La fortuna della novella del Cinquecento - Aula Digitale
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1<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Agnolo Firenzuola<br />
<strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong><br />
nel <strong>Cinquecento</strong><br />
Dagli stuDi<br />
Di Diritto<br />
alla corte<br />
Dei papi<br />
le novelle,<br />
un passatempo<br />
cortigiano<br />
Agnolo Firenzuola<br />
Agnolo Firenzuola (1493-1543), al secolo Michelangiolo Giovannini, è conosciuto e ricordato<br />
come narratore raffinato e arguto. Originario di un piccolo paese vicino a Firenze,<br />
compie studi di diritto a Siena e Perugia. Presi i voti, nel 1516 si trasferisce a Roma, dove<br />
entra a far parte <strong>del</strong> mondo culturale vivace e vario alimentato dal mecenatismo papale.<br />
In particolare stringe amicizia con Giovanni Della Casa e Pietro Aretino e si innamora di<br />
una nobildonna romana. Intanto però, a causa <strong>del</strong> suo carattere schivo, è costretto a subire<br />
i perversi meccanismi di potere <strong><strong>del</strong>la</strong> corte papale: la sua carriera non progredisce anzi,<br />
nel 1526 viene sciolto dai voti. In seguito a questa esperienza, la disillusione e la riflessione<br />
dolorosa sui rapporti umani diventano tratti caratteristici <strong><strong>del</strong>la</strong> sua opera. Dal 1524 si<br />
impegna in diversi generi letterari, ma è conosciuto soprattutto come autore di novelle.<br />
Nel <strong>Cinquecento</strong> questo genere trae un nuovo impulso dall’ambiente cortigiano, dove leggere<br />
e raccontarsi novelle costituisce uno dei passatempi più diffusi. Il punto di riferimento<br />
principale rimane, naturalmente, il Decameron di Boccaccio, anche se le raccolte di questo<br />
periodo contengono per lo più novelle “alla spicciolata”, senza una cornice e senza legami<br />
LA VITA E LE OPERE<br />
1493
2<br />
Celso o<br />
Dialogo Delle<br />
bellezze Delle<br />
Donne<br />
volgarizzamenti.<br />
Prima veste<br />
Dei DisCorsi<br />
Degli animali<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Agnolo Firenzuola<br />
tematici l’una con l’altra. Il primo libro cinquecentesco di novelle in volgare organizzato<br />
e strutturato secondo il mo<strong>del</strong>lo boccacciano sono i Ragionamenti d’amore di Firenzuola,<br />
pubblicati postumi nel 1548 e rimasti incompleti (per la struttura e i contenuti <strong>del</strong>l’opera).<br />
Oltre ai Ragionamenti, uno degli scritti più celebri di Firenzuola è il dialogo Celso<br />
(1534 ca.), dedicato alla bellezza <strong>del</strong>le donne. Scritto durante il soggiorno <strong>del</strong>l’autore a<br />
Prato, si presenta come la conversazione tra un giovane colto, Celso, e quattro donne. Il<br />
giovane, su richiesta <strong>del</strong>le donne, <strong>del</strong>inea i canoni <strong><strong>del</strong>la</strong> bellezza femminile: il corpo <strong><strong>del</strong>la</strong><br />
donna viene scomposto in parti e in atteggiamenti (gli occhi, le ciglia, il naso, le guance,<br />
il riso ecc.), ciascuno dei quali viene ricondotto a un’armonia di forme e proporzioni<br />
geometriche. L’obiettivo <strong>del</strong> dialogo è quello di scoprire il segreto grazie al quale la<br />
contemplazione <strong><strong>del</strong>la</strong> bellezza femminile porta l’uomo a «dimenticarsi di se stesso […]<br />
raccapricciarglisi le membra, arricciarglisi i capelli, sudare e agghiacciare in un tempo».<br />
Dietro la descrizione <strong><strong>del</strong>la</strong> bellezza femminile proposta da Firenzuola c’è l’idea platonica<br />
che le cose contemplate attraverso i sensi si possano ricondurre a un mo<strong>del</strong>lo ideale,<br />
ricostruibile a partire appunto dalle proporzioni geometriche tra le sue parti. L’ambientazione<br />
<strong>del</strong> dialogo è idillica e piacevole, lontana dagli impegni quotidiani.<br />
Firenzuola dà prova di scrittura brillante anche nei suoi volgarizzamenti. Traduce, infatti,<br />
L’asino d’oro di Apuleio e, come è costume al suo tempo, la traduzione <strong>del</strong> romanzo<br />
latino assomiglia più a una riscrittura. Il secondo volgarizzamento riguarda un testo<br />
molto originale: si tratta di un’opera di origine indiana, intitolata Panciatantra, diffusa<br />
nel Medioevo grazie a una traduzione ebraica a sua volta tradotta in latino. Nella sua<br />
versione (la prima in volgare italiano), edita postuma a Firenze nel 1548 con il titolo<br />
Prima veste dei discorsi degli animali, Firenzuola tiene presente anche una traduzione<br />
I GENERI<br />
Le favole nel Rinascimento<br />
Della raccolta di favole indiane Panciatantra Firenzuola<br />
diede una traduzione parziale. Pochi<br />
anni dopo, nel 1552, Anton Francesco Doni ne<br />
eseguì invece una traduzione integrale, <strong>La</strong> moral<br />
filosofia. Le opere <strong>del</strong> Firenzuola e <strong>del</strong> Doni,<br />
insieme alle favole introdotte dall’Ariosto nelle<br />
Satire, sono le sole attestazioni <strong>del</strong> genere favolistico<br />
nella letteratura <strong>del</strong> Rinascimento.<br />
Miniatura italiana <strong>del</strong> XVI secolo<br />
che illustra la Favola <strong>del</strong> lupo e <strong><strong>del</strong>la</strong> gru,<br />
in un manoscritto <strong>del</strong>le Favole di Esopo<br />
(Bologna, Biblioteca Universitaria).<br />
© 2011 RCS Libri S.p.A./<strong>La</strong> Nuova Italia – R. Antonelli, M.S. Sapegno, Il senso e le forme
3<br />
struttura<br />
Dell’opera<br />
una Donna<br />
al centro<br />
Della cornice<br />
il ruolo<br />
Di maDonna<br />
gostanza<br />
somiglianze<br />
e Differenze<br />
rispetto<br />
al DeCameron<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Agnolo Firenzuola<br />
spagnola, uscita alla fine <strong>del</strong> Quattrocento. Il testo costituisce una novità rispetto al panorama<br />
narrativo <strong>del</strong> tempo: come nelle favole di Esopo, anche in quest’opera «favellano<br />
(‘parlano’) le volpi e i corvi», e raccontano storie a sfondo morale e politico, che<br />
rappresentano con occhio disincantato i rapporti umani e quelli di potere.<br />
Ragionamenti d’amore<br />
Scritti a Roma intorno al 1525 e rimasti incompiuti, i Ragionamenti sono un libro di novelle<br />
che recupera la struttura e l’ispirazione <strong>del</strong> Decameron di Boccaccio. Il progetto originario<br />
comprendeva sei giornate, durante le quali una brigata di sei giovani, riuniti in una<br />
villa, un vero e proprio locus amoenus nella campagna toscana, passano il tempo intrattenendosi<br />
con discorsi, poesie e racconti. Ogni giornata doveva avere un tema da sviluppare<br />
nelle composizioni poetiche, mentre le novelle non dovevano essere collegate ad alcun argomento<br />
specifico. Firenzuola compone per intero solo la prima giornata, dedicata al tema<br />
<strong>del</strong>l’amore sacro e profano, <strong><strong>del</strong>la</strong> seconda, invece, sono rimasti solo alcuni frammenti.<br />
Centro <strong>del</strong>l’allegra brigata è la donna amata dall’autore, Costanza Amaretta: «I tre giovani<br />
e le due donne», dice l’autore, «non cercavano altro se non udirla ragionare». Dietro<br />
sua proposta, i giovani <strong><strong>del</strong>la</strong> villa cominciano i discorsi e i racconti; allo stesso modo<br />
è su richiesta <strong><strong>del</strong>la</strong> donna che Firenzuola dice di aver cominciato a scrivere l’opera.<br />
È difficile non associare la centralità <strong>del</strong>l’amata scomparsa alla tradizione lirica e al ruolo<br />
assegnato a questo tipo di evento sia da Dante che da Petrarca, ma Firenzuola vi apporta<br />
un’innovazione significativa. Egli si accinge alla composizione dei Ragionamenti<br />
su richiesta <strong><strong>del</strong>la</strong> donna (come accadeva <strong>del</strong> resto anche nel Filocolo boccacciano), per<br />
conservare la memoria di lei, ma soprattutto per scrivere un’opera che, se Gostanza non<br />
fosse morta, ella stessa avrebbe scritto. <strong>La</strong> donna è presentata non solo come fonte di<br />
ispirazione, ma come vera ideatrice e protagonista <strong>del</strong>l’opera; si tratta di una donna che<br />
scrive o che, se non può farlo, se ne rammarica come di un’occasione mancata. Questo<br />
mutamento di prospettiva complica il ruolo attribuito alla donna nel testo ed è probabilmente<br />
legato al crescente ruolo intellettuale <strong>del</strong>le donne nella cultura cortigiana.<br />
L’autore dichiara esplicitamente di seguire il mo<strong>del</strong>lo di Boccaccio, ma, nonostante ciò, le<br />
differenze sono numerose: in particolare sono molto diversi lo spazio e il ruolo dedicati al<br />
racconto. Rispetto a Boccaccio, Firenzuola opera un cambiamento nella scala gerarchica<br />
tra i generi: il tema prefissato riguarda infatti le canzoni e i dialoghi, e non le novelle, a cui<br />
è prescritto solo di essere più serie al mattino e più leggere alla sera. Intento <strong>del</strong>l’autore<br />
è quello di inserire alcuni aspetti <strong>del</strong> dialogo rinascimentale (in cui più personaggi dibattono<br />
su un tema specifico, assumendo ciascuno una diversa posizione rispetto all’argomento)<br />
all’interno <strong>del</strong> nuovo libro di novelle, nel tentativo di mimare una conversazione<br />
amena, amabile e colta.<br />
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4<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Agnolo Firenzuola<br />
Una burla a Fra’ Cherubino<br />
Ragionamenti ■ I, 6<br />
Prima parte<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong>:<br />
strategie<br />
dei frati<br />
per ottenere<br />
donazioni<br />
<strong>La</strong> sesta <strong>novella</strong> dei Ragionamenti appartiene all’ultima sezione <strong><strong>del</strong>la</strong> prima giornata (l’unica portata<br />
a termine dall’autore), dedicata ai racconti e ai discorsi di argomento più leggero. Al centro<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> narrazione, un francescano tenta di circuire una vedova; sullo sfondo, le mille rivalità, ma soprattutto<br />
le piccolezze e le avidità che tormentano, sotterranee, il mondo ecclesiastico.<br />
5<br />
10<br />
15<br />
A. Firenzuola, Opere, a cura<br />
di D. Maestri, UTET, Torino 1977.<br />
1. Era … potesse: ‘nel Decameron di<br />
Boccaccio, a colui che raccontava per<br />
ultimo la sua <strong>novella</strong> era permesso,<br />
quando lo avesse voluto, allontanarsi<br />
dall’argomento trattato nella giornata’.<br />
Il Decameron di Boccaccio prevedeva<br />
un argomento prestabilito per buona<br />
parte <strong>del</strong>le dieci giornate. L’ultimo narratore,<br />
sempre Dioneo, aveva la libertà<br />
di scegliere l’argomento che preferiva.<br />
2. laonde: ‘perciò’.<br />
3. sezo: ‘ultimo’.<br />
Fra’ Cherubino persuade ad una vedova Che doti una Cappella; e’ Figlioli se<br />
ne aCCorgono e persuadonla al Contrario, e danno ad intendere al Frate Che<br />
l’abbia Fatto testamento e niegon di mostrargnelo. il Frate li Fa Citare in-<br />
nanzi al viCario e ComparisCono e, produCendo un testamento da beFFe, Fanno<br />
vergognare il Frate.<br />
– Era lecito a colui che nel Decamerone <strong>del</strong> Boccaccio si trovava l’ultimo a <strong>novella</strong>re,<br />
quando e’ volesse uscire al tutto <strong>del</strong> ragionato suggetto che fare il potesse<br />
1 ; laonde 2 io, che fra voi sono il sezo 3 , intendo ora fare il simigliante 4 , perché lasciando<br />
le cose d’amore, <strong>del</strong>le quali s’è parlato tutt’oggi 5 , vi voglio far rider con<br />
una <strong>novella</strong> che intervenne 6 ad un certo frate dentro da Novarra non sono a pena<br />
vent’anni 7 .<br />
Voi dovete sapere che in tutti gli stati 8 de li uomini assai manco si trovano dei<br />
buoni che de’ cattivi 9 ; e perciò non vi doverrete gran fatto 10 maravigliare se fra i<br />
frati abitano spesso di quegli che non sieno così perfetti come comandano le regole<br />
loro; ed oltre di questo, che la avarizia così come si è fatta donna di tutte le<br />
corti di principi 11 e temporali e spirituali 12 , non voglia avere un po’ di luogo 13 nei<br />
chiostri dei poveri fraticelli.<br />
Fu adunque in Novarra, assai nobile città di Lombardia, una donna molto ricca<br />
chiamata madonna Agnesa, la quale era rimasa vedova per la morte di un 14 Gaudenzio<br />
de’ Piotti, il quale oltre a la dote che secondo quei paesi 15 era grande le avea<br />
lasciati alcuni beni che la ne potesse fare alto e basso come le piaceva 16 ogni volta<br />
che sanza rimaritarsi si voleva stare al governo di quattro figliuoli che egli lasciava<br />
di lei 17 . Né era a pena morto 18 questo Gaudenzio che di cotale testamento ne volò<br />
4. il simigliante: ‘la medesima cosa’.<br />
5. le cose … oggi: tema <strong><strong>del</strong>la</strong> giornata<br />
era stato l’amore sacro e l’amore profano.<br />
6. intervenne: ‘accadde’.<br />
7. ad … anni: ‘a un certo frate di Novara,<br />
nemmeno vent’anni fa’.<br />
8. stati: ‘le condizioni’.<br />
9. assai … cattivi: ‘si trovano assai<br />
meno buoni che cattivi’.<br />
10. gran fatto: ‘molto’.<br />
11. così … principi: ‘l’avarizia è «donna»<br />
(signora) e cioè signoreggia in tutte<br />
le corti principesche’.<br />
12. e temporali e spirituali: ‘siano di<br />
(principi) laici o ecclesiastici’.<br />
13. avere … luogo: ‘trovare un po’ di<br />
spazio’.<br />
14. di un : ‘di un tale’.<br />
15. secondo … paesi: ‘secondo i costumi<br />
di quei paesi’.<br />
16. che … piaceva: ‘di cui potesse disporre<br />
come voleva’.<br />
17. ogni … lei: ‘nel caso in cui avesse<br />
voluto prendersi cura dei quattro figli<br />
maschi che lui le lasciava, senza prendere<br />
un secondo marito’.<br />
18. Né … morto: ‘e nemmeno era morto’;<br />
iperbole per indicare con quanta immediatezza<br />
si diffonde la notizia.<br />
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5<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Agnolo Firenzuola<br />
20<br />
25<br />
30<br />
35<br />
40<br />
19. guardiano: ‘superiore’.<br />
20. San Nazaro: il convento era annesso<br />
alla chiesa di San Nazzaro <strong><strong>del</strong>la</strong> Costa,<br />
nella zona orientale di Novara.<br />
21. a queste … faccende: ‘a questo<br />
tipo di faccende’, cioè alle donne ricche<br />
appena divenute vedove.<br />
22. niuna: ‘nessuna’.<br />
23. che non … pinzochere: ‘che non<br />
vestisse la cintura di san Francesco, divenendo<br />
parte <strong>del</strong> gruppo <strong>del</strong>le loro<br />
pinzochere’, cioè <strong>del</strong>le terziare francescane,<br />
coloro che vestivano l’abito religioso<br />
senza vivere in convento.<br />
24. de’ … passati: ‘dei suoi morti’.<br />
25. li mandasse: ‘mandasse loro’.<br />
26. beato fra’ Ginepro: nome di uno<br />
dei seguaci di san Francesco.<br />
27. si disponesse: ‘accettasse’.<br />
28. dove … zocoli: si tratta di due episodi<br />
dei Fioretti e di altre leggende popolari<br />
su san Francesco d’Assisi.<br />
29. dotassero … possessioni: ‘e poi<br />
fornissero (la chiesa) di tanti possedimenti’.<br />
la <strong>novella</strong> al guardiano 19 <strong>del</strong> luogo de’ frati di San Nazaro 20 , che è poco fuor de la<br />
porta di Sant’Agabio, il quale teneva le spie a queste così fatte faccende 21 , accio che<br />
niuna 22 vedovella scapasse, che non si cignesse il cordiglio <strong>del</strong> beato serafico san<br />
Francesco, ed essendo <strong>del</strong>le lor pinzochere 23 e andando ogni giorno alle lor prediche<br />
e a far fare de l’orazione per l’anima de’ suo’ passati 24 li mandasse 25 di buone<br />
torte alla lombarda; ed accesa poi col tempo <strong>del</strong> fervore de le buone opere <strong>del</strong> beato<br />
fra’ Ginepro 26 e degli altri lor santi, si disponesse 27 a fare una capella nella lor chiesia<br />
(dove fusse dipinta quella bella storia quando san Francesco predicava agli uccelli<br />
nel diserto, e quando e’ fece quella santa zuppa, e che l’agnolo Gabriello gli portò<br />
i zocoli 28 ), e poi la dotassero di tante possessioni 29 che rendesser in modo che e’ 30<br />
potesser fare ogni anno la festa di quelle sante Stìmate 31 che hanno tanta virtù che<br />
domine pure assai 32 , ed ogni lunedì celebrare uno officio 33 per l’anima di tutti i suoi<br />
attinenti 34 che fussino ritenuti 35 alle pene <strong>del</strong> purgatorio. Ma perciò che e’ non possono<br />
tener questi beni, secondo la professione <strong><strong>del</strong>la</strong> povertà 36 , come appartenenti<br />
al luogo 37 , eglino 38 hanno trovato nuovamente 39 questo sottil modo: di possedergli<br />
come dote <strong>del</strong>le capelle 40 o come cosa appartenente alla sagrestia, credendosi forse<br />
ingannar così bene messer Domeneddio, come alcun di loro fa gli uomini tutto ’l dì,<br />
e che Egli non conosca qual sia dentro la loro intenzione 41 e che e’ l’han fatto, come<br />
quegli che crepavano d’astio e d’invidia <strong>del</strong>le larghe cocolle dei paffuti monaci 42 , i<br />
quali, sanza andarsi consumando la vita a piedi scalzi e in zocoli predicando qua e<br />
là, con cinque paia di calcetti 43 , in belle pantufole di cordovano 44 si stanno a grattar<br />
la pancia entro alle belle celle, tutte fornite d’arcipresso 45 ; a’ quali, se pure è di mestiero<br />
alcuna volta uscire di casa 46 , in su le mule quartate 47 e in su i grassi ronzini 48<br />
si vanno molto agiatamente diportando 49 , né si curano affaticar troppo la mente a<br />
studiar molti libri, acciò che la scienza che da quelli apprendessero non gli facesse<br />
elevar in superbia come Lucifero 50 e gli cavasse 51 <strong><strong>del</strong>la</strong> lor monastica simplicità.<br />
30. e’: ‘essi’, cioè i frati.<br />
31. sante Stìmate: le stimmate ricevute<br />
da san Francesco.<br />
32. che … assai: ‘hanno tanto potere<br />
miracoloso che maggiore non si può’.<br />
33. officio: ‘una messa’.<br />
34. attinenti: ‘congiunti’.<br />
35. ritenuti: ‘trattenuti’.<br />
36. perciò che … povertà: ‘ma poiché<br />
essi non possono possedere questi<br />
beni in osservanza <strong>del</strong> loro voto di<br />
povertà’.<br />
37. come … luogo: ‘come proprietà<br />
<strong>del</strong> convento’.<br />
38. eglino: ‘essi’.<br />
39. nuovamente: ‘recentemente’.<br />
40. di possedergli … capelle: ‘di possedere<br />
(i beni) come patrimonio devoluto<br />
alle cappelle’.<br />
41. e che Egli … intenzione: ‘e che Dio<br />
non sappia quali siano, nell’intimo, le<br />
loro intenzioni’.<br />
42. e che … monaci: ‘e (credendo che<br />
Dio non sappia) che essi (i frati) lo hanno<br />
fatto perché morivano d’astio e in-<br />
vidia per gli ampi abiti («cocolle») dei<br />
monaci paffuti’. Firenzuola contrappone<br />
la vita dei monaci, in convento, a<br />
quella dei frati, costretti ad andare in<br />
giro a predicare e chiedere offerte.<br />
43. calcetti: ‘scarpe di cuoio leggero’.<br />
44. pantufole di cordovano: ‘pantofole<br />
di cuoio’, morbido e robusto secondo<br />
una lavorazione originaria di Cordova.<br />
45. fornite d’arcipresso: ‘rivestite in legno<br />
di cipresso’.<br />
46. a’ quali … casa: ‘i quali, seppure<br />
devono a volte uscire di casa’.<br />
47. mule quartate: ‘mule robuste’.<br />
48. ronzini: ‘cavalli di poco pregio’.<br />
49. si … diportando: ‘si fanno trasportare<br />
con agio’.<br />
50. come Lucifero: il sapere contenuto<br />
nei libri potrebbe indurre i semplici monaci<br />
a commettere peccato di superbia,<br />
proprio come Lucifero. Firenzuola è ironico:<br />
non è certo questo il motivo che<br />
li distoglie dallo studio, ma la pigrizia.<br />
51. gli cavasse: ‘li allontanasse’.<br />
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6<br />
Seconda<br />
parte <strong><strong>del</strong>la</strong><br />
<strong>novella</strong>:<br />
la beffa<br />
Una compravendita<br />
Il ricatto<br />
<strong>del</strong>l’aldilà<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Agnolo Firenzuola<br />
45<br />
50<br />
55<br />
60<br />
65<br />
70<br />
52. a casa: ‘al racconto’, dopo la divagazione.<br />
53. le fe’: ‘le fece’.<br />
54. che … Ordine: ‘che ella fu contenta<br />
di entrare nell’ordine <strong>del</strong>le terziarie’,<br />
quello <strong>del</strong>le laiche al servizio <strong>del</strong> convento.<br />
55. dal quale … tonache: ‘dal quale<br />
(terzo ordine) i frati trassero buoni piatti<br />
e tonache eleganti’; evidentemente il<br />
terzo ordine aveva funzione di sostenere<br />
i frati anche con vettovaglie (le «buone<br />
torte alla lombarda»).<br />
56. e’: ‘essi’, cioè i frati.<br />
57. gli: ‘le’.<br />
58. per … cappella: ‘per ricordarle di finanziare<br />
la costruzione di una cappella’.<br />
59. sapeva … frati: ‘le pareva una cosa<br />
brutta togliere ai figli per dare ai frati’.<br />
60. scarsa: ‘avara’.<br />
61. tenendogli … parole: ‘accontentandoli<br />
con le parole’, cioè con le promesse.<br />
62. stava … machione: ‘insisteva nel<br />
Or per tornare a casa 52 , quel devoto guardiano fu tanto dietro a quella vedova e<br />
tanto romor le fe’ 53 intorno con quei zocoli, che la fu contenta di farsi <strong>del</strong> Terzo<br />
Ordine 54 , dal quale i frati cavorno poscia di buone piatanze e di sfoggiate tonache<br />
55 . Ma parendo lor tutto questo o poco o niente, e’ 56 gli 57 erono intorno tutto ’l<br />
dì per ricordarle il fatto <strong><strong>del</strong>la</strong> cappella 58 . Ma la buona donna, tra che e’ le sapeva<br />
male tòrre a’ figliuoli per dare a’ frati 59 , e che l’era, come è costume universale di<br />
voi altre donne, un po’ scarsa 60 , tenendogli nondimeno contenti di parole 61 stava<br />
pur soda al machione 62 . E in mentre che eglino la sollecitavano ed ella gli empieva<br />
di vento 63 , avenne che la si infermò a morte 64 . Per la qual cosa la mandò per fra’<br />
Serafino (che così aveva nome il guardiano di San Nazaro) che la venisse a confessare;<br />
il quale sùbbito venne, e come più presto l’ebbe confessata, come quello<br />
che gli pareva che e’ fusse venuto il tempo de la vendemmia 65 , le disse in atto<br />
di carità 66 che si ricordasse di far ben per l’anima sua in mentre che l’era viva 67 , e<br />
non aspettasse che i figliuoli, che non attendevono altro che la sua morte 68 , gnele<br />
facessero 69 ; e che la si ricordasse molto bene di madonna Lionora Caccia che fu<br />
moglie di messer Cervagio, che era pur dottore, a la quale, poi che la si morì, non<br />
è stato mai alcuno de’ suoi figliuoli che e’ si sia ricordato d’accenderle una can<strong>del</strong>a<br />
pur il dì de’ morti 70 ; e che questa era poca cosa a lei ch’era ricca 71 ; e che la sarebbe<br />
non solo in utilità <strong>del</strong>l’anima sua 72 e di tutti i suoi discendenti, ma in onor<br />
di tutta la casa 73 ; e finalmente seppe tanto ben dir le sue ragioni, che la donna si<br />
volse quasi a dir di sì, e risposegli che e’ tornasse da lei il dì di poi 74 , che di tutto<br />
la lo risolverebbe 75 .<br />
In questo mezo 76 un de’ suoi figliuoli, il mezano, chiamato Agabio, avendo avuto<br />
non so in che modo fumo 77 di questa cosa, la disse agli altri frategli, i quali per<br />
chiarirsene meglio 78 pensorno che e’ fusse bene il dì vegnente, se il frate vi ritornava,<br />
mettere un di loro sotto il letto a cagion che gli intendesse tutto il convenente<br />
79 . E così l’altro giorno essendo venuto fra’ Serafino per conchiudere il mercato,<br />
suo proposito’.<br />
63. empieva … vento: ‘li riempiva di<br />
vento’, <strong>del</strong>le parole non seguite dai fatti,<br />
cioè dal reale finanziamento <strong><strong>del</strong>la</strong><br />
cappella.<br />
64. la … morte: ‘si ammalò molto gravemente’.<br />
65. e come … vendemmia: ‘non appena<br />
l’ebbe confessata, come chi si rendeva<br />
conto che era giunto il momento<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> vendemmia’, il momento nel quale,<br />
cioè, il frate avrebbe potuto avere finalmente<br />
i soldi <strong><strong>del</strong>la</strong> donna.<br />
66. in … carità: ‘come atto di carità’.<br />
67. che … viva: si credeva infatti che<br />
fare opere di bene (e dunque anche<br />
donare soldi a un convento) potesse far<br />
migliorare le sorti <strong>del</strong>l’anima nell’aldilà.<br />
68. che … morte: per poter mettere le<br />
mani sulla sua eredità.<br />
69. gnele facessero: ‘gliene facessero’,<br />
compissero cioè con i soldi avuti in eredità<br />
quelle opere che avrebbero riscattato<br />
la sua anima dal purgatorio.<br />
70. pur … morti: ‘nemmeno il giorno<br />
dei morti’.<br />
71. e che … ricca: ‘e che questa costituiva<br />
una piccola cosa per lei, che era<br />
ricca’.<br />
72. sarebbe … sua: ‘sarebbe stata utile<br />
non solo alla sua anima’.<br />
73. ma … casa: ‘ma avrebbe fatto onore<br />
a tutta la famiglia’.<br />
74. il dì … poi: ‘il giorno seguente’.<br />
75. che … risolverebbe: ‘che lo avrebbe<br />
accontentato’.<br />
76. In … mezo: ‘nel frattempo’.<br />
77. avendo … fumo: ‘avendo avuto<br />
sentore’ <strong>del</strong> tentativo <strong>del</strong> frate di raggirare<br />
la madre.<br />
78. per … meglio: ‘per aver più chiara<br />
la situazione’.<br />
79. pensorno … convenente: ‘pensarono<br />
che fosse una buona cosa che il giorno<br />
successivo, se il frate fosse tornato,<br />
qualcuno di loro si mettesse sotto il letto<br />
per ascoltare tutto ciò che poteva essere<br />
utile’.<br />
© 2011 RCS Libri S.p.A./<strong>La</strong> Nuova Italia – R. Antonelli, M.S. Sapegno, Il senso e le forme
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L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Agnolo Firenzuola<br />
75<br />
80<br />
85<br />
90<br />
95<br />
100<br />
80. addusse: ‘portò’.<br />
81. tanti … allegò: ‘citò il pensiero di<br />
tanti sapienti’.<br />
82. le fe’: ‘le fece’.<br />
83. la … dispose: ‘si convinse’.<br />
84. dotta: ‘fondo’, che servisse, come si<br />
spiega, a finanziare le attività <strong><strong>del</strong>la</strong> cappella.<br />
85. officio: ‘cerimonia’.<br />
86. la metà … diviso: ‘(si decise a lasciare)<br />
la metà di un podere ancora non<br />
diviso (tra i figli)’.<br />
87. Camigliano … gogna: a Camiano,<br />
a nord est di Novara, dove si svolgeva il<br />
supplizio <strong><strong>del</strong>la</strong> gogna.<br />
88. titolo: ‘iscrizione’.<br />
89. che … mestiero: ‘che era necessario’.<br />
Agabio, aiutato da loro, se n’entrò sotto al letto <strong><strong>del</strong>la</strong> madre, d’onde sentì che ’l<br />
padre guardiano, non pensando d’essere udito, tanto le fu di nuovo intorno, tante<br />
ragioni addusse 80 , tanti dottori allegò 81 e tanta paura le fe’ 82 de le pene <strong>del</strong> purgatorio,<br />
che la si dispose 83 a voler lasciare dugento lire di contanti per l’edifizio e<br />
per gli ornamenti de la cappella e cento per fare i paramenti, i vasi e le altre cose<br />
necessarie da dir la messa, e per dotta 84 di quella, a cagione che e’ vi si facesse<br />
ogni anno una festa e uno officio 85 per i morti e ogni dì vi si dicesse una messa, la<br />
metà d’un podere pur non diviso 86 che l’aveva a Camigliano a canto a la gogna 87 ,<br />
che valeva in tutto più de tremilia lire; e rimasti d’accordo <strong>del</strong> titolo 88 e degli uficii<br />
e di tutto quello che faceva mestiero 89 , il frate si dipartì 90 . E partito che e’ fu, Agabio,<br />
senza che la madre di niente si accorgesse, si uscì di sotto il letto e referì tutto<br />
quello che aveva udito agli altri frategli, i quali senza alcuno indugio con certi altri<br />
lor parenti se n’andorno dalla madre e con destro modo 91 la distolsero da così<br />
fatto pensiero 92 . Comunche Agabio ebbe veduto che la madre era contenta di lasciare<br />
andar l’acqua a la ’ngiù 93 , e’ pensò di voler un po’ di baia 94 <strong>del</strong> guardiano, e<br />
prestamente ebbe a sé 95 un fante di casa e lo mandò da parte de la madre a dirgli<br />
che e’ non venisse più per niente a casa sua a solicitarla, né a ricordarle quella cosa<br />
che e’ si sapeva 96 ; imperò che i suoi figliuoli, che si erano accorti <strong>del</strong> tutto, avevano<br />
diliberato, se egli vi capitava, fargli dispiacere 97 ; con tutto ciò che egli stesse<br />
di buona voglia, perciò che la non restarebbe per questo di fare quanto e’ gli eron<br />
rimasti d’accordo 98 ; e però subito che e’ sapesse che messer Domeneddio avesse<br />
fatto altro di lei, che e’ se n’andasse da ser Tomeno Alzalendina, al quale la farebbe<br />
rogare il testamento 99 , e faccendo d’averlo 100 , mandasse la cosa ad esecuzione.<br />
Andò il fante e con diligenza fece la imbasciata in modo che fra’ Serafino non<br />
vi ritornò altrimenti 101 ; ma avendo in capo di pochi dì inteso che madonna Agnesa,<br />
sopravenuta da non so che accidente 102 , aveva renduto lo spirito a messer Domeneddio,<br />
sùbito se n’andò a trovar ser Tomeno e gli chiese questo testamento.<br />
Ser Tomeno, che di già era stato avisato da Agabio, di quanto avesse da fare, prestamente<br />
gli rispose che egli andasse a trovare Agabio, il quale il dì davanti 103 lo<br />
aveva avuto in pubrico 104 ; onde il frate senza repricar parola 105 se n’andò da lui,<br />
e poi che e’ gli ebbe fatto il dovuto cordoglio 106 , gli chiese di veder questo testa-<br />
90. si dipartì: ‘se ne andò’.<br />
91. con destro modo: ‘con abilità’.<br />
92. la distolsero … pensiero: ‘le fecero<br />
cambiare idea’.<br />
93. Comunche … ’ngiù: ‘quando Agabio<br />
vide che la madre si era convinta a<br />
lasciare le cose come stavano’.<br />
94. voler … baia: ‘volersi prendere un<br />
po’ gioco’.<br />
95. ebbe a sé: ‘fece venire’.<br />
96. quella … sapeva: ‘quella cosa che<br />
egli sapeva’, cioè <strong><strong>del</strong>la</strong> promessa di<br />
dare i soldi per la cappella.<br />
97. avevano … dispiacere: ‘avevano<br />
deciso di fargli <strong>del</strong> male se egli fosse<br />
capitato lì (in casa)’.<br />
98. con … accordo: ‘e che nonostante<br />
tutto stesse sereno, perché non avreb-<br />
be per questo esitato a fare ciò su cui<br />
erano rimasti d’accordo’.<br />
99. al quale … testamento: ‘al quale<br />
avrebbe fatto stendere il testamento’.<br />
100. e faccendo d’averlo: ‘e facendo<br />
in modo di averlo’.<br />
101. non … altrimenti: ‘non fece più ritorno<br />
alla casa’.<br />
102. sopravenuta … accidente: ‘colpita<br />
da non so quale accidente’.<br />
103. il dì davanti: ‘il giorno precedente’.<br />
104. lo … pubrico: ‘lo aveva reso noto<br />
pubblicamente’.<br />
105. senza … parola: ‘senza rispondere’.<br />
106. il dovuto cordoglio: ‘le condoglianze<br />
dovute’, ‘di circostanza’.<br />
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Perdenti e<br />
vincitori<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Agnolo Firenzuola<br />
105<br />
110<br />
115<br />
120<br />
125<br />
130<br />
107. <strong>del</strong> fatto suo: ‘di ciò che il frate faceva’.<br />
108. mica: ‘affatto’.<br />
109. al … suo: ‘a suo vantaggio’.<br />
110. procurator: ‘rappresentante legale’.<br />
111. fattore: ‘dipendente’.<br />
112. come … presto: ‘non appena’.<br />
113. come … cose: ‘come stavano le<br />
cose’, ‘ciò che accadeva’.<br />
114. Per che: ‘per la qual cosa’.<br />
115. e quanto … fare: ‘qual era il suo<br />
piano’.<br />
116. ogni … contentasse: ‘nel caso<br />
che lui ne fosse contento, fosse d’ac-<br />
mento. Alla quale dimanda Agabio non diede altra risposta se non che e’ disse<br />
che si maravigliava molto <strong>del</strong> fatto suo 107 , che gli andasse cercando quello che<br />
non gli si apparteneva; e volendo il frate repricar non so che, e’ gli disse che e’ se<br />
gli levassi dinanzi e andasse a fare i fatti suoi. Per la qual cosa il buon fraticello,<br />
non sbigottito mica 108 per questo, anzi credendosi che ’l testamento dovesse esser<br />
molto al proposito suo 109 , sanza repricare altro se n’andò a trovare un certo<br />
messer Nicola, che era procurator 110 <strong>del</strong> convento, e fattogli por cinque soldi in<br />
mano da un suo fattore 111 gli raccomandò molto strettamente questa faccenda.<br />
Messer Nicola sanza pensar più oltre fece subito citare ser Tomeno inanzi al Vicario<br />
<strong>del</strong> Vescovo a dover dare la copia di questo testamento; il quale, come più<br />
presto 112 ebbe avuta la citazione, se n’andò da Agabio e gli narrò come passavano<br />
le cose 113 . Per che 114 Agabio, che non cercava altro che questo, insieme con<br />
ser Tomeno andò a trovare il Vicario <strong>del</strong> Vescovo, il quale era molto suo amico,<br />
e gli narrò tutto quello che era stato insino a qui e quanto aveva disegnato di<br />
fare 115 ogni volta che e’ se ne contentasse 116 . Il Vicario, che naturalmente come<br />
prete non era troppo amico dei frati, gli disse che era molto contento; sì che il<br />
dì da poi 117 , venuta l’ora <strong>del</strong>le comparigioni 118 , eccoti venir fra’ Serafino e il suo<br />
procuratore, i quali con grande instanzia 119 chiedevono questo testamento. Alla<br />
cui domanda faccendosi inanzi Agabio disse:<br />
– Messer lo Vicario, io son molto ben contento di produrlo 120 dinanzi a Vostra<br />
Signoria, con patto che tutto quello che vi si contiene dentro sia osservato in piena<br />
forma da tutti coloro che vi si trovano nominati, tochi a chi vuole e abbi nome<br />
come e’ vuole 121 . –<br />
– Questa cosa va per i piedi suoi 122 – rispose il Vicario –; imperciò che le nostre<br />
leggi dispongono che quello che sente i commodi debba eziandio sentire<br />
gl’incommodi 123 . Producilo adunque, che così è il debito <strong><strong>del</strong>la</strong> ragione 124 –.<br />
Per le quali parole Agabio, trattosi di seno un certo scartafaccio, lo dette al notaio<br />
<strong>del</strong> banco dicendogli che lo leggesse, ed egli così fece; il quale poi la instituzion<br />
degli eredi 125 e certi altri legati messivi per dar più fede all’oste 126 , ei lesse quella<br />
parte che era appartenente al frate 127 , la quale cominciava in questo modo:<br />
«Item 128 per rimedio 129 <strong><strong>del</strong>la</strong> roba de’ miei figliuoli e per salute 130 di tutte le vedove<br />
di Novarra, voglio che con quel de’ medesimi miei figliuoli 131 e con le lor proprie<br />
cordo’.<br />
117. il dì … poi: ‘il giorno seguente’.<br />
118. l’ora … comparigioni: ‘l’ora in cui<br />
le parti dovevano comparire davanti al<br />
giudice’.<br />
119. instanzia: ‘insistenza’.<br />
120. produrlo: ‘mostrarlo’.<br />
121. tochi … vuole: ‘a chiunque capiti<br />
e in qualsiasi modo si chiami’.<br />
122. Questa … suoi: ‘questa cosa va<br />
da sola’, ‘non c’è bisogno di dirla’, perché<br />
è sancita per legge.<br />
123. quello … incommodi: ‘colui che<br />
ne beneficia deve patirne anche le conseguenze<br />
sfavorevoli’.<br />
124. così … ragione: ‘così è dovuto alla<br />
giustizia («ragione»)’.<br />
125. poi … eredi: ‘dopo la designazione<br />
degli eredi’.<br />
126. e certi … oste: ‘e altre disposizioni<br />
testamentarie messe per dare più<br />
credibilità alla cosa’.<br />
127. che … frate: ‘che riguardava il frate’.<br />
128. Item: ‘ugualmente’, parola latina<br />
propria <strong>del</strong> linguaggio giuridico.<br />
129. rimedio: ‘salvezza’.<br />
130. salute: ‘salvezza’.<br />
131. con … figliuoli: ‘a spese dei miei<br />
figlioli medesimi’.<br />
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L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Agnolo Firenzuola<br />
135<br />
140<br />
145<br />
150<br />
155<br />
160<br />
165<br />
132. scoreggiate: ‘frustate’.<br />
133. e’: ‘essi’, cioè i figli.<br />
134. omicciatti: ‘ometti da nulla’.<br />
135. Corte: la corte di giurati che assistevano<br />
all’udienza.<br />
136. non … baia: ‘non scherzate’, ‘siate<br />
certi’.<br />
137. dare: ‘picchiare’.<br />
138. stiamazo: ‘schiamazzo’, ‘lamentela’.<br />
139. Siede: ‘sede’.<br />
140. la cappa: ‘la veste’.<br />
141. fatelo … cavallo: ‘fatelo mettere<br />
a cavallo di un altro’ (per porgere la<br />
schiena ed essere frustato).<br />
mani sia dato a fra’ Serafino, al presente guardiano <strong>del</strong> convento di San Nazaro, cinquanta<br />
scoreggiate 132 , le migliori e nel miglior modo che e’ 133 sapranno e potranno,<br />
acciò che egli con tutti gli altri suo pari si ricordino che e’ non è sempre bene persuadere<br />
le semplici donnicciuole e i poveri omicciatti 134 a diseredare ed impoverire i<br />
figliuoli per fare ricche le cappelle».<br />
Non poté il notaio per le gran risa che si levarono ad un tratto per tutta la<br />
Corte 135 finir di leggere quanto era ordinato; e non domandate la baia 136 che tutti<br />
quei ch’eron dattorno cominciarono a dare 137 al povero guardiano, il quale, veggendosi<br />
rimaner col danno e con le beffi, voleva pigliar la via verso il convento<br />
con pensiero di farne una grande stiamazo 138 appresso la Siede 139 Apostolica. Se<br />
non che Agabio, avendol preso per la cappa 140 e tenendol forte, gridava:<br />
– Aspettate, padre; or dove andate voi così presto? Ecco che io son contento<br />
per la parte mia adempiere tutto quello che si contiene nel testamento –.<br />
E voltosi verso il Vicario, tenendo pure il frate stretto per la tonaca, seguitava:<br />
– Messer lo Giudice, fatelo levare a cavallo 141 , che io intendo sadisfare allo obligo<br />
mio, altrimente io mi dorrò de la Signoria Vostra, e dirò che voi non mi avete fatto<br />
ragione 142 –.<br />
Ma parendo oggimai 143 al Vicario pur troppo di quello che s’era fatto insino<br />
allora 144 , avendo anche perciò, e meritamente 145 , un po’ di riguardo al grado<br />
che teneva 146 e a lo Ordine dei fra’ Minori, voltosi verso Agabio mezo ridendo<br />
gli disse:<br />
– Agabio, e’ basta la tua buona voluntà; ma il padre fra’ Serafino, considerando<br />
che questa eredità o vero legato 147 sarebbe dannoso al convento, non lo vuole<br />
accettare, e non volendo tu non lo puoi forzare; sì che lascialo andare –.<br />
E con le miglior parole che e’ puoté gli dette commiato 148 . Il quale, come più<br />
presto ne ebbe agio 149 , pien di mal talento 150 se ne tornò a casa, dove stette parecchi<br />
dì che e’ non si lasciò rivedere per la vergogna, né mai più confortò donne<br />
vedove a lasciare alle cappelle 151 e quelle massimamente 152 che avevono i figliuoli<br />
grandi, per la paura e per le braverie de’ quali 153 e’ gli fu forza 154 sopportarsi in<br />
pace così gran beffe; abenché, secondo che mi disse già un de’ lor frati 155 , quel Vicario<br />
ne fu per avere il malanno, e costògli più di cinquecento fiorini 156 .<br />
142. non … ragione: ‘non mi avete fatto<br />
giustizia’.<br />
143. oggimai: ‘ormai’.<br />
144. insino allora: ‘fino ad allora’.<br />
145. meritamente: ‘giustamente’.<br />
146. al grado … teneva: ‘alla propria carica’.<br />
147. o vero legato: ‘atto testamentario’,<br />
al termine generale, il vicario affianca<br />
un termine più specifico.<br />
148. gli … commiato: ‘lo congedò’.<br />
149. come … agio: ‘più in fretta che<br />
poté’.<br />
150. pien … talento: ‘arrabbiato’.<br />
151. né mai … cappelle: ‘e non indus-<br />
se mai più le donne vedove a lasciare i<br />
soldi alle cappelle’.<br />
152. massimamente: ‘soprattutto’.<br />
153. per … quali: ‘per la paura (sua) e<br />
per le minacce dei quali (figliuoli grandi)’.<br />
154. gli … forza: ‘fu costretto a’.<br />
155. secondo … frati: ‘secondo quanto<br />
mi disse uno dei loro frati (<strong>del</strong>lo stesso<br />
ordine)’.<br />
156. quel Vicario … fiorini: ‘quel vicario<br />
ne ebbe alla fine il danno (a causa<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> vendicatività dei frati), e dovette<br />
pagare più di cinquecento fiorini’.<br />
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L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Agnolo Firenzuola<br />
ANALISI DEL TESTO<br />
Una <strong>novella</strong> da ridere<br />
L’ultimo racconto <strong><strong>del</strong>la</strong> sesta giornata è annunciato<br />
come una deviazione rispetto al tema principale,<br />
l’amore. <strong>La</strong> <strong>novella</strong>, infatti, narra di una beffa<br />
ordita dai figli di una vedova ai danni di un frate,<br />
che aveva cercato di circuire la donna e di convincerla<br />
a lasciare denaro e proprietà al convento.<br />
<strong>La</strong> <strong>novella</strong> si divide in due parti: la prima illustra<br />
le tecniche con cui i frati convincevano le vedove<br />
a finanziare il convento. <strong>La</strong> spiegazione di questa<br />
condotta è di natura psicologica: i frati «crepavano<br />
d’astio e d’invidia» (r. 37) per gli altri ordini<br />
ecclesiastici cui non era vietato di possedere<br />
beni. <strong>La</strong> seconda parte <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> riguarda la<br />
beffa: dopo la morte <strong><strong>del</strong>la</strong> madre i figli decidono<br />
di vendicarsi <strong>del</strong> frate e stilano un «testamento da<br />
beffe» (vedi la rubrica), in cui si finge che la donna<br />
abbia lasciato al frate solo molte legnate.<br />
<strong>La</strong> donna al centro dei due contendenti<br />
<strong>La</strong> <strong>novella</strong> è strutturata dunque sulla contesa tra<br />
i figli e il frate. Al centro <strong><strong>del</strong>la</strong> storia sta la vedova<br />
con il suo denaro, che riesce a mantenere una<br />
posizione autonoma fino a quando si ammala; poi<br />
diviene ricattabile e preda <strong><strong>del</strong>la</strong> capacità di persuasione<br />
prima <strong>del</strong> frate, e poi dei suoi figli.<br />
Polemica anticlericale<br />
<strong>La</strong> polemica anticlericale era un argomento consueto<br />
<strong>del</strong>le novelle e si ritrovava anche in altri generi<br />
letterari come luogo comune di antica origine.<br />
Firenzuola mette in luce non solo che esiste<br />
corruzione tra gli ecclesiastici come tra i laici, ma<br />
anche la rivalità tra gli ordini: i frati francescani, a<br />
differenza di altri ordini, hanno fatto voto di povertà<br />
e non possono possedere beni; l’invidia e l’avidità<br />
inducono il frate guardiano a circuire le vedove<br />
ricche affinché devolvano denaro al convento.<br />
Il ricatto <strong>del</strong>l’aldilà<br />
Il fulcro <strong><strong>del</strong>la</strong> vicenda sta nell’azione intimidatoria<br />
<strong>del</strong> frate, il quale, rammentandole il peso nell’aldilà<br />
<strong>del</strong>le opere caritative fatte in vita, può proprio ricattare<br />
la vedova, ormai malata e prossima alla morte:<br />
se non sarà lei medesima, e subito, a provvedere<br />
alla sua anima finanziando il convento, certo, dopo<br />
la sua morte, nemmeno i suoi figli lo faranno, e le<br />
pene <strong>del</strong> purgatorio per lei non avranno sconti.<br />
Una compravendita<br />
<strong>La</strong> donna, in precedenza, aveva resistito alle richieste<br />
<strong>del</strong> frate, per non togliere denaro ai figli,<br />
ma anche per avarizia: per i fe<strong>del</strong>i, come per i frati,<br />
il denaro ha valore in sé, indipendentemente dal<br />
fine per cui viene utilizzato (in questo caso, salvarsi<br />
l’anima). Anche il linguaggio indica che siamo in<br />
un ambito commerciale: fra’ Serafino torna dalla<br />
donna malata «per conchiudere il mercato» (r. 71)<br />
e le consiglia di dare il denaro «in utilità <strong>del</strong>l’anima<br />
sua» (r. 63).<br />
Perdenti e vincitori<br />
<strong>La</strong> beffa che i figli ordiscono contro il frate è, insomma,<br />
una vendetta educativa. Anche il vicario<br />
<strong>del</strong>l’arcivescovo, colui che accordandosi col figlio<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> vedova aveva permesso la beffa, alla fine, viene<br />
punito ed è costretto a pagare una multa di cinquecento<br />
fiorini: la rivalità tra i diversi gruppi <strong><strong>del</strong>la</strong><br />
Chiesa impedisce il completo trionfo <strong><strong>del</strong>la</strong> giustizia.<br />
Linguaggio giuridico<br />
Nella seconda parte <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> prevale il linguaggio<br />
giuridico: l’occasione <strong>del</strong>l’udienza dal<br />
vicario e <strong><strong>del</strong>la</strong> lettura <strong>del</strong> testamento dà modo<br />
all’autore di usare un linguaggio tecnico, che però<br />
stride con lo «scartafaccio» (r. 129), che il figlio tira<br />
fuori in luogo di testamento, e il suo contentuto.<br />
© 2011 RCS Libri S.p.A./<strong>La</strong> Nuova Italia – R. Antonelli, M.S. Sapegno, Il senso e le forme
11<br />
una vita varia<br />
e avventurosa<br />
la corte<br />
come spazio<br />
D’elezione<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Matteo Maria Ban<strong>del</strong>lo<br />
Matteo Maria Ban<strong>del</strong>lo<br />
Considerato il più grande scrittore di novelle <strong>del</strong> <strong>Cinquecento</strong>, Matteo Maria Ban<strong>del</strong>lo<br />
(1485-1561) conduce una vita tanto varia e avventurosa da farne, in un certo senso,<br />
l’emblema di un’epoca di grandi trasformazioni e da apparire lui stesso – frate mondano,<br />
diplomatico, segretario e scrittore – un tipico personaggio da <strong>novella</strong>. Impossibile<br />
collocarlo in un unico contesto storico-geografico: Ban<strong>del</strong>lo vive in conventi e corti<br />
diverse, per concludere poi la sua vita con un lungo soggiorno in Francia, ospite <strong>del</strong> re<br />
Francesco I.<br />
Insofferente alla disciplina <strong>del</strong> convento e perfettamente a proprio agio, invece, nell’ambiente<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> corte, abile in diplomazia e perciò benvoluto dai potenti, colto e prolifico<br />
scrittore di generi letterari diversi – scrive tra l’altro un Canzoniere in stile petrarchesco –,<br />
Ban<strong>del</strong>lo trova la sua dimensione ideale nella forma narrativa <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong>, di cui sperimenta<br />
tutte le varietà e i toni, spaziando con grande naturalezza dal taglio avventuroso a<br />
quello storico, dal racconto erotico a quello orrorifico, dal tragico<br />
al comico. Tutte le sue novelle (oltre duecento) sono pensate<br />
per quel pubblico particolare, nobile e mondano, sempre<br />
alla ricerca di piacevoli intrattenimenti, che l’autore incontra<br />
e frequenta nelle diverse corti.<br />
LA VITA E LE OPERE<br />
1484 ca. Nasce a Castelnuovo Scrivia, allora Lombardia,<br />
oggi Piemonte, da famiglia nobile.<br />
1494-1504 Entra come novizio nel convento domenicano<br />
di Santa Maria <strong>del</strong>le Grazie a Milano, dove suo zio Vincenzo<br />
è priore. Successivamente completa i suoi studi a<br />
Pavia.<br />
1504 È frate nel convento di San Domenico a Genova.<br />
1505-06
12<br />
le novelle:<br />
storia<br />
e struttura<br />
Del testo<br />
le fonti<br />
e lo stile<br />
la lingua<br />
un granDe<br />
successo<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Matteo Maria Ban<strong>del</strong>lo<br />
Ban<strong>del</strong>lo comincia a scrivere le Novelle già molto giovane e continua frequentare il genere<br />
per tutta la vita. Le prime tre parti <strong><strong>del</strong>la</strong> sua raccolta vengono pubblicate nel 1554, mentre<br />
la quarta esce postuma nel 1573. L’autore stesso, in una sua introduzione, rivendica la mancanza<br />
di una vera e propria struttura portante che dia organicità alla raccolta: intende così<br />
prendere le distanze dal diffuso fenomeno di imitazione <strong>del</strong> Decameron e <strong><strong>del</strong>la</strong> sua cornice<br />
narrativa. Ogni racconto è indipendente e viene introdotto da una lettera dedicatoria a<br />
un personaggio <strong>del</strong> mondo contemporaneo, secondo il mo<strong>del</strong>lo offerto già da Masuccio<br />
Salernitano. Si tratta di un artificio letterario che inserisce le novelle in uno spazio dialogico,<br />
letterario e di corte, che varia di volta in volta e permette all’autore di raccontare con<br />
vivacità descrittiva la situazione in cui avrebbe sentito narrare la <strong>novella</strong> che riporta. Ban<strong>del</strong>lo<br />
assume così il ruolo di chi riferisce un racconto altrui, e l’artificio rafforza la natura di<br />
exemplum didattico <strong>del</strong> testo, oltre a conferirgli veridicità.<br />
<strong>La</strong> grande varietà di temi e di toni è garantita dal vastissimo repertorio di fonti da cui<br />
lo scrittore, dotato di una profonda cultura umanistica, raccoglie spunti e soggetti: si va<br />
dalla tradizione classica ai narratori contemporanei, dai fabliaux agli storici come Paolo<br />
Diacono, Villani e Machiavelli, dalla narrativa orientale ad autori come Alberti, Pontano<br />
e Castiglione. Le storie che gli arrivano da mondi tanto diversi sono riscritte per piacere<br />
ai contemporanei, con un accento posto sulle passioni, sull’erotismo, ma anche sulla punizione<br />
dei peccati e sui valori <strong><strong>del</strong>la</strong> religione. Una varietà tematica straordinaria, a cui<br />
corrispondono altrettanti registri stilistici in una forma di scrittura il cui tessuto connettivo<br />
è dato proprio dalla rappresentazione di un mondo di lettori-narratori che condividono<br />
piaceri e valori.<br />
«Io non sono toscano né bene intendo la proprietà di quella lingua, anzi mi confesso lombardo»:<br />
così lo scrittore commenta la sua scelta linguistica che si oppone alla normalizzazione<br />
proposta da Bembo per aderire a un’ideologia anticlassicista, che privilegia la narrazione<br />
dei fatti reali e il tono colloquiale, aperto anche a espressioni dialettali.<br />
Le Novelle di Ban<strong>del</strong>lo riscuotono subito il favore <strong>del</strong> pubblico e si diffondono in breve<br />
anche in Francia e in Inghilterra, anche se la censura, in seguito al concilio di Trento,<br />
porta alla decurtazione <strong>del</strong> testo (un’edizione censurata esce già nel 1560). In particolare,<br />
è duratura la <strong>fortuna</strong> di alcune storie tragiche, come ad esempio quella di Romeo<br />
e Giulietta, che Ban<strong>del</strong>lo trae dal narratore vicentino Luigi Da Porto (1485-1529) e di<br />
cui è nota soprattutto la trasposizione teatrale di Shakespeare, che pare si sia ispirato<br />
alle Novelle di Ban<strong>del</strong>lo anche per le trame di Molto rumore per nulla e <strong>La</strong> tredicesima<br />
notte. Dalle Novelle trassero spunto anche Byron e Stendhal.<br />
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13<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Matteo Maria Ban<strong>del</strong>lo<br />
Novelle<br />
Ugo e la Parisina<br />
Novelle ■ I, XLIV<br />
Tra storia<br />
e finzione<br />
Introdotta da una lettera dedicatoria indirizzata a Castiglione, che Ban<strong>del</strong>lo aveva conosciuto a<br />
Mantova, divenendone amico, la <strong>novella</strong> si finge narrata da una nobile discendente dei protagonisti,<br />
personaggi storici <strong>del</strong> casato degli Este, la cui storia è collocata all’inizio <strong>del</strong> Quattrocento. Il<br />
racconto colpì la fantasia di Byron che ne trasse un poema (Parisina, 1816); il grande compositore<br />
Gaetano Donizetti scrisse la musica di un’opera sul tema e Pietro Mascagni musicò il testo di un<br />
dramma di D’Annunzio sempre sullo stesso argomento (Parisina, 1913).<br />
5<br />
10<br />
15<br />
M. M. Ban<strong>del</strong>lo<br />
Tutte le opere,<br />
a cura di F. Flora,<br />
Mondadori, Milano 1966.<br />
1. Bianca d’Este: la presunta narratrice<br />
è la nipote di uno dei protagonisti <strong><strong>del</strong>la</strong><br />
<strong>novella</strong>, Niccolò III, in quanto figlia di<br />
Sigismondo d’Este.<br />
2. alcune sue liti: si tratta di questioni<br />
giudiziarie.<br />
3. onesti intertenimenti: ‘eventi sociali<br />
il ban<strong>del</strong>lo al molto magniFiCo e vertuoso signore<br />
il signor Conte baldassare Castiglione<br />
Venne non è molto in Milano la gentilissima signora Bianca d’Este 1 , già consorte<br />
<strong>del</strong> signor Amerigo Sanseverino, la quale per alcune sue liti 2 vi dimorò molti<br />
giorni. Ella fu molto onoratamente da diversi gentiluomini milanesi accarezzata<br />
e festeggiata con sontuosi banchetti, musiche ed altri onesti intertenimenti 3 . E<br />
tra gli altri che magnificamente l’onorarono ne fu uno il graziosissimo avvocato<br />
che la sua lite aveva ne le mani, messer Benedetto Tonso. Vi fu poi il signor Lucio<br />
Scipione Attellano 4 , persona come sapete cortesissima e vertuosa, il quale con<br />
un desinare ed una cena luculliana 5 liberabilissimamente 6 l’onorò, avendo alcune<br />
nobilissime donne ed onorati gentiluomini invitato. Era la stagione di luglio,<br />
nel tempo che i giorni canicolari 7 sogliono essere alquanto fastidiosi. Si recitò una<br />
farsa 8 non già molto lunga, ma ben sommamente dilettevole, la quale buona pezza<br />
9 tenne la gioiosa compagnia in grandissimo piacere. Si ballò e si fecero di molti<br />
piacevoli giuochi, ed essendo circa il mezzogiorno era un ardentissimo aere 10 . Ed<br />
ancor che 11 si fosse in una sala terrena che le finestre aveva verso levante 12 ed era<br />
assai fresca, tuttavia si lasciò di ballare e si cominciò dalla lieta brigata ad entrar<br />
in diversi ragionamenti. <strong>La</strong> signora Camilla Scarampa 13 , che un’altra Saffo a’ nostri<br />
tempi si può con verità chiamare, disse a tutti che non sarebbe stato fuor di<br />
proposito che quell’ora sì calda e fastidiosa si dispensasse 14 in piacevoli ragionamenti.<br />
Il che da tutti lodato, cominciò essa signora Camilla e narrò una novelletta<br />
adeguati al rango’.<br />
4. Tonso … Attellano: personaggi contemporanei<br />
noti che danno il senso di<br />
una società che condivide vita e valori.<br />
5. cena luculliana: modo di dire che significa<br />
pranzo assai abbondante e deriva<br />
da Lucio Lucullo, uomo politico romano<br />
<strong>del</strong> II secolo, famoso per i suoi<br />
fastosi e raffinati banchetti.<br />
6. liberabilissimamente: ‘in modo davvero<br />
generoso’; da liberale, latinismo.<br />
7. canicolari: ‘afosi’; dalla costellazione<br />
<strong>del</strong> Cane che sorge in agosto.<br />
8. farsa: ‘rappresentazione’.<br />
9. buona pezza: ‘per un certo tempo’.<br />
10. era un ardentissimo aere: ‘l’aria<br />
era caldissima’.<br />
11. ancor che: ‘sebbene’.<br />
12. verso levante: ‘rivolta ad est’, cioè<br />
ormai lasciata dal sole diretto.<br />
13. Camilla Scarampa: una poetessa di<br />
una certa notorietà tanto da venire paragonata<br />
qui alla poetessa greca Saffo.<br />
14. si dispensasse: ‘si trascorresse’.<br />
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14<br />
Un signore<br />
con diverse<br />
mogli e<br />
innumerevoli<br />
figli<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Matteo Maria Ban<strong>del</strong>lo<br />
20<br />
25<br />
30<br />
35<br />
40<br />
45<br />
15. per gli accidenti suoi: ‘per gli eventi<br />
di cui trattava’.<br />
16. notabile: ‘degna di essere riportata’.<br />
17. Il perché: ‘il motivo per cui’.<br />
18. elegia: si è congetturato che Ban<strong>del</strong>lo<br />
facesse riferimento a una composizione<br />
<strong>del</strong> Castiglione in forma di elegia<br />
in versi, sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>le Heroides<br />
ovidiane.<br />
19. coltissime muse: ‘composizioni<br />
elevate’.<br />
20. Niccolò terzo da Este: signore di<br />
assai dilettevole, dopo la quale alcune altre ne furono da donne e da uomini recitate.<br />
Ultimamente la signora Bianca ne recitò una che a me parve per gli accidenti<br />
suoi 15 molto notabile 16 . Il perché 17 io, che presente vi era, avendola ben notata<br />
la scrissi e la collocai con l’altre mie. Ora parendomi degna per il soggetto che<br />
ha, di venir nelle man vostre, quella vi mando, la quale terrete per testimonio <strong>del</strong><br />
mio amore e riverenza verso voi, non sapendo io né potendo in altro manifestarvi<br />
e lasciar testimonio al mondo quanto io sia vostro. Parmi anco, avendomi voi<br />
mandata quella vostra bellissima elegia 18 , che io alcuna cosetta <strong>del</strong>le mie vi debbia<br />
mandare, non per scambio, perché le mie ciancie non sono da esser paragonate a<br />
le vostre coltissime muse 19 , ma perché conosca ciascuno che io sono e sempre sarò<br />
di voi ricordevole. State sano.<br />
il marChese niCColò terzo da este trovato il Figliuolo Con la matrigna<br />
in adulterio, a tutti dui in un medesimo giorno Fa tagliar il Capo in Ferrara.<br />
Sì come è chiarissima fama per tutta Europa, fu il marchese Niccolò terzo da<br />
Este 20 , mio avo paterno 21 , fu, dico, singolarissimo e magnificentissimo signore,<br />
e più volte si vide esser arbitro tra i prencipi de l’Italia quasi ogni volta che dissensione<br />
22 o guerra tra loro accadeva. E perciò che legitimo non era, fu da Azzo<br />
quarto da Este suo carnal cugino gravemente molestato 23 . Ma con la sua buona<br />
<strong>fortuna</strong> e con il favore dei veneziani, fiorentini e bolognesi avendo fatto relegare<br />
Azzo in Creta, che oggi Candia si chiama, la signoria de la città di Ferrara gran<br />
tempo pacificamente ottenne 24 . Prese poi egli per moglie la signora Gigliuola figliuola<br />
<strong>del</strong> signor Francesco giovine da Carrara, che in quei tempi signoreggiava<br />
Padova 25 . Da questa egli ebbe un bellissimo figliuolo senza più, che Ugo 26 conte<br />
di Rovigo fu chiamato. Né guari 27 dopo il parto stette la madre di lui in vita, che<br />
da gravissima infermità oppressa passò a l’altra vita con gran dispiacere <strong>del</strong> marchese<br />
che unicamente 28 l’amava. Fu nodrito 29 il conte Ugo come a figliuolo di così<br />
fatto prencipe si conveniva, e in ogni cosa che faceva secondo l’età sua era mirabile.<br />
Il marchese si diede poi ad amare diverse femine, ed essendo giovine e pacifico<br />
ne lo stato, ad altro non attendeva che a darsi piacere. Onde tanta turba di<br />
figliuoli bastardi gli nacque che avrebbe fatto di loro un essercito. E per questo su<br />
il Ferrarese 30 ancora si costuma 31 di dire: – Dietro al fiume <strong>del</strong> Po trecento figliuoli<br />
<strong>del</strong> marchese Niccolò hanno tirata l’altana 32 de le navi –.<br />
Ferrara nella prima metà <strong>del</strong> Quattrocento<br />
(1382-1441), fu mecenate e protettore<br />
di artisti e umanisti.<br />
21. mio avo paterno: Ban<strong>del</strong>lo finge<br />
che a narrare sia, appunto, la nipote.<br />
22. dissensione: ‘conflitto’.<br />
23. molestato: Azzo d’Este cercò di<br />
spodestare il cugino, ma ebbe la peggio<br />
e fu esiliato.<br />
24. ottenne: ‘mantenne’.<br />
25. Padova: la storia è la base vera <strong>del</strong><br />
racconto. <strong>La</strong> prima moglie di Niccolò<br />
morì però senza figli.<br />
26. Ugo: era, infatti, figlio naturale di<br />
Niccolò.<br />
27. guari: ‘molto’.<br />
28. unicamente: ‘in modo unico, straordinario’.<br />
29. nodrito: ‘cresciuto’.<br />
30. su il Ferrarese: ‘nella zona di Ferrara’.<br />
31. si costuma: ‘si usa’.<br />
32. l’altana: era una fune che serviva a<br />
trainare lungo il fiume le barche contro<br />
corrente. Il significato più comune denota<br />
però una terrazza coperta.<br />
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15<br />
<strong>La</strong> moglie<br />
tradita<br />
rivendica il<br />
desiderio<br />
Il conflitto<br />
<strong>del</strong>le passioni<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Matteo Maria Ban<strong>del</strong>lo<br />
50<br />
55<br />
60<br />
65<br />
70<br />
75<br />
80<br />
33. Tolomei: Stella de’ Tolomei fu, in<br />
realtà, la madre di tutti e tre i principi<br />
d’Este finora citati, figli naturali perché<br />
lei non aveva sposato Niccolò.<br />
34. il quale … Reggio: i due figli naturali<br />
di Niccolò, Leonello e Borso, succedettero<br />
al padre: entrambi contribuirono<br />
alla magnificenza <strong><strong>del</strong>la</strong> corte<br />
estense e Borso divenne duca di Modena<br />
e Reggio nel 1453 e rappresentante<br />
<strong>del</strong> potere imperiale di Federico III; successivamente<br />
divenne duca di Ferrara<br />
Il primo dei figliuoli bastardi fu Leonello, che d’una giovane bellissima che Stella<br />
era nomata nacque, e questo successe al padre ne la signoria de la città di Ferrara.<br />
Il secondo fu il famoso Borso, generato in una gentildonna senese de la<br />
nobile ed antica casa dei Tolomei 33 , il quale di marchese fu da Paolo secondo,<br />
sommo pontefice, creato duca di Ferrara e da Federico d’Austria imperadore<br />
fatto duca di Modena e di Reggio 34 . Ma che vo io ad un ad uno annoverando i<br />
figliuoli che da le sue innamorate il marchese Niccolò ebbe, essendo stati tanti<br />
che buona pezza mi bisognarebbe a raccontargli non dico tutti, ché non si sanno,<br />
ma parlo di quelli che suoi figliuoli furono tenuti 35 , dei quali io una decina<br />
ho veduti in Ferrara quando era fanciulla? <strong>La</strong>sciando adunque costoro, vi dico<br />
che il marchese Niccolò <strong>del</strong>iberò un’altra fiata 36 maritarsi. Ed avendone in Italia<br />
e fuori alcune per le mani, si risolse prender per moglie una figliuola <strong>del</strong> signor<br />
Carlo Malatesta, alora potentissimo signore di molte città ne la Marca e ne la<br />
Romagna e tra italiani stimato gran capitano de l’arte militare. Era la sposa fanciulletta,<br />
perché non passava ancor quindeci anni, bella e vezzosa molto. Venne<br />
a Ferrara accompagnata onoratissimamente da marchegiani e romagnoli e fu<br />
dal marchese Niccolò molto pomposamente ricevuta. Ella non stette troppo col<br />
marchese che s’avvide come egli era il gallo di Ferrara, di modo che ella ne perdeva<br />
assai 37 . Ed in effetto il marchese era il più feminil uomo 38 che a quei tempi<br />
si ritrovasse, che quante donne vedeva tante ne voleva. Non si seppe perciò che<br />
ad alcuna da lui fosse fatta violenza già mai 39 . Ora veggendo la marchesana che<br />
’l suo consorte era di cotal natura che per logorar quello di fuori risparmiava il<br />
suo 40 , <strong>del</strong>iberò anch’ella non star con le mani a cintola e consumar la sua giovanezza<br />
indarno 41 . Onde considerati i modi e costumi degli uomini di corte, le<br />
vennero per mala sorte gettati gli occhi a dosso al suo figliastro il conte Ugo, il<br />
quale nel vero era bellissimo e di leggiadri costumi ornato. Essendole adunque<br />
grandemente piacciuto, di lui in modo s’innamorò che non le pareva aver mai riposo<br />
né contentezza se non quando lo vedeva e ragionava con lui. Egli che mai<br />
a sì gran sceleratezza non averebbe pensato, faceva quell’onore e quella istessa<br />
riverenza a la matrigna che ogni buono ed ubidiente figliuolo deve a la madre<br />
propria fare. Ma ella che altre riverenze 42 voleva e che era di lui estremamente<br />
invaghita, s’ingegnava con atti e cenni farlo capace 43 <strong>del</strong> fuoco amoroso nel quale<br />
ella miseramente ardeva. Più volte veggendo ella che il conte Ugo, che era<br />
giovanetto di sedici in dicesette 44 anni, a’ suoi lascivi atti non metteva mente 45 ,<br />
come quello che ogn’altra cosa fuor che questa si sarebbe imaginato, si trovava<br />
(1471) grazie a Paolo II.<br />
35. che … furono tenuti: ‘che si riteneva<br />
fossero suoi figli’.<br />
36. un’altra fiata: ‘un’altra volta’.<br />
37. di modo … assai: ‘tanto che ella<br />
non aveva molte <strong>del</strong>le attenzioni dovutele<br />
(dal marito)’.<br />
38. il più feminil uomo: ‘l’uomo più dedito<br />
alle donne’.<br />
39. perciò … mai: ‘però non si disse<br />
mai che egli avesse fatto violenza a<br />
qualcuna’.<br />
40. per logorar … suo: ‘si occupava<br />
<strong>del</strong>le donne altrui e trascurava la sua’;<br />
esplicita allusione sessuale.<br />
41. indarno: ‘invano’.<br />
42. altre riverenze: allusione al rapporto<br />
sessuale.<br />
43. farlo capace: ‘renderlo consapevole’.<br />
44. di sedici in dicesette: ‘fra i sedici e<br />
i diciassette’.<br />
45. a’ suoi … mente: ‘non sembrava<br />
notare i gesti sensuali di lei’.<br />
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16<br />
Il lungo<br />
discorso<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong><br />
marchesa<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Matteo Maria Ban<strong>del</strong>lo<br />
85<br />
90<br />
95<br />
100<br />
105<br />
110<br />
115<br />
120<br />
46. di mala voglia: ‘contrariata’.<br />
47. era osa: ‘osava’.<br />
48. ancora che: ‘sebbene’.<br />
49. pessima contentezza: ‘condizione<br />
di grave infelicità’.<br />
50. in conto … passioni: ‘in nessun<br />
modo consolazione alle sue dolorose<br />
passioni’.<br />
51. discoprirsi: ‘rivelare il proprio desiderio’.<br />
troppo di mala voglia 46 , né era osa 47 con parole così disonesti e scelerati appetiti<br />
discoprire, e ancora che 48 alquante volte si sforzasse parlargli di questo, la vergogna<br />
le annodava di maniera la lingua che mai non seppe di ciò far parola. Viveva<br />
adunque ella in una pessima contentezza 49 e non sapeva che farsi, non ritrovando<br />
in conto alcuno conforto a le sue accerbe passioni 50 che d’ora in ora si facevano<br />
maggiori. E poi che ella più giorni in questo modo un’acerbissima vita fece,<br />
conoscendo chiaramente che la vergogna sola era quella che chiudeva la via a<br />
discoprirsi 51 e far il conte Ugo consapevole di questo amore, <strong>del</strong>iberò avendo il<br />
petto a così disoneste fiamme aperto aprir anco la bocca a dirle, e cacciata ogni<br />
vergogna trovar compenso 52 ai casi suoi, e senza fidarsi di nessuno essere quella<br />
che al conte Ugo ogni cosa manifestasse. Fatta questa <strong>del</strong>iberazione, avvenne<br />
che il marchese Niccolò chiamato dal duca Filippo Vesconte andò a Milano, ove<br />
anco deveva alcuni giorni dimorare. Essendo adunque la marchesana un giorno<br />
in camera a’ suoi disii fieramente 53 pensando, né più potendo contenersi 54 e<br />
parendole il tempo convenevole 55 a ciò che intendeva di fare, quasi che di cose<br />
importanti volesse al conte Ugo parlare, mandò a chiamarlo. Egli il cui pensiero<br />
era da quello de la marchesana molto diverso, senza alcuno indugio dinanzi a lei<br />
si presentò, e fattale la debita riverenza si pose come ella volle appo 56 di lei a sedere,<br />
attendendo quello che ella volesse dirli. Ora poi che ella alquanto sovra di<br />
sé 57 fu stata, combattendo in lei vergogna ed amore, a la fine da amore sospinta<br />
che ogni vergogna e rispetto via aveva fatto fuggire, tutta nel viso divenuta vermiglia<br />
58 e spesso sospirando, con tremante voce e interrotte parole che le cadenti<br />
lagrime e singhiozzi impedivano, in questa guisa 59 a la meglio che ella puoté<br />
a parlar cominciò: – Io non so, dolcissimo signor mio, se voi mai avete pensato<br />
sovra la poco lodata vita 60 che il marchese Niccolò vostro padre fa e i modi che<br />
egli tiene, i quali veramente sono tali che sempre mi saranno cagione d’una perpetua<br />
e mala contentezza. Egli poi che rimase, morendo la felice memoria de la<br />
signora vostra madre 61 , vedovo, si diede di sì fatta maniera dietro a le femine che<br />
in Ferrara e per il contado non ci è cantone 62 ove egli non abbia alcun figliuolo<br />
bastardo. Credeva ciascuno che dopo che mi sposò egli dovesse cangiar 63 costumi;<br />
ma perché 64 io sia sua moglie divenuta, in parte alcuna non s’è mutato da la<br />
sua perversa consuetudine; ché, come faceva, quante femine vede tante ne vuole.<br />
E credo per giudicio mio che egli prima ci lascerà la vita che mai lasci di prender<br />
piacere con questa e quell’altra femina, pur che ne trovi. Ed essendo signore,<br />
chi sarà che gli dica di no? Ma quello che peggio mi pare è che egli più stima fa<br />
di queste sue puttane e triste femine e dei figliuoli da loro avuti che non fa di me<br />
52. trovar compenso: ‘dar soddisfazione’.<br />
53. fieramente: ‘appassionatamente’.<br />
54. contenersi: ‘trattenersi’.<br />
55. tempo convenevole: ‘l’occasione<br />
opportuna’.<br />
56. appo: ‘presso’.<br />
57. sovra di sé: ‘soprappensiero’.<br />
58. vermiglia: ‘arrossita violentemente’.<br />
59. in questa guisa: ‘a questo modo’.<br />
60. pensato … vita: ‘riflettuto alle cattive<br />
abitudini’.<br />
61. morendo … madre: ‘dopo la morte<br />
di vostra madre’; formula di cortesia.<br />
62. cantone: ‘angolo’.<br />
63. dovesse cangiar: ‘avrebbe cambiato’.<br />
64. perché: ‘benché’; valore concessivo.<br />
© 2011 RCS Libri S.p.A./<strong>La</strong> Nuova Italia – R. Antonelli, M.S. Sapegno, Il senso e le forme
17<br />
<strong>La</strong><br />
dichiarazione<br />
d’amore<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Matteo Maria Ban<strong>del</strong>lo<br />
125<br />
130<br />
135<br />
140<br />
145<br />
150<br />
155<br />
65. posta la fantasia: ‘prestato attenzione’.<br />
66. di leggero: ‘facilmente’.<br />
67. cancegliero: ‘cancelliere’.<br />
68. il signor Fresco: il racconto si<br />
sposta ancora tra storia e leggenda<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> signoria estense, nel Due-Trecento.<br />
69. micidiale: ‘omicida’.<br />
né di voi, che di così vertuosa e nobil signora nasceste. E se voi ci avete posta la<br />
fantasia 65 , ve ne sarete di leggero 66 potuto accorgere. Io sentii essendo ancora in<br />
casa <strong>del</strong> signor mio padre dire ad un nostro cancegliero 67 , che molto si dilettava<br />
di legger croniche, che tra i nostri antichi il signor Fresco 68 indegnato contra Azzo<br />
secondo suo padre lo uccise, perché Azzo gli aveva menata matrigna in casa,<br />
che era perciò figliuola di Carlo secondo re di Napoli. Per questo io non vo’ già<br />
che voi vi bruttiate le mani nel sangue di vostro padre divenendo di lui micidiale<br />
69 , ma vo’ ben dirvi che debbiate aprir gli occhi e diligentemente avvertire che<br />
non restiate qualche giorno beffato e schernito e con una canna vana in mano 70 .<br />
Non avete voi sentito dire come vostro padre, non toccando a lui il marchesato<br />
di Ferrara, perché non era di legitimo matrimonio procreato e di ragione apparteneva<br />
al signor Azzo quarto, che col favore dei suoi amici cacciò il detto Azzo<br />
fuor de la signoria e col mezzo dei veneziani lo fece mandare in essilio ne l’isola<br />
de la Candia, ove miseramente il povero signor è morto? Guardate che simil disgrazia<br />
non intravenga a voi, e che di tanti bastardi quanti ce ne sono, uno non vi<br />
faccia, come si costuma dire, la barba di stoppa e vi mandi a sparviero 71 . Io per<br />
me, quando altro di vostro padre avvenisse 72 , per voi a rischio e la roba 73 e la vita<br />
metterei, a ciò che lo stato, secondo che è il devere 74 , ne le vostre mani si rimanesse.<br />
E ben che communemente si dica che le matrigne non amano i figliastri, nondimeno<br />
voi potete esser sicurissimo che io più che me stessa assai v’amo. Avesse<br />
pur voluto Iddio che di me quello fosse avvenuto che io già sperai, imperciò che 75<br />
quando primieramente il signor mio padre mi ragionò 76 di maritarmi in Ferrara,<br />
egli mi disse ch’io devevo sposarmi con voi e non con vostro padre; né so io come<br />
poi il fatto si mutasse. Che Dio perdoni a chi di cotal baratto fu cagione! Voi, signor<br />
mio, ed io siamo di convenevol età per esser congiunti insieme. Il perché assai<br />
meglio ci saremmo accoppiati tutti dui insieme che io non faccio col marchese.<br />
E tanto più fòra 77 stata la vita mia lieta e contenta avendovi voi per marito e signore,<br />
che ora non è, quanto che 78 io prima amai voi che il marchese, essendomi stata<br />
data speranza che io deveva divenir vostra e voi mio. E per dirvi il vero io sempre<br />
affettuosissimamente v’ho amato ed amo più che l’anima mia, né m’è possibile che<br />
io ad altro mai rivolga i pensieri che a voi, sì fattamente 79 ne le radici <strong>del</strong> core mi<br />
sète abbarbicato. Onde, dolcissimo signor mio e lume degli occhi miei, (e questo<br />
dicendo, perché erano soli in camera, gli gettò le braccia al collo ed amorosamente<br />
in bocca lo basciò 80 due e tre volte), abbiate di voi e di me compassione. Deh,<br />
signor mio, rincrescavi di me e siate così mio come io sono e sarò eternamente vostra,<br />
ché se questo farete, e voi senza dubio rimarrete de lo stato signore e me d’infelicissima<br />
che sono farete la più felice e contenta donna <strong>del</strong> mondo –.<br />
70. con una canna … in mano: ‘con<br />
nulla in mano’.<br />
71. la barba … sparviero: due modi di<br />
dire dimenticati; il primo significa “fare<br />
una beffa a chi non se l’aspetta (a un<br />
pupazzo)” e il secondo “mandar via<br />
qualcuno usurpandone il posto”.<br />
72. quando … avvenisse: ‘nel momento<br />
in cui vostro padre morisse’.<br />
73. la roba: ‘le ricchezze’.<br />
74. secondo … devere: ‘come è giusto’.<br />
75. imperciò che: ‘dal momento che’.<br />
76. mi ragionò: ‘mi propose’.<br />
77. fòra: ‘sarebbe’.<br />
78. quanto che: ‘in quanto’.<br />
79. sì fattamente: ‘in modo tale’.<br />
80. lo basciò: ‘lo baciò’.<br />
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18<br />
<strong>La</strong> seduzione<br />
colpevole<br />
<strong>La</strong> forza<br />
<strong>del</strong> desiderio<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Matteo Maria Ban<strong>del</strong>lo<br />
160<br />
165<br />
170<br />
175<br />
180<br />
185<br />
190<br />
81. discorsi: ‘riportati’ (che ho qui riferito).<br />
82. se Fedra … pieghevole: ‘se Fedra<br />
fosse stata così bella, Ippolito non le<br />
avrebbe resistito’. L’allusione è al famoso<br />
mito di Fedra, moglie di Teseo, che<br />
si era innamorata <strong>del</strong> figliastro Ippolito<br />
che però la rifiutò. Prima di uccidersi,<br />
Fedra accusò Ippolito presso il padre<br />
di averle fatto violenza. Dal tragico greco<br />
Euripide, attraverso Seneca, il mito<br />
ebbe grande <strong>fortuna</strong>, da Racine fino a<br />
Il conte Ugo che pure attendeva a qual fine i discorsi 81 ragionamenti de la marchesana<br />
devessero riuscire, a quest’ultime parole e agli amorosi e soavissimi basci da<br />
lei avuti, rimase in modo fuor di se stesso che né rispondere né partir si sapeva, e<br />
stava proprio che chi veduto l’avesse in quel modo attonito e stupefatto più tosto<br />
ad una statua di marmo che ad uomo l’averebbe assimigliato. Era la marchesana<br />
bellissima e vaga e così baldanzosa e lasciva, con dui occhi che amorosamente in<br />
capo le campeggiavano, che se Fedra così bella e leggiadra fosse stata, io porto<br />
ferma credenza che averebbe a’ suoi piaceri il suo amato Ippolito reso pieghevole<br />
82 . Ora veggendo la marchesana che il suo signor Ugo non s’era turbato e che<br />
anco non si levava 83 , ma se ne stava immobile, e motto alcuno 84 non diceva, fece<br />
pensiero mentre il ferro era caldo tenerlo ben battuto e non gli lasciar tempo di<br />
prender ardire di risponderle, o pensar quanta fosse la sceleraggine che si ordìva,<br />
e vituperosa ed enorme l’ingiuria 85 che al padre faceva, ed altresì a quanto rischio<br />
e periglio si metteva; avendone ella l’agio 86 , un’altra fiata avvinchiatogli il collo<br />
con le braccia e lascivissimamente basciandolo e mille altri scherzi e vezzi disonesti<br />
facendogli e dolcissime parole usando, di modo inescò 87 ed abbagliò il misero<br />
giovinetto che egli sentendosi crescer roba per casa 88 e già la ragione avendo in<br />
tutto dato il freno in mano al concupiscibile appetito 89 , egli anco cominciò lascivamente<br />
a basciare e morsicar lei e porle le mani nel candidissimo petto e le belle,<br />
tonde e sode poppe amorosamente toccare. Ma che vado io ogni lor particolarità<br />
raccontando? Eglino 90 volentieri in quel punto averebbero dato compimento a le<br />
lor voglie, ma non si fidando <strong>del</strong> luogo, dopo l’aversi insieme accordati di trovar<br />
luogo commodo ai loro piaceri, conchiusero che non era possibile potersi senza<br />
manifestissimo periglio insieme godere, se d’una de le sue donne ella non si fidava<br />
91 . Presa questa conchiusione, la marchesana, considerate le qualità de le sue<br />
donne, fece elezione 92 d’una che molto più che nessuna altra le parve esser sufficiente<br />
93 . Così un giorno presa l’oportunità, a lei il suo desiderio manifestò, e così<br />
bene la seppe persuadere che la donna le promise di far tutto quello che ella le<br />
commetteria 94 . Da l’altra banda 95 il conte Ugo partitosi de la camera restò sì ebro 96<br />
<strong>del</strong> cocente amore de la matrigna che in altro che ne le bellezze di quella non poteva<br />
pensare. E se la marchesana desiderava di ritrovarsi con lui, egli non meno<br />
di lei lo bramava. Non molto adunque dapoi 97 col mezzo de la fidata cameriera<br />
si ritrovarono insieme, ove gli ultimi diletti amorosi con infinito piacere di tutte<br />
due le parti presero. E ben che i cortegiani vedessero qualche domestichezza 98 tra<br />
loro, nondimeno non v’era chi male alcuno pensasse. Ora durò questa lor prati-<br />
D’Annunzio e in molte opere musicali.<br />
83. non si levava: ‘non si alzava’.<br />
84. motto alcuno: ‘nemmeno una parola’.<br />
85. vituperosa … ingiuria: ‘un affronto<br />
offensivo’.<br />
86. l’agio: ‘la possibilità’.<br />
87. inescò: ‘infiammò’.<br />
88. sentendosi … casa: allusione all’erezione.<br />
89. concupiscibile appetito: ‘desiderio’.<br />
90. Eglino: ‘essi’.<br />
91. se d’una … fidava: ‘se non si affidava<br />
a una <strong>del</strong>le sue domestiche’.<br />
92. fece elezione: ‘scelse’.<br />
93. sufficiente: ‘adatta’.<br />
94. le commetteria: ‘le avrebbe chiesto’.<br />
95. Da l’altra banda: ‘d’altra parte’.<br />
96. ebro: ‘ubriaco, scosso’.<br />
97. dapoi: ‘dopo’.<br />
98. domestichezza: ‘intimità’.<br />
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19<br />
L’umiliato<br />
marchese<br />
umilia<br />
e punisce<br />
Diversi<br />
comportamenti<br />
dei colpevoli<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Matteo Maria Ban<strong>del</strong>lo<br />
195<br />
200<br />
205<br />
210<br />
215<br />
220<br />
225<br />
99. in quell’ultimo: ‘alla fine’.<br />
100. da ora che: ‘in un momento in cui’.<br />
101. pertugio: ‘foro, fessura’.<br />
102. Di tanto scorno: ‘di un tale affronto’.<br />
103. convertì: ‘trasformò’.<br />
104. incru<strong>del</strong>ire: ‘vendicarsi duramente’;<br />
nota la figura <strong>del</strong>l’adnominatio<br />
«cru<strong>del</strong>issimo … incru<strong>del</strong>ire».<br />
105. l’ora <strong><strong>del</strong>la</strong> nona: ‘le tre <strong>del</strong> pomeriggio’.<br />
ca amorosa più di dui anni senza ch’alcuno sospetto ne prendesse, e in quell’ultimo<br />
99 avvenne che la cameriera si mise inferma a letto e se ne morì. Onde usando<br />
gli amanti meno che discretamente la domestichezza loro, un cameriero <strong>del</strong> conte<br />
Ugo se n’avvide non so come. E per meglio chiarirsene metteva mente ad ogni cosa<br />
che il padrone faceva, e non so in che modo ebbe aiuto di salir sovra la camera<br />
ne la quale gli amanti si trastullavano.<br />
Egli, da ora che 100 non era sentito, fece nel solaro un picciolo buco, per il cui pertugio<br />
101 una e due volte vide gli s<strong>fortuna</strong>ti amanti prender insieme amoroso piacere.<br />
Egli veduta così abominevol sceleratezza, pigliata l’oportunità, il tutto al<br />
marchese Niccolò da quel buco fece vedere. Di tanto scorno 102 il marchese oltra<br />
modo s’attristò e dolente ne divenne, e l’amore che a la moglie e al figliuolo portava<br />
in cru<strong>del</strong>issimo odio convertì 103 , <strong>del</strong>iberando contra l’uno e l’altro incru<strong>del</strong>ire<br />
104 . Era il mese di maggio e circa l’ora de la nona 105 quando egli vide gli amanti<br />
insieme trastullarsi. Il perché vicino a le venti ore 106 , mentre che lo s<strong>fortuna</strong>to<br />
conte Ugo su la piazza giocava a la palla, chiamò il marchese il capitano de la<br />
guardia con i suoi provigionati 107 , ordinando che tutti s’armassero. Erano molti<br />
dei primi 108 di Ferrara in palazzo col marchese quando egli, venuto il capitano,<br />
con meraviglia grandissima di chiunque l’udì, gli comandò che alora alora andasse<br />
a pigliar il conte Ugo ed in ferri e ceppi lo mettesse ne la torre <strong>del</strong> castello verso<br />
la porta <strong>del</strong> leone, ove adesso stanno impregionati don Ferrando e don Giulio<br />
fratelli <strong>del</strong> duca 109 . Poi comandò al castellano che, presa la marchesana, la facesse<br />
porre ne l’altra torre. Indi agli astanti narrò la cagione di queste commissioni 110 .<br />
Giocava a la palla, com’è detto, lo sciagurato conte Ugo, e perché era giorno di<br />
festa, che i popolani sono scioperati 111 , tutta Ferrara era a vederlo giocare. Arrivò<br />
con i suoi sergenti il capitano in piazza e per iscontro 112 a l’orologio vituperosamente<br />
113 al conte Ugo diede de le mani a dosso, e con universal dolor di qualunque<br />
persona a così fiero spettacolo fu presente, quello legato condusse in prigione.<br />
Il castellano medesimamente impregionò la marchesana. Quella stessa sera il<br />
fiero padre mandò dui frati di quelli degli Angeli 114 al conte Ugo, dicendoli che al<br />
morire si preparasse. Egli intesa la cagione di tanto inopinato annunzio e <strong>del</strong> suo<br />
infortunio 115 , amaramente il suo peccato pianse e a sofferir la meritata morte con<br />
grandissima contrizione si dispose, e tutta la notte in santi ragionamenti e detestazione<br />
<strong>del</strong> suo fallo consumò. Mandò anco a chieder perdono al padre de l’ingiuria<br />
contro quello fatta. <strong>La</strong> marchesana, poi che si vide imprigionata e seppe il<br />
conte Ugo esser cattivo 116 , supplicò assai di poter parlar al marito, ma ottener la<br />
grazia non puoté già mai. Mandògli adunque dicendo 117 come ella sola era consa-<br />
106. Il perché … ore: ‘motivo per cui<br />
intorno alle otto di sera’.<br />
107. provigionati: ‘dipendenti’.<br />
108. dei primi: ‘<strong>del</strong>le famiglie più in vista’.<br />
109. ove adesso … duca: il riferimento<br />
alla contemporaneità allude alla prigionia<br />
a vita dei due fratelli <strong>del</strong> duca Alfonso,<br />
Giulio e Ferrante, che avevano congiurato<br />
contro di lui.<br />
110. commissioni: ‘ordini’.<br />
111. sono scioperati: ‘non lavorano’.<br />
112. per iscontro: ‘di fronte’.<br />
113. vituperosamente: ‘in modo offensivo’.<br />
114. degli Angeli: <strong>del</strong> convento di Santa<br />
Maria degli Angeli.<br />
115. infortunio: ‘s<strong>fortuna</strong>’.<br />
116. cattivo: ‘prigioniero’; latinismo.<br />
117. Mandògli … dicendo: ‘gli mandò<br />
dunque a dire’.<br />
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20<br />
L’ordine pare<br />
ristabilito<br />
Quali valori<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Matteo Maria Ban<strong>del</strong>lo<br />
230<br />
235<br />
240<br />
245<br />
250<br />
255<br />
260<br />
118. consapevole: ‘responsabile’.<br />
119. aver pazienza: ‘sopportare’.<br />
ANALISI DEL TESTO<br />
pevole 118 e quella che il conte Ugo aveva ingannato, onde degno era che ella sola<br />
de la commessa sceleraggine fosse punita. Intendendo poi che a tutti dui si deveva<br />
mozzar il capo, entrò in tanta furia che mai non fu possibil d’acquetarla, chiarissimamente<br />
dimostrando che nulla o poco de la sua morte le incresceva, ma che<br />
di quella <strong>del</strong> conte Ugo non poteva aver pazienza 119 . Ella altro giorno e notte mai<br />
non faceva che chiamar il suo signor Ugo, di modo che per tre continovi 120 giorni<br />
che in prigione dimorò, sempre nomando 121 il conte Ugo se ne stette. Aveva anco<br />
il marchese mandato dui frati a confortar la marchesana e disporla a sofferir<br />
pazientemente il supplicio de la morte; ma eglino indarno s’affaticarono. Da l’altra<br />
parte il contrito giovine perseverò tre continovi giorni in compagnia dei dui<br />
frati, sempre di bene in meglio disponendosi a la vicina morte e ragionando di<br />
cose sante. Passato il terzo giorno, la matina a buon’ora un di quei frati gli disse<br />
la messa; ed in fine il giovine con grandissime lagrime chiedendo a Dio e al mondo<br />
perdono dei suoi peccati, prese divotamente il sacratissimo corpo <strong>del</strong> nostro<br />
Salvatore. <strong>La</strong> sera poi, quasi ne l’imbrunir de la notte, in quella medesima torre<br />
per comandamento <strong>del</strong> padre gli fu dal manigoldo 122 mózzo il capo. Fu altresì a<br />
la donna in quell’ora medesima ne l’altra torre tagliata la testa, ben che ella punto<br />
non mostrasse esser de la commessa sceleraggine pentita, perciò che mai non<br />
si volle confessare, anzi altro non faceva già mai che pregare che una volta veder<br />
le lasciassero il suo signor Ugo. E così col tanto gradito ed amato nome <strong>del</strong> conte<br />
Ugo in bocca la misera e s<strong>fortuna</strong>ta fu decapitata. Il seguente giorno poi fece<br />
il marchese tutti duo i corpi ben lavati e signorilmente vestiti metter in mezzo<br />
<strong>del</strong> cortile <strong>del</strong> palazzo, ove fu lecito di vederli a qualunque persona volle, fin che<br />
venne la sera che in una medesima sepoltura gli fece in San Francesco porre con<br />
pompa funerale accompagnati. Ora veggendosi il marchese senza moglie e senza<br />
figliuoli legitimi, si maritò la terza volta e prese per moglie la signora Ricciarda<br />
figliuola <strong>del</strong> marchese di Saluzzo, de la quale nacquero il duca Ercole padre <strong>del</strong><br />
duca Alfonso ed altresì il signor Sigismondo da Este mio padre. Io so che sono alcuni<br />
che hanno openione che lo s<strong>fortuna</strong>to conte non fosse figliuolo de la prima<br />
moglie <strong>del</strong> marchese Niccolò, ma che fosse il primo figliuolo bastardo che avesse;<br />
ma essi forte s’ingannano, perché fu legittimo ed era conte di Rovigo, come più<br />
volte ho sentito dire a la buona memoria <strong>del</strong> signor mio padre.<br />
120. continovi: ‘continui’.<br />
121. nomando: ‘nominando’.<br />
Tra storia e finzione<br />
Tutto il racconto, a cominciare dalla lettera introduttiva<br />
che lo attualizza collocandolo nell’ambiente<br />
colto e raffinato <strong>del</strong>le corti italiane <strong>del</strong><br />
Rinascimento, sottolinea le basi storiche e la veridicità<br />
dei fatti narrati. <strong>La</strong> lettera a Castiglione, in<br />
122. manigoldo: ‘boia’.<br />
particolare, introduce come narratrice una diretta<br />
discendente dei protagonisti <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong>, Bianca<br />
d’Este, la quale ha dunque il preciso compito di<br />
garantirne l’autenticità e di difendere il buon nome<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> propria casata attraverso una ricostruzione<br />
moralmente accettabile <strong>del</strong>l’accaduto.<br />
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21<br />
L’Umanesimo e il Rinascimento <strong>La</strong> <strong>fortuna</strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>novella</strong> nel <strong>Cinquecento</strong> Matteo Maria Ban<strong>del</strong>lo<br />
Un signore con diverse mogli<br />
e innumerevoli figli<br />
<strong>La</strong> prima parte <strong>del</strong> racconto descrive soprattutto,<br />
con una certa simpatia, il personaggio di Niccolò<br />
III, la sua vita da donnaiolo, la sua straordinaria<br />
e ormai proverbiale prolificità, infine la scelta di<br />
sposare in seconde nozze la vera protagonista <strong>del</strong><br />
racconto, la figlia di Carlo Malatesta.<br />
<strong>La</strong> moglie tradita rivendica il desiderio<br />
<strong>La</strong> focalizzazione <strong><strong>del</strong>la</strong> narrazione passa poi sulla<br />
giovane moglie <strong>del</strong> marchese, sulla sua <strong>del</strong>usione<br />
rispetto alla vita matrimoniale e al comportamento<br />
libertino e irrispettoso <strong>del</strong> marito. <strong>La</strong> narratrice<br />
ripercorre il lento accendersi nella giovane sposa<br />
<strong>del</strong> desiderio verso il figliastro, «bellissimo e di<br />
leggiadri costumi ornato» (r. 75), insistendo sul<br />
fatto che è la donna a prendere l’iniziativa e dunque<br />
sulla sua responsabilità nella vicenda.<br />
Il conflitto <strong>del</strong>le passioni<br />
<strong>La</strong> passione, la vergogna e il timore nell’animo di<br />
lei vengono descritti con grande efficacia in un<br />
crescendo che sfocia poi, comunque, nella decisione<br />
di rivelarsi al giovane esplicitamente, cogliendo<br />
l’occasione di un’assenza <strong>del</strong> marchese<br />
per chiamarlo nella propria stanza.<br />
Il lungo discorso <strong><strong>del</strong>la</strong> marchesa<br />
A partire dalla riprovazione per l’infe<strong>del</strong>tà <strong>del</strong><br />
marchese, la donna cerca di attrarre la simpatia<br />
<strong>del</strong> giovane, prima su di sé e sulla propria infelice<br />
situazione, e poi mostrando come gli interessi<br />
<strong>del</strong> figliastro coincidano in realtà con i propri,<br />
dal momento che il marchese sembra trascurarli<br />
entrambi. Dopo aver ricordato la vicenda di un<br />
avo <strong>del</strong> giovane, che nelle stesse condizioni aveva<br />
ucciso il padre, ella si affretta a dichiarare di<br />
volerlo mettere soltanto sull’avviso, dal momento<br />
che il suo stesso padre, illegittimo erede, aveva<br />
corso il rischio di essere spodestato dal legittimo<br />
pretendente.<br />
<strong>La</strong> dichiarazione d’amore<br />
Ma il vero colpo di scena <strong>del</strong> discorso è la dichiarazione<br />
con cui la donna garantisce al giovane il<br />
proprio appoggio in caso di morte <strong>del</strong> padre e<br />
giustifica il proprio amore ricordando il malinteso<br />
originario secondo il quale lei aveva creduto di<br />
essere fidanzata proprio a lui, tanto più adatto<br />
per età a esserle sposo e tanto da lei profondamente<br />
amato.<br />
<strong>La</strong> seduzione colpevole<br />
<strong>La</strong> narratrice sottolinea ancora la freddezza <strong>del</strong><br />
giovane a tali dichiarazioni («una statua di marmo»,<br />
r. 162), pur rilevando la straordinaria avve-<br />
nenza <strong><strong>del</strong>la</strong> donna tanto da precisare, alludendo<br />
al racconto mitico, che se Fedra lo fosse stata<br />
altrettanto, Ippolito non l’avrebbe rifiutata. <strong>La</strong><br />
focalizzazione sulla donna permette al lettore di<br />
leggerle nel pensiero e lo costringe a inorridire: la<br />
vede calcolare il modo di sedurre il giovane prima<br />
che egli si renda conto <strong><strong>del</strong>la</strong> spaventosa colpa in<br />
cui viene precipitato.<br />
<strong>La</strong> forza <strong>del</strong> desiderio<br />
<strong>La</strong> donna riesce così a infiammare il giovane, il cui<br />
corpo infine risponde, e riesce anche a persuadere<br />
una <strong>del</strong>le sue domestiche ad aiutarla: l’amore<br />
illegittimo va avanti così fino a che dura la complicità<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> domestica. Con il passare <strong>del</strong> tempo la<br />
cautela diminuisce e, quando la protezione viene<br />
a mancare, gli amanti sono facilmente scoperti.<br />
Responsabile <strong>del</strong> “tradimento” dei due amanti è<br />
un cameriere <strong>del</strong> giovane, che si insospettisce, li<br />
spia e poi riferisce al marchese la situazione.<br />
L’umiliato marchese umilia e punisce<br />
Avendo spiato da un foro i due amanti, il marchese<br />
ne esce umiliato e passa in breve tempo dall’amore<br />
all’odio e al desiderio di vendetta. L’autore<br />
tratteggia bene tutta la gamma dei sentimenti e<br />
il gusto vendicativo <strong>del</strong> marchese nel voler infliggere<br />
al figlio un’umiliazione pubblica: lo fa arrestare<br />
davanti a tutti («con meraviglia grandissima di<br />
chiunque», r. 210) mentre gioca ignaro alla palla.<br />
Lo stesso dispone poi per la moglie.<br />
Diversi comportamenti dei colpevoli<br />
<strong>La</strong> narratrice accentua l’atteggiamento contrito<br />
<strong>del</strong> giovane e l’ostinazione disperata e generosa<br />
<strong><strong>del</strong>la</strong> donna, preoccupata solamente di scagionare<br />
l’altro e di risparmiarlo accusando se stessa<br />
come unica responsabile.<br />
L’ordine pare ristabilito<br />
<strong>La</strong> narratrice evidenzia che, una volta eseguita la<br />
sentenza, il marchese mostra un minimo di umanità<br />
e fa seppellire insieme i due giovani. Poi si<br />
risposa. In chiusura, Bianca ci tiene a ribadire la<br />
nascita legittima <strong>del</strong> giovane protagonista, mentre<br />
non ritiene di dover spendere alcuna parola di<br />
pietà per la protagonista che rimane unica e vera<br />
responsabile.<br />
Quali valori<br />
Va osservata la diversa valutazione data <strong>del</strong> comportamento<br />
<strong>del</strong> marchese e di quello <strong><strong>del</strong>la</strong> marchesa:<br />
l’ordine è ristabilito con la morte da chi ha<br />
l’autorità per farlo. Il diritto <strong>del</strong> desiderio e <strong><strong>del</strong>la</strong><br />
gioventù che tanto erano cari a Boccaccio sono<br />
ormai sopravanzati dal diritto <strong>del</strong> potere e <strong>del</strong>l’ordine<br />
sociale.<br />
© 2011 RCS Libri S.p.A./<strong>La</strong> Nuova Italia – R. Antonelli, M.S. Sapegno, Il senso e le forme