi <strong>di</strong>eci anni la popolazione degli Stati Uniti è aumentata del quin<strong>di</strong>ci per cento<br />
grazie all’immigrazione e ciò ha permesso tutto il loro sviluppo. I nuovi arrivati infatti<br />
consentono alle nuove attività <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> manodopera abbondante a basso costo,<br />
fanno da calmiere per l’intero mercato del lavoro, e quin<strong>di</strong> consentono elevati tassi <strong>di</strong><br />
crescita senza pressioni inflazionistiche. E in realtà, tutta la storia dello sviluppo degli<br />
Usa, da quando nacquero ad oggi, è basata su questa capacità <strong>di</strong> accoglienza e <strong>di</strong><br />
utilizzazione dei flussi <strong>di</strong> immigrazione. Hanno coniato l’espressione melting pot, cioè<br />
pentola in cui si mescola tutto. L’incre<strong>di</strong>bile sviluppo economico statunitense degli<br />
ultimi <strong>di</strong>eci anni, è una ulteriore conferma <strong>di</strong> questa capacità.<br />
Lo stesso fenomeno può verificarsi per le merci e per gli investimenti, anche se in questi<br />
casi risulta meno evidente. La liberalizzazione degli scambi è infatti legata alla<br />
eliminazione o riduzione <strong>di</strong> barriere doganali protettive, così come l'immigrazione è<br />
legata all'esistenza o inesistenza <strong>di</strong> quote, <strong>di</strong> blocchi, <strong>di</strong> <strong>di</strong>vieti. Se si liberalizzano gli<br />
scambi commerciali, si realizza una apertura reciproca fra i paesi importatori ed<br />
esportatori ed è necessario analizzare quali sono le conseguenze sui prezzi relativi delle<br />
merci.<br />
I paesi più poveri, normalmente, esportano prodotti primari, come prodotti agricoli o<br />
materie prime, mentre importano manufatti. La liberalizzazione commerciale, sia nel<br />
primo periodo <strong>di</strong> globalizzazione sia in quello più recente, è stata spesso sfavorevole ai<br />
paesi in via <strong>di</strong> sviluppo, tuttavia è necessario analizzare bene le cose, perché, ad<br />
esempio, proprio questa situazione spinse i paesi produttori del petrolio a organizzarsi in<br />
sindacato (l’Opec) per regolare i prezzi del petrolio e utilizzare al meglio l'esclusiva<br />
della produzione <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>sponevano.<br />
Proprio il versante del commercio e il relativo problema delle tariffe doganali, è uno dei<br />
più <strong>di</strong>scussi in questo momento. Si tratta <strong>di</strong> una questione che pone molti problemi su<br />
cui riflettere. E’ evidente che la liberalizzazione dei commerci aiuta tutti, così come è<br />
evidente che l'enorme sviluppo che c'è stato nei trasporti, la riduzione dei loro costi, è
un elemento <strong>di</strong> sviluppo e <strong>di</strong> integrazione formidabile che crea benefici per tutti. Ma<br />
esistono interessi contrapposti molto precisi, basta pensare, per esempio, al petrolio. Si<br />
<strong>di</strong>ce sempre che le guerre in Me<strong>di</strong>o Oriente sono legate al problema del controllo del<br />
petrolio, il che è assolutamente vero e sarebbe anche strano se non lo fosse, dato che<br />
tutta l'economia mon<strong>di</strong>ale si basa sul petrolio e finché non saremo in grado <strong>di</strong> fame a<br />
meno non potrà <strong>di</strong>minuire la rilevanza strategica del Me<strong>di</strong>o Oriente: non ci sono<br />
moralismi vali<strong>di</strong> o in<strong>di</strong>gnazioni possibili. Possiamo in<strong>di</strong>gnarci quanto vogliamo, ma i<br />
governi <strong>di</strong> tutti i Paesi – e soprattutto dei Paesi più ricchi e più gran<strong>di</strong> - <strong>di</strong> qualsiasi<br />
colore essi siano, devono garantire alla loro popolazione la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong><br />
riscaldamento, <strong>di</strong> carburante per l’automobile, <strong>di</strong> energia per far funzionare le<br />
fabbriche, quin<strong>di</strong> faranno <strong>di</strong> tutto per evitare <strong>di</strong> restare senza. E la gente probabilmente<br />
sarà d'accordo.<br />
Nel caso del petrolio si è quin<strong>di</strong> creato un equilibrio fra interessi dei paesi produttori e<br />
<strong>di</strong> quelli consumatori che per quanto instabile risponde alle esigenze <strong>di</strong> entrambi.<br />
Ma meccanismi e considerazioni analoghe valgono anche per tutte le altre merci. Si<br />
prendano i prodotti agricoli: uno dei mo<strong>di</strong> più facili per sviluppare l'economia nei paesi<br />
sottosviluppati e in particolare quelli dell'Africa (ma non solo) sarebbe la decisione, da<br />
parte dell’Europa, degli Stati Uniti, ecc. <strong>di</strong> liberalizzare i commerci dei prodotti agricoli.<br />
Questo però non avviene perché in tutti i paesi gli agricoltori sono una categoria<br />
elettoralmente forte, in particolare in Europa. Pren<strong>di</strong>amo l'Argentina: se l'Argentina<br />
potesse esportare liberamente in Europa la carne che essa produce, gli europei<br />
mangerebbero carne molto più buona e a prezzi molto più bassi, ma le migliaia <strong>di</strong><br />
produttori, allevatori, commercianti <strong>di</strong> bestiame, in Italia come in tutta Europa,<br />
dovrebbe cambiare mestiere. Allora bisogna essere molto luci<strong>di</strong> nel costruire i nostri<br />
giu<strong>di</strong>zi, e vedere come nei movimenti anti-global <strong>di</strong>ffusi in Europa emergono posizioni<br />
evidentemente contrad<strong>di</strong>ttorie: quando il signor Bovè critica Mc Donald e la produzione<br />
<strong>di</strong> polpette standar<strong>di</strong>zzata su base mon<strong>di</strong>ale, trova la mia solidarietà sia perché non ho<br />
mai mangiato una polpetta al Mc Donald sia perché preferisco i cibi locali. Però a parte<br />
la solidarietà culturale, mi riesce <strong>di</strong>fficile seguirlo nelle sue polemiche ra<strong>di</strong>cali perché<br />
lui, che è un agricoltore francese che gode delle tutele europee, ha paura del fatto che<br />
possano arrivare le bistecche e le polpette dagli altri paesi che non saranno buone come<br />
le sue (cosa che si può sempre <strong>di</strong>scutere) ma sicuramente costano <strong>di</strong> meno.<br />
Proprio per questo motivo, negli Stati Uniti tra gli antiglobalizzatori ci sono i sindacati:<br />
perché, dato che una parte non irrilevante degli investimenti globali sono americani e<br />
consistono in <strong>di</strong>slocazioni delle produzioni a più basso valore aggiunto, in altri paesi,<br />
questo processo provoca in prima battuta per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> posti <strong>di</strong> lavoro.<br />
La contrad<strong>di</strong>zione è evidente e c'è sempre stata, ed è quella che crea più <strong>di</strong>fficoltà. Oggi<br />
queste contrad<strong>di</strong>zioni si manifestano molto più nei paesi sviluppati che non quelli verso<br />
cui la globalizzazione si orienta. Ma in realtà la globalizzazione in corso è un fenomeno<br />
fisiologico, che si può e si deve regolare, ma che nessuno può arrestare. Inoltre, si tratta<br />
<strong>di</strong> un fenomeno che, nel complesso va valutato positivamente. Non è un caso che ad<br />
esso si siano sempre opposte le culture reazionarie: il periodo degli anni '30 e seguenti è<br />
stato, infatti, un periodo <strong>di</strong> chiusura che ha prodotto <strong>di</strong>sastri e lutti. Così come oggi le<br />
posizioni xenofobe e fondamentaliste sono anche esse contrarie alla globalizzazione<br />
(anche se ne sono uno dei frutti).<br />
L’affermazione corrente secondo cui la globalizzazione penalizza i paesi poveri ed è
esponsabile della loro povertà, va dunque attentamente valutata sulla base dei dati <strong>di</strong><br />
fatto. E i dati <strong>di</strong> fatto <strong>di</strong>cono due cose contrad<strong>di</strong>ttorie. La prima è che la <strong>di</strong>suguaglianza<br />
globale tra i paesi del mondo è sicuramente aumentata negli ultimi decenni: le<br />
statistiche lo <strong>di</strong>cono incontrovertibilmente. Ma – ed è il secondo dato – se pren<strong>di</strong>amo<br />
un'altra statistica, relativa ai paesi coinvolti nel processo <strong>di</strong> globalizzazione - cioè quelli<br />
dove c'è stata liberalizzazione, dove ci sono stati movimenti <strong>di</strong> capitali, investimenti<br />
ecc. - si scopre che in quei Paesi le <strong>di</strong>suguaglianze si sono ridotte. Questo significa una<br />
cosa molto precisa: chi è integrato nel processo <strong>di</strong> globalizzazione, salvo alcune<br />
eccezioni, ha tratto benefici importanti.<br />
Del resto, lo stato del mondo trenta, trentacinque anni fa era caratterizzato da intere<br />
aree come la Cina, l'In<strong>di</strong>a, l'Indonesia, le Filippine, la Malesia, la Thailan<strong>di</strong>a ecc., nelle<br />
quali la situazione era <strong>di</strong>sastrosa: erano economie primitive, arretrate, con tutto il<br />
peggio che si possa immaginare, tanto che il famoso economista svedese Gunnar Myrdal,<br />
che poi vinse il premio Nobel, scrisse un importante trattato in tre volumi intitolato “Il<br />
dramma dell'Asia", in cui la tesi <strong>di</strong> fondo era che nulla in quei Paesi si poteva fare e che<br />
quelle popolazioni sarebbero morte <strong>di</strong> fame, senza alcuna speranza. Invece, quei paesi<br />
hanno poi avuto uno sviluppo incre<strong>di</strong>bile: da 15 o 20 anni l'In<strong>di</strong>a esporta riso, mentre<br />
prima bisognava mandargli gli aiuti umanitari; e alcuni <strong>di</strong> quei paesi sono <strong>di</strong>ventati molto<br />
ricchi.<br />
Questo è chiaramente un fenomeno <strong>di</strong> globalizzazione inclusiva, positiva ed è il motivo<br />
per cui, mentre nei Paesi ricchi si <strong>di</strong>ffondono gli attacchi contro l'organizzazione<br />
mon<strong>di</strong>ale del commercio, gli altri Paesi fanno la fila per entrare a farne parte. Quin<strong>di</strong> è<br />
semplicemente non vero che la globalizzazione aumenta le <strong>di</strong>suguaglianze tra paesi: non<br />
c'è evidenza <strong>di</strong> ciò, al contrario l’evidenza è in senso opposto. Il problema vero è che<br />
sull’apertura degli scambi commerciali vi deve essere parità <strong>di</strong> trattamento tra i beni<br />
prodotti nei paesi poveri e quelli esportati dai paesi ricchi: non sempre questo equilibrio<br />
esiste.<br />
Gli altri paesi, invece, quelli rimasti fuori dal processo <strong>di</strong> globalizzazione, vivono<br />
situazioni tragiche. Bisogna chiedersi, allora, perché ne siano rimasti fuori.<br />
Normalmente ciò deriva anche da scelte consapevoli, ma non solo; si tratta molto spesso<br />
<strong>di</strong> Paesi che hanno classi <strong>di</strong>rigenti incapaci e/o corrotte, Paesi che hanno guerre civili,<br />
Paesi che non riescono ad avere assetti politici stabili perché sono in conflitto da lungo<br />
tempo. Il problema vero, dunque, riguarda la necessità <strong>di</strong> trovare il modo <strong>di</strong> integrare<br />
anche quei Paesi in questo processo, e ciò deve avvenire necessariamente in maniera<br />
pacifica.<br />
L’esclusione, peraltro, non riguarda solo paesi dell'Africa, riguarda anche i paesi arabi.<br />
Nei paesi arabi, infatti, dei benefici derivanti dagli scambi commerciali petroliferi, non<br />
hanno certo goduto le popolazioni locali. La famiglia reale dell'Arabia Sau<strong>di</strong>ta ha più dì<br />
<strong>di</strong>ecimila membri, ognuno dei quali ha <strong>di</strong>ritto ad essere multimiliardario in lire,<br />
comunque multimilionario in euro o in dollari. L'interesse ad investire questi quattrini a<br />
beneficio delle popolazioni, quin<strong>di</strong>, non c'è mai stato. Anche in questo trova spiegazione<br />
il <strong>di</strong>ffondersi del fondamentalismo.<br />
Un buon esempio viene dall’Iran. L’Iran è un paese molto ricco, con una tra<strong>di</strong>zione<br />
culturale per nulla <strong>di</strong>sprezzabile, che aveva un governo corrotto: a un certo punto è<br />
saltato il tappo - anche per responsabilità ed errori in politica dei paesi occidentali – ed<br />
è arrivato un monaco fanatico che ha messo il velo alle donne però ha anche ricostruito
un'identità nazionale, e adesso l’Iran è in fase <strong>di</strong> rapida evoluzione verso un domani<br />
probabilmente migliore.<br />
Allora - e qui veniamo all'ultimo aspetto che ci interessa - <strong>di</strong>etro le polemiche, le<br />
<strong>di</strong>scussioni legate al tema della globalizzazione, che cosa c'è? È chiaro che il processo in<br />
sé è un processo positivo: chiunque giochi con il computer e vada su Internet sa che<br />
quella è una forza irresistibile, che permette <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogare con chiunque in qualsiasi parte<br />
del mondo, <strong>di</strong> comprare e vendere dovunque qualsiasi cosa, <strong>di</strong> ottenere informazioni<br />
dettagliate <strong>di</strong> qualsiasi genere in tempo reale. E questo è, ovviamente, un fattore <strong>di</strong><br />
civiltà <strong>di</strong> progresso, <strong>di</strong> modernizzazione. Nessuno osa <strong>di</strong>re che questo non deve avvenire<br />
perché si isolerebbe imme<strong>di</strong>atamente. Il problema è il come. Qui c'è effettivamente da<br />
ragionare.<br />
Dopo la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, i Paesi occidentali hanno agito sistematicamente, nei<br />
confronti delle classi <strong>di</strong>rigenti <strong>di</strong> molti Paesi, nello stesso modo descritto per l’Iran. La<br />
cosa straor<strong>di</strong>naria è che mentre in Europa o in Italia la potenza che aveva vinto la guerra<br />
mon<strong>di</strong>ale esportava dollari e democrazia, nei confronti <strong>di</strong> questi altri paesi non c'erano<br />
né dollari né democrazia: c'era estrazione del petrolio e <strong>di</strong>ttatura. È questo che alla<br />
fine, non ha retto. E che è alla base anche <strong>di</strong> molte ra<strong>di</strong>calizzazioni o<strong>di</strong>erne. Troppi<br />
errori sono stati commessi nella gestione degli equilibri mon<strong>di</strong>ali.<br />
Gli equilibri mon<strong>di</strong>ali, per esempio, non possono reggersi sull’egemonia <strong>di</strong> un solo<br />
soggetto: è proprio il sistema globalizzato che richiede un assetto multipolare,<br />
cooperativo e non autoritario o solitario.<br />
Si tratta <strong>di</strong> questioni che non vanno ignorate ma che non devono, però, neppure<br />
accecare traendone conclusioni e giu<strong>di</strong>zi sommari e schematici: si deve, al contrario,<br />
<strong>di</strong>scutere e trovare le soluzioni.<br />
L'altro aspetto riguarda le organizzazioni internazionali. Fondo monetario<br />
internazionale, Banca mon<strong>di</strong>ale, Organizzazione mon<strong>di</strong>ale del commercio, vengono<br />
<strong>di</strong>pinte spesso come organizzazioni criminali, terribili assembramenti <strong>di</strong> tecnocrati sa<strong>di</strong>ci<br />
che vogliono fare del male ai popoli poveri del mondo. Così non è, naturalmente, ma<br />
bisogna sapere che c’è un problema serio che riguarda il modo in cui queste<br />
organizzazioni funzionano o non funzionano.<br />
Dopo le crisi finanziarie che ci furono nella metà degli anni '90, e poi nel '97-'98 in Asia,<br />
Russia ecc., ci fu un'aspra critica delle metodologie applicate dal Fondo Monetario, da<br />
cui nacque una <strong>di</strong>scussione approfon<strong>di</strong>ta: ne scaturì una riforma e adesso qualcosa sta<br />
cambiando.<br />
Il Fondo monetario e la Banca mon<strong>di</strong>ale sono due banche che danno prestiti, consigli e<br />
consulenze a certi paesi; non è vero neanche che siano così poco democratiche nel loro<br />
funzionamento, perché, anche se i paesi più forti contano <strong>di</strong> più, proprio perché si tratta<br />
<strong>di</strong> banche e quin<strong>di</strong> è come se fossero società per azioni in cui gli azionisti con più<br />
capitale contano <strong>di</strong> più. Dentro questi organismi sono tuttavia presenti rappresentanti <strong>di</strong><br />
paesi ricchi e <strong>di</strong> paesi poveri, ci sono <strong>di</strong>scussioni, me<strong>di</strong>azioni ecc. Il problema è che non<br />
è da loro che deve provenire la guida del mondo: quelli sono organismi tecnici che<br />
possono esser <strong>di</strong> supporto alle scelte politiche; per <strong>di</strong> più, sono organismi tecnici che<br />
negli ultimi 10-20 anni hanno applicato una ortodossia economica assolutamente<br />
<strong>di</strong>scutibile, perché va bene globalizzare, va bene ridurre i dazi e aprire l'economia, ma
questo non si fa necessariamente dall'oggi al domani accelerando in maniera<br />
irresponsabile il processo, perché bisogna vedere se poi il paese coinvolto è in grado <strong>di</strong><br />
reggersi, se ha le strutture adatte, perché per reggere, quel paese deve avere il sistema<br />
bancario e finanziario che funziona, deve avere certi standard educativi in grado <strong>di</strong><br />
rispondere alle nuove esigenze e così via. Quin<strong>di</strong> ogni intervento deve essere condotto<br />
senza brutalità, con sapienza, ed è a questo punto che emerge il problema delle classi<br />
<strong>di</strong>rigenti.<br />
In molti <strong>di</strong> questi paesi, chi va al potere ha l'unica preoccupazione <strong>di</strong> arricchire se<br />
stesso, la sua famiglia, la sua consorteria, non <strong>di</strong> fare gli interessi delle popolazioni.<br />
Ma poi, a chi spetta decidere se una classe <strong>di</strong>rigente è buona o cattiva? E chi è<br />
autorizzato ad intervenire? Abbiamo già scoperto negli anni passati che la guerra può<br />
essere una forma <strong>di</strong> ingerenza umanitaria: è una cosa <strong>di</strong>scutibile, però tutto sommato<br />
non mi trova <strong>di</strong>ssenziente. Tuttavia ciò non significa che si possa spingere l’ingerenza<br />
fino alla cacciata <strong>di</strong> tutte le classi <strong>di</strong>rigenti corrotte nei Paesi in cui sono al potere, e<br />
alla loro sostituzione con altri rappresentanti locali o non locali. Questo mi sembra un<br />
po' più audace perché significherebbe colonizzazione.<br />
In ogni caso, l’ inadeguatezza delle classi <strong>di</strong>rigenti in moltissimi dei paesi più poveri è un<br />
problema serio. I paesi che hanno avuto successo anche nei processi <strong>di</strong> globalizzazione<br />
sono quelli che hanno saputo esprimere classi <strong>di</strong>rigenti adeguate. Per esempio,<br />
confrontiamo fra loro la Malesia e l'Indonesia. La Malesia non si è fatta travolgere dalla<br />
crisi del '98, l'ha subita, ha resistito al Fondo monetario, che le voleva far fare interventi<br />
che avrebbero aggravato la crisi, e ha deciso <strong>di</strong> fare a meno dei suoi finanziamenti: in<br />
breve tempo si è ripresa subito e ora sta piuttosto bene. L'Indonesia, dove c'era al<br />
potere una casta militare e affarista pur avendo avuto un forte sviluppo, dopo quella<br />
crisi non si è più ripresa.<br />
L'Indonesia ricorda molto da vicino l'Argentina. In Argentina il problema è rappresentato,<br />
appunto, dalle classi <strong>di</strong>rigenti. L'Argentina negli anni '20 del secolo scorso era uno dei<br />
paesi potenzialmente più ricchi del mondo e del Sud America sicuramente, perché ha<br />
tutto: popolazione non eccessiva, buon livello <strong>di</strong> istruzione, materie prime, territorio.<br />
Ma i suoi <strong>di</strong>rigenti si sono rivelati irresponsabili, hanno rubato e portato più volte il<br />
paese alla crisi, quella <strong>di</strong> oggi non è certo la prima, il nostro protezionismo ha fatto il<br />
resto. Si <strong>di</strong>ce che in Argentina il Fondo monetario e gli altri poteri stranieri hanno<br />
costretto a liberalizzare, e a privatizzare le imprese pubbliche e le imprese privatizzate<br />
funzionano male. In realtà la privatizzazione c’è stata ma la liberalizzazione no: le<br />
imprese pubbliche sono state vendute ai privati - un po' argentini e un po' americani –<br />
ma ad esse è rimasto il monopolio: perciò i citta<strong>di</strong>ni, invece <strong>di</strong> avere un'impresa<br />
pubblica che prima era almeno attenta alle tariffe, adesso è alla mercé dei privati che<br />
spolpano la popolazione. Il problema, dunque, non è nel processo ma nell'attuazione del<br />
processo.<br />
Arriviamo alla conclusione: se le cose stanno così, dobbiamo creare le con<strong>di</strong>zioni perché<br />
si possa <strong>di</strong>scutere dei problemi e programmare gli interventi in maniera adeguata e per<br />
tempo. Questo è ciò che oggi manca completamente, perché noi abbiamo un'economia<br />
globale ma stati nazionali; e poi abbiamo una superpotenza che chiaramente non può<br />
fare da sola anche se aspirerebbe a farlo.<br />
Bisogna, dunque, creare degli assetti politici più evoluti. In questo senso, un buon
esempio <strong>di</strong> globalizzazione virtuosa è quello dell'Unione Europea. Ci sono sempre stati,<br />
in passato e anche oggi, posizioni <strong>di</strong> euro-scetticismo e <strong>di</strong> nazionalismo generalmente<br />
derivanti dalla paura del nuovo, del cambiamento, dalla tendenza repressiva<br />
all'immobilismo, ma è evidente che il processo <strong>di</strong> unificazione europea è positivo. Noi<br />
riusciamo a gestire meglio certi potenziali conflitti e le <strong>di</strong>fficoltà del nostro continente<br />
proprio perché abbiamo creato questo organismo che funziona bene, qualche volta<br />
male, qualche volta con stasi ed accelerazioni successive. E’ <strong>di</strong>fficile, però c'è e ci dà<br />
forza. E certe posizioni molto ra<strong>di</strong>cali, tipo quelle <strong>di</strong>ffuse nell'arco alpino fra l'Italia e<br />
l'Austria - ma ce ne sono anche in Danimarca, in Belgio, in Olanda - posizioni xenofobe,<br />
nazionaliste assolutamente contrarie all'Europa, appaiono chiaramente in forte analogia<br />
con quelle fondamentaliste arabe, nonché con altre posizioni emerse in Europa negli<br />
anni ’20 del secolo scorso: posizioni che si <strong>di</strong>ffusero e conquistarono il potere, con le<br />
conseguenze che conosciamo.<br />
Quin<strong>di</strong> i rischi ci sono; un tempo i processi <strong>di</strong> globalizzazione portavano guerre: le ultime<br />
due guerre mon<strong>di</strong>ali avevano a che vedere più o meno con i conflitti tra le nazioni<br />
derivanti dall'allargamento dell'economia. Adesso la situazione è parzialmente <strong>di</strong>versa,<br />
però qualche guerra ogni tanto, grande o piccola, pure si verifica. A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> allora,<br />
però, ci sono molti più antidoti, ci sono i paesi dell'Occidente che sono organizzati in<br />
modo pluralistico, democratico, c'è gente che può sollevare tutti questi problemi, ed<br />
esiste una consapevolezza molto maggiore, anche <strong>di</strong> tipo tecnico, da parte dei governi.<br />
La situazione è mutata e tuttavia bisogna stare, secondo me, molto attenti a trovare le<br />
soluzioni giuste. Infatti le posizioni ra<strong>di</strong>cali <strong>di</strong> contrapposizione alla globalizzazione - che<br />
possono essere sia <strong>di</strong> destra che <strong>di</strong> sinistra - portano a soluzioni sicuramente peggiori.<br />
Noi vogliamo continuare ad essere sempre <strong>di</strong> più citta<strong>di</strong>ni del mondo e saper accogliere<br />
la gente che viene da altri paesi e a nostra volta saper andare da loro e sapere<br />
governare questo processo. E' su questi aspetti che manca un governo globale, che<br />
mancano istituzioni globali e bisogna fare in modo <strong>di</strong> avviarne lo sviluppo: questo non<br />
può venire dall'ONU, deve essere qualcosa <strong>di</strong> più agile. Negli organismi internazionali, ad<br />
esempio, abbiamo una rappresentanza che non è corrispondente alla popolazione.<br />
Questo è un problema serio, anche in Europa. In Europa, quando si parla del voto<br />
all'unanimità o a maggioranza e ci si <strong>di</strong>vide e i nazionalisti, gli antieuropeisti o i tiepi<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>cono che le decisioni vanno prese all’unanimità perché dobbiamo <strong>di</strong>fendere gli<br />
interessi nazionali, essi non si rendono conto <strong>di</strong> <strong>di</strong>re una sciocchezza, perché significa<br />
che, per esempio, il Lussemburgo può mettere il veto su tutte le cose che a lui<br />
interessano anche se sono in contrasto con gli interessi <strong>di</strong> paesi ben più popolosi ed<br />
importanti.<br />
Questo problema, trasferito a livello mon<strong>di</strong>ale, significherebbe, però, che se gli Stati<br />
Uniti e l’Europa hanno rispettivamente 260 e 320 milioni <strong>di</strong> abitanti, l'In<strong>di</strong>a ne ha 800<br />
milion, la Cina ne ha due miliar<strong>di</strong>: allora, se Usa ed Europa sono gran<strong>di</strong> potenze, quanto<br />
devono contare In<strong>di</strong>a e Cina in quei consessi? Una scelta equilibrata richiederebbe <strong>di</strong><br />
tener conto sia del red<strong>di</strong>to, sia della ricchezza, sia della popolazione. Non va trascurato<br />
che le risorse sono in mano ai paesi più ricchi, e non è pensabile – anche se forse<br />
sarebbe bello – che essi le cedano ad altri solo perché le loro popolazioni sono più<br />
numerose.<br />
Tuttavia bisogna sapere in quale <strong>di</strong>rezione si dovrà andare. Oggi l'Italia, la Germania, la<br />
Francia, sono Paesi fra i più ricchi del mondo e perciò ognuno <strong>di</strong> loro ha un ruolo<br />
importante nei consessi internazionali come il G7 - G8: ne facciamo parte ed è<br />
abbastanza gratificante che il Ministro del Tesoro vada lì, ci si trovi in 7 o 8, ed è molto
utile perché serve a capire i problemi in un club alquanto esclusivo. Ma se si va verso<br />
soluzioni razionali è chiaro che lì <strong>di</strong> europei, in prospettiva, ce ne dovrà essere uno solo,<br />
e magari ci deve essere un cinese, un russo, un in<strong>di</strong>ano, ecc.<br />
Queste, però, sono sfide politiche. Ognuno si misura come crede; c'e anche molta gente<br />
che, a prescindere da tutto questo, ha una visione <strong>di</strong> breve periodo, <strong>di</strong>ce che si devono<br />
fare scelte che siano nell'interesse del paese subito e basta, poi quel che viene viene.<br />
Questo è un approccio abbastanza <strong>di</strong>ffuso e ovviamente <strong>di</strong>scutibile. Discutibile almeno<br />
quanto l'approccio <strong>di</strong> chi, invece <strong>di</strong> ragionare, stu<strong>di</strong>are, capire e trovare soluzioni<br />
adeguate, demonizza e criminalizza. Anche se è vero che un movimento che faccia leva<br />
sull'in<strong>di</strong>gnazione può essere utile per portare all’or<strong>di</strong>ne del giorno i problemi reali,<br />
bisogna però evitare le correlazioni sbagliate fra i fenomeni contro i quali l’in<strong>di</strong>gnazione<br />
scatta e le loro cause.<br />
Come ho cercato <strong>di</strong> spiegare, le cause sono <strong>di</strong>verse. Provate a chiedere ad un<br />
globalizzato se vuole rinunciare ad esserlo. Si troveranno molti globalizzatori contrari<br />
alla globalizzazione. Ma <strong>di</strong>fficilmente si troveranno proteste contro la globalizzazione<br />
nei paesi in cui la globalizzazione ha portato imprese straniere che hanno investito,<br />
creato posti <strong>di</strong> lavoro e dove si comincia a <strong>di</strong>ffondere il benessere.<br />
Pietro Rescigno<br />
GLI ASPETTI GIURIDICI<br />
Conferenza del 26 febbraio 2002<br />
Oggi abbiamo qui con noi uno dei più gran<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi italiani <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto civile, anzi<br />
sicuramente la massima autorità italiana. Il professor Rescigno è decano della facoltà <strong>di</strong><br />
giurisprudenza nell’università <strong>di</strong> Roma “La Sapienza”, è accademico nei Lincei, è<br />
insignito <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> titoli che non posso qui elencare e io stessa non ho proprio titolo<br />
a presentare un così eminente stu<strong>di</strong>oso. Quando gli ho rivolto l’invito <strong>di</strong> venire qui a<br />
parlarci <strong>di</strong> globalizzazione egli si è schernito, ha detto “…ma non è il mio tema, non ne<br />
so un gran che!”. Io qui vorrei pubblicamente sconfessarlo perché il professor Rescigno<br />
ha stu<strong>di</strong>ato il <strong>di</strong>ritto e continua a stu<strong>di</strong>arlo non tanto, non solamente nei suoi elementi<br />
sovrastrutturali, non in una prospettiva dogmatica, in una prospettiva positivistica, ma<br />
stu<strong>di</strong>a il <strong>di</strong>ritto calandolo nella storia, in<strong>di</strong>viduandone sempre i rapporti con la società.<br />
Già negli anni ’50 e ’60, i suoi numerosissimi saggi hanno sicuramente contribuito a<br />
mo<strong>di</strong>ficare, anzi io oserei <strong>di</strong>re a rivoluzionare il modo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are il rapporto tra persona<br />
e comunità. Dunque l’attenzione dello stu<strong>di</strong>oso è stata rivolta alla storia del pensiero<br />
politico, al modo <strong>di</strong> intendere la democrazia all’interno della famiglia, all’interno dei<br />
partiti, all’interno delle organizzazioni sindacali, delle organizzazioni <strong>di</strong> impresa. La<br />
<strong>di</strong>fesa della persona rispetto al gruppo, inteso come centro <strong>di</strong> potere, la <strong>di</strong>fesa della<br />
stessa comunità statale nei confronti del gruppo, nei confronti del centro <strong>di</strong> potere che<br />
prende decisioni e le impone, tutti questi elementi bastano e avanzano per giustificare<br />
la presenza del professor Rescigno in un <strong>di</strong>battito sulla globalizzazione. Un fenomeno<br />
questo che tra le altre cose è caratterizzato dall’affermarsi, <strong>di</strong>rei proprio su scala<br />
mon<strong>di</strong>ale, della sovranazionalità e in alcuni casi anche della ex-statualità del <strong>di</strong>ritto; un<br />
fenomeno in cui noi ve<strong>di</strong>amo nuovi centri <strong>di</strong> potere, nuovi gruppi organizzati imporsi e
incidere su quelli che sono gli interessi delle comunità molto spesso le più povere<br />
comunità della terra. Dunque è proprio sugli aspetti giuri<strong>di</strong>ci della globalizzazione che<br />
nessuno meglio del professor Rescigno potrà gettare qui oggi un fascio <strong>di</strong> luce.<br />
Cercherò <strong>di</strong> ricostruire il possibile cammino che il giurista e in particolare nell’ambito<br />
del <strong>di</strong>ritto, lo stu<strong>di</strong>oso del <strong>di</strong>ritto privato della mia materia, il contributo che può dare,<br />
il percorso che può compiere assieme ai cultori della scienza politica, dell’economia che<br />
certamente sono più <strong>di</strong>rettamente chiamati e prima ancora coinvolti in un <strong>di</strong>scorso che<br />
riguarda questo fenomeno della globalizzazione e quin<strong>di</strong> le possibili risposte che un fatto<br />
che già in larga misura è in via <strong>di</strong> compimento le risposte che questo fatto esige o può<br />
rendere possibili.<br />
<strong>Globalizzazione</strong> è un tema sul quale politica ed economia sono interlocutrici <strong>di</strong> un<br />
possibile <strong>di</strong>alogo a più voci; e poi ci sono tanti temi in cui si cerca <strong>di</strong> provocare e <strong>di</strong><br />
sentire competenze <strong>di</strong>verse nel campo del <strong>di</strong>ritto. È più frequente interpellare e<br />
interrogare un internazionalista e cioè lo stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> quel ramo del <strong>di</strong>ritto che almeno su<br />
un versante, (vi ricordo che per quanti si affacceranno agli stu<strong>di</strong> del <strong>di</strong>ritto<br />
conosceranno e stu<strong>di</strong>eranno le <strong>di</strong>stinzioni tra il <strong>di</strong>ritto internazionale pubblico e il <strong>di</strong>ritto<br />
internazionale privato) probabilmente sfioreremo anche questo secondo settore ma il<br />
<strong>di</strong>ritto internazionale pubblico significa il regolamento dei rapporti tra gli stati, significa<br />
la ricerca <strong>di</strong> soluzioni e nella maggior parte dei casi <strong>di</strong> soluzioni convenzionali, soluzioni<br />
pattizie, in pratica il ricorso a quello strumento elementare della convivenza fra gli<br />
uomini e quin<strong>di</strong> anche della convivenza fra le nazioni è costituito da un accordo e il<br />
<strong>di</strong>ritto internazionale è quin<strong>di</strong> lo strumento che può apparire anche per questo tema<br />
come un passaggio utile o ad<strong>di</strong>rittura in<strong>di</strong>spensabile per risolvere situazioni che più <strong>di</strong><br />
altre possono apparire segnate da <strong>di</strong>sparità, da <strong>di</strong> svantaggi, da inferiorità che occorre<br />
correggere e colmare. E’ un dato che la globalizzazione possa interessare e<br />
generalmente susciia o per lo meno abbia in concreto determinato l’attenzione dello<br />
stu<strong>di</strong>oso del <strong>di</strong>ritto pubblico interno, cioè non già delle relazioni tra gli stati, ma lo<br />
stu<strong>di</strong>oso che si ferma ad osservare l’organizzazione politica <strong>di</strong> un paese e quin<strong>di</strong> lavora<br />
all’interno <strong>di</strong> un certo or<strong>di</strong>namento. Perché questo fenomeno della globalizzazione<br />
certamente mette in <strong>di</strong>scussione capisal<strong>di</strong> della nozione <strong>di</strong> stato sulla quale il giuspubblicista,<br />
cioè lo stu<strong>di</strong>oso del <strong>di</strong>ritto pubblico interno si è formato, ma l’idea <strong>di</strong> stato,<br />
per lo meno quella dello stato moderno, è lo stato che in italiano è stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto:con<br />
questa formula vorremmo <strong>di</strong>re uno stato il quale pone delle regole che esso stesso deve<br />
rispettare. Questa formula che trovate spesso usata anche in gergo giornalistico,<br />
politico, quoti<strong>di</strong>ano vuol <strong>di</strong>re questo ed è un significato come vi renderete conto <strong>di</strong><br />
grande peso: stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto significa lo stato che pone regole, pone regole che si<br />
rivolgono ai sud<strong>di</strong>ti, ma pone innanzitutto regole a se stesso ed è tenuto a rispettarle.<br />
Questo è il significato della formula coniata da meno <strong>di</strong> due secoli e con la quale<br />
contrassegniamo il modo <strong>di</strong> essere, il modo <strong>di</strong> organizzarsi, <strong>di</strong> funzionare degli stati<br />
moderni, <strong>di</strong> quegli stati nei quali viviamo e rispetto ai quali spesso riven<strong>di</strong>chiamo poi la<br />
necessità che essi si conservino o si atteggino, se hanno avuto deviazioni, e spesso<br />
queste deviazioni si sono verificate e perciò chie<strong>di</strong>amo che si riaffermi e che quin<strong>di</strong> ci<br />
convinca, in un certo senso, oltre che a reggere la nostra vita come stato che si<br />
sottopone ad essa. Ecco in questa nozione <strong>di</strong> stato determinanti e decisivi erano i tre<br />
elementi del territorio, del popolo e della sovranità, così si insegnava nei libri <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto<br />
costituzionale correnti fino a qualche decina <strong>di</strong> anni fa.<br />
Ora non si tace <strong>di</strong> questi elementi nei libri <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto pubblico, si avverte che questa<br />
in<strong>di</strong>cazione è una in<strong>di</strong>cazione che deve essere aggiornata, corretta, rispetto a tutta una
serie <strong>di</strong> fenomeni che verosimilmente quello della globalizzazione è certamente un<br />
fenomeno che sollecita a ripensare a questo <strong>di</strong>scorso con una impostazione appunto in<br />
termini che muovevano da questi tre elementi come elementi al tempo stesso sufficienti<br />
ma anche necessari, in<strong>di</strong>spensabili perché una certa comunità si possa considerare stato.<br />
Conoscete già e certamente troverete tra le prime nozioni se, ripeto, vi orienterete<br />
verso gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto, un’altra <strong>di</strong>stinzione che pure è importante ed è importante<br />
anche per questo tema che sia pure in maniera molto elementare, approssimativa<br />
cercherò <strong>di</strong> presentarvi dall’angolo <strong>di</strong> osservazione del giurista. Un’altra <strong>di</strong>stinzione<br />
anche questa resa evidente in verità con gra<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> manifestazione dalla realtà<br />
moderna, dal mondo in cui viviamo: la <strong>di</strong>stinzione tra lo stato che consta <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong><br />
apparati, come suol <strong>di</strong>rsi, e cioè <strong>di</strong> uno stato fatto <strong>di</strong> organizzazione, <strong>di</strong> uffici, <strong>di</strong><br />
ministeri, parole queste del linguaggio comune, e uno stato invece visto come una<br />
comunità, che è una formula che parte dall’idea che lo stato non sia l’unica comunità,<br />
non è nemmeno la comunità che assorbe tutte le minori comunità,(minori comunità nel<br />
senso che generalmente hanno delle <strong>di</strong>mensioni più ristrette, si muovono cioè in ambiti<br />
più ridotti rispetto allo spazio che lo stato occupa). Anche da questo punto <strong>di</strong> vista però<br />
occorre intendersi e rettificare anche questa affermazione, perché nell’ambito dello<br />
stato, che è sempre il punto <strong>di</strong> vista che il giurista finisce con l’adottare, per abitu<strong>di</strong>ne,<br />
per semplificazione del suo <strong>di</strong>scorso, perché egli ragiona su quella realtà, nell’ambito<br />
dello stato vi sono anche comunità che per loro natura trascendono i confini dello stato.<br />
Pensiamo alle confessioni religiose: molte chiese non sono un fatto nazionale, non<br />
vivono cioè in un ambito ristretto fra i confini dello stato ma superano la realtà <strong>di</strong> un<br />
singolo stato nazionale. Un <strong>di</strong>scorso che almeno in passato e assai meno <strong>di</strong> un tempo<br />
riguardava i partiti politici quando vi erano dei movimenti che non erano localizzabili in<br />
un determinato stato, perché vivevano anche in una <strong>di</strong>mensione transnazionale<br />
attraverso dei legami che erano spesso anche legami formali. Ancora oggi in verità si<br />
parla per certi movimenti politici <strong>di</strong> una internazionale <strong>di</strong> un certo colore, <strong>di</strong> un certo<br />
tipo, ma non hanno lo stesso peso, la stessa importanza, la stessa valenza giuri<strong>di</strong>ca che<br />
avevano certe leggi internazionali degli anni durati fino a pochi decenni fa. Lo stesso<br />
<strong>di</strong>scorso si poteva fare, forse questo conserva qualche residuo ancora oggi valido, per<br />
certe urbanizzazioni sindacali. I sindacati nascono da realtà locali, anzi spesso nascono<br />
in una <strong>di</strong>mensione che è più ridotta rispetto a quella dell’intera nazione, ma nel periodo<br />
<strong>di</strong> maggiore presenza e impegno del sindacato, i sindacati hanno spesso creato anche<br />
forme <strong>di</strong> collegamento che davano vita con esiti giuri<strong>di</strong>ci, cioè con conseguenze rilevanti<br />
anche dal punto <strong>di</strong> vista del <strong>di</strong>ritto, a organizzazioni che superavano i confini nazionali.<br />
Quin<strong>di</strong> quando parliamo <strong>di</strong> comunità e <strong>di</strong>ciamo, anche questa è una formula che il<br />
sociologo e talvolta il giurista usano, che lo stato è la comunità delle comunità, usiamo<br />
una formula che può essere anche accettata soprattutto nell’ambito <strong>di</strong> uno stato il quale<br />
sia rispettoso delle varie comunità; se con questa formula vogliamo <strong>di</strong>re che lo stato<br />
deve atteggiarsi poi, perché per molti stati possiamo <strong>di</strong>re che costituzionalmente si<br />
propongono <strong>di</strong> essere, <strong>di</strong>chiarano <strong>di</strong> essere spesso lo scrivono nelle loro costituzioni, se<br />
lo stato vuol essere uno stato pluralista che riconosce le varie comunità questo stato può<br />
anche atteggiarsi, presentarsi come uno stato che si definisca la comunità <strong>di</strong> tutte le<br />
comunità, ma è un’espressione retorica che forse può <strong>di</strong>ventare ad<strong>di</strong>rittura pericolosa se<br />
qualcuno vuol vedervi l’idea <strong>di</strong> uno stato che ingloba in sè le varie comunità e quin<strong>di</strong> è<br />
portato anche a controllarle, è portato anche a favorirne alcune a scapito <strong>di</strong> altre, a<br />
sovvenzionarle.<br />
Il pericolo <strong>di</strong> uno stato pluralista può essere anche quello (soprattutto presente e che<br />
può gestirsi in quei paesi che sono arrivati tar<strong>di</strong> e non del tutto al pluralismo), <strong>di</strong><br />
concepire il pluralismo come qualcosa che va promosso, incoraggiato e che
inevitabilmente quin<strong>di</strong> porta a forme <strong>di</strong> <strong>di</strong>scriminazione perché vi saranno gruppi,<br />
organizzazioni, che incontreranno il favore dello stato e riceveranno anche aiuti, non<br />
certo <strong>di</strong> carattere economico, per vivere oppure un trattamento giuri<strong>di</strong>co <strong>di</strong> privilegio<br />
rispetto agli altri. Vi rendete conto quin<strong>di</strong> come questa formula possa essere accettata,<br />
ma debba essere intesa in un significato che non si traduca in una sorta <strong>di</strong> gerarchia per<br />
cui lo stato si pone in cima a tutte le comunità e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>venta il regolatore e anche<br />
l’ente che <strong>di</strong>segna questa specie <strong>di</strong> graduatoria <strong>di</strong> valori. Quin<strong>di</strong> stato apparato, stato<br />
comunità, un’altra <strong>di</strong>stinzione ritornata classica nel <strong>di</strong>scorso del giurista, soprattutto del<br />
giurista pubblicista, che è quello attento alla struttura dello stato, alla struttura e anche<br />
allo svolgimento dei compiti che poi tra<strong>di</strong>zionalmente lo stato si è assunti.Questa<br />
seconda <strong>di</strong>stinzione è una <strong>di</strong>stinzione nella quale si ritrova e anzi può essere utile<br />
l’apporto anche dello stu<strong>di</strong>oso del <strong>di</strong>ritto privato.Il <strong>di</strong>ritto privato, per anticiparvi in<br />
termini molto semplici una contrapposizione, una <strong>di</strong>fferenziazione, che poi coglierete<br />
anche al <strong>di</strong> là dell’impegno negli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto col tempo, significa, per rifarsi ad una<br />
vecchia classificazione, quella parte del <strong>di</strong>ritto che riguarda l’utilità dei privati, dove<br />
privato vuol <strong>di</strong>re non solo però i singoli, e questa è una prospettiva che si è aperta allo<br />
stu<strong>di</strong>o del <strong>di</strong>ritto privato soprattutto negli ultimi tempi, perché l’avvento dello stato<br />
moderno determinò una concezione dello stato, quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> riflesso dell’or<strong>di</strong>namento<br />
giuri<strong>di</strong>co in cui erano viste soltanto le due realtà contrapposte ed estreme dell’in<strong>di</strong>viduo<br />
e dello stato, nello stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto poneva regole a se stesso, come cercavo <strong>di</strong> ricordarvi<br />
e spiegarvi, poneva regole a se stesso anche e soprattutto nel segno del rispetto <strong>di</strong> una<br />
serie <strong>di</strong> prerogative del <strong>di</strong>ritto: le libertà in<strong>di</strong>viduali si traducono in spazi nei quali<br />
l’in<strong>di</strong>viduo può muoversi, deve essere messo in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> muoversi senza che nessuno<br />
lo controlli, che verifichi ciò che fa e perché lo faccia.<br />
Quin<strong>di</strong> libertà significa soprattutto <strong>di</strong>fesa da aggressioni esterne, libertà che poi nel<br />
tempo, soprattutto attraverso la formula dello stato sociale, significa altresì la libertà <strong>di</strong><br />
fare alcune cose e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> avanzare anche delle pretese che non si riducano alla<br />
astensione, alla assenza dello stato nella sfera in<strong>di</strong>viduale, ma che importino anche una<br />
presenza attiva dello stato che consenta la sod<strong>di</strong>sfazione <strong>di</strong> queste aspettative. Perché<br />
vi <strong>di</strong>cevo la prospettiva del <strong>di</strong>ritto privato <strong>di</strong>venta importante quando ci fermiamo a<br />
considerare accanto, oltre e, in una certa misura, anche contro lo stato apparato quello<br />
che abbiamo chiamato secondo una terminologia corrente come lo stato-comunità,<br />
perché lo stato-comunità significa appunto l’esistenza nell’ambito dello stato <strong>di</strong> una<br />
serie <strong>di</strong> gruppi, <strong>di</strong> formazioni e <strong>di</strong> comunità, che è il termine poi caro soprattutto alla<br />
sociologia( i giuristi conoscono e usano più termini come associazione, come società che<br />
danno l’imme<strong>di</strong>ata idea del contratto alla base <strong>di</strong> questa realtà sociale). Il termine<br />
comunità è preferito dal sociologo perché riesce a coprire anche tutta una serie <strong>di</strong><br />
comunità che hanno, dal punto <strong>di</strong> vista del sociologo, un carattere organico e talvolta<br />
hanno un carattere necessario almeno in certe forme storiche in cui si presentano.<br />
Pensiamo alla più elementare delle comunità che è la famiglia: nella famiglia si suol <strong>di</strong>re<br />
che ha un carattere <strong>di</strong> organicità, <strong>di</strong> naturalità e <strong>di</strong>cendo naturalità usiamo una formula<br />
che è usata anche nella nostra costituzione; la nostra costituzione <strong>di</strong>ce che la famiglia è<br />
una società naturale fondata sul matrimonio. Ciò non esclude, è un <strong>di</strong>scorso che come<br />
potete immaginare è assai aperto e <strong>di</strong>battuto tra i giuristi, il riconoscimento e la<br />
garanzia anche a unioni non fondate sul matrimonio, ma parte però da questo dato<br />
positivo. Nella costituzione <strong>di</strong> oltre mezzo secolo fa si muove dall’idea della famiglia<br />
come una comunità definita in termini <strong>di</strong> società naturale. Quin<strong>di</strong> naturalità, organicità,<br />
necessarietà sono qualificazioni che sembrano meglio rispecchiarsi in un termine come<br />
comunità, che è anche più generico <strong>di</strong> quanto non siano i termini società, associazione,<br />
che hanno invece una loro maggiore precisione, rispondono a un linguaggio legislativo
più rigoroso. E’ importante per garantire una società che sia veramente pluralista, per<br />
garantire veramente il pluralismo nell’ambito della società generale, è necessario che<br />
queste particolari comunità siano considerate come forme giuri<strong>di</strong>che regolate e ra<strong>di</strong>cate<br />
nel <strong>di</strong>ritto privato. Quando lo stato parte, si muove per il riconoscimento delle comunità<br />
ma poi cerca <strong>di</strong> riportarle alle proprie strutture, la società pluralista non esiste più, se<br />
mai è esistita. Quando in una organizzazione statale si dà riconoscimento e si inserisce<br />
anzi si attribuiscono ad<strong>di</strong>rittura delle funzioni pubbliche o quasi pubbliche ad un unico<br />
sindacato, come accadeva nel regime corporativo italiano dal 1926 al 1943 o si riconosce<br />
un solo partito politico e ad<strong>di</strong>rittura, in certi or<strong>di</strong>namenti, <strong>di</strong> questo unico partito<br />
politico si fa un organo dello stato, vi rendete conto che il <strong>di</strong>scorso in astratto viene<br />
ancora condotto in termini <strong>di</strong> pluralismo, ma nella sostanza questo pluralismo viene<br />
<strong>di</strong>strutto, e viene <strong>di</strong>strutto soprattutto perché queste aggregazioni sociali minori<br />
vengono ricondotte allo stato.<br />
Nel caso <strong>di</strong> regime corporativo, che anche sul piano giuri<strong>di</strong>co è uno dei più interessanti,<br />
un solo sindacato era riconosciuto per ciascuna categoria professionale e quel sindacato<br />
era appuntato a sfigurare i contratti collettivi efficaci per tutta la categoria<br />
professionale che è un risultato pratico importante, interessante, e che ha con<strong>di</strong>zionato<br />
la stessa nostra costituzione democratica. Ma vi rendete conto che è un dato, fu un dato<br />
positivo rilevante e lungo nella nostra storia politica, nella nostra storia costituzionale,<br />
un dato incompatibile con il pluralismo, perché significava la <strong>di</strong>struzione della pluralità<br />
e della concorrenza fra i sindacati e un solo sindacato <strong>di</strong>veniva sostanzialmente uno<br />
strumento dello stato. Ecco quin<strong>di</strong> nello stato-comunità è importante il ruolo del <strong>di</strong>ritto<br />
privato che significa non solo il ruolo <strong>di</strong> chi stu<strong>di</strong>a con questa mentalità, con questa<br />
educazione privatista, ma significa una scelta che sul terreno politico l’or<strong>di</strong>namento<br />
costituzionale fa in termini <strong>di</strong> rispetto del pluralismo collocando ciascuno <strong>di</strong> questi<br />
gruppi, ciascuna <strong>di</strong> queste formazioni sul terreno del <strong>di</strong>ritto privato, senza pretendere <strong>di</strong><br />
assorbirne nel campo delle funzioni, negli strumenti <strong>di</strong> cui lo stato come organizzazione,<br />
come società <strong>di</strong> tutti, se vogliamo usare una formula che anch’essa intesa correttamente<br />
può valere, lo stato rinuncia ad assorbire tutte queste formazioni. Ecco questi dati, sono<br />
dati dai quali il <strong>di</strong>scorso si può muovere, il <strong>di</strong>scorso poi si esaurirà rapidamente perché<br />
rappresentano un po’ punti <strong>di</strong> partenza nella riflessione del giurista. Il fenomeno della<br />
globalizzazione ha interessato in realtà per accenni, ho più volte sottolineato come il<br />
privatista abbia un ruolo minore nello stu<strong>di</strong>are questo fenomeno, ma poi vi ho detto<br />
adesso con riguardo a questa <strong>di</strong>stinzione stato-apparato, stato-comunità, come in realtà<br />
il <strong>di</strong>ritto privato sia chiamato ad esercitare una notevole funzione soprattutto se si<br />
muove da questa premessa che è una premessa non solo ideologica, ma che è una<br />
premessa anche <strong>di</strong> costruzione, <strong>di</strong> interpretazione dell’or<strong>di</strong>namento positivo, si parte<br />
dalla premessa che nello stato pluralista le comunità che vivono nell’ambito dello stato<br />
devono essere considerate come comunità <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto privato. Diritto privato significa poi<br />
in breve che devono nascere dal consenso degli in<strong>di</strong>vidui, non devono nascere da una<br />
imposizione esterna e devono vivere secondo la logica del <strong>di</strong>ritto privato. La logica del<br />
<strong>di</strong>ritto privato è, in primo luogo, o ad<strong>di</strong>rittura possiamo <strong>di</strong>re è esclusivamente la logica<br />
del contratto, cioè si entra in una formazione sociale per propria volontà, vi si rimane<br />
per propria volontà, anche questo un or<strong>di</strong>namento pluralista deve rispettare e quin<strong>di</strong><br />
non deve prevedere forme né <strong>di</strong> ingresso coattivo né <strong>di</strong> espulsione coattiva dalla<br />
formazione sociale. Qui mi limito a in<strong>di</strong>carvi alcuni punti soltanto <strong>di</strong> che cosa voglia <strong>di</strong>re<br />
concessione privatistica delle comunità e quin<strong>di</strong> dello stato pluralista. Il fenomeno della<br />
globalizzazione però cercavo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re ha mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> manifestarsi che vanno al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> questa<br />
<strong>di</strong>mensione nazionale, della <strong>di</strong>mensione dello stato pluralista, dello stato cioè fondato<br />
sulla esistenza, sul riconoscimento e sulla garanzia <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> comunità minori, dove
con la parola minore, vorrei cercare <strong>di</strong> chiarire, non si intende necessariamente una<br />
comunità che viva soltanto nell’ambito <strong>di</strong> una nazione. Toccato il tema della<br />
globalizzazione, un fenomeno molto importante anche a questo è stato più attento<br />
l’internazionalista <strong>di</strong> quanto non sia stato attento lo stu<strong>di</strong>oso del <strong>di</strong>ritto interno, ma lo<br />
stu<strong>di</strong>oso del <strong>di</strong>ritto interno pure è stato chiamato a pronunciarsi su certi principi <strong>di</strong> cui si<br />
è cercato <strong>di</strong> dare applicazione, alludo a uno dei temi ricorrenti nel <strong>di</strong>scorso della<br />
globalizzazione che è il <strong>di</strong>scorso del cosiddetto debito esterno. Il problema esiste ed è<br />
stato sollevato con particolare intensità per i paesi dell’america latina, paesi che sono<br />
stati travolti da un debito dello stato e anche organismi privati, che però si erano<br />
indebitati per ragioni che finivano col coinvolgere l’intera comunità statale. In verità in<br />
quell’occasione si è fatto ricorso, per cercare <strong>di</strong> venire incontro alle necessità <strong>di</strong> vita<br />
esistenziali <strong>di</strong> intere popolazioni, anche ad un principio che è iscritto, (ma è iscritto in<br />
maniera <strong>di</strong>fficile da ricostruire nella sua esattezza, nella sua precisione tecnica), si è<br />
fatto ricorso ad un principio che i giuristi, gli storici del <strong>di</strong>ritto esprimono con la formula<br />
latina “favor debitoris”.<br />
Non sempre le formule latine sono autentiche, spesso nascondono il tentativo <strong>di</strong><br />
ancorare al passato escogitazioni e invenzioni del presente, comunque la formula “favor<br />
debitoris” viene spesso usata per <strong>di</strong>re che il sistema positivo è innanzitutto il sistema dei<br />
rapporti tra privati regolato dal <strong>di</strong>ritto: il principio secondo il quale nei rapporti debito e<br />
cre<strong>di</strong>to sia nel momento in cui si costituiscono, sia nel momento in cui funzionano, si<br />
svolgono, sia nel momento in cui si arriva alla finale sod<strong>di</strong>sfazione del cre<strong>di</strong>tore, questi<br />
rapporti sono regolati nel segno, ove vi siano situazioni dubbie, finché un rapporto<br />
obbligatorio trova naturale svolgimento, il debitore è in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> pagare, il cre<strong>di</strong>tore<br />
riceve con sod<strong>di</strong>sfazione la sua pretesa non si pongono problemi, ma non si pongono<br />
problemi né per il <strong>di</strong>ritto né sul piano delle intenzioni sociali. Ove vi siano momenti <strong>di</strong><br />
crisi del rapporto obbligatorio si può ritenere, si può cogliere nel sistema anche se si<br />
tratta uno dei cosiddetti principi generali che ha bisogno però <strong>di</strong> una verifica assai più<br />
attenta e approfon<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> quello che con una semplice formula retorica si finisce col <strong>di</strong>re<br />
quando si pretende <strong>di</strong> legare al “favor debitoris” la risposta a tutti questi problemi<br />
tecnici. Anche perché il <strong>di</strong>ritto neanche il <strong>di</strong>ritto degli stati, giacché i rapporti fra stati<br />
oltre che il <strong>di</strong>ritto privato, conosce sì questa regola del favore da accordare al debitore<br />
in certe situazioni e quin<strong>di</strong> della interpretazione della stessa obbligazione nel senso del<br />
minor carico, il carico tollerabile, sopportabile ma il <strong>di</strong>ritto conosce ed è uno dei<br />
principi fondamentali anche nel <strong>di</strong>ritto privato, come nei rapporti tra stati, un’altra<br />
regola che è importantissima che è il principio del rispetto degli impegni assunti. Ancora<br />
una volta una formuletta latina condensa questa verità, questa regola giuri<strong>di</strong>ca che è la<br />
regola che quando stu<strong>di</strong>erete, perché alcuni <strong>di</strong> voi stu<strong>di</strong>eranno <strong>di</strong>ritto, scopriranno che<br />
ad<strong>di</strong>rittura questa regola è la norma fondamentale, è la norma cioè su cui è costruito<br />
l’intero <strong>di</strong>ritto internazionale, poiché il <strong>di</strong>ritto internazionale non procede, non proviene<br />
da nessuna autorità precostituita e questo spiega perché sia un <strong>di</strong>ritto che spesso non<br />
riesce a trovare sanzione nei comportamenti degli stati che si ribellano alle regole<br />
comunemente accettate. Questa regola è la regola che si condensa in un’altra<br />
formuletta latina che è quella “pacta sunt servanda”, che significa che gli impegni<br />
assunti e innanzitutto quelli assunti consensualmente, cioè attraverso un libero scambio<br />
<strong>di</strong> volontà, devono essere rispettati.<br />
Ora questi debiti per tornare alla situazione dei paesi dell’America latina sono debiti che<br />
sono nati da convenzioni almeno sul piano formale liberamente stipulati, liberamente<br />
assunti, quin<strong>di</strong> vi rendete conto che forse il ricorrere duramente e semplicemente ad un<br />
principio che va controllato nelle sue espressioni specifiche nell’ambito degli
or<strong>di</strong>namenti positivi, come il favor debitoris,la preferenza da accordare al debitore è<br />
principio che rischia, come del resto l’esperienza <strong>di</strong>mostra, <strong>di</strong> urtare almeno contro una<br />
regola altrettanto importante o ad<strong>di</strong>rittura secondo la comune opinione prevalente<br />
rispetto alla regola del favore del debitore, che è la regola del rispetto dei patti che<br />
significa poi rispetto della parola data se la trasferiamo ai rapporti tra gli uomini.Questo<br />
ancora una volta mette in luce i limiti del giurista, ri<strong>di</strong>venta un <strong>di</strong>scorso politico con<br />
implicazioni morali. Può <strong>di</strong>ventare un <strong>di</strong>scorso politico se si accetta una impostazione, o<br />
per lo meno il <strong>di</strong>ritto può sembrare in grado <strong>di</strong> fornire una risposta non minore <strong>di</strong> quella<br />
della morale, <strong>di</strong> quella della politica, se si muove da un’idea che fu formulata anche dai<br />
giuristi sia pure da movimenti un po’ marginali da un punto <strong>di</strong> vista quantitativo. Nel<br />
<strong>di</strong>ritto esiste un’altra regola, questa è una regola positiva, il <strong>di</strong>ritto si occupa anche<br />
delle situazioni in cui <strong>di</strong>venga impossibile per una persona adempiere alla propria<br />
obbligazione, cioè pagare il proprio debito. Se devo prestare una merce la quale va<br />
completamente <strong>di</strong>strutta in un terremoto, in un incen<strong>di</strong>o, il <strong>di</strong>ritto valuta questa<br />
impossibilità della prestazione per una causa che non è riferibile a me fino alla estrema<br />
soluzione della liberazione del debitore. Ma nel <strong>di</strong>ritto vi è una regola che non è<br />
considerata contrastante con questa impossibilità della prestazione, una regola secondo<br />
la quale vi è un bene il quale invece non perisce mai e quin<strong>di</strong> non consente mai <strong>di</strong><br />
nascondersi <strong>di</strong>etro l’impossibilità. Questo bene che per il <strong>di</strong>ritto non perisce mai è il<br />
danaro, perché il danaro è un bene per sé fungibile da un lato e dall’altro è considerato<br />
come un bene non specificato perché viene definito interesse, appunto il danaro come<br />
mezzo <strong>di</strong> scambio non i singoli pezzi, le singole monete quelle possono essere in<br />
concreto <strong>di</strong>strutte, ma non incidono sul fatto che il genere danaro non perisce mai; il<br />
che significa tradotto in parole molto povere, che non ci si può liberare dal dovere <strong>di</strong><br />
prestare accampando la impossibilità <strong>di</strong> pagare quella somma <strong>di</strong> danaro. Chi non ha<br />
danaro suo, deve procurarselo, altrimenti per il <strong>di</strong>ritto non è giustificato come<br />
inadempiente.<br />
È un <strong>di</strong>scorso riferibile anche ai popoli, alle nazioni che indebitate vedono crescere<br />
questo loro debito grazie a un gioco in virtù del quale, grazie anche a riferimenti a<br />
parametri <strong>di</strong> carattere sopranazionale, gli interessi su questi debiti finiscono col<br />
sopravanzare lo stesso ammontare del debito. Ancora una volta i legislatori, soprattutto<br />
quelli nazionali, come probabilmente sapete, certamente vi risulta anche dalla lettura<br />
<strong>di</strong> dati puramente informativi, intervengono contro le forme più gravi, le forme estreme<br />
<strong>di</strong> approfittamento dell’altrui bisogno, contro l’usura, ma l’interesse cioè questa specie<br />
<strong>di</strong> fruttificazione del danaro che produce a sua volta altro bene, sempre danaro, è un<br />
principio che una volta superate certe avversioni, certe condanne <strong>di</strong> carattere morale o<br />
ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> carattere teologico, contrassegna il <strong>di</strong>ritto e l’economia.Il danaro è<br />
fruttifero, il danaro è produttivo <strong>di</strong> altri beni e quin<strong>di</strong> chi è debitore <strong>di</strong> una somma <strong>di</strong><br />
danaro non solo non può invocare l’impossibilità <strong>di</strong> prestare quel bene che non finisce<br />
mai per definizione, ma è tenuto anche a pagare col ritardo nell’adempimento del<br />
debito, anche questi interessi. Ecco un <strong>di</strong>scorso che fu tentato in una stagione della<br />
cultura giuri<strong>di</strong>ca, che si chiamò dell’uso alternativo del <strong>di</strong>ritto,che voleva cioè sfruttare<br />
l’or<strong>di</strong>namento giuri<strong>di</strong>co, le regole <strong>di</strong> cui ogni or<strong>di</strong>namento si compone, cercando senza<br />
rinnegarle, senza violarle, o per lo meno senza violarle in maniera palese, ma <strong>di</strong><br />
impiegarle ove fosse possibile a significare anche cose che storicamente o positivamente<br />
per le regole non potevano valere e quin<strong>di</strong> ad introdurre per ciò che riguarda<br />
l’impossibilità della prestazione questo più generale concetto, per il quale quando un<br />
soggetto assume un debito, e qui si tratta come vi ricordavo <strong>di</strong> debiti che impegnavano,<br />
impegnano, (perché il fenomeno esiste tutt’ora), non il patrimonio <strong>di</strong> singoli, ma la<br />
con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> povertà o <strong>di</strong> ricchezza <strong>di</strong> un intero paese a tener conto che nel momento
in cui sorge il debito il cre<strong>di</strong>tore non può non tenere presente l’intera situazione <strong>di</strong> vita<br />
del soggetto che si indebita e quin<strong>di</strong> deve tener conto nel momento in cui<br />
l’adempimento si rivela impossibile <strong>di</strong> una elementare graduatoria <strong>di</strong> interessi, grazie<br />
alla quale si considera insopprimibile la sod<strong>di</strong>sfazione degli interessi vitali. In breve se il<br />
debitore per pagare il debito è costretto ad<strong>di</strong>rittura a rinunciare alla vita perché non è<br />
compatibile il pagamento del debito con la sod<strong>di</strong>sfazione degli elementari interessi <strong>di</strong><br />
vita, questa impossibilità <strong>di</strong>venterebbe un’impossibilità giuri<strong>di</strong>camente rilevante che<br />
esonererebbe dal pagamento. Vi rendete conto <strong>di</strong> come qui un <strong>di</strong>scorso può essere<br />
presentato in termini tecnici per dare una risposta ad un interrogativo <strong>di</strong> carattere<br />
morale, <strong>di</strong> carattere giuri<strong>di</strong>co e che su queste vie deve trovare la risposta.<br />
Il <strong>di</strong>ritto non è soltanto il <strong>di</strong>ritto chiuso nelle leggi e in tutte quelle altre fonti <strong>di</strong> norme<br />
giuri<strong>di</strong>che che spesso poi sono ancora più analitiche e più costrittive delle leggi. Un<br />
regolamento spesso pesa su <strong>di</strong> noi assai più <strong>di</strong> una legge nel senso formale del termine.<br />
Così come le leggi <strong>di</strong> maggiore <strong>di</strong>gnità hanno un impatto su <strong>di</strong> noi, per lo meno le<br />
sentiamo come capaci <strong>di</strong> avere su <strong>di</strong> noi influenza assai meno della leggina che riguarda<br />
un singolo caso. Penso alla costituzione che è la legge fondamentale ma che non<br />
avvertiamo come una fonte regolatrice soprattutto dei quoti<strong>di</strong>ani rapporti della vita<br />
sociale in cui ci troviamo coinvolti. Ecco, tornando a quello che vi <strong>di</strong>cevo in principio<br />
sulla concezione dello stato a questi elementi del popolo, del territorio, della sovranità.<br />
Oggi sono in crisi questi elementi da più punti <strong>di</strong> vista. Intanto si stanno realizzando<br />
delle forme <strong>di</strong> aggregazione che vanno al <strong>di</strong> là dei confini <strong>di</strong> uno stato, <strong>di</strong> una nazione; in<br />
verità più volte ho usato questi due termini quasi come sinonimi, ma sapete meglio <strong>di</strong><br />
me, per con<strong>di</strong>zioni storiche soprattutto, che non sono la stessa cosa. Ecco queste forme<br />
<strong>di</strong> organizzazioni sovranazionali come spesso vengono chiamate o <strong>di</strong> aggregazioni <strong>di</strong> stati<br />
possono essere messe in <strong>di</strong>scussione e molti dubitano del futuro <strong>di</strong> queste formule,<br />
molte <strong>di</strong> esse sono già realizzate, pensiamo alla comunità europea, la quale però non si<br />
attua per il fatto che c’è una moneta unica, quella procura fasti<strong>di</strong>, problemi, è stata<br />
però poi largamente o totalmente accettata, ma ci ren<strong>di</strong>amo conto che l’unità non è<br />
legata soltanto a questi aspetti. Invece i dubbi maggiori rinascono e si torna allora a<br />
quella vecchia idea della entità statale contrassegnata da popolo, territorio e sovranità.<br />
Qui un popolo inteso nel senso <strong>di</strong> una cultura il che significa in primo luogo <strong>di</strong> una<br />
lingua, anche se oggi è sempre più <strong>di</strong>ffusa l’idea <strong>di</strong> questa sorta <strong>di</strong> lingua franca, che<br />
sarebbe l’inglese, lingua in cui ci si incontrerebbe rinunciando almeno a parte delle<br />
nostre culture nazionali.<br />
Ecco, la mancanza <strong>di</strong> un popolo è certamente un fattore per un verso ritardante e per un<br />
altro verso forse un fattore da considerare in chiave critica sulla possibilità <strong>di</strong> arrivare<br />
tra l’altro a costruire quella costituzione europea della quale da più parti da tempo si<br />
parla e rispetto alla quale ci sono dei passi concreti che si stanno compiendo ma che<br />
probabilmente si rivelerà più <strong>di</strong>fficile da realizzarsi se non vorrà essere una carta nella<br />
quale scrivere soltanto quei principi comunemente accettati, consacrati, ormai vissuti<br />
come principi comuni, o ancora peggio qualcosa che risulti da una sorta <strong>di</strong> incontro<br />
compromissorio <strong>di</strong> regole provenienti da una cultura e <strong>di</strong> regole provenienti da altra<br />
cultura destinati a convivere.Il <strong>di</strong>scorso della globalizzazione non solo tocca il problema<br />
del popolo, e tocca quello della sovranità, ma forse quello della sovranità poiché la<br />
sovranità è carattere anzitutto formale dello stato, che non possiamo vedere, concepire<br />
come qualcosa destinato o capace <strong>di</strong> sbloccarsi anche in un, altrove, rispetto al modo in<br />
cui la concepiamo nello stato. Ci sono due momenti invece molto più importanti da<br />
segnalare legati al tema della globalizzazione, legati a questa prospettiva: la più vicina<br />
a noi è quella europea e, legati a questo fenomeno che vede trascendere i confini dello
stato, della nazione e vede ad<strong>di</strong>rittura sopprimere la <strong>di</strong>mensione territoriale non solo<br />
dello stato, ma la <strong>di</strong>mensione territoriale alla quale eravamo abituati a pensare anche<br />
nel costruire, nel capire i rapporti privati, perché il mondo globale nel quale già in larga<br />
misura viviamo che è materia <strong>di</strong> riflessione e per taluni <strong>di</strong> contestazione, per alcuni <strong>di</strong><br />
accettazione qualche volta ad<strong>di</strong>rittura entusiastica, acritica, per altri invece <strong>di</strong> serio<br />
timore, questo è un mondo il quale abolisce anche sul piano dei rapporti privati quei<br />
confini nei quali i <strong>di</strong>ritti statali, il <strong>di</strong>ritto privato degli stati si muoveva. Perché il <strong>di</strong>ritto<br />
del co<strong>di</strong>ce civile, <strong>di</strong>ritto che è anche e soprattutto il <strong>di</strong>ritto dei contratti è un <strong>di</strong>ritto che<br />
vede ancora le con<strong>di</strong>zioni tra privati nelle <strong>di</strong>mensioni, possiamo <strong>di</strong>re ad<strong>di</strong>rittura<br />
<strong>di</strong>mensioni storicamente superate, <strong>di</strong> un contratto che si svolge in uno spazio limitato, in<br />
un mercato nel quale si incontrano, per parlare delle figure contrattuali più <strong>di</strong>ffuse, più<br />
note in una compraven<strong>di</strong>ta si incontrano soggetti che si conoscono, soggetti che<br />
scambiano merce sulle quali possano svolgere anche un minimo <strong>di</strong> controllo, <strong>di</strong><br />
apprezzamento delle qualità, e se uno dei soggetti contesta la vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> questo accordo<br />
si può controllare se ci sono state situazioni che hanno pregiu<strong>di</strong>cato la libera<br />
manifestazione, innanzitutto la libera formazione, poi la manifestazione <strong>di</strong> questo<br />
consenso che oggi, come sapete appartenendo a una generazione che conosce queste<br />
cose e le pratica assai meglio della generazione ormai passata a cui appartengo, oggi<br />
una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> mercato è una <strong>di</strong>mensione tutta <strong>di</strong>versa, è una <strong>di</strong>mensione che ha<br />
consentito ad alcuni giuristi <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>sumanizzazione del contratto. Il<br />
contratto del co<strong>di</strong>ce civile ha ancora una relazione umana, per usare ancora una volta<br />
un linguaggio semplificato; oggi invece è possibile contrattare, (in verità era un<br />
fenomeno che già prima dell’era della globalizzazione grazie agli strumenti <strong>di</strong><br />
comunicazione cresciuti, tecnicamente sempre più sofisticati era un fenomeno già<br />
esistente ma oggi è <strong>di</strong>lagante), senza conoscersi attraverso strumenti meccanici che<br />
in<strong>di</strong>viduano beni che non si vedono <strong>di</strong> cui si possono accertare le qualità, l’idoneità ad<br />
un certo uso. E <strong>di</strong>venta quin<strong>di</strong> legge in questa situazione, una legge che essa stessa non<br />
ha più né bisogno né rispetto dei confini nazionali.<br />
Questo è il senso <strong>di</strong> un’altra formula, ancora una volta una formuletta latina che pure si<br />
trova largamente usata che è la “lex mercatoria”, che significa da un lato storicamente<br />
la legge dei mercanti, cioè degli operatori economici, quella legge che essi rispettano<br />
anche fuori dei confini <strong>di</strong> una nazione, anzi <strong>di</strong>venta legge destinata soprattutto a quei<br />
rapporti che non sono chiusi in un ambito nazionale: “lex mercatoria” oggi significa<br />
nell’uso che spesso se ne fa la legge del mercato. Ecco quale è il pericolo <strong>di</strong> questa<br />
legge mercatoria che non ha bisogno <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ci, non ha bisogno <strong>di</strong> leggi statali, che spesso<br />
viene ad<strong>di</strong>rittura menzionata nei contratti internazionali e che viene affidata spesso<br />
nella sua attuazione nel controllo non già ai giu<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> uno stato e nemmeno ai giu<strong>di</strong>ci<br />
internazionali, che poi forse sarebbero ancora meno capaci <strong>di</strong> applicarla, ma viene<br />
affidata a giu<strong>di</strong>ci privati, soprattutto ad arbitri nominati dalle parti, arbitri che devono<br />
conoscerla, e a cui le parti comunque si rimmettono perché la scoprono nella sua<br />
identità. Qual è il pericolo? Il pericolo è quello del ritorno ad una legge speciale che è<br />
inevitabilmente la legge dei più forti perché gli operatori economici certamente non<br />
sono i soggetti deboli del mercato, la legge mercatoria non la fanno i consumatori<br />
<strong>di</strong>spersi (anche se questi oggi si organizzano in forme <strong>di</strong> sindacalizzazione crescente), la<br />
legge mercatoria la fanno gli operatori economici e soprattutto quelli forti rispetto agli<br />
operatori economici deboli. Ma qual è l’ulteriore conseguenza alla quale deve essere<br />
attento lo stu<strong>di</strong>oso del <strong>di</strong>ritto privato e anzi lo stu<strong>di</strong>oso del <strong>di</strong>ritto civile nell’ambito del<br />
<strong>di</strong>ritto privato? Ecco il grande progresso che il <strong>di</strong>ritto privato moderno ha compiuto nello<br />
stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto e stato appunto quello <strong>di</strong> costruire il <strong>di</strong>ritto civile e i co<strong>di</strong>ci civili, dove la<br />
parola civile viene appunto dal termine citta<strong>di</strong>no, cioè aver creato un <strong>di</strong>ritto privato,
che poi è stato chiamato il <strong>di</strong>ritto privato comune, in cui gli uomini, anche gli uomini<br />
implicati nei rapporti commerciali non rilevano né per il ceto a cui appartengono né per<br />
la lingua che parlano e nemmeno, almeno in certi limiti, per la nazionalità che hanno o<br />
per una delle tante ragioni che <strong>di</strong> fatto ancora <strong>di</strong>fferenziano e <strong>di</strong>scriminano gli uomini.<br />
Gli uomini rilevano invece nella loro comune qualità <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni.<br />
E la nozione <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>no come sapete oggi è una nozione essa stessa in via <strong>di</strong> evoluzione<br />
e <strong>di</strong> allargamento. “Lex mercatoria” significa invece il ritorno in un settore che è<br />
con<strong>di</strong>zionante in tutta la nostra vita, un <strong>di</strong>ritto speciale, significa per usare ancora una<br />
volta dei termini estremamente semplificativi un ritorno al <strong>di</strong>ritto commerciale speciale<br />
che prevale sulla legge comune dei <strong>di</strong>ritti fin qui citati. Nel nostro paese, in Italia, non<br />
esiste più nemmeno un co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> commercio perché cinquant’anni fa fu emanato un<br />
co<strong>di</strong>ce del <strong>di</strong>ritto privato, che si chiama co<strong>di</strong>ce civile che assorbì la materia del<br />
commercio. Un co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> commercio da solo non significa che il <strong>di</strong>ritto è fatto dai<br />
mercanti, però è una spia, è un inizio non trascurabile. Nel nostro paese è quasi un fatto<br />
importante soprattutto se pensiamo al clima politico negli anni ’40, il superamento della<br />
contrapposizione <strong>di</strong>ritto del co<strong>di</strong>ce civile, <strong>di</strong>ritto del co<strong>di</strong>ce commerciale. La “lex<br />
mercatoria” è invece una sicura tentazione o inclinazione a <strong>di</strong>struggere il <strong>di</strong>ritto privato<br />
comune dei citta<strong>di</strong>ni, quello che è racchiuso ne co<strong>di</strong>ci civili per riaffermare l’autonomia,<br />
l’in<strong>di</strong>pendenza, che è poi in concreto il primato del mercato e della sua legge.<br />
Vittorio Agnoletto<br />
GLI ASPETTI POLITICO-SOCIALI<br />
Conferenza del 4 marzo 2002<br />
Il Dottor Agnoletto lo conoscete tutti, egli è un personaggio pubblico, leader<br />
riconosciuto del movimento No-Global. Oggi il dottor Agnoletto ci proporrà una<br />
riflessione sugli aspetti politico-sociali della globalizzazione tenendo conto naturalmente<br />
che il fenomeno ha una natura essenzialmente economica. Il suo parere sulla new<br />
economy sarà particolarmente interessante per noi perché egli è il leader più<br />
rappresentativo <strong>di</strong> quella che si può definire l’ala italiana del grande movimento dei<br />
popoli <strong>di</strong> Seattle. Questo movimento che idealmente vorrebbe abbracciare il mondo, può<br />
<strong>di</strong>rsi un movimento globale proprio in quanto esso pretende <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere tutti i popoli<br />
dai vecchi e nuovi nemici. Tutti i movimenti nel passato hanno sempre espresso istanze,<br />
problemi, riven<strong>di</strong>cazioni della società e molto spesso quando i partiti sono stati forti,<br />
essi hanno saputo tradurre nell’azione politica concreta quelle istanze che i movimenti<br />
<strong>di</strong> solito hanno posto anche con forza all’attenzione dei politici. Noi vorremmo sapere a<br />
che punto è lo stato della questione, dove stiamo andando, quali sono effettivamente in<br />
questo momento storico i rapporti tra il movimento <strong>di</strong> cui Agnoletto è il massimo<br />
esponente nel nostro paese e le forze politiche, e vorremmo anche sapere da Agnoletto,<br />
in quanto esperto conoscitore della materia, quale sia lo status attuale della questione<br />
mon<strong>di</strong>ale soprattutto a partire dall’ultimo forum in Brasile, a Porto Alegre, al quale egli<br />
ha partecipato e dal quale è da poco tornato.<br />
Mi presento: io sono un me<strong>di</strong>co con specializzazione in me<strong>di</strong>cina del lavoro. Ho iniziato<br />
facendo il me<strong>di</strong>co <strong>di</strong> fabbrica, poi dal 1987 ho fondato la LILA – lega italiana per la lotta
contro l’AIDS – <strong>di</strong> cui sono stato presidente fino a qualche mese fa. Ora io parlerò <strong>di</strong><br />
questa mia esperienza, e voi ascoltandomi, pensate a quelli che lavorano per la pace, a<br />
quelli che lavorano per l’ambiente, la cui storia è più o meno simile. Quin<strong>di</strong>ci anni <strong>di</strong><br />
lavoro sugli altri a <strong>di</strong>fendere che cosa? I <strong>di</strong>ritti delle persone sieropositive, a non essere<br />
emarginate, a non essere buttate fuori dalle scuole, dal lavoro, a non dover subire<br />
<strong>di</strong>scriminazioni. Voi siete giovani però forse qualcuno dei più gran<strong>di</strong> si ricorda<br />
quell’evento che fu uno dei principali riti me<strong>di</strong>atici <strong>di</strong> questo paese, quando nel ‘96<br />
davanti a 9 milioni <strong>di</strong> telespettatori in <strong>di</strong>retta su Rai1 io strappai il microfono alla<br />
presentatrice e quella sera, mentre si raccoglievano i sol<strong>di</strong> per la lotta all’AIDS, <strong>di</strong>ssi<br />
“Qui si raccolgono i sol<strong>di</strong> ma c’è anche chi sta facendo affari con le aziende<br />
farmaceutiche, con le multinazionali”. Ebbene quell’intervento fece il giro del mondo,<br />
mi denunciarono, il processo durò quattro anni e si concluse con un’assoluzione perché<br />
tutto quello che avevo detto era vero. E questa è la mia storia come presidente <strong>di</strong><br />
un’associazione <strong>di</strong> lotta all’AIDS.<br />
A un certo punto nel ‘96 accade una cosa importante: ci sono dei nuovi farmaci che si<br />
chiamano inibitori delle proteasi che permettono alla persona che entra in contatto col<br />
virus <strong>di</strong> sopravvivere in me<strong>di</strong>a dai se<strong>di</strong>ci ai <strong>di</strong>ciotto anni. Voi capite che tutta la<br />
situazione è cambiata: se uno che si infetta vive <strong>di</strong>ciotto anni certamente non abbiamo<br />
risolto il problema, non abbiamo farmaci che <strong>di</strong>struggono il virus, però se<strong>di</strong>ci-<strong>di</strong>ciotto<br />
anni non sono pochi, e nel frattempo lo stu<strong>di</strong>o e la ricerca progre<strong>di</strong>scono, si possono<br />
trovare nuove terapie risolutive, i malati hanno una prospettiva <strong>di</strong> possibile guarigione<br />
ben <strong>di</strong>versa..<br />
Purtroppo su 40 milioni <strong>di</strong> sieropositivi viventi, il 95 per cento non può accedere a questi<br />
farmaci, continuando a morire nel giro <strong>di</strong> pochissimi anni. Non parliamo <strong>di</strong> poche<br />
centinaia <strong>di</strong> migliaia o <strong>di</strong> due tre milioni <strong>di</strong> persone, ma <strong>di</strong> 38 milioni <strong>di</strong> uomini esclusi da<br />
questa nuova terapia.<br />
Io avevo dei progetti in giro per il mondo: in quel momento ero in Sudafrica, dove trovo<br />
questo dramma: 4 milioni <strong>di</strong> sieropositivi su una popolazione <strong>di</strong> 40 milioni <strong>di</strong> persone; se<br />
poi si escludono i bambini e gli anziani e parliamo delle donne dai 15 ai 40 anni,<br />
abbiamo una percentuale <strong>di</strong> infezione tra le donne che arriva al 20-25 per cento. Là non<br />
possono prendere farmaci. Perché? Perché un anno <strong>di</strong> terapia per un adulto costa circa<br />
10-12 mila euro, quando la spesa sanitaria pro capite all’anno in Africa può andare dai 4-<br />
5 ai 10-12-13 euro.<br />
Allora <strong>di</strong>co “Cosa siamo <strong>di</strong> fronte ad una <strong>di</strong>sgrazia <strong>di</strong>vina, un destino tremendo che<br />
impe<strong>di</strong>sce alle persone <strong>di</strong> prendere i farmaci?”. È così? No, non è cosi! Come mai il<br />
prezzo delle me<strong>di</strong>cine è così alto? Allora cominciamo a fare calcoli economici, an<strong>di</strong>amo<br />
sui siti delle multinazionali, an<strong>di</strong>amo a vedere i costi, ecc. e scopriamo che i costi <strong>di</strong><br />
ven<strong>di</strong>ta non hanno nessun rapporto con la ricerca e la produzione dei farmaci.<br />
Considerando tutti i costi <strong>di</strong> ricerca e <strong>di</strong> produzione i farmaci potrebbero costare 30-50<br />
volte meno. Come mai allora hanno imposto questi prezzi? Perché agiscono in con<strong>di</strong>zioni<br />
<strong>di</strong> monopolio. Come mai agiscono in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> monopolio? Allora il contagio e la sua<br />
mortalità non rappresentano un castigo <strong>di</strong>vino, piuttosto c’è qualche cosa nel mondo<br />
umano che non funziona.<br />
Io mi occupavo <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cina a quei tempi, <strong>di</strong> lotta all’AIDS, non ero uno sprovveduto, era<br />
quello il mio mestiere, non ero un economista; eppure insieme ad altri riusciamo a<br />
scoprire che c’è una cosa che si chiama WTO – Organizzazione Mon<strong>di</strong>ale del Commercio –
formata dai gran<strong>di</strong> paesi, dalle gran<strong>di</strong> potenze, che in accordo con le multinazionali<br />
impartisce delle regole. Una <strong>di</strong> queste regole è la proprietà intellettuale sui farmaci, il<br />
brevetto; in un libro ho fatto i nomi delle industrie farmaceutiche e gli avvocati mi<br />
hanno detto che avrei passato il tempo in magistratura e in tribunale (invece non mi<br />
hanno fatto neanche una denuncia), perché le cose che <strong>di</strong>co sono pesanti.<br />
Sono riuscito a documentare che se tu, Glaxo Wellcome, (un’azienda multinazionale<br />
farmaceutica tra le più importanti che produce farmaci contro l’AIDS) scopri un farmaco,<br />
grazie al brevetto per 20 anni, prorogabili fino a 25, sei l’unica azienda che può vendere<br />
e produrre quel farmaco, quin<strong>di</strong> ovviamente stabilisci il prezzo che vuoi. Nel caso poi<br />
dell’AIDS, la cosa è ancora più semplice e più complicata: insieme: sono 4 o 5 le aziende<br />
che producono i farmaci contro l’AIDS. Siccome una persona deve prendere 3-4 farmaci<br />
<strong>di</strong>versi, prodotti in genere da aziende <strong>di</strong>verse, l’accordo è ovvio: tu produci l’AZT, tu<br />
produci il TDI, tu produci il 3TC e il malato deve prendere tutti e tre questi farmaci,<br />
ognuno <strong>di</strong> noi fissa il prezzo che vuole, non ci facciamo concorrenza e per vent’anni il<br />
costo <strong>di</strong> ogni me<strong>di</strong>cina rimarrà immutato, permettendo tutti i profitti in un regime<br />
monopolistico.<br />
Scopriamo così che 38 milioni <strong>di</strong> persone muoiono perché i farmaci costano troppo per<br />
tutelare l’interesse delle multinazionali. Chi tutela l’interesse delle multinazionali è il<br />
WTO, cioè l’organizzazione mon<strong>di</strong>ale del commercio. C’è un’eccezione sanitaria,<br />
prevista negli accor<strong>di</strong> Trips, che sono accor<strong>di</strong> del WTO, che <strong>di</strong>ce in modo però molto<br />
generale: “Se una nazione è povera ed è in stato <strong>di</strong> epidemia può <strong>di</strong>chiarare l’emergenza<br />
sanitaria e solo in quel caso ha <strong>di</strong>ritto a produrre <strong>di</strong>rettamente i farmaci”. Questa<br />
eccezione si chiama “registrazione forzata”, e grazie ad essa il paese colpito da<br />
epidemia produce <strong>di</strong>rettamente i farmaci; se invece una nazione, oltre ad essere povera<br />
e oltre ad essere in situazione <strong>di</strong> epidemia, non è in grado <strong>di</strong> fare nulla, non ha neanche<br />
i sol<strong>di</strong> e gli strumenti per produrre i farmaci, allora può comprare i farmaci da un’altra<br />
nazione povera in stato <strong>di</strong> epidemia che però è in grado <strong>di</strong> produrli.<br />
Questa si chiama “importazione parallela”.<br />
Abbiamo quin<strong>di</strong> la registrazione forzata e l’importazione parallela.<br />
Succede che nel ’97 Mandela, allora presidente del Sudafrica, <strong>di</strong>ce che nel suo paese<br />
centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> persone muoiono <strong>di</strong> AIDS ogni anno e che ciò è inaccettabile;<br />
perciò <strong>di</strong>chiara il Sudafrica in situazione <strong>di</strong> emergenza sanitaria: “Di conseguenza il mio<br />
paese è autorizzato a produrre i farmaci attraverso la registrazione forzata”, questo<br />
grazie all’eccezione sanitaria prevista negli accor<strong>di</strong> Trips del WTO.<br />
Mandela lo decide nel ’97. Pochi giorni dopo 39 multinazionali <strong>di</strong> aziende farmaceutiche<br />
impugnano la legge, <strong>di</strong>cono che la legge non è rispettosa dei brevetti, <strong>di</strong>cono che il Trips<br />
non permette questa possibilità, cioè ne danno un’interpretazione restrittiva e in<br />
Sudafrica la legge viene bloccata per due anni e mezzo.<br />
In questo modo ci sono stati tra il “97 e l’aprile scorso oltre 400 mila morti. Finalmente<br />
nell’aprile del 2001, grazie ad una mobilitazione mon<strong>di</strong>ale delle associazioni <strong>di</strong> lotta<br />
all’AIDS, ma non solo, (poi vi spiegherò “non solo” perché è molto interessante sul piano<br />
della mobilitazione), le multinazionali sono obbligate a ritirare la denuncia. Ma si arriva<br />
al vertice del WTO <strong>di</strong> Dohain Qatar, quello recente del 10 novembre scorso, cioè<br />
l’incontro dei 144 Ministri del Commercio rappresentanti <strong>di</strong> altrettanti stati membri,
dove i giornali gestiti ovviamente da pochissime centrali informative, (voi sapete che le<br />
agenzie internazionali attingono tutte alle stesse fonti), mandano in giro notizie false<br />
<strong>di</strong>cendo che a Doha almeno si è vinto sull’accesso ai farmaci. Non è vero. A Doha è stato<br />
stabilito nel protocollo finale che una nazione povera in stato <strong>di</strong> epidemia può produrre<br />
il farmaco e invece la possibilità dell’importazione parallela, cioè dei poverissimi è stata<br />
bloccata per un anno. Se ne <strong>di</strong>scuterà nel novembre <strong>di</strong> quest’anno. Io sono tornato in<br />
Sudafrica a <strong>di</strong>cembre perché ho un progetto <strong>di</strong> lavoro lì, lavoro per ridurre la<br />
trasmissione del virus HIV dalle donne sieropositive ai bambini, questo è il mio lavoro e<br />
sono pagato per far questo, e ho visto come il Sudafrica, non essendo ancora in grado <strong>di</strong><br />
produrre i farmaci, non li ha perché non li può acquistare dal Brasile e dall’In<strong>di</strong>a che li<br />
producono: ciò <strong>di</strong>pende dal fatto che hanno bloccato l’importazione parallela.<br />
Il sottoscritto torna dal Sudafrica, riunisce l’assemblea della sua associazione e <strong>di</strong>ce: “Io<br />
accetto <strong>di</strong> lavorare nella LILA solo ed esclusivamente se noi ci impegniamo per questi<br />
paesi, non possiamo più pensare a <strong>di</strong>fendere i <strong>di</strong>ritti dei sieropositivi del nord del mondo<br />
e fregarcene del <strong>di</strong>sastro che c’è in Sudafrica. Ma è impensabile che la LILA insieme alle<br />
altre associazioni <strong>di</strong> lotta all’AIDS riesca a vincere qualcosa contro un organismo<br />
mici<strong>di</strong>almente forte come il WTO. Ecco allora che ci dobbiamo alleare”.<br />
E la mia associazione entra nel movimento contro questa globalizzazione; 600<br />
associazioni italiane arrivano nel movimento in questo modo. Quelle che si occupano <strong>di</strong><br />
ambiente ad un certo punto <strong>di</strong>cono: “Non possiamo occuparci solo della costa italiana<br />
perché se c’è una nazione come gli Stati Uniti che da soli producono il 20 per cento<br />
dell’inquinamento mon<strong>di</strong>ale e non firmano gli accor<strong>di</strong> <strong>di</strong> Kyoto, la nuvoletta<br />
dell’inquinamento non rimane circoscritta sopra <strong>di</strong> loro”. Abbiamo trasformato l’Asia e<br />
l’Africa in due pattumiere del mondo, ma la cosa non rimane lì, i gas nocivi non si<br />
fermano lì, né l’effetto-serra riguarda solo loro ecc. Allora dobbiamo batterci contro<br />
questa globalizzazione e gli organismi che la <strong>di</strong>rigono. Chi si occupa della battaglia<br />
contro il commercio delle armi <strong>di</strong>ce: “Non possiamo limitarci a bloccare il commercio<br />
delle armi solo in Italia, ormai sono le multinazionali che le producono”. Chi si batte per<br />
l’agricoltura, cioè per un equilibrio <strong>di</strong> autosufficienza alimentare, viene a scoprire che<br />
le regole del commercio dei prodotti agricoli le stabilisce il WTO, non le stabilisce<br />
l’ONU. È il WTO che impone per esempio ai paesi dell’America latina <strong>di</strong> togliere<br />
qualunque barriera protezionistica per permettere l’invasione del mercato da parte dei<br />
prodotti del nord, cioè dagli Stati Uniti e che invece permette che gli Stati Uniti<br />
mettano delle barriere protezionistiche rispetto all’importazione dell’acciaio dal Cile.<br />
Vige in una parola la legge del più forte. E allora anche i movimenti che lavorano sul<br />
tema dell’agricoltura e dell’importazione <strong>di</strong>cono “Dobbiamo entrare in questo<br />
movimento”. Ecco perché siamo il movimento dei movimenti: 600 associazioni <strong>di</strong> tutti i<br />
tipi che capiscono che la loro battaglia non può andare avanti se non dentro un <strong>di</strong>scorso<br />
più ampio, ma ognuno continua a fare la sua battaglia, io continuo a occuparmi della<br />
mia associazione, non sono più il presidente per non sovrapporre i ruoli, adesso ho<br />
questo ruolo nel movimento, ma sono il responsabile scientifico, cioè io lavoro sui<br />
progetti <strong>di</strong> ricerca scientifica della mia associazione e continuo ad occuparmi <strong>di</strong> sanità.<br />
La Legambiente continua ad occuparsi <strong>di</strong> ambiente, “Un ponte per Baghdad” continua ad<br />
occuparsi contro l’embargo in Iraq e via <strong>di</strong>cendo, le associazione per la pace, della pace<br />
ecc. ecc. Abbiamo messo insieme questo movimento, questa è la caratteristica e la cosa<br />
che ha importanza è la competenza.<br />
Che cosa è avvenuto a Porto Alegre? A Porto Alegre è avvenuto che dalle 50 alle 60 mila<br />
persone provenienti da tutti i continenti si sono trovate per <strong>di</strong>re: un altro mondo non
solo è possibile ma è necessario. Ormai nel mondo oggi non ci sono vie <strong>di</strong> mezzo, non<br />
esistono vie <strong>di</strong> mezzo. Io quando devo fare una battuta <strong>di</strong>co che il tentativo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere<br />
la terza via, <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere una gestione storica <strong>di</strong> questo neoliberismo, <strong>di</strong> questo modo <strong>di</strong><br />
governare il mondo in termini me<strong>di</strong>atici si è conclusa con l’immagine <strong>di</strong> Blair col<br />
cappello militare che comanda le truppe occidentali in Afghanistan all’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Bush.<br />
È finita lì l’ipotesi della terza via.<br />
A Porto Alegre si sono incontrati i movimenti <strong>di</strong> tutto il mondo e una gran quantità <strong>di</strong><br />
intellettuali, <strong>di</strong> ricercatori. Questa intanto è stata la prima cosa interessante: 900<br />
<strong>di</strong>battiti dove gli intellettuali, i ricercatori proponevano delle riflessioni, ma insieme in<br />
sala c’erano i movimenti della ra<strong>di</strong>calità sociale che cercavano <strong>di</strong> capire come quelle<br />
intuizioni potevano essere trasformate imme<strong>di</strong>atamente in elementi <strong>di</strong> battaglia politica<br />
e <strong>di</strong> trasformazione sociale.<br />
Faccio degli esempi: in una serie <strong>di</strong> articoli usciti durante Porto Alegre, uno sul Corriere,<br />
firmato da un economista noto, Fabrizio Onida, si sostiene: non è vero che la<br />
globalizzazione rende ancora più poveri i paesi poveri, ma la globalizzazione, questa<br />
globalizzazione, al contrario li aiuta a crescere: lo proverebbe l’aumento del PIL, il<br />
prodotto interno lordo, <strong>di</strong> quei paesi.<br />
Ho avuto una <strong>di</strong>scussione in un <strong>di</strong>battito pubblico alla Bocconi con Onida e gli ho fatto un<br />
ragionamento molto semplice: facciamo che il prodotto economico complessivo <strong>di</strong><br />
questa scuola sia un milione <strong>di</strong> euro. C’è una piccola <strong>di</strong>fferenza se, ipotizziamo <strong>di</strong> essere<br />
400 persone, il milione <strong>di</strong> euro è <strong>di</strong>viso per tutti e 400 oppure se io mi ritrovo con tutto il<br />
milione <strong>di</strong> euro e voi con zero zerini. Ecco è un po’ <strong>di</strong>verso, non tanto per me, ma per<br />
voi è un po’ <strong>di</strong>verso: voi con zero zerini non ci fate niente, io con un milione <strong>di</strong> euro vi<br />
saluto e me ne vado. Cioè il PIL che è la ricchezza prodotta da una nazione, non in<strong>di</strong>ca<br />
come <strong>di</strong>ce Galeano, grande intellettuale dell’America latina, il livello <strong>di</strong> vita della<br />
popolazione, non ci <strong>di</strong>ce nulla sulla stratificazione sociale, non ci <strong>di</strong>ce nulla sulla<br />
<strong>di</strong>fferenza sociale. Ecco perché a Porto Alegre, in questo caso per merito <strong>di</strong> Lilliput,<br />
sono stati proposti altri in<strong>di</strong>catori <strong>di</strong> qualità <strong>di</strong> vita: per <strong>di</strong>re se un paese sta meglio o sta<br />
peggio an<strong>di</strong>amo a misurare altre cose, an<strong>di</strong>amo a misurare la qualità dell’alimentazione,<br />
an<strong>di</strong>amo a misurare l’accesso ai servizi, an<strong>di</strong>amo a misurare la durata <strong>di</strong> vita, an<strong>di</strong>amo a<br />
misurare l’accesso ai farmaci della intera popolazione. Sono stati trovati degli<br />
in<strong>di</strong>catori, sistematizzati con calcoli complicatissimi, e adesso facciamo la battaglia per<br />
chiedere alle agenzie delle Nazioni Unite <strong>di</strong> prendere questi in<strong>di</strong>catori come elementi <strong>di</strong><br />
valutazione <strong>di</strong> un paese e non il PIL, che ci <strong>di</strong>ce solo il totale ma non ci <strong>di</strong>ce come è<br />
<strong>di</strong>stribuito. Oppure un’altra grande proposta del movimento é la seguente: “Noi siamo in<br />
una società dove l’economia ha il dominio totale della società mon<strong>di</strong>ale, dove il capitale<br />
finanziario si sposta da una parte all’altra del mondo in assenza <strong>di</strong> qualsiasi regola. Voi<br />
sapete che una delle ragioni dell’origine degli stati moderni è <strong>di</strong> porre delle regole <strong>di</strong><br />
convivenza sociale e civile e quin<strong>di</strong> anche <strong>di</strong> convivenza e <strong>di</strong> regole <strong>di</strong> funzionamento<br />
etico del mercato e al commercio. Ebbene, non c’è nessuna regola: tu chiu<strong>di</strong> un’azienda<br />
qui e la sposti nelle Filippine e anziché dare 2 milioni al mese o 1 milione e<br />
ottocentomila al mese all’operaio, dai un dollaro al giorno che sono 1800/2000 lire; puoi<br />
farlo. Dici che le donne se sono in gravidanza possono essere licenziate, puoi farlo: Vieti<br />
l’organizzazione sindacale se no licenzi la manodopera: Puoi farlo. Lo fai in Thailan<strong>di</strong>a,<br />
fai lavorare i bambini <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni a costruire i palloni che poi vengono venduti qui. In<br />
questo modo là sfrutti il lavoro pagando sostanzialmente nulla, non investi in termini <strong>di</strong><br />
risorse finanziarie o <strong>di</strong> infrastrutture; qui ven<strong>di</strong> dei prodotti delle multinazionali che
ovviamente sono supereconomici rispetto alla produzione interna, quin<strong>di</strong> produci anche<br />
un <strong>di</strong>sastro alla piccola e me<strong>di</strong>a industria e all’artigianato locale.<br />
Noi chie<strong>di</strong>amo dei <strong>di</strong>ritti per i lavoratori uguali per tutti, non i salari uguali per tutti dal<br />
momento che è chiaro che c’è un potere d’acquisto <strong>di</strong>verso, ma <strong>di</strong>ritti e tutela dei <strong>di</strong>ritti<br />
e poi chie<strong>di</strong>amo una cosa semplice: la Tobin Tax, cioè una tassa sulle transazioni<br />
finanziarie speculative. Chiunque lavora paga il 30-40 per cento in più <strong>di</strong> tasse, possibile<br />
che qualcuno che sta <strong>di</strong>etro un computer e sposta cifre incre<strong>di</strong>bili e quin<strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fica i<br />
mercati e l’occupazione da un posto all’altro e guadagna moltissimo non debba pagare<br />
nulla? Ecco questa è una delle campagne che facciamo. A che cosa serve e per quale<br />
motivo?<br />
Vi fornisco qualche dato per capire: l’Unicef, il programma <strong>di</strong> sviluppo delle nazioni<br />
unite, <strong>di</strong>ce che 80 milioni <strong>di</strong> dollari sono sufficienti per garantire a tutti gli esseri viventi<br />
accesso all’educazione <strong>di</strong> base, un cibo adeguato, acqua potabile e assistenza sanitaria e<br />
per le donne assistenze anche ostetriche e ginecologiche che è un grande problema per<br />
il sud del mondo. Ottanta milioni <strong>di</strong> dollari sembrano una cifra incre<strong>di</strong>bile. Eppure sono<br />
un quarto delle spese militari annue degli Stati Uniti, il nove per cento delle spese<br />
annue militari <strong>di</strong> tutto il mondo, l’otto per cento delle spese per la pubblicità che<br />
vengono realizzate in tutto il mondo. Si tratta <strong>di</strong> scegliere. Per portare l’acqua potabile<br />
a oltre un miliardo <strong>di</strong> persone che non ne possono fruire é sufficiente il tre per cento<br />
delle spese previste per la costruzione dello scudo spaziale <strong>di</strong> Bush. Si tratta <strong>di</strong><br />
scegliere!<br />
Perché vi <strong>di</strong>co questo? Perché una delle accuse che ci viene fatta è che siamo un<br />
movimento <strong>di</strong> idealisti, sognatori. Non mi fa schifo sognare, ma non siamo dei sognatori.<br />
Tomas Borg, che è uno dei comandanti della rivoluzione san<strong>di</strong>nista, ma anche uomo <strong>di</strong><br />
grande cultura, <strong>di</strong> grande poesia, in una bellissima poesia afferma: siamo sognatori ma<br />
coi pie<strong>di</strong> piantati ben per terra, sappiamo <strong>di</strong>stinguere i nemici e riconoscere gli amici.<br />
Siamo questa cosa, siamo in grado <strong>di</strong> avanzare proposte su qualunque argomento che<br />
riguarda il mondo, non siamo persone che sono illuse e quin<strong>di</strong> io <strong>di</strong>co dopo Porto Alegre<br />
la si smetta <strong>di</strong> chiamarci no-global! Capisco le esigenze della comunicazione me<strong>di</strong>atica<br />
veloce, ma noi non siamo no-global. Io sono per la globalizzazione, sono per un’altra<br />
globalizzazione che non è la globalizzazione unicamente del profitto, che è la<br />
globalizzazione dei <strong>di</strong>ritti, che è una globalizzazione che abbia delle strutture politiche<br />
rappresentative <strong>di</strong> tutti i popoli, che possono decidere che ci sono ruoli <strong>di</strong>versi dall’ONU<br />
rispetto al ruolo <strong>di</strong> istituzioni che nessuno ha eletto, il WTO non l’ha eletto nessuno, il<br />
G8 non l’ha eletto nessuno. La banca mon<strong>di</strong>ale e il fondo monetario, sapete come<br />
funzionano queste strutture che sono quelle che dominano il mondo? Non è che c’è lì<br />
una testa e un volto, funzionano come società per azioni. Sette nazioni, gli Stati Uniti<br />
sono la prima, l’Italia è la settima, da sole detengono più del 50 per cento <strong>di</strong> banca<br />
mon<strong>di</strong>ale e fondo monetario. Quin<strong>di</strong> quando banca mon<strong>di</strong>ale e fondo monetario fanno<br />
dei prestiti e degli interventi, lo fanno negli interessi <strong>di</strong> quelle sette nazioni. Allora<br />
questa è la globalizzazione che non vogliamo, non vogliamo un’ONU col <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> veto,<br />
vogliamo estendere a tutti il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> voto ed eliminare il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> veto, quel <strong>di</strong>rittoprivilegio<br />
riservato ai gran<strong>di</strong> che decidono in base ai loro interessi.<br />
L’esempio drammatico in questi giorni è l’Argentina. L’Argentina è stato il miglior<br />
scolaro, miglior studente della banca mon<strong>di</strong>ale e del fondo monetario, ha accettato<br />
tutto quello che chiedevano, ma anziché essere promossa a pieni voti è scivolata in<br />
fondo alla graduatoria e da lì nella fame. I suoi governi hanno privatizzato tutto quello
che dovevano privatizzare, non c’è più nulla da privatizzare in Argentina. La<br />
conseguenza è stata che fare una telefonata da Buenos Aires a Buenos Aires dentro la<br />
città costa cinque volte tanto che telefonare da Roma a Roma, perché ci sono due<br />
compagnie telefoniche, una francese e una spagnola, poi c’è quella italiana che è in<br />
compartecipazione: si è creato un accordo monopolistico in base al quale stabiliscono il<br />
prezzo che vogliono. L’Argentina che non era il sud del mondo, ha dovuto <strong>di</strong>chiarare<br />
l’emergenza sanitaria e mandare gli aerei in Brasile per rifornirsi <strong>di</strong> insulina necessaria<br />
ai <strong>di</strong>abetici. La Sanità è stata privatizzata totalmente. E quando il nostro governo si fa<br />
bello <strong>di</strong>cendo: “Man<strong>di</strong>amo i farmaci in Argentina” e il nostro presidente della camera<br />
onorevole Casini ci si reca in viaggio a tagliare un po’ <strong>di</strong> nastri e portare i farmaci, non<br />
<strong>di</strong>ce che anche in quel caso ci sono <strong>di</strong>scriminazioni: i farmaci vengono portati<br />
all’ospedale italiano <strong>di</strong> Buenos Aires, dove se sei italiano vai a farti curare senza pagare,<br />
se sei argentino devi pagare: Anche là, nella miseria più nera, si va a creare una<br />
solidarietà penosa. Qualche mese fa è stato approvato il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> voto degli italiani<br />
all’estero, questi sono i meccanismi con cui poi si raccolgono i voti all’estero: se sei<br />
italiano bene.<br />
Parlavamo l’altro giorno con don Ciotti, con il quale ho un rapporto <strong>di</strong> grande amicizia, a<br />
proposito dell’Argentina e gli <strong>di</strong>cevo: guar<strong>di</strong>, le banche che prestavano i sol<strong>di</strong> avevano<br />
un tasso <strong>di</strong> interesse del 17-18 per cento e lui mi rispondeva: in Italia sarebbe usura.<br />
Ma vi faccio un esempio per spiegare qual è il rapporto tra banca mon<strong>di</strong>ale e fondo<br />
monetario internazionale senza rintronarvi con i numeri: il Brasile dall’’89 al ‘97 ha<br />
accumulato 212 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari <strong>di</strong> debito, che non sono proprio quattro lire; dall’’89<br />
al ’97 ha pagato, ha restituito a banca mon<strong>di</strong>ale e fondo monetario 216 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
dollari. Il Brasile deve ancora pagare 212 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari. Non ho sbagliato i calcoli:<br />
ho frequentato il classico ma in matematica ero bravissimo. Il problema è che ha pagato<br />
solamente gli interessi. Quando tu hai un interesse annuo in questo caso che varia dal 10<br />
al 14 per cento e tu hai restituito a quelli che ti hanno prestato i sol<strong>di</strong>, banca, fondo,<br />
multinazionali ecc. tutto quello che loro ti hanno dato, in realtà non hai ancora<br />
restituito niente e non lo salderai mai il debito, sarai legato ad esso per tutta la vita, ( e<br />
qui si parla non <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo ma <strong>di</strong> una nazione): per tutta l’esistenza si deve<br />
continuare a pagare un debito che continua ad aumentare, perché tu o riesci a pagare<br />
212 miliar<strong>di</strong> per 10 per cento, 21 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari all’anno, ne aggiungi un po’<br />
arriviamo a 27-28 miliar<strong>di</strong> da pagare all’anno e questo solo per non far aumentare il<br />
debito. Si tratta degli interessi. Avete in mente uno strozzino? Questa è la banca<br />
mon<strong>di</strong>ale e questo è il fondo monetario.<br />
Quando sentite parlare <strong>di</strong> aggiustamenti strutturali, ebbene si tratta <strong>di</strong> questo: ti <strong>di</strong>cono<br />
anche come devi fare: “tu mi devi ripagare e non mi hai pagato niente, sai cosa devi<br />
fare? Te lo <strong>di</strong>co io! Devi <strong>di</strong>struggere tutte le spese sociali, quin<strong>di</strong> cominciamo a<br />
<strong>di</strong>struggere la sanità, ai poveri <strong>di</strong>amo una sanità da nulla, teniamo la sanità per i ricchi<br />
che pagano; cominciamo a far sì che le scuole superiori <strong>di</strong>ventino a pagamento; i libri<br />
perché darli gratuitamente? ecc. ecc.” Queste sono le cure imposte dalla banca<br />
mon<strong>di</strong>ale e dal fondo monetario.<br />
Ecco come funziona il mondo, ecco come viene dominato, con quale logica. Vi ho fatto<br />
l’esempio dell’acciaio, vi posso fare tantissimi altri esempi ma per ultimo vi offro questo<br />
per poi chiudere su alcune questioni italiane. Avrete sentito parlare molto dell’OGM,<br />
degli organismi geneticamente mo<strong>di</strong>ficati. Noi <strong>di</strong>ciamo: fermi lì! per un principio <strong>di</strong><br />
precauzione. Non accettiamo che si mettano in commercio delle sostanze <strong>di</strong> cui non si sa
esattamente cosa producano nel corpo umano e non accettiamo la logica che il<br />
neoliberismo vorrebbe e cioè che, fino a quando non sappiamo che non producono<br />
<strong>di</strong>sastri, li lasciamo in commercio. No! La regola deve essere quella contraria: non si<br />
mettono in commercio fino a quando non si è sicuri che non producono <strong>di</strong>sastri. Nel nord<br />
del mondo ci battiamo contro l’OGM in base al principio della precauzione, ma nel sud<br />
del mondo il principio <strong>di</strong> precauzione non è solo questo ma è un altro. Lì dobbiamo<br />
tutelare le cooperative, che in tutto il mondo latinoamericano hanno sviluppato una<br />
economia <strong>di</strong> sopravvivenza autonoma; ora arriva Monsanto, la grande multinazionale che<br />
produce i semi geneticamente mo<strong>di</strong>ficati, ed offre un seme: questo seme ti fa comodo al<br />
momento, nel senso che io te lo do, tu produci 2-3 volte tanto <strong>di</strong> più perché il seme è<br />
geneticamente mo<strong>di</strong>ficato. Però, se lo produco io, faccio in modo tale che tu il seme<br />
non lo possa usare nel futuro: cosi’ dovrai tornare a comprarlo da me e comprarlo<br />
mo<strong>di</strong>ficato in modo <strong>di</strong>verso ogni volta, in una catena senza termine che strangola<br />
l’economia autonoma; con questo sistema sicrea una <strong>di</strong>pendenza: tu <strong>di</strong>pen<strong>di</strong> totalmente<br />
da me, io stabilisco l’assoluto monopolio della produzione agricola. Non solo! Io il seme<br />
te lo do unicamente per qualche prodotto, così tu produci monocoltura, finalizzata<br />
all’esportazione e tu stesso per sopravvivere, siccome non hai altri prodotti perché fai<br />
monocoltura finalizzata all’esportazione, sei obbligato ad acquistare da altri mercati che<br />
controllo io gli altri prodotti. In questo modo si <strong>di</strong>strugge totalmente quello che si è<br />
costruito in decenni <strong>di</strong> faticose lotte <strong>di</strong> leberazione economica e sociale dal<br />
neocolonialismo, cioè un’autonomia politica e <strong>di</strong> organizzazione ecc. dell’agricoltura dei<br />
paesi del sud del mondo. Se poi tutte le regole del commercio le controlla il WTO,<br />
guardate semplicemente le posizioni protezionistiche delle colture nell’Europa.<br />
A Porto Alegre ci siamo trovati per <strong>di</strong>re: “Questo tipo <strong>di</strong> mondo non ci sta bene, ci porta<br />
alla <strong>di</strong>struzione: con le armi che girano nessuno ci venga a <strong>di</strong>re che siamo tranquilli, per<br />
il solo fatto che c’è l’omino con la valigetta che controlla il bottone, perché poi, visto<br />
qual è l’omino che controlla il bottone, tranquilli non stiamo assolutamente per nulla. E<br />
non è solo questione dell’omino, è questione <strong>di</strong> tante altre armi che girano, ma quello<br />
che può accadere l’11 settembre l’ha <strong>di</strong>mostrato.<br />
Sull’inquinamento non stiamo tranquilli per niente e allora <strong>di</strong>ciamo: “E’ necessario un<br />
altro mondo”. Quest’altro mondo può venire con alcune delle proposte <strong>di</strong> cui si può<br />
parlare a lungo che facciamo. Il movimento a livello globale è un grande movimento<br />
internazionale, ha la capacità <strong>di</strong> intervenire, <strong>di</strong> avanzare delle proposte da porre al<br />
centro della battaglia politica. Pensate alla vicenda della Tobin Tax che prima nessuno<br />
voleva e oggi tutti i più gran<strong>di</strong> paesi sono obbligati a <strong>di</strong>scutere.<br />
Chiuderei con un dato. Il primo dato statistico: la <strong>di</strong>fferenza negli ultimi 40 anni tra le<br />
20 nazioni più ricche e le 20 nazioni più povere è passata da 1 a 18 a 1 a 36, ma, come<br />
se non bastasse, la <strong>di</strong>fferenza tra il 20 per cento più ricco della popolazione mon<strong>di</strong>ale,<br />
(quin<strong>di</strong> non è il 20 per cento più ricco delle nazioni, ma il 20 per cento della popolazione<br />
più ricca sul globo) e il 20 per cento più povero è arrivato ad un rapporto <strong>di</strong> 1 a 80. C’è<br />
quin<strong>di</strong> evidentemente una forte ingiustizia ed una inesorabile <strong>di</strong>varicazione tra ricchi e<br />
poveri a livello planetario che si accentua.<br />
Allora chiudo con una riflessione che è oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione nel movimento: io ricordo<br />
la posizione del movimento italiano, noi non siamo d’accordo con Susan George, che è<br />
una grande esperta rispetto a questo tema, su un solo punto: non è vero che questo<br />
movimento è il primo movimento che agisce solo in termini <strong>di</strong> solidarietà e che non<br />
chiede nulla per se stesso. È molto romantica come definizione ma non è vera, sul piano
politico è importante saperlo. Noi siamo un movimento, io lo <strong>di</strong>co senza vergogna, che è<br />
animato anche da un sano egoismo, che è l’egoismo della sopravvivenza. Solo un<br />
ignorante può pensare che se il mondo va così sono fatti dell’Africa, dell’Asia,<br />
dell’America Latina e il resto del mondo se ne può <strong>di</strong>sinteressare!<br />
Ve lo <strong>di</strong>co come me<strong>di</strong>co che lavora da 15 anni sull’AIDS: quando il virus <strong>di</strong>struggeva<br />
centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> persone in Tanzania, in Kenya, si ragionava cosi’: “Ma chi se ne<br />
frega, tanto là muoiono lo stesso”; poi ha cominciato a uccidere le persone delle<br />
periferie <strong>di</strong> San Francisco e New York, e si <strong>di</strong>ceva: “ Chi se ne frega, sono<br />
tossico<strong>di</strong>pendenti, immigrati”; poi ha cominciato a uccidere qualcuno della lobby gay <strong>di</strong><br />
San Francisco, “ah le checche, <strong>di</strong>amo loro quattro lire e si organizzano per conto<br />
proprio”; poi quando ha cominciato ad ammazzare migliaia <strong>di</strong> persone eterosessuali in<br />
tutto il mondo senza che fossero neri, tossico<strong>di</strong>pendenti o gay, allora corriamo ai ripari!<br />
Ma ormai il virus era in <strong>di</strong>ffuso in tutto il mondo. Non essere intervenuti in Africa ha<br />
permesso un <strong>di</strong>sastro mon<strong>di</strong>ale. Voi pensate che negli altri campi non funzioni allo stesso<br />
modo? Voi pensate che se gli altri paesi vanno verso la fame, la <strong>di</strong>struzione, non hanno i<br />
farmaci per le malattie, pensate che la gente rimane lì a morire? Ma altro che<br />
l’emigrazione <strong>di</strong> oggi! Arriveranno in milioni per cercare <strong>di</strong> salvarsi perché quando non<br />
c’è nulla si aggrappano all’unica scialuppa che ci può essere! o ci arriveranno con le<br />
buone o ci arriveranno con le cattive, perché <strong>di</strong> fronte alla morte si cerca <strong>di</strong> tutto per<br />
sopravvivere.<br />
Voi pensate che se an<strong>di</strong>amo avanti con l’inquinamento, esso rimane circoscritto sulla<br />
testa <strong>di</strong> chi lo produce, sulla testa degli africani che tanto sono ammalati e invece noi<br />
non saremo coinvolti? E sulla questione delle armi pensate che possiamo fare il cow boy<br />
che si auto<strong>di</strong>fende? E perché pensate che se il mondo va avanti così non ci saranno<br />
milioni <strong>di</strong> persone che nella piena <strong>di</strong>sperazione si affideranno al terrorismo nell’illusione<br />
<strong>di</strong> poter cambiare qualche cosa? C’è o non c’è la possibilità <strong>di</strong> salvare il nostro<br />
pezzettino <strong>di</strong> mondo oggi che tutto è globalizzato costruendo una specie <strong>di</strong> <strong>di</strong>ga in cui<br />
rinserrarsi per stare sicuri? Certo, è vero, morranno prima in Africa, prima in Asia, ma<br />
poi saremo tutti trascinati verso quello stesso destino. E questo è il motivo per cui noi<br />
<strong>di</strong>ciamo che ci battiamo perché un altro mondo possibile è necessario. La mia è una<br />
riflessione che scaturisce dalle parole d’or<strong>di</strong>ne dei movimenti dei lavoratori che<br />
<strong>di</strong>cevano: Lottiamo per lasciare ai nostri figli un futuro migliore. Io non credo che sia più<br />
questo oggi il problema. È più grave. Noi oggi non ci battiamo per lasciare ai nostri figli<br />
un futuro migliore, noi ci battiamo per lasciare ai nostri figli un futuro, sapendo che<br />
l’unico futuro possibile è quello che mo<strong>di</strong>fica l’ingiusta e drammatica situazione che vi<br />
ho descritto. Perché se an<strong>di</strong>amo avanti in questo modo, io non <strong>di</strong>co nel giro <strong>di</strong> qualche<br />
anno, ma nel giro <strong>di</strong> qualche decennio tutta l’umanità è complessivamente a rischio.<br />
Le domande e le risposte più significative nel <strong>di</strong>battito<br />
Domanda: …in ogni movimento c’è sempre una vena <strong>di</strong> anarchismo, che può essere<br />
un’espressione forte <strong>di</strong> libertà anche fuori dai contesti istituzionalizzati. Io vorrei sapere<br />
all’interno del nostro paese la vostra proposta politica come viene portata avanti in<br />
Parlamento, cioè da chi e come vi sentite rappresentati all’interno del Parlamento<br />
italiano? A livello internazionale esiste una proposta politica del movimento globale <strong>di</strong><br />
cui lei è esponente? Chi vi rappresenta? Come pensate <strong>di</strong> agire poi concretamente?<br />
Oppure vi fate rappresentare da determinate forze politiche alle quali vi legate o da<br />
persone che fuori dagli schieramenti portino avanti a livello <strong>di</strong> azione concreta quello<br />
che è frutto delle vostre analisi e delle vostre denunce?
Domanda: …vorrei chiedere al dott. Agnoletto che facesse una rapida rassegna sulle<br />
opposizioni che oggi emergono da parte <strong>di</strong> coloro che si contrappongono a questo<br />
movimento dei no-global, i vostri avversari con quali argomenti replicano e si oppongono<br />
alle vostre posizioni?<br />
Domanda: …lei ci ha fornito dati concreti sulle sperequazioni che esistono nel mondo e<br />
sulle spese che si affrontano in vari settori, per esempio si spendono ottomila miliar<strong>di</strong><br />
per le ricerche sullo scudo spaziale, ma non ci si cura <strong>di</strong> garantire il minimo <strong>di</strong><br />
sopravvivenza alle popolazioni africane: come mai i responsabili della politica non<br />
vedono queste assur<strong>di</strong>tà? E i mass-me<strong>di</strong>a che cosa pubblicizzano se, <strong>di</strong> fronte ai problemi<br />
<strong>di</strong>battuti a Porto Alegre, presentano quel consesso come la riunione dei fricchettoni del<br />
2000? In questa situazione il movimento deve rimanere solo movimento?<br />
Dott. Agnoletto: Io ho fatto una introduzione sulle questioni del mondo per un motivo<br />
nobile e uno banale che vi <strong>di</strong>co. Quello nobile perché noi abbiamo come movimento un<br />
bisogno enorme <strong>di</strong> riuscire a spiegare che non siamo solo un movimento contro, noi<br />
abbiamo proprio un bisogno enorme <strong>di</strong> riuscire a spiegare che siamo un movimento in<br />
grado <strong>di</strong> proporre. In secondo luogo perché ogni volta che mi si pongono delle domande<br />
mi becco una polemica che non finisce più. L’ultima volta è successo a Lecco, dove<br />
vogliono ad<strong>di</strong>rittura chiudere la scuola che mi ha invitato. Era una scuola elementare<br />
dove gli insegnanti hanno preparato per sei mesi tutto un lavoro sulla globalizzazione e<br />
poi hanno fatto degli incontri con degli esperti per parlarne. Io naturalmente con i<br />
bambini non parlo come con voi. Ho detto loro dove venivano prodotte e come, da dove<br />
venivano quelle scarpe A<strong>di</strong>das che portavano ai pie<strong>di</strong>. Ho fatto questo esempio. C’è<br />
stata una reazione abnorme: tutta la città da una parte, la sinistra in <strong>di</strong>fesa dall’altra<br />
parte, mentre la Moratti deve decidere se chiudere la scuola; sono stato pure accusato<br />
in Parlamento con interrogazioni in cui si chiedeva se si poteva aprire la porta anche ai<br />
pedofili: nel senso che qualcuno mi ha accusato <strong>di</strong> “pedofilia politica”. Voi ridete ma io<br />
me le ritrovo scritte sui giornale queste cose.<br />
Quello che penso io è quello che pensa su questi punti il 90 per cento del movimento.<br />
Noi non <strong>di</strong>venteremo un partito politico. Fino a quando io avrò questo ruolo noi non<br />
<strong>di</strong>venteremo una organizzazione. Siamo un mare dove gli immissari sono molto maggiori<br />
degli emissari, continuiamo a crescere. La cosa più stupida che possiamo fare è <strong>di</strong><br />
mettere delle barriere e degli argini in modo da impe<strong>di</strong>re l’arrivo <strong>di</strong> altri. Chi vuol venire<br />
deve però accettare certe <strong>di</strong>scriminanti nette precise: contro il neoliberismo e contro la<br />
guerra Chi è d’accordo con queste <strong>di</strong>scriminanti è ben accetto, chi non è dentro queste<br />
<strong>di</strong>scriminanti vada per un’altra strada, c’è spazio per tutti.<br />
Lo <strong>di</strong>co perché siamo stati durissimi quando alcuni parlamentari venivano a Porto Alegre<br />
a fare un po’ <strong>di</strong> casino <strong>di</strong>cendo: abbiamo votato in Italia per la guerra adesso veniamo<br />
qua e votiamo un documento contro la guerra, poi torniamo in Italia e continuiamo a<br />
<strong>di</strong>re che siamo favorevoli alla guerra; su questo caso noi siamo stati inflessibili e non per<br />
un problema <strong>di</strong> sigla, anche perché dentro le sigle i parlamentari votano in modo <strong>di</strong>verso<br />
tra <strong>di</strong> loro. Siamo stati netti perché esigiamo un minimo <strong>di</strong> coerenza: se un parlamentare<br />
in Italia vota a favore della guerra non venga poi in Brasile a firmare un documento che<br />
condanna la guerra, oppure a fare figure tremende come quando per tre giorni viene a<br />
Porto Alegre, a parlare <strong>di</strong> tutto e quando si deve votare il documento contro la guerra<br />
due o tre parlamentari alle sette prendono l’aereo per tornare in Italia per avere un<br />
alibi: così <strong>di</strong>ranno che non c’erano e che non hanno votato. Questi sono comportamenti<br />
meschini ed incoerenti<br />
Ciò non significa che siamo in<strong>di</strong>fferenti alla politica, ma la politica non è solo quella dei
partiti, né si esprime solo nelle Camere.<br />
Sui gran<strong>di</strong> temi che ho spiegato noi siamo circa 300 mila militanti, in Italia abbiamo con<br />
noi milioni <strong>di</strong> persone; il parlamento ha votato con il 93 per cento dei suoi esponenti a<br />
favore della guerra, tutti i sondaggi <strong>di</strong>cono però che il 50 per cento degli italiani è<br />
contrario alla guerra. Sulla Tobin tax il sottoscritto, come portavoce del Genoa Social<br />
Forum, a metà luglio mandò un telegramma a due persone che si chiamano Rutelli e<br />
Fassino per avvertire: “Riunione con il movimento cancellata” perché a metà luglio<br />
avevano presentato la mozione sul G8 togliendo la questione della Tobin tax, per trovare<br />
un accordo con il governo: ognuno ha approvato la mozione dell’altro. Abbiamo detto<br />
che non eravamo interessati a parlare con loro se non aprivano sulla Tobin-tax. Adesso<br />
che abbiamo lanciato la campagna sulla Tobin-tax venti giorni fa, avete visto tutti<br />
andare ai banchetti, firmare, e anche i giovani <strong>di</strong>essini raccolgono le firme a favore.<br />
Abbiamo mo<strong>di</strong>ficato su un punto importante il loro modo <strong>di</strong> pensare. Ieri a Bologna<br />
eravamo 15 mila persone per manifestare contro un centro <strong>di</strong> detenzione per immigrati.<br />
Ma noi non ci limitiamo a <strong>di</strong>re che la legge Bossi-Fini tratta gli immigrati peggio <strong>di</strong> merci:<br />
infatti se io ho una merce a cui tengo, cerco <strong>di</strong> far sì che non si rovini. Invece<br />
l’immigrato lo prendo, lo spremo, lo faccio lavorare, quando non ha più il contratto<br />
viene rimandato in<strong>di</strong>etro, ne arriva un altro. Zero potere contrattuale e attenzione<br />
perché quando c’è zero potere contrattuale per alcune migliaia <strong>di</strong> persone che se <strong>di</strong>cono<br />
una sillaba possono essere licenziate e perdono il posto <strong>di</strong> lavoro, <strong>di</strong>minuisce il potere<br />
contrattuale <strong>di</strong> tutti. Subentra il ricatto se gli operai o i lavoratori protestano o<br />
scioperano: tutti zitti perché ci sono gli immigrati da chiamare i quali sono più como<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
voi perché hanno zero potere contrattuale.<br />
Quando abbiamo organizzato la manifestazione non abbiamo detto solo no alla Bossi-<br />
Fini, abbiamo detto che andava chiuso il centro <strong>di</strong> detenzione per immigrati che sono<br />
carceri dentro cui stanno persone che non hanno commesso reati: una vera vergogna<br />
dovuta ad una legge del vecchio governo, il governo del centro-sinistra. Quin<strong>di</strong> sconti<br />
non ne facciamo a nessuno. Dopo<strong>di</strong>ché però questo argomento sta facendo maturare<br />
posizioni <strong>di</strong>verse nel centro-sinistra su questo problema dei centri <strong>di</strong> detenzione<br />
Allora noi colloquiamo con la politica ponendo degli argomenti al centro e ci<br />
confrontiamo con le forze politiche, o con i pezzi <strong>di</strong> forze politiche su questi stessi temi.<br />
Ogni forza politica sceglie e allora abbiamo comportamenti <strong>di</strong>versi: abbiamo<br />
Rifondazione Comunista che è stato dentro il movimento dall’inizio, anche la<br />
maggioranza dei Ver<strong>di</strong> è stata dentro fin dall’inizio, un’altra si è avvicinata dopo,<br />
abbiamo pezzi <strong>di</strong> DS che hanno aderito al movimento, l’area Salvi e Tortorella hanno<br />
ufficialmente aderito al Social Forum, ieri è arrivato un documento <strong>di</strong> adesione al<br />
percorso a nome <strong>di</strong> tutto il correntone dei DS, per altri continuiamo ad essere degli<br />
avversari che non hanno capito nulla, Violante continua a identificarci con la violenza,<br />
quando noi continuiamo a <strong>di</strong>re che a Genova siamo stati le vittime e poi abbiamo<br />
manifestazioni come “Roma per gli immigrati”, “Roma per gli studenti”, Perugia Assisi,<br />
lo sciopero dei metalmeccanici e non è mai successo nulla perché c’eravamo solo noi<br />
senza i Black-Block, senza le forze dell’or<strong>di</strong>ne. Quin<strong>di</strong> noi poniamo dei contenuti, chi li<br />
accetta si confronta con noi sui contenuti. Io ci credo molto a questa posizione, perché<br />
il movimento deve essere autonomo e non avere nessun cappello <strong>di</strong> nessun partito,<br />
dopo<strong>di</strong>ché non facciamo le barricate, chi vuol venire a lavorare lavori con noi, ma senza<br />
tentare nessuna opera <strong>di</strong> egemonia. Per la questione Italia-mondo, no! noi dobbiamo<br />
ragionare, noi siamo un movimento globale, non pensiamo <strong>di</strong> poter cambiare l’Italia da<br />
soli. Il nostro movimento è un movimento che cerca <strong>di</strong> cambiare la <strong>di</strong>namica mon<strong>di</strong>ale.<br />
Adesso promuoveremo una campagna banale semplice sui mon<strong>di</strong>ali <strong>di</strong> calcio: noi non<br />
vogliamo che ci siamo aziende sponsor dei mon<strong>di</strong>ali <strong>di</strong> calcio che non rispettano i <strong>di</strong>ritti<br />
sul lavoro in giro per il mondo. È una campagna mon<strong>di</strong>ale. Campagna mon<strong>di</strong>ale perché?
Ma possibile che le nazioni più potenti si sono messe d’accordo <strong>di</strong> dare lo 0,7 del<br />
prodotto interno lordo alla cooperazione mentre l’Italia é solo penultima perché<br />
all’ultimo posto ci sono gli Stati Uniti, offre solo lo 0,13 e gli unici che rispettano<br />
l’accordo internazionale sono Norvegia, Svezia cioè le nazioni del nord Europa?<br />
Il problema della democrazia che poniamo dopo Porto Alegre è l’intreccio<br />
interessantissimo tra democrazia derivata e democrazia <strong>di</strong>retta. Se l’amministrazione<br />
comunale destina il 20 per cento del bilancio a investimenti deve consultare i citta<strong>di</strong>ni,<br />
magari <strong>di</strong>visi per municipi, i quali <strong>di</strong>cano quali siano le priorità: vengono fatte le<br />
assemblee, vengono eletti dei delegati. Porto Alegre non è proprio una città<br />
piccolissima, sì è più piccola <strong>di</strong> Roma, però è grande come Milano, ha più <strong>di</strong> due milioni<br />
<strong>di</strong> abitanti: ebbene lì da settembre a <strong>di</strong>cembre c’è la consultazione popolare, poi si fa<br />
una grande assemblea coi delegati della scuola, del quartiere ecc. che decidono <strong>di</strong> quel<br />
20 per cento qual è la priorità.. Noi pensiamo che questo modello sia esportabile. Il<br />
nostro é un movimento molto forte a livello mon<strong>di</strong>ale, io credo che molte cose sono<br />
cambiate, ma siamo anche obbligati. Quale altro soggetto <strong>di</strong> speranza c’è nel mondo? Ma<br />
mi spiegate perché dobbiamo andare a <strong>di</strong>re ai pakistani, agli afgani, ad una gran fetta<br />
del mondo arabo che non devono puntare sul terrorismo? Noi lo possiamo <strong>di</strong>re con forza<br />
e siamo cre<strong>di</strong>bili solo se <strong>di</strong>ciamo “Alla vostra miseria c’è un’alternativa che non è quella<br />
del terrorismo demagogico che cerca <strong>di</strong> usare la vostra miseria e che invece vi porta da<br />
tutt’altra parte, in mezzo a trage<strong>di</strong>e cosmiche”. L’unica alternativa è un movimento<br />
mon<strong>di</strong>ale quando <strong>di</strong>mostra <strong>di</strong> essere in grado <strong>di</strong> vincere. Noi abbiamo bisogno <strong>di</strong> vincere,<br />
dobbiamo toglierci dalla testa il fatto che siamo solo un movimento <strong>di</strong> opposizione che<br />
perde.<br />
Noi dobbiamo vincere la battaglia sui farmaci, dobbiamo vincere alla FAO, <strong>di</strong>cendo che<br />
non è pensabile che la FAO <strong>di</strong>chiari che ci vogliono 60 anni non per risolvere, per<br />
<strong>di</strong>mezzare il numero <strong>di</strong> coloro che rischiano <strong>di</strong> morire <strong>di</strong> fame, da 814 milioni a 400<br />
milioni <strong>di</strong> persone. Non è accettabile questa prospettiva perché a quel punto non c’é<br />
speranza per i paesi poveri. Guardate che il dramma vero <strong>di</strong> ogni persona e <strong>di</strong> ogni<br />
popolo non è essere malati, non è non avere da mangiare, è essere malati, non avere<br />
cibo e non avere la speranza <strong>di</strong> poter cambiare la propria esistenza nel futuro. Questo è<br />
il dramma. Allora se il movimento vince dà un segno <strong>di</strong> speranza sulle singole battaglie<br />
importantissimo, quin<strong>di</strong> non è l’Italia in quanto tale a interessarci per la nostra<br />
strategia.<br />
In questo <strong>di</strong>scorso entra <strong>di</strong>rettamente tutta la questione dei me<strong>di</strong>a. Certo qui in Italia la<br />
situazione è <strong>di</strong>sperata, c’è il controllo totale sui me<strong>di</strong>a da parte dell’attuale governo,<br />
però attenzione perché noi abbiamo anche avuto la capacità a Genova <strong>di</strong> ribaltare la<br />
situazione: tutto il mondo ha visto i filmati <strong>di</strong> Genova, tutto il mondo ha visto le<br />
fotografie eppure la televisione è in mano a Berlusconi e Scaiola. Le gran<strong>di</strong> testate che<br />
hanno fatto tutti gli e<strong>di</strong>toriali che hanno scritto da Milano e da Roma erano schierate<br />
contro il movimento, poi voi aprivate quelle pagine e trovavate gli articoli dei cronisti<br />
che a Genova erano presenti e loro scrivevano quello che succedeva e leggendo la gente<br />
capiva. Il ruolo delle ra<strong>di</strong>o alternative, dei fogli, dei giornaletti nostri ha avuto un<br />
impatto in tutto il mondo, io giravo il mondo e in tutte le parti sanno cosa è successo a<br />
Genova e la popolazione italiana non è rimasta <strong>di</strong>sinformata e manipolata neppure lei.<br />
Se io sono qui a parlare con voi oggi è grazie a questo. Voi sapete, l’ho già <strong>di</strong>chiarato più<br />
volte, c’è stata una riunione lunedì 23 luglio dove il Ministro degli Interni con i più alti<br />
esponenti dei carabinieri e della polizia hanno deciso che tutta Genova doveva essere<br />
gestita in questo modo e cioè che era tutta violenza fatta dai manifestanti e Vittorio<br />
Agnoletto come portavoce doveva essere il responsabile <strong>di</strong> un reato associativo<br />
sovversivo. Io dovevo essere arrestato il 25 pomeriggio, non prima per non creare<br />
tensione nel paese. Mi hanno salvato due cose: la grande mobilitazione <strong>di</strong> massa <strong>di</strong>
martedì 24 luglio <strong>di</strong> mezzo milione <strong>di</strong> persone che è andato in piazza in tutta Italia senza<br />
che sia successo nulla e lì hanno capito che se mi arrestavano il giorno dopo ce ne erano<br />
milioni in piazza, e in secondo luogo il fatto che martedì tutte le televisioni hanno<br />
cominciato a trasmettere questi video, questi filmati ecc. che erano stati girati da<br />
registi o privati e dovevano rimanere riservati e in questi filmati vedevi che cosa era<br />
successo a Genova, vedevi i pestaggi e le violenze contro persone inermi. Nessun<br />
magistrato mercoledì pomeriggio ha avuto il coraggio <strong>di</strong> firmare il mio arresto e quin<strong>di</strong> è<br />
fallita quella ipotesi abilmente costruita che il movimento era responsabile delle<br />
violenze e che il suo portavoce poteva essere incriminato come responsabile <strong>di</strong><br />
un’associazione sovversiva. Allora non siamo così impreparati anche se facciamo fatica.<br />
Relativamente alla questione dei nostri avversari, io preferisco la definizione <strong>di</strong><br />
avversari a quella <strong>di</strong> nemici. Di avversari ne abbiamo tanti sicuramente, ma gli avversari<br />
principali chi sono in Italia e nel mondo? E qui rispondo solo con una domanda: ma<br />
perché se le cose stanno così non vengono cambiate? Ne trovate uno su mille <strong>di</strong><br />
miliardario che decide <strong>di</strong> mettere in gioco la propria ricchezza per gli altri! I nostri<br />
principali avversari sono quelli che vogliono <strong>di</strong>fendere i loro interessi. Io sono convinto<br />
che l’Agip sarebbe molto contenta se questo movimento non esistesse se noi pensiamo <strong>di</strong><br />
lanciare una grande campagna contro l’Agip perché non rispetta i territori dei conta<strong>di</strong>ni,<br />
se ne frega totalmente dell’inquinamento, perché in Africa va in giro con le guar<strong>di</strong>e<br />
armate, ha sparato e ammazzato conta<strong>di</strong>ni, per tutelare i propri interessi petroliferi. Ed<br />
ha rapporti politici, ha rapporti nel mondo dell’industria, nel governo. Abbiamo<br />
avversari che vogliono mantenere la situazione così come è, per non mettere in<br />
<strong>di</strong>scussione i propri guadagni, i propri vantaggi.<br />
Poi abbiamo un grosso problema con quelli che stanno nella sinistra moderata che ha<br />
scelto <strong>di</strong> non venire a Genova, sbagliando e trovando una smentita nella propria base,<br />
perché la gente a Genova è venuta altrimenti non capisco da dove sono venuti 300 mila<br />
manifestanti quel 21 luglio.<br />
Questa sinistra moderata ha continuato a perseguire logiche <strong>di</strong> accordo con il governo e<br />
con essa abbiamo un problema prima che politico, culturale soprattutto sulla politica<br />
estera perché se c’è qualcosa oggi che deve <strong>di</strong>videre giustamente è la politica estera,<br />
cioè l’orizzonte del mondo che vogliamo è qualcosa su cui non si può non essere<br />
d’accordo, o si sta con le multinazionali, con il neoliberismo e con lo sfruttamento o si<br />
sta con le masse povere <strong>di</strong> tutti i continenti.<br />
Dopo Genova noi abbiamo approvato un patto <strong>di</strong> lavoro, quin<strong>di</strong> un documento che <strong>di</strong>ce<br />
cosa siamo e <strong>di</strong>ce come lavoreremo per tutto il 2002, non è un atto costitutivo <strong>di</strong> un<br />
partito, ma un patto <strong>di</strong> lavoro a termine <strong>di</strong> un anno che fissa la nostra identità i nostri<br />
ideali, i nostri contenuti: è il collante che ci tienen uniti, e poi ognuno faccia qualcosa<br />
<strong>di</strong> specifico nelle proprie associazioni ma questi programmi che vi ho in parte esposti<br />
sono i nostri e quelli cercheremo <strong>di</strong> realizzare insieme. Abbiamo deciso un minimo <strong>di</strong><br />
organizzazione perché l’anarchia non va bene per andare avanti e cioè c’è un’assemblea<br />
ogni tre mesi, un gruppo <strong>di</strong> contatto costituito da uno per Social Forum e uno per le<br />
associazioni che hanno firmato il patto <strong>di</strong> lavoro, non abbiamo più portavoce nazionali<br />
perché non vogliamo fare i tuttologi che parlano <strong>di</strong> tutto e abbiamo fatto sei gruppi <strong>di</strong><br />
lavoro: quello che lavora sulla FAO , quello che sul Forum Sociale Europeo che si terrà in<br />
Italia il prossimo autunno, quello che lavora sulle tematiche dell’immigrazione, quello<br />
sulla pace e ogni gruppo si dà tre o quattro portavoce per parlare nel movimento Poi è<br />
stata confermata la mia rappresentanza all’interno del Consiglio Internazionale del<br />
Forum Sociale Mon<strong>di</strong>ale, dove siamo 70 in tutto il mondo in rappresentanza dei<br />
movimenti più forti nel mondo e il sottoscritto rappresenta l’insieme, la sintesi del<br />
movimento italiano in questo scenario internazionale.<br />
Io lascerei perdere sulla battuta che la contestazione <strong>di</strong> Nanni Moretti e quel che è
seguito rappresenta il funerale dell’Ulivo. Io credo un’altra cosa: senza la nostra azione<br />
che ha acquistato risonanza incre<strong>di</strong>bile dopo Genova non sarebbe rimasto uno spazio<br />
aperto <strong>di</strong> democrazia., <strong>di</strong> opposizione al governo, che in tutti questi mesi è stato merito<br />
nostro alimentare e rappresentare; senza <strong>di</strong> noi forse non ci sarebbe stata la<br />
manifestazione dei professori <strong>di</strong> Firenze con cui <strong>di</strong>scuterò lunedì prossimo, né le<br />
manifestazioni del Palavobis <strong>di</strong> Milano, la decisione della Cgil <strong>di</strong> arrivare allo sciopero<br />
generale del 5 aprile anche da sola, la manifestazione del 23 marzo, ecc.. Per sette mesi<br />
abbiamo tenuto aperta una porta ed è importante che anche altri siano passati da<br />
questa porta a fare delle battaglie per il lavoro, per la legalità, per la libertà <strong>di</strong><br />
informazione, ma se non ci fosse stata Genova forse non ci sarebbero stati i professori al<br />
Palavobis o forse sarebbero stati meno numerosi Abbiamo tenuto aperto uno spazio e<br />
questo spazio viene occupato e va bene che venga occupato perché tutto quello che si<br />
muove con le tematiche sociali, in <strong>di</strong>fesa della legalità, per un pluralismo <strong>di</strong><br />
informazione é una cosa importante.<br />
Io voglio <strong>di</strong>scutere, voglio contaminare ed accettare <strong>di</strong> essere contaminato. Così mi<br />
batterò per l’in<strong>di</strong>pendenza della magistratura e perché la legge sia uguale per tutti,<br />
anche se deve essere giu<strong>di</strong>cato Previti o Berlusconi, ma questo non mi basta; che cosa<br />
<strong>di</strong>co ai 15 mila tossico<strong>di</strong>pendenti che sono in carcere? Non ve ne frega niente <strong>di</strong> tutta<br />
questa gente? Li lasciamo lì e li consegniamo al circuito privatizzato gestito da San<br />
Patrignano come logica <strong>di</strong> recupero? Io vi <strong>di</strong>co che anche quello è un problema <strong>di</strong><br />
legalità. Vi occupate della legalità <strong>di</strong> Berlusconi? È giusto, siamo d’accordo, vogliamo<br />
occuparci anche dei <strong>di</strong>ritti degli immigrati? Vi battete per il pluralismo<br />
dell’informazione? Sono d’accordo, ma non riduciamo il pluralismo <strong>di</strong> informazione alla<br />
lottizzazione della Rai perché la Rai l’avete sempre lottizzata tutti. Diamo lo spazio per<br />
le redazioni tipo Avvenimenti, tipo Carta, tipo le ra<strong>di</strong>o autonome che possano vivere<br />
oppure le strozziamo se non <strong>di</strong>pendono totalmente dall’informazione e <strong>di</strong>amo<br />
unicamente i sol<strong>di</strong> ai giornali <strong>di</strong> partito perché possano continuare a esistere. Perché<br />
questo è quello che succede.<br />
Guai se il nostro che è il movimento dei movimenti decide <strong>di</strong> chiudersi a riccio. Noi<br />
vogliamo che i nostri contenuti facciano il loro percorso, non importa con quali sigle,<br />
lavoriamo obiettivo per obiettivo con qulli che li con<strong>di</strong>vidono totalmente o in parte,<br />
anche perché è solo così che possiamo mo<strong>di</strong>ficare le posizioni <strong>di</strong> Fassino, Rutelli e<br />
D’Alema: se si accorgono che la loro gente non li segue più, dovranno cambiare tattica e<br />
strategia.<br />
Dopo la grande manifestazione <strong>di</strong> marzo penso che sarà molto più <strong>di</strong>fficile tornare a fare<br />
accor<strong>di</strong> coi partiti al governo, come credo che dopo lo sciopero generale della Cgil per<br />
Cofferati sarà molto più <strong>di</strong>fficile pensare <strong>di</strong> tornare alla concertazione che ha gestito per<br />
cinque anni. Non è che su tutto la penso come Cofferati, ma penso che quello sia un<br />
grande momento <strong>di</strong> opposizione nel paese sui temi sociali e lui <strong>di</strong>ce <strong>di</strong>fen<strong>di</strong>amo l’articolo<br />
18 e noi <strong>di</strong>ciamo <strong>di</strong>fen<strong>di</strong>amo l’articolo 18 ma cerchiamo <strong>di</strong> estendere lo statuto dei<br />
lavoratori a tutti i lavoratori, anche a quelli che lavorano nelle piccole imprese sotto i<br />
15 <strong>di</strong>pendenti, smettiamo con il lavoro interinale soprattutto per i giovani. E’ questa<br />
l’attuale posizione del sindacato? No, però per esempio la Fiom che fa parte del<br />
movimento è d’accordo su questi contenuti e il 23/3 cerchiamo <strong>di</strong> spostare la gente su<br />
questi contenuti. Infatti abbiamo già detto che se dovesse accadere, io penso proprio <strong>di</strong><br />
no ma una parte del movimento lo vede come un rischio quin<strong>di</strong> l’abbiamo detto, se<br />
dovesse accadere che la Cgil revoca lo sciopero del 5 <strong>di</strong> aprile, siccome i motivi esistono<br />
ancora tutti, noi andremo avanti a far del 5 aprile una giornata comunque <strong>di</strong> lotta,<br />
siamo noi che in<strong>di</strong>ciamo lo sciopero. Io i rapporti li vedo in questo modo, <strong>di</strong>alettici ma<br />
molto chiari sulle posizioni politiche.
Domanda: …io credo che il vostro nome “no-global” possa creare dei frainten<strong>di</strong>menti,<br />
tanto è vero che lei stesso auspicherebbe per una “buona globalizzazione”. Non crede<br />
che si dovrebbe dare una maggiore identità al vostro movimento? E in che cosa consiste<br />
veramente la “buona globalizzazione”?<br />
Domanda: …lei ha parlato <strong>di</strong> sano egoismo e mi sembra un’espresione giusta perché<br />
credo che il buonismo sacrificale sia perdente. Come <strong>di</strong>ceva Visco, qui si tratta <strong>di</strong><br />
trovare delle convenienze reciproche, cioè se al mondo si sta un po’ meglio tutti ci<br />
saranno meno pericoli rispetto ad attentati, a migrazioni selvagge, a tensioni <strong>di</strong> ogni<br />
tipo. Vorrei che lei puntasse la riflessione proprio su questo aspetto delle convenienze<br />
reciproche.<br />
Domanda: …lei ha usato l’espressione “un impren<strong>di</strong>tore che va in Argentina fa le<br />
speculazioni”. Mi è sembrato <strong>di</strong> capire in questa sua affermazione una sorta <strong>di</strong><br />
demonizzazione del profitto. L’idea che ci sia un interesse legittimo a guadagnare, che<br />
sicuramente deve essere incanalato da regole con<strong>di</strong>vise e controllabili, non deve essere<br />
contrapposto al sociale o alla solidarietà. Poi vorrei ricordare che quando si parla <strong>di</strong><br />
multinazionali come mostri assetati <strong>di</strong> sangue, si ricor<strong>di</strong> anche che <strong>di</strong>etro queste grosse<br />
società non ci sono solo quattro oligarchi nell’ombra, ma ci sono anche milioni <strong>di</strong><br />
lavoratori e <strong>di</strong> famiglie. Quin<strong>di</strong> penso che il vostro movimento possa avere una ancora<br />
maggiore incisività se oltre ad essere in grado <strong>di</strong> parlare al pakistano, al nigeriano, al<br />
coreano, sarete capaci <strong>di</strong> parlare anche ai lavoratori che stanno all’interno <strong>di</strong> questi<br />
gruppi.<br />
Domanda: …l’America ha votato a destra e dopo l’11 settembre si è compattata a<br />
destra. Anche in Europa molte nazioni compresa l’Italia si sono orientate in questo<br />
senso. Nel momento storico attuale c’è quale necessità c’è <strong>di</strong> globalizzazione quando ci<br />
si chiude nei confini nazionali, ad<strong>di</strong>rittura nel comune? Io ritengo questo periodo storico<br />
schizofrenico e vedo che molta gente è d’accordo nella chiusura, nella <strong>di</strong>fesa degli<br />
interessi particolari. Cosa pensa <strong>di</strong> fare il movimento verso questa parte del mondo che<br />
è notevole, bisogna venire a patti? Come pensa il movimento <strong>di</strong> fronteggiare questa<br />
situazione per essere cre<strong>di</strong>bile?<br />
Domanda: …le associazioni che fanno parte del vostro movimento esistono solo nel nord<br />
del mondo oppure anche nel sud del mondo c’è un movimento forte a livello <strong>di</strong> opinione<br />
pubblica? E questo movimento è organizzato e sa incidere autonomamente sulle<br />
decisioni?<br />
Dott. Agnoletto: Quando io <strong>di</strong>co che il nostro è un movimento globale è così, <strong>di</strong>co che<br />
sono in totale <strong>di</strong>saccordo con chi ci definisce no-global, è veramente un movimento<br />
globale, nel consiglio internazionale vi sono rappresentati dei movimenti del sud, nati<br />
nel sud non solo le ONG, cioè le organizzazioni non governative del nord che sviluppano<br />
e lavorano su progetti in quell’area del mondo. Per esempio il Forum Sociale Mon<strong>di</strong>ale<br />
ha deciso che ci organizzeremo attraverso Forum Sociali continentali e regionali in tutto<br />
il mondo; quello europeo si farà a novembre in Italia e sarà <strong>di</strong> tutta l’Europa, compresi i<br />
Balcani e tutto l’est europeo. Vogliamo coinvolgere la sponda sud del me<strong>di</strong>terraneo, fare<br />
delle sessioni speciali sul me<strong>di</strong>terraneo; in Africa il 15 <strong>di</strong> gennaio c’è stata la<br />
costituzione del Forum Sociale Africano che a Dakar aveva rappresentanze <strong>di</strong> oltre 30<br />
nazioni; c’è la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> riuscire a dare spazio a movimenti sociali laici non segnati<br />
dall’integralismo religioso in grado <strong>di</strong> lavorare a delle prospettive per il loro continente;<br />
adesso ci sarà con una nuova riunione a Katmandu il Forum asiatico, a Bangkok il Forum<br />
del sud-est asiatico, quin<strong>di</strong> con <strong>di</strong>verse regioni del mondo stiamo costruendo la rete del
Social Forum. A proposito dei Balcani, vogliamo aiutare quei popoli a superare attraverso<br />
il Social Forum quel <strong>di</strong>sastro che sono le nazioni uscite dalla trage<strong>di</strong>a della ex Iugoslavia,<br />
così caratterizzate nazionalisticamente ed etnicamente: un’impresa <strong>di</strong>fficilissima per la<br />
quale contiamo sull’aiuto delle associazioni che per anni hanno lavorato in quella zona.<br />
Quando si parla <strong>di</strong> povertà africana ci <strong>di</strong>mentichiamo <strong>di</strong> parlare del colonialismo vecchio<br />
e <strong>di</strong> quello nuovo. Quando io parlo <strong>di</strong> 4 milioni <strong>di</strong> sieropositivi Sudafricani che rischiano<br />
<strong>di</strong> morire perché non possono acquistare i farmaci, potrei parlare anche delle miniere <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>amanti che sono in tutta la parte ovest del Sudafrica e sono controllate<br />
completamente da De Clerk, cioè da un avanzo <strong>di</strong> economia coloniale olandese o inglese<br />
e lì hanno problemi in questo caso <strong>di</strong> nazionalizzazione.<br />
Quin<strong>di</strong> c’è una grossa attenzione a dare spazio ai movimenti del sud del mondo che<br />
stanno crescendo in una logica <strong>di</strong> laicità. Quando la FAO si incontrerà a Roma noi<br />
andremo con delle proposte complete, ma noi intendo il movimento a livello mon<strong>di</strong>ale.<br />
Via Campesina è la maggiore organizzazione del movimento dei conta<strong>di</strong>ni<br />
latinoamericani e la sua base è nel sud del mondo e verranno loro a parlare. Noi<br />
dobbiamo organizzare per loro gli spazi, trattare con il governo e creare gli spazi per i<br />
<strong>di</strong>battiti, il <strong>di</strong>ritto a manifestare e queste cose, l’avrà Ste<strong>di</strong>le che è il leader del Sem<br />
Terra brasiliano, leader <strong>di</strong> molti milioni <strong>di</strong> persone. Verranno i conta<strong>di</strong>ni rappresentanti<br />
delle associazioni africane denunciare il problema che se l’Europa continua con la logica<br />
del protezionismo sui prodotti agricoli, perché questo è, loro non avranno mercato. E<br />
potranno rispondere chiudendo i propri mercati ai nostri prodotti.Su questo <strong>di</strong>scorso c’è<br />
grande attenzione. È evidente che non pensiamo <strong>di</strong> fare la rivoluzione con le armi: ormai<br />
un giorno sì e l’altro pure sono obbligato a riba<strong>di</strong>re che siamo un movimento non<br />
violento, pacifico. Questo è l’asse del movimento, c’era nel patto per Genova, ieri<br />
l’abbiamo riconfermato anche accogliendo l’appello che Rutelli ha lanciato, ma era già<br />
nel patto <strong>di</strong> lavoro che abbiamo approvato, quin<strong>di</strong> lungi da noi nell’uso delle armi e<br />
della violenza. Io non sono così pessimista, ho una certa età per sapere però che i<br />
risultati dei movimenti sociali producono delle ricadute sul piano politico molti anni più<br />
avanti e anche sul piano culturale. I gran<strong>di</strong> movimenti degli anni ’70, che riuscirete a<br />
stu<strong>di</strong>are a scuola se si stu<strong>di</strong>ano, quelli degli anni ’60 e ’70 hanno avuto una ricaduta sul<br />
piano politico nel ’76 in Italia con la grande avanzata della sinistra, ma il movimento era<br />
del ’68, ’69, e nel ’76 il movimento era già in declino e ripiegava in associazioni <strong>di</strong> altro<br />
tipo, educative. Io ad esempio ho fatto più <strong>di</strong> 20 anni nello scoutismo cattolico.<br />
La destra ha vinto le elezioni negli Stati Uniti, non le ha vinte con una risicata<br />
maggioranza, l’ha vinta con una grande minoranza, perché Bush ha perso le elezioni, ma<br />
ha vinto grazie a tutto quello che è successo, il sistema elettorale ecc. ma<br />
in<strong>di</strong>pendentemente da questo, che sono problemi degli Stati Uniti, io credo che anche lì<br />
oggi si stia muovendo qualche cosa. Io sono andato a settembre con una delegazione del<br />
movimento a portare solidarietà alla popolazione degli Stati Uniti dopo l’11 settembre e<br />
ne sono tornato molto depresso perché in quel momento il grande movimento che c’è<br />
negli Stati Uniti contro Banca Mon<strong>di</strong>ale e Fondo Monetario non era un movimento anche<br />
per la pace perché non erano in grado <strong>di</strong> parlarne: erano scioccati da quello che era<br />
avvenuto e perché anche il movimento della pace che gli Stati Uniti ha in sé è subalterno<br />
ad un certo tipo <strong>di</strong> cultura Voglio <strong>di</strong>re che il movimento della pace statunitense non ha<br />
mai parlato <strong>di</strong> ONU, non ha una storia sul tribunale internazionale, non ha una storia che<br />
si rifà alle istituzioni internazionali, oggi il loro problema è spostare gli Stati Uniti su<br />
un’altra posizione. Allora lì nasce tutto un percorso. Abbiamo fatto un collegamento<br />
Porto Alegre-New York tra movimenti che loro contestavano l’assetto economico che
c’era e abbiamo proprio <strong>di</strong>scusso come adesso c’è una contaminazione tra movimento<br />
contro la Banca Mon<strong>di</strong>ale e pacifismo che sta crescendo; le cose dunque stanno<br />
evolvendo fortemente.<br />
Quello che avviene in Europa credo che sia significativo, ovviamente io do una nostra<br />
interpretazione. In Europa è fallita l’ipotesi moderata <strong>di</strong> sinistra, l’ipotesi della sinistra<br />
liberale, neoliberista e il paese si sta riconsegnando alla destra, ma oggi che cosa<br />
succede in Europa? Che c’è una destra forte che sta crescendo e c’è una risposta dei<br />
movimenti in tutta Europa che sta crescendo forte e la sinistra moderata cerca <strong>di</strong><br />
barcamenarsi soprattutto in termini <strong>di</strong> strategie. Faccio un esempio, giuro che non lo<br />
faccio con cattiveria, lo faccio con animo sereno riguardo al nuovo sindaco <strong>di</strong> Roma.<br />
Veltroni è andato a Porto Alegre al Forum Sociale degli enti locali e ha fatto un<br />
intervento che i giornali hanno preso come un intervento molto aperto <strong>di</strong> sinistra, però<br />
poi l’hanno chiamato per commentarlo e lui, animato da buone intenzioni, ha fatto uno<br />
scivolone, ha detto che non ci sarà mai più un G8 come è stato fatto in Italia, dato che<br />
d’ora in poi al G8 bisogna invitare anche delle nazioni africane.<br />
Questa formulazione del problema non la possiamo accettare: non è accettabile che si<br />
aggiunga al tavolo degli otto che decidono delle sorti <strong>di</strong> tutto il mondo qualche posto per<br />
tre o quattro stati africani, quelli più affidabili a cui dare le briciole. Ed ecco che senza<br />
avvedersene Veltroni ha fatto uno scivolone.<br />
Noi contestiamo che otto paesi o tre<strong>di</strong>ci o quin<strong>di</strong>ci possano decidere per il mondo. Noi<br />
<strong>di</strong>ciamo c’è una sede che è l’ONU che va riformata, che va mo<strong>di</strong>ficata, che è stata<br />
eletta da tutti gli stati. Di democratico il WTO, la Banca Mon<strong>di</strong>ale e il Fondo Monetario<br />
non hanno nulla e neanche <strong>di</strong> controllo politico. Come abbiamo vinto la battaglia sul<br />
processo sudafricano con le multinazionali? Siccome è tutto globalizzato allora <strong>di</strong> fronte<br />
alle multinazionali che bloccavano il processo in Sudafrica e impe<strong>di</strong>vano i farmaci, tutte<br />
le associazioni <strong>di</strong> lotta all’AIDS si sono mosse, ma erano sempre poche. In Inghilterra c’è<br />
una legge sulla trasparenza delle pensioni e delle assicurazioni, cioè chi deposita in<br />
fon<strong>di</strong> assicurativi l’assicurazione ha l’obbligo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re in quali settori investe affinchè il<br />
citta<strong>di</strong>no sappia a chi sta affidando i suoi risparmi. È successo che le più gran<strong>di</strong><br />
assicurazioni inglesi erano azioniste della Glaxo Wellcome, capofila della causa contro il<br />
governo sudafricano. Le assicurazioni inglesi sono andate dalla multinazionale<br />
farmaceutica e hanno detto: no così non ci siamo proprio, noi abbiamo dovuto <strong>di</strong>re che<br />
investiamo in voi perché c’è la legge sulla trasparenza e abbiamo gli inglesi che<br />
continuano a <strong>di</strong>s<strong>di</strong>re le assicurazioni con noi perché noi investiamo in voi che state<br />
vietando le me<strong>di</strong>cine e condannando a morte gli africani. Questa è stata una delle<br />
ragioni principali per cui la Glaxo Wellcome ha dovuto fare marcia in<strong>di</strong>etro rispetto al<br />
processo sull’Africa e quin<strong>di</strong> smettere <strong>di</strong> bloccare la legge “Mandela Act”. La campagna<br />
organizzata dai francesi contro la Danone quando voleva licenziare non perché era in<br />
negativo ma perché il profitto era minore <strong>di</strong> altri settori ha fatto precipitare la Danone<br />
al penultimo posto <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>te per tre mesi. Sul piano governativo queste ricadute <strong>di</strong><br />
queste campagne mon<strong>di</strong>ali non le abbiamo dopodomani, se mi volete chiedere se noi<br />
man<strong>di</strong>amo all’opposizione Berlusconi io <strong>di</strong>co <strong>di</strong> no, non vengo a vendere illusioni.<br />
Berlusconi governerà e non sono neanche sicuro che non governerà anche dopo il 2006<br />
ma noi non ci stiamo battendo per cose che cambiano dopodomani, quello che c’è da<br />
ricostruire in Italia e in gran parte del mondo è un punto <strong>di</strong> vista alternativo. La critica<br />
<strong>di</strong> fondo che il movimento fa al governo precedente è <strong>di</strong> aver assunto il punto <strong>di</strong> vista<br />
dell’avversario cercando <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficarlo un po’. Il problema invece è che c’è la possibilità<br />
<strong>di</strong> vedere il mondo da un altro punto <strong>di</strong> vista, porsi fuori da quella logica liberista e
quin<strong>di</strong> le alleanze che dobbiamo costruire sono su tempi me<strong>di</strong> non è oggi che riusciamo a<br />
cambiare, oggi la battaglia è culturale. Devo convincere la gente che non ci stiamo<br />
battendo per una pura logica <strong>di</strong> solidarietà.<br />
Pierluigi Ciocca<br />
GLI ASPETTI ECONOMICI: UNA PROSPETTIVA DI LUNGO PERIODO<br />
Conferenza del 8 aprile 2002<br />
Il dottor Pierluigi Ciocca è qui oggi non solo per il ruolo che egli ricopre all’interno della<br />
nostra Banca Centrale <strong>di</strong> cui è vice<strong>di</strong>rettore generale, per cui potete immaginare quali<br />
siano le sue responsabilità decisionali all’interno <strong>di</strong> questo istituto, ma anche a livello<br />
internazionale perché egli continuamente ci rappresenta in Europa e nel resto del<br />
mondo. Egli è qui oggi non solo come tecnico, come addetto ai lavori per le sue<br />
eccezionali competenze, è qui anche perché può vantare una formazione assolutamente<br />
classica, umanistica. È nota la sua passione e l’impegno negli stu<strong>di</strong> che lo hanno sempre<br />
portato a guardare l’economia e i problemi monetari all’interno <strong>di</strong> quello che è il<br />
contesto storico-sociale. Di ciò sono prova i numerosi stu<strong>di</strong> pubblicati nel corso degli<br />
anni e rinnovati da una responsabile conoscenza e un’attenzione sempre vigile ai<br />
mutamenti della situazione interna e internazionale. Dunque per la tensione etica che<br />
egli ha profuso nella sua vita <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>oso e nell’azione concreta, ma anche perché<br />
abbiamo sperimentato in altre occasioni la sua eccezionale capacità <strong>di</strong> rapportarsi agli<br />
studenti, noi lo consideriamo la persona più idonea a concludere questo ciclo <strong>di</strong><br />
approfon<strong>di</strong>mento culturale sicuri che il suo contributo ci fornirà una chiave <strong>di</strong> lettura<br />
completa e unificata del fenomeno in questione.<br />
Il mio <strong>di</strong>scorso verterà, più che sulla globalizzazione, sull’economia mon<strong>di</strong>ale nel tempo<br />
lungo, cioè nell’ultimo secolo - il ‘900 - o ad<strong>di</strong>rittura iniziando dalla rivoluzione<br />
industriale inglese (scorcio del ‘700 e primi decenni dell’800). Muoverò da quando nelle<br />
principali economie, a cominciare appunto da quella inglese, l’organizzazione<br />
economica delle società ha assunto la forma che definiamo economia <strong>di</strong> mercato<br />
capitalistica. Il mio tentativo consisterà nel fornirvi elementi, dati, criteri, perché voi,<br />
riflettendovi, possiate autonomamente farvi un opinione sugli aspetti positivi e su quelli<br />
negativi, sulle contrad<strong>di</strong>zioni e sulle prospettive che questo modo <strong>di</strong> organizzare<br />
l’economia configura. Questi aspetti si raccordano a quelli sociali, e anche a quelli<br />
politici, dei quali non parlerò.<br />
Come si può giu<strong>di</strong>care la performance, i risultati, <strong>di</strong> una economia? Ho ridotto a quattro i<br />
criteri <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio da aver presenti, come se fossero quattro materie <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> esame<br />
su cui dare un "voto".<br />
Il primo criterio è quello della capacità <strong>di</strong> una economia <strong>di</strong> produrre red<strong>di</strong>to, risparmio e<br />
quin<strong>di</strong> ricchezza. Dal punto <strong>di</strong> vista concettuale e da quello statistico lo si può<br />
complicare in molti mo<strong>di</strong>. Semplificando al massimo lo chiameremo criterio del red<strong>di</strong>to.<br />
Un’economia produce ogni anno beni e servizi, aggiungendo al fondo <strong>di</strong> risorse ere<strong>di</strong>tato<br />
dalla storia. A parità <strong>di</strong> altre con<strong>di</strong>zioni si può ritenere che più l'economia produce<br />
meglio è, naturalmente tenendo conto <strong>di</strong> certi limiti, come l’inquinamento e altri
equilibri da rispettare, oltre all'aspetto <strong>di</strong>stributivo, <strong>di</strong> cui parleremo.<br />
Veniamo al secondo criterio. Oltre a produrre molto, così da sod<strong>di</strong>sfare le esigenze più<br />
<strong>di</strong>ffuse, vorremmo che l'attività economica si svolgesse senza oscillazioni, con regolarità,<br />
evitando fenomeni come quello dell’inflazione o, all'opposto, quello della<br />
<strong>di</strong>soccupazione. Chiamiamo questo secondo criterio il criterio della stabilità <strong>di</strong> una<br />
economia.<br />
Il terzo criterio, che suscita tante <strong>di</strong>scussioni da più <strong>di</strong> due secoli, è quello della<br />
<strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to e della ricchezza. Idealmente, la <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to e<br />
della ricchezza non dev'essere sperequata ma ben <strong>di</strong>stribuita, salvo poi chiarire cosa<br />
questo significhi.<br />
Un quarto e ultimo criterio consiste nel vedere se quel “cavallo brado” che è per sua<br />
natura un’economia <strong>di</strong> mercato capitalistica sia in qualche modo governabile,<br />
"domabile". Chiamiamolo criterio della governabilità <strong>di</strong> una economia <strong>di</strong> mercato, a fini<br />
sia macroeconomici sia strutturali.<br />
Questi sono i quattro criteri in base ai quali proverò a far maturare una vostra opinione<br />
sull’andamento dell'economia <strong>di</strong> mercato.<br />
Come è andata nell’ultimo secolo? Come è andata negli ultimi duecento o negli ultimi<br />
cinquant’anni? Come sta andando ora? Rispetto a che cosa? Il termine <strong>di</strong> confronto<br />
primario è la storia plurisecolare precedente, quando l’umanità organizzava l'economia<br />
in mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi, che sono stati variamente etichettati. Avrete sentito certamente parlare<br />
e forse letto nei vostri libri <strong>di</strong> storia dei sistemi feudali o <strong>di</strong> forme quasi schiavistiche <strong>di</strong><br />
organizzazione della produzione. Affinché il confronto possa farsi con la moderna<br />
organizzazione dell’economia come economia <strong>di</strong> mercato capitalistica, resta tuttavia da<br />
chiarire il punto fondamentale.<br />
Che cos'è un’economia <strong>di</strong> mercato capitalistica?<br />
Economia <strong>di</strong> mercato e economia capitalistica sono due termini che vengono spesso usati<br />
come sinonimi, in<strong>di</strong>canti concetti coincidenti. In realtà non è così. Una sezione <strong>di</strong><br />
economia <strong>di</strong> mercato esisteva al tempo dei Greci, dei Fenici, dei Romani. Firenze, nel<br />
‘400, ci viene spesso raccontata come una florida economia <strong>di</strong> mercato. L’Aquila, la mia<br />
città, seppure fondata, pare per or<strong>di</strong>ne dell’imperatore nel 1250 circa - tra i monti<br />
d'Abruzzo - <strong>di</strong>venne presto florida in termini <strong>di</strong> commerci. Si può quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>re che un<br />
elemento <strong>di</strong> scambio, <strong>di</strong> mercato, c’è sempre stato nella storia lunghissima<br />
dell’umanità, ma solo in una parte dell'economia.<br />
In un'economia capitalistica moderna l’organizzazione basata sul mercato è estesa<br />
all'intera economia. Oggi c’è un mercato quasi per qualunque bene, per qualunque<br />
servizio. Si tende a far mercato, per <strong>di</strong>re una battuta facile, <strong>di</strong> qualunque cosa.<br />
L’economia capitalistica moderna è in notevole misura caratterizzata dalla presenza,<br />
dall’importanza della pervasività del mercato.<br />
L’elemento più caratterizzante e interessante, molto <strong>di</strong>scutibile, è che vi è anche un<br />
mercato del lavoro. Lo stesso lavoro umano <strong>di</strong>venta <strong>di</strong> necessità oggetto <strong>di</strong> scambio, con<br />
un prezzo che si chiama salario o stipen<strong>di</strong>o. Tale elemento <strong>di</strong>fferenzia profondamente<br />
l’economia <strong>di</strong> mercato capitalistica dall’economia <strong>di</strong> mercato che precedeva questa fase
storica.<br />
Il terzo elemento caratterizzante è l’organizzazione della produzione incentrata su<br />
imprese: imprese soprattutto agricole una volta; imprese anche industriali,<br />
manifatturiere, successivamente; imprese in prevalenza terziarie, che offrono servizi,<br />
oggi. Queste imprese producono "merci" - cioè beni e servizi per il mercato - motivate<br />
dalla finalità del profitto.<br />
Nell’economia degli Stati Uniti, che resta la più grande economia del mondo poiché<br />
esprime da sola circa un quinto <strong>di</strong> quanto l’intera economia mon<strong>di</strong>ale produce ogni<br />
anno, i servizi - da quelli forniti dal barbiere, dal me<strong>di</strong>co, dall’avvocato fino<br />
all’istruzione, alle banche - rappresentano l’85 per cento della produzione complessiva.<br />
Delineato l’oggetto della nostra indagine - ricordando ancora che l’affermarsi <strong>di</strong> questo<br />
sistema, del modo <strong>di</strong> produzione attuale, si è <strong>di</strong>stribuito nel tempo ma nella forma<br />
moderna si configura dopo il ‘700 e si è esteso progressivamente - esaminiamo i quattro<br />
criteri. Per ciascuno <strong>di</strong> essi proverò a fornire qualche dato.<br />
Il primo criterio da considerare è quello del volume della produzione e della sua<br />
crescita.<br />
Il tasso <strong>di</strong> crescita della produzione, riferito al mondo intero, nell’ultimo secolo e ancor<br />
più nell’ultimo mezzo secolo è stato formidabilmente alto. Mai l’umanità aveva<br />
sviluppato, in termini <strong>di</strong> offerta <strong>di</strong> beni e sevizi, la propria attività con la velocità<br />
sperimentata nell’ultima fase, nella quale oggi viviamo.<br />
All’inizio dell’800, la popolazione mon<strong>di</strong>ale era <strong>di</strong> un miliardo <strong>di</strong> persone. Il red<strong>di</strong>to<br />
me<strong>di</strong>o dei citta<strong>di</strong>ni del mondo era corrispondente a circa 600 dollari o<strong>di</strong>erni: valore della<br />
produzione fisica <strong>di</strong> beni e servizi del mondo intero, <strong>di</strong>visa per il numero della<br />
popolazione mon<strong>di</strong>ale. Oggi la popolazione mon<strong>di</strong>ale è <strong>di</strong> circa sei miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> persone e<br />
il red<strong>di</strong>to me<strong>di</strong>o supera i cinquemila dollari. In duecento anni si è avuta una crescita del<br />
red<strong>di</strong>to <strong>di</strong> circa <strong>di</strong>eci volte e il red<strong>di</strong>to pro-capite del mondo intero si è decuplicato.<br />
Poiché la popolazione mon<strong>di</strong>ale si è moltiplicata per cinque e il rapporto fra il red<strong>di</strong>to e<br />
la popolazione si è moltiplicato per <strong>di</strong>eci, si capisce bene che il numeratore, cioè il<br />
prodotto, è cresciuto in misura ancor superiore al red<strong>di</strong>to pro-capite.<br />
Il risultato colpisce ancor <strong>di</strong> più se lo confrontiamo con quanto era accaduto prima. Nei<br />
secoli che imme<strong>di</strong>atamente precedono quelli <strong>di</strong> cui stiamo parlando, la crescita era stata<br />
pressoché nulla. Per quei secoli, le statistiche sul red<strong>di</strong>to e sulla produzione sono molto<br />
incerte. Esse però esistono e danno l’impressione generale <strong>di</strong> un ristagno, <strong>di</strong> una stasi<br />
nel ‘500, nel ‘600, nel ‘700. Dal punto <strong>di</strong> vista materiale gli italiani del 1800 non<br />
vivevano meglio, in termini <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to e <strong>di</strong> consumi, degli italiani del 1400. Dobbiamo<br />
quin<strong>di</strong> immaginare una prima lunga fase plurisecolare, che arriva all’800 circa, in cui il<br />
red<strong>di</strong>to pro-capite non cresce, è fondamentalmente invariato. Dall’800 comincia una<br />
crescita che accelera via via, seppure tra oscillazioni, e porta a un prodotto pro-capite<br />
molto alto, oggi su livelli mai raggiunti prima.<br />
Esaminiamo il secondo criterio, quello che ho definito della stabilità.<br />
C’è stata inflazione, c’è stata <strong>di</strong>soccupazione? Si, in molti momenti e in <strong>di</strong>versi paesi. I<br />
prezzi non sono stati stabili. Si pensi all’inflazione molto forte nei paesi belligeranti
durante la prima guerra mon<strong>di</strong>ale, molto forte quasi ovunque durante la seconda guerra<br />
mon<strong>di</strong>ale. L’inflazione è un fenomeno negativo perché avvantaggia alcuni e svantaggia<br />
altri: alcuni grazie ad essa si arricchiscono, a spese <strong>di</strong> altri che perdono red<strong>di</strong>to e<br />
ricchezza. Se i prezzi aumentano chi vive <strong>di</strong> red<strong>di</strong>ti fissi, <strong>di</strong> un salario stabilito in una<br />
cifra annua per contratto, vede il valore reale <strong>di</strong> questo salario decrescere con<br />
l’aumento dei prezzi: con lo stesso red<strong>di</strong>to riesce a comperare solo una minor quantità<br />
<strong>di</strong> beni e <strong>di</strong> servizi. Allo stesso modo, quando si verifica il contrario dell’inflazione, e<br />
cioè la deflazione, i prezzi che cadono determinano effetti analoghi, anche se <strong>di</strong> segno<br />
<strong>di</strong>verso: con la deflazione si avvantaggiano i debitori, sono svantaggiati i cre<strong>di</strong>tori. Gli<br />
ultimi due secoli hanno visto anche fasi <strong>di</strong> deflazione: è accaduto nella seconda metà<br />
dell'’800, negli anni Trenta del ‘900. Nei due secoli del capitalismo si è avuta nel<br />
complesso una instabilità dei prezzi molto maggiore <strong>di</strong> quella sperimentata nei secoli<br />
precedenti.<br />
Per quanto riguarda il problema della <strong>di</strong>soccupazione, abbiamo assistito a una crescita<br />
tendenziale dell’occupazione. Più persone hanno lavorato nel mondo. Questo è un dato<br />
positivo, perché sono state offerte in maggior misura occasioni svariate <strong>di</strong> lavoro<br />
consentendo a ciascuno, più che in precedenza, <strong>di</strong> esprimersi professionalmente. Eppure<br />
vi sono state anche fasi, non lunghissime ma nemmeno brevi, <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione molto<br />
alta. Il momento peggiore è stato il periodo tra le due guerre mon<strong>di</strong>ali, in particolare gli<br />
anni Trenta. Allora il tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione in Germania - la percentuale dei<br />
<strong>di</strong>soccupati sul totale dei lavoratori - arrivò a sfiorare il cinquanta per cento: un<br />
lavoratore su due, trage<strong>di</strong>a immane che generò il nazismo. Negli Stati Uniti, nello stesso<br />
periodo, il tasso <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione arrivò al trenta per cento: un lavoratore su tre se era<br />
giovane non trovava lavoro, se l’aveva perduto non lo trovava più.<br />
Sotto entrambi i profili, dei prezzi e dell'occupazione, le società agrarie non<br />
capitalistiche erano connotate da maggiore stabilità. Al tempo stesso, in questi due<br />
secoli ci sono anche state lunghe fasi in cui le economie <strong>di</strong> mercato capitalistiche hanno<br />
assicurato prezzi stabili e pieno impiego, come nel 1950-70. In Italia oggi c’è un tasso <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>soccupazione del 9 per cento, pieno impiego in Alto A<strong>di</strong>ge e alta <strong>di</strong>soccupazione - più<br />
del 20 per cento - in Calabria. I prezzi sono stabili.<br />
Il terzo criterio è quello della <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to.<br />
Mi riferisco alla <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to - e del consumo - fra le singole persone, non<br />
alla <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to tra profitti e salari, questione <strong>di</strong>versa. L’eguaglianza si ha<br />
quando il red<strong>di</strong>to prodotto ogni anno è uniformemente <strong>di</strong>stribuito: ciascun citta<strong>di</strong>no, se<br />
si produce 100 <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to e i citta<strong>di</strong>ni sono 10, ha un red<strong>di</strong>to <strong>di</strong> 10. A questa situazione,<br />
che rappresenta un termine <strong>di</strong> riferimento estremo ma utile, <strong>di</strong>amo in una scala da 0 a<br />
100 valore zero. Pren<strong>di</strong>amo il caso polare opposto, quello in cui tutto il red<strong>di</strong>to va nelle<br />
tasche <strong>di</strong> un solo citta<strong>di</strong>no e gli altri 9 citta<strong>di</strong>ni non percepiscono una "lira" del prodotto<br />
nazionale del paese: a questo caso opposto <strong>di</strong>amo nella scala valore uno. Abbiamo ora<br />
una scala all’interno della quale graduare la <strong>di</strong>stribuzione personale del red<strong>di</strong>to.<br />
Alcuni audaci statistici hanno tentato <strong>di</strong> misurare l’andamento della <strong>di</strong>stribuzione<br />
personale del red<strong>di</strong>to sia nella storia - gli ultimi due secoli - sia con riferimento agli anni<br />
più recenti, avendo a <strong>di</strong>sposizione dati più atten<strong>di</strong>bili. Parliamo sempre del mondo<br />
intero e, così facendo, ci avviciniamo un po' al concetto - che a me non piace - <strong>di</strong><br />
"globalizzazione". La <strong>di</strong>stribuzione è <strong>di</strong>venuta sempre più sperequata. In termini<br />
numerici siamo passati da una situazione, all’inizio dell’800, in cui la misura della
<strong>di</strong>stribuzione era più vicina allo zero – ci sono varie stime: 10, 20 - a un oggi, cioè agli<br />
ultimi anni, in cui questa misura è intorno a 60.<br />
Il peggioramento nella <strong>di</strong>stribuzione personale del red<strong>di</strong>to fra i citta<strong>di</strong>ni del mondo, il<br />
fatto cioè che essa sia <strong>di</strong>venuta meno perequata, è stato continuo, senza soluzione <strong>di</strong><br />
continuità nel corso <strong>di</strong> duecento anni. Non ci sono stati momenti, nemmeno brevi, in<br />
cui, per il mondo nel suo complesso, la <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to sia <strong>di</strong>ventata più equa.<br />
Ci sono stati perio<strong>di</strong> in cui il fenomeno ha rallentato, altre fasi in cui è stato più rapido,<br />
ma la <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to è sempre peggiorata. Ciò è avvenuto perfino quando in<br />
Unione Sovietica e nella Cina comunista sono stati effettuati i due principali tentativi,<br />
<strong>di</strong>scutibili quanto si vuole ma organici e su vasta scala, per evitare che la <strong>di</strong>stribuzione<br />
del red<strong>di</strong>to peggiorasse. Allora, la cosiddetta globalizzazione non c'era, o era solo agli<br />
inizi ...<br />
La <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to fra i citta<strong>di</strong>ni del mondo è scomponibile in due componenti.<br />
È chiaro che se io ho la sfortuna <strong>di</strong> nascere nel Botswana e non a New York, fra me e il<br />
mio coetaneo newyorkese dalla nascita si apre uno iato terrificante. Questa componente<br />
è legata al <strong>di</strong>verso livello <strong>di</strong> sviluppo delle nazioni. L’altra componente è la<br />
sperequazione esistente nella <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to all’interno <strong>di</strong> ciascun paese,<br />
quin<strong>di</strong> nella <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to fra i citta<strong>di</strong>ni degli Stati Uniti e fra i citta<strong>di</strong>ni del<br />
Botswana. Le due componenti sono statisticamente <strong>di</strong>stinguibili. Come forse è intuitivo,<br />
la più gran parte della sperequazione è ascrivibile al primo fattore, cioè al fatto che<br />
alcuni paesi - il "Botswana" - sono sottosviluppati mentre altri - gli "Stati Uniti" - sono<br />
sviluppati. Per tre quarti le <strong>di</strong>fferenze nel red<strong>di</strong>to sono legate al primo fattore, per un<br />
quarto soltanto al secondo.<br />
I dati <strong>di</strong> oggi, letti al valore facciale, sono piuttosto impressionanti. Il cinque per cento<br />
più ricco della popolazione mon<strong>di</strong>ale - quin<strong>di</strong> il cinque per cento <strong>di</strong> sei miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
persone e cioè 300 milioni <strong>di</strong> persone circa - ha oggi un red<strong>di</strong>to che è 114 volte quello<br />
del cinque per cento più povero della popolazione mon<strong>di</strong>ale. Se il red<strong>di</strong>to del cinque per<br />
cento più povero è <strong>di</strong> mille dollari l’anno, o forse anche meno - <strong>di</strong>ciamo mille dollari<br />
l’anno per semplicità - il cinque per cento più ricco ha in me<strong>di</strong>a un red<strong>di</strong>to <strong>di</strong><br />
centoquattor<strong>di</strong>cimila dollari.<br />
La domanda a questo punto <strong>di</strong>venta: come si evita la sperequazione nello sviluppo<br />
economico tra le nazioni? Ovviamente, e idealmente, portando le nazioni povere al<br />
livello <strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong> quelle ricche. In Italia, perché la Calabria non si è sviluppata e la<br />
Lombar<strong>di</strong>a sì? Perché questo sistema economico ha funzionato in certi luoghi e non<br />
funziona in altri? La domanda vera è quin<strong>di</strong> relativa alle ragioni del successo del modo <strong>di</strong><br />
organizzare l’economia in alcune parti del mondo e del suo insuccesso in altre parti. Più<br />
che la questione della <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to all’interno dei singoli paesi, che pure è<br />
importante, il problema vero è rappresentato dal <strong>di</strong>fferente grado <strong>di</strong> successo <strong>di</strong> questa<br />
formula <strong>di</strong> organizzazione dell’economia nel promuovere la ricchezza delle nazioni, il<br />
loro progresso materiale.<br />
Arriviamo così al quarto criterio, quello della governabilità dei processi che abbiamo<br />
descritto. I dati esaminati sono da un lato splen<strong>di</strong><strong>di</strong>, perché questo sistema produttivo<br />
ha tolto dalla fame miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> persone. Sono dall’altro lato pessimi, non solo perché ci<br />
sono punte <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione e punte <strong>di</strong> instabilità nei prezzi, ma anche perché uno<br />
scarto <strong>di</strong> 114 volte tra i red<strong>di</strong>ti degli esseri umani urta anche i più insensibili.
Di fronte a questi risultati è possibile assumere varie posizioni culturali, politiche,<br />
morali. A un estremo, si può <strong>di</strong>re che oggi si vive meglio che nel ‘700, quando chi<br />
zappava dalla mattina alla sera a malapena aveva le patate alla fine della giornata per<br />
evitare <strong>di</strong> morire entro i venti anni d'età, perché fino al ‘700 la speranza <strong>di</strong> vita alla<br />
nascita era questa. Nei primi decenni dell’800 si arriva a una attesa <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> trenta<br />
anni. Anche questo è un dato bassissimo rispetto a oggi: in me<strong>di</strong>a, per il mondo intero,<br />
sessantacinque anni, con punte <strong>di</strong> ottanta in Italia e in Giappone. Secondo questa prima<br />
posizione, che può definirsi neoliberista - o "imperfettista", del tipo “non sappiamo, a<br />
tavolino e in pratica, inventare nulla <strong>di</strong> meglio” - accettiamo ciò che è emerso nella<br />
storia, per alcuni versi certamente positivo.<br />
La seconda posizione, ra<strong>di</strong>cale, è quella <strong>di</strong> chi vuole cambiare il mondo, non accettando,<br />
nella filosofia <strong>di</strong> fondo e nei risultati, l’organizzazione della società come economia <strong>di</strong><br />
mercato capitalistica. Non ci si pensa solo da oggi … in questo liceo. Molti tentativi in<br />
passato sono stati fatti, sia dal punto <strong>di</strong> vista teorico sia con esperienze concrete; alcuni<br />
non hanno avuto successo, altri sono riusciti solo in piccola parte, altri ancora sono finiti<br />
in trage<strong>di</strong>a. La posizione utopistica o, se vogliamo, rivoluzionaria tuttavia può trovare<br />
riscontro in alcuni degli elementi fattuali della storia che ho brevemente descritto.<br />
La terza posizione è quella riformista, <strong>di</strong> chi ritiene che questo sistema abbia aspetti<br />
positivi, come per esempio l’allungamento della vita me<strong>di</strong>a, e altri pesantemente<br />
negativi, per cui si dovrebbe intervenire per correggere i secon<strong>di</strong> e valorizzare, se<br />
possibile, i primi.<br />
Concludo con due battute sulla posizione riformista. Essa assume che un'economia <strong>di</strong><br />
mercato capitalistica sia governabile, il "cavallo brado" domabile. Implica una teoria<br />
relativa al funzionamento del sistema economico che abbiamo creato, una comprensione<br />
profonda dei suoi meccanismi per poter su <strong>di</strong> essi intervenire. Questa teoria c’è e non<br />
c’è. Se conosciamo molto <strong>di</strong> più - oggi rispetto a ieri - circa il funzionamento <strong>di</strong><br />
un’economia <strong>di</strong> mercato, non ne sappiamo ancora a sufficienza. Inoltre, ci sono no<strong>di</strong><br />
della governabilità dell'economia più facili, altri molto più <strong>di</strong>fficili da sciogliere. Quando<br />
si interviene con la politica economica, nell'interesse generale, per correggere certe<br />
<strong>di</strong>storsioni, si urtano interessi particolari, che oppongono una reazione. Per questo<br />
motivo il problema economico <strong>di</strong>venta alla fine, come è sempre stato nella storia<br />
dell’umanità, anche politico.<br />
Un’ultima battuta sulla "globalizzazione". Non l’ho molto evocata nel mio <strong>di</strong>scorso<br />
perché non è l’aspetto determinante. Faccio un solo esempio. Il peggioramento nella<br />
<strong>di</strong>stribuzione personale dei red<strong>di</strong>ti del mondo intero negli ultimi anni, che è stato molto<br />
forte, è tutto concentrato in Cina e in In<strong>di</strong>a. Se si escludono questi due paesi la<br />
<strong>di</strong>stribuzione personale del red<strong>di</strong>to del mondo negli ultimi <strong>di</strong>eci-quin<strong>di</strong>ci anni è<br />
fondamentalmente rimasta invariata.<br />
Che cosa è accaduto in Cina e in In<strong>di</strong>a? È accaduto che finalmente si è messo in moto un<br />
processo <strong>di</strong> sviluppo economico. In Cina, la cui situazione conosco un po’ meglio, si sono<br />
sviluppate, a un ritmo mai visto prima nella storia dell’umanità, soprattutto le regioni<br />
meri<strong>di</strong>onali e costiere - <strong>di</strong>ciamo Shanghai - mentre le regioni del nord-ovest sono<br />
praticamente rimaste al livello <strong>di</strong> sottosviluppo nel quale versavano. È chiaro che<br />
quando all’interno <strong>di</strong> un paese, grande e popolato quanto la Cina, le forze dello sviluppo<br />
e della <strong>di</strong>namica dell’economia si scatenano, si apre almeno inizialmente un ventaglio<br />
molto largo nella <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to, che pesa su quella del mondo intero. I cinesi
del sud sono potuti <strong>di</strong>ventare ricchi, mentre i cinesi del nord, ancorché meno poveri <strong>di</strong><br />
ieri in assoluto, lo sono <strong>di</strong> più in termini relativi.<br />
La globalizzazione non c’entra nulla con questo acca<strong>di</strong>mento. La vicenda <strong>di</strong>stributiva del<br />
red<strong>di</strong>to in Cina è legata a fenomeni interni. Analogamente, crescita, instabilità, limiti <strong>di</strong><br />
governabilità avevano caratterizzato le economie <strong>di</strong> mercato capitalistiche anche<br />
quando <strong>di</strong> globalizzazione non si parlava.<br />
Le domande e le risposte più significative nel <strong>di</strong>battito<br />
Domanda:…ma questo suo <strong>di</strong>scorso generale non tiene conto dell’equilibrio del sistema–<br />
terra, delle sperequazioni che avvengono in larghissima scala…<br />
Dott. Ciocca: Il dato che ho fornito sulla <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to, frutto <strong>di</strong> ricerche<br />
recenti i cui risultati non sono ancora stati pubblicati, è un dato importantissimo che<br />
riguarda il ventaglio delle posizioni <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to dei singoli esseri umani. Che cosa<br />
aggiungere? Tutti i paesi del mondo sono cresciuti in termini <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to negli ultimi cento<br />
anni, segnatamente negli ultimi cinquanta. I paesi dell’Africa, che sono quelli<br />
me<strong>di</strong>amente più poveri - non posso che parlare per me<strong>di</strong>e, poiché i paesi al mondo sono<br />
circa duecento - financo quei paesi hanno avuto una crescita, ancorché bassa, del<br />
prodotto pro-capite. Si deve anche tener presente che non tutte le economie africane<br />
sono capitalistiche o <strong>di</strong> mercato nel senso in cui ho usato questo termine. Il fatto è che<br />
la crescita è stata molto più rapida altrove che nei paesi più poveri. Ma in punto <strong>di</strong> dati<br />
effettuali non c’è stato un decremento, un impoverimento assoluto, <strong>di</strong> singoli paesi per<br />
lunghi perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> tempo.<br />
Un secondo aspetto da riconsiderare riguarda la speranza <strong>di</strong> vita alla nascita, o speranza<br />
<strong>di</strong> vita. L’innalzamento è stato negli ultimi cinquant’anni spettacolare ed è stato<br />
generale, ha riguardato anche i paesi più poveri.<br />
Il terzo elemento, oltre al red<strong>di</strong>to e alla salute, è l’istruzione. Essa è <strong>di</strong>fficile da<br />
misurare, ma esiste una possibilità <strong>di</strong> farlo, fondamentalmente imperniata sul concetto<br />
<strong>di</strong> alfabetismo, analfabetismo e derivati. Anche in questo ambito c’è stato un progresso<br />
fenomenale, ovunque, negli ultimi decenni.<br />
Alcuni economisti hanno combinato i tre elementi - lo sviluppo del red<strong>di</strong>to pro-capite, la<br />
speranza <strong>di</strong> vita, il grado d’istruzione - in un solo in<strong>di</strong>ce. Lo hanno chiamato Human<br />
Development Index, in<strong>di</strong>ce dello sviluppo umano, per tener conto non solo <strong>di</strong> quanto si<br />
produce ma anche degli aspetti più sociali e culturali <strong>di</strong> ciò che è accaduto nel mondo<br />
negli ultimi cinquanta-cento anni. Questo in<strong>di</strong>ce è molto meno sperequato tra i paesi <strong>di</strong><br />
quanto non lo sia solo il red<strong>di</strong>to pro-capite. In altre parole, un ragazzo che nasce oggi in<br />
"Mozambico" nasce con un red<strong>di</strong>to che è 1/114esimo del red<strong>di</strong>to vostro, ma nasce con<br />
una probabilità <strong>di</strong> vita solo <strong>di</strong> poco inferiore alla vostra e con una prospettiva <strong>di</strong><br />
istruzione non molto <strong>di</strong>fferente, se vuole veramente stu<strong>di</strong>are e ne ha la capacità. Ciò da<br />
un lato semplifica, dall'altro complica le vicende del mondo. Chi ha un red<strong>di</strong>to basso<br />
rispetto ad altri, ma ha anche la ragionevole aspettativa <strong>di</strong> rimanere in quella situazione<br />
per settant’anni e gli strumenti culturali per confrontarsi, leggere la sua con<strong>di</strong>zione<br />
come sfortunata e fare le ipotesi più terribili circa l’origine <strong>di</strong> questa stessa con<strong>di</strong>zione<br />
terrà comportamenti che arricchiscono, ma anche complicano, il panorama complessivo<br />
della situazione mon<strong>di</strong>ale.
Domanda: …lo sviluppo <strong>di</strong> alcuni paesi non è legato alla subor<strong>di</strong>nazione coloniale del sud<br />
da parte del nord del mondo? E quin<strong>di</strong> la globalizzazione non equivale a sfruttamento?<br />
Dott. Ciocca: Le parole vanno usate con misura, nel loro significato proprio.<br />
<strong>Globalizzazione</strong> è termine <strong>di</strong> uso recente, che non ha <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> presenza nella storia<br />
alta dell’analisi economica. Il termine che ha <strong>di</strong>gnità analitica nella storia alta<br />
dell’analisi economica (Smith, Ricardo, Marx, Walras, Schumpeter, Keynes, Sraffa) è<br />
quello <strong>di</strong> commercio con l’estero. Il commercio internazionale è cresciuto in questi<br />
duecento anni molto più rapidamente dello stesso red<strong>di</strong>to, che pure è salito, come già<br />
detto, velocissimamente. Duecento anni fa il rapporto commercio-red<strong>di</strong>to mon<strong>di</strong>ale era<br />
del tre per cento, oggi è del venti per cento. Il processo sommariamente descritto <strong>di</strong><br />
sviluppo, sia pure con caratteri <strong>di</strong> instabilità e contrad<strong>di</strong>zioni sperequative, si è<br />
tendenzialmente correlato con una crescente apertura dei singoli paesi ai traffici<br />
internazionali. L’opinione dei gran<strong>di</strong> economisti, del passato e del presente, è che essa<br />
ha ad<strong>di</strong>rittura rappresentato una con<strong>di</strong>zione necessaria, ancorché non sufficiente, <strong>di</strong><br />
progresso economico. Si prenda il caso italiano. Noi abbiamo avuto la fortuna-sfortuna <strong>di</strong><br />
nascere in una penisola che è completamente priva <strong>di</strong> risorse naturali. Questa penisola è<br />
fatta <strong>di</strong> montagne, ha una piccola pianura che chiamiamo Padana, è priva <strong>di</strong> miniere<br />
produttive. E' una penisola che senza commercio internazionale non vive, non sarebbe<br />
vissuta. Anche quando l’Italia era poverissima, una delle più povere nazioni d’Europa, il<br />
red<strong>di</strong>to e il consumo degli italiani si sono sempre fondati sul commercio estero,<br />
sull'apertura agli scambi internazionali. Dobbiamo <strong>di</strong> necessità importare beni e servizi<br />
che non siamo in grado <strong>di</strong> produrre a prezzi convenienti, ovviamente producendo e<br />
scambiando beni e servizi che ci siamo resi in grado <strong>di</strong> produrre efficientemente. Questo<br />
è un punto sul quale, sotto il profilo analitico e intellettuale, non posso essere per nulla<br />
tollerante con i critici della cosiddetta globalizzazione. Senza commercio non c’è<br />
sviluppo economico. Non c’è né in un’economia capitalistica né in un’economia non<br />
capitalistica. Se esiste un paese che lo <strong>di</strong>mostra questo è proprio il nostro, nella sua<br />
storia plurisecolare. Se c’è un paese che non può <strong>di</strong>re “commercio con l’estero equivale<br />
a sottosviluppo, subalternità”, questo è il nostro paese. Abbiamo fatto esperienze <strong>di</strong><br />
autarchia, anche recenti, con risultati economici, sociali, politici <strong>di</strong>sastrosi. La parola<br />
globalizzazione è molto imprecisa. Tende a superare il concetto <strong>di</strong> commercio mon<strong>di</strong>ale,<br />
<strong>di</strong> interscambio <strong>di</strong> beni e servizi, del quale non si può <strong>di</strong>re che bene dal punto <strong>di</strong> vista<br />
strettamente economico, per riferirsi ad aspetti più generali e più vaghi dei rapporti fra<br />
le nazioni sui quali non ho molto da <strong>di</strong>re.<br />
Un aspetto importante che potremmo <strong>di</strong>scutere è l’interscambio <strong>di</strong> capitali, cosa <strong>di</strong>versa<br />
dall’interscambio <strong>di</strong> beni e servizi. Economisti importanti nel passato e altri nel presente<br />
ritengono che purché circolino internazionalmente le merci, i prodotti, le persone, non è<br />
essenziale - dal punto <strong>di</strong> vista economico, per lo sviluppo, per il benessere collettivo -<br />
che fra i paesi si muovano anche i capitali. Indubbiamente, ai movimenti dei capitali<br />
sono legati alcuni aspetti negativi della storia economica, gloriosa e dolorosa, <strong>di</strong> cui<br />
stiamo <strong>di</strong>scutendo. Pren<strong>di</strong>amo il caso dell’Argentina. Essa quest’anno avrà un crollo <strong>di</strong><br />
red<strong>di</strong>to del quin<strong>di</strong>ci-venti per cento, un calo terrificante, mai avvenuto in un anno <strong>di</strong><br />
pace in nessun paese prima. Vi sono due letture della crisi argentina. La prima: gli<br />
argentini non sanno produrre cose che piacciano al mondo, quin<strong>di</strong> non sono in grado <strong>di</strong><br />
esportare beni e servizi, quin<strong>di</strong> non sono in grado <strong>di</strong> importare ciò che consumano,<br />
quin<strong>di</strong> non sono in grado <strong>di</strong> onorare i debiti che in modo superficiale contraggono verso il<br />
resto del mondo. La colpa è, in sostanza, degli argentini. Seconda lettura: l’economia<br />
argentina è stata troppo allegramente finanziata dal sistema bancario e finanziario
internazionale, negli ultimi anni troppi danari sono stati prestati all’Argentina e poi<br />
improvvisamente ritirati quando la finanza internazionale si è preoccupata per certi<br />
andamenti, non solo economici ma anche politico istituzionali, all’interno <strong>di</strong> questa<br />
economia. La questione è aperta.<br />
Quanto meno, <strong>di</strong>stinguerei l’elemento commercio, senza il quale non c’è chance nella<br />
stragrande maggioranza dei paesi del mondo, da altri aspetti che attengono ai rapporti<br />
tra le nazioni.<br />
Domanda: …vorrei sapere la sua opinione riguardo ad organismi definiti già dal prof.<br />
Visco come tecnici, quali Fondo Monetario e Banca Mon<strong>di</strong>ale.<br />
Dott. Ciocca: Questi organismi esistono dagli anni Quaranta. Il Fondo Monetario e la<br />
Banca Mon<strong>di</strong>ale sono una creazione della conferenza <strong>di</strong> Bretton Woods, che si tenne<br />
ancor prima che la guerra mon<strong>di</strong>ale terminasse. Certamente vi è una componente<br />
tecnica importantissima nel lavoro <strong>di</strong> queste istituzioni. I dati che citavo prima sulla<br />
<strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to nel mondo sono costruiti anche da economisti appartenenti a<br />
queste istituzioni. La <strong>di</strong>fficoltà analitica, <strong>di</strong> rilevazione statistica non vi sfugge. Costruire<br />
i dati sul red<strong>di</strong>to è un lavoro <strong>di</strong>fficile e importantissimo, cruciale per sapere come<br />
funzionano le economie. Senza <strong>di</strong> esso, senza quei dati, la nostra <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> oggi non<br />
avrebbe potuto avere luogo. L’elemento tecnico si estende all’analisi delle cause delle<br />
<strong>di</strong>fficoltà e dei successi che le economie dei paesi partecipanti a queste istituzioni<br />
registrano. C’è poi un passaggio delicatissimo ai suggerimenti che queste stesse<br />
istituzioni danno circa le politiche economiche da attuare. Quali sono i criteri? Sono i<br />
criteri che le nazioni partecipanti al Fondo Monetario Internazionale, poco meno <strong>di</strong> 200,<br />
hanno concordemente, insieme, definito. Di questi criteri si può <strong>di</strong>scutere. Se però non<br />
vi piace la "ricetta" del Fondo, prima <strong>di</strong> prendervela con il Fondo dovete prendervela con<br />
i rappresentanti del vostro paese presso il Fondo.<br />
Domanda:... che il Fondo Monetario ha prestato sol<strong>di</strong> ai più gran<strong>di</strong> criminali degli ultimi<br />
cinquanta anni, non è una cosa che dovrebbe essere nascosta, eppure lo è. Allora mi<br />
chiedo con che criteri etici il fondo presta i sol<strong>di</strong> a chicchessia senza alcuna <strong>di</strong>fferenza?<br />
Perché continuare a prestare i sol<strong>di</strong> ad uno sfruttatore, che uccide, senza guardare le<br />
atrocità che fa? Questo vuol <strong>di</strong>re solo sfruttare il mercato, uno dei tanti mercati. Ma<br />
d’altra parte non bisogna meravigliarsi, perché se un me<strong>di</strong>o impren<strong>di</strong>tore, nel suo<br />
piccolo, sfrutta il mercato del lavoro, per trarre proprio profitto, una multinazionale lo<br />
fa su scala mon<strong>di</strong>ale e un paese lo fa su scala continentale. Lei che ne <strong>di</strong>ce?<br />
Dott. Ciocca: Il giu<strong>di</strong>zio politico e morale del Fondo Monetario Internazionale sui<br />
governanti dei paesi che al Fondo si rivolgono per ottenere prestiti è problema molto<br />
interessante. Vale anche per altre forme <strong>di</strong> finanziamento, per altre istituzioni sul piano<br />
internazionale e, perché no, anche sul quello nazionale, perché i paesi che si indebitano<br />
ottengono cre<strong>di</strong>to anche da banche private. Il giu<strong>di</strong>zio entra nelle valutazioni quando gli<br />
aspetti politici e morali del governo <strong>di</strong> un paese si ripercuotono sull’economia <strong>di</strong> quel<br />
paese, quando esso ricorre al sostegno del FMI. L’idea secondo la quale un paese<br />
governato da un tiranno ha molto probabilmente, alla lunga, minore successo in termini<br />
economici è parte della valutazione complessiva. Pren<strong>di</strong>amo il caso italiano. Il nostro<br />
paese è stato sostenuto dalla finanza internazionale nel dopoguerra. Un paese arretrato<br />
economicamente, culturalmente, istituzionalmente, quale era il nostro, è stato<br />
sostenuto dalla finanza internazionale negli anni ’40, negli anni ’50. Il nostro giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong><br />
oggi sui finanziamenti che l’Italia ottenne allora è connesso con il giu<strong>di</strong>zio politico che
possiamo dare dei governanti italiani <strong>di</strong> allora. In termini economici, il red<strong>di</strong>to <strong>di</strong> cui<br />
oggi go<strong>di</strong>amo non ci sarebbe senza quei finanziamenti (<strong>di</strong> cui l’Italia fece un uso parco -<br />
largamente li restituì - e intelligente, perché molto <strong>di</strong>pende poi da come si usano questi<br />
sol<strong>di</strong>). Posso <strong>di</strong>re anche che i mercati finanziari annettono un’importanza crescente al<br />
profilo politico e morale a cui ti riferisci.<br />
Naturalmente è una valutazione delicatissima, affidata anche ai giu<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> valore, alla<br />
sensibilità <strong>di</strong> ciascuno.<br />
PARTE SECONDA<br />
Le relazioni degli studenti<br />
Relazioni sulla conferenza del prof. Vincenzo Visco<br />
Se è vero che è la struttura economica <strong>di</strong> una società a determinare il suo assetto<br />
istituzionale,la sua situazione culturale, le scelte politiche della sua classe <strong>di</strong>rigente,<br />
allora l'indagine svolta dal professor Vincenzo Visco costituisce un punto <strong>di</strong> partenza<br />
imprescin<strong>di</strong>bile per non rimanere smarriti in quei veri e propri meandri che sono i mille<br />
risvolti della questione chiamata “globalizzazione”.<br />
Nell'affrontare un fenomeno come quello della globalizzazione, non si può non parlare in<br />
termini <strong>di</strong> struttura e sovrastruttura, poiché, se le scelte <strong>di</strong> politica estera,spesso cieche<br />
e autoritarie, delle potenze trainanti, possono generare crisi e tensioni tali da<br />
mo<strong>di</strong>ficare il volto stesso del pianeta, esse sono “giustificate” o comunque spiegate<br />
dalle vantaggiose prospettive economiche che nascondono.<br />
La globalizzazione economica,resa inevitabile dalla caduta del muro <strong>di</strong> Berlino,dal<br />
trionfo e dal progressivo irra<strong>di</strong>arsi in tutto il mondo occidentale <strong>di</strong> un'economia <strong>di</strong><br />
matrice capitalistica, ha consentito l'abbattimento <strong>di</strong> ogni barriera fra gli Stati più<br />
ricchi, dando un colpo decisivo a quel protezionismo che, come Visco ha ben precisato,<br />
si accompagna storicamente a perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> involuzione economica, <strong>di</strong> preponderanza <strong>di</strong><br />
ceti parassitari, oppure regimi politici autoritari (il ventennio compreso fra le due guerre<br />
ne è un esempio eclatante).<br />
Tuttavia siamo ben lontani dal considerare un fenomeno in grado <strong>di</strong> produrre un<br />
effettivo bilanciamento delle ricchezze, <strong>di</strong> annullare le <strong>di</strong>stanze fra Paesi più evoluti e<br />
Paesi più arretrati; talvolta, in nome <strong>di</strong> un sogno forse irrealizzabile <strong>di</strong> vita comunitaria<br />
e <strong>di</strong> convivenza e aggregazione fra i popoli, assistiamo a interventi quantomeno<br />
avventati,da parte delle gran<strong>di</strong> potenze, all'interno degli stati più vulnerabili, e la<br />
globalizzazione degli stati più ricchi si riduce, dopo il colonialismo e l'imperialismo<br />
storici,ad un ulteriore esempio <strong>di</strong> prevaricazione dell'uomo sull'uomo. L'analisi <strong>di</strong> Visco<br />
voleva far luce sulle tantissime contrad<strong>di</strong>zioni della questione, evidenziando, con la<br />
lezione storica, la genesi del mondo globalizzato e valorizzandone, con la lezione <strong>di</strong><br />
economia contemporanea, gli aspetti più positivi.
Visco definisce la globalizzazione come un'integrazione e compenetrazione delle<br />
economie dei vari stati, assimilabile, sotto alcuni punti <strong>di</strong> vista, ad altri processi <strong>di</strong><br />
fusione che utilizzano come strumento l'egemonia <strong>di</strong> alcuni stati su altri. Per quanto<br />
affermatasi pienamente solo negli ultimi anni,le sue ra<strong>di</strong>ci sono da ricercarsi nella<br />
storia. Non può considerarsi un esempio <strong>di</strong> globalizzazione ante-litteram l'imperialismo<br />
romano, per il suo accentuato carattere <strong>di</strong> non spontaneità e affermazione violenta. Non<br />
senza un leggero accento epico, Visco cita Marco Polo e Cristoforo Colombo come<br />
pionieri del processo <strong>di</strong> globalizzazione, il primo per aver aperto nuove vie commerciali,<br />
il secondo come simbolo dell'abbattimento <strong>di</strong> ogni barriera e del superamento delle<br />
<strong>di</strong>stanze. La prima globalizzazione può farsi risalire agli inizi del XIX secolo, con<br />
l'affermazione del capitalismo moderno e lo smantellamento del mercantilismo<br />
precedente. Questa fase dura fino allo scoppio della prima guerra mon<strong>di</strong>ale. Il periodo<br />
compreso tra le due guerre costituisce al contrario uno sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> regresso, in quanto<br />
l'affermazione delle ideologie nazionaliste accentua anacronisticamente il carattere<br />
autarchico e protezionista delle economie dei singoli paesi. Dagli anni '50 in poi, il<br />
processo, che ormai non incontra più ostacoli, subisce un'accelerazione ininterrotta,<br />
soprattutto negli anni '80 e '90, grazie alla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> nuove e sempre più evolute<br />
tecnologie. Visco si sofferma dunque sull'analisi delle cause e degli effetti della<br />
globalizzazione. Prima causa può essere riconosciuta l'emigrazione, o lo spostamento<br />
della forza-lavoro. Particolarmente intensa agli albori del XX secolo, soprattutto quella<br />
che dai paesi europei si rivolge verso gli Stati Uniti d'America, e indotta dalle pessime<br />
con<strong>di</strong>zioni economiche dei lavoratori, produce due effetti ben <strong>di</strong>fferenti e spesso<br />
opposti, nei Paesi in cui il flusso si origina e in quelli destinati a riceverlo: nel luogo <strong>di</strong><br />
partenza la manodopera <strong>di</strong>minuisce bruscamente e con questa la concorrenza,<strong>di</strong><br />
conseguenza aumentano i salari e migliorano le con<strong>di</strong>zioni generali <strong>di</strong> chi resta;nel luogo<br />
<strong>di</strong> arrivo, al contrario, con la manodopera aumenta la concorrenza, risultando necessaria<br />
l'imposizione <strong>di</strong> un calmiere sull'eccessivo aumento dei salari:le <strong>di</strong>suguaglianze<br />
economiche risultano accentuate. L'economia statunitense è stata, anche ultimamente,<br />
influenzata dall'afflusso <strong>di</strong> manodopera (Melting Pot), con effetti positivi sull'inflazione.<br />
Visco in<strong>di</strong>vidua nella liberalizzazione degli scambi, con il relativo abbattimento delle<br />
barriere doganali, un altro dei motivi fondanti della globalizzazione, per quanto essa<br />
risulti sfavorevole ai paesi in via <strong>di</strong> sviluppo che esportano materie prime a basso prezzo<br />
in cambio <strong>di</strong> manufatti. Per garantire a questi paesi uno sviluppo accettabile<br />
bisognerebbe accentuare gli scambi dei prodotti agricoli; d'altra parte il ruolo <strong>di</strong><br />
egemoni è assicurato ai paesi più ricchi da un'economia fondata sullo sfruttamento delle<br />
risorse petrolifere, economia che essi tentano in ogni modo <strong>di</strong> conservare.<br />
Secondo il professore la globalizzazione non è un processo che tende ad accentuare le<br />
<strong>di</strong>fferenze fra gli Stati. Molti Paesi arretrati ne hanno tratto le mosse per intraprendere<br />
una crescita economica non in<strong>di</strong>fferente, come ad esempio l'In<strong>di</strong>a, <strong>di</strong>venuta grande<br />
esportatrice <strong>di</strong> riso. Il problema maggiore è quello relativo all'integrazione <strong>di</strong> questi stati<br />
all'interno dell'economia mon<strong>di</strong>ale. Non si può dubitare, secondo Visco, che la<br />
globalizzazione sia un processo positivo. Sono le modalità della sua attuazione a<br />
generare contrad<strong>di</strong>zioni e incomprensioni fra gli stati. In realtà, punto <strong>di</strong> partenza deve<br />
essere la consapevolezza che l'economia mon<strong>di</strong>ale ha un equilibrio multipolare, che per<br />
essere mantenuto ha bisogno <strong>di</strong> una politica lungimirante da parte delle classi <strong>di</strong>rigenti.<br />
Spesso queste, in seno alle gran<strong>di</strong> organizzazioni economiche internazionali, hanno<br />
accelerato in modo irresponsabile il processo, facendo apparire le stesse organizzazioni<br />
in una falsa luce negativa. Grazie all'efficienza della sua classe <strong>di</strong>rigente, la Malesia è
iuscita a superare brillantemente la crisi finanziaria del '98, legata al Fondo Monetario,<br />
<strong>di</strong>versamente da quanto è avvenuto in Indonesia. L'Unione Europea costituisce, a detta<br />
<strong>di</strong> Visco, un esempio <strong>di</strong> globalizzazione virtuosa, e una delle poche risposte all'esigenza<br />
<strong>di</strong> trovare se<strong>di</strong> adeguate in cui <strong>di</strong>scutere il problema.<br />
La globalizzazione, responsabile, durante il secolo appena trascorso, dei due conflitti<br />
mon<strong>di</strong>ali (in quanto in<strong>di</strong>rettamente legata alla questione dell'apertura dell'economia), è<br />
oggi sospinta dall'evoluzione in senso positivo delle forme politiche occidentali,<br />
nonostante queste non lascino altra possibilità alle minoranze, come spesso avviene in<br />
Me<strong>di</strong>o Oriente, se non quella <strong>di</strong> coltivare le proprie tendenze xenofobe, tramutandole in<br />
forme <strong>di</strong> fondamentalismo, condannabili quanto pericolose.<br />
La conferenza <strong>di</strong> Visco si conclude con l'”auspicio” che tutti possano sentirsi citta<strong>di</strong>ni del<br />
mondo, scongiurando gli effetti negativi <strong>di</strong> qualsiasi posizione chiusa e autarchica (come<br />
era avvenuto nel periodo 1914-1950), e facendo in modo che, all'interno dei congressi, la<br />
rappresentanza <strong>di</strong> ogni singolo Stato corrisponda alla sua popolazione. In questo modo gli<br />
Stati economicamente più forti potranno consapevolmente assumersi maggiori<br />
responsabilità nel garantire la <strong>di</strong>ffusione omogenea della globalizzazione e farvi fronte<br />
energicamente.<br />
Il professor Vincenzo Visco è apparso davvero molto brillante nell'affrontare la spinosa<br />
questione facendo risultare la sua spiegazione incisiva e <strong>di</strong> semplice comprensione. Ci ha<br />
colpiti il suo atteggiamento: quello dello stu<strong>di</strong>oso che ricerca le cause e indaga gli<br />
effetti, che imposta la propria lezione sul confronto <strong>di</strong>alettico dei punti <strong>di</strong> vista, anche<br />
<strong>di</strong> quelli apparentemente più <strong>di</strong>stanti, garantendoci più <strong>di</strong> una chiave <strong>di</strong> lettura della<br />
questione e fornendoci una visione d'insieme senza dubbio molto più utile delle<br />
interpretazioni rigide o univoche che società e mass-me<strong>di</strong>a ci propongono. Non ha voluto<br />
assicurarci alcuna verità sull'argomento. Semplicemente spronarci all'analisi consapevole<br />
<strong>di</strong> un tema così attuale e <strong>di</strong> un termine così male utilizzato: globalizzazione. Spesso se<br />
ne fa un abuso: da un paio d'anni a questa parte, con il primo vertice del WTO, e ancor<br />
più <strong>di</strong> recente, con l'eco vastissima dei fatti <strong>di</strong> Genova e i tragici acca<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> New<br />
York, questa parola ci rincorre e ci incalza. Eppure non esprime altro che l'esigenza <strong>di</strong><br />
comprendere una tappa necessaria del progressivo evolversi della storia, un fenomeno <strong>di</strong><br />
compenetrazione <strong>di</strong> sfera economica, politica, culturale, ecc. altrimenti <strong>di</strong>fficilmente<br />
interpretabile. La globalizzazione non è un evento degli ultimi due anni. La sua piena<br />
affermazione risale forse a prima del crollo del Muro <strong>di</strong> Berlino. E lo stu<strong>di</strong>o, approfon<strong>di</strong>to<br />
e flessibile, compiuto da Visco, è l'unico modo per pronunciare “globalizzazione” senza<br />
svuotare la parola del suo significato <strong>di</strong> evoluzione dell'economia in un contesto <strong>di</strong><br />
rapporti sempre più fitti tra gli Stati.<br />
Elio B.<br />
<strong>Globalizzazione</strong> è un termine <strong>di</strong> origine anglosassone, che in<strong>di</strong>ca il processo <strong>di</strong><br />
unificazione economica, culturale e politica, in atto a livello planetario. La<br />
globalizzazione è un fenomeno anzitutto economico, proiettato alla realizzazione <strong>di</strong> un<br />
mercato mon<strong>di</strong>ale dei capitali, che dà a<strong>di</strong>to a decisioni strategiche delle imprese,<br />
svincolate da una base territoriale, e giustificate da una strategia produttiva in funzione<br />
dei costi <strong>di</strong> produzione relativi nei <strong>di</strong>versi paesi ( massimizzazione dei profitti ) e in vista<br />
<strong>di</strong> un prodotto da vendere nel maggior numero possibile <strong>di</strong> paesi.
In campo culturale, tale processo è caratterizzato dalla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> una mentalità<br />
ultra-in<strong>di</strong>vidualista sra<strong>di</strong>cata dall'ambito territoriale, che rompe la struttura usuale delle<br />
società del XX secolo. In ambito politico sono state create organizzazioni internazionali,<br />
quali il World Trade Organization (WTO), Fondo Monetario Internazionale ( FMI), il G8.<br />
I cambiamenti della struttura economica, operati dalla globalizzazione, mo<strong>di</strong>ficano i<br />
rapporti reali tra gli uomini: si originano così nuove visioni del mondo e sono necessari<br />
or<strong>di</strong>namenti politico-giuri<strong>di</strong>ci, in grado <strong>di</strong> supportare il nuovo sistema economico.<br />
Gli aspetti economici legati alla globalizzazione sono stati oggetto della relazione tenuta<br />
dal professore Vincenzo Visco, Docente <strong>di</strong> Economia ed ex Ministro delle Finanze, e<br />
svoltasi il 17 gennaio 2002, presso l’aula Magna del <strong>Liceo</strong> “<strong>Orazio</strong>”. L’analisi del<br />
fenomeno “ globalizzazione “ si è articolata in una ricostruzione storica ed in un esame<br />
degli effetti sul sistema economico moderno.<br />
La globalizzazione è stata definita dal professor Visco come un processo <strong>di</strong> integrazione<br />
delle economie dei <strong>di</strong>versi paesi, reso possibile dallo sviluppo dei mezzi <strong>di</strong> trasporto, dal<br />
libero scambio e dalle moderne tecnologie. Le ra<strong>di</strong>ci del fenomeno non sono da<br />
ricercarsi né nella politica espansionistica propria degli imperi, come quello Romano, né<br />
nella economia protocapitalistica europea del XV° secolo, che con i viaggi prima <strong>di</strong><br />
Marco Polo e poi <strong>di</strong> Cristoforo Colombo si apriva a nuovi mercati. Infatti il processo <strong>di</strong><br />
globalizzazione proprio degli imperi mancava <strong>di</strong> ogni carattere <strong>di</strong> spontaneità e<br />
nell’epoche <strong>di</strong> Marco Polo e Cristoforo Colombo gli scambi commerciali erano limitati a<br />
poche merci. Gli albori della globalizzazione risalgono al periodo successivo alle guerre<br />
napoleoniche, allorché si verifica una convergenza dei prezzi, aumenta il flusso delle<br />
migrazioni e si afferma il moderno capitalismo a danno del modello protezionistico.<br />
Questa è la fase più intensa del processo sia in termini quantitativi, che qualitativi,<br />
destinata a durare fino allo scoppio del primo conflitto mon<strong>di</strong>ale. L’integrazione dei<br />
mercati era a quel tempo superiore a quella, che si osserva nei nostri giorni. Nel periodo<br />
compreso tra il 1915 e gli anni ’50, il fenomeno subisce un rallentamento e talvolta<br />
persino un arretramento, a causa delle ideologie autarchiche e nazionalistiche, che si<br />
affermarono in tutto il mondo. Dagli anni ’50 fino agli anni ’80 il processo <strong>di</strong><br />
globalizzazione riprende il suo cammino e si afferma definitivamente, grazie alle nuove<br />
tecnologie, che svolgono il ruolo <strong>di</strong> traino dei mercati.<br />
Il professore Visco, terminata la ricostruzione storica, ha preso in esame gli effetti della<br />
globalizzazione, che riguardano l’essenza stessa del processo: lo scambio e la<br />
localizzazione <strong>di</strong> uomini, risorse e capitali al <strong>di</strong> là delle nazioni. A partire dalla seconda<br />
metà dell’ottocento si intensificarono i flussi migratori da paesi quali l’Italia, la<br />
Norvegia, l’Irlanda, la Svezia verso regioni più ricche, in primo luogo gli USA. A muoversi<br />
dai paesi <strong>di</strong> origine sono i ceti poveri, motivati da necessità <strong>di</strong> sopravvivenza; il processo<br />
è traumatico soprattutto per la prima generazione <strong>di</strong> emigranti. La libertà <strong>di</strong> movimento<br />
consente lo spostamento <strong>di</strong> manodopera da zone povere verso aree più ricche: nei luoghi<br />
<strong>di</strong> partenza la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> sovrappopolamento rispetto alle risorse viene meno e si<br />
rende possibile un innalzamento dei salari; nei paesi <strong>di</strong> arrivo si presenta una situazione<br />
<strong>di</strong>ametralmente opposta, i salari <strong>di</strong>minuiscono, sulla base del principio che l’offerta<br />
supera la domanda. Gli USA hanno <strong>di</strong>mostrato grande abilità nello sfruttare i flussi<br />
migratori, importando manodopera a basso prezzo; le <strong>di</strong>suguaglianze però aumentano, si<br />
creano contrad<strong>di</strong>zioni e ingiustizie sociali e ricompaiono le riven<strong>di</strong>cazioni sindacali.<br />
Un secondo aspetto della globalizzazione coinvolge il sistema degli scambi commerciali
in una economia, che tende ad abolire le barriere doganali: l’export dei paesi in via <strong>di</strong><br />
sviluppo (PVS) si basa essenzialmente su prodotti primari, mentre quello dei paesi ricchi<br />
su manufatti industriali.Un assetto economico <strong>di</strong> tale tipo, fondato sul libero scambio,<br />
avvantaggia naturalmente i paesi industrializzati, mentre mantiene in uno stato <strong>di</strong><br />
arretratezza l’industria delle zone più povere, impossibilitate a servirsi delle proprie<br />
risorse, esportate continuamente a basso prezzo. Gli unici vantaggi, che derivano<br />
in<strong>di</strong>rettamente ai PVS, risiedono nel potenziamento delle infrastrutture e della rete <strong>di</strong><br />
trasporto.<br />
Il processo <strong>di</strong> globalizzazione, come prosegue il professore Visco, è contestato dal<br />
movimento “No Global”, caratterizzato da posizioni contrastanti al suo interno. La<br />
protesta, seppure utile nella critica agli aspetti negativi del fenomeno, si esprime<br />
talvolta con posizioni reazionarie: il signor Bovè, agricoltore francese, che sferra<br />
attacchi su attacchi alla multinazionale “Mc Donald”, non propone altro che un sistema<br />
economico protetto e rivela unicamente paura per l’introduzione sul mercato <strong>di</strong> prodotti<br />
stranieri concorrenziali. La globalizzazione è invece un fenomeno <strong>di</strong> natura positiva, <strong>di</strong><br />
progresso e crescita economica per tutti i paesi coinvolti: le <strong>di</strong>suguaglianze tra i paesi,<br />
che aderiscono alla globalizzazione, tendono salvo rari casi a <strong>di</strong>minuire. I paesi, integrati<br />
nel processo, traggono gran<strong>di</strong> benefici, come l’In<strong>di</strong>a, che contrariamente alle previsioni<br />
del premio nobel Myrdall, autore del libro “Il dramma dell’Asia”, non solo non ha più<br />
bisogno degli aiuti umanitari, ma ora è in grado <strong>di</strong> sfamare la sua popolazione ed esporta<br />
riso da quin<strong>di</strong>ci anni. Durante la crisi dei mercati asiatici del ’98, la Malesia e l’Indonesia<br />
hanno reagito in maniera opposta alla recessione economica: la Malesia l’ha pienamente<br />
superata, grazie al supporto del FMI, mentre l’Indonesia, esclusa dai meccanismi della<br />
globalizzazione, è stata travolta dalla depressione economica.<br />
I paesi, esclusi dalla globalizzazione, sono quelli afflitti da guerre civili, quelli in cui si<br />
registra una mancanza <strong>di</strong> investimenti degli Stati ricchi, quelli governati da classi<br />
<strong>di</strong>rigenti corrotte o inette. I governanti dei paesi arabi si preoccupano <strong>di</strong> destinare i<br />
proventi della ven<strong>di</strong>ta del petrolio ad una cerchia ristretta <strong>di</strong> ricchi uomini <strong>di</strong> affari;<br />
l’Argentina è stata condotta nel baratro <strong>di</strong> una grave crisi economica, da una classe<br />
<strong>di</strong>rigente incapace <strong>di</strong> sfruttare le capacità e le risorse, <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>sponeva il paese: tutto è<br />
stato privatizzato, ma non si è affermato un sistema economico liberista e le imprese<br />
sono finite nelle mani dei monopolisti americani. Quin<strong>di</strong> la globalizzazione non è un<br />
fenomeno <strong>di</strong> per sé negativo, ma la modalità applicativa può presentare rischi e pericoli.<br />
I risultati dannosi si sono registrati soprattutto nei paesi coinvolti nel processo, ma non<br />
ancora pronti a sostenerne le conseguenze. Gli effetti negativi si possono ridurre,<br />
creando un assetto politico stabile, in grado <strong>di</strong> assicurare che il processo <strong>di</strong> integrazione<br />
delle economie avvenga in modo non traumatico e vantaggioso per tutti gli Stati. E’<br />
necessaria la creazione <strong>di</strong> un organismo centrale, in cui la rappresentanza sia in funzione<br />
non solo del prodotto interno lordo, ma anche della popolazione; un esempio virtuoso in<br />
questo senso è l’Unione Europea. Le attuali organizzazioni, come il WTO, infatti<br />
favoriscono unicamente i paesi ricchi e non si curano, del fatto che talvolta in un paese,<br />
che si apre al processo <strong>di</strong> globalizzazione, l’importazione è molto favorita, mentre le<br />
con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> esportazione sono inaccettabili. Il professore affronta in conclusione il<br />
problema della sfruttamento minorile e della retribuzione nei PVS: i capitali,<br />
perseguendo sempre il profitto, cercano nuovi mercati e manodopera a costi più bassi. I<br />
salari, percepiti dai lavoratori nei PVS, è indubbio che siano inferiori a quelli dei<br />
lavoratori degli stati ricchi. Tuttavia tali salari sono più che sufficienti per gli standard<br />
<strong>di</strong> vita degli Stati poveri. Senza negare l’importanza e la necessità <strong>di</strong> maggiori tutele per<br />
prevenire lo sfruttamento minorile, il professore Visco sostiene che nei PVS, anche in
assenza delle multinazionali, i bambini comunque lavorerebbero, in quanto in tali paesi<br />
l’organizzazione familiare necessita del contributo economico <strong>di</strong> tutti i soggetti, in grado<br />
<strong>di</strong> lavorare.<br />
Il professor Visco si è <strong>di</strong>mostrato strenuo <strong>di</strong>fensore della globalizzazione, cosiddetta<br />
buona, che avvantaggia sia gli Stati ricchi che quelli poveri, elimina le <strong>di</strong>suguaglianze e<br />
conduce verso il progresso. Il processo, come sostiene il professore, è inarrestabile:<br />
risultano anacronistiche le posizioni <strong>di</strong> chi propone un’economia protezionistica, in cui si<br />
creino aree omogenee <strong>di</strong> scambio ed i movimenti dei capitali siano limitati<br />
dall’introduzione <strong>di</strong> nuove tasse, come la Tobin Tax.Un assetto <strong>di</strong> tal genere otterrebbe<br />
il risultato <strong>di</strong> isolare le aree più povere, che potrebbero commerciare quasi unicamente<br />
con zone altrettanto povere. Lo sviluppo dell’industria, nonostante la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong><br />
materie prime, sarebbe frenato dalla mancanza <strong>di</strong> un necessario capitale <strong>di</strong><br />
investimento iniziale; neppure l’industria dei paesi ricchi ne trarrebbe benefici, ma si<br />
troverebbe senza prodotti primari da lavorare. Ovviamente <strong>di</strong>suguaglianze e contrasti<br />
bellici non <strong>di</strong>minuirebbero. Piuttosto, come sostiene il professor Visco, si rende sempre<br />
più urgente e necessaria la presenza <strong>di</strong> una sovrastruttura politico-giuri<strong>di</strong>ca, che regoli<br />
la globalizzazione e strappi il ruolo <strong>di</strong> gestori unici dell’economia mon<strong>di</strong>ale ad alcuni<br />
particolari gruppi d’interesse, ed in particolare a quello che Joseph E. Stiglitz, ex Senior<br />
Vice President della Banca Mon<strong>di</strong>ale e professore <strong>di</strong> Economia a Princeton, chiama nel<br />
suo libro “In un mondo imperfetto” G1, ossia gli USA.<br />
Il nuovo or<strong>di</strong>namento dovrà tener conto delle <strong>di</strong>versità culturali e sociali dei vari paesi e<br />
le dovrà valorizzare, anziché sopprimere. Giu<strong>di</strong>care le <strong>di</strong>fferenze come fattore positivo<br />
<strong>di</strong> crescita ed arricchimento per tutti non può tradursi, però, in un giustificazionismo<br />
dell’opera delle multinazionali nei PVS. I lavoratori devono essere garantiti in modo<br />
uguale in tutto il mondo: <strong>di</strong>ritti e retribuzioni sono da regolarsi approssimativamente in<br />
base ad un unico metro <strong>di</strong> misura. I red<strong>di</strong>ti costituiscono infatti il mezzo più rapido ed<br />
efficace per <strong>di</strong>ffondere maggiore benessere tra quel 45% della popolazione mon<strong>di</strong>ale,<br />
che controlla però solo il 10% delle spese e il 17,3% della ricchezza del globo. Solo in<br />
questo modo si darebbe a tutte le nazioni la possibilità <strong>di</strong> acquistare beni, per ora alla<br />
sola portata dei paesi ricchi, e <strong>di</strong> costituire, tramite il risparmio, propri capitali da<br />
investire.<br />
Lo sfruttamento minorile non si può giustificare, è inaccettabile in ogni sua forma. Nei<br />
paesi poveri, sembra sostenere il professor Visco, le multinazionali <strong>di</strong>struggono culture,<br />
impongono nuovi valori, quali il libero scambio, la sfrenata concorrenza ed un<br />
in<strong>di</strong>vidualismo esasperato, e rispettano solo le usanze locali in fatto <strong>di</strong> impiego <strong>di</strong><br />
manodopera minorile, a cui si piegano <strong>di</strong> malavoglia. La globalizzazione deve essere<br />
rispettosa verso idee <strong>di</strong>verse, ma il suo primo compito è <strong>di</strong>ffondere progresso e civiltà.<br />
Clodomiro C.<br />
Negli ultimi anni si è verificata una progressiva presa <strong>di</strong> coscienza da parte dell'opinione<br />
pubblica <strong>di</strong> tutti i Paesi occidentali riguardo alle problematiche sollevate dal processo <strong>di</strong><br />
globalizzazione.<br />
La prima e più evidente espressione delle preoccupazioni suscitate dagli aspetti negativi<br />
<strong>di</strong> questo processo è avvenuta durante lo svolgimento del terzo vertice del WTO,<br />
tenutosi a Seattle nel 1999. In tale occasione si radunarono inaspettatamente migliaia <strong>di</strong>
manifestanti, organizzati tramite internet, per protestare contro i nuovi accor<strong>di</strong> sul<br />
commercio mon<strong>di</strong>ale. Le manifestazioni causarono il parziale fallimento dl vertice.<br />
Si è così aperto un acceso confronto tra i contestatori della globalizzazione ed i politici<br />
ed economisti che pongono invece l'accento sugli aspetti positivi del fenomeno.<br />
Poichè la globalizzazione comporta mutamenti in numerosi ambiti (economico, politico,<br />
sociale), si è cominciato ad analizzarli con il professor Visco dal punto <strong>di</strong> vista<br />
economico, poichè esso rappresenta il motore principale del processo.<br />
La globalizzazione è un processo <strong>di</strong> integrazione e compenetrazione delle economie <strong>di</strong><br />
vari Paesi per mezzo <strong>di</strong> scambi commerciali, spostamenti <strong>di</strong> uomini, investimenti e con<br />
l'uso delle tecnologie che rendono possibile tutto ciò. Essa è un processo vitale <strong>di</strong><br />
crescita, non nuovo nella storia dell'umanità. Ne sono già esempio, se pure parziale,<br />
l'Impero Romano (dove il processo però non era spontaneo) e l'apertura <strong>di</strong> nuove vie<br />
commerciali all'inizio dell'era moderna (limitata al solo commercio <strong>di</strong> pochi prodotti).<br />
La vera globalizzazione avviene dall'Ottocento, con lo sviluppo del capitalismo moderno<br />
e lo smantellamento del sistema mercantilistico e protezionistico. Fino alla prima guerra<br />
mon<strong>di</strong>ale si verifica la fase più intensa del processo, dal punto <strong>di</strong> vista qualitativo e<br />
quantitativo. Da allora fino agli anni Cinquanta si entra in una fase protezionistica,<br />
autarchica, con una stasi o ad<strong>di</strong>rittura regresso del processo economico, a causa<br />
soprattutto delle scelte nazionalistiche da parte dei vari Paesi. Dagli anni Cinquanta in<br />
poi (con il culmine negli ultimi decenni) le nuove tecnologie hanno trainato<br />
l'accelerazione del processo, con un conseguente enorme progresso economico.<br />
Tra gli effetti principali della globalizzazione ci sono l'emigrazione e la liberalizzazione<br />
degli scambi.<br />
Lo spostamento <strong>di</strong> masse umane, spinte dalla fame e soggette ad affrontare un trauma<br />
anche culturale, porta benefici nel Paese <strong>di</strong> partenza, dove l'iniziale eccesso <strong>di</strong><br />
manodopera si riduce, con un conseguente aumento dei salari e una <strong>di</strong>minuzione delle<br />
<strong>di</strong>suguaglianze. Nel Paese <strong>di</strong> arrivo, invece, i salari <strong>di</strong>minuiscono e la <strong>di</strong>suguaglianza<br />
sociale aumenta. Ad esempio gli U.S.A. hanno basato il progresso economico degli ultimi<br />
decenni sul forte aumento della popolazione e l'uso, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> manodopera a basso<br />
costo. Ciò ha causato però la nascita <strong>di</strong> contrasti sociali, espressi nel rafforzamento dei<br />
sindacati, che attualmente si trovano su posizioni antiglobal.<br />
L'abbattimento delle barriere doganali danneggia invece i Paesi poveri (che esportano<br />
materie prime) a vantaggio dei Paesi ricchi (che esportano prodotti ad alta tecnologia).<br />
Se non esistessero interessi contrastanti la liberalizzazione dei commerci e la<br />
<strong>di</strong>minuzione del costo dei trasporti beneficerebbe tutti. In realtà non è così. Ad esempio<br />
per aiutare l'Africa bisognerebbe liberalizzare gli scambi agricoli, ma è forte<br />
l'opposizione degli agricoltori europei, che ora godono degli effetti della politica<br />
protezionistica praticata dall'Unione Europea. Per questo gran parte del movimento<br />
antiglobal europeo è costituito dagli agricoltori francesi (capeggiati da Bovè).<br />
La globalizzazione provoca una <strong>di</strong>minuzione delle <strong>di</strong>suguaglianze tra i Paesi integrati nel<br />
processo, mentre causa un sempre maggiore <strong>di</strong>stacco tra questi e i Paesi che restano<br />
isolati.
Esempio <strong>di</strong> una globalizzazione positiva è l'In<strong>di</strong>a, che ha superato la situazione <strong>di</strong>sastrosa<br />
in cui si trovava trent'anni fa grazie all'esportazione del riso.<br />
La globalizzazione non è <strong>di</strong> per sè <strong>di</strong>scriminante, l'esclusione <strong>di</strong> alcuni Paesi è dovuta a<br />
loro problemi interni (guerre civili, classi <strong>di</strong>rigenti incapaci). Ad esempio i Paesi Arabi<br />
non traggono benefici dall'esportazione <strong>di</strong> petrolio perchè i suoi proventi vanno a<br />
vantaggio esclusivo delle classi <strong>di</strong>rigenti e non della popolazione.<br />
Il processo <strong>di</strong> globalizzazione è in sè positivo (porta maggior progresso, più civiltà). Il<br />
problema è come esso debba essere attuato.<br />
Sono necessarie classi <strong>di</strong>rigenti adeguate. In Argentina i problemi economici sono stati<br />
causati dall'incapacità delle classi <strong>di</strong>rigenti <strong>di</strong> sfruttare le risorse locali. Esse hanno<br />
privatizzato, ma non liberalizzato l'economia, così che le imprese si trovano in mano a<br />
monopolisti stranieri.<br />
Sono necessari assetti politici più evoluti, come in Europa, dove i regimi democratici<br />
hanno proceduto sulla strada della con<strong>di</strong>visione delle risorse (nonostante l'opposizione <strong>di</strong><br />
alcuni fondamentalismi localistici, simili al fondamentalismo arabo).<br />
E' necessaria una maggiore consapevolezza, per evitare posizioni ra<strong>di</strong>cali che<br />
porterebbero a soluzioni peggiori <strong>di</strong> quelle attuali.<br />
la globalizzazione è attuata attraverso gli strumenti degli organi internazionali, che sono<br />
spesso accusati <strong>di</strong> non democraticità. In realtà, poichè essi (in particolare il FMI) sono<br />
costituti da banche e società, devono necessariamente tenenre in maggiore<br />
considerazione i Paesi più ricchi.<br />
Per quanto riguarda la rappresentanza dei vari Paesi, essa dovrebbe essere basata sia<br />
sulla ricchezza (con un vantaggio dei paesi occidentali) sia sulla popolazione 8con<br />
vantaggi per i Paesi ad alto sviluppo demografico).<br />
Giulia G.<br />
<strong>Globalizzazione</strong> è una realtà concretizzatasi sotto i nostri occhi, in un processo<br />
incalzante e, a detta dei più, inarrestabile, durante gli ultimi decenni del „secolo<br />
breve“. Tuttavia questo magnifico gigante economico-politico è, per così <strong>di</strong>re, entrato a<br />
far parte del nostro quoti<strong>di</strong>ano soltanto da pochi anni, cioè l'argomento globalizzazione<br />
è oggetto pre<strong>di</strong>letto <strong>di</strong> <strong>di</strong>battiti ad ogni livello culturale approssimativamente dalla<br />
prima riunione del WTO, a Seattle, quasi tre anni fa. In realtà non si parla d'altro da<br />
qualche mese a questa parte, in seguito alla riunione a Genova dei “Gran<strong>di</strong> Otto”, e,<br />
soprattutto all'attentato dell'11 settembre, <strong>di</strong> cui numerosi opinionisti e politici<br />
considerano la globalizzazione una fra le maggiori cause. Il fenomeno è in questi tempi<br />
<strong>di</strong> massima attualità, ma gli addetti ai lavori - e non solo - lo conoscono almeno dalla<br />
metà degli anni Ottanta, con la fortunata ascesa delle multinazionali e lo sviluppo della<br />
tanto declamata “New Economy”. Già l'enciclica del '91 “Centesimus annus” ne parla, e<br />
il processo economico legato alla globalizzazione <strong>di</strong>venta evidente negli anni '90:<br />
l'impresa internazionale è il car<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> questo nuovo sistema.
Ma cos'è in realtà la globalizzazione? Quali sono le sue basi storiche? Quali le sue<br />
prospettive?<br />
A queste domande ha risposto il prof. Visco, già ministro del tesoro nel passato governo,<br />
ospite nel nostro <strong>Liceo</strong> in data 17 gennaio 2002. Questi in primis ci offre la sua<br />
definizione <strong>di</strong> globalizzazione: essa non è altro che un processo <strong>di</strong> integrazione e<br />
compenetrazione dei Paesi prima separati. Ciò grazie alle vie sempre più aperte degli<br />
scambi commerciali, alla possibilità <strong>di</strong> investimenti in qualsiasi parte del mondo e in<br />
qualsiasi momento, e all'alto livello della tecnologia moderna. A suo avviso esso non è<br />
sicuramente un processo nuovo, avendo già la globalizzazione le primitive ra<strong>di</strong>ci in una<br />
sua forma non spontanea, l'imperialismo, il quale causa infatti per definizione<br />
l'egemonia <strong>di</strong> uno o pochi Stati sul mondo. Il prodromo <strong>di</strong> un cambiamento successivo -<br />
l'opportunità <strong>di</strong> lavoro in altri Stati per gli emigrati - risale già all'epoca <strong>di</strong> Marco Polo e<br />
Colombo. Le vere ra<strong>di</strong>ci dell'attuale sistema economico appartengono a una fase fra il<br />
periodo successivo a Napoleone e la Prima Guerra. Fra i due conflitti poi c'è un forte<br />
arretramento in senso globale, dovuto al protezionismo,all'autarchia, per cui anche<br />
l'innovazione tecnologica sembra statica e non adeguatamente sfruttata.<br />
Fra i problemi legati alla globalizzazione c'è quello della forza-lavoro. Ad esempio<br />
nell''800, permesso da mancanza d'impe<strong>di</strong>menti doganali, si verifica un fenomeno <strong>di</strong><br />
emigrazione <strong>di</strong> Europei verso l'America. Queste genti, mosse dalla fame vivono<br />
drammaticamente la globalizzazione, a causa <strong>di</strong> problemi <strong>di</strong> adattamento, essendo<br />
tuttavia spinti a cercarla. Questo comporta che nelle regioni <strong>di</strong> partenza viene a<br />
mancare la manodopera con conseguente aumento <strong>di</strong> salari per chi rimane in patria,<br />
mentre nei Paesi <strong>di</strong> arrivo avviene il contrario: gli immigrati si accontentano <strong>di</strong> basse<br />
paghe e i salari, a causa della grande richiesta <strong>di</strong> lavoro, scendono.<br />
Sicché se nei primi Paesi vi è una riduzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>suguaglianze a livello sociale, nei<br />
secon<strong>di</strong> il fenomeno - ancora ai primor<strong>di</strong> - della globalizzazione accentua il <strong>di</strong>vario<br />
economico. Negli USA durante gli ultimi anni la popolazione è aumentata del 15%,<br />
tuttavia grazie alle gran<strong>di</strong> capacità <strong>di</strong> accoglienza proprie del popolo americano ( e<br />
tipiche <strong>di</strong> una società “melting pot”) e alla mentalità globale, lo sviluppo in senso civile<br />
ed economico ha portato a con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> piena occupazione, manodopera a basso prezzo<br />
e <strong>di</strong>namismo impren<strong>di</strong>toriale, con la ricomparsa dei sindacati.<br />
La globalizzazione è fortemente legata naturalmente alla liberalizzazione dello scambio<br />
delle merci, a sua volta determinata dalla <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong> dogane e blocchi.<br />
Per questo la globalizzazione è sfavorevole per i Paesi in via <strong>di</strong> sviluppo, che necessitano<br />
<strong>di</strong> un potenziamento dell'economia interna, quando invece sono proprio i Paesi poveri a<br />
offrire le materie prime alle industrie occidentali. È la questione della liberalizzazione<br />
del petrolio, i cui produttori si organizzano nell'OPEC legittimando i loro interessi liberali<br />
ai danni dei Pesi arabi da cui proviene l'oro nero. È interessante considerare che in<br />
America fra i No global si schierano anche i sindacati, avversi al modo <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong><br />
multinazionali che - come ad esempio Mc Donald's - offrono a basso prezzo scre<strong>di</strong>tando<br />
la concorrenza e sottopagando i lavoratori.<br />
In un quadro generale la globalizzazione risulta comunque un sistema positivo, ad avviso<br />
<strong>di</strong> Visco, sebbene egli noti una fondamentale contrad<strong>di</strong>zione nei suoi effetti: oggi esso<br />
ha portato ad un livellamento socio-economico nei Paesi sviluppati (elemento positivo),<br />
ma ha causato un aumento della <strong>di</strong>seguaglianza economica tra le varie nazioni
(elemento negativo). Tuttavia vi sono alcuni Paesi in corsa verso la globalizzazione, ad<br />
esempio Cina, In<strong>di</strong>a, i quali fino agli anni '30 soffrivano <strong>di</strong> gravi crisi economiche, ma ora<br />
sono i più gran<strong>di</strong> esportatori <strong>di</strong> riso nel mondo. Vi sono invece altre realtà, come quelle<br />
arabe, che sono fuori dal processo, a causa delle guerre civili e della corruzione dei<br />
potenti: in Me<strong>di</strong>o Oriente (ed anche in molte zone dell'Africa) le caste nobili al potere<br />
sono ricchissime, mentre la popolazione muore <strong>di</strong> fame.<br />
La globalizzazione, frutto <strong>di</strong> civiltà e progresso, non deve conformarsi come il dominio <strong>di</strong><br />
poche potenze, ma come un equilibrio dato dalla partecipazione <strong>di</strong> tutti. È sbagliato<br />
considerare a prescindere le organizzazioni internazionali la riunione <strong>di</strong> tiranni che<br />
in<strong>di</strong>rizzano a proprio favore le sorti del mondo intero. Certo, nota Visco, oggi manca il<br />
luogo dove <strong>di</strong>scutere e affrontare i problemi delle nazioni più povere, solo l'UE sembra<br />
sensibile alle questioni <strong>di</strong> equilibrio e ben sviluppata in senso globale. Al fine <strong>di</strong> una<br />
globalizzazione buona si dovrebbero ricreare le con<strong>di</strong>zioni, nei Paesi arretrati, per degli<br />
assetti politici più evoluti. In realtà, anche per motivi culturali e tra<strong>di</strong>zionali, alcuni<br />
Paesi rifiutano la globalizzazione in virtù <strong>di</strong> ragioni <strong>di</strong> identità etnica, religiosa e<br />
ideologica (un esempio c'è anche in ambito europeo, si veda il Nor<strong>di</strong>talia e il Centro-<br />
Austria, zone conservatrici e anti-progresso per tra<strong>di</strong>zione).<br />
Il prof. Visco confida nei tempi, poiché oggi vi sono tutti quegli antidoti contro i conflitti<br />
economici che <strong>di</strong>laniarono il mondo delle due guerre: oggi trionfano la democrazia e la<br />
consapevolezza. Considerando come le <strong>di</strong>suguaglianze globali siano aumentate fra il '14<br />
e il '50, il professore augura una sempre più grande consapevolezza <strong>di</strong> essere citta<strong>di</strong>ni<br />
del mondo, ora più che mai. Ad esempio, bisogna sicuramente superare questa fase <strong>di</strong><br />
inadeguata rappresentanza nei vertici economici mon<strong>di</strong>ali. Infatti è sconveniente che un<br />
Paese come il Lussemburgo a livello <strong>di</strong> rappresentanza (che non corrisponde alla<br />
popolazione) valga quanto l'Italia. Ancora più sconcertante appare la situazione quando<br />
si considera la Cina, superiore in quanto a densità all'intera Europa, la quale però ha il<br />
maggior ruolo all'interno dei congressi, insieme agli USA. Un vertice <strong>di</strong> otto persone è<br />
sicuramente utile, ma troppo esclusivo: bisogna abbattere la mentalità che porta a<br />
considerare solo i propri interessi, e vuole ignorare le catastrofiche con<strong>di</strong>zioni altrui (o<br />
piuttosto sfruttarle a proprio vantaggio!).<br />
Da come il prof. Visco risponde alle domande degli studenti, si evince che egli confida<br />
nella “buona globalizzazione”, e che comunque riconosce al movimento No global<br />
perlomeno la capacità <strong>di</strong> sensibilizzare l'opinione pubblica agli effetti collaterali della<br />
globalizzazione, o agli aspetti negativi <strong>di</strong> essa, che devono essere coerentemente<br />
corretti in nome <strong>di</strong> una quanto più possibile equilibrata <strong>di</strong>stribuzione economica<br />
mon<strong>di</strong>ale.<br />
La globalizzazione, oltre ad essere segno <strong>di</strong> progresso, è anche inevitabile - un dato <strong>di</strong><br />
fatto - e costituisce la più efficiente forma <strong>di</strong> economia <strong>di</strong> mercato; però questo sistema<br />
non deve cadere nelle mani <strong>di</strong> chi lo voglia sfruttare a vantaggio dei pochi: la migliore<br />
espressione della globalizzazione confida nelle sue fondamentali componenti <strong>di</strong><br />
evoluzione tecnologica e <strong>di</strong> portata planetaria.<br />
Francesco S.<br />
Relazioni sulla conferenza del prof. Pietro Rescigno
La seconda conferenza tenutasi al liceo <strong>Orazio</strong> sul tema della globalizzazione ha come<br />
ospite il professor Pietro Rescigno, Decano della facoltà <strong>di</strong> Giurisprudenza all'Università<br />
La Sapienza <strong>di</strong> Roma e insignito del titolo <strong>di</strong> "Accademico dei Lincei" nonché personalità<br />
<strong>di</strong> fama internazionale; le sue opere sono conosciute e tradotte in tutta Europa.<br />
Apre la conferenza la professoressa Licia Fierro, organizzatrice degli incontri, che<br />
introduce la figura dell'eminente ospite sottolineando l'influenza che i saggi del<br />
professore hanno avuto nello stu<strong>di</strong>o del complesso rapporto tra "citta<strong>di</strong>no e collettività".<br />
Infatti il prof. Rescigno ha stu<strong>di</strong>ato il Diritto non nei suoi aspetti sovrastrutturali secondo<br />
una metodologia positivista, bensì inserendoli in un contesto sociale, e ciò giustifica la<br />
sua presenza nel <strong>di</strong>battito sulla globalizzazione<br />
Dopo la premessa introduttiva il professor Rescigno prende la parola ed illustra il<br />
percorso della sua conferenza: come primo punto si soffermerà sul concetto <strong>di</strong> Stato,<br />
inteso nella concezione classica <strong>di</strong> Stato/Nazione, ed il rapporto tra questi e le comunità<br />
minoritarie e quelle sovranazionali; successivamente affronterà il rapporto tra Stato e<br />
citta<strong>di</strong>no e tra Stato e Stato; infine, entrando sul terreno strettamente giuri<strong>di</strong>co,<br />
illustrerà le <strong>di</strong>fficoltà nel conciliare leggi nazionali con leggi comunitarie e<br />
sovranazionali.<br />
Il professor Rescigno entra nel vivo del <strong>di</strong>scorso: per prima cosa bisogna rendersi conto<br />
che il fenomeno della globalizzazione è molto complesso ed è l'esempio lampante<br />
dell'interazione tra politica ed economia delle varie nazioni. Questa interazione spesso<br />
influenza la stessa legislazione dei singoli Stati: ciò si esplica, a livello legislativo, nel<br />
cosiddetto "Diritto Internazionale Privato" che, applicato ad ogni Stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto,<br />
definisce le fondamentali libertà del citta<strong>di</strong>no (occidentale). Invece il "Diritto<br />
Internazionale Pubblico" è l'insieme <strong>di</strong> accor<strong>di</strong> tra le Nazioni e costituisce il simbolo <strong>di</strong><br />
una evoluzione nei rapporti tra gran<strong>di</strong> potenze e paesi più deboli.<br />
La globalizzazione, ossia quel processo <strong>di</strong> integrazione dell'economia dei <strong>di</strong>versi paesi<br />
che si realizza nell'interscambio commerciale, ma anche culturale, sta cambiando il<br />
modo <strong>di</strong> vedere lo Stato: alla vecchia concezione <strong>di</strong> "Stato apparato", come<br />
organizzazione perlopiù amministrativa, va sostituendosi l'idea <strong>di</strong> Nazione come insieme<br />
<strong>di</strong> comunità etniche, religiose, regionali, ecc.<br />
L'affermazione <strong>di</strong> un tale cambiamento porterebbe ad una società/stato realmente<br />
pluralista dove la <strong>di</strong>versità dovrebbe essere accettata e rispettata.<br />
In un contesto molto <strong>di</strong>fferenziato è fondamentale che nessuna parte prevalga su<br />
un'altra (ad esempio una singola comunità etnica che eserciti il dominio politico sulle<br />
altre) e che lo Stato sia governato in maniera realmente democratica. Questa forma <strong>di</strong><br />
democrazia, a cui i paesi moderni ambiscono, è basata sull'idea <strong>di</strong> un "contratto" tra il<br />
singolo e la comunità: il citta<strong>di</strong>no si uniforma alle regole che lo Stato impone e lo Stato<br />
si impegna a garantire al citta<strong>di</strong>no libertà e tutela <strong>di</strong> alcuni basilari <strong>di</strong>ritti.<br />
In altre parole, il citta<strong>di</strong>no è tutelato dai soprusi (dello Stato e del privato) ed è libero <strong>di</strong><br />
agire entro i limiti previsti dalle leggi.<br />
E' <strong>di</strong>fficile che le leggi nazionali possano operare in un contesto economico/sociale che<br />
vede la progressiva scomparsa delle realtà territoriali a favore <strong>di</strong> un mondo telematico<br />
in cui, sempre più spesso, si intrattengono rapporti commerciali tra persone <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse
nazionalità.<br />
Il mondo <strong>di</strong> Internet, massimo esempio <strong>di</strong> commercio telematico, non può essere<br />
sottoposto alle leggi nazionali perché ogni provve<strong>di</strong>mento legislativo preso da un singolo<br />
stato andrebbe ad interferire con le leggi cui è sottoposto il citta<strong>di</strong>no <strong>di</strong> un altro Stato.<br />
L'unica legge che può vigere nella new economy è, quin<strong>di</strong>, la "Lex Mercatoria", la legge<br />
<strong>di</strong> mercato, che non è applicata da alcun co<strong>di</strong>ce sovranazionale ma è conosciuta ed<br />
amministrata da giu<strong>di</strong>ci al servizio <strong>di</strong> enti privati.<br />
La Lex Mercatoria, "gestita" da compagnie private, rischia, perciò, <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire un mezzo<br />
per la promulgazione <strong>di</strong> norme a favore dei potenti. "Ciò non significa che la legge verrà<br />
fatta dai mercanti" chiarisce il professor Rescigno "ma questa potrebbe costituire una<br />
tentazione per <strong>di</strong>struggere le leggi civili, in favore della legge delle multinazionali".<br />
L'ingerenza delle gran<strong>di</strong> compagnie commerciali in campo politico è già evidente nei<br />
paesi del terzo mondo che "sottoposti a una sorta <strong>di</strong> usura" sono costretti ad indebitarsi<br />
verso le multinazionali e gli stati occidentali in maniera così ingiusta che in alcuni casi la<br />
somma dell'interesse è arrivata a superare quella del debito.<br />
Alcune <strong>di</strong> queste nazioni si trovano nell'assoluta impossibilità <strong>di</strong> fronteggiare il passivo<br />
che si autoalimenta nel circolo vizioso dell'interesse e questo dovrebbe legittimarne<br />
l'annullamento secondo la "regola della liberazione del debito o della riduzione del<br />
carico".<br />
In conclusione il professore spiega che a suo parere "i <strong>di</strong>ritti internazionali non devono<br />
essere né un compromesso tra i vari <strong>di</strong>ritti nazionali, né un'unione <strong>di</strong> principi antichi<br />
consolidati in ogni nazione", ma un insieme <strong>di</strong> leggi democratiche che possano avere una<br />
reale utilità nell'amministrazione della complessa realtà politica, economica e sociale<br />
che la globalizzazione ha determinato.<br />
Al termine della conferenza è seguito un breve <strong>di</strong>battito (la prospettiva giuri<strong>di</strong>ca con cui<br />
è stato affrontato il tema ha un po’ frenato le domande degli studenti) dove il professor<br />
Rescigno ha avuto modo <strong>di</strong> chiarire autorevolmente alcuni aspetti delle leggi che<br />
co<strong>di</strong>ficano i rapporti socio-economici tra le nazioni.<br />
Alessandro S.<br />
Relazioni sulla conferenza del dottor Vittorio Agnoletto<br />
Dopo la conferenza del prof. Visco, che ha analizzato il fenomeno della globalizzazione<br />
sotto l'aspetto economico, ed il successivo intervento del prof. Rescigno che ha<br />
approfon<strong>di</strong>to l'argomento alla luce delle complesse tematiche del <strong>di</strong>ritto, il <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong><br />
ospita il dott. Agnoletto che affronta il tema della globalizzazione dal punto <strong>di</strong> vista<br />
politico-sociale.<br />
Come nelle precedenti occasioni la prof,ssa Fierro apre la conferenza con un <strong>di</strong>scorso<br />
introduttivo in cui presenta l'ospite, accennando anche a come sia stato <strong>di</strong>fficile riuscire<br />
a contattare il dott. Agnoletto, attuale leader del movimento italiano NO GLOBAL, che è
impegnato a tempo pieno nelle attività <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>namento.<br />
La prof.ssa Fierro propone alcune domande che saranno un po’ la chiave del <strong>di</strong>battito: i<br />
No Global hanno saputo tradurre a livello politico le proprie istanze? e quali sono i<br />
rapporti tra il movimento e le forze politiche?<br />
Il dr. Agnoletto inizia il suo intervento spiegando che il movimento No Global italiano è<br />
prevalentemente costituito da un insieme <strong>di</strong> organizzazioni sociali e umanitarie che nel<br />
loro operare sono venute a scontrarsi con organizzazioni <strong>di</strong> commercio internazionale<br />
che ne ostacolavano la attività.<br />
La sua storia personale è para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong> come si sia formato il movimento in Italia: dopo<br />
essere stato me<strong>di</strong>co del lavoro, Agnoletto fonda la L.I.L.A. (associazione in <strong>di</strong>fesa dei<br />
<strong>di</strong>ritti dei sieropositivi) e svolge per 15 anni un lavoro <strong>di</strong> ricerca sociale sul problema<br />
dell'AIDS nei paesi del terzo mondo.<br />
In questa nuova realtà scopre che su 40 milioni <strong>di</strong> malati nel mondo solo il 5% ha la<br />
possibilità economica <strong>di</strong> acquistare i farmaci necessari perché il W.T.O. (world trade<br />
organization) impone il rispetto delle leggi sul brevetto vietandone la produzione<br />
nazionale. Si determina, dunque, una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> monopolio che consente alle case<br />
farmaceutiche <strong>di</strong> mantenere il prezzo dei farmaci superiore <strong>di</strong> 30 - 50 volte rispetto al<br />
costo <strong>di</strong> produzione; questo regime <strong>di</strong> monopolio, dove il prezzo <strong>di</strong> alcuni me<strong>di</strong>cinali<br />
vitali (come gli inibitori <strong>di</strong> protease) viene fissato arbitrariamente, è legalizzato dal<br />
WTO.<br />
Il WTO non è un organo elettivo, né tantomeno una struttura formata da un comune<br />
accordo tra nazioni, sul tipo dell'ONU, ma una sorta <strong>di</strong> società per azioni creata dai<br />
gran<strong>di</strong> trust (quin<strong>di</strong> un ente privato) che ha il potere <strong>di</strong> legiferare in campo<br />
internazionale in materia economica.<br />
Il dr. Agnoletto chiarisce che proprio a seguito <strong>di</strong> queste considerazioni fu deciso <strong>di</strong><br />
aderire, con la L.I.L.A., al movimento No Global.<br />
Pare incre<strong>di</strong>bile che la vita "biologica" <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong>penda da un ente<br />
internazionale, ma è così: nel 1997 Mandela, facendo appello agli accor<strong>di</strong> TRIPS<br />
(secondo cui una nazione povera in stato <strong>di</strong> epidemia può produrre autonomamente<br />
farmaci) chiese per il Sud Africa la possibilità <strong>di</strong> avviare localmente una produzione <strong>di</strong><br />
farmaci anti AIDS, ma 37 multinazionali farmaceutiche bloccarono per 2 anni e mezzo la<br />
richiesta <strong>di</strong> Mandela, che poi fu imposta dall'ONU, provocando nel frattempo la morte <strong>di</strong><br />
milioni <strong>di</strong> persone.<br />
E' evidente, quin<strong>di</strong>, che un tipo <strong>di</strong> legiferazione mercantilista come quella del WTO non<br />
è atta ad amministrare i problemi <strong>di</strong> tipo sociale perché l'unico fine <strong>di</strong> tale organo è<br />
quello <strong>di</strong> garantire un saggio <strong>di</strong> profitto alto e costante alle multinazionali, a qualsiasi<br />
costo.<br />
"Un nuovo tipo <strong>di</strong> "amministrazione" dei problemi mon<strong>di</strong>ali, dunque, non è<br />
semplicemente auspicabile, ma necessaria per la sopravvivenza del mondo (e non si<br />
esagera; si pensi soltanto a cosa succederebbe in caso <strong>di</strong> un'epidemia mon<strong>di</strong>ale).<br />
Alcuni economisti pretendono <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare che una globalizzazione <strong>di</strong> questo tipo
favorisce tutti i paesi che ne fanno parte, non solo i paesi ricchi; evidenziano come il PIL<br />
dei paesi globalizzati aumenti costantemente. Tuttavia, spiega Agnoletto, il PIL non<br />
in<strong>di</strong>ca in alcun modo la <strong>di</strong>stribuzione dei red<strong>di</strong>ti (che <strong>di</strong>viene, invece, <strong>di</strong> anno in anno<br />
più <strong>di</strong>sparitaria), ma soltanto il "guadagno" totale della nazione. Inoltre il <strong>di</strong>vario<br />
economico tra stati è troppo ampio (si pensi che un quarto delle spese militari annue<br />
degli USA garantirebbero servizi sanitari, cibo ed un'abitazione per ogni abitante del<br />
pianeta).<br />
Non sembra che gli stati più potenti siano interessati a colmare questo gap economico<br />
nei confronti degli stati più poveri, alla luce <strong>di</strong> normative che ne svantaggiano lo<br />
sviluppo produttivo.<br />
E' lampante il caso dell'Argentina per capire come i "consigli" del WTO possano essere<br />
devastanti: infatti la politica economica del paese è stata determinata dalla totale<br />
adesione del governo al piano <strong>di</strong> risanamento economico preparato dal WTO che<br />
prevedeva un'apertura totale delle importazioni Argentine all'estero e, guarda caso, la<br />
chiusura delle esportazioni verso gli USA e la CEE, nonché la cessione <strong>di</strong> monopoli a<br />
multinazionali americane ed europee.<br />
Risultato: tracollo economico inarrestabile.<br />
E' inaccettabile, quin<strong>di</strong>, che gli stati più ricchi si chiudano in una sorta <strong>di</strong> torre d'avorio e<br />
che, per mantenere una posizione <strong>di</strong> supremazia, si adoperino ad<strong>di</strong>rittura per bloccare<br />
lo sviluppo del terzo mondo. E' Infatti ovvio che prima o poi l'eco, o il rombo, dei<br />
problemi <strong>di</strong> quest'ultimo giungeranno fino a noi (com'è purtroppo accaduto l'11<br />
settembre).<br />
Dunque ciò che i No Global vogliono, chiarisce Agnoletto, non è l'arrestarsi del processo<br />
<strong>di</strong> globalizzazione né "l'instaurarsi <strong>di</strong> una logica <strong>di</strong> solidarietà, ma l'affermarsi <strong>di</strong> una<br />
reale giustizia, perché se non c'è giustizia, le opere <strong>di</strong> bene servono solo a mascherare le<br />
ingiustizie".<br />
Il dr. Agnoletto conclude il suo intervento ribadendo che il movimento si batte<br />
fondamentalmente per <strong>di</strong>struggere le ingiustizie sociali e non per abbattere in toto il<br />
sistema capitalistico. Ciò che va fermato, infatti, è il capitalismo sfrontato, senza regole<br />
nè limiti, in nome del quale un'oligarchia <strong>di</strong> multinazionali controlla il mondo senza farsi<br />
scrupolo delle conseguenze che alcune scelte possono avere sulle persone.<br />
Alessandro S.<br />
Relazioni sulla conferenza del prof. Pierluigi Ciocca<br />
La conferenza <strong>di</strong> chiusura <strong>di</strong> questo ciclo sulla globalizzazione, iniziato da Visco, viene<br />
tenuta nell’aula magna del liceo classico <strong>Orazio</strong> da P. Ciocca, il quale, nel <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong><br />
apertura della professoressa Fierro, viene presentato come un ospite davvero<br />
importante non solo per l’incarico prestigioso che egli ricopre come vice<strong>di</strong>rettore<br />
generale della banca d’Italia, ma anche perché la sua cultura e la sua formazione<br />
umanistica ne fanno un tecnico sui generis.
I temi della globalizzazione saranno perciò affrontati in una <strong>di</strong>mensione storicoistituzionale<br />
con la competenza <strong>di</strong> chi decide per noi a livello internazionale.<br />
Nell’ incipit della sua relazione il dottor Ciocca analizza l’andamento dell’economia<br />
mon<strong>di</strong>ale prendendo in esame un arco <strong>di</strong> tempo che va dalla rivoluzione industriale, cioè<br />
da quando, con la teoria del lavoro inteso come oggetto <strong>di</strong> scambio già enunciata da<br />
Smith, fondatore della scuola economica classica, si sancisce il passaggio da economia <strong>di</strong><br />
mercato a economia capitalistica, fino ai giorni nostri.<br />
I criteri <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio per valutare il risultato <strong>di</strong> tale forma <strong>di</strong> economia si possono ridurre a<br />
quattro.<br />
Il primo criterio chiamato “del red<strong>di</strong>to” si basa sulla capacità <strong>di</strong> produrre ricchezza: solo<br />
a partire dall’ottocento il red<strong>di</strong>to pro-capite, fino a quel momento statico, comincia una<br />
crescita che accelera fino a valori molto alti. Nell’ottocento la popolazione mon<strong>di</strong>ale era<br />
<strong>di</strong> circa un miliardo <strong>di</strong> persone e il red<strong>di</strong>to me<strong>di</strong>o dei citta<strong>di</strong>ni corrispondeva a 600<br />
dollari <strong>di</strong> oggi. Negli ultimi anni, mentre la popolazione mon<strong>di</strong>ale è cresciuta arrivando a<br />
sei miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> persone, il red<strong>di</strong>to me<strong>di</strong>o è salito a cinquemila dollari. E’ chiaro che<br />
questi dati numerici <strong>di</strong>mostrano che la ricchezza, seppur con qualche oscillazione è<br />
aumentata notevolmente.<br />
Il secondo criterio che viene definito “della stabilità” tiene in considerazione i due<br />
fenomeni che daneggiano l’economia: quello dell’inflazione e quello della<br />
<strong>di</strong>soccupazione. Il primo, pur avvantaggiando qualcuno -i più ricchi- svantaggia chi vive<br />
<strong>di</strong> red<strong>di</strong>to fisso, mentre il secondo crea vaste aree <strong>di</strong> povertà. Nell’ultimo secolo ci sono<br />
stati lunghi perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> crisi, soprattutto tra le due guerre mon<strong>di</strong>ali quando in uno stato<br />
come la Germania era <strong>di</strong>soccupato un lavoratore su due e l’instabilità dei prezzi causava<br />
la <strong>di</strong>minuzione del red<strong>di</strong>to.<br />
Oggi invece, in un paese come l’ Italia, i prezzi sono sostanzialmente stabili e c’è pieno<br />
impiego, anche se, occorre precisare, limitato ad alcune regioni come l’Alto A<strong>di</strong>ge.<br />
Una cattiva <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> questo tipo all’interno <strong>di</strong> una nazione ci porta ad esaminare<br />
il terzo criterio che è quello detto della “<strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to” il cui caso limite è<br />
quando il red<strong>di</strong>to <strong>di</strong> un’intera nazione è nelle mani <strong>di</strong> un unico in<strong>di</strong>viduo. Purtroppo<br />
questa tendenza si è verificata spesso negli ultimi duecento anni quando –il riferimento<br />
è chiaramente alla globalizzazione- la <strong>di</strong>stribuzione è <strong>di</strong>ventata sempre più sperequata,<br />
anche in Cina e in Unione Sovietica dove i tentativi adottati per evitare che la<br />
<strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to peggiorasse sono stati vani.<br />
Per evitare che ci siano troppe <strong>di</strong>fferenziazioni tra una regione economica e l’altra,<br />
occorre analizzare le ragioni <strong>di</strong> successo <strong>di</strong> alcune e <strong>di</strong> insuccesso <strong>di</strong> altre.<br />
E’ nell’ analizzare tali ragioni per cercare <strong>di</strong> stabilizzare l’economia che consiste il<br />
quarto criterio o “della governabilità” che consiste nel nel tentativo <strong>di</strong> regolare, <strong>di</strong><br />
“domare” un sistema economico complesso come quello capitalistico.<br />
Certamente tale sistema ha migliorato le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> molte persone ma ha<br />
lasciato ugualmente delle punte <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupazione e <strong>di</strong> instabilità nei prezzi. Di fronte a<br />
questi risultati è possibili assumere tre posizioni <strong>di</strong>verse.
La prima posizione “neoliberista” è decisamente ottimistica e tende ad accettare<br />
l’evoluzione naturale del sistema economico capitalista.<br />
La seconda, fermamente opposta alla prima, “rivoluzionaria”, è propria <strong>di</strong> chi non<br />
accetta molti degli aspetti <strong>di</strong> tale sistema e intende cambiarli.<br />
La terza posizione è <strong>di</strong> tipo “riformista” e si prefigge <strong>di</strong> correggere quegli aspetti<br />
considerati negativi e <strong>di</strong> valorizzare quelli invece positivi.<br />
Nella seconda corrente <strong>di</strong> pensiero in<strong>di</strong>viduata da Ciocca possiamo ritrovare il tentativo<br />
<strong>di</strong> Agnoletto, leader del movimento no-global e anch’egli ospite del liceo <strong>Orazio</strong> per la<br />
terza delle conferenze sulla globalizzazione, <strong>di</strong> rivoluzionare tutto il sistema economico<br />
in modo da ottenere una maggiore e più equiparata <strong>di</strong>stribuzione della ricchezza: anche<br />
se in un paese il PIL aumenta grazie agli effetti della globalizzazione, in realtà chi si<br />
arricchisce non è l’intera popolazione ma un gruppo ristretto.<br />
Più moderato e quin<strong>di</strong> riconducibile alla terza corrente è il pensiero <strong>di</strong> Visco il quale,<br />
pur riconoscendo che la globalizazione peggiora la <strong>di</strong>stribuzione dei red<strong>di</strong>ti, non la<br />
ritiene <strong>di</strong>rettamente responsabile delle <strong>di</strong>suguaglianze economiche. Queste ultime<br />
infatti derivano dall’economia degli stati che cambia in seguito alla globalizzazione, non<br />
<strong>di</strong>rettamente da essa.<br />
Anche il Dott. Ciocca ravvisa, più che nella globalizzazione, nelle politiche economiche<br />
interne, dovute essenzialmente a fenomeni culturali propri <strong>di</strong> ciascun paese, la ragione<br />
del peggioramento della <strong>di</strong>stribuzione personale dei red<strong>di</strong>ti.<br />
Con il suo <strong>di</strong>scorso Ciocca ha analizzato con estrema chiarezza i fenomeni economici<br />
riuscendo a dare una visione completa e schematica dell’andamento economico negli<br />
ultimi due secoli.<br />
Tuttavia, durante il <strong>di</strong>battito aperto dopo la sua relazione, gli è stato obiettato <strong>di</strong> aver<br />
preso in esame soltanto il mondo economico capitalistico, non tenendo conto delle<br />
sperequazioni su larga scala, del fenomeno della globalizzazione e quin<strong>di</strong> dello<br />
sfruttamento del sud da parte del nord del mondo.<br />
In realtà, spiega Ciocca, senza rapporti fra le nazioni, quin<strong>di</strong> commercio con l’estero –<br />
perché solo <strong>di</strong> commercio si può parlare, visto che <strong>Globalizzazione</strong> è termine che non ha<br />
<strong>di</strong>gnità analitica nella storia dell’economia- , non c’è sviluppo, ovvero nessun tipo <strong>di</strong><br />
economia, capitalistica e non. Quello che si può <strong>di</strong>scutere è il fenomeno, ben <strong>di</strong>verso<br />
dallo scambio <strong>di</strong> beni e servizi, dell’interscambio <strong>di</strong> capitale: è questo che danneggia<br />
l’economia, non il commercio al quale tutti gli stati devono la propria sopravvivenza.<br />
Chiara C.<br />
Il giorno 8 Aprile 2002, nell’aula magna del <strong>Liceo</strong> Classico <strong>Orazio</strong> si è tenuta una quarta<br />
ed ultima conferenza sul tema della globalizzazione e delle sue implicazioni<br />
economiche, sociali, giuri<strong>di</strong>che e politiche a livello nazionale e internazionale. Relatore<br />
è stato il dott. P.Ciocca, vice<strong>di</strong>rettore generale della banca d’Italia.<br />
La sua analisi è stata incentrata, in particolar modo, sull’andamento del sistema
economico capitalista, dall’Ottocento fino ai nostri giorni, alla luce <strong>di</strong> quattro criteri<br />
guida fondamentali: il red<strong>di</strong>to pro-capite, la stabilità <strong>di</strong> crescita, la <strong>di</strong>stribuzione del<br />
red<strong>di</strong>to e della ricchezza ed infine la governabilità del sistema economico stesso. Il<br />
primo criterio esprime la capacità <strong>di</strong> un’economia <strong>di</strong> produrre ricchezza: a parità <strong>di</strong><br />
con<strong>di</strong>zioni e nel rispetto <strong>di</strong> fattori, come l’inquinamento, un’economia risulterà tanto<br />
più florida, quanti più beni e servizi produrrà in un’unità temporale. Il secondo termine<br />
<strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> un sistema produttivo è la sua tendenza a svilupparsi senza forti effetti<br />
oscillatori, quali la <strong>di</strong>soccupazione o l’inflazione. Il terzo criterio-guida costituisce un<br />
in<strong>di</strong>ce della <strong>di</strong>stribuzione dei beni e dei servizi tra la popolazione tutta. Il quarto<br />
elemento <strong>di</strong> valutazione <strong>di</strong> un’economia è rappresentato dalla possibilità <strong>di</strong> apportarvi<br />
mo<strong>di</strong>fiche corretive. L’oggetto dell’esame critico, fondato su questi quattro criteri, è<br />
l’economia capitalista, a torto in<strong>di</strong>cata con il termine <strong>di</strong> economia <strong>di</strong> mercato; se infatti<br />
il sistemo capitalistico nella forma moderna si configura nel ‘700, economie <strong>di</strong> mercato<br />
esistevano già all’epoca degli antichi Greci e Romani o durante il Quattrocento,<br />
all’interno delle realtà comunali italiane. Il capitalismo si contrad<strong>di</strong>stingue per<br />
un’organizzazione preminentemente fondata sulle gran<strong>di</strong> imprese e sul ruolo del<br />
mercato, tanto che, persino il lavoro umano si trasforma in una merce <strong>di</strong> scambio, con<br />
un prezzo che si chiama salario o stipen<strong>di</strong>o.<br />
Sulla base del primo criterio, l’economia capitalista è stata caratterizzata da un alto<br />
tasso <strong>di</strong> crescita. Duranta il periodo compreso tra il Quattrocento e l’Ottocento, la<br />
produzione mon<strong>di</strong>ale appare sottoposta ad una fase <strong>di</strong> sviluppo molto lenta, quasi <strong>di</strong><br />
ristagno e stasi, sebbene tuttavia i dati a <strong>di</strong>sposizione degli stu<strong>di</strong>osi siano incerti. A<br />
partire dal secolo XIX, invece il volume della crescita e della produzione è formidabile:<br />
agli inizi dell’Ottocento per una popolazione mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> un miliardo <strong>di</strong> persone il<br />
red<strong>di</strong>to me<strong>di</strong>o pro-capite era paragonabile a seicento dollari <strong>di</strong> oggi, alla fine del<br />
millenio per una popolazione quintuplicata il red<strong>di</strong>to me<strong>di</strong>o pro-capite è <strong>di</strong> circa<br />
cinquemila dollari.<br />
Per quanto riguarda il criterio della stabilità, il giu<strong>di</strong>zio sul sistema capitalistico non può<br />
risultare totalmente positivo: fenomeni quali, l’inflazione, la deflazione e la<br />
<strong>di</strong>soccupazione hanno interessato vari Paesi e in molti momenti, nel corso della storia.<br />
Durante la prima guerra mon<strong>di</strong>ale, ed in particolare durante la seconda, i mercati<br />
internazionali hanno registrato tendenze inflattive: aumento dei prezzi e calo del potere<br />
<strong>di</strong> acquisto <strong>di</strong> chi possedeva un salario fisso. Nella seconda metà dell’Ottocento e negli<br />
anni trenta si verificava un evento opposto, la deflazione: calo dei prezzi e<br />
arrichimento, questa volta, dei debitori. Un ulteriore elemento <strong>di</strong> instabilità, la<br />
<strong>di</strong>soccupazione, ha interessato le economie capitalistiche, con punte del 50% in<br />
Germania e del 30% negli Stati Uniti durante gli anni Venti; tuttavia, non si deve<br />
<strong>di</strong>menticare che il capitalismo ha assicurato altrettante fasi <strong>di</strong> crescita, <strong>di</strong> prezzi stabili<br />
e <strong>di</strong> pieno impiego.<br />
Le economie capitalistiche si sono invece <strong>di</strong>mostrate fallimentari alla luce del terzo<br />
criterio, la <strong>di</strong>stribuzione del red<strong>di</strong>to tra la popolazione. Per gi<strong>di</strong>care la capacità <strong>di</strong> un<br />
sistema produttivo <strong>di</strong> ripartire in modo equo la ricchezza sarà utile costruire una scala <strong>di</strong><br />
riferimento: la situazione ideale consiste in quella, in cui il red<strong>di</strong>to che si produce ogni<br />
anno sia egualmente <strong>di</strong>stribuito, cioè che ciascun citta<strong>di</strong>no, se si produca 100 <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to<br />
e i citta<strong>di</strong>ni siano 10, abbia un red<strong>di</strong>to <strong>di</strong> 10; attribuiamo a questa con<strong>di</strong>zione il valore<br />
zero; naturalmente il caso opposto è quello in cui ad un solo citta<strong>di</strong>no vada tutto il<br />
red<strong>di</strong>to prodotto e gli altri 99 non percepiscano neanche un euro; a tale caso<br />
corrisponda il valore uno. La misura della <strong>di</strong>sribuzione del red<strong>di</strong>to è passata da una
con<strong>di</strong>zione vicina allo zero ai primi dell’Ottocento (anche se i dati statistici <strong>di</strong><br />
riferimento siano molto dubbi), ad un valore intorno a 60 ai nostri giorni: alle soglie del<br />
XXI secolo il 5% della popolazione mon<strong>di</strong>ale detiene un red<strong>di</strong>to pari a 114 volte quello<br />
del resto dell’umanità. Questo peggioramento è avvenuto in modo continuo e senza<br />
soluzione <strong>di</strong> continuità; neanche i sistemi socialisti in Russia ed in Cina sono stati in<br />
grado <strong>di</strong> arrestare tale processo. La sperequazione della ricchezza è dovuta a due<br />
fattori: il primo è legato al <strong>di</strong>verso grado <strong>di</strong> sviluppo tra le varie nazioni, il secondo alla<br />
<strong>di</strong>suguaglianza dei red<strong>di</strong>ti tra i citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> uno stesso Stato.<br />
Infine per quanto riguarda il quarto ed ultimo criterio, quello della governabilità <strong>di</strong><br />
un’economia, il capitalismo da un lato ha migliorato notevolmente le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita<br />
dell’umanità, eliminando per miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> persone il problema della fame ed innalzando<br />
l’aspettativa me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> vita, dall’altro lato ha comportato perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> instabilità dei<br />
prezzi, <strong>di</strong>soccupazione ed un’inaccetabile sperequazione della ricchezza. Di fronti a<br />
simili risultati si possono assumere tre posizioni fondamentali: la prima <strong>di</strong> stampo<br />
liberista consiste nella <strong>di</strong>fesa del sistema capitalista come la migliore forma economicopolitica<br />
, mai realizzata fino ad ora dall’uomo; la seconda tende ad accentuare, invece,<br />
gli aspetti negativi del capitalismo e a proporre teorie utopistiche o rivoluzionarie; la<br />
terza posizione è <strong>di</strong> carattere riformistico, ed è propria <strong>di</strong> chi sappia valutare<br />
dell’attuale economia i lati negativi e quelli positivi e ritenga che si debbano corregerne<br />
i primi e valorizzarne i secon<strong>di</strong>.<br />
L’analisi del dott.Ciocca non si è soffermata sul problema della globalizzazione, in<br />
quanto esso non rappresenta, a suo giu<strong>di</strong>zio, il nodo fondamentale dell’attuale<br />
economia: ad esempio, il peggioramento della <strong>di</strong>stribuzione dei red<strong>di</strong>ti è stato<br />
pesantemente influenzato, negli anni recenti, da eventi economici interni alle sole Cina<br />
ed In<strong>di</strong>a. In Cina infatti, le regioni merii<strong>di</strong>onali e costiere sono state protagoniste <strong>di</strong> uno<br />
grande sviluppo, mentre le regioni del Nord rimanevano in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />
arretratezza; tra i red<strong>di</strong>ti dei Cinesi del Sud e i red<strong>di</strong>ti dei Cinesi del Nord si è così<br />
aperto un abisso.<br />
Infine l’ultimo tema trattato è stato il ruolo fondamentale e necessario per lo sviluppo,<br />
che il commercio <strong>di</strong> beni e <strong>di</strong> servizi riveste in ogni economia; i tentativi <strong>di</strong> autarchia si<br />
sono sempre <strong>di</strong>mostrati fallimentari e lo stesso progresso economico dell’Italia si è<br />
fondato sull’importazione <strong>di</strong> materie prime, <strong>di</strong> cui la nostra penisola risulta carente, ed<br />
esportazione <strong>di</strong> manufatti e servizi. Dal commercio occorre <strong>di</strong>stinguere poi i rapporti tra<br />
le nazioni. La parola globalizzazione, che peraltro non ha <strong>di</strong>gnità storica in economia,<br />
tende, al contrario, a confondere il commercio ed i rapporti <strong>di</strong> subalternità <strong>di</strong> alcuni<br />
Paesi nei confronti <strong>di</strong> altri.<br />
La relazione del dott. Ciocca è stata inappuntabile nell’esame dell’economia<br />
capitalistica, per quantità <strong>di</strong> dati portati a conferma della sua tesi, per il rigore e la<br />
chiarezza nell’argomentazione. Del capitalismo egli ha saputo con estrema obiettività<br />
evidenziare gli aspetti positivi ed altrettanto quelli negativi, senza né esaltare i primi,<br />
né demonizzare i secon<strong>di</strong>.<br />
Il dott. Ciocca è un chiaro esponente <strong>di</strong> una posizione moderata- riformista nei confronti<br />
dell’attuale economia: è improrogabile, giustamente sostiene, la necessità <strong>di</strong> apportare<br />
riforme al sistema capitalistico, in modo da consentire una più equa <strong>di</strong>stribuzione delle<br />
ricchezze tra la popolazione mon<strong>di</strong>ale; tuttavia gli scambi commerciali, in sé e per sé,<br />
non devono essere ad<strong>di</strong>tati come il reale problema della povertà del Terzo Mondo, né
isulta proponibile una loro soppressione: il protezionismo e l’autarchia<br />
danneggerebbero sia il Primo Mondo, che si ritroverebbe senza materie prime da<br />
lavorare, sia i Paesi in via <strong>di</strong> sviluppo, che, privi <strong>di</strong> capitali <strong>di</strong> investimento,<br />
rimarrebbero in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> arretratezza. E’ in<strong>di</strong>spensabile, invece, intervenire<br />
per quanto riguarda i rapporti tra i vari Paesi, con la creazione <strong>di</strong> un’adeguata<br />
sovrastruttura politico-economica, in grado <strong>di</strong> regolare lo sviluppo economico mon<strong>di</strong>ale:<br />
è la stessa posizione assunta dal professor Visco e dal premio nobel Joseph E. Stiglitz.<br />
La relazione del dott.Ciocca si è <strong>di</strong>mostrata poco convincente unicamente in due punti:<br />
il termine globalizzazione è ovvio che non abbia una grande tra<strong>di</strong>zione storica alle sue<br />
spalle, in quanto il fenomeno <strong>di</strong> unificazione economica, politica e culturale tra le varie<br />
nazioni è avvenuto, come sostiene il prof. Visco nel corso dei secoli e solo ai nostri giorni<br />
si presenta in forma compiuta;perché non si può utilizzare un un nuovo termine per<br />
in<strong>di</strong>care una nuova situazione storica? Infine il dott. Ciocca ha fato riferimento allo<br />
Young Development Index, una misura del red<strong>di</strong>to pro-capite, del livello <strong>di</strong> istruzione e<br />
dell’aspettativa <strong>di</strong> vita; questo in<strong>di</strong>ce si presenta molto meno sperequato tra i vari<br />
Paesi, <strong>di</strong> quanto sia il solo red<strong>di</strong>to. Pertanto, secondo il dott.Ciocca, le popolazioni del<br />
Monzambico avrebbero misteriosamente prospettive <strong>di</strong> istruzione 0e speranze <strong>di</strong> vita,<br />
poco inferiori a quelle degli abitanti del Primo Mondo (ma i bambini, sfruttati nelle<br />
imprese occidentali, trovano pure il tempo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are? E nel Terzo Mondo non si muore<br />
per malattie che da noi sono facilmente guaribili?). Per fortuna esistono gli in<strong>di</strong>ci, che<br />
rendono il mondo uguale e risolvono a tavolino tutti i problemi dell’uomo.<br />
Clodomiro C.