Storia del brigante Michele CARUSO - i fontanari torremaggioresi
Storia del brigante Michele CARUSO - i fontanari torremaggioresi
Storia del brigante Michele CARUSO - i fontanari torremaggioresi
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
propria personalità, sgozzava i viandanti, decapitava i proprietarii, e, per provare la polvere, sparava<br />
tutti i contadini, che avevano la sventura d'imbattersi in lui. Qui cade acconcio far notare che non<br />
bisogna confondere <strong>Michele</strong> Caruso con l'altro <strong>brigante</strong> Giuseppe Caruso, che era l'anima <strong>del</strong>la<br />
banda di Crocco e che, al dire di Del Zio, era stato uno dei più sanguinarii e feroci briganti che<br />
componevano la suddetta masnada e che in più circostanze ne prese addirittura il comando. Anche<br />
in Giuseppe Caruso non ci era se non sete di sangue, e giammai vi fu un sentimento di pietà, nè<br />
risparmiava alcun mezzo, anche il più cru<strong>del</strong>e ed inumano, purché otteneva il suo intento.<br />
Interrogato un giorno perché uccidesse tanti contadini, che non gli avevano fatto alcun male, con<br />
cinismo ributtante, rispose: "Perché ero certo che la truppa, trovando un morto, si fermava, ed<br />
io intanto avvantaggiava su d'essa mezzora di cammino" Le seguenti pagine, che fanno parte<br />
<strong>del</strong>la relazione <strong>del</strong> Massari, presentata alla Camera dei deputati, in nome <strong>del</strong>la Commissione<br />
d'inchiesta sul brigantaggio meridionale, spiegano, di detta piaga sociale, le vere cause ……….<br />
Quando nel 1860 in Torrernaggiore fu inalberato il vessillo tricolore, <strong>Michele</strong> Caruso, che contava<br />
23 anni, già godeva fama di ladro emerito. Nessuno dei danneggiati negl'interessi aveva avuto il<br />
coraggio di denunziarlo alla Giustizia, essendo a tutti noto che il figlio di mamma Teresa era capace<br />
di accoppare il <strong>del</strong>atore. La bilancia traboccò in suo danno quando una piccola frazione di<br />
sconsigliati capitanata da lui tentò, nel proprio paese, un'azione di rivolta contro quelle famiglie,<br />
che, con i loro averi e con i loro consigli, avevano contribuito a liberarci dal giogo borbonico.<br />
Quelle incomposte dimostrazioni essendo, a principio, a base di fischi, di proteste, di abbasso e di<br />
evviva non impensierirono le autorità, poiché il paese aveva trovato in sé stesso, nel suo buon senso<br />
e, nella sua civile educazione il reagente contro quelle pulcinellate. L'intervento <strong>del</strong>la giustizia fu<br />
necessario in seguito quando quei farabutti si strinsero fra loro in modo che, pur non avendo una<br />
personale organizzazione, costituivano un gruppo che, con preordinata, intesa pensò a svolgere<br />
un'azione collettivamente concorde; ed unico suo programma era quello d'internarsi in ogni<br />
questione che si aggirava in ogni pubblica manifestazione, col proposito determinato di scuotere il<br />
prestigio <strong>del</strong>le Istituzioni, la forza <strong>del</strong>le Leggi, il principio di Autorità e di provocare il disordine<br />
cercando con la propaganda e con l'esempio di menare alla rivolta, che avrebbe, per conseguenza,<br />
portato al saccheggio. In seguito a ciò fu arrestato Caruso ed i suoi adepti. L'arresto fu motivato:<br />
"per associazione in banda armata avente per mira di cangiare e distruggere la forma <strong>del</strong><br />
Governo accompagnata da altri reati". Il nostro protagonista fu rinchiuso nelle carceri di S.<br />
Severo da dove evase, e, per non ricadere nelle mani <strong>del</strong>la Giustizia, si dette alla macchia. Caruso,<br />
scelse come campo per le sue gesta, il territorio di Riccia, sia perché ivi si congiungono le province<br />
di Campobasso, Foggia e Benevento, sia perché, in quei tempi quelle valli e quei monti essendo<br />
rivestiti di folte boscaglie offrivano ai masnadieri sicuro asilo. "Solo chi conosce la macchia",<br />
scrive Scipio Sighele nel suo Mondo criminale italiano, "può spiegarsi il fenomeno di questa<br />
latitanza il bosco basso, arruffato, inesplorato e inesplorabile tutto forre, buchi e dirupi. Nella<br />
desolata solitudine <strong>del</strong>la macchia circondata dai melanconici e deserti latifondi, ove non si ode che il<br />
libero galoppo dei bufali e dei cavalli selvaggi, il <strong>brigante</strong> sa di poter impunemente sfidare la polizia<br />
e sorride forse <strong>del</strong>la nostra platonica giustizia, che si accontenta di accumulare sulla testa i mandati<br />
di cattura e di promettere taglie a chi saprà consegnarlo ai carabinieri". E <strong>del</strong>lo stesso parere è il<br />
Cascella, il quale fra le cause <strong>del</strong> brigantaggio ricorda le condizioni topografiche di alcune regioni,<br />
che offrivano maggiore facilità agli agguati ed ai ricoveri. Caruso dapprima venne seguito dal<br />
nepote <strong>del</strong>la madre, un certo Cerrito, un'altra buona lana, che, fin dalla tenera età, percorse, come lo<br />
zio, interrottamente la via <strong>del</strong> vizio con l'abbandonarsi alla dolce voluttà <strong>del</strong> furto. Cerrito imitando<br />
zio <strong>Michele</strong>, imparò, in poco tempo, la tecnica di seviziare il prossimo; ma un giorno sorpreso dalla<br />
guardia nazionale nella masseria detta <strong>del</strong>le Monacelle, fu ucciso. Il giorno appresso sulla pozza di<br />
sangue di Cerrito, il <strong>brigante</strong> Giacomo Leone piantò una rozza croce di quercia e su questa<br />
Giovanni Fraschillo, che godeva fama di letterato, pose un pezzo di carta portante questa epigrafe: